La Teoria del Caos

di 92Rosaspina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.Colloqui di lavoro alternativi ***
Capitolo 2: *** 2.Cartomanzia e trasmutazioni ***
Capitolo 3: *** 3. Cartomanzia, sfide tra gentiluomini e sguardi d'intesa ***
Capitolo 4: *** 4. Gli Amanti, Cenerentola al contrario. ***
Capitolo 5: *** 5. Cavalli d'acciaio e filmini mentali ***
Capitolo 6: *** 6. Quando il gatto non c'è... ***
Capitolo 7: *** 7. Signore!...e signori... ***
Capitolo 8: *** La Filosofia dei Viaggi nel Tempo – Performapal Showdown ***
Capitolo 9: *** La Filosofia dei Viaggi nel Tempo – Smiling World ***
Capitolo 10: *** 8. Vasta gamma ***
Capitolo 11: *** 9. Il principe azzurro ha la moto. ***
Capitolo 12: *** 10. Bevi responsabilmente. ***
Capitolo 13: *** 11. 50 sfumature di che casino ho fatto?! ***
Capitolo 14: *** 12. Drago Stellare Maestoso ***
Capitolo 15: *** 13. A volte ritornano ***
Capitolo 16: *** 14- Falle nel sistema - parte 1. ***
Capitolo 17: *** 15. Falle nel sistema- parte due ***



Capitolo 1
*** 1.Colloqui di lavoro alternativi ***


Pharaoh's Kingdom 1

1.Colloqui di lavoro alternativi


Un sognatore è colui che non sa trovare la propria via se non al lume della luna; e il suo castigo è che egli vede l'alba assai prima degli altri.
Oscar Wilde, 1888





    -    Tutto questo è ingiusto. Dovresti andarci tu a scaricare la merce, e senza fare storie!-
    -    Oh davvero? E secondo quale comandamento non scritto?-
    -    Ieri hai mangiato tutti gli ingredienti dei profiteroles!-
    -    Bugiardo! Ho solo fatto il mio consueto assaggio, com'è giusto che sia, prima di cominciare a preparare i dolci!-
    -    E hai assaggiato tutti gli ingredienti, mi sembra sensato!-
    -    Beh, ma alla fine ho preparato il dolce richiesto!-
    -    Esatto, IL DOLCE! Ti avevamo richiesto TRE porzioni!-
    -    Beh, io ne ho preparata UNA da tre persone! Che differenza c'è?!-
    -    C'è una grossa differenza! Accidenti a te...carta-
Quando il dieci di quadri andò a posarsi accanto alla regina di cuori e al tre di fiori, le speranze di Yusei di restare in partita crollarono come un castello di carte trascinato dal vento. Con gli occhi blu sgranati sulle carte che segnavano la sua sconfitta, e le mani tra i capelli scuri, il giovane si sentì più nudo che mai, nonostante a coprirlo ci fosse ancora il grosso grembiule nero. Strinse inconsapevolmente le gambe, mentre sentiva Judai esplodere in una roboante risata di vittoria con tanto di braccia alzate in segno di trionfo. Poco distanti da loro, Yuma e Yuya, che a nominarli insieme sembravano formare un improbabile duo comico accomunato dalla passione per i capelli colorati, alzarono gli occhi dal bancone e dai bicchieri che stavano sistemando con cura, per posarli sul variopinto quartetto che trafficava con le carte su quel mezzo metro di quercia scura.

C'era Judai, come già nominato poco prima, che sorrideva vittorioso e allegro come avevano imparato a conoscerlo, i folti capelli castani che si striavano d'oro sotto i faretti del bancone; a veramente pochi centimetri di distanza, abbastanza da essere colmati da uno sganassone che chissà cosa stava trattenendo Yusei dal rifilargli, il moro aspirante astronomo si sfregava gli occhi con fervore, curvo su sé stesso più che gli riusciva, con le ginocchia piegate al petto e solo il grembiule nero a coprirlo dalla vita a scendere (quando e soprattutto come aveva rimediato tutte quelle cicatrici sul braccio destro, di grazia?!). Dietro al bancone, invece, Yugi aveva momentaneamente distolto lo sguardo dalla mano di blackjack per concentrarsi sul suo smartphone. Le dita scorrevano veloci sul tastierino virtuale, componendo un messaggio piuttosto lungo: davvero, quel ragazzo doveva imparare ad essere più sintetico quando scriveva al telefono. Accanto a lui, in piedi a schiena ben ritta, come un implacabile giudice infernale, Atem sorrideva ad entrambi i giocatori, le labbra piegate in quel suo solito, affabile sorriso sornione, tipico dei professionisti del poker, dei prestigiatori o delle grandi menti criminali che si mischiavano tra la folla.

    -    Sembrerebbe che l'incombenza tocchi a te, Yusei-
Anche la voce di Atem era quella bassa e profonda di un narratore onnisciente, e le sue parole erano quelle sicure e dirette di un abile stratega e calcolatore. Yuma si lasciò sfuggire un ghigno e si voltò verso Yuya, l'ultimo arrivato che ancora non aveva avuto occasione di ammirare il padrone di casa all'opera seriamente: lo sguardo del giovane rimbalzava ora su Yuma, ora su Yusei tutto rannicchiato sullo sgabello, ora su Judai e infine su Atem, imperturbabile arbitro di quella insolita sfida, e il ragazzo non riuscì a non ghignare a sua volta.
Conosceva Atem abbastanza per poter dire, con certezza, che non parlava mai a vanvera, e che usava con molta accortezza le parole da utilizzare. E quel “sembrerebbe” era bastato a far drizzare le antenne di tutti, Yusei incluso che, dopo qualche attimo di tormento interiore, aveva alzato lo sguardo verso di lui e lo stava osservando speranzoso, gli occhi scintillanti di un assetato nel deserto che scorgeva, oltre una duna di sabbia, la vegetazione di un'oasi.
    -    A ben pensarci, potrebbe però esserci un modo per far ricadere l'onere su Judai-

Agli occhi di un qualsiasi estraneo, non sarebbero apparsi niente più che due ragazzini troppo cresciuti dai capelli colorati e quattro pseudo-adulti, di cui uno vergognosamente nudo (o quasi) che si erano sollazzati in una partita a blackjack, mettendo i loro capi di vestiario come puntate nel piatto: un modo molto subdolo, ma imparziale, che Atem aveva per assegnare ingrati compiti ed incombenze come quella di andare a scaricare la merce in arrivo; a nessuno piaceva passare tre quarti d'ora e anche più a tirare fuori scatole dalla cabina di un furgoncino, e men che meno piaceva passare lo stesso quantitativo di tempo a fare avanti e indietro con i carrelli per portarle nel deposito del locale.
Ognuno cercava sempre di scaricare la faticosa incombenza sul proprio collega, e agli inizi la cosa aveva creato accesi diverbi conditi da frasi a effetto e orribili recriminazioni lanciate da una parte all'altra del locale; alla fine le baruffe si concludevano tutte con un giro di bicchieri per tutti, e amici come prima. Ma le discussioni, con il tempo, erano diventate sempre più intense e accese, e quando si era cominciato a mettere mano ai preziosi bicchieri di cristallo, e usarli come improprie armi da lancio, Atem aveva deciso di usare la sua autorità e, in quanto direttore e anima pensante alla testa del Pharaoh's Kingdom, aveva annunciato che, da quel momento in poi, sarebbe stata la sorte a decidere chi avesse compiuto, di volta in volta, le operazioni di carico e scarico.
In sintesi, metteva mano al suo sabot di carte francesi e metteva i contendenti faccia a faccia con le due opzioni disponibili: la prima, la possibilità di scaricare la merce, la seconda, la certezza di scaricare la merce vestiti solo dell'abito donatogli da Madre Natura dopo il parto.

Tuttavia, quella volta c'erano stati dei cambiamenti.
Atem aveva astenuto i due ragazzi e il fratello Yugi dal duello, sostenendo che avesse bisogno della loro presenza nel locale. Yuma e Yuya erano due pesti in fatto di preparazione di cocktail e bevande: il primo creava combinazioni di dubbio gusto che spedivano in coma etilico chiunque osasse avvicinare il naso al bicchiere, il secondo a volte esagerava con i virtuosismi e le acrobazie, mandando a fracassarsi qualche calice o, nei casi peggiori, intere bottiglie che gli venivano sottratte dallo stipendio. Entrambi, però, erano estremamente svelti nelle preparazioni, e quando gli si davano ordinazioni precise erano meticolosi e accorti e, soprattutto, efficaci: il Martini del Pharaoh's Kingdom aveva fama di essere il migliore tra i Lounge Bar della città. La loro impareggiabile velocità li rendeva preziosissimi nell'arco della serata, e non era il caso di dimezzare le loro energie con una fatica intensa come quella dello scarico merci.
In quel periodo, inoltre, avevano urgente bisogno di un addetto alle ordinazioni e Yugi, per quanto bravo e veloce, a volte non riusciva a gestirle tutte da solo: la grossa mole di clienti rendeva, spesso e volentieri, necessaria anche l'entrata in gioco di Atem, armato di tablet e penna digitale.
Le inattaccabili motivazioni secondo cui il trio era stato esentato dalla sfida, non erano bastate per fermare le lamentele e le proteste di Judai, né per arginare il seguente fiume di imprecazioni di Yusei: non era giusto, diceva il primo, non ci penso neanche, diceva il secondo tra un'imprecazione e una bestemmia celata.
Atem aveva quindi sorriso sornione, com'era solito fare, e con una scintilla di maligno divertimento ad illuminargli le iridi ametista aveva annunciato che, se le cose stavano davvero così, allora avrebbero entrambi scaricato la merce, entrambi nudi come la mamma li aveva fatti e senza neanche il grembiule che, in quel momento, si stava rivelando tanto caro e utile a Yusei.

Ecco quindi come erano finiti, rispettivamente lo chef e il capobar del Pharaoh's Kingdom, a denundarsi reciprocamente a colpi di carte da Blackjack.
E la Fortuna si era sporta a baciare la fronte di Judai, quella sera: il giovane era stato in netto vantaggio fin dalle prime puntate, costretto a liberarsi semplicemente della pettorina del grembiule, di gilet e camicia, mentre i vestiti di Yusei avevano iniziato ad ammucchiarsi uno ad uno su un punto del bancone. Il tonante boato di risate che aveva seguito il dolce planare dei suoi boxer sul bancone aveva quasi scosso la vetrinetta alle loro spalle, e Yuya si era lasciato sfuggire un bicchiere, caduto con un sordo tonfo nel lavello sottostante.

L'ultima mano giocata aveva decretato la fine dello spietato gioco e l'apparente vittoria di Judai: tuttavia Atem sembrava avere qualcosa in serbo per loro, e trovava davvero divertente tenerli bonariamente sulle spine mentre, in religioso silenzio, Yusei più speranzoso che mai, lo osservavano tutti prepararsi, con pochi esperti gesti, un perfetto Martini freddo al punto giusto, merito del ghiaccio grosso e con la canonica oliva che produsse un delicato, impercettibile “plop” quando affondò nel bicchiere. Atem fece scorrere lo sguardo sui suoi colleghi, mentre pollice ed indice della mano destra regalavano, alla sua miscela, una impercettibile punta di sale.

    -    Ma ricorda, Yusei, avrai una sola possibilità- disse poi Atem, una volta bevuto un sorso del suo Martini – One call, rispondi o perdi-
    -    Sono pronto. Cosa devo fare?-
Atem sorrise ancora, questa volta più ampio e suadente. E solo allora Yusei sentì un brivido partirgli dal retro della nuca e percorrergli di scatto tutta la schiena, lasciandogli un'ustionante scia fredda che gli fece leccare nervosamente le labbra.
Non era mai un bel segno, quando Atem sfoderava quel sorriso provocante e maliardo insieme. Judai stesso si accigliò, arricciando il naso infastidito dalla possibilità di perdere la sua vittoria.
    -    Come ben saprai, noi siamo alla ricerca di un secondo cameriere- spiegò Atem, sorseggiando il suo Martini tra una pausa e l'altra – Ho affisso un cartello apposito, all'entrata principale e secondaria del Pharaoh's Kingdom, e pubblicato un annuncio su un sito specialistico. Ho lasciato disponibili per i colloqui le due ore precedenti l'orario di apertura...beh, ecco cosa ti propongo-

Atem si concesse un'ennesima pausa, per accrescere la teatralità del suo discorso e bere ancora qualche piccolo sorso. Sentiva i loro sguardi addosso, stavano tutti letteralmente pendendo dalle loro labbra.
Gli piaceva essere al centro dell'attenzione, come un re. O un faraone, per restare in tema con il suo locale.

    -    Al primo che entrerà da quella porta...- e gliela indicò, alzando il bicchiere di Martini verso la porta di vetro – Regalerai un bel bacio sulla bocca-
Yusei sembrò sgonfiarsi come un gigantesco pallone bucato con uno spillo. Lo osservò con tanto d'occhi, quasi gli fosse spuntata una seconda testa bavosa o un terzo occhio in fronte.
    -    Ovviamente, con “primo” intendo chiunque varcherà per primo quella soglia. Potrà essere una ragazza giovane e carina, potrà essere una vecchia. Potrà anche essere un lui, per quello che ne sappiamo. Ti esento dai bambini, non vorrei farti finire nei guai per una goliardata. Ah, ho ragione di pensare che i tuoi colleghi si godranno il doppio del divertimento se ti vedranno ancheggiare per bene, quando andrai dalla persona in questione-

Fu come sventolare un drappo rosso sotto il naso di un toro: Yuma esplose in una grossa risata e per poco non rifilò una ginocchiata al mobiletto dietro il bancone, mentre Yugi e Judai scambiarono un vigoroso “cinque”, unendosi al giovane barman. Yuya sgranò gli occhi prima di scoppiare a ridere anche lui, mentre Yusei balzò in piedi come se fosse stato morso da una tarantola.
Atem era un giovane uomo altruista e generoso, sempre pronto ad offrirti una mano così come a chiuderla e a farla schiantare sulla tua faccia, dritto sul naso; ma ciò che più stupiva, di lui, era la perfidia che metteva nelle sue penitenze e punizioni, roba da far passare un aguzzino come un bimbo delle elementari che rubava caramelle. Tempo prima, per una scommessa persa, Yuya si era ritrovato con una mano legata dietro la schiena, mentre con l'altra preparava i suoi soliti cocktail: era stato faticoso certo, e anche frustrante in alcuni momenti, eppure lo aveva aiutato a sviluppare riflessi più pronti e a migliorare le sue acrobazie con shaker e bottiglie, quindi doveva anche ringraziarlo, in un certo senso.
Quello che però stava proponendo ora era una cosa che rasentava l'impossibile: per quanto affabile e gentile, Yusei restava sempre un ragazzo serio al limite dell'imbronciato, capace anche di stare allo scherzo ma non così. Chiedergli di avvicinare, in quelle condizioni poi, un perfetto sconosciuto e addirittura baciarlo...no, era troppo anche per lui.

    -    L'alternativa sarebbe...?- chiese Yusei affranto, con un filo di voce.
   -    La immagini da solo l'alternativa- gli rispose Atem, suadente – Sarai tu a scaricare la merce e lo farai solo col grembiule addosso. Anzi, potrei pensare di farti togliere anche quello-
    -    Ma-maledizione...-

Fu un infinito attimo di silenzio quello che seguì l'imprecazione di Yusei, rotto solo dal dolce, ovattato glissare della porta di vetro.





A ben pensarci sopra, era una cosa da pazzi. Quello che stava facendo non aveva alcun senso. Tutti, tutti gliel'avevano detto: amiche, amici, cugini, parentame assortito sostenevano che non servisse, che non ce ne fosse bisogno, che poteva tranquillamente risparmiarselo. Perché lavorare per pagarsi gli studi di medicina? La sua famiglia era pronta a sostenere tutte le sue spese, avrebbe avuto vita facile, tanto tempo per studiare e sicuramente non avrebbe avuto necessità di mischiarsi con la “gentaglia”, come suo zio l'aveva apostrofata.
Forse era stata proprio quella denominazione a far storcere il naso ad Aki.

Gentaglia, l'aveva chiamata. Persone che, a differenza loro, non avevano avuto la fortuna di nascere a Nuova Domino ma in qualche pidocchioso, polveroso buco, covo di criminali o piccola cittadina rurale che fosse. Il solo pensare di avere, in famiglia, qualcuno che nutrisse così bassi pensieri e opinioni sociali le aveva fatto ribollire il sangue dalla rabbia.
Era una ragazza dei ceti sociali più alti, era vero, con ogni bene e fortuna a sua disposizione e un capitale sicuro al quale attingere in ogni momento: era forse un crimine mettersi in gioco nella vita vera e provare ad avanzare da sola, con i suoi passi, senza che ci fosse qualcuno pronto a costruirle la strada usando le banconote come manto stradale?
La cosa le dava quasi il voltastomaco, a ripensarci.
Aveva lasciato la casa paterna con due valigie, qualche vestito e aveva anticipato l'affitto di un bilocale in centro, grande abbastanza per stare comoda da sola. Ma le spese condominiali non si pagavano da sole, e l'appartamento in sé aveva diversi problemi: una grossa macchia di umido nel bagno indicava una perdita, e la caldaia si bloccava spesso quando prolungava di qualche minuto la sua doccia ristoratrice, lasciandola senza acqua calda del giro di qualche istante. Per non parlare dell'impianto elettrico che saltava quando collegava la piastra per capelli e lo stereo insieme.
Tutti difettucci, questi, che richiedevano della manutenzione che il padrone di casa non intendeva offrirle, anzi. Era chiaro che, se voleva davvero sistemarli, doveva provvedere lei personalmente a mettersi in contatto con qualche professionista.

Le servivano soldi, in poche parole. E non aveva alcuna intenzione di darla subito vinta alla sua famiglia e attingere al suo patrimonio. Aveva con sé un piccolo fondo economico, quanto bastava per vivere bene per qualche mese, e doveva correre subito ai ripari se voleva una seconda entrata.
E quindi eccola lì, a salire la breve rampa di scale che portava all'accesso al cuore del Pharaoh's Kingdom. La guardia all'entrata l'aveva quasi respinta, sostenendo che non fosse orario di apertura, ma quando lo aveva rimbeccato menzionandogli un probabile colloquio di lavoro si era fatto da parte, silenzioso ed imperturbabile.
Per arrivare alla sala si salire una rampa di scale stretta, ma sufficientemente illuminata per evitare di inciampare sui gradini. Con una mano che scivolava sul muro, quasi a cercare un invisibile sostegno, Aki si sistemò meglio la borsetta sulla spalla sinistra prima di salire.
A sbarrare l'accesso c'era una porta di vetro opacizzata, che schermava l'ambiente al di dietro quasi alla perfezione: si individuava qualcosa dalle porzioni lasciate libere dall'Occhio di Ra impresso su di essa. Dall'altra parte si udivano delle parole che non comprendeva, complice l'auricolare che aveva lasciato al padiglione sinistro: se lo sfilò con un leggero movimento prima di infilare le cuffie nella borsetta, e colpire delicatamente la porta di vetro con le nocche della mano destra.
Non le parve di udire risposta. Forse c'era stata, o forse l'aveva immaginata. Osservò accigliata la superficie opaca della porta per qualche attimo ancora, prima di farsi coraggio e, preso un bel respiro quasi stesse per immergersi in una piscina di acqua di cottura, aprì la porta vetro.
Insomma, cosa vuoi che sia un colloquio di lavoro?, pensò, mentre l'anta glissava dolcemente alla sua destra. Poco conta che sia il primo della tua vita, no?
No?

Appena entrata venne colta da un'improvvisa, quanto allegra sensazione di caotico ordine. Gli altoparlanti tutt'intorno diffondevano un'inarrestabile e piacevole motivetto electro-swing che riempiva gradevolmente il silenzio tutt'intorno. C'erano bassi tavolini, e poltroncine e divanetti, tutti neri sul lucidissimo pavimento scuro: molti accenni dorati sulle gambe dei tavolini scolpivano immagini di scarabei, gatti e rapaci dallo sguardo fiero.
In fondo alla sala, lì dove c'era il palco delle esibizioni, un gigantesco Occhio di Ra, dipinto in nero sul muro con delle precise, piacevoli curve, puntava lo sguardo direttamente sul bancone: un grosso ferro di cavallo, dietro cui erano posizionati vini e alcolici vari. E lungo tutto il perimetro della sala, sospese a qualche metro di altezza, alcune balconate dai parapetti in cristallo ospitavano altri tavoli e sedie, più un paio di zone privè nel fondo. Un ragazzo dagli occhi ametista aveva alzato lo sguardo su di lei, giocherellando distrattamente con un ciondolo che aveva al collo, e quello che sembrava il fratello maggiore, tanta era la somiglianza, aveva replicato il gesto.

A dire la verità tutti la osservavano ora: dei due che apparivano più giovani, il primo stava riallacciandosi meglio il grembiule dietro la schiena, mentre il secondo, con un paio di occhialetti che spuntavano dall'assurda capigliatura tinta di verde e rosso, asciugava distrattamente un bicchiere fin quasi a farlo cigolare tra le sue dita e il panno. Le ci volle qualche secondo per notare che i suoi occhi riprendevano in maniera inquietante i capelli. Occhi diversi, come si diceva...? Eterocromatici. Non erano molto frequenti, soprattutto con un simile stacco di tonalità: verde brillante uno, rosso cremisi l'altro. Verso di lei si era voltato anche un ragazzo con occhi e capelli castani, l'unico lì in mezzo ad avere una capigliatura di un colore umano, e misteriosamente nudo dalla vita in giù.
L'ultimo a voltarsi fu un figuro alto almeno venti centimetri più di lei, dai capelli scuri striati d'oro e degli occhi blu che spiccavano violentemente sulla pelle ambrata: elettrici, quasi vibranti di energia, la osservavano con un misto di rabbia e nervoso nello sguardo.

Aki aggrottò la fronte, in un certo senso intimorita dalla spietatezza del suo sguardo. Strinse il manico della sua borsetta con forza, quasi a volervi trovare ulteriore coraggio e sostenne la sua occhiata, indecisa su cosa pensare, dire o fare.

    -    Buonasera-
A parlare era stato il più grande dei due (apparentemente) fratelli: il giovane aveva aggirato il bancone, silenzioso come un vampiro, e le si era avvicinato con poche, fluide falcate. Aki seguì i suoi movimenti, distogliendo lo sguardo dal giovane rabbioso.
Non preoccuparti, nonostante il muso da dobermann che si ritrova non morde. Di solito-
Era ovvio che si riferisse al giovane con cui aveva ingaggiato una silenziosa lotta all'ultimo sguardo, e le sue parole avevano suscitato qualche divertita risatina messa a tacere da un sordo ringhio. Il giovane le sorrise affabile, porgendole una mano con fare sicuro.
    -    Immagino tu sia qui per l'offerta di lavoro-
Oh, almeno uno su sei sembrava capace di ragionare e restare a contatto con la realtà: Aki ne era sollevata. Sebbene non sapeva cosa aspettarsi, da un ragazzo con i capelli per metà biondi e per l'altra metà...che colore era quello?!, sembrava molto cordiale ed educato. Oltre che possessore dei due occhi più belli che avesse mai visto. Aki annuì e ricambiò la stretta di mano, fece per rispondere ma lui la precedette.
    -    Devo tuttavia chiederti una gentilezza- le disse poi il giovane, scostandosi leggermente e rendendola nuovamente bersaglio dello sguardo serio ed imperturbabile dell'altro – Ci hai interrotti proprio mentre stavamo facendo un gioco-

Un gioco?! Okay, la faccenda si stava facendo sempre più strana. I restanti cinque continuavano ad osservarla, ma alternavano spesso lo sguardo sul loro compagno dai capelli scuri e l'espressione seria. Troppo seria, in contrasto con quella da buffi giocolieri di tutti gli altri. Aki osservò l'intera scenetta con scetticismo, cercando di capire cosa ci fosse di effettivamente divertente.
Poi notò, di fronte al ragazzo castano, una serie di carte disposte in egual modo per entrambi i colleghi. Poco più in là, accuratamente ripiegati, stavano diversi capi di vestiario.
Solo allora si accorse che il ragazzo dallo sguardo quasi rabbioso era a malapena coperto da un nero grembiule che gli scendeva fin poco sopra i piedi. La giovane sgranò gli occhi, esterrefatta.
    -    Non ti chiederemo di partecipare, assolutamente!- esclamò poi il giovane dagli occhi ametista – Solo, ci serve un piccolo aiuto. Vedi, il nostro Yusei è uscito sconfitto da una partita a blackjack, ma è ancora in tempo per evitare la vera penitenza-
Come se andare in giro nudi e coperti solo da un grembiule non fosse abbastanza...
    -    Ti chiedo gentilmente di restare ferma dove sei qui, mentre Yusei deciderà come concludere la sua giornata. Senza paura e preoccupazione, non morde! Dopodiché, se vorrai, passeremo al colloquio vero e proprio-
Colloquio? Quale colloquio?! Se n'era quasi dimenticata...tutto quello che vedeva era la surreale immagine di uno sconosciuto, suo coetaneo probabilmente, data la giovane età, alzarsi dallo sgabello e sistemarsi meglio il grembiule, passandoci sopra le mani con fare imbarazzato prima di avanzare verso di lei. Il ragazzo dai capelli castani gli fischiò dietro, meritandosi un ben poco cortese gesto della mano destra che suscitò le risate di tutti gli altri. Il bicchiere che il ragazzo con gli occhialetti stava asciugando con tanta energia gli sfuggì di mano, sbattendo rumorosamente contro il mezzo metro di scura quercia che lo separava dal resto della sala.

Aki seguì con lo sguardo la sua imperturbabile avanzata. Senza dire una parola, senza neanche muovere un muscolo del volto, il giovane le si fece vicino, sempre più vicino, fin quando a separarli non ci fu che un braccio. Aki mosse un piccolo passo verso l'uscita, incerta e desiderosa di finire quella pagliacciata il prima possibile: sul serio, cosa stava succedendo? Dov'era finita, cos'era quel covo di matti?!
Possibile che la sua famiglia avesse ragione? Che lei non fosse fatta per la vita cittadina, in mezzo alla “gentaglia”? Che il mondo là fuori fosse davvero pericoloso e inavvicinabile?
Mosse ancora un passo indietro; Yusei colmò di scatto la distanza e la baciò.
Lieve, estremamente pudico, lo stesso bacio che si dà a qualcuno quando si è bambini, spinti dai genitori a simili esternazioni affettuose piuttosto che da un vero volere: e lui sembrava davvero un bambino in quel momento, con le guance rosse di imbarazzo e vergogna e gli occhi bassi di chi cercava di non sentire le risate divertite e a malapena soffocate di chi gli stava dietro. Un bambino troppo cresciuto, sicuramente, alto e ben piantato, con un vago odore di aghi di pino a circondarlo e le braccia affusolate segnate da alcune cicatrici. Yusei rimase ad osservarla per qualche secondo ancora, Aki si specchiò per qualche attimo nelle sue iridi bluastre. Lo sentì chiederle perdono con una voce incolore, rigido come se qualcuno gli avesse rifilato una bastonata nel sonno.

Poi si voltò di scatto, con uno sventolio del grembiule nero che fece trasalire i compagni rimasti al bancone. Aki squittì sorpresa e si portò le mani al volto, ingabbiando i suoi occhi al sicuro dietro le dita, quasi sperasse che quel gesto potesse in qualche modo schermarla da quello che stava vedendo.
Non aveva visto male: oltre al grembiule non aveva NULLA, addosso, che assomigliasse ad un capo di vestiario! Aki sbirciò cauta da dietro le dita: scorse la schiena tornita di Yusei allontanarsi a passo di carica, in direzione dei suoi colleghi urlanti e ridacchianti, borbottando qualche imprecazione tra i denti che la giovane non comprese. Pochi attimi passarono, prima che il ragazzo afferrasse una cannuccia tutta avviticchiata e la lanciasse in direzione del castano, quasi centrandolo in un occhio e facendolo ritrarre di scatto, masticando tra i denti furiose imprecazioni. Accanto a lei, il giovane che l'aveva accolta si lasciò sfuggire un risolino, mentre Yusei afferrava i suoi vestiti arrabbiato e si dirigeva a grandi passi in un bagno di servizio.
    -    Beh Judai, a questo punto credo che l'oneroso compito di scaricare la merce tocchi a te- disse poi, rivolgendosi verso il castano che si stropicciava furiosamente l'occhio destro.
    -    Guarda, solo perché lo spettacolo offerto è stato impagabile!- esclamò l'altro, frenando a stento una risata e sparendo dietro una porticina.
Solo allora il giovane dagli occhi ametista tornò a rivolgersi verso di lei, riservandole un bel sorriso affabile e sicuro. Aki si ritrovò a sorridere a sua volta, seppur spiazzata da tutto quell'insolito teatrino.

    -    Se sei arrabbiata ti comprendo- le disse poi – Ti chiedo scusa se ti ho trascinata in questa pagliacciata ma andavano sistemate delle...cose. Se vuoi e se sei interessata ancora al posto, posso spiegarti tutto con calma. E senza denudarci ovviamente-
La testa di Aki si mosse prima che il suo cervello le desse l'input.
Decisamente il colloquio di lavoro più strano della storia.



****



L'uomo che l'aveva accolta si era presentato come Atem, direttore, capo e padrone dell'idea alla base del Pharaoh's Kingdom. L'Egittologia era stata la sua materia di studio ai corsi universitari, da cui ne era uscito con i massimi dei voti e degli elogi: una passione, la sua, tramandatagli dalla sua famiglia di esploratori, e che si stava riflettendo sul fratello minore Yugi: il pendaglio che il più piccolo recava al collo era un piccolo tesoro ritrovato in una delle ultime spedizioni, e il giovane sembrava molto legato a quella cuspide d'oro che osservava il mondo con il suo occhio.
Ad osservare Atem, però, si capiva che c'era molto più dell'egittologo e studioso: aveva dei modi di fare gentili e cortesi, eppure qualcosa sfuggiva alle percezioni di Aki. Atem sembrava osservare tutto con il divertito distacco di chi già sapeva e conosceva, e la rossa non riusciva a decidersi se trovare la cosa ammirevole o snervante: era sicuramente invidiabile possedere capacità di analisi tali da fargli individuare la natura di una persona prima ancora di conoscerla direttamente, ma per certi versi poteva essere davvero irritante.

Prova delle sue capacità di deduzione gliel'aveva concessa durante il loro breve, intenso colloquio, quando gli era bastata una rapida occhiata per intuire, di lei, tante cose che erano poi esatte: il fisico atletico di chi praticava palestra quanto bastava per mantenere una forma longilinea, senza appesantirla con eccessiva massa muscolare, e un'acconciatura ben tornita per rimettere in ordine uno stato mentale caotico o una vita affettiva poco stimolante. Il nastro di raso rosso che aveva al collo era molto bello ed elegante, e anche quel pendente dorato ornato dall'opale verde: un gioiello narcisistico che colmava, in parte, una carenza affettiva, e allo stesso tempo la stringeva, come l'abbraccio di una madre troppo invadente e di un padre troppo possessivo. Si mordicchiava il labbro inferiore spesso, rivelando un malessere che cercava di nascondere in ogni modo, prima di passarci sopra la lingua con un fare nervoso.
Le aveva snocciolato tutte queste cose insieme, e Aki si era sentita improvvisamente rabbrividire dalla testa ai piedi. Nel silenzio che aveva seguito le parole di Atem, chiusi nel suo piccolo ufficio, la giovane aveva trattenuto il respiro, arpionata da quello sguardo indecifrabile.

Poi il giovane era scoppiato in una forte risata, facendola trasalire, e l'aveva consolata dicendole che sì, l'effetto che creava era proprio quello. Non era la prima ad essere sottoposta ad un simile gioco, né probabilmente sarebbe stata l'ultima, e in ogni caso la reazione generale era proprio quella: il suo interlocutore restava in silenzio, quasi scioccato dall'evidenza di tutte quelle informazioni che rivelava, seppur involontariamente, al padrone di casa del Pharaoh's Kingdom.
A quel punto, quasi delle invisibili catene di diffidenza e tensione fossero state spezzate, Aki aveva vuotato il sacco. Aveva ininterrottamente parlato per minuti interi, e Atem era rimasto ad ascoltarla in silenzio, senza interromperla né fare domande, attento ed imperturbabile. Mai, per un solo secondo, aveva distolto lo sguardo da lei, mentre la giovane gli faceva il resoconto delle tante motivazioni che l'avevano spinta a lasciare la sua lussuosa magione per farsi una vita lì, nel silenzio onesto dei lavoratori. Il senso di oppressione della sua nobile famiglia, composta da rampanti avvocati del diavolo e primari di ordine eccelso, la voglia di mettersi in gioco e farsi valere per le sue capacità e non solo per il suo nome nobile e il suo bell'aspetto, il desiderio di dimostrare a suo padre che anche lei valeva qualcosa, fuori dalle sicure mura di casa, e la necessità di dimostrare, più a sé stessa che a chiunque altro, di essere in grado di provvedere autonomamente al suo sostentamento. Ecco come era finita dalle parti del Pharaoh's Kingdom, ecco come aveva deciso di mettersi in gioco e servire, piuttosto che essere servita come faceva da una vita.

Atem aveva ascoltato in silenzio, attento a cogliere ogni sfumatura, nella voce della ragazza, che avrebbe potuto rivelargli qualche informazione in più, ma nulla lo fece scostare dalla sua idea iniziale: quella ragazza aveva, della rosa, anche l'atteggiamento apparentemente scontroso, non solo il rosso sui capelli. Le sue spine tenevano alla larga eventuali sprovveduti che provavano ad approcciarsi senza alcuna cautela, ma chi era in grado di avvicinarsi con garbo e sicurezza poteva godere da vicino della bellezza dei suoi petali.
Una simile personalità meritava di essere messa in risalto, così come un uccellino non meritava la triste sorte di animale imprigionato in una gabbia dorata solo per il suo bel canto.

Quando Aki aveva terminato il suo racconto, era stato allora che Atem si era momentaneamente congedato, prima di ripresentarsi con una perfetta divisa da cameriere. Era la più piccola di cui disponevano, ma essendo una taglia maschile poteva non starle effettivamente bene: colpa sua, aveva ammesso, che non aveva pensato alla possibilità di mettere una ragazza a servire i tavoli. Avrebbe fatto arrivare degli abiti più adatti alla corporatura femminile nel giro di un paio di giorni, nel frattempo quella divisa sarebbe andata più che bene. Era stata l'unica volta che si era concesso di abbassare lo sguardo per osservare le sue calzature, annuendo e sostenendo che quelle nere scarpe da ginnastica andavano bene: avrebbe avuto molto da camminare, preferiva che stesse comoda.

Aki aveva ancora il batticuore e la respirazione accelerata, quando entrò nel camerino di servizio per cambiarsi d'abito e indossare la sua divisa. Decisamente il colloquio più assurdo della storia del mondo: Atem non le aveva chiesto nulla di sue eventuali esperienze pregresse nel mondo del lavoro né del suo (inesistente) curriculum, né aveva tanto meno approfondito la sua origine nobiliare. L'aveva conosciuta per quello che era, individuando sue caratteristiche dai suoi gesti e facendosi dire il resto dai suoi racconti, e l'aveva accettata. Non era stato minimamente interessato alla sua facciata di apparenza né al buon nome della sua famiglia, l'aveva accettata per quello che era e che gli aveva mostrato.
Non sapeva se esserne lusingata o meno.
Terminò di chiudere tutti i bottoni del gilet, prima di osservarsi allo specchio e decidere che sì, non stava affatto male con quegli abiti: erano inevitabilmente adatti ad un uomo, e la camicia bianca si gonfiava troppo in corrispondenza delle braccia, così come ne sentiva l'orlo salire fastidiosamente sul ventre, complice il seno in boccio che non l'aveva aiutata particolarmente con i bottoni. Almeno il gilet aderiva alla perfezione, e nascondeva tutte le pieghe e piegoline create dalla misura non adatta della camicia, ma i pantaloni avrebbero necessitato di un orlo alle gambe: Aki non era esattamente tutta quest'altezza, ma quei pantaloni le sembravano davvero troppo lunghi.

Si sistemò meglio i capelli rossi, dando un certo ordine alle ciocche che le accarezzavano lievemente le spalle, prima di decidersi ad uscire dal camerino e buttarsi nella mischia. L'orologio a parete dava le otto meno quindici, il locale avrebbe aperto di lì a breve.
E già mentre risaliva le scale per tornare nella sala, le sembrava di sentire la frenesia che animava l'intera equipe del Pharaoh's Kingdom nel terminare gli ultimi preparativi. Come aveva ben immaginato, quei sei giovani che l'avevano inizialmente accolta non erano i soli: c'era un intero team di addetti alle pulizie, tecnici per gli impianti elettrici e di illuminazione, un'intera squadra di veloci e prestanti cuochi e tantissime altre persone che, sicuramente, contribuivano alla crescita e alla perfetta resa del Pharaoh's Kingdom, solo erano molto meno...come dire, vistosi. Aki alzò lo sguardo verso la zona delle poltroncine: un ragazzino smilzo e scattante come una donnola, con i folti capelli scuri quasi davanti agli occhi, posizionava i tavolini e le sedute con la precisione millimetrica di un geometra. Poi si voltava verso il suo compagno, un tipetto basso e tarchiato impegnato a ingozzarsi di noccioline, e cominciava a sbuffare ed imprecargli contro, sostenendo che lui e il suo pancione da gestante gli stessero rovinando il lavoro: effettivamente, ad ogni passo il ragazzone urtava qualcosa, spostando inevitabilmente l'arredamento. Lì dove c'era il palco delle esibizioni, un tecnico stava spostando un faretto, sotto lo sguardo attento di una donna in vestaglia con lunghi capelli neri.

Era chiaro, però, che la vera anima del locale fosse proprio Atem e i suoi fidati collaboratori. E Yusei era già lì, in posizione dietro il bancone: stava osservando qualcosa al cellulare, ogni tanto alzava lo sguardo verso i due responsabili dell'arredamento. Si era rivestito di tutto punto, pronto a cominciare la serata; alle sue spalle, i due ragazzi che Atem le aveva presentato come Yuma e Yuya avevano ultimato di sistemare diligentemente le bottiglie sui loro ripiani, bene allineate come soldatini di piombo. Il primo sembrava aver fatto a pugni con il pettine, tanto i capelli gli stavano disordinati e sparati: camminava avanti e indietro per gli scaffali, studiando le etichette e riallineandole in modo che il nome fosse messo bene in evidenza; il secondo, che sembrava invece aver litigato con qualche tintura di troppo, era tutto preso da alcuni esercizi fisici per sciogliere braccia e spalle. Dal lato opposto del bancone, la porta a soffietto si apriva e chiudeva senza sosta, e a uscirne era sempre Judai che, ormai terminato di scaricare la merce, andava a versarsi un bicchiere di qualche alcolico non ben definito prima di ritornare nelle cucine e dare disposizioni ai suoi uomini. Ogni tanto Yusei gli imprecava dietro, sostenendo che stesse facendo troppo rumore, e il castano replicava facendogli il verso.

    -    Fanno sempre così quei due. Ti ci abituerai presto-
A parlare era stato Yugi, prima di porgerle il tablet su cui venivano annotate le ordinazioni. Aki si voltò a guardarlo e lo ringraziò, prendendo l'apparecchio tra le mani. In pochi attimi il giovane le spiegò il suo funzionamento, come selezionare il tavolo, le ordinazioni richieste, e come inviare l'ordine; le indicò poi il monitor che stava in un angolo del bancone, mai notato prima. Le spiegò che era da lì che osservavano, di volta in volta, le ordinazioni, e un simile schermo c'era anche nelle cucine da cui Judai entrava ed usciva come i matti senza casa.
    -    A chi ti riferivi prima?- chiese poi Aki, una volta presa confidenza col palmare – Quando hai detto che fanno sempre così?-
    -    A Yusei e Judai- rispose Yugi, con un'alzata di spalle, la voce bassa e gentile – Si punzecchiano molto, soprattutto quando c'è di mezzo qualche compito ingrato come l'andare a scaricare la merce...ma fondamentalmente si vogliono bene. Hanno solo un modo piuttosto contorto di dimostrarselo, che va dagli improperi alle cannucce tirate negli occhi-
    -    Mi sembravano piuttosto agitati...-
    -    Ma sì, è solo una pagliacciata-
    -    Cos'ha in faccia?-
    -    Oh?-
    -    Il ragazzo al bancone. Yusei. Cos'ha in faccia?-
E accennò con il capo al volto del ragazzo, ancora concentrato sul suo telefono: Aki percorse con lo sguardo la sottile linea dorata che gli attraversava il lato sinistro del volto, dalla linea della mascella fino a sparire sotto l'occhio.
    -    Oh! Quello!- notò Yugi, con una impercettibile punta di sorpresa e di...era disagio, quello nella sua voce?! - Ah beh, una storia lunga-
    -    Mi sembra molto strano anche per essere un semplice tatuaggio-
    -    Non a caso ho detto che è una storia lunga. Ha avuto qualche trascorso difficile, in passato-
    -    ...Cos'è, da bambino voleva un pony ma suo padre non gliel'ha mai comprato, e ora esprime la sua ribellione con segni strani?-
    -    Magari fosse così semplice. È una brutta storia, davvero-

Fu allora che Aki lasciò cadere il discorso, scrollando lievemente le spalle e dimenticandosi velocemente del particolare appena scorto. Non che potesse turbarla parecchio dopo tutto quello che era successo e aveva visto: quella semplice linea sull'occhio era l'ultima cosa che aveva notato, di Yusei. Era più semplice individuare il suo sguardo imperturbabile e diretto, quasi osservasse qualcosa di indistinto in lontananza, sperando che l'oggetto bersaglio della sua attenzione esplodesse.
La sua nuova avventura al Pharaoh's Kingdom si stava svelando ancora più stramba e interessante di quanto avesse previsto.

****


La serata era iniziata in sordina, con la prima clientela che entrava nel locale: Aki aveva così avuto modo di verificare il reale funzionamento del suo tablet, e rompere il ghiaccio con il primo contatto ad un pubblico di terzi. Yugi l'aveva sempre osservata da lontano, accorrendo in suo aiuto quando era più necessario e dandole alcune dritte di tanto in tanto.
La somiglianza con il fratello maggiore era lampante, e non era solo per un discorso di capigliature tremendamente simili: erano anche gli atteggiamenti, i modi di porsi verso gli altri, amici o estranei che fossero, a confermare la loro parentela. La gentilezza che Yugi riservava agli altri, però, partiva da una certa timidezza di fondo, cosa che Atem non sembrava neanche conoscere.

Presto il locale si animò ed entrò nel vivo della serata, e fu subito chiaro il perché Atem avesse deciso di metterla al lavoro con tanta urgenza: i tavoli e le poltroncine si erano riempiti a velocità esponenziale, e anche se erano in due a prendere ordinazioni e correre ai tavoli con vassoi carichi di cocktail, presto anche Atem si era fatto avanti con il suo palmare a dare manforte. Judai veleggiava tra i tavoli con i vassoi carichi di cibo: Aki poteva giurare di averlo visto mettersi in bocca un'oliva ripiena prima di chiudere la porta a soffietto e dirigersi ad uno dei tavoli vicino al palco.
Presto anche le esibizioni presero velocemente il via. Ad animare la serata c'era una compagnia di abili e sensuali danzatrici del ventre, e la musica electro-swing venne quindi rimpiazzata da ritmi orientali e percussioni. Troppo impegnata nel suo nuovo lavoro, Aki non poté ammirare le evoluzioni danzanti delle ballerine, né farsi abbagliare dai lustrini e dalle sete opalescenti, ma lo spettacolo doveva indubbiamente essere notevole, a giudicare dall'unica direzione presa da tutti gli sguardi.

Quando si sedette dietro al bancone per la sua pausa, le gambe le dolevano per il tempo passato a fare avanti e indietro, e gli occhi cominciavano a bruciarle dalla stanchezza. Si passò le mani sul volto, stanca, china sulle ginocchia.
La serata si stava rivelando ancora più faticosa del previsto, e il fatto che mancassero ancora quattro ore alla chiusura non la aiutava di certo a rallegrarsi. Il tempo era letteralmente volato, certo, ma non poteva ancora permettersi di rilassarsi.
Una cosa, però, non poteva negare, ed era che fosse tutto maledettamente più faticoso di quanto credesse. E non avevano neanche parlato del compenso...! L'idea di lavorare per niente le si insinuò nel cervello e le fece contorcere le viscere dalla rabbia. Forse quella serata non contava, in quanto primo turno? Forse era considerata “in prova”?
E se non fosse piaciuta? Se nonostante tutto, Atem avesse deciso che non era tagliata per quel ruolo e l'avesse congedata? Aveva bisogno di soldi, una necessità disperata: la stessa che impediva al suo orgoglio di chiedere aiuto alla sua famiglia, incapace di ammettere le sue difficoltà a chi aveva criticato, fin dal primo momento, la sua scelta.
Forse stava sbagliando tutto e non se n'era ancora accorta.

    -    Tè o caffè?-
Aki alzò di scatto la testa, incerta e sorpresa. Di fronte a lei, accovacciato a terra quasi stesse parlando con un bambino, Yusei la osservava serio in volto, gli occhi blu malcelati dalle ciocche scure. Alle sue spalle, Yuma e Yuya continuavano a preparare cocktail a ritmo di produzione industriale, instancabili aiutanti che osavano troppo con i virtuosismi su bicchieri e bottiglie.
    -    ...Eh?-
Fu tutto quello che Aki riuscì a dire, improvvisamente troppo stanca perfino per capire cosa le avesse detto.
    -    Cosa vuoi, tè o caffè?- chiese di nuovo Yusei, con lo stesso, identico tono usato poco prima.
    -    ...Tè, se non ti spiace-
Senza risponderle, il giovane si alzò, prendendo poi a trafficare con un grosso bricco posizionato su un fornelletto. Massaggiandosi le tempie con movimenti circolari delle dita, gli occhi di Aki si persero a studiare le venature scure delle assi del parquet consumato dai continui passi, prima che il suo campo visivo venisse nuovamente invaso da Yusei e una scatola di legno. Il velluto viola all'interno copriva anche i piccoli divisori, tra cui erano incastrate alcune bustine di té. Dopo una veloce occhiata, Aki allungò le dita e scelse una bustina scarlatta, recante le immagini di quattro frutti rossi.
Con un gesto fluido, dettato più dall'abitudine maturata in campo lavorativo che per una vera attitudine, Yusei chiuse la scatola e si alzò in piedi, tornando quindi di fronte a lei con un bricco di acqua calda dentro cui fece immergere la busta. Lo richiuse e posò sul ripiano immediatamente accanto, tornando ad osservarla.

    -    Fa sempre così- iniziò poi, quasi lei sapesse di chi stesse parlando – Il giorno di prova capita sempre nel fine settimana, di venerdì o preferibilmente il sabato: sono i due giorni di massima affluenza del locale. Già la domenica sera possiamo tirare fiato con più frequenza. Dice di preferire così, vede subito di che pasta sono fatti i nuovi arrivati-
Era chiaro che si stesse riferendo proprio ad Atem. Aki annuì quasi svogliata, in cuor suo aveva già intuito la realtà dei fatti.
    -    E direi che te la stai cavando egregiamente, per essere il tuo primo giorno di lavoro-
    -    Cosa vuoi che sia, spingere un paio di caselle su un tablet...-
    -    Heh, per una volta che stavo facendo l'educato...-
Aki si morse il labbro e non rispose, abbassando gli occhi e distogliendoli dalle iridi blu del capobar. Lui rimase ad osservarla ancora qualche attimo, prima di rialzarsi in piedi; un lieve cozzare di tazze le fece intendere che stava versandole il tè richiesto.
    -    Hai mangiato qualcosa, prima di cominciare?- le chiese poi. La giovane spalancò gli occhi, dandosi della stupida: tanta era stata l'eccitazione e la voglia di iniziare che aveva dimenticato di mangiare, ecco perché si ritrovava completamente senza forze...
    -    A dire il vero no- rispose infatti, con voce flebile.
    -    Immaginavo. Biscotti?-
    -    Magari, grazie-

Finì così a porgerle la tazza di tè e un vassoio pieno di biscotti che Aki poggiò di traverso sulle sue ginocchia. La giovane rimase ad osservarlo in silenzio mentre si rifocillava, bevendo il té a piccoli sorsi e sgranocchiando i biscotti.
Yusei appariva così serio ed imperturbabile, ora, che non sembrava avere nulla a che fare con il ragazzo furente rimasto vergognosamente nudo di qualche ora prima; era anche vero che aveva avuto tutti i motivi validi del mondo per essere così costernato e incollerito, non doveva essere piacevole ritrovarsi coperto da un grembiule e sottoposto ad una penitenza stupida ed infantile...ma chi poteva essere il burlone che aveva architettato un simile scherzo?
Aki rabbrividì: e se fosse stata anche lei tirata in ballo a commettere quelle sciocchezze e cimentarsi in quelle ridicole sfide? Non se ne parlava proprio, di denudarsi di fronte a quelli che erano, fondamentalmente, degli sconosciuti...figuriamoci se erano tutti uomini!

    -    Ascolta...-
La voce di Yusei le fece alzare lo sguardo, scrutando ancora quegli occhi blu che, per qualche motivo, le iniziavano a piacerle. Le sue iridi avevano una bella tonalità, carica e intensa, e sulla sua carnagione ambrata risaltavano ancora di più; peccato che avesse sempre quell'espressione sostenuta...e per quel segno sul volto. La scia dorata scendeva dalla palpebra inferiore fino alla linea decisa della mascella, piegando leggermente un paio di volte e allungandogli la linea dell'occhio con un minuscolo accento dorato proprio vicino al punto di congiunzione delle due palpebre. Aki non sapeva come identificarlo: aveva forse un significato particolare? Yugi aveva detto che c'era una storia dietro quel simbolo, ma a sentirlo parlare non era una vicenda molto simpatica da raccontare: sembrava che non fosse un semplice desiderio di ribellione ai rigidi schemi sociali.
Nel dubbio, Aki decise di seguire la sua buona educazione e non chiedere. Si limitò ad osservarlo mentre si mordicchiava il labbro inferiore, indeciso su quali parole scegliere: stava forse nascondendo anche lui qualche malessere?

    -    Per quanto riguarda quello...scherzo idiota di prima-
Aki annuì, capendo dove volesse andare a parare.
    -    Sono profondamente dispiaciuto di averti messo in una situazione di tale imbarazzo- continuò poi il giovane, passandosi una mano tra i capelli – Ma...penso tu abbia capito che si è trattata della penitenza di un gioco scemo. Spero non te la sia presa troppo...col tempo capirai. Scusami se sono sembrato un po' burbero ma...non è nella mia natura baciare la prima che passa-
    -    ...Immagino. Come credo non sia nella tua natura mostrare a quella stessa persona le tue chiappe nude-
Aki si morse la lingua, dandosi della stupida subito dopo: proprio non poteva tenerla per sé, quell'uscita al vetriolo, eh? Essere simpatica a tutti i costi non era esattamente il suo forte...
Yusei la scrutò per qualche secondo, incerto se aveva capito bene o meno, prima di inarcare un sopracciglio e lasciarsi sfuggire un mezzo sorriso.
    -    Credo tu sia la prima a lamentarsi delle mie chiappe...ma te lo concedo. Potrei aver messo su qualche chiletto, in questo periodo-
E il rossore che le imporporò improvvisamente le guance gli fece scappare una risata dalle labbra.

****



Il locale aveva iniziato a svuotarsi già dopo le due di notte, dopo l'ultimo spettacolo delle ballerine. Il ritmo era rallentato poco a poco, i tavoli vuoti erano aumentati sempre più, finché anche l'ultima coppia non si era dileguata oltre la porta in vetro; il lavoro, però, era tutt'altro che finito: ora che la sala era vuota, era necessario pulire, rassettare, spazzare e sgombrare. Sostituite le note sensuali della musica orientale con dell'allegro, ritmato electro-swing che tanto sembrava piacere a tutti quanti, l'intera troupe del Pharaoh's Kingdom si concentrò nella parte forse più barbosa del loro lavoro, cercando in tutti i modi di rallegrare l'attività come meglio riusciva.
Judai faceva avanti e indietro tra i tavoli e le cucine, e proprio non riusciva a resistere alla tentazione di assaggiare qualcuno degli avanzi. Piluccando cibo qua e là come un uccellino alla ricerca di molliche di pane, infilava poi i piatti in una lavatrice che faceva un gran baccano, a giudicare dall'assordante fischio che Aki udiva dalle porte a soffietto: il ragazzo sembrava entusiasta della qualità delle pietanze, nonostante alcune fossero ormai fredde e molti dolci fossero crollati sotto cucchiaiate troppo poderose, e andava in giro ad invitare i suoi colleghi in diversi assaggi. Yusei seguiva il suo viavai senza sosta con lo sguardo, lavando e asciugando bicchieri e shaker con l'automatismo di chi compieva quel gesto almeno mille volte a notte; si era arrotolato le maniche della camicia fino ai gomiti, e solo allora la rossa aveva potuto notare la testa di drago tatuata sul suo avambraccio destro. Aveva un'espressione diversa ora, molto più rilassata e meno rigida, quasi riusciva ad individuare l'ombra di un lieve sorriso a curvargli le labbra. Forse era l'allegra musica diffusa dagli altoparlanti, o forse era la consapevolezza di essere vicino alla conclusione del suo turno, ma sembrava aver finalmente sciolto la sua rigida postura da barman tutto d'un pezzo, per concedersi qualche minuto di relax in un'attività che conosceva bene. Si permise anche qualche veloce gioco acrobatico con i flute che stava sistemando, lanciandoli in aria e afferrandoli al volo come le palline di un giocoliere. In lontananza, Yuya l'aveva ben osservato, e aveva cercato di replicare i suoi movimenti, usando però un paio di sedie che fecero allontanare Yuma di corsa. Il risultato fu un gran baccano creato dalle sedie che caddero a terra in sordi tonfi, e per poco Judai non finì colpito da una di esse.
Poi Yuma aveva proposto di fare la stessa cosa con le bottiglie, e lì la situazione era velocemente degenerata. Bottiglie vuote di ogni tipo volavano da una parte all'altra della stanza, prontamente afferrate dalle mani di uno dei due giovani barman che si scambiavano spesso posizione, come navigati artisti circensi alle prese con delle clavette. E mentre lei e Yugi sistemavano le poltroncine e spazzavano il pavimento, Atem se ne stava in disparte in un angolo, ad osservare tutto quell'allegro trambusto con un lieve sorriso sul volto, come un amorevole padre che osservava i suoi pargoli fare bordello per casa.

    -    Ehi, smettila di ingozzarti!-
    -    Fatti gli affari tuoi, musone!-
    -    Judai, sei allucinante, giuro-
    -    Ma dai, cosa vuoi che siano! Sono solo assaggini!-
    -    Tieni d'occhio i fianchi-
    -    Oh, lascia stare i miei fianchi tu!-
    -    Guarda che se ti allarghi troppo le ragazze non ti vorranno più!-
    -    Non mi sembra di essere quello che ha problemi con le ragazze, qui!-
    -    Cosa vorresti insinuare?!-
Il bicchiere sfuggì dalle mani di Yusei, e il barman lo mandò a ruzzolare dentro il lavello mentre alzava minacciosamente la mano destra, armata di canovaccio bianco. Aki fece rimbalzare lo sguardo avanti e indietro tra i due, e anche Yuma e Yuya interruppero il loro lancio di bottiglie, affiancandola velocemente. Yugi si lasciò sfuggire un risolino.
    -    Eccoli che cominciano- sussurrò poi – Ora inizia il divertimento-
Aki non sapeva se definire “divertimento” vedere due ragazzi che si scannavano tra di loro a suon di frecciatine e insinuazioni: la crew del Pharaoh's Kingdom aveva standard del tutto inusuali...
    -    Tu sei quello che a 24 anni non sapeva cosa volesse dire la parola “fellatio”!- sbottò Yusei, puntandogli teatralmente contro un indice.
    -    Ma cosa centra adesso?!- si difese Judai, morsicando un dolcetto e rientrando in cucina– E poi dimmi chi è che la chiama così!-
    -    Tutte le persone di un certo livello culturale e capacità di raziocinio!- sbraitò il compagno, a voce alta abbastanza per farsi intendere dal castano.
    -    Ma per favore, lo sai almeno cosa vogliono dire queste parole?-
    -    Non sono io quello duro di comprendonio, qui!-
    -    Senti, o mi spieghi cosa vuol dire “muro di comprensorio” o per me puoi tranquillamente buttarti in una discarica insieme alla tua moto!-
    -    Vuol dire che non capisci un cazzo!-

La porta a soffietto si spalancò nell'esatto momento in cui Yusei schiantò, con un evidente moto di stizza, il canovaccio sul lavello dietro al bancone. Judai si pulì le mani sul grembiule, livido in volto.
    -    E pensi sia colpa mia?! Sei tu che usi parole difficili!- sbottò poi.
    -    Parola difficile?! Fellatio è una parola difficile?!-
    -    Oh per favore, nessuno più la chiama così ormai! Sembra il nome di un cane!-
    -    Termosifone-
    -    Cosa?!-
    -    Niente Judai, visto e considerato che non mi capisci ugualmente, ho appena deciso di comunicare con te attraverso parole a caso. Almeno mi faccio due risate-
    -    ...seriamente?!-
    -    Rastrello-
    -    Io ti strozzo nel sonno-
    -    Bene, direi che può bastare-
La voce di Atem si levò alta e sicura dall'angolo vicino alla porta di vetro, interrompendo la schermaglia tra i due colleghi. Aki lo osservò avanzare con il suo consueto, calmo incedere, lo stesso con il quale le si era presentato: la sua entrata in scena ebbe il potere di far serrare le labbra del giovane chef e del barman, congelandoli nelle loro posizioni.
Impossibile non notare la carica di carisma e autorità che Atem sembrava sprigionare con la sua presenza. Per quanto lo conoscesse relativamente da poco, possedeva tutte le caratteristiche ricercate nei leader: presenza, acume, parlantina sciolta, capacità di organizzazione e di direzione. Quando lui parlava, tutti si chetavano e restavano ad ascoltarlo, pronti a ricevere ordini, disposizioni e consigli per la giornata.
Chissà se anche fuori dalle mura del Pharaoh's Kingdom era così, se anche dopo aver smesso i panni del ristoratore, era e restava il leader incontrastato del gruppo.
    -    Voi due, come mai questi battibecchi?- chiese poi, in tono serafico, gli occhi socchiusi e il sorriso sornione, quasi felino – Mi siete parsi molto agitati da ben prima della sfida a blackjack-
Seguì uno strano silenzio, in cui Yusei e Judai sembrarono parlarsi solo con gli occhi. Lo facevano spesso, scambiandosi cenni e gesti che costituivano un codice solo a loro conosciuto. Atem aveva notato quella loro complicità fin dall'inizio, la stessa di persone che si conoscevano da molto tempo e che non avevano bisogno di parole per intendersi. A loro bastava anche solo un'occhiata per comunicarsi cose come oggi mi sembri particolarmente impedito, smettila di ingozzarti, avrei fatto meglio a restarmene a casa, avresti fatto meglio a restartene a casa, se parli ti ammazzo.
Sapeva perfettamente che, nel momento in cui Yusei e Judai avessero litigato davvero, e per qualcosa di serio, allora sarebbero stati oggetti pesanti quelli a volare misteriosamente per la sala, e non frecciatine e insulti gratuiti.

    -    Allora? Sto aspettando-
    -    ...Abbiamo ripreso a giocare a Smash Bros- borbottò Yusei, il capo basso, con aria quasi colpevole.
Nel silenzio che seguì, solo una domanda balzò in mente ad Aki: cosa diavolo era Smash Bros? Yuma sembrava saperlo, perché scoppiò a ridere quasi qualcuno gli stesse facendo il solletico, andando a coricarsi su una poltroncina e tenendosi la pancia.
    -    Oh. Un picchiaduro che raccoglie più personaggi di universi diversi- notò Atem, con un sorriso e un'alzata di sopracciglio – Ed è questo che ha guastato i vostri rapporti odierni?-
    -    Certo! Perché LUI...- e indicò Judai con un dito, mentre il castano continuava a cacciarsi in bocca dolcetti e pastarelle – Me lo fa ODIARE! Lui e quel suo maledetto Capitan Falcon!-
    -    Ma tappati quella bocca, Ike passodazeroaottantapercentoinunCOLPO! Fai salire un nervoso...!-
    -    Ah IO?! Disse quello che vinceva facile tre su tre!-
    -    Non credo sia colpa mia se tu sei particolarmente scarso e te la cavi con sì e no due personaggi!-
    -    Ma certo, rincara pure! Giuro ti attacco alla moto senza casco e ti faccio correre sul filo dei duecento all'ora in autostrada!-
    -    Come no, fatti sotto!-
    -    Un goccio, prima?-
    -    Volentieri, grazie-

La schermaglia finì così com'era iniziata: d'improvviso, senza una reale ragione se non quella di avere un pretesto per borbottare e scherzare. Aki si passò la lingua sulle labbra, guardando ora Yusei che versava del whisky in un paio di bicchierini, ora Judai che alzava il suo e lo faceva tintinnare contro quello del collega, di nuovo a Yusei che invitava tutti quanti ad un giro e infine Atem, che le sorrideva enigmatico come una sfinge.
Chissà se sapeva cosa le stava passando per la testa.
Dove diavolo era approdata?



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Io almeno lo so dove sono finita! Su una nuova sezione che non avrei mai pensato di toccare nell'arco della mia pseudo-carriera di fanwriter!
Perché intendiamoci, ragazzi: io non ho mai giocato a Yu-Gi-Oh! nell'arco di tutta la mia vita. Né visto l'anime o letto le varie trasposizioni manga. Questo almeno fino a qualche mese fa, quando il ricovero ospedaliero e il lungo periodo di fisioterapia non mi hanno lasciata piena di tempo libero da usare per recuperare un altro tassello della mia infanzia. Tassello volutamente scartato all'epoca, lo ammetto, perché l'idea di un pensiero così buonista e bimbo come quello del "cuore delle carte" mi faceva girare le balle già da ragazzina.
Senonché mie conoscenze hanno avuto il coraggio (e il buon cuore) di aprirmi gli occhi su questa serie, e mettermi al corrente dell'atroce sfilettatura che questa ha subito dalla censura (soprattutto tutto quello che riguarda Duel Monster...non si è salvato praticamente NIENTE...ma anche GX a quel che so): e a quel punto, conscia del fatto che una cosa come il cuore delle carte non è MAI esistita in tutta la serie, nominata forse una volta in tutte le 200+ puntate; una volta compreso che quello che appare come un innocuo gioco di carte per ragazzini altro non è che un'arma di distruzione di massa, che per carità non mettetela in mano a Kim altrimenti altro che missili nucleari; appreso che tutta la storia in sé, soprattutto la serie 0, mai arrivata in Italia né in America PER OVVI MOTIVI, è molto più oscura e cupa e violenta di quanto non appaia al primo sguardo...beh, mettendo insieme tutto questo ho detto "massì dài, diamoglielo un tentativo".

Me misera. Me tapina. Mi sono letteralmente infognata in un fandom dal quale non so quando, come e soprattutto SE uscirò.
E cosa succede quando io sprofondo in fandom di varia natura? Semplice, ci immagino storie alternative sopra! In alcuni casi le scrivo direttamente.
Questo è uno di quei casi. Una AU scritta davvero di getto, iniziata col semplice intento di far prendere ossigeno al mio cervello e alla mia vena creativa con qualcosa di nuovo: una storia che inizialmente non aveva altro motivo di esistere se non
questo, fare da valvola di sfogo.
Come tutte le storie, alla fine la valvola di sfogo si è trasformata in un gigantesco sfiatatoio.

A questo punto è doveroso fare qualche precisazione. Chi già ha letto qualcosa di mio sa che ADORO farcire ogni capitolo con qualcosa a cui fare riferimento e analizzare per bene, il che si traduce in note post-capitolo lunghe quanto il capitolo stesso, a volte.

Come avrete capito si tratta di un'AU che di AU ha poco, alla fine dei conti: i personaggi sono gli stessi, l'ambientazione anche, ma di Duel Monsters non se ne sente parlare neanche un po'. Mai esistito in questo mondo, che ho immaginato come una via di mezzo tra quello originale delle serie e quello odierno in cui siamo relegati noi miseri mortali. I nostri impavidi duellanti non si sfidano più a carte ed evocazioni, ma a portate culinarie e volteggi di bottiglie, in un locale che farà da principale sfondo alle vicende. Tutti i protagonisti insieme, a condividere lo stesso tetto! Lavorativamente parlando.
Come accennato nell'introduzione, potrebbe capitare l'occasione in cui i personaggi potranno risultare OOC. Finora ho maneggiato solo scanzonati cacciatori di demoni che hanno fatto del trash un loro dogma, ho bisogno di tempo per abituarmi a viaggiare su linee diverse. Farò del mio meglio per restare fedele alla loro immagine, e sicuramente cercherò di arricchirla con altri dettagli che trovo su di loro indicati; forse sarà proprio per questo che in qualche occasione potrei sfiorare l'OOC. Farò del mio meglio, lo prometto!

In questo locale dall'aspetto un po' glamour un po' esotico ognuno ha il suo ruolo. E sebbene non siano solo i cinque impavidi duellanti  ad animarlo, ma tutta un'equipe di cuochi, addetti alle pulizie, luci e altro, sarà su di loro che i riflettori saranno puntati. Con il tempo appariranno altri personaggi ad animare tutto il cosmo che ruota attorno al locale: non prometto di farli apparire
tutti tutti...ma quasi.

Ora vi chiederete: perché un locale? Un lounge bar, perché? Ambientazione audace chiaro, ma perché? 
L'idea di far muoverei dei personaggi all'interno di un locale mi ha sempre attratta per qualche misterioso motivo, e stavolta non ho proprio resistito. Mi piace l'idea di poter osservare, da lontano e con discrezione, delle persone intente a fare altro; magari anche fantasticare sulle loro vite al di fuori di quella serata di svago che si concedono.
Nella vita reale lavoro in un call center, in una postazione di 1x1 e con alti divisori a schermarmi dagli sguardi dei colleghi. Forse la mia curiosità nasce da questo.

Atem e Yugi sono qui raffigurati rispettivamente come fratello maggiore e minore: lo ammetto, una scorciatoia prevedibilissima per spicciarmi, in maniera più ragionevole e plausibile possibile, la questione del rapporto in simbiosi tra i due, oltre alla sconcertante somiglianza. No, quello che Yugi ha al collo non è il Puzzle del Millennio! xD ma il riferimento ad esso è molto chiaro. Enigmatico e sornione uno, gentile e a volte fin troppo disincantato l'altro: Atem DOVEVA essere il capo dell'intera combriccola.
Poi, in un locale che si chiama Pharaoh's Kingdom era anche palese.

Judai e Yusei, la Starshipping! Sul serio, la quantità di ship di 'sto fandom è imbarazzante, io manco me le ricordo tutte. Non serviranno tutte comunque, e sicuro non si parlerà di Starshipping. Non nel mondo in cui immaginate comunque. I due interagiranno spesso, SPESSISSIMO. Sappiatelo. E in maniera che non ha nulla da invidiare con le serie di Yu-Gi-Oh! The Abridged su Youtube. Questi due hanno richiamato autonomamente un simile rapporto, considerato quanto sono agli antipodi: uno è schietto e allegro e sempre in movimento che quasi vorresti strozzarlo nel sonno, e l'altro è perennemente imbronciato e serio ai limiti del sopportabile, a volte. Chi però diceva che gli opposti si attraggono ci ha azzeccato, direi.

Yuma e Yuya, i due Yu al bancone. Ci ho messo un po' per farmi andare Zexal giù, lo ammetto, ma lo sto studicchiando seriamente e ammetto che offre degli spunti molto interessanti! Oltre alle capigliature più improbabili di tutte le serie, credo. Yuma ha molto potenziale, finché non lo sento parlare con l'audio americano: in quel caso ho solo voglia di piazzare un esplosivo nelle fondamenta della sede della 4Kids e congratularli CALOROSAMENTE dell'infelice scelta fatta in sala di doppiaggio.
Ma ARC-V...ammetto che è stato con il primo episodio di questa serie che sono ufficialmente entrata in questo loop di carte, evocazioni e dimensioni e OMMIODDIO. Perché un ragazzino con i capelli a semaforo che cavalca un ippopotamo rosa con la coda a cuoricino BASTA, per far risvegliare in me quella curiosità morbosa che mi fa dire "andiamo avanti, ne voglio ancora!".
Anche per loro il posto dietro al bancone era già bello indicato con una gigantesca freccia lampeggiante. Il primo così energico che non riesci a stargli dietro, e il secondo che ha fatto dello spettacolo e il divertimento il suo marchio di fabbrica!
Non credo sia necessario spiegarvi il perché di "occhi diversi": chiarissimo riferimento a Drago Pendulum Occhi Diversi, carta principale del suo deck Artistamico. Che la prima volta l'ho chiamato Antistaminico e il mio fidanzato sta ancora ridendo ma vabbé.

Aki Izayoi, aaaaah, e qui si scoperchiano tutti i vasi, tutti i forzieri, lo scrigno di Pandora! Tra i cinque, il suo Rosa Nera è il mio preferito e per ovvi motivi, anche se se la gioca alla pari con Polvere di Stelle. E lei stessa, come personaggio, è di una personalità così articolata e misteriosa che non puoi fare a meno di chiederti quanto sia effettivamente nascosto, in lei. Come il più bel bocciolo di rosa nascosto dal roveto più grande e spinoso del mondo. Bella, ostinata e psicopatica abbastanza da piacermi. La storia tratterà da vicino anche la sua crescita e il suo fiorire, tra le altre cose.

Ebbene...questo è il primo capito di un vero e proprio viaggio nella follia. Per me almeno. La storia è nata quasi per caso, dopo un lungo periodo di degenza in ospedale. Avevo bisogno di qualcosa che risvegliasse in me il desiderio di scrivere e la voglia di mettermi in gioco, oltre che di uscire dai miei tradizionali schemi di atmosfere cupe, sevizie mentali budelli infernali. Un vero e proprio modo per "staccare la spina" e mettere il cervello a riposo.
Spero di non avervi annoiati. Spero di non annoiarvi neanche in seguito, qualora decideste di seguire questa storia. In ogni caso, sappiate che ogni commento sarà ben accetto! Recensione, MP, gufo postino, olocron Sith, Strillettera, quello che vi pare. Anche dei vintage segnali di fumo stile Apaches sul piede di guerra.
O anche una carta. Lanciata di taglio. Non Cilindro Magico, a meno che non vogliate conoscere la mia collezione di improperi ed insulsi.

Ci si rilegge presto (spero)!
92Rosaspina.

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Capitolo 2
*** 2.Cartomanzia e trasmutazioni ***


 



2.Cartomanzia e trasmutazioni

Le previsioni sono estremamente difficili. Specialmente sul futuro.
Niels Bohr





Uno dei lati positivi del lavorare con orari notturni era che aveva solo il letto ad attenderlo per qualche ora di ristoratrice sonno. Yuya si era abituato presto a quella nuova vita nel crepuscolo: si trovava bene, nei panni di una creatura della notte.
Detta così sembrava quasi si definisse un vampiro, ma il paragone era piuttosto azzeccato: lavorava di notte e dormiva di giorno, come le creature succhiasangue che, negli ultimi tempi, avevano sovrappopolato i libri pseudo-romantici per adolescenti che lui si divertiva tanto a ridicolizzare e leggere solo per poterli criticare meglio.
Era proprio quando il sole spariva oltre l'orizzonte e lasciava posto al disco argentato, che aveva sempre trovato nuove energie per le sue attività. Quando studiava ancora, gli risultava impossibile concentrarsi sui libri con la luce del giorno: la cosa faceva impazzire quella povera donna di sua madre, che non riusciva a trovare una spiegazione sensata alle abitudini notturne del figlio.

Quando pensava a lei, Yuya la ricordava con gioia e con un pizzico di nostalgia: se n'era andato presto dalla casa, appena terminati gli studi superiori, desideroso di trovare una direzione al suo percorso. E lei l'aveva lasciato andare senza fare storie, aiutandolo perfino a trovare casa altrove e inviandogli, ogni mese, un grosso pacco con provviste alimentari di ogni genere. Più volte il giovane le aveva detto di lasciar perdere e risparmiare quei soldi, che lui era in grado di fare la spesa da solo, ma i pacchi continuavano ad arrivare lo stesso e a cadenza mensile.
Le aveva parlato del suo lavoro, la donna ne era stata entusiasta: le piaceva l'idea che suo figlio fosse sempre a contatto con altre persone, e che facesse qualcosa che lo entusiasmasse e divertisse. Era sempre stato così, alla ricerca quasi disperata di allegria e sorrisi, e bisognoso di fonti di divertimento che lo facessero sentire...vivo.
Era così da molto tempo ormai.

    -    Ehi, non dirmi che vuoi piantare le radici qui!-
Yuya alzò lo sguardo da qualsiasi cosa trovasse di molto interessante sul bancone, prima di far entrare Yuma nel suo campo visivo. Il collega si era già cambiato d'abito, ripiegando su vestiti più comodi e che gli conferissero molta più libertà di movimento di un gilet e delle maniche strette di una camicia; lo osservava con aria curiosa, gli occhi che lo scrutavano come alla ricerca di un malanno.
    -    No, figurati...stavo solo pensando- rispose Yuya, scuotendo debolmente il capo.
    -    Aaaah, chissà cosa sta frullando in quella tua testolina, Yu...torniamo a casa insieme? Ti serve ancora il passaggio?-
    -    Magari, grazie-
    -    Ma cos'è successo alla motocicletta?-
    -    Rotta una pinza del freno. E per fortuna me ne sono accorto prima di uscire di casa. Lunedì riposo, credo ci metterò sopra le mani per allora-
    -    Diavolo, bella rottura-
    -    Dillo a me, ho fatto il passaggio di proprietà la settimana scorsa...vado a cambiarmi, ci metto un secondo-

Aggirò con velocità il bancone, prima di scendere le scale che portavano ai camerini. Lì l'atmosfera era leggermente più fredda e, in qualche modo triste, priva della vita che caratterizzava invece l'immensa sala del Pharaoh's Kingdom. E tuttavia non era il caso di dire che quei locali fossero male attrezzati: lo stanzone era dotata di ogni comfort possibile, dagli armadietti in perfetto ordine e tenuta a morbidi divanetti su cui passare qualche minuto di pausa, perfino quattro cabine doccia vere, separate l'una dall'altra, e una piccola asse da stiro, corredata da ferro e un piccolo kit di cucito per riparazioni last-minute. Non c'era che dire, tutti i dipendenti del Pharaoh's Kingdom erano trattati davvero bene, molto più di qualsiasi altro locale normale.
Aveva prestato servizio in altri locali, prima di approdare nei paraggi del Pharaoh's, facendo esperienza nel campo della ristorazione e apprendendo i segreti del Flair Bartending. Gli riusciva bene destreggiarsi con bottiglie e bicchieri, lanciandoli e riprendendoli al volo mentre preparava cocktail e bevande di ogni tipo, e alla clientela piaceva assistere alle sue evoluzioni; piaceva un po' meno ai suoi precedenti datori di lavoro, che sostenevano che tutti quegli inutili giochetti rubassero tempo prezioso. Neanche a dirlo, quelle parole gli entravano in un orecchio e venivano sparate fuori dall'altro, senza minimamente intaccare le sue intenzioni o azioni; era stato così che era approdato in diversi bar di Nuova Domino, ed era così che aveva conosciuto Atem.
Neanche a dirlo, il padrone di casa del Pharaoh's Kingdom era invece rimasto estasiato dalla sua vena acrobatica. In un sabato sera di “collaudo”, affollato e rumoroso, Yuya Sakaki non si era lasciato intimorire dalla numerosa clientela altolocata e aveva portato avanti il suo lavoro, con un allegro sorriso sul volto e gli occhi scintillanti dal divertimento: fin dai primi minuti di lavoro, Atem non aveva avuto dubbi, e l'aveva affiancato a Yuma e Yusei, per dar loro manforte dietro il bancone.
Con Yuma formava un buffo duetto che ben si coordinava con i lanci e le acrobazie, anche se non erano mancati gli incidenti dovuti alla loro voglia di strafare e osare: si era perso il conto dei bicchieri rotti e degli shaker sostituiti perché visibilmente ammaccati. Yusei li trattava entrambi come due fratellini, e restava a guardare le loro evoluzioni con fare quasi amorevole, almeno finché le bottiglie non volavano troppo vicino alla sua testa: in quel caso non si faceva scrupoli a richiamarli all'ordine con qualche strillone.

Entrare nel Pharaoh's Kingdom era stata la fortuna di Yuya. Aveva trovato la personificazione del concetto di “seconda famiglia”, e aveva rimediato, seppur in parte, al vuoto che sentiva dentro.
Certe cose non si dimenticavano facilmente. A volte non si dimenticavano affatto.
    -    Yuya? Hai fatto?!-
    -    Arrivo, arrivo!-
Chiuse l'armadietto con uno scatto secco del lucchetto, prima di risalire di corsa le scale pur di non far indispettire il suo collega e amico. Yuma era già con un piede oltre la porta di vetro, mentre giocherellava con le chiavi della sua coupé.

La prima volta che l'aveva conosciuto aveva ipotizzato che avesse preso qualche scarica elettrica da bambino, e non era solo per l'improbabilità con cui la sua chioma se ne stava su: era davvero energico e attivo, forse troppo perfino per i suoi stessi standard. L'iperattività di Yuya era ben incanalata in un fine: metteva anima e corpo nel suo lavoro, se l'era cercato quasi, un modo come un altro per tenere il cervello occupato e non rimuginare troppo sul passato. Yuma, invece, ricordava un petardo acceso chiuso dentro un armadio: piccolo, ma capace di fare un gran casino. Tutta la sua energia non sembrava aver direzione, cacciandolo spesso in guai e facendogli commettere errori di valutazione che costavano caro in termini di lanci di bottiglie, parcheggi con l'auto e tante piccole quotidianità.
Lo trovava piacevole da avere intorno: dove arrivava lui, arrivava anche una grossa ventata di allegria. Il fatto era che stargli dietro, a lungo andare, diventava davvero difficile.
    -    Okay, andiamo-
    -    Forza! Non sto facendo altro che sognare il letto! Ragazzi, che sabato sera! Uno dei più intensi dell'ultimo periodo! Ehi, che ne pensi?-
    -    Di cosa?...O chi?-
    -    Che domande, della ragazza nuova!-
   -    E glielo disse con tono sufficiente, quasi fosse la cosa più normale del mondo chiedere opinioni su una collega appena arrivata; e magari lo era davvero, ma sul momento Yuya non riusciva a realizzarlo, forse troppo stanco.
    -    Non mi è sembrata male- disse poi, mentre salivano le scale – Anche se non so cosa ci faccia, una come lei, a fare la cameriera-
    -    Eh? Perché?-
    -    Ma dai, l'hai vista bene?! Quella ragazza sarà figlia di qualcuno importante!-
    -    Eeee da cosa lo evinci?-
    -    Ha un portamento diverso da tutte le ragazze finora incontrate, e tutti gli abiti che indossavano non costano certo poco! Fidati, me ne intendo un pochino, e quelli non sono vestiti che potrebbe permettersi una provincialotta-
    -    Non mi intendo di moda, ma ti prendo di parola. Anche se non mi ha dato l'impressione della nobile. Troppo...troppo umile-
    -    Dici?-
    -    Quale principessina viziata si metterebbe a segnare ordinazioni in un locale?-
    -    Lo dici tu che è una principessa! Magari è una ragazza come tutte le altre. Magari non fa affidamento solo sul nome della sua famiglia-

Usciti dal Pharaoh's Kingdom, il mattino li accolse...con l'oro in bocca, era il caso di dirlo. Il sole era ormai sorto, stagliandosi in lontananza come un gigantesco globo di fuoco sparato in direzione dell'orizzonte, tingendo di scie arancioni il cielo che ormai andava a schiarirsi.
Un altro dei lati positivi di quel lavoro era proprio questo: entrare nel locale che il sole ormai tramontava, e uscire che si levava alto nel cielo. E ora che stava arrivando l'estate, sarebbe stato ancora più facile vederlo sorgere. Yuya trovava un che di poetico, nel modo in cui il sole e la luna si scambiavano giornalmente il loro trono: erano presenti entrambe nel cielo, eppure una si nascondeva quando l'altro si svelava, come due amanti perduti che non volevano incontrarsi ancora. L'immagine della luna, scintillante nel suo abito di luce argentea e immersa nel mare nero del cielo, aveva da sempre suscitato immagini poetiche e romantiche in poeti e artisti; lui, che non si riteneva affatto un poeta ma si sentiva un poco artista, la vedeva più come un gigantesco faro nella notte, che illuminava le acrobazie con cui stava costruendo la sua strada.
Tuttavia, vedere il sole sorgere al mattino di ogni nuovo giorno era sempre un piacere. Un simbolo di speranza, un nuovo inizio.
    -    E Alexis è stata tra i grandi assenti, questa volta- notò Yuma, una volta salito in auto e avviato il motore. Yuya rimase ad osservare per qualche secondo il quadro elettrico riempirsi di luci, prima di realizzare cosa il suo amico avesse detto.
    -    Non è venuta? Non me ne sono reso conto- rispose poi, allacciandosi la cintura e sistemandosi meglio sul sedile – Avrà avuto da fare-
    -    Peccato, quando c'è lei intorno mi diverto di più!-
    -    A te piace solo punzecchiarla-
    -    Che male c'è? Sono cose che si dicono! Ehi, ma secondo te Judai se n'è accorto?-
    -    Di Alexis? Oh ti prego, è così palese...!-
    -    Ti ricordo che stiamo parlando di Judai...-
    -    Esatto! Proprio perché stiamo parlando di lui! Andiamo, hai visto come Alex gli va dietro? Se ne accorgerebbe anche un cieco...-
Alexis Rhodes era sempre stata una presenza fissa nel Pharaoh's Kingdom: il sabato sera era facile individuarla seduta ad un tavolo singolo, ad osservare con poco interesse le esibizioni dei corpi di ballo e a spizzicare dolcetti qua e là. Una delle poche, se non l'unica persona che Judai serviva personalmente, in nome della loro vecchia, duratura amicizia fin dai tempi della scuola. I due restavano spesso a parlare insieme del più e meno, Yuma gli dava spesso di gomito per indicarglieli: sembravano divertirsi davvero tanto insieme, ridevano e scherzavano, guardavano video stupidi di gattini arruffati sul cellulare di lei e Alexis sembrava davvero presa dal ragazzo. I suoi occhi chiari si illuminavano ogni volta che posava lo sguardo su di lui, e i suoi tentativi di avvicinamento erano così palesi, che solo un tordo o, davvero, un cieco avrebbe potuto ignorarli.
Judai non era cieco, ma sembrava davvero fosse duro di comprendonio, come tanto decantato quella sera da Yusei. Eppure tutti i membri del team del Pharaoh's concordavano che la loro fosse davvero una bella coppia, dove lei, così diligente e responsabile, sopperiva alle mancanze idiote dell'altro.

    -    Io ho timore che, prima che Judai se ne accorga, Alexis possa mollare la presa- riprese Yuma, rallentando nel traffico – E sarebbe un peccato. Per entrambi, intendo-
    -    Ehi, e da quando ti intendi di relazioni sentimentali tu?- domandò Yuya, lievemente stupito.
    -    Cos'è, pensavi davvero che fossi ferrato solo in materia di videogiochi?-
No di certo, avrebbe voluto rispondere Yuya, ma decise di lasciar perdere, puntando gli occhi sulla colonna di auto di fronte a loro.
Uno dei lati negativi dell'avere un lavoro notturno, visto che si parlava precedentemente di pregi, era quello che, una volta usciti dal locale, ci si ritrovava imbottigliati nel traffico mattutino creato da chi aveva turni di lavoro ad orari convenzionali: i letti aspettavano sempre più del dovuto per ricongiungersi ai loro assonnati proprietari. Ed era proprio in quei momenti che la stanchezza si faceva sentire. Risaliva di colpo, intorpidendo sensi e membra, rendendo le palpebre pesanti e calanti sulla vista offuscata dalle luci soffuse del locale. L'adrenalina dell'attività notturna scemava tutta insieme nell'esatto momento in cui ci si posava sul sedile di un auto; almeno il muoversi in motocicletta ti costringeva a restare lucido e attento mentre svincolavi nel traffico, tra le auto che procedevano a passo d'uomo.
Uno dei tanti motivi per cui Yuya preferiva una due ruote stava proprio nella sua agilità e velocità: uno come lui odiava stare fermo troppo tempo nello stesso punto, doveva necessariamente muoversi per dare sfogo alle sue energie, e il traffico cittadino era una di quelle cose che metteva a dura prova il suo sistema nervoso. Farsi accompagnare in auto era molto più comodo, ma anche più dispendioso in fatto di tempistica, oltre che più impegnativo dal punto di vista della pazienza.

Mentre il sole si alzava ancora, e le strade si popolavano lentamente dei primi lavoratori e le prime serrande si sollevavano, i due colleghi del Pharaoh's Kingdom fecero di tutto per mantenersi relativamente lucidi: mantennero lo stereo acceso su un notiziario mattutino a commentare le ultime novità del mondo, qualche discorso sconclusionato sulla politica tanto per non parlare delle condizioni meteo, commenti sui nuovi successi rock passati in radio, considerazioni sulla serata lavorativa appena trascorsa; Yusei ha davvero tutte quelle cicatrici, non l'avrei mai detto anche se so che ha avuto un passato turbolento, Aki è comunque davvero carina, ha anche un bel colore di capelli! Ho dimenticato di chiedere quale versione di Smash Bros hanno, Yusei e Judai, ehi perché non organizziamo una serata a tema videogiochi a casa mia, chiamiamo tutti, Aki compresa! Non so quanto Atem sia interessato a queste cose, Yugi sicuro...sì, figurati, dove va Yugi sta' sicuro che ci sarà il suo fratellone a fargli da ombra! Ma quand'è che freghiamo le chiavi a Yusei e ci facciamo un giro sulla sua fantastica moto? Non posso mica, è di cilindrata troppo grande per me, e poi non la sfiorerei neanche con un dito! Mi fa quasi paura e Yusei ha un attaccamento morboso per quella moto, se scoprisse qualcosa fuori posto andrebbe su tutte le furie.

E mentre scendeva dalla coupé di Yuma e lo salutava agitando il braccio, osservandolo allontanarsi con un rombo della marmitta messa non proprio benissimo, Yuya restò ad osservare il fondo della strada privo di interesse.

Sempre così quando si allontanava dalla sua seconda casa, dalla sua famiglia acquisita. Tutta la gioia accumulata in otto, a volte dieci ore di lavoro, se ne andava con i raggi del sole, insieme alle forze e alla prontezza di riflessi. Il come questo fosse possibile, ancora doveva trovare un valido motivo per spiegarselo.
Entrò nel palazzo, imboccò subito l'ascensore e spinse il bottone per il quinto piano: con le gambe così intorpidite non se ne parlava neanche, di salire le scale. Era stanco, e aveva davvero troppo sonno per salire più di tre gradini senza sbatterci il grugno contro. Si diede un'occhiata allo specchio verticale all'interno della cabina: i capelli verdi e rossi, arruffati e spettinati dalla foga del lavoro, erano umidicci di sudore. Allungò una mano e abbassò gli occhialetti, lasciandoseli a mo' di collana, prima di stropicciarsi gli occhi con foga.
Era stanco. Profondamente stanco e triste. E come un bravo menestrello di corte continuava la sua farsa, allietando il suo pubblico e riguardando poco sé stesso: la sua testa era un turbine di pensieri che sceglieva volutamente di tenere all'oscuro degli altri, chissà perché poi. Sapeva di poter contare su di loro, su quei cinque compagni che l'avevano accolto nel team a braccia aperte e l'avevano fatto sentire a casa per la prima volta da sei anni.
Era forse destino dei pagliacci e dei giocolieri, quello di portare allegria e sorrisi pur di negarli a sé stessi? Yuya sbuffò affranto e posò la fronte sul freddo pannello dell'ascensore.
Non vedeva l'ora di tornare a lavorare.



    -    Fantastico. Guarda qui che cosa abbiamo...-
    -    Cos'è quella roba?!-
    -    La bolletta della linea internet. Questa è tutta tua-
    -    Eh? E perché?!-
    -    Perché sei tu quello che scarica dai torrent senza alcun limite, sei tu quello che sfora le soglie di navigazione web-
    -    Come se tu non contribuissi con le tue sitcom!-
    -    Questo mese l'ho passato in garage se ben ricordi, quando mai ho avuto modo di scaricare qualcosa?-
    -    Oooh, e va bene! Hai almeno sistemato quel trabiccolo o no?-
    -    No, e sto impazzendo. Non riesco a trovare una mappatura, per la centralina, che mi soddisfi-
    -    Dipende da quello che cerchi, immagino...-
Yusei scosse il capo, consegnando al compagno la busta da lettere e chiudendo la cassetta della posta. L'ingresso del condominio risuonava dei loro passi stanchi mentre risalivano le scale fino al primo piano, senza neanche degnare di uno sguardo l'ascensore: due strisce di nastro giallo e nero ne sbarravano l'accesso, a testimoniare che fosse ancora rotto da tre mesi almeno.
Anche perché, a dire di Judai, prendere l'ascensore per evitare una scemissima rampa di scale era da disadattati sociali. E pigroni cronici. E sebbene Yusei fosse tutt'altro che pigro, a volte non aveva disdegnato di chiudersi nella cabina d'acciaio: un modo come un altro per riposare le gambe rese stanche da un'ennesima serata passata in piedi.
    -    Serata molto fruttuosa!- esclamò Judai, passandosi una mano tra i folti capelli castani – C'è stato di che divertirsi!-
    -    Certo, peccato fosse tutto divertimento alle mie spalle...- borbottò Yusei, infilando le chiavi nella serratura.
   -    Ah dai, non te la sarai presa davvero?! Alla fine sono io quello che ha faticato a scaricare! Dio, che male alla schiena...non potremmo chiedere ad Atem di assumere qualcuno che sbrighi questa rogna?-
    -    Non l'hai chiesto davvero, vero?!-
    -    E perché no?! Di certo non gli mancano, i fondi...-
    -    Judai, è di Atem che stiamo parlando-
    -    E quindi?-
    -    E quindi sai com'è fatto. Gli piace...giocare con noi-

E lo disse con un brivido che gli scosse la schiena, mentre spalancava l'ingresso e lasciava entrare il castano per primo.
Il carisma di Atem era tale da spingere chiunque gli fosse intorno a seguire lui e le sue idee: e la cosa, se da un lato poteva essere ammirevole, dall'altro la trovava inquietante. Ammirevole, perché chi non restava affascinato, ammaliato dalla sua sicurezza e il suo savoir-faire in ogni situazione? Qualunque cosa gli succedesse intorno, Atem era capace di mantenere quel  distacco necessario che gli permetteva di valutare ogni cosa con freddezza e lucidità: nulla sembrava scalfire la sua sicurezza, e se qualcosa era davvero in grado di turbare il suo animo lo nascondeva davvero bene.
Nulla impediva a Yusei, però, di pensare che la mente organizzatrice del Pharaoh's Kingdom approfittasse, anche solo un po', di quella sua brillantezza intellettuale: Atem era uno stratega e un conquistatore della folla e lo sapeva, e probabilmente...anzi, sicuramente faceva leva su questo per ingraziarsi i favori di chi gli stava intorno.
E la cosa strabiliante era che non aveva mai deluso le aspettative di nessuno, anzi: era spesso andato controcorrente con le sue decisioni e le sue intuizioni, salvo poi godersi le facce stupite di chi non credeva ai suoi successi. Aveva tirato su il Pharaoh's Kingdom dal nulla, e l'aveva reso il polo di attrazione della clientela più altolocata di Nuova Domino.

Eppure c'era qualcosa che gli sfuggiva.

    -    Pensi quindi che lo faccia di proposito?- chiese Judai, lasciando la giacca sul vecchio appendiabiti dietro l'ingresso e spalancando la bocca in uno sbadiglio allucinante – Che lo faccia per un suo divertimento?-
    -    Se la cosa non lo divertisse a sufficienza, penso non ci sprecherebbe sopra tempo prezioso- rispose Yusei, defilandosi in cucina e spalancando il frigorifero – Vuoi qualcosa?-
    -    Voglio solo il letto adesso. Vado a coricarmi-
    -    A più tardi-
Rimase ad ascoltare il suono dei suoi passi strascicati sul pavimento, prima di concedersi un sorso d'acqua fresca, lo sguardo perso a studiare la cucina tutt'intorno.
L' appartamento che si erano ritrovati a condividere era, in origine, appartenuto ad un vecchio pensionato che la famiglia aveva preferito rinchiudere in una casa di cura, complice la sindrome di Alzheimer che sembrava avergli azzerato tutte le memorie acquisite fino a dieci anni prima. La cosa, seppur non lo ammetteva direttamente, terrorizzava Yusei: l'idea di perdere gradualmente lucidità e ricordi, fino a rendere la sua testa un vecchio disco rotto fermo a tanti anni prima, lo destabilizzava ed inquietava.
C'erano tante cose che voleva dimenticare, era vero, ma non voleva che a sparire dalla sua mente fossero proprio i ricordi degli ultimi anni.

E sapeva che a parlarne e pensarci adesso, era da suonati come campane: era giovane, un ventiquattrenne nel pieno del vigore e nelle forze, aveva commesso degli errori ma stava anche lavorando sodo per porre loro rimedio. Avrebbe dovuto concentrarsi su questo, sul mettere a posto quell'incasinatissimo puzzle che era stata, finora, la sua esistenza, non arrovellarsi e restare sveglio la notte intera pensando a terribili patologie mentali.
Chissà se Judai ci pensava, alla possibilità di invecchiare e dimenticare tutto quello che era stato. Una parte di sé scommetteva di no: quel ragazzo era permeato di fin troppa positività per lambiccarsi il cervello su simili questioni. Un concentrato di bontà e generosità autentici, mitigati solo dalla faciloneria con cui affrontava alcune cose e la mancanza di spirito di osservazione in altre.
In cuor suo, non poteva sperare di trovare miglior coinquilino. Magari, se fosse stato meno bravo ai videogiochi...
Posò il bicchiere nel lavello, cercando un po' di spazio tra i piatti lasciati dal pranzo del giorno prima. Dovevano decidersi a metterli a posto: magari una volta svegli, dopo il pasto pomeridiano.
Fuori dalla porta-finestra, le piantine sul balconcino erano tutte rivolte al sole ormai sorto.



Il suo ufficio rievocava la lussureggiante vegetazione di un'oasi del deserto, o almeno era così che Aki Izayoi l'aveva descritto una volta entrata al suo interno, il pomeriggio precedente. Atem aveva sorriso, sinceramente compiaciuto del paragone.
Ogni varietà di kentia e potus esistente in commercio era stata racchiusa in quella stanza, illuminata dalla gigantesca vetrata alle sue spalle che lasciava entrare quanta più luce de sole possibile. Gli scaffali in scuro legno di tek, alla destra della sua scrivania, contenenti volumi sull'Egitto e riproduzioni delle sue divinità, avevano molto incuriosito la ragazza dai capelli rossi che aveva deciso di assumere come seconda cameriera in sala. Alla sua sinistra, seminascosto dalle fronde a foglie lunghe della kentia più grande, Yugi si era lasciato momentaneamente cullare dalle braccia di Morfeo, seduto a braccia conserte sul divano in pelle scura. Il lieve tremolio delle palpebre, e il respiro regolare e ritmato, gli fecero però capire che era tutt'ora vigile: stava solo facendo riposare gli occhi dopo una serata passata ad osservare lo schermo di un palmare.
Il silenzio che regnava in quell'ufficio era frammentato solo dal ticchettio dell'orologio a parete, sospeso a qualche centimetro di altezza dalla porta. Con noncuranza quasi studiata, Atem fece scivolare una mano in basso, aprendo con delicatezza un cassetto della sua scrivania e mettendo mano ad una piccola scatola: le linee dorate si intrecciavano sul legno scuro, l'occhio di Ra lo osservava benevolo e guardingo mentre i due scarabei riposavano immobili sui fianchi del minuscolo forziere. Fece scattare la chiusura cesellata in forma di Ankh, svelando il mazzo di tarocchi egizi che giaceva all'interno.
Alzò di nuovo lo sguardo su Yugi: il movimento non sembrava averlo turbato né destato. In silenzio, tenendo il mazzo per il bordo esterno, separò due carte in una ordinata coppia sul ripiano, il dorso che guardava il soffitto. Parti dalla sinistra, ne voltò la prima.
Un giovane e prestante uomo con in mano un bastone. Atem non riuscì a trattenere un sorriso. Il primo Arcano, il Mago creativo, annunciatore dell'arrivo di amici leali che aiutano a sviluppare progetti, e di altri che, alimentati dall'invidia, ostacolano quelle mete. Il principio di nuove iniziative e la nascita di nuove relazioni sociali.
La seconda carta, invece lo mise a confrontarsi faccia a faccia con Anubi: il dio dalla testa di sciacallo sembrava scrutarlo con il suo occhio indagatore. Quinto Arcano, il Gerarca, manifestazione della Legge Universale sul piano spirituale. Grandi insegnamenti sarebbero stati conciliati, grandi amori, avventure amorose, un costante andare e venire di cose e fatti. Buoni amici e anche persone che avrebbero causato conflitti.

Sorrise Atem, rimettendo le due carte insieme alle altre, riunendole in un ordinato mazzo che mise al sicuro nel suo forziere.


****


Le sei del pomeriggio arrivarono molto velocemente. Aki non aveva mai dormito così bene: per la prima volta, dopo tanto tempo, era stata cullata da un lungo sonno ristoratore, senza interruzioni né incubi di sorta, tale che perfino l'allarme della sveglia era sembrato un vago, indistinto campanello che suonava in qualche recesso della sua mente.
Si era risvegliata autonomamente, aveva rivolto un'occhiata incerta al soffitto e alla carta da parati giallo sporco che la circondava. Il suo prossimo giorno di riposo l'avrebbe dedicato alle compere, altroché: non aveva intenzione di restare in un buco di appartamento vecchio e malandato.
Tanto per cominciare, avrebbe acquistato delle nuove tende: non se ne parlava di restare con quelle polverose veneziane che funzionavano una volta su dieci. Magari avrebbe preso anche dei fiori, tanto per ravvivare e colorare l'ambiente. Meglio quelli finti, forse, per non vederli seccare...ma non avevano il fascino e la delicatezza dei fiori normali. E non avevano neanche il loro profumo.
E se avesse preso delle piantine grasse? Non richiedevano cure particolari, davano comunque un tocco di verde all'ambiente e alcune di queste facevano nascere anche bellissimi fiori dai colori accesi.
O forse erano meglio le piante carnivore? Erano esotiche, belle da vedere e anche molto utili, in grado di tenere lontani incauti insetti. Urgeva trovare il vivaio più vicino.

Il pollice verde di Aki era caratteristica conosciuta a tutti i componenti della sua famiglia: fin da bambina si era mostrata piuttosto abile nel prendersi cura di piante e fiori con costanza e dedizione degni di un giardiniere provetto. Sua madre le raccontava sempre che da piccola parlava alle piante per convincerle a crescere più belle e rigogliose, e che cantava alle rose per farle fiorire prima e più a lungo; piuttosto inquietante era stata, invece, la volta in cui Aki dodicenne aveva scoperto che il suo amato roseto era stato attaccato da bruchi che si erano nutriti delle sue foglie: a quanto pareva la rossa aveva preparato un pesticida naturale, con acqua e grani di pepe grosso macinati, sussurrando terribili maledizioni con folle sguardo assassino. Sua madre sosteneva che, non fosse stato per il fatto che sapesse di cosa la figlia stesse parlando, avrebbe pensato stesse preparando un omicidio.
Prendersi cura di piante e fiori era l'unica cosa che sembrava essere politicamente accettata in quella famiglia: niente di strano, niente di eclatante, solo una ragazza col pollice verde. In termini di business, avrebbe potuto aprire una catena di vivai in tutto il continente, oppure entrare nel più redditizio giro degli affari dei concimi e dei pesticidi.
L'unico problema che caratterizzava non solo la famiglia Izayoi, ma più o meno tutte le famiglie nobili di Nuova Domino, era che qualsiasi cosa si facesse nella vita dovesse essere necessariamente rivolta al successo economico e alla realizzazione nella società. Si cresceva con quell'idea, fin da bambini si parlava di futuro e di cosa fare da grandi, e ben pochi erano quelli che potevano sperare di poter seguire le proprie ambizioni e preferenze. Nella maggior parte dei casi, il proprio destino era segnato dalla familiare dinastia di avvocati, primari, dirigenti d'azienda, docenti universitari, chirurgi, proprietari di cantieri navali; qualsiasi cosa, bastava che si continuasse la tradizione familiare e si portasse un ingente capitale in famiglia.

Crescere e diventare maggiorenni a Nuova Domino era molto difficile, oltre che frustrante e demoralizzante: il passaggi alla maggiore età era il momento in cui era necessario affermarsi nella società, ed era allora che bisognava mettere la famiglia al corrente delle decisioni sul proprio futuro. Di norma era la scusa per preparare un gigantesco ricevimento che coinvolgeva tutti i familiari, per andare poi a raccontare a ognuno di loro i piani sul proprio futuro e spiegare in quale modo avrebbero contribuito al capitale familiare.
Anche Aki era stata sottoposta a quel rito di passaggio, se così si voleva chiamare: il ricevimento era stato tenuto nella sua villa di famiglia, nel giardino da lei tanto adorato e curato fin dalla tenera età di quattro anni, quando tagliava via le foglie secche del roseto con le forbicine. Era stato semplice raccontare a tutti che intendeva intraprendere gli studi di medicina: la famiglia Izayoi era più improntata verso la politica, con diversi suoi esponenti a direzione della Nuova Domino, ma più passavano gli anni e più quella posizione diventava di esclusivo appannaggio maschile. Non c'era nulla di male nel sapere che una ragazza si accingeva a studiare per diventare dottoressa, magari primario o chissà cosa.
Più difficile era stato far accettare a tutti l'idea che avrebbe fatto tutto da sola e che non avrebbe scelto l'ateneo verso cui voleva indirizzarla il padre: troppo altolocato per i suoi gusti, diceva, si sudava poco e gli esami erano preparati a tavolino, mirando solo a far uscire laureati senza le minime competenze. Qualche cervellone lasciava i banchi universitari, era vero, ma in molti erano lì solo per “fare qualcosa”, nel frattempo che un loro illustre padre o nonno o zio avesse affidato loro le redini dell'azienda. Aki non era un parassita, a lei piaceva guadagnarsi i suoi meriti e onori.

A quanto pareva non era un concetto di facile assimilazione, quello di raggiungere i propri obiettivi scegliendo quella che era la via più difficile.
Prese il telefono e osservò lo schermo, arricciando il naso e strizzando le palpebre, abbagliata dalla luce dello schermo. Nessun messaggio da nessuno che conosceva, come ben prevedeva.
Ancora non gli era andata giù, a quanto pareva.

Si mise seduta a bordo del letto, stendendo le gambe e allargando le dita dei piedi; lo sguardo le cadde sulla scrivania poco più in là e sulla pila di libri posata su di esso, e lo sconforto la colpì come una manata in fronte.
Per quanto studiare le riuscisse bene, non rientrava esattamente nella lista delle sue attività preferite. Aveva scelto la facoltà di medicina, ma solo per accontentare le aspirazioni familiari di vederla “sistemata” come tutto il resto del parentame: fosse dipeso da lei, non avrebbe fatto nulla di tutto questo.
A ben pensarci, non sapeva bene cosa avrebbe voluto fare. Probabilmente, si sarebbe lasciata trasportare dai giorni, chiusa nella prigione di cristallo della sua casa, senza un obiettivo valido o delle aspirazioni. Senza fare nulla, come era stata cresciuta: senza la necessità di fare nulla. C'erano le cameriere a sistemarle il letto quando si svegliava, il cuoco a preparare colazione, pranzo, merenda e cena, e perfino i giardinieri erano diventati sempre più gelosi di lei e del suo dono con le piante e i fiori, al punto da riservarle occhiatacce quando lei si attardava troppo vicino al suo roseto o ai cespugli ben potati.
Non era mai bene che una ragazza prendesse troppa iniziativa, in quella società.

Aki era sempre stata considerata strana, quello strano che incuteva timore e soggezione. I motivi di tanto riserbo nei suoi confronti non erano chiari neanche a lei, e li aveva sempre imputati alla sua discendenza “nobile”: lei era la ragazza ricca, quella che poteva permettersi tutto con uno schiocco di dita. Una che aveva vita facile, una che non doveva sudare per guadagnarsi il successo e l'ammirazione degli altri.
Aveva imparato, con il tempo, a farsi scudo della solitudine e del suo carattere non proprio malleabile. Pochi erano gli amici che aveva considerato tali, e anche questi erano andati persi con il tempo, trascinati via dai loro impegni e obblighi di adulti.
Aveva sempre pensato che diventare adulti fosse solo una fregatura colossale. Tanti obblighi, tanti doveri, tante responsabilità: Aki non si era mai sentita pronta a diventare adulta, forse perché non era mai stata realmente bambina. La sua infanzia era stata scandita da rigidi dettami familiari volti a farla diventare una personalità di spicco nell'alta società di Nuova Domino, secondo uno schema unico e infallibile che già aveva funzionato con molti rampolli della famiglia Izayoi. Molti, ma non tutti: e lei faceva parte di quella stretta cerchia di ribelli che aveva deciso di prendere in mano la propria vita e uscire dalle comode e sicure mura familiari, forse per ritrovare sé stessi o, più probabile, per dimostrare che valevano qualcosa anche fuori dalla famiglia.
Di quelle pecore nere, come alcuni si riferivano a loro, se ne perdevano volutamente le tracce. Aki era insicura sulla loro sorte, molti erano sicuramente a vivere altrove, altri chissà. E sapeva che, con la sua presa di posizione contro le tradizioni di famiglia, avrebbe attirato su di sé lo stesso destino: poco a poco tutti, nella sua famiglia, l'avrebbero dimenticata, e da una parte sperava che questo avvenisse il prima possibile, così da non avere rimorsi né risentimenti particolari.
Dall'altra, sperava sempre di sbagliarsi ed essere piacevolmente sorpresa, un giorno o l'altro.

Si alzò dal letto, osservando il cellulare che mandò una singola vibrazione: un messaggio. Subito sfiorò lo schermo per aprirlo, senza neanche fare caso al nome del mittente. La piccola speranza che le era sbocciata in cuore affievolì come la fiammella di una candela, quando si rese conto che no, non era un messaggio da sua madre, né da suo padre o da qualsiasi altro suo familiare; ma glielo riempì con qualcos'altro. Sorpresa, forse.
Era Judai, che le augurava un buon risveglio e le ricordava di presentarsi puntuale al lavoro. Concludeva le poche righe di messaggio con qualche emoticon di troppo per i gusti della rossa, ma inconsciamente si ritrovò a sorridere, quasi intenerita.

A fine serata, aveva scambiato il numero di cellulare con quello dei suoi nuovi colleghi. Il primo era stato Atem, che le aveva lasciato anche il suo recapito mail, “per qualsiasi emergenza” le aveva detto. E poi Yugi l'aveva seguito a ruota, insieme a Judai e i due Yu, come li aveva ribattezzati lei perché chiamarli Yuma e Yuya le risultava troppo strano senza evitare di sorridere ogni volta. Yusei si era già dileguato nei camerini, a cambiarsi d'abito: a quanto pareva, il barman era ancora imbarazzato da tutta quella paradossale situazione che si era creata prima del loro inizio turno; già le si era presentato con solo indosso un grembiule e un'espressione mutata da seria a maniaca nello spazio di un secondo, chiederle il numero di telefono sarebbe stato come chiedere il permesso per varcare un confine già sfondato per sbaglio con un panzer.
O almeno questa era la spiegazione fornita da Judai, alla quale tutti avevano più o meno annuito. Sembrava che quel Yusei fosse molto più riservato, se non addirittura timido di quanto fosse sembrato da quel primo, strambo approccio.
Aki sorrise e compose velocemente la risposta, prima di inviarla e dileguarsi nella cabina doccia.
L'idea di tornare presto a lavorare le piaceva. Percepiva una strana sensazione, come se nello stomaco ci fosse un palloncino che provava a sollevarla da terra.
Conoscere quei sei giovani ragazzi era stata forse una fortuna, per la sua esistenza smorta e grigia. Aveva solo qualche dubbio sul curriculum lavorativo: che avrebbero pensato, gli altri, al saperla lavorare con tizi che si spogliavano a caso durante una partita di blackjack?
Scosse il capo, mentre il getto di acqua calda della doccia le martellava la schiena e risvegliava la muscolatura intorpidita dal sonno.
A nessuno era mai importato davvero qualcosa di lei, perché avrebbero dovuto cominciare ora?
Si fece una doccia veloce, prima di uscire e mettere mano ai suoi asciugamani.


****



    -    Questa qui?-
    -    Lei, sì. È una persona, rivolgiti a lei come si deve...-
L'avvenente bionda di fronte a lei ignorò le parole di Atem, tornando a studiarla con attenzione, sfiorandole una guancia con le lunghe dita affusolate coperte dal lungo guanto. La donna le sorrise, seducente come una promessa di eterni amore e felicità.
    -    Oh, ma guardala- disse poi – Questo collo così esile...ha il collo di un cigno, questa ragazza, è piccola come un cardellino-
Piccola? Okay, non era esattamente un lampante esempio di altezza fisica ma addirittura definirla piccola...Aki deglutì, infastidita.
    -    Ha molte risorse nascoste, la ragazza- notò Atem, scrutando la donna dai lunghi capelli biondi – Non farti ingannare dalle apparenze-
Finalmente qualcuno che diceva le cose come stavano! Ma da Atem non si poteva aspettare altro: quel tipo sembrava capace di sbatterti la verità in faccia come una randellata. Sarebbe stato interessante metterlo alla prova in un confronto con suo padre, o con uno qualsiasi della famiglia Izayoi. Chissà cosa sarebbe successo.
    -    Non lo metto in dubbio. Sai quello che fai, caro il mio Faraone...-
Quando poi, finalmente, le porse la mano, una volta sfilatosi il guanto, per stringerla, Aki neanche se ne accorse in un primo momento. Trasalì sul posto e avanzò con la mano incerta, stringendola: era fredda al tatto, eppure piacevole da sentire, con quella liscia pelle di seta.
La donna si chiamava Mai Kujaku, e mai nome era stato più evocativo di quello: una donna bella e consapevole di esserlo, la voce di una sirena e le movenze di una gatta. Quando saliva sul palco, ogni sguardo convergeva automaticamente su di lei: Aki non aveva prestato attenzione, troppo concentrata sul suo lavoro, ma aveva ancora i brividi a ripensare a quella potente voce che si destreggiava tra armoniosi vocalizzi, potente più degli strumenti di accompagnamento. Si trovava decisamente a suo agio in mezzo alla folla, più volte aveva lasciato il palco per sfilare tra i tavoli, e avvolta in quel vestito che sembrava un cielo notturno era ancora più bella: seta nera punteggiata da cristalli bianchi, più numerosi sul seno e sul busto. Anche le mani e le braccia erano avvolte nello stesso nero dell'abito, dalle dita fino ai gomiti, ma le spalle erano scoperte, e il collo era impreziosito da un meraviglioso collier che brillava sotto i riflettori colorati.
Aveva cantato e intrattenuto la clientela, prima di scendere dal palco per concedersi una meritata pausa; qualche minuto per riposare le corde vocali, prima di ricominciare. Alle sue spalle, la sua band di musicisti si stava sbizzarrendo, improvvisando pezzi musicali briosi e ritmati: il ragazzo biondo al basso sembrava divertirsi parecchio, ed era quello che attirava più sguardi.

    -    Rilassati pure Aki, lei è come Yusei- fece Atem, rendendosi conto che la ragazza aveva misteriosamente smesso di respirare – Sembra pronta a divorarti in un sol boccone, ma non ti torcerà un capello-
    -    Oh, perché devi dire queste cose?- chiese Mai, quasi indispettita: mise su anche un adorabile broncio – Lo sai che ci resto male!-
    -    Devi sapere che Mai è stata una dei primi artisti che ho voluto ad esibirsi qui- il padrone di casa sembrò ignorarla – La incontrai qualche anno fa su una nave da crociera-
    -    Cosa mi stai facendo ricordare...! All'epoca lavoravo come croupier della sala casinò, ma il mio sogno è sempre stato quello di cantare-
    -    Si esibì ad una prova di karaoke, mi colpì molto-
    -    Et voilà, nel giro di qualche giorno lasciai la nave per cantare nel suo neonato locale! È quasi commovente...-
Più che commovente, Aki trovava quella storia illuminante: aveva la conferma che lo slancio che aveva spinto l'uomo ad assumerla non era un caso isolato, a quanto pareva gli piaceva circondarsi di persone che lo colpivano, fosse stato per un semplice fattore estetico o mentale. Con suo rammarico, Aki si sentì un po' meno speciale.
    -    Bei tempi quelli della nave da crociera- disse Atem, con un vago sorriso – All'epoca il Pharaoh's Kingdom non era bello come adesso, ma andavo spesso in giro per il continente. Andavo alla ricerca di collaboratori, artisti pronti ad esibirsi al suo interno, gente che avrebbe aiutato a spargere la voce-
    -    Eppure ci sei riuscito- notò Aki – Hai...tirato su questo posto dal nulla. Dovresti esserne fiero-
    -    Lo sono, infatti-
    -    Posso farti una domanda? A costo di sembrare inopportuna-
    -    Chiedi pure-
    -    ...Perché? Voglio dire, perché hai deciso di fondare questo locale? Sempre che tu ne sia il fondatore-
    -    Lo sono. Mi piace osservare le persone-

L'espressione che doveva aver attraversato il suo viso doveva essere davvero divertente, perché Mai scoppiò a ridere: la sua risata era dolce e flautata, e aveva il vezzo molto femminile e chic di portarsi il dorso della mano alle labbra, quasi a voler coprirsi dietro di essa. Atem le rivolse un sorriso complice.
    -    Non hai capito male, mi piace osservare le persone- le rispose poi – E conoscerle da lontano. Una persona ha molto da dirti senza che questa usi le parole, basta osservare i loro movimenti, gli sguardi, i vezzi e le particolarità, come porta i capelli o i gioielli che indossa-
    -    ...Come hai fatto con me durante il nostro “colloquio”?- chiese Aki, mimando le virgolette con indice e medio di entrambe le mani; il gesto non sfuggì a Mai, che spalancò le belle labbra rosse e diede di gomito al proprietario del Pharaoh's Kingdom.
    -    Colloooooquio, eh? Ora si chiama così...cos'hai fatto a questa dolce ragazza per conquistarla, eh?- gli chiese lei, gli occhi stretti in uno sguardo da mangiauomini.
    -    Niente di quello che ti sta passando per la testa- rispose Atem, e per la prima volta da quando lo conosceva alla rossa sembrò di captare una nota di disagio nella sua voce.
    -    L'hai mai visto alle prese con le carte da gioco?- domandò Mai, ignorandolo, riservando ad Aki un occhiolino compiaciuto – O con una delle cose che fa sparire e ricomparire?-
Sparire e ricomparire? Questa le era nuova...e delle carte da gioco sapeva solo che le usava per infliggere indicibili punizioni a chi batteva la fiacca...Aki scosse il capo, in segno di diniego.
    -    Aaah, un vero peccato! Rimarresti strabiliata dalla sua maestria! Non si capisce come faccia! E a me vengono in mente tante cose da fare, con quelle mani...-
    -    Va bene così Mai, grazie mille-
Stavolta Aki ne era sicura, era davvero imbarazzato.
    -    Per rispondere alla tua domanda...- riprese Atem, schiarendosi la voce mentre la bionda cantante stentava a trattenere una risata – Sì, come ho fatto al nostro colloquio...Mai smettila. Mi piace analizzare la persona media, e fare da spalla a chi serve...come mettere a posto chi ne ha bisogno-
    -    Che si traduce in...?-
    -    Si traduce in selezionare la clientela in modi a noi sconosciuti!- esclamò Mai – Ed inscenare lui stesso qualche gioco o spettacolo, quando gli va. Ehi, perché non le fai vedere?-
    -    Non se non le interessa- rispose Atem, rivolgendo una lunga occhiata alla ragazza.


Ancora una volta, Aki si sentì quasi denudata da quei perforanti occhi ametista. Annuì senza rendersene conto, strappandogli un nuovo sorriso.
Per qualche motivo si sentì rabbrividire. Non sapeva dirle se la sensazione le piaceva o meno.
Poi, senza dire altro, Atem si allontanò, senza congedarsi dalle due donne. Con passo silenzioso si accomodò al suo tavolo privato, tornando a sorseggiare il Martini che poco prima si era preparato al bancone. Aki lo osservò stupita, Mai si lasciò sfuggire un risolino.
    -    Tipico del faraoncino- chiosò poi – Non fa mai le cose che gli chiedi, se non quando ha voglia. E i suoi giochetti non fanno eccezione. Ma li farà, stai tranquilla-
    -    Esattamente cosa devo fare...ora?- chiese Aki, insicura.
    -    Niente zuccherino, proprio niente! Torna pure al tuo lavoro, te ne accorgerai da sola quando farà qualcosa-
Mai le riservò un'ultima carezza al volto, prima di dileguarsi in mezzo alla clientela e ad intrattenere qualche conversazione. Aki rimase semplicemente lì, ad osservare entrambi senza dire una parola: Mai che ancheggiava sinuosa ed ipnotica tra i tavoli, e Atem che la osservava svogliato, sorseggiando il suo Martini di tanto in tanto.
    -    Ehi Aki...non vorrei dirti, ma Yugi ha bisogno di una mano-
La voce di Yusei la riscosse dal suo improvviso stato di spaesamento. Aki si lasciò sfuggire un piccolo gemito di sorpresa, scattando in avanti come se fosse stata pungolata alle natiche e puntando decisa uno dei tavoli da cui un cliente stava facendo cenno di avvicinarsi. Yusei sorrise, divertito da quella scena.
La serata era nel vivo, nonostante fosse una domenica sera la clientela era numerosa e i tavoli pieni, come se nessuno dovesse lavorare il mattino dopo. Gli piaceva osservare le coppie e i gruppi dalla sua postazione: il stare riparato dietro il bancone gli dava un certo vantaggio, era praticamente invisibile a chi stava dall'altra parte, troppo concentrato a scattarsi dei selfie o a osservare le esibizioni. Aki tornò da lui proprio mentre Yuma salvava un lancio di bottiglia troppo azzardato, guadagnandosi un applauso da Yuya.
    -    Un Cosmopolitan, un Mojito e-e un Blowjob- ordinò la rossa, del tutto dimentica del fatto che lui già conosceva le ordinazioni. Tuttavia Yusei non glielo fece notare, fin troppo divertito dal tentennamento con cui aveva elencato l'ultima ordinazione.
    -    Cos'è, ti imbarazza?- domandò poi il barman, riempendo di ghiaccio uno shaker con pochi, semplici gesti – Ehi! Aaaaah, non il Cointreau, mi serve, BESTIE!-
La bottiglia di liquore francese atterrò con precisione tra le mani di Yuya, che la porse docilmente al barman. Il giovane riservò un'occhiata omicida ai due colleghi, che trotterellarono alle loro postazioni senza fiatare. Yuma si fece roteare un bicchiere collins tra le mani, cominciando a versare zucchero e piazzare foglie di menta, mentre Yuya aveva già riempito lo shaker con ghiaccio, liquore di caffè, Amaretto e crema Irish.
    -    Non so cosa sia, in realtà- spiegò Aki, facendo spallucce. Yusei le sorrise affabile: era molto tenera quando sollevava le spalle in quel gesto innocente.
    -    Beh, è quello che sta preparando Yuya- le spiegò poi – Liquore di caffè, Amaretto e crema Irish. Ti ha detto se ci vuole anche della panna?-
    -    Non l'ho chiesto, se vuoi vado-
    -    Ahahaha! Non chiedere, ci penso io! La panna ci va sempre, sul Blowjob-
    -    Questa conversazione sta diventando davvero strana-
    -    Ecco qua!-

Yuma si piazzò trionfante i pugni sui fianchi, un sorriso sul volto che avrebbe potuto fargli il giro della testa due volte, non ci fossero state le orecchie a contenerlo. Il bicchiere di Mojito che gli stava davanti era da manuale: rum bianco, sciroppo di zucchero, succo di lime, acqua di seltz e ghiaccio spezzato erano attraversati di netto da una cannuccia nera, e le foglie di menta e i pezzi di lime sembravano posizionati al millimetro. Yusei si sporse di poco, lo annusò e sollevò il pollice destro.
    -    La conversazione non diventerà strana a meno che tu non voglia che lo sia- le rispose poi il giovane, prima di cominciare a riempire lo shaker.
Vodka pura, dall'odore pungente che le solleticò le narici perfino a quella distanza; succo di mirtillo rosso, succo di lime, e il già nominato Cointreau che Yuya aveva salvato in tempo da un indecoroso volo a terra: Yusei cominciò a versarli nello shaker in dosi calcolate al millimetro. Le bottiglie roteavano troppo velocemente per i gusti di Aki, ma a differenza dei due Yu, il moro dal tatuaggio dorato era molto meno acrobatico, più funzionale. Ogni bottiglia compiva perfette rotazioni nell'aria, afferrata dalla salda presa del barman che sembrava perfettamente a suo agio in quelle azioni. Si permise perfino di fischiettare a tempo con la musica della band, mentre la bottiglia di Cointreau tornava al suo posto.
Si era arrotolato le maniche fino ai gomiti, rivelando il tatuaggio: la testa di drago osservava il mondo con sguardo fiero ed impenetrabile, tremendamente somigliante a quello di Yusei. Erano i suoi occhi che la stavano osservando, mentre lo shaker compiva argentei circoli: blu come il mare dove era più profondo, vividi ed intelligenti, vibranti di energia. Aki rimase ad osservarlo, senza spiccicare parola.
Stava arrossendo. Lo sapeva, lo sentiva: orecchie e guance avevano raggiunto temperature di fusione del nocciolo, ed era sempre stato un grosso problema per una pallidina come lei. E l'avere i capelli rossi non aiutava affatto! Quand'era così, la similitudine con la testa di un fiammifero acceso era perfetta.
E il problema ancora più grosso era che Yusei sembrava essersene accorto. Gli occhi si erano affilati come la lama di uno spadaccino d'altri tempi, arpionati su di lei come un'aquila su una preda. Aki provò l'invitante impulso di parcheggiargli il tablet delle ordinazioni in faccia, chissà cosa la trattenne.
È solo perché è un ragazzo carino, le disse la vocina nella sua testa, e in cuor tuo non ti dispiace. Fosse stato qualcun altro a guardarti così ti avrebbe fatta incazzare.
Stupida coscienza, aveva ragione anche lei. Yusei non le staccò di dosso gli occhi finché non ebbe terminato di preparare il Cosmopolitan, aggiungendoci un anello di lime a decorazione. Aki si strinse di nuovo nelle spalle e abbassò lo sguardo, sistemandosi meglio una ciocca dietro l'orecchio destro.
    -    Sai perché si chiama Blowjob?-
La voce di Yusei la fece rabbrividire per l'ennesima volta nella serata: Aki decise che sì, quella sensazione le piaceva. Alzò lo sguardo: il barman le porgeva il vassoio su cui erano posati Mojito, Cosmopolitan e Blowjob, con tanto di topping di panna montata. Yuma e Yuya stavano rispettivamente alla destra e alla sinistra di Yusei, due grossi sorrisi sul loro volto che le rievocarono in mente l'immagine di inquietanti mascheroni tribali.
    -    Perché si beve senza mani-
Aki tentennò per un attimo, barcollando lievemente quando il vassoio le venne posato tra le mani. Si schiarì la gola e si voltò senza fiatare, avanzando a passi piccoli e rapidi verso il tavolo da cui era partita l'ordinazione. Alla sua destra, Yuma fischiò tra il divertito e compiaciuto.
    -    Vuoi già calare i tuoi assi migliori o cosa?- gli domandò poi, con un sopracciglio alzato.   
    -    Non montatevi la testa, tu e soprattutto TU- rispose Yusei, indicandoli entrambi con veementi gesti delle mani – L'ho solo punzecchiata un po', ha bisogno di sciogliersi-
    -    Aha...dico, l'hai vista? Sembrava dovesse esplodere da un momento all'altro per quanto era arrossita!-
    -    Non infuochiamo gli animi, ah?-
Un impreciso punto ai piedi del palco andò a fuoco.

In un primo momento non se ne rese neanche conto, troppo impegnata a consegnare le bevande senza rovesciarle sul tavolo e rovinare tutto; ma quando Aki si rese conto della fiammata per poco non si fece sfuggire il vassoio dalle mani. Chi era più vicino al punto in cui il fuoco si era alzato scattò dalle sue sedute e si allontanò precipitosamente, arraffando telefonini e borsette e mettendosi a debita distanza. I musicisti sul palco abbandonarono le loro postazioni, portando via con sé gli strumenti: la rossa giurò di aver sentito il biondo bassista ululare un'imprecazione.
Tuttavia, nessuno si muoveva. Poco lontano, Yugi era rimasto ad osservare la pira di fuoco che saliva verso il soffitto, senza muovere un muscolo né avvicinarsi all'estintore a poca distanza da lui. Judai si era affacciato dalla porta delle cucine, studiando la situazione da lontano, Yuma e Yuya avevano interrotto i loro giochi con le bottiglie e anche Yusei aveva alzato lo sguardo sulle fiamme, ma nessuno di loro muoveva un passo né chiamava aiuto. Mai si materializzò al suo fianco, sfiorandole un braccio e facendola sussultare: la bionda cantante le fece di nuovo l'occhiolino, corredato da un bel sorriso.
Aki gettò un'occhiata inquieta in direzione di Atem: forse lui avrebbe reagito in maniera diversa, confermando che la situazione era potenzialmente pericolosa. Perché nessuno si muoveva? Perché nessuno faceva nulla? Il proprietario del Pharaoh's Kingdom le regalò un altro dei suoi enigmatici sorrisi da sfinge, prima di alzarsi dal tavolo e dirigersi verso la pira. Con calma, si slacciò il gilet, restando solo in camicia nera. Si sfilò l'indumento dalle spalle, e con un fluido gesto lo lanciò in mezzo al fuoco: le fiamme brillarono più intensamente per pochi attimi, poi sparirono, semplicemente. Al loro posto, le piume lucide e nere di un grosso corvo presero il volo: il volatile sfrecciò al di sopra dei tavoli, generando esclamazioni di stupore generale, virò verso il bancone dove si appollaiò, arruffò le penne e gracchiò un paio di volte. Troppo grande perfino per essere un corvo normale, figurarsi per essere nascosto in una manica di camicia o in uno striminzito gilet, il corvo si voltò verso la platea confusa e li osservò, svelando loro un terzo occhio dorato sulla sua fronte. Quando Aki si voltò ad osservare Atem, dallo sguardo che animava i suoi scintillanti occhi d'ametista capì che aveva appena cominciato.

Il corvo gracchiò ancora. Tra le mani di Atem, la cintura di brillanti di una giovane donna si tramutò in una lunga fila di neri scarabei che fecero gemere inorridite le signore, salvo poi fare esclamare di stupore ancora una volta: una volta caduti a terra, gli insetti si tramutavano in oro e ossidiana, meravigliosi gioielli perfetti in ogni dettaglio nel rievocare gli insetti tanto cari agli Egizi. L'orologio da polso del misterioso accompagnatore di una avvenente donna si deformò all'inverosimile, quasi fosse stato ripetutamente passato sotto una rovente fiamma, allungandosi e liquefacendosi come il cipollotto dipinto da un pittore dalle idee confuse; e con la stessa semplicità ritornò al suo stadio normale, e così anche gli scarabei regredirono all'originale forma di cintura. L'uomo rimase ad osservare stupito il suo orologio, la donna si rifiutò di indossare ancora la cintura e uscì per qualche minuto, visibilmente spaventata.
Atem la ignorò. Alzò la mano destra verso il corvo rimasto sul bancone: l'animale lo osservò guardingo con i suoi tre occhi, gracchiò ancora una volta, poi si sollevò in volo con due poderosi battiti d'ali. Puntò dritto il giovane uomo, e poco prima di schiantarglisi addosso le ali nere mutarono in pieghe e piegoline che gli si strinsero al busto. Atem sollevò una mano e allacciò l'ultimo bottone del gilet.

Il silenzio che aveva regnato sovrano fino a quel momento venne rotto da un veemente scroscio d'applausi. Mai rideva accanto a lei, applaudendo a sua volta, la band di musicisti fece ritorno sul palco con circospezione, non sapendo cos'altro aspettarsi.
Atem sorrise appena, ma più di questo non fece. Ignorò le ovazioni, gli applausi, i complimenti, e restò ad osservare l'unico uomo che, in fondo alla sala, non lo celebrava, ricambiando il suo sguardo.


****

La lancetta dei minuti aveva da poco superato la mezzanotte, e tutto il sonno che provava fino a qualche momento prima era scomparso nell'esatto momento in cui aveva percepito quella sottile interferenza. Mana si tirò su a sedere di scatto, gli occhi spalancati nel vuoto e il cuore che batteva all'impazzata nel petto quasi a voler uscire. Vi posò entrambe le mani sopra, come se volesse porgli un freno.
Quella sensazione...era da tempo che non si faceva strada nel suo corpo. La giovane si guardò le dita con sguardo perso, forse incredulo, sentendole pizzicare lievemente.
Lo sguardo si alzò verso la finestra della sua stanza. Il televisore rimasto acceso illuminava la camera di una pallida luce bluastra, un lieve riverbero che si rifletteva sulla superficie della sua sfera di cristallo e la sua collezione di gemme preziose; lo schermo del laptop spuntava a malapena da un'inquietante barriera di fogli e libri.
Si alzò in piedi e si avvicinò alla finestra: a quell'ora i quartieri costieri di Nuova Domino si illuminavano delle mille luci delle insegne colorate, i palazzi e i grattacieli che apparivano come inquietanti mostri dalle centinaia di occhi. Lì, da qualche parte in mezzo a quel labirinto di mura e quel dedalo di strade, un elegante lounge bar dall'esotica ambientazione aveva fatto da sfondo a quella che, agli occhi degli inconsapevoli spettatori, era stata semplice illusione. Un gioco di prestigio di grande effetto, capace di confondere e incantare gli occhi dell'uomo.
Mana si lasciò sfuggire un lieve sospiro, spostandosi una ciocca bionda sull'orecchio destro, ignorandola quando la percepì scivolare subito dopo fino ad accarezzarle la guancia.
Era da tempo che non percepiva quella sensazione, quella sorta di sottile interferenza energetica che la univa ad Atem da lungo tempo. Qualcosa l'aveva spinto a mettersi in mostra e a usare le sue abilità, quella sera.
Senza indugiare oltre girò intorno alla scrivania, spostando colonne di libri una sull'altra e ignorando una torre di volumi che crollava rovinosamente a terra. Fece scorrere con uno scatto uno dei cassetti e portando alla luce il cofanetto in legno di mogano, posandolo in bilico su una pila di libri e scoperchiandolo con un gesto attento. Con delicatezza prese il mazzo di tarocchi marsigliesi, tenendolo per il bordo.
Alzò ancora una volta lo sguardo sui grattacieli e i palazzi fuori la finestra, e nel silenzio rotto solo dal brusio del televisore, sintonizzato su un notiziario notturno, Mana dispose le carte in una lunga fila sul tavolo, ora sgombro. Le osservò a lungo, sorvolandole con la mano destra, le dita pallide tese sui loro dorsi, rimuginando tra sé la domanda, quasi assaporandosela tra le labbra e mormorandola a sé stessa.
Voltò una sola carta. L'arcano svelato le mostrò l'inquietante immagine di una torre che crollava e di figure che precipitavano. La Maison Dieu, la Torre.
Un brivido le attraversò la schiena con la forza di una frustata. Rimise tutte insieme le carte, riordinandole nel mazzo.


__________________________________________________________

Siamo già al numero 2? Ma che bello è?
Come state tutti? Io sono attualmente impelagata con i miei scritti: l'idea era quella di fare un doppio aggiornamento ma siccome di secondo nome faccio PROCRASTINARE, direi che per questa sera mi accontento. Ditemi che NON sono l'unica, ve ne prego, vi scongiuro perché davvero non SO più dove sbattere la testa.
Fosse possibile trasmettere i miei pensieri al PC per osmosi, avrei scritto mille e più storie. Ma siccome tale tecnologia non è ancora disponibile, e io sono una cialtrona senza ritegno e col fondoschiena pesante come uno schermo panoramico, altro non posso fare che rotolarmi nell'autocommiserazione come un maialino nel fango.

Capitolo di passaggio questo, si raccontano cose e ne succedono molte altre! Avevo detto che avremmo visto Judai e Yusei interagire tra loro spesso, SPESSISSIMO giusto? Ed ecco svelato il perché! I due duellanti leggendari sono, qui, dei coinquilini che dividono più o meno tutto: pranzo, cena, console, programmi varietà, anche il bagno e il garage! Sebbene dormano in stanze separate perché ognuno ha bisogno dei suoi spazi, e uno dei due russa e l'altro tira calci nel sonno. Provate a indovinare chi fa cosa...

La situazione familiare di Aki. Ma che bel quadretto gioioso è uscito fuori? Ammetto di averci messo un po' del mio, solo opportunamente romanzato e modificato per adattarlo meglio ad una società distopica come quella ritratta nella serie 5D'S. Che bordello quella serie, giuro. L'intera dinamica della divisione tra Satellite e Nuova Domino gridava DISTOPIA da ogni lettera. L'Inversione Zero praticamente era un disastro nucleare. I Dark Signers sono praticamente dei non-morti, tra magia nera, la vendetta come veicolo motore delle loro azioni e il fatto di essere tecnicamente morti o quasi. Divine letteralmente DIVORATO da Immortale Terrestre Ccarayhua. Sempre Divine che si divertiva a far torturare ragazzini appartenenti al Movimento Arcadia per aumentare e valorizzare i loro poteri psichici. Gli Immortali Terrestri che assorbivano le anime di civili innocenti.
E questa era SOLO la prima stagione.
Perché ricordiamoci SEMPRE che è un gioco di carte PER BAMBINI!

Mai Kujaku! Che dire di lei? Nella storia anche lei aveva un posto già assegnato con una bella freccia lampeggiante! Bella e preziosa come il pavone che le dà il nome, ruba la bella voce direttamente dalle Arpie del suo deck originale.
Si comincia un certo gioco di sguardi dalla parte del bancone! Con lanci di bottiglia come sfondo. Scrivere di loro è divertentissimo.

Ultimi ma non ultimi, Atem, Mana e il misterioso ospite che tanto misterioso non è! Perché chi altri può restare ad osservare Atem in perfetto silenzio, immobile e stoico come una statua accanto al Partenone?
Ora sappiamo nello specifico cos'è che Atem si diverte a fare, quando è in serata...ma trattasi solo di un assaggino delle sue vere capacità. Illusioni o magia? Sta a voi scoprirlo! Gli altri ci si scervellano sopra già da un po'. E Mana...come non poter tirare in ballo anche li, la Ragazza Maga Nera sua fidata compagna di duelli, sogno adolescenziale di tanti spettatori e mio ennesimo sogno erotico appena intravista? Che meraviglia signori miei.

CREDO di aver detto più o meno tutto, ma sicuramente qualcosa è sfuggito. Per ogni cosa, contattatemi pure via recensioni, posta privata, piccioni viaggiatori, qualunque sia il vostro modo! Vi risponderò più velocemente che le mie incasinatissime giornate mi permetteranno! Vi lascio un omaggino nel frattempo: sapete che mi piace disegnare? Ora sì.
Ci si rilegge presto!

92Rosaspina

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Capitolo 3
*** 3. Cartomanzia, sfide tra gentiluomini e sguardi d'intesa ***




3. Cartomanzia, sfide tra gentiluomini e sguardi d'intesa


Solo gli occhi aperti possono scoprire che l'universo è il libro della più alta Verità.
Rumi






    -    Seto Kaiba?! Seto porcaputtana Kaiba è stato qui questa sera?!-
    -    Yuma, il linguaggio-
Yusei roteò gli occhi verso l'alto, mentre continuava a sistemare i bicchieri. Il giovane barman ignorò il suo richiamo, continuando ad osservare Atem con un'assurda espressione in viso, quasi lo avesse visto danzare intorno ad un falò con un gonnellino di paglia e una corona di fiori. Aki faceva rimbalzare lo sguardo su tutti i componenti del team del Pharaoh's Kingdom, senza sapere bene di cosa – o chi – stessero parlando.
La serata si era conclusa da una mezz'ora appena, e subito si erano tutti alacremente messi al lavoro per sistemare il locale prima di tornare a casa. Mai Kujaku si era congedata dal suo pubblico prima della fine ufficiale della serata, regalando loro un apprezzatissimo bis; si era trattenuta qualche minuto in più per discutere di qualcosa con Atem, forse per organizzare la prossima serata, e l'aveva salutato lanciandogli un bacio al quale lui aveva risposto con un sorriso, seppur piuttosto tirato. La cosa aveva sinceramente fatto sorridere la rossa: il fatto che un uomo come lui, così tutto d'un pezzo e formale, tentennasse di fronte ad avances a volte neanche troppo velate, lo rendeva più umano di quanto desse impressione.

E forse doveva aspettarselo, ma nessuno dei membri del team sembrava particolarmente scosso dalle illusioni di Atem. Nessuno tranne, ovviamente, lei, a cui assisteva per la prima volta e non sapeva cosa pensarne. Erano ben più di illusioni ottiche: uno dei clienti del pub, in preda alla curiosità, aveva tastato con mano uno scarabeo caracollato a terra. L'aveva toccato, quella creaturina era tangibile e dotata di un corpo. Le illusioni non erano tangibili, per quel poco che sapeva.
E quel fuoco? Apparso dal nulla! A fine serata Aki aveva imitato molti degli avventori del locale, e aveva scrutato a fondo ogni centimetro della zona antistante il palco: neanche a dirlo, non c'erano grate a scomparsa né mattonelle nascoste. Tutto il pavimento era un unico, liscio mare nero sulla quale le fiamme si erano riflesse, incandescenti lingue che lambivano l'atmosfera e generavano calore vero, intenso: la rossa aveva percepito l'improvvisa vampata prima ancora che si rendesse conto dell'origine delle fiamme.
E il gilet di Atem, aaaah, quello era stato il colmo. Gettato nel fuoco, trasformatosi in gigantesco corvo e poi ritornato gilet! Il corvo era ben più grosso del naturale, e a prescindere era impossibile nasconderlo dentro un attillato gilet o nelle maniche di una camicia; forse era stato celato sotto il palco e fatto uscire al momento opportuno? Probabile, ma per quanto avesse cercato Aki non aveva trovato aperture o gabbie nascoste. E anche se il corvo fosse stato abilmente mascherato da un perfetto trucco, il fatto che l'indumento fosse rimasto del tutto illeso dalle fiamme smontava ogni possibile ipotesi. Passava tutto, ma non quello.
Quel gilet era stato gettato nel fuoco. E non aveva riportato neanche una bruciatura. Atem lo aveva in seguito slacciato di nuovo, e fatto tastare dalle mani di chi era alla disperata ricerca di qualche abile stratagemma da illusionista: nulla era venuto alla luce, era un semplice, scemissimo gilet nero.
Se c'era il trucco, e c'era, doveva esserci, era nascosto davvero bene, tale da non poter essere individuato da nessuna angolazione o sotto alcun tipo di luce. Perché non fosse stato un trucco, allora era magia vera e propria, e di fatto ancora più improbabile.
Non ci avrebbe dormito la notte. O il giorno, considerato che la notte era passata da un bel po'.

    -    Seto Kaiba era qui, sì- rispose Atem, preparandosi l'ennesimo Martini al bancone. Doveva proprio piacergli... - Isolato ad un tavolo singolo, poco distante dal palco-
    -    E...e quando è arrivato?!- squittì Yuma, ignorando le richieste di aiuto di Yuya che stava armeggiando con qualche bottiglia di troppo.
    -    Quando la sala era ormai quasi piena. L'ho fatto arrivare da un'entrata secondaria-
Un'entrata secondaria?! Aki aggrottò la fronte.
    -    Posso sapere chi è?- domandò la rossa con fare innocente, fermando temporaneamente il suo energico spazzare.
    -    Il presidente della Kaiba Corporation- le spiegò Judai, impegnato in un giro di assaggi, mentre Yuya, che non sapeva più con che cosa reggere le bottiglie vuote, ne aveva presa una con i denti e mugugnava in direzione di Yuma – Multinazionale d'avanguardia, da cui partono tutte le innovazioni in campo videoludico e tecnologico del cazzo di mondo-
    -    Judai, il linguaggio anche tu...- borbottò Yusei.
    -    Ha parlato bocca di rosa...-
    -    Aki, è quell'uomo che hai servito tu- intervenne poi Yugi, notando il suo smarrimento totale.
Aki si mordicchiò un angolo del labbro inferiore pensosa, non esattamente rincuorata: in due sere aveva visto più facce diverse che in tutta la sua vita, ricordarsene di una in particolare era davvero difficile. Un uomo che sedeva in solitaria vicino al palco, nascosto da sguardi indiscreti per non attirare troppe attenzioni...
E poi capì: la memoria le restituì l'immagine di un uomo giovane e sprezzante, seduto da solo ad un tavolo, che aveva richiesto un White Russian. Una voce bassa e vibrante, quasi ringhiosa. Non l'aveva salutata e non l'aveva chiamata, aveva semplicemente atteso che qualcuno – in quel caso, lei – si avvicinasse per soffiare “Un White Russian” con il tono di voce di chi sembrava pronto a conquistare il mondo. Abbigliamento severo e disciplinato come i suoi capelli, vestito totalmente di nero, dal maglione a collo alto agli stivali. La sedia accanto a lui era occupata dal un trench di un bianco accecante: lungo com'era, Aki immaginava gli dovesse arrivare quasi ai piedi.
Per come si era presentato, sembrava in tutto e per tutto un perfetto cattivo di qualche videogioco: probabilmente prendeva troppo sul serio il suo lavoro. Ma era stato ben altro quello che l'aveva inquietata.
Aveva due occhi di un profondo blu, belli tanto quanto quelli di Yusei ( e perché le veniva in mente proprio lui ora?! ) ma non c'era nulla dei sentimenti che animavano il barman. Erano occhi duri, spietati, affilati come la lama di un coltello appena passata sulla mola di un arrotino: se gli sguardi avessero potuto uccidere, quel tipo avrebbe scatenato un'autentica strage solo guardandosi intorno in quella sala gremita. E invece li teneva fissi su Atem.
Li aveva osservati per il resto della serata: i due si erano scambiati spesso lunghi sguardi, una sfida muta e priva d'armi ma non per questo meno intensa e, forse, pericolosa. Quando le iridi ametista si incrociavano con le sue, Atem restava in perfetto silenzio, immobile come una statua, ad osservare il suo silenzioso opponente.
Seto Kaiba non aveva applaudito alla sua dimostrazione, né tanto meno aveva fatto sentire la sua voce altre volte in quella serata; ma la coscienza di averlo presente in sala bastava per far rabbrividire Aki dalla testa ai piedi, e l'idea di averlo avuto a così poca distanza la rendeva nervosa. Perché poi? Non aveva nulla contro di lei a quanto pareva: era più interessato a quello che Mai Kujaku chiamava “il Faraone”.

Il suo vortice di pensieri venne arrestato da un improvviso trambusto; mentre riordinava le idee, Yuma si era voltato verso di lei con l'espressione più buffa del mondo, roba che neanche Yuya avrebbe potuto eguagliarlo, e con un balzo a dir poco felino era saltato sul bancone, con tutte le intenzioni di raggiungerla. E ci sarebbe anche riuscito non fosse stato per Yusei: il barman tatuato, accortosi della mossa, si era sporto in avanti e l'aveva precipitosamente tirato di nuovo dietro al bancone, acchiappandolo per il colletto come una mamma gatta fa con i suoi micini. A differenza della mamma gatta, però, Yusei l'aveva anche lanciato via, facendolo atterrare di sedere sul pavimento e provocandogli un grido scontento.
    -    Sei impazzito o cosa?!- sbraitò Yusei, rivolto al giovane collega – I PIEDI SUL BANCONE, SCIMMIA! COS'ERA?!-
    -    Va bene così Yusei, non c'è bisogno di esagerare-
Il Faraone aveva parlato. Il giovane barman si voltò verso di lui, ad osservarlo con quelle iridi blu che ad Aki cominciavano davvero a piacere, prima di chetarsi e ricomporsi: il drago aveva sputato fuoco, poi aveva gorgogliato scontento ed era ritornato nel suo antro roccioso. Senza dire altro, Yusei aiutò Yuma a rialzarsi, risistemandogli i vestiti sgualciti dall'improvviso strattone.
Quanta forza doveva avere in quelle braccia, per sollevare una persona con quella facilità? Okay, Yuma era piuttosto piccolo e basso di corporatura, di conseguenza appariva come molto leggero; ma ciò non toglieva che avesse sollevato un ragazzo, ormai adulto, di un metro abbondante da terra e l'avesse spedito a sedere dietro il bancone. Aki represse un brivido, e decise di tenersi a debita distanza da quel tipo: cosa avrebbe potuto farle, se avesse deciso di issarla da terra? O di metterle le mani addosso?
Poi scosse il capo, dandosi della stupida: perché Yusei doveva desiderare di fare una cosa del genere?

    -    Yusei, tu non capisci!- esclamò Yuma, gesticolando animatamente e sfuggendo alle “amorevoli” pacche con cui il barman lo stava rassettando – Ha avuto l'onore di incontrare Seto Kaiba IN PERSONA!-
    -    Giuro, se non ti dai una calmata...!- brontolò Yusei, rifilandogli un'occhiataccia che lo spedì in soccorso di Yuya.
    -    Resta però la domanda- disse Yugi, pensoso – Cos'è venuto a fare qui? E...e poi come fai a conoscerlo?-
    -    Una storia abbastanza lunga- si limitò a rispondere Atem, scoccando al fratello minore uno sguardo eloquente. Yugi si fece ancora più piccolo, se possibile, e non domandò altro. Aki gonfiò le guance indispettita.
Quel locale stava nascondendo già troppe storie lunghe, per i suoi gusti.
    -    Dovremmo preoccuparci?- domandò Judai, porgendo il vassoio degli assaggi ad Aki – Quel tipo non mi è piaciuto affatto-
    -    Voi non correte alcun pericolo- li rassicurò Atem, osservandoli tutti quanti, uno per uno – Quella tra me e Seto Kaiba è una storia che non coinvolge nessun altro se non le nostre persone. Voi sarete al sicuro. È una cosa tra me e lui-
    -    Ma per parlarne così deve essere qualcosa di serio...- avanzò Yugi.
    -    Andrà tutto bene-
E gli sorrise, Atem, e come in uno specchio più giovane il sorriso si riflesse sul volto del fratello. Aki ne abbozzò uno a sua volta, pensierosa.
Invero, la questione Seto Kaiba sembrava aver gettato in allarme la troupe del Pharaoh's Kingdom. Ovviamente, se Atem era turbato dalla cosa lo nascondeva davvero bene, sotto uno dei suoi serafici sorrisi; ma tutti gli altri risentivano di una sottile agitazione. A sentire Judai, il castano aveva avuto la sua stessa, medesima sensazione, mentre Yusei preferiva non sbilanciarsi troppo, ma era chiaro che quel tipo non rientrava esattamente nelle sue preferenze. Yuma, ovviamente, era agitato per motivi ben diversi da quelli di tutti gli altri, e Yuya provava ansia anche solo a sentir parlare di un tipo del genere. Yugi era letteralmente ammutolito, preferendo che fosse il fratello maggiore a parlare.

    -    E se quel tipo decidesse di acquistare il locale e ci cacciasse?!- ipotizzò Yuya, con voce flebile e tanto d'occhi. Yusei lo fulminò con lo sguardo.
    -    Non dire sciocchezze- lo rimbeccò poi – A che scopo? La sua è un'industria tecnologica, non gli interessano i locali notturni-
    -    Già, ma ha denaro abbastanza per comprare la terra sotto i piedi delle persone- borbottò Judai – Mettiamo caso che voglia fare un dispetto ad Atem--
    -    Su questo non hai nulla da temere- rispose il Faraone – La schermaglia tra me e Seto Kaiba non è di tipo economico, anzi. È su tutt'altro piano-
Tutt'altro piano, eh? Aki sentiva di capirci sempre meno, ma Atem era sincero, lo sentiva. Stava parlando a cuore aperto, e stava rassicurando i compagni sul loro destino. Loro, non suo.
Non era a loro che Seto Kaiba era interessato.
    -    Voi non gli interessate- confermò infatti – La faccenda è, resta e resterà tra me e lui. Forse ve lo spiegherò un giorno. Magari quando avremo più tempo e saremo tutti più lucidi-
Lo stesso pensiero che l'aveva attraversata qualche attimo prima, Atem lo proiettò sui suoi compagni, e parve funzionare. Nessuno più nominò Seto Kaiba in quella sede, neanche Yuma, sebbene ogni tanto borbottasse qualcosa tra sé.
Le pulizie del locale andarono avanti per qualche ora, prima che tutte le poltrone furono sistemate e così anche sedie, tavoli e divanetti, il palco spazzato e le bottiglie e i bicchieri tutti a posto, bancone e cucine rassettate e impianto stereo messo a posto. Fu solo allora che Atem attirò la sua attenzione e le fece cenno di seguirlo senza dirle una parola.
Yugi prese in consegna il suo bastone e Aki lo seguì, attraverso una porta nascosta, nel suo ufficio. Il sole nascente stava già inondando d'oro la stanza, e le piccole sculture placcate sugli scaffali brillavano quasi fossero state intagliate nell'oro. Aki chiuse la porta alle sue spalle mentre Atem, in pochi passi, raggiungeva il divano scuro su cui era posato un involucro di plastica contenente degli abiti al suo interno.

    -    Ecco a te la tua nuova divisa- le disse poi, con un sorriso – Questa maschile puoi lasciarla nei camerini, l'addetta della lavanderia passerà a ritirarla domattina. Questa qui ti calzerà a pennello: senza offesa, ma quei pantaloni ti stanno due volte. E non ti valorizzano-
    -    Gra-grazie- soffiò Aki, chinando leggermente il capo, le guance rosse.
    -    Domani Yuya avrà il suo riposo settimanale. Ho pensato che potresti sostituirlo per la giornata. Il lunedì sera non è mai prevista una folta presenza, Yugi sa cavarsela molto bene in questi casi. Ti affiancherò a Yusei, avrai modo di vedere come si lavora dietro il bancone-
    -    Oh. Ehm...va bene-
    -    Sicura? Non mi sembri particolarmente entusiasta-
    -    No no, va benissimo!-
Andava bene davvero, certo. Ma l'idea di essere a contatto ravvicinato con Yusei la destabilizzava un po'. Scosse il capo: si stava decisamente lasciando suggestionare troppo da tutto quello che era successo in quelle quarantotto ore. Yusei era una persona normalissima: forse era un po' troppo serio, e con un tatuaggio strano, ma era una persona come lei, in carne, ossa e emozioni. Atem le sorrise sornione, prima di aggirare la scrivania e aprire un cassetto.

    -    Dì un po', Aki, ti hanno mai letto le carte?-
La rossa sgranò gli occhi, sorpresa da tale domanda. Seguì con lo sguardo i movimenti del Faraone, mentre lo osservava estrarre, dal cassetto, una preziosa scatola con intarsi dorati e prendere un mazzo di carte.
Con un cenno, Atem la invitò a sedersi di fronte a lui. Seppur titubante, Aki accolse l'invito: la curiosità le impedì di imboccare la porta e mandare tutto e tutti al diavolo.
Dopo pire incendiarie comparse dal nulla, gilet polimorfici, orologi che si scioglievano e scarabei preziosi, che cosa poteva esserci strano in qualche carta?
Con un lieve sorriso che gli curvava le labbra, Atem prese a mischiare il mazzo. Lo fece con gesti accorti e delicati, forse per non intaccare le carte, ma così veloci che presto Aki perse il filo conduttore dei movimenti e preferì concentrarsi sul giovane. Atem osservava un punto indistinto nel vuoto, mentre le sue dita si muovevano leggere e veloci intorno alle carte, voltandole, capovolgendole e mischiandole ancora.


    -    Conosci i tarocchi, vero?- le chiese poi. Aki annuì – Sentito mai parlare dei tarocchi egizi?-
Aki aggrottò lievemente le sopracciglia, ma non riuscì proprio a reprimere un sorriso. Tarocchi egizi in un locale che si chiamava Pharaoh's Kingdom, prevedibile.
    -    In realtà, i più celebri sono i Marsigliesi. Quelli francesi, per intenderci- continuò Atem – Ma si ritiene che l'origine dei tarocchi sia egizia. Sentito parlare di un certo Guillaume Postel?-
    -    No- ammise Aki, in tutta sincerità. Atem fece spallucce.
    -    Postel, nel 1540, pubblicò un libro con una casa editrice francese, chiamato Clef des Choses Cachées. La Chiave delle Cose Occulte. Postel sosteneva di aver ricavato le nozioni al suo interno da antichi manoscritti egizi. Ora, se sia vero o no, nessuno lo sa davvero; di questo libro esistono solo due copie al mondo, una al museo britannico di Londra e l'altra alla grande biblioteca di Parigi; sta di fatto che Postel, in questo suo libro, ci indica, ci descrive e ci insegna le carte dall'antico Tari egizio. Sai cosa dicono, della parola “Tarot” che lui usa per indicare le carte da divinazione?-
Aki scosse il capo.
    -    Si dice che “Tarot” viene proprio dal nome di Thot, il dio della Luna, della sapienza, della scrittura e della magia. A lui erano attribuite anche la misura del tempo, la matematica e la geometria. Molto spesso è raffigurato sotto forma di ibis, meno frequente di babbuino-
E con un cenno del capo le indicò il lungo rotolo di papiro appeso al muro, alla sua sinistra. Aki si soffermò sulla brillantezza dei colori usati per raffigurare l'antropomorfa divinità, dall'oro delle vesti e dei gioielli al rosso mattone della pelle, fino al verde acceso della testa e il nero del becco. Con la destra sorreggeva un lungo bastone, la sinistra impugnava con fermezza una Chiave della Vita egizia.
    -    Pare che il dio Toth redasse dei libri mitici, quarantadue in tutto, nei quali si troverebbero i misteri dei cieli e le predizioni di eventi planetari futuri. A quanto pare, questi libri sono ora dispersi-
    -    Forse non sono mai esistiti?- azzardò Aki.
    -    Forse. Come forse non erano più libri ma solo uno. Su questi libri ci sono mille e più teorie, tempo fa si pensava fossero nascosti sotto la Sfinge di Giza. Inutile dirlo, non sono mai state rinvenute cripte sotterranee al di sotto. Ma secondo alcuni studiosi, le ventidue figure principali dei tarocchi provengono proprio da questi libri: pare siano pagine staccate-
Finalmente Atem smise di mischiare. Le porse allora il mazzo, ben impilato con cura di fronte a lei. Aki alzò lo sguardo: cosa si aspettava che facesse?
    -    Tu credi nella cartomanzia?- le chiese allora il Faraone.
    -    Non ci ho mai provato- ammise la rossa.
   -    E non devi provarci. Quando ti dicono che le carte non mentono, non fidarti. Le carte mentono sempre. E queste...- e con due dita picchiettò il mazzo di fronte a lei – Sono le più infide. I tarocchi egizi sono noti per la loro infallibilità, ma anche per la loro riottosità a mostrarsi a tutti. Questo mazzo mi è stato donato da una cara amica. Ogni volta che lo consultava, accadeva qualche disgrazia; ha provato a disfarsene in ogni modo, ma le ritornava sempre tra le mani, finché non l'ha donato a me, e con me è rimasto-
    -    ...Se è un mazzo porta sfortuna, non andrebbe utilizzato, non credi?- domandò Aki, dubbiosa.

Atem non rispose, si limitò a sorriderle ancora. Con un morbido gesto della mano, separò cinque carte dal mazzo, lasciandole con il dorso verso il soffitto.
    -    Dimmi tu. Quale sceglieresti?-
    -    Perché lo stiamo facendo?-
    -    Bella domanda. Secondo te, perché?-
    -    ...Non ne ho idea. Mi hai appena detto di non credere a queste cose, ma mi inviti a scoprire una carta. Perché?
    -    Non credere non vuol dire non ascoltare. Il segreto della conoscenza è proprio questo: allargare le vedute, guardare e conoscere tutto senza porsi limiti. I tarocchi non illustrano mai la verità, ma possono essere intesi come una piantina stradale: ti mostrano le vie, ma sei tu a decidere dove andare. E tu hai bisogno di decidere dove muovere i tuoi passi. Devi cominciare a mettere i piedi fuori dai tuoi rigidi schemi familiari-
Un brivido la scosse da capo a piedi. Come diavolo faceva?! Atem sembrava avere una parola pronta su tutto e per tutto, sapeva le cose prima che gli venissero dette. Tutto questo non era spiegabile razionalmente, non era semplice spirito di osservazione o capacità di deduzione. Aki lo osservò a lungo, seduto alla scrivania, a sorriderle armonioso e ad osservarla con il suo terzo occhio...lo stava immaginando davvero?!
Senza dire altro, Aki indicò la seconda carta da destra. Senza perdere il suo sorriso, Atem la voltò con un paio di dita.

La misteriosa immagine, sconosciuta agli occhi della ragazza, ritraeva una figura femminile che nutriva un leone con le sue mani. La donna dai seni scoperti doveva essere di origini nobili, a giudicare dall'elaborato copricapo e i gioielli che le cingevano braccia, polsi e caviglie, e il lungo abito. Il leone che si nutriva dalle sue mani aperte aveva uno sguardo strano, docile e servile, quasi umano.
    -    Undicesimo Arcano, la Forza- spiegò Atem.
    -    E...e che cosa vuol dire?- domandò Aki, incerta – Cosa rappresenta?-
    -    Il conseguimento di un discorso, e di un obiettivo. A patto che tu sia perseverante e non perda la speranza. Vedi, alcune questioni familiari, insieme a intoppi, infamie e gelosia, potrebbero condurti a perdere degli amici...ma la tua ostinazione sarà degnamente ripagata con nuovi rapporti rigenerativi-
Ora Aki aveva davvero paura. Deglutì, la gola improvvisamente secca. Non sapeva più cosa pensare, né di Atem né del Pharaoh's Kingdom né di qualsiasi altra cosa o persona che la circondava ora.
    -    Ovviamente, è solo una traccia- concluse Atem, riordinando le carte e rimettendo a posto il mazzo – Ma a volte è bello avere un'idea di quello che potrebbe succedere, non trovi?-
Aki annuì silenziosa, senza più sapere cosa rispondere, la testa improvvisamente leggera come un palloncino.
    -    Direi di averti tediato abbastanza. Vai pure Aki, ci rivediamo stasera-

Stasera?! Ah già, era lunedì da sei ore almeno. Aki si congedò dal padrone del Pharaoh's Kingdom e ritornò in sala, la sua nuova divisa tra le mani, stretta al petto quasi volesse trarne conforto.
Solo Yusei era rimasto, nel gigantesco salone. Si era già cambiato, probabilmente stava attendendo che Judai terminasse; nell'attesa, si era accomodato su una delle poltroncine, e aveva reclinato la testa all'indietro, ad osservare chissà cosa sul soffitto.
Vederlo senza la sua divisa lavorativa era...strano. E va bene, l'aveva visto anche senza quella...ma l'effetto era ugualmente insolito. Ormai lo conosceva come il barman dagli elettrici occhi blu, perfettamente a suo agio dietro il suo bancone, e vederlo in giacca scura, maglietta, jeans e stivaloni aveva un impatto indefinito sulla sua immaginazione. Accanto a lui, su un bracciolo della poltrona, stava un casco rosso.
Andava in moto?
    -    Ehi, rosellina- la salutò poi, osservandola da sotto il braccio.
    -    Ro-rosellina?!- mormorò Aki, sorpresa.
    -    Beh, quella che hai al collo è una rosellina, no? Ti sta bene, mi piace-
La sua mano sinistra si mosse da sola, Aki si sfiorò con la punta delle dita il nastro di seta nero annodato al collo, e la rosa d'argento e preziose pietre rosse che stava al centro. Un gioiellino stupido, un pezzo di bigiotteria che aveva comprato anni prima in un mercatino, e lui l'aveva notato e gli era piaciuto, e le aveva anche detto che le stava bene...ne era felice.
Ne era felice, davvero?! Perché ne era felice?! Era normale essere felici di un complimento? Ma l'aveva fatto lui no? E allora perché si arrovellava il cervello dietro tutte quelle domande?! Aki scosse il capo e si riparò dietro un grosso sorriso un po' tirato; Yusei dovette capire che qualcosa non andava, perché uscì fuori dal nascondiglio del suo braccio e la osservò da capo a piedi, come alla ricerca di un malanno. Tuttavia, non le disse nulla e si limitò a sorriderle, con la guancia destra poggiata sulle nocche della mano.

    -    Stasera puntuale, mi raccomando- la ricordò poi – Ho in mente di fare un po' di cose, con te...-

Yusei ebbe bisogno di qualche secondo di troppo, per registrare cosa avesse detto e cosa avesse, con ogni probabilità, inteso Aki. Il giovane barman sbatté un paio di volte gli occhi, innocente, osservando le guance della rossa farsi sempre più...rosse, appunto.
Per un attimo, ma solo per un attimo, provò il vergognoso impulso di scoppiarle a ridere in faccia. Ma non si rendeva conto, delle facce che metteva su quando era imbarazzata? Sembrava davvero un fiammifero acceso, con le guance più scarlatte dei capelli...! Ed era molto carina anche così, di una bellezza che non centrava nulla con quella di, ad esempio, Mai Kujaku: non faceva malizie, era molto più riservata e guardinga. Proprio come una rosa, che difendeva i suoi petali con un irto vestito di spine, così lei sembrava mantenere le distanze con tutti gli altri. In quelle due serate aveva dimostrato di lavorare alacremente, eppure c'era stato davvero poco dialogo con lei, quasi nullo.
Poteva forse dipendere dal fatto di essersi presentato a lei con indosso solo un grembiule? Qualcosa gli diceva di sì.
Non gli piaceva trovarsi nella situazione di dover dimostrare ulteriormente le sue buone intenzioni: per riprendere le parole di Judai, faceva letteralmente SCHIFO ad esternare le emozioni a comando o a fare complimenti appositamente per ingraziarsi qualcuno. Yusei era un tipo che aveva fatto della sincerità un suo dogma: dimostrarsi con lui benevolo e generoso, capace di vivere in mezzo agli altri senza creare guai e totalmente estraneo alle bugie, anche quelle a fin di bene, era la carta vincente per farselo amico. Tradire le sue aspettative equivaleva a fargli illuminare sulla fronte un grosso cartello con su scritto MUORI QUANDO HAI TEMPO, e a dipingersi un bel bersaglio rosso in faccia perché, qualora il suo desiderio non si fosse avverato, ci avrebbe pensato lui a mettere in chiaro le cose e disfarsi di chi aveva tradito la sua fiducia e quella dei suoi compagni.
Gli succedeva pochissime volte di trovarsi dall'altra parte della barricata, essenzialmente perché era incapace di fingere qualcosa che non provava.

Forse con Aki sarebbe stato più semplice. Come suo collega, c'era tutto l'interesse a creare un bel rapporto collaborativo senza mostrarsi come un lupo mangiadonne.
    -    Con i cocktail, che hai capito?!- sorrise quindi Yusei, mettendosi meglio seduto sulla poltrona – Non ne hai mai preparato uno, vero?-
    -    N-nnnoo...?- rispose Aki, sbattendo gli occhi.
  -    E allora ne approfitteremo per vedere qualcosa insieme! Potrà esserti utile qualora dovesse essere necessario sostituire uno di noi-
    -    Davvero è così difficile come si dice?-
    -    L'importante è usare le giuste dosi. Sprechi meno alcol e ti avvicini di più alla giusta miscela. Sbagliare all'inizio è normale, cominceremo con qualcosa di semplice. Più avanti ti verrà naturale-
    -    E dovrò imparare anche tutte quelle...mosse che fai tu?-
    -    Mosse?-
    -    Ma sì, tutti quei giri che fai fare alle bottiglie e ai bicchieri...-
    -    Ahahah, no, non ce ne sarà bisogno-
    -    La cosa mi rincuora-
Rimasero in silenzio per qualche attimo. Dietro di loro, dalla porta che si apriva sulla scala che portava ai camerini, sentirono i passi veloci di Judai, che risaliva i gradini due a due. Anche lui portava un casco con sé, questa volta nero.
    -    Fatto?- chiese Yusei – Bene, noi andiamo Aki. Vai a riposarti, te lo meriti-
    -    Anche voi, ragazzi. Buon riposo- rispose la rossa, con un sorriso che Yusei ricambiò.

L'attimo di sospensione in cui Yusei e Aki si scrutarono non passò inosservato al giovane Executive Chef: Judai li osservò con attenzione, facendo rimbalzare lo sguardo prima su uno e poi su un altro. In quel perfetto silenzio, i due si salutarono con gli occhi prima che con la bocca. Il giovane proprio non riuscì a reprimere un sorriso.
Fare previsioni adesso era inutile, oltre che azzardato, ma in cuor suo sapeva, sentiva che stava per nascere una bella amicizia.
Salutarono entrambi la rossa, prima di aprire la porta di vetro e percorrere le scale che li avrebbero portati fuori. Judai osservò con la coda dell'occhio il collega e coinquilino, prima di scrollare il capo e farsi sfuggire uno sbuffo divertito.
E il gesto non passò inosservato a Yusei.


    -    Cos'hai da ridere?- domandò poi – Non mi sembra di aver detto niente di divertente-
    -    No, pensavo a te e Aki-
    -    ...me e Aki? E quindi?-
    -    E quindi niente, mi sembrate molto carini insieme-
    -    Non capisco dove tu voglia arrivare-
   -    Oh andiamo! Non hai visto come ti guarda? L'hai colpita, Yusei! Ora, non so se sia stato merito di quel bacio a tradimento, o dei tuoi giochetti con gli shaker...per quello che ne so potrebbe essere tutto merito del tuo culetto all'aria. Ma hai colpito la sua attenzione e passa molto tempo ad osservarti-
Yusei si fermò in piedi ad un passo dall'uscita dell'edificio. Non accortosi dell'arrestarsi del compagno, Judai avanzò ancora di qualche passo, prima di fermarsi e voltarsi alle sue spalle.
Il giovane barman lo osservava con due occhi grandi come palle da biliardo, un'espressione in viso che Judai non sapeva dire se scioccata o traumatizzata.
    -    Io...io...io ti registrerei, Judai!- esclamò poi, scuotendo il capo.
    -    Eh? E perché?! Che ho detto di così strano?- domandò il castano per tutta risposta.
    -    Io non--
Yusei sospirò affranto e mollò la presa, lasciando il compagno senza una valida spiegazione; ma c'era invece da dirgli davvero tanto a quel ragazzo, abbastanza da lasciarlo senza sonno per i seguenti tre giorni.
Tutti, al Pharaoh's Kingdom, avevano iniziato a farsi domande sulla reale intensità del rapporto che lo legava ad Alexis; anche Yuma e Yuya si erano accorti, fin da subito, dell'insolita, profonda complicità tra i due amici. Il problema era che Judai stesso non sembrava essersi reso conto di nulla: la serviva personalmente al tavolo, restava a parlare con lei, condividevano risate e racconti, ma proprio sembrava non rendersi conto dei lunghi sguardi che la ragazza gli riservava, né sembrava farsi domande sul perché una ragazza come lei fosse sempre da sola e cercasse sempre e solo lui. E mentre tutti confermavano che la loro potesse diventare una fantastica coppia, lui sembrava pensare tutto fuorché quello. C'era affetto a legarli, ed era molto evidente: Judai sembrava volerle davvero bene...ma non quel bene che sperava Alexis.
Ma il problema era ben altro: Judai non sembrava rendersi conto dei sentimenti reali di Alexis, e di conseguenza nessuno avrebbe saputo se li ricambiava o meno, ma il fatto che il castano fosse capace di vedere legami e amicizie dove ancora non erano nate...Yusei non aveva mai compreso sulla base di che cosa faceva quelle sue supposizioni, il fatto era che ci azzeccava sempre; aveva perfino previsto il forte legame che aveva poi unito Yuma a quell'altro pazzo saltimbanco di Yuya, rendendoli amici che si volevano bene alla stregua di fratelli separatisi e riunitisi dopo tanti anni. Perché sembrava incapace di vedere anche quello che lo legava a chi gli stava intorno?
Quasi sembrava avesse paura a legarsi profondamente con qualcuno. Sembrava quasi fosse riottoso nel dare completa fiducia a chiunque altro non fosse Yusei.
    -    Andiamo a casa, Jud, abbiamo bisogno di riposo tutti e due- bofonchiò poi il barman, superandolo velocemente in direzione della sua moto.
    -    Su questo sono d'accordo con te. Ehi! Tu non hai fame?-
    -    Hai in mente qualcosa?-
    -    Cornetto caldo prima di tornare a casa?-
    -    Va bene-

Figurarsi se Judai si fosse perso la possibilità di mangiare qualcosa che non fosse iperdolce e supercalorico. Con il casco appeso al gomito sinistro, Yusei afferrò saldamente le manopole della moto, si assicurò di avere la folle innestata e sollevò il cavalletto con una leggera pedata; spostata la moto, spingendola come se pesasse quanto un sacco di piume, inserì la chiave di accensione, facendole compiere un primo, mezzo giro.
Nel crepuscolo del sole nascente, il quadro elettronico della Bimota si illuminò come un albero di Natale. La lancetta del contagiri si mosse dolcemente, disegnando un incandescente arco arancione tra i numeri blu e quelli rossi della zona del limitatore, mentre il piccolo display del contachilometri scintillava come un minicomputer futuristico. Una volta che tutte le spie furono spente, il barman girò di nuovo la chiave.
Al suo fianco, Judai sobbalzò quando sentì la moto scuotersi di dosso il torpore della sosta notturna e ruggire alla luce del giorno. Lo scarico a lato mandò un assordante rombo, i dischi della frizione a secco presero a tintinnare tra loro in quell'assurdo suono che, ogni volta che lo udiva, gli sembrava di sentire il ticchettio di una pallina di ferro che rimbalzava tra le varie parti del motore.
Come Yusei fosse venuto in possesso di quella moto, era un mistero. Stando a quello che raccontava, era l'ultimo regalo di un caro amico, ma chissà che razza di amici aveva che potevano permettersi di spendere tanto per una moto che era tutto fuorché economica. Stando ai racconti del barman, la moto in questione era prodotta artigianalmente, e l'innovativa soluzione del sistema di sterzo nel mozzo ruota, a differenza della classica forcella telescopica, si pagava cara. Judai non aveva mai visto una moto del genere se non in qualche gara specialistica in pista, quelle che Yusei guardava spesso in televisione, e in una fiera a tema a cui aveva partecipato per accompagnare il suo amico; e a dirla tutta, ancora non riusciva a decidere se gli piacesse o meno. Era così...diversa da tutte le altre moto in circolazione, da spiccare per la strada come un papavero in mezzo a un campo di margherite bianche. Ma Yusei l'amava con tutto sé stesso, e passava anche ore in quel garage a prendersene cura, lucidarla e migliorarne le prestazioni. L'amava, la coccolava e accarezzava come se fosse una donna: secondo Judai ci metteva molta più passione.
Non sarebbe stato affatto scontato, trovarlo a dormire in garage accanto alla sua moto.

Infilarono entrambi i rispettivi caschi, Yusei fu il primo a scavalcare la sella e montare su; Judai si arrampicò sul codone poco dopo, sistemandosi meglio che poteva e tenendosi senza vergogna al suo collega.
Ci era voluto un po' perché gli passasse l'imbarazzo di un simile gesto. Per ottimizzare le spese degli spostamenti avevano deciso di alternarsi tra l'auto di Judai e la Bimota di Yusei: le prime volte, però, il castano era stato decisamente intimorito dalla due ruote del collega. Non gli mancavano le esperienze in moto, aveva preso parte a diverse uscite come passeggero di qualche suo amico, ma montando su moto completamente diverse: basse, lunghe, comode e borbottanti, con un sellone ampio abbastanza da poterci stare in due e, in alcuni casi, perfino un comodissimo schienalino su cui appoggiarsi nei lunghi tratti. La moto di Yusei era completamente l'opposto, e non era solo per quella strana soluzione ciclistica adottata dalla casa madre: era alta, snella ed essenziale, nuda come la modella di una catena di intimo; bastava girare lievemente la manopola ed ecco che gemeva come una ragazza alla sua prima volta. E il sellino del passeggero, seppur presente, era definibile come striminzito se messo a paragone con quello delle moto turistiche o da passeggio, e anche le pedane erano decisamente rialzate; ma soprattutto, non c'erano schienalini a cui appoggiarsi, e neanche maniglioni alla quale aggrapparsi. La prima volta che era montato su, e Yusei gli aveva detto di tenersi a lui, doveva aver fatto una faccia sconvolgente, perché il barman ci aveva riso sopra tutta la giornata.
Si era arreso solo quando aveva scoperto che, su un mostro del genere, non era consigliabile fare affidamento solo al suo equilibrio: ancora ricordava lo scatto al semaforo che l'aveva fatto scivolare giù di sella, e per fortuna che Yusei se n'era accorto, la moto improvvisamente alleggerita, e si era fermato. Judai aveva bestemmiato un paio di volte per la paura e per lo scarico che gli avevano arroventato il polpaccio destro; la voglia di fare l'equilibrista gli era passata quasi subito, ma non quella di tampinare il compagno per costringerlo ad andare piano in città. Con grande scorno di Yusei, c'era da dire, perché a quel ragazzo piaceva tutto tranne che andare piano quando poteva permettersi di girare la manopola del gas.

Si immisero nel traffico e dribblarono agilmente le auto già in colonna, facendosi barba dei clacson starnazzanti e degli improperi che gli automobilisti si scambiavano a voce alta dai finestrini. Il rombo della moto era assorbito dal casco, ma Judai proprio non riusciva a fare caso a quell'assurdo ticchettio che scuoteva la frizione: era assordante e fastidioso, creandogli un riverbero metallico che non riusciva ad essere schermato neanche dall'imbottitura del casco. Per non parlare di quando Yusei pigiava la leva della frizione: allora sembrava davvero che i dischi stessero per saltare in aria.
Il compagno gli aveva spiegato che tale rumore era imputabile a quella che si chiamava “frizione a secco”. A differenza delle altre due ruote, che usavano un sistema a bagno d'olio per ungere i dischi, la Bimota e qualche altra bicilindrica italiana non aveva nulla che lubrificasse la frizione: ne conseguiva una maggiore efficacia in innesto di marcia, ma a quanto pareva era molto più dura da azionare, e produceva quel caratteristico tintinnio che a molti dava fastidio.
A molti, appunto. Non a Yusei, che aveva addirittura rimosso il coperchio originale dai dischi della frizione per porne uno aperto, quasi volesse ascoltarlo meglio. Judai aveva paragonato il suono ad un trattore che trascinava un ceppo di catene su un pavé stradale, Yusei l'aveva cordialmente mandato a quel paese.
Doveva però ammettere che era bello, girare per strada senza essere schermati da un abitacolo. Judai non era mai stato troppo un tipo da moto, ma l'assoluta sensazione di libertà donata dalle due ruote gli stava facendo fare diversi pensierini. In futuro, magari, avrebbe preso in considerazione l'idea di adottare una due ruote: sarebbe stato meglio farsi consigliare da Yusei sulla sua prima scelta, sapeva che il suo amico sarebbe stato più che pronto a guidarlo sul nuovo acquisto.
Per il momento, scroccava passaggi.


****



La prima cosa che udì, di Yusei, era la moto. Nel silenzio che circondava la sala, a due ore dall'apertura, il rombo della sua due ruote sembrò volesse scuotere da cima a fondo l'intero bancone. Aki sollevò gli occhi sui bicchieri, preoccupata di vederli schiantarsi a terra da un momento all'altro.
La seconda cosa che sentì, di Yusei, erano i suoi passi nervosi che scendevano la scala.
La terza cosa che udì, di Yusei, era la porta di vetro fatta glissare con un gesto nervoso, e dei borbottii che assomigliavano ad imprecazioni.

Si voltò verso l'ingresso della sala, ignorando la stretta che percepiva allo stomaco: era così da quando era entrata al Pharaoh's Kingdom e si era cambiata, indossando la sua nuova divisa. Doveva chiedere di farsi sostituire la camicia, riusciva a chiuderla ma con molta difficoltà, e aveva la spiacevole sensazione che i bottoni dovessero saltare da un momento all'altro; il fatto che il gilet, poi, fosse leggermente più scollato di quello maschile non aiutava. Le piaceva, le stava anche bene forse, ma le sarebbe piaciuto anche sentirsi comoda.
Aveva atteso Yusei con impazienza, gettando nervose occhiate all'orologio mentre aspettava. E vederlo arrivare così all'improvviso le aveva creato una misteriosa vertigine nello stomaco. Accanto a lui, Judai trotterellava serafico, e la salutò con uno sventolio della mano destra e un grosso sorriso.
    -    Yuma deve ancora arrivare- gli disse Aki, quando Yusei passò accanto al bancone salutandola a bassa voce: era funereo in viso, cosa gli era successo?
    -    Lo so- rispose poi lui – C'è un traffico allucinante, credo ci siano dei lavori in corso. Siamo usciti con la moto-
E proprio della moto sembrava quello specchietto che il barman stringeva nella mano sinistra. Aki fece rapidamente due più due.
    -    Non ho avuto neanche il tempo di fargli una foto...!- sibilò Yusei, mentre si dirigeva ai camerini per cambiarsi – Ah, ma se lo ribecco...lo ribalto, lui e quel catorcio di auto che si ritrova!-
    -    Un simpaticone gli ha fatto saltare uno specchietto- spiegò Judai, fermatosi al bancone – Non ha rispettato il semaforo, ha attraversato l'incrocio a gran velocità quasi creando un incidente e Yusei è stato costretto ad una schivata d'emergenza. Purtroppo ci ha rimesso uno specchietto-
    -    Io direi per fortuna, piuttosto- rispose Aki, guardando la porta – Poteva andare molto peggio-
    -    Già, ma cerca di capirlo: Yusei ha un legame speciale con quella moto. Penso non tratterebbe così bene neanche una fidanzata-

La cosa le diede fastidio. Lo sentì pungerle fastidiosamente le guance e accelerare i battiti del suo cuore, mentre l'indice destro prese a picchiettare nervosamente sul bancone.
Perché? Insomma, che le importava? Erano problemi suoi se preferiva coccolarsi un ammasso di metallo, viti e bulloni invece di una ragazza no? E anzi, doveva anche esserne contenta! Il ragazzo era in ogni caso libero e che cosa stava pensando?!
Aki scosse il capo, sbuffando infastidita. Ci mancava solo che il suo cervello le giocasse uno scherzo del genere. Era la stanchezza? Sì, era sicuramente la stanchezza a giocarle simili scherzi: Yusei era – obiettivamente- un bel ragazzo, dotato di un certo fascino e dai modi gentili con tutti; ma da lì a pensare alla fortuna di averlo ancora “libero”, se così poteva dirsi, era completamente fuori luogo e disinteressato.

Yusei uscì dai camerini dopo qualche minuto, già vestito di tutto punto, ancora accigliato per via dell'incidente della moto: aveva le labbra strette e contratte in una lieve smorfia cupa e rabbiosa, quella di un bambino a cui si era staccato un pezzo del suo giocattolo preferito. Il giovane girò intorno al bancone e rimase ad osservare qualcosa sul suo cellulare per qualche attimo, prima di collegarlo ad una presa per la ricarica. Prese poi ad arrotolarsi le maniche della camicia fino ai gomiti, per essere più comodo durante la sua prestazione lavorativa: il drago si voltò a guardarla con sguardo serio e concentrato.

    -    Posso vedere?- chiese Aki, senza pensarci due volte.
Yusei si voltò ad osservarla per qualche secondo, sorpreso da tale richiesta. Abbassò gli occhi verso il disegno che gli vergava l'avambraccio, poi li rialzò verso la ragazza e annuì senza dire una parola.
In silenzio, la rossa colmò la distanza che li separava, e rimase ad osservare il disegno con un certo fascino. Chiunque aveva realizzato quel tatuaggio doveva essere proprio bravo: aveva reso con perfetto realismo ogni più piccola scaglia che gli corazzava il muso, e i suoi occhi fieri avevano una somiglianza sconcertante con quelli di Yusei. Stessa espressione seria e inflessibile, stesso sguardo diretto e imperscrutabile: il drago vegliava sui segreti del mondo con saggezza, pronto a far ardere il mondo in un immenso rogo se fosse stato necessario. E osservandone meglio le iridi, notava piccole sfere bianche al loro interno, minuscole stelle su un cielo notturno.
    -    Molto bello, davvero- notò Aki, passando le dita su di esso: il disegno era appena in rilievo, segno che il tatuaggio era perfettamente rimarginato, tuttavia non doveva essere passato molto tempo da quando l'ago gli aveva colorato la pelle d'inchiostro, a giudicare dalla nitidezza del disegno e delle sfumature – Ha fatto male?-
    -    Solo un po'- rispose lui, con un'alzata di spalle – Si è trattato di un fastidio sopportabile dopotutto-
    -    Ha un significato particolare?-
   -    Mi piacciono i draghi, molto semplice. È un simbolo universale di forza e saggezza: l'ho scelto come guida spirituale in un momento in cui mi sentivo perso-
Aki ripensò alle carte di Atem, e a quella che lui aveva definito “piantina stradale”. Qualcosa che mostrava le possibili vie d'uscita, senza fare distinzione tra quelle giuste e quelle sbagliate. Il drago sull'avambraccio di Yusei sembrava osservare tutto il mondo con il distacco di chi ne conosceva già la storia, e le conseguenze delle azioni e degli eventi.
Gli sfiorò la pelle con le dita. Il giovane barman sollevò gli occhi blu su di lei, osservandola in silenzio.

Come una ragazza come lei ci fosse finita, a fare da cameriera in un posto come quello, restava un mistero. Forse Atem ne sapeva qualcosa di più, sicuramente i due avevano parlato di questo; magari era una ragazza alla ricerca della sua posizione nella società, forse aveva bisogno di conferme per sé stessa più che per la famiglia. Quando era arrivata al Pharaoh's Kingdom, sembrava davvero un piccolo uccellino impaurito e caduto dal nido: l'impressione che le aveva dato era quella di una ragazza scappata da una reggia di cristallo. Vestita di tutto punto, elegante senza essere eccessivamente pacchiana, si era presentata nel locale carica di dubbi e aspettative. Cosa Atem avesse trovato, in lei, non sapeva definirlo, ma qualsiasi cosa avesse percepito l'aveva convinto a farla restare, e Aki non aveva tradito le aspettative in lei riposte: in quelle due serate aveva lavorato alacremente e senza sosta, con un impegno e una dedizione che l'avevano sorpreso e, in un certo modo, intenerito. Quasi avesse qualcosa da dimostrare ad un pubblico sconosciuto, la giovane aveva messo tutta sé stessa in quella nuova mansione.
Stando a quel che aveva capito, quella era la sua prima esperienza lavorativa in assoluto, ma la cosa non sembrava aver particolarmente influito. Si era messa in gioco e lo faceva ogni giorno, cimentandosi in nuove esperienze, con lo spirito di avventura e curiosità di chi voleva vedere una parte diversa del mondo: ammirevole, per molti aspetti.
La osservò mentre studiava il tatuaggio impresso sul suo avambraccio: gli occhi scorrevano con attenzione sulle linee e sulle sfumature, soffermandosi sui particolari. Li trovava molto belli, così grandi e vividi, di una sfumatura di castano molto calda. E se doveva dirla tutta gli piaceva anche il colore dei capelli: di un rosso che non era troppo acceso, ma verteva più su una gradazione vicina al carminio, apparivano lisci e morbidi, curati e setosi. Stava lottando per non passare le dita tra quelle ciocche, si accontentò di arruffare la sua folta capigliatura scura per frenare il suo impulso. E Aki dovette accorgersi di qualcosa che non andava, perché alzò quei begli occhi su di lui e lo scrutò curiosa.
Sì, era davvero carina. E finalmente aveva una divisa che la valorizzava: Atem doveva aver compreso che non era carino farla girare con dei pantaloni che le stavano due volte. Si morsicò l'interno della guancia destra quando gli occhi scesero dalla rosa argentata al collo fino al seno faticosamente contenuto dietro la camicia, con il gilet nero che sembrava sottolinearlo anziché nasconderlo. Yusei cercò frettolosamente un punto qualsiasi dove puntare lo sguardo, fermandosi sulle labbra; infelice scelta anche quella se doveva dirla tutta. Così piene senza essere grottesche, sottolineate appena da un velo di gloss trasparente,  due lievi petali di rosa che completavano l'opera ben riuscita del viso gentile ed elegante. Judai l'aveva chiamato feticismo, Yusei non sapeva come definirlo; ma aveva sempre provato attrazione per le labbra femminili nude, senza colori troppo accesi che celassero la loro vera tonalità né stratagemmi artistici per renderle più turgide e gonfie.
E per un breve, insignificante attimo, il giovane barman elaborò una teoria tutta sua sul perché Atem avesse acconsentito a farla restare in quel posto.

    -    Ehm-
L'osservazione reciproca doveva essere durata chissà quanto; abbastanza perché Judai terminasse di cambiarsi e definire il menù del giorno (anzi, sera), e facesse da silenzioso spettatore a quel reciproco studio di sguardi e gesti. Il castano era in piedi oltre il bancone, le mani giunte dietro la schiena, e osservava prima Aki e poi Yusei, entrambi persi in chissà quale invisibile dialogo. E quando i due si accorsero della sua presenza, e dell'equivocità della loro posizione, Judai dovette lottare con tutto sé stesso per non scoppiare a ridere come un bambino: i due lo scrutarono per qualche attimo, poi tornarono a guardarsi sorpresi, e infine si allontanarono uno dall'altra con uno scatto, quasi fosse apparsa tra i due una tarantola che minacciava di morderli.
Judai li assurse subito come coppia dell'anno.
    -    Ehi Yus--
    -    Non chiamarmi così lo sai che non lo sopporto...!-
    -    Hai fatto caso? Hanno terminato di sistemare la sala da biliardo!-
Momentaneamente dimentico dell'orripilante nomignolo usato dal collega, Yusei si voltò istintivamente verso il piccolo corridoio creato dalle piante a foglia larga che si trovava sull'ala sinistra della sala; Aki lo imitò curiosa, sporgendosi dal bancone.
    -    Una sala da biliardo?- chiese la rossa, incuriosita – Davvero? E da quando?-
   -    Da sempre!- esclamò Judai, con un grosso sorriso – Ma è stata chiusa per un po', necessitava di qualche operazione per rinnovarsi. Ora l'hanno riaperta-
    -    Atem non mi aveva mai parlato di una sala da biliardo-
    -    Probabile che non ti abbia detto neanche della terrazza con piscina vero?-
    -    ...N-no...-
    -    Hah! Quando arriverà l'estate ci sposteremo lì. Vedrai, farsi il bagno là dentro in chiusura è fantastico!-
Aki sorrise, piacevolmente colpita. Quel posto le piaceva sempre di più.
    -    Ehi, perché non gliela facciamo vedere? Mancano ancora due ore all'apertura, troviamo qualcosa da fare no?- propose Judai, scrutandoli entrambi.
    -    Se Atem non gliel'ha già mostrate va bene- rispose Yusei, girando intorno al bancone- C'è da chiedersi perché però-
    -    Beh, la sala da biliardo era ancora chiusa...e la piscina è bella da vedere quando si entra ufficialmente in estate. Vedrai Aki, sarà fantastico!-

Aki sorrise, sinceramente divertita e travolta dall'allegria del giovane chef. Li seguì entrambi verso l'ala sinistra della sala, lì dove c'erano quelle piante a foglia larga, lucide e belle, rigogliose e ben curate: conducevano tutte ad un velo blu che celava, dietro di esso, una sala lievemente più piccola di quella principale, dove stavano cinque tavoli da biliardo che parevano usciti dieci minuti prima dalla fabbrica, con lo scintillante legno scuro delle sponde e i tappeti verde brillante dove, ben raggruppate nei loro triangoli, le palle da biliardo avevano tutti i numeri rivolti verso l'altro. Le stecche stavano tutte impilate negli espositori di legno a muro, ritte come soldatini. Parquet scuro a terra, piante in ogni angolo e una raffigurazione di Iside, molto simile a quella che ornava il bancone, che prendeva tutta la parete: la dea se ne stava inginocchiata al suolo, le braccia aperte e le ali spiegate, ad osservarli benevola ma enigmatica.
    -    Ecco qui!- esclamò Judai, fiero quasi quella sala l'avesse costruita con le sue mani – Hanno messo nuovo parquet, nuovi tavoli e dato una rinfrescata al dipinto di Iside. Questa sera sarà nuovamente aperta per chi vorrà farsi una partita, nel frattempo la collaudiamo!-
E senza aspettare una risposta, Judai prese tre stecche dal muro: una la tenne per sé, la seconda la lanciò a Yusei che, colto alla sprovvista, fallì la presa e quella cadde a terra con un acuto cozzare sul parquet, la terza la porse gentilmente alla rossa.
    -    Possiamo farlo? Sicuro?- domandò Aki, incerta.
    -    Ma certo! - rispose Atem, come se fosse la cosa più ovvia del mondo – In fondo, la sala è anche nostra. Su, a te l'onore del primo tiro!-
L'urlo di spavento di Judai fu acuto e stridulo: il ragazzo trasalì con tale veemenza da sollevarsi da terra di qualche centimetro e allontanarsi precipitosamente, meritandosi un'occhiata sdegnosa di Yusei e lo sguardo sorpreso di Aki. C'era però da comprendere una simile reazione: Atem era entrato nella sala e si era avvicinato a loro senza che nessuno, dei tre, ne percepisse il contatto, quasi fosse sorto improvvisamente dal terreno o, più probabilmente, fosse sempre stato lì e nessuno se n'era reso conto prima. Il Faraone la osservò con l'ombra del suo consueto sorriso serafico sul volto, una mano sotto il mento quasi a sorreggerlo, e con un cenno del capo la invitò ad avvicinarsi al tavolo.

    -    Sicuro? Si può?- domandò Aki ancora, non del tutto sicura.
    -    Ma certo! Non avere paura, andrà comunque usato. Mai giocato a biliardo?- chiese Atem per tutta risposta.
    -    Qualche volta-
    -    Sai allora come si fa. Prego, il primo tiro è tutto tuo-
    -    Va bene-
Nel silenzio che si era creato, Aki si avvicinò al tavolo e tolse il triangolo, svelando le sfere all'intero. La pallina bianca era posizionata a poca distanza dalla sponda, pronta ad essere lanciata con un sapiente colpo di stecca verso le sue compagne. Cosciente del fatto di avere gli occhi di tutti e tre addosso, la rossa si chinò sulla sponda e cominciò a prendere le misure del lancio, facendo scorrere la stecca avanti e indietro nell'incavo tra pollice e indice.
Quando diede la stoccata, la pallina bianca schizzò in avanti e colpì le altre con un caratteristico “stock”. La forza impressa nel tiro bastò perché due palline, quelle agli estremi più lontani del triangolo, si muovessero come telecomandate ed entrassero in buca.
Salvo poi uscirne come se niente fosse.
In un primo momento, Aki pensò che avesse esagerato con la forza e che le palline fossero saltate fuori di conseguenza, ma c'era qualcosa nel loro movimento: era fluido e lento, impercettibile, come se fossero state effettivamente radioguidate.
Le due sfere si fermarono lì dov'erano sempre state, ad una perfetta equidistanza dalla sponda sinistra e destra. La rossa le osservò confusa, non sapevo come reagire, poi si voltò verso i tre compagni, pronta a porgere la stecca ad Atem: chissà se voleva anche lui fare quattro tiri.
Si rese poi conto che il Faraone non aveva assolutamente bisogno della stecca, per far muovere quelle palline. O almeno era quella la sua impressione. Gli occhi ametista si mossero di poco, e l'indice destro indicò la giovane cameriera: le due sfere si mossero ancora, procedendo dritte sul tappetino verde fino a cozzare con la sponda dove Aki si era fermata.
In perfetto silenzio, Atem sorrise in risposta al suo sguardo smarrito, per poi scuotere una volta le spalle in un leggero riso.
    -    Hai ragione- le disse poi – Quelle due erano in buca. Scusami, non ho resistito-
Di nuovo gli occhi si mossero, di nuovo l'indice impartì la direzione: e ancora le due sfere si mossero, stavolta con più velocità, per poi separarsi e tornare nelle buche alle due estremità più lontane del tavolo.
Aki alzò lo sguardo verso il Faraone...terrorizzata? Più sorpresa e meravigliata che realmente spaventata. Un conto era far apparire dal nulla delle fiamme, un altro era trasmutare un gilet in un corvo, e un altro ancora era muovere delle palline con la forza del pensiero: in mezzo a tutte quelle stramberie, la telecinesi sembrava quella più probabile e realistica.
    -    Di nuovo, scusa ancora- le sorrise Atem, chinando lo sguardo – Mi è davvero difficile resistere alla tentazione-
    -    Che...che cos'era quella?!- domandò la rossa, incerta – Illusione? Telecinesi? Cos'era?-
    -    Solo un esperimento-
    -    Ah?!-
Aki stava capendo ancora meno.
    -    Come penso tu abbia presto capito...- le spiegò, avvicinandosi e facendosi porgere la stecca da biliardo – Mi piace indagare sulle persone. Scrutare le loro menti, sondare le loro sicurezze. Mai Kujaku sostiene io sia un inguaribile ficcanaso, ma io ammetto che le meccaniche dell'animo umano mi hanno sempre affascinato, anche più dell'Egittologia. Capire, scoprire come la mente dell'uomo reagisce a determinati stimoli e immagini...lo trovo divertente e stimolante-
    -    ...Quindi tu usi queste...illusioni...per studiare le persone?-
    -    Sì, se ti piace chiamarle illusioni. Sono in realtà esperimenti. Ognuno reagisce in maniera diversa a determinate sollecitazioni. Gli stregoni del passato non erano altro che uomini profondi conoscitori dell'animo umano, e tutto quello che facevano era mirato a scuotere le menti. Tutto il resto...la divinazione, la cartomanzia, l'erbologia...era solo una facciata. Qualcosa che distraesse dalle loro vere intenzioni. Si facevano volutamente passare per ciarlatani, e a volte hanno rischiato e affrontato il rogo. E tutto questo in nome di una scienza che per i più è incomprensibile-
Anche quello che stava dicendo Atem era incomprensibile, almeno per lei: cosa voleva dire conoscere l'animo umano? Un concetto poetico senza dubbio, ma a quale scopo? Proprio non capiva il perché di tutti quegli effetti e quelle sceneggiate se, come il Faraone le aveva dimostrato, bastava saper interpretare il linguaggio del corpo per conoscere intenzioni, pensieri e storie delle persone.
    -    Immagino che ognuno debba trovare un passatempo che lo appassioni- concluse poi Atem, chinandosi sulla sfera bianca e sferrando una forte stoccata. La pallina bianca ne colpì altre tre mandandole in buca, prima di tornare lì dov'era partita.
Aki non sapeva dire se centrava la telecinesi o meno.


La serata procedeva con il copione ormai consueto del Pharaoh's Kingdom. La clientela era leggermente diminuita, vero, eppure Aki aveva ugualmente la sensazione di essere messa sotto pressione da decisi ritmi e scadenze perfette.
O forse era solo l'attività in cui Yusei l'aveva coinvolta.
Con un minore numero di avventori, Yugi riusciva a destreggiarsi benissimo tra i tavoli, raccogliendo ordinazioni e a volte trattenendosi con qualche cliente desideroso di informazioni; perfino Judai era più presente in sala che nelle cucine. Aki lo vedeva raggiungere spesso il tavolo dove sedeva una giovane dai lunghi capelli biondi e di una bellezza di prim'ordine.
Yuma li aveva raggiunti poco prima che il locale aprisse. Si era precipitato per le scale con una tale velocità che per poco non si era schiantato contro la porta di vetro, aveva frettolosamente salutato tutti e biascicato qualche scusa ad Atem che coinvolgeva il traffico, e i lavori stradali e le amministrazioni comunali che non sapevano lavorare; si era poi cambiato di corsa ed era risalito proprio mentre i primi clienti facevano il loro ingresso. Poi era di nuovo sparito per qualche secondo, borbottando qualcosa su dei medicinali da assumere.
Lavorare con Yuma e Yusei era decisamente divertente. Il primo, così energico e gioviale, funzionava da perfetto contrappeso al secondo, sempre serio e ben concentrato: entrambi avevano però una certa complicità di fondo, che li spingeva a scambiarsi battutine e opinioni e esperienze. Yuma sembrava del tutto dimentico del capitombolo che il più grande gli aveva fatto fare quella se-- mattina-, tirandolo bruscamente dietro il bancone, mentre Yusei sembrava aver superato, in parte, il trauma dello specchietto della moto, concentrandosi sulla sua attività e istruendo Aki a dovere.
Il primo cocktail che Yusei le fece preparare fu un analcolico, un Virgin Colada: le mostrò quindi i diversi bicchieri e le fece scegliere quello da vino, prima di porgerle finalmente il mano lo shaker argentato che riempì con il ghiaccio. Subito dopo fu la volta del succo di lime, e poi di panna, creme di cocco e succo di mela. Yusei la osservò intensamente per tutto il tempo che la ragazza passò ad agitare il contenitore, con uno sguardo indecifrabile e le braccia conserte al petto. L'idea di essere osservata con tanta concentrazione le seccò la gola e di nuovo percepì le guance farsi sempre più calde e rosse.
Stava arrossendo davvero troppo spesso per i suoi gusti, e la colpa era solo di quel ragazzo. Una volta che Yusei le porse il bicchiere da vino riempito di ghiaccio spezzato, colò con attenzione la miscela e, seguendo la sua guida, decorò poi con una ciliegia da cocktail e dell'ananas.
E per tutto quel tempo, il dolce odore dei frutti si era mischiato al suo profumo di aghi di pino.
Aki sbuffò, esausta neanche avesse terminato di correre una venti miglia; eppure il cuore le stava battendo all'impazzata nel petto con il ritmo di un tamburo tribale, la giovane temeva che il barman potesse addirittura sentirlo. Si sforzò di convincersi che era solo per l'ansia di aver messo finalmente mano ai suoi “ferri del mestiere”...sì, doveva per forza essere così, mentre alle loro spalle Yuma mostrava la sua personale idea di “agitare” uno shaker.
Si sentì improvvisamente stupida ed incapace, ad osservare le evoluzioni di cui quel ragazzo era capace con quel contenitore lucente. Lo ruotava, lo lanciava in alto per poi riprenderlo al volo, facendoselo passare sulla testa e riacchiappandolo con la mano dietro la schiena, mentre lei aveva tentennato perfino per prendere il bicchiere di vetro dal suo espositore.
Ma a quanto pareva, Yusei era alquanto soddisfatto del risultato ottenuto: sembrava addirittura contento, invitandola perfino a scattare una foto al suo primo analcolico.
    -    Ero convinto mi avresti sfasciato mezzo servizio- commentò poi il barman, beccandosi un lieve manrovescio sulla nuca dalla ragazza.
    -    Ma smettila!- esclamò Yugi, arrivato al bancone per prendere l'ordinazione – Sei stata davvero brava, Aki! Non badare a questo musone-
    -    Io non sono musone!-
Musone no, ma un po' permaloso lo era sicuramente, considerando con quanta energia negava quel suo tratto di sé. Aki si lasciò sfuggire un risolino che non sfuggì al ragazzo, voltatosi ad osservarla con occhi fattisi sottili prima di sorriderle a sua volta.

Fu andando più avanti con la serata che Aki ritrovò la spigliatezza dei primi due giorni, e riuscì a divertirsi tra bicchieri, muddler, Acqua di Seltz e miscele varie. Yusei continuò a farle preparare analcolici, così da non metterle pressione con l'idea di dover quadrare al millilitro le importanti dosi di alcol.
L'idea che si era fatta era che la coccolassero un po' tutti: il giovane barman tatuato sembrava avere molto a cuore il suo stato mentale e le sue insicurezze, chiedendole ogni volta se qualcosa non le fosse chiaro e se si trovasse bene, mentre Yugi si avvicinava spesso al bancone ad interessarsi alla sua nuova, temporanea posizione. Yuma sembrava aver preso il posto di Yuya, quella sera, sbizzarrendosi con continue evoluzioni anche nei tempi morti, in cui non arrivavano ordinazioni e non c'era nulla da preparare. Un paio di volte durante la serata, Judai si era avvicinato con un piatto di dolcetti tutto per lei, che la rossa aveva condiviso poi con i ragazzi del bancone.
E anche lei aveva notato quella strana, apparentemente magica complicità che c'era tra Judai e Alexis. Sebbene per lei quella ragazza fosse senza nome, non poteva notare che fosse davvero carina, con quei lunghi capelli lisci e biondi come un campo di grano e il viso pulito e gentile. Elegante nei gesti e nei modi di porsi, i suoi occhi parevano illuminarsi quando si posavano su Judai, che fosse per parlargli o per mostrargli qualcosa al cellulare.
In generale, era una sensazione definibile nuova e sconosciuta: se mai aveva avuto tutte quelle attenzioni in passato, ne aveva rapidamente dimenticato l'intensità e i benefici. Per quanto si sentisse sotto pressione, la sensazione suscitata era del tutto positiva: nulla a che vedere con l'idea di svegliarsi la mattina e dover soddisfare le difficili esigenze familiari, lì c'erano solo persone a cui interessava lei stesse bene.

Atem si fece vedere solo a fine serata.
Quando gli ultimi tavoli si liberarono e la troupe del Pharaoh's Kingdom poté cominciare a sistemare la sala, Aki si pulì soddisfatta le mani sul grembiule che le era stato fornito e sospirò soddisfatta, contenta di come la serata era andata avanti: lavorare con Yusei e Yuma era un vero piacere. Si era sentita guidata, mai abbandonata in qualcosa che, per lei, era relativamente nuovo, e non l'avevano mai fatta sentire di troppo. Sempre più convinta della scelta fatta tempo prima, e del suo nuovo percorso, la rossa perse qualche secondo per postare la foto del suo Virgin Colada sui social network, prima di notare, con la coda dell'occhio, lo sventolio di una giacca scura. Aki alzò lo sguardo giusto in tempo per vedere la figura di Atem posarsi la giacca sulle spalle, quasi fosse un mantello, e uscire dalla sala ad ampie falcate. Sbatté gli occhi sorpresa, poi si voltò verso Yusei e Yuma, sorpresi quanto lei.
Il secondo ad uscire a tutta birra dal salone fu Yugi, infilatosi velocemente un giubbotto. Judai fu il primo a seguirlo, incuriosito dall'improvviso silenzio del Faraone e dal modo in cui Yugi l'aveva seguito. Scambiandosi un veloce sguardo, i tre al bancone decisero di seguirli, non sapendo cosa effettivamente aspettarsi.
Ma più scendeva le scale che portavano verso l'uscita e più le concitate voci di chi stava fuori si facevano udibili ed alte. Aki sentì il cuore batterle all'impazzata: era forse successo qualcosa di grave?

Una volta uscita fuori, la prima cosa che la investì fu la pungente aria fredda della sera: ad aprile inoltrato non era consigliabile uscire vestiti troppo leggeri, e quella camicina non sembrava scaldare abbastanza. Tuttavia, il freddo passò in secondo piano quando vide ciò che si era preparato per loro al di fuori.
Il sole stava lentamente sorgendo: il cielo scuro era vergato da una sottile, fiammeggiante striscia arancione che delimitava l'orizzonte. Poche erano le stelle visibili in alto, e la luna stava andando a riposare dall'altra parte dell'emisfero, per lasciare il posto alla gigantesca stella fiammeggiante.
Tutto, però, perdeva di importanza e magnificenza, di fronte a quel terribile drago.
Aki sbatté gli occhi un paio di volte, incredula; se li stropicciò con foga, provò anche l'invitante desiderio di darsi un pizzicotto sul braccio, ma quando sentì la pelle del corpo protestare con dolore alla forte pressione dei suoi polpastrelli realizzò che no, non era un sogno, e no, non aveva inavvertitamente ingerito alcun alcolico.
Il drago si stagliava contro l'alba fiammeggiante, imponente e maestoso, crudele nei gelidi occhi blu e terribile con la sua chiostra di denti aguzzi. L'animale apparentemente uscito da un bestiario medioevale spiegò le ali e lanciò un terrificante ruggito, prima di sparire in un'esplosione di frammenti bruciacchiati di quella che, in lontananza, aveva l'aspetto di alcuni fogli di carta. Il vento li spostò in massa verso sud, una nube di quei foglietti sorvolò anche la loro zona prima che cominciassero a planare dolcemente verso terra. Gli occhi di Aki si sgranarono dallo stupore quando, una volta che quei pezzetti di cara cominciarono a cadere verso terra e toccarono il suolo, si rese conto che erano banconote; tutte spiegazzate e maltrattate, come se fossero state tutte appallottolate insieme, ma inevitabilmente banconote. Aki mise le mani a coppa e lasciò che una di queste atterrasse tra i suoi palmi con la leggerezza di una piuma: la toccò, passò i polpastrelli sulla ruvida superficie, la mise in controluce per studiarne la filigrana, e constatò con crescente incredulità che erano vere. Non si trattava di fac-simili, quelle erano autentiche banconote di piccolo taglio lasciate in eredità dall'immagine del candido drago dagli occhi blu.
Lo stupore era generale. La giovane Alexis, che era a sua volta da poco uscita dal locale per fare ritorno a casa, si era fermata con l'auto all'uscita del parcheggio ed era scesa ad osservare la misteriosa pioggia: anche lei aveva preso una delle banconote e le aveva osservate, e ora stava animatamente parlando al cellulare, sebbene Aki non riuscisse a capire cosa stesse dicendo.
L'unico disinteressato alle banconote era proprio Atem.
Se ne stava lì in piedi in mezzo alla strada, la giacca sulle spalle e un foglietto stretto tra le mani. Un autentico foglietto, non una banconota come tante che lo circondavano. Gli occhi ametista scorrevano le parole scritte con la calligrafia netta e decisa di Seto Kaiba.
A te la prossima mossa.



______________________________

E con il terzo capitolo di questa storia salutiamo (seppur in anticipo) il 2017!
Prego tutte le divinità di tutte le religioni, anche quelle che NON conosco, di far finire quest'anno alla svelta. Sul serio, non avete idea del calvario. Chi mi conosce sa cosa ho passato, alcuni l'hanno vissuto in prima persona: io vi ho raccontato solo il raccontabile, risparmiandovi tanti dettagli.
Almeno per voi, spero che questo anno vi abbia riservato qualche gioia e qualche gradita sorpresa, dei successi personali gratificanti e tante altre cose belle. A me, personalmente, è bastato poter tornare a camminare senza l'ausilio di deambulatori o marchingegni strani.

Ebbene sì signore e signori: anche Seto Kaiba è della partita! Il suo ruolo, al momento anticipato da Atem, verrà reso più chiaro più avanti nella storia: suo rivale nello stesso campo delle illusioni/magie.
Sappiamo tutti che, nell'originale, Seto Kaiba sta alla magia come Pippo sta alla Strega Nocciola: come fare allora a fargli credere, a farlo andare oltre le sue stesse superstizioni? Molto semplice, mettendolo in condizioni tali da non poter fare a meno di essa per raggiungere il suo scopo supremo. Quale sia questo? Anche questo lo conoscerete più avanti.
Sennò vi spoilero un po' troppo e siamo APPENA al terzo capitolo di una storia che COME TUTTE non so fin dove finirò, fin dove mi spingerò.

La moto di Yusei! Allora, parliamone perché qui vanno spiegate un po' di cose: trattandosi del mio universo come di un "ibrido" tra le varie serie, ma comunque ambientato su una base quanto più possibile "reale", ho dovuto cercare un'alternativa valida che non facesse sentire troppo la mancanza della Yusei Go. In realtà, essendo figlia di un papà motociclista che, in gioventù, correva in go-kart e si ribaltava sulle piste da motocross, ed essendo io stessa un'appassionata di motori, la ricerca è durata poco: sapevo già cosa usare!
La scelta è ricaduta sulla Bimota Tesi 3D Naked, della casa tricolore Bimota, appunto. Con sede a Rimini, il nome costituisce l'acronimo delle prime due lettere dei tre cognomi dei soci fondatori Bianchi, Morri e Tamburini. Quest'ultimo, conosciuto come "the Michelangelo of Motorcycling" per la bellezza dei suoi modelli, ha disegnato la mitica Ducati 916, tra le altre cose.
Come tante case motociclistiche italiane, la Bimota è nata producendo qualcosa di completamente diverso: la Lamborghini produceva trattori, la Ducati radio a transistor, e la Bimota, invece, impianti di riscaldamento e condizionamento. Proprio Tamburini cambiò rotta di produzione, data la sua smisurata passione per le due ruote.
Il modello Tesi, la cui visione moderna vediamo in mano a Yusei, è frutto di lunghe sperimentazioni e deve il suo nome alla tesi di laurea presentata dall'ingegner Pier Luigi Marconi (successivamente assunto in Bimota): questa proponeva una motocicletta che al posto della classica forcella telescopica (quella con i due "steli" ad intendeci) presenta un forcellone a due bracci che prevede un azionamento indiretto dello sterzo. Per capirci, le ruote sono collegate direttamente al telaio e non al manubio come le moto classiche, e questo dà alle Bimota un gran vantaggio in termini di stabilità in frenata e ingresso in curva, proprio perché questa soluzione permette una bassa collocazione del baricentro.
Altro appunto, a parte i prototipi e un modello da competizione, tutte le Tesi commercializzate sono equipaggiate con motori bicilindrici a L di produzione Ducati.
Ad ogni modo si tratta di un mostro di moto che si vede anche molto poco in giro, considerato che il commercio di due ruote in Italia è monopolizzato dalle giapponesi. Purtroppo devo dire: come al solito il nostro artigianato è un po' bistrattato.

Ditemi poi se vi sembra una buona erede della Yusei-Go...
E chi pensate sia il benefattore di Yusei...

Non penso ci sia bisogno di discutere sul misterioso tatuaggio di Yusei. Chiaro riferimento al suo marchio da Signer, e sebbene il drago in questione sia di aspetto più tradizionale e non assomigli, nella mia testa, magari in seguito lo disegnerò, a Polvere di Stelle...il suo riferimento è chiaro.
Il tema delle stelle tornerà spesso quando si parlerà di Yusei...prevedibile: come potere diversamente quando si parla di LUI? XD

In quanti di voi pensano che la risposta di Seto ad Atem sia forse un po' troppo esagerata? XD

Direi che qui è tutto ragazzi! Fatemi sapere che ne pensate in qualsiasi modo! Recensione, MP, post sulla pagina Facebook (ricordo che c'è il link nella pagina di profilo autore) bat-segnale o qualsiasi altra modalità vi venga in mente. Vi risponderò nel più breve tempo che riesco!
Un bacio a tutti ragazzi, vi lascio con un altro pseudo omaggio artistico che appena mi si ricarica la penna firmerò tanto per riaffermare la mia paternità xD e vi lascio con l'augurio che questo 2018 che sta per venire vi riservi qualcosa di buono <3
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92Rosaspina.

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Capitolo 4
*** 4. Gli Amanti, Cenerentola al contrario. ***


 
4. Gli Amanti, Cenerentola al contrario.


La bellezza, per le donne in ispecie, è un gran tesoro; ma c'è un tesoro che vale anche di più, ed è la grazia, la modestia e le buone maniere.
Carlo Collodi, Cenerentola.



 
Il quotidiano mostrava, in prima pagina, una foto a colori del drago comparso nei cieli di Nuova Domino quel mattino. La qualità non era eccelsa, forse era stata scattata al volo da un cellulare, ma rendeva bene l'idea di cosa fosse apparso quella mattina all'alba. L'articolo spiegava che l'intera cittadinanza era stata coinvolta in quella che sembrava un' “illusione collettiva”: il traffico era andato in tilt, causando ingorghi apocalittici con gli automobilisti che scendevano dalle auto per raccogliere le banconote sparse al vento. Illusione fino ad un certo punto, perché l'immagine del drago era scomparsa ma le banconote erano tangibili e soprattutto autentiche.
Anche senza quel biglietto capitatogli fra le mani, Atem avrebbe saputo dire con assoluta certezza che si trattava di un'opera di Seto Kaiba: spettacolarità e grande investimento di denaro erano parte della sua firma. Un magnate come lui, a capo dell'azienda leader nel campo dell'intrattenimento videoludico e della tecnologia, non perdeva nulla a lanciare al vento qualche milione in banconote.
Soprattutto se, stando a quello che riportava il quotidiano, rivendicava l'atto come sua iniziativa per promuovere la nuova, imminente uscita targata Kaiba Corporation in fatto di videogiochi: non si parlava di altro da mesi nell'ambiente dell'intrattenimento visivo, e il Dark Magicians stesso aveva deciso di organizzare un evento in concomitanza con l'uscita.
Ovviamente, l'unico a capire il reale messaggio di quell'apparizione fu proprio Atem.

    -    Pare che lo spettacolino dell'altra sera non gli sia affatto piaciuto- sorrise il Faraone, ripiegando il quotidiano e spostandolo con due dita della mano sinistra – Forse l'ho indispettito-
    -    Tu sapevi che lui ti stava guardando?- chiese Mana, i gomiti puntellati sul bancone.
    -    L'ho fatto entrare io nel locale-
    -    Da quanto tempo va avanti questa sfida, ormai?-
    -    Dai tempi delle scuole dell'obbligo...credo. Ho perso il conto. Ci siamo sempre scontrati, ma mai in modo così...plateale-
E le mostrò il foglietto arrivatogli. Mana prese il pezzo di carta tra le sue dita gentili, scorrendo con le iridi verdi le parole su di esso scritte. Quel “A te la prossima mossa” era un chiaro segnale: la sfida era tutt'altro che conclusa, anzi era appena iniziata. E il terreno di gioco era vasto abbastanza da perdersi nei meandri delle menti umane.
    -    Hai paura?- domandò la ragazza, incerta. Una mano avanzò di sua spontanea volontà e si posò sul pugno chiuso di Atem, a riposo sul bancone, sfiorandolo con la punta delle dita ed attirando la sua attenzione. Il Faraone le sorrise, enigmatico come sempre.
    -    Paura, sì- ammise poi – Ma non per me-
    -    Uh? Cosa intendi?-
    -    Non ho idea di quale sia il suo reale limite. Non è la sua abilità ad impensierirmi, ma il suo egocentrismo, la sua voglia di primeggiare a tutti i costi. Potrebbe creare più problemi di quanto non si pensi. E questo...- e rimise sotto gli occhi di Mana il quotidiano – Questo è una chiara dimostrazione dei suoi reali intenti, e del fatto che nulla potrà desisterlo dal suo obiettivo. Neanche l'incolumità delle persone-
    -    In altre parole, temi che si faccia prendere eccessivamente la mano?-
    -    Non è un timore, il mio. È una certezza. E non parlo a vanvera, considerato quello che è successo in passato-

Il mazzo di tarocchi marsigliesi di Mana era ancora in mezzo a loro: la giovane l'aveva posizionato, immaginando che lui volesse consultarlo, ma non era ancora stato toccato, fino a quel momento almeno. Gli occhi verdi di lei si posarono prima sulla mano destra di Atem, che tagliò il mazzo in tre per poi riunire il tutto mettendo, in alto, il mazzetto al centro, poi spostò lo sguardo sull'indice e medio posati sul dorso della prima carta, poi sul suo volto impassibile e pensoso. Stava ponendo il suo quesito alle carte, e quando voltò la prima, come lei si aspettava, i suoi occhi non tradirono alcuna espressione.
In cuor suo, già conosceva la risposta, ma voleva scoprire ulteriori pareri. E per quanto dicesse, le carte non mentivano in realtà. La posò sul bancone, il silenzio tra i due rotto solo dalla musica che fuoriusciva dagli altoparlanti.
Gli occhi di Mana si strinsero lievemente, ad osservare la torre scoperchiata da cui scaturiva una fiammata verso il cielo, una gigantesca Torre di Babele abbattuta dal fulmine divino.
La Maison Dieu, La casa di Dio o, più comunemente, la Torre. Simbolo di superbia e presunzione, punite con il castigo.
    -    Conosco Seto Kaiba troppo bene per non sapere cosa gli passa per la testa, in questo momento- concluse Atem, spostando la carta più a destra e indicando a Mana il mazzo.
    -    Cosa intendi fare?- domandò allora lei, incerta.
    -    Non voglio ostacolarlo, ma neanche aiutarlo. Dovrà capirlo da solo. E poi...non intendo privarmi del piacere della sfida. Seto ha lanciato il guanto tanti anni fa, io l'ho raccolto e continueremo con la nostra schermaglia finché ne avremo la forza-
    -    Non mi piace saperti in pericolo-
    -    Ma io non sono in pericolo-
    -    Sai cosa intendo-
    -    Non mi spezzerò. Non di nuovo-
    -    Lo so-
Entrambe le mani della ragazza si posarono sulla sua destra, gli occhi che si alzarono quando lui ricambiò la stretta e le sorrise ancora.

L'orologio a forma di ranocchia sul bancone segnalava le cinque e un quarto, e tuttavia Atem non aveva pensato all'apparizione nel cielo fino a quando non era entrato al Dark Magicians. Mentre Yugi passava in rassegna gli scaffali, alla ricerca di qualche interessante videogioco, il creatore del Pharaoh's Kingdom si era impegnato in una lunga discussione con Mana, ponendo quell'illusione collettiva come argomento principale. Mana era l'unica persona, tra le sue conoscenze, capace di andare oltre le superstizioni e le apparenze, forse l'unica persino di tenergli testa, e sebbene si fosse tenuta da parte e non avesse mai partecipato a quel genere di “giochi”, anche lei provava sempre più interesse verso le meccaniche della mente umana, e l'essere appassionata di esoterismi contribuiva molto alla sua visione del mondo e degli eventi. Ad unirli c'era un profondo affetto che si era radicato nel corso degli anni, e le vicende dell'ultimo anno li avevano messi spesso in condizioni di cercarsi e ritrovarsi, lasciarsi per poi riprendersi subito dopo. Atem faceva spesso visita al Dark Magicians anche senza usare Yugi e il suo interesse per i giochi come scusa per farsi vedere, lui e Mana restavano a parlare insieme per ore.
    -    Pensi potremmo rivederci, una di queste sere?- le chiese a bassa voce, quasi non volesse farsi udire né da Yugi né dalle colleghe di Mana. La giovane si fece sfuggire un furbo sorriso, alzando gli occhi al cielo quasi stesse pensandoci sopra.
    -    E tutto quest'improvviso desiderio da cosa nasce?- gli chiese poi, tracciandogli qualche cerchio sul dorso della mano con l'indice destro.
    -    È forse un delitto o un crimine voler passare del tempo con una persona a me cara?-
    -    E dove mi porteresti, Faraone? Nel tuo...regno?-
    -    Ti riferisci al Pharaoh's Kingdom? Pensavo a qualcosa di diverso-
    -    Ma certo che mi riferivo al Pharaoh's Kingdom!- Mana rise, gettando la testa all'indietro, una risata dolcissima quella che suonava dalle sue labbra – È passato tanto tempo dall'ultima volta che sono stata lì, avevate la sala da biliardo ancora in ristrutturazione! E poi vorrei anche vedere come stanno tutti gli altri...-
    -    Io pensavo a me e te, da soli-
Mana non aveva mai imparato a controbattere a simili risposte, né a difendersi dall'intensità di quegli occhi; e in cuor suo era certa che lui lo sapesse, e lo facesse apposta a farla sentire così piccola e lusingata, forse anche desiderata. Molti l'avevano considerata solo per quel dolce viso innocente sul corpo di un'adulta, lui invece la voleva con sé perché davvero apprezzava la sua compagnia. Tra le altre cose.
    -    Ma se preferisci, potremmo fare anche così. Potremmo stare al Pharaoh's Kingdom, e poi entrare nel mio regno-
Mana non rispose. Abbassò ancora lo sguardo, celando i begli occhi verdi dietro le impertinenti ciocche dorate che le scivolavano lungo il viso. Alzò una mano e se ne spostò una dietro l'orecchio destro, ben sapendo che entro tre secondi le sarebbe di nuovo scivolata sugli occhi. Senza rifletterci troppo tempo sopra portò le dita sul mazzo, esitò per qualche secondo e voltò la sua carta.
Un uomo tra due donne, e un cherubino che volteggiava sulle loro teste, pronto a scoccare la freccia. Les Amoreux, gli Amanti, l'unica carta che aveva bisogno di davvero poche spiegazioni. Atem sollevò una mano per spostarle una ciocca bionda dietro l'orecchio: la punta delle dita le sfiorò la guancia sinistra, facendole chiudere gli occhi.
Fu lei la prima a porre a contatto la propria fronte con la sua, gli occhi socchiusi e un sorriso che le curvava le labbra. Atem le sfiorò il naso con il proprio, intenerito.
Fu di nuovo lei quella a cercare le sua labbra alla cieca e baciarle, accarezzandogliele morbida e dolce. Il Faraone sorrise ancora contro la sua bocca, una mano salita ad accarezzarle ancora una guancia.
    -    Ah-

Il lieve colpetto di tosse di Yugi gli fece riaprire gli occhi e lo distolse dal volto di Mana. Atem si voltò quel che gli bastava per vedere il suo fratellino, che attendeva pazientemente il via libera per completare il suo acquisto. Dietro di lui, impossibile dire se compiaciute o sorprese, le tre colleghe di Mana, sempre rigorosamente posizionate in ordine di altezza, li osservavano con grandi occhi colmi di divertimento: la più alta si attorcigliava una ciocca di capelli biondi intorno all'indice destro, la seconda si copriva il sorriso con il cellulare coperto dalla cover rossa, e la terza stringeva tra le mani una console portatile colorata di turchese, come i suoi lunghi capelli.
Iooooo avrei finito!- esclamò Yugi, evitando a tutti i costi di incrociare lo sguardo con Atem, temendo forse qualche rappresaglia o una scarica di insulti per aver interrotto quel momento pseudo intimo. Mana stessa ebbe bisogno di qualche secondo per recuperare lucidità e annuì, riunendo di nuovo il mazzo e spostandolo in modo che non desse intralcio.
In fondo era bello anche osservarla così, a distanza mentre sbrigava il suo lavoro. La giovane ragazza dagli occhi verdi come un incantesimo era l'unica donna che, fino a quel momento, non era scappata via di fronte alle evidenti stranezze di Atem, anzi: le aveva accettate e l'aveva fatto sentire meno “speciale”, meno mosca bianca di come era indicato.
In fondo, non c'era nulla di male a voler approfondire i meccanismi del mondo; ma se in tante l'avevano trovato strano, ai limiti dell'alienato ed ingestibile per quel suo così strano interesse, Mana non si faceva alcun problema, forse perché era lei la prima a voler comprendere il modo in cui il Faraone osservava il mondo.
    -    A te, Yugi! Passa a ritrovarci presto- lo salutò Mana, consegnandogli la busta contenente i suoi acquisti.
    -    Grazie mille, Mana! E grazie anche a voi ragazze, è sempre un piacere vedervi!-
    -    Grazie a te, Yugi!-
    -    Anche per noi è un grande piacere vederti!-
    -    Anche se ci piacerebbe fare altro con te...-
Quando il ragazzo trovò evidente difficoltà nel rispondere alle tre coloratissime colleghe di Mana, cominciando ad emettere suoni disarticolati e sconclusionati con il miglior sorriso da ebete in faccia, Atem prese in mano la situazione; o meglio, afferrò il fratello per la giacca e se lo tirò via con una scena degna di un fumetto, scatenando le risate delle quattro ragazze. L'unico momento in cui il Faraone si voltò fu solo per salutare Mana con uno sguardo complice.

    -    Ahi! Che male, che bisogno c'era?! So camminare da solo!- esclamò poi Yugi, una volta arrivati all'auto. Atem sbloccò la chiusura centralizzata e attese che entrambi prendessero posto e chiudessero le portiere, prima di avviare il motore.
    -    E da quando in qua riscuoti tutto questo successo col gentil sesso, mh?- domandò invece l'altro, senza tuttavia togliersi il sorriso.
    -    Ah, da molto più tempo di quanto tu creda! Sarai mica invidioso?!-
    -    Eppure mi sembravi piuttosto impacciato di fronte a quell'avance chiara come il sole...-
    -    Sì beh, è che mi hanno preso in contropiede! Avrei saputo rispondere, giuro! Non pensare di essere l'unico ad avere la prerogativa!-
    -    Ah-ha, ne hai ancora di strada da fare, fratellino...-
    -    Questo lo dici tu! Io almeno non ho bisogno di giochi di prestigio, mi basta la mia gioviale presenza e la mia gentilezza!-
    -    Ci infilassi, in mezzo, anche un po' di sale in zucca e decidessi di parlare chiaramente ad Anzu sarebbe un quadretto perfetto!-
    -    Si beh, questo discorso dovresti farlo a Judai, se proprio ci tieni! Non sono così disperato!-
    -    Judai non è disperato, Yugi. Mi spiace ammetterlo ma è proprio stupido-
La risata di Yugi scosse tutto l'abitacolo. Atem ridacchiò a sua volta, chiedendo mentalmente scusa a Judai per il divertimento concessosi alle sue spalle.

 
****
 

    -    Oh, bene- sbuffò Aki sarcastica, osservandosi allo specchio.
L'occhio destro era piuttosto arrossato. Forse era entrata della polvere al suo interno che l'aveva irritato, o più probabile che la stanchezza le avesse giocato qualche brutto tiro. E per quanto avesse ridotto il make-up al minimo, con uno strato di mascara e una sottilissima linea di kajal messo tanto per, quando era andata a sciacquarsi la faccia per trovare un po' di sollievo era colato tutto lungo la guancia, disegnandole scie nere sulla pelle alabastrina. Con un gesto carico di nervoso e stizza per l'inconveniente, Aki aprì di scatto la zip della borsa e infilò tutto il braccio al suo interno, alla ricerca del suo beauty-case d'emergenza.
La serata stava cominciando davvero bene, ed ovviamente era sarcastica. Ripulì alla svelta le tracce di trucco sciolto, risistemò l'aspetto dell'occhio con pochi, sapienti gesti, per poi infilare tutto alla rinfusa nella borsa e tornare velocemente in sala.
Yusei era già lì ad aspettarla, insieme a Yuya. Anche per quella sera Atem aveva deciso di schierarla dietro il bancone, per non mantenere scoperta la postazione lasciata libera dall'assenza di Yuma; probabilmente anche il barman tatuato ci aveva messo lo zampino, comunicando che non se la cavava affatto male con gli analcolici.
Ad essere sincera, Aki non sapeva decidere quale delle due attività preferisse: le piaceva molto aiutare Yugi ai tavoli e portare ordinazioni avanti e indietro, trovandolo un ottimo esercizio fisico e un buon stratagemma per svincolare da responsabilità più grosse come il miscelare alcolici. Dall'altra, però, finché si trattava di preparare analcolici fruttati le andava più che bene. E poi era un motivo valido per stare vicino a Yusei.
Ammetteva, più a sé stessa che altro, che la silenziosa e discreta compagnia del barman era molto gradita: per quanto non riuscisse a dare un senso a quel segno dorato che gli attraversava un lato della faccia, lo trovava estremamente affidabile e dedito al suo lavoro. Oltre che, obiettivamente parlando, un piacere da vedere anche per i suoi occhi. Cosa ci trovasse in lui, non riusciva a spiegarselo: forse era per lo sguardo, così severo eppure carico di emozioni e sfumature che, letteralmente, lo faceva parlare con gli occhi, forse era quel persistente profumo di aghi di pino, magari era proprio quell'alone di mistero che gli conferiva quel segno sul volto. Ad ogni modo, stargli accanto era una gioia e un supplizio contemporaneamente.
Una gioia, perché con lui intorno sembrava tutto più colorato e leggero. Un supplizio, perché averlo sempre così vicino, inevitabilmente, la distraeva spesso.

    -    Eccomi qui!- esclamò Aki, una volta preso posto dietro il bancone. Yusei era in piedi dietro il lavello, le braccia conserte al petto, mentre Yuya stava pulendo con foga i suoi occhialetti.
    -    Pronta anche stasera?- le chiese lui, l'ombra di un lieve sorriso sulle labbra – Vogliamo continuare con gli analcolici o vuoi provare con qualcosa di più forte, stavolta?-
Eh, bella domanda. Aki soppesò le parole prima di rispondere: l'idea di provare qualcosa di nuovo la eccitava, ma la possibilità di sbagliare la frenava. Alzò gli occhi verso Yusei, scrutandolo quasi aspettasse un suggerimento da lui.
Speranza vana: il barman la osservava senza alcun cambio di espressione, le braccia conserte e il mezzo sorriso sulle labbra, ma gli occhi impietosi non accennavano alcuna possibilità.
    -    ...Non lo so. Tu che ne pensi?- domandò allora lei, con voce piccola quasi avesse paura a parlare.
    -    Se vuoi, possiamo cominciare con qualcosa di leggero. Non ti metto subito a fare qualcosa di estremamente complicato...facciamo così: continuiamo con gli analcolici ugualmente, e appena ho qualcosa per le mani che so che potrà riuscirti relativamente semplice, proviamo a farlo insieme, okay? Male che vada, potrò rifarlo in un batter d'occhio...ma almeno ci provi-
    -    Va bene!-
L'alternativa sembrava interessante e fattibile.
    -    Okay, allora cominciamo con il vedere un paio di cose-

La preparazione di cocktail era molto meno affidata al caso di quanto potesse sembrare. Ad osservare i tre barman trincerati dietro il bancone, Aki si era automaticamente convinta che le misure e le quantità andassero azzeccate ad occhio, e che solo con l'esperienza si potesse acquisire quella sensibilità e manualità tale da usare sempre le dosi giuste; forse non aveva tutti i torti, in fondo loro facevano quel tipo di lavoro da tanto tempo, lei aveva appena iniziato. La fortuna era stata che Yusei le aveva mostrato che, in realtà, era molto più semplice di quanto apparisse.
Il primo strumento che le insegnò ad adoperare fu il jigger. Aki rimase ad osservare a lungo il misurino segnato all'esterno.
    -    Ti potrà fare molto comodo all'inizio- le spiegò Yusei – Ma col tempo potresti imparare a fare senza. La misura più piccola contiene 30 millilitri, la più grande 60. Un'oncia è 30 millilitri, due once sono 60. Ora...-
Con un veloce gesto, il barman le mise di fronte due piccoli bicchieri da shot.
    -    I bicchieri da shot classici contengono un'oncia e mezza. Sono esattamente 45 millilitri. Noi facilitiamo le cose e utilizziamo direttamente bicchieri da un'oncia. È più facile per noi e i nostri clienti si ubriacano di meno...e brutto da dire ma è così, comprano di più-
    -    Invidiabile strategia di marketing- notò Aki, le braccia conserte al petto.
    -    Immagino si possa chiamare così. Ora, sentirai parlare molto spesso di “parti”, quando prepari cocktail. Le due once diventano due parti, l'oncia diventa una parte. Ora...-
Ma che bella voce che aveva? Non ci aveva mai fatto caso prima di quel momento, forse perché non aveva mai parlato così a lungo e con tanta concentrazione. Aki sorrise, continuando ad osservarlo mentre le mostrava diversi bicchieri di diverse misure e le spiegava le varie differenze. Da quanto tempo faceva quel mestiere? Da tanto, indubbiamente, a giudicare dalla sicurezza con cui ne parlava. Sembrava davvero sapere il fatto suo...doveva saperlo, per essere all'unanimità nominato come capo bar.
Spostava spesso lo sguardo sul soggetto a cui si stava riferendo in quel momento, fosse stato il bicchiere, il jigger, Judai che lo scimmiottava da lontano o Yuya che sistemava distrattamente qualche bottiglia, mentre Yusei si arrotolava le maniche della camicia fin sui gomiti e scopriva il tatuaggio. Le tornò in mente il modo e la facilità con cui aveva sollevato Yuma il mattino precedente: quanto doveva essere davvero forte? Era tutto fuorché un tipo emaciato e malaticcio, e poi guidava una moto...quanta forza richiedeva, una moto, per essere portata? Che bello, però, che doveva essere saper guidare una rabbiosa due ruote, gestire tutta quella potenza solo con qualche abile rotazione di polso e il peso del corpo sapientemente posizionato! Il vedere il mondo nella sua interezza, entrare a far parte di esso e non farsi schermare dallo stretto abitacolo di un'automobile. Le piaceva vedere il modo in cui i muscoli delle braccia sembravano premere sotto la camicia, e peccato che indossasse un gilet che nascondeva le forme del petto; poteva provare ad intuirle, ma quel gilet era davvero troppo scuro. Aveva delle belle mani, comunque, non ci aveva mai fatto caso: forti e grandi al punto giusto, capaci di afferrare al volo bottiglie e bicchieri come di centellinare le dosi di alcol o girare la manopola del gas. Judai diceva che il barman non avrebbe trattato neanche un'ipotetica fidanzata con la stessa cura e affetto che riservava alla sua moto...ma era davvero il caso di credergli? Magari era qualcosa che aveva detto così, per ridere e prenderlo in giro; in cuor suo ci sperava, sarebbe stato come chiudere un cerchio perfetto su quel ragazzo dal misterioso segno...
    -    Yus...-
    -    Oh che diavolo, vi ho detto che questo nomignolo mi dà fastidio!-
    -    Se mi fai prima finire di parlare, credo che Aki abbia smesso di ascoltarti da un pezzo-

Il silenzio improvviso la catapultò fuori dal suo turbine di pensieri. Aki sbatté un paio di volte i begli occhi castani, rendendosi conto solo ora di avere l'indice destro tra le labbra. Riprese subito compostezza, muovendo qualche lieve passo sul posto, per poi guardarsi intorno, e subito dopo arrossire per il mortale imbarazzo.
Aveva completamente ignorato le parole di Yusei per concentrarsi su qualche sua fantasia di chissà che tipo...! Spostò velocemente lo sguardo da Yuya, i cui capelli sembravano ancora più accesi del solito, forse li aveva ricolorati?, a Yusei che la scrutava quasi alla ricerca di qualche male immaginario, fino a Judai che, a debita distanza dal bancone, aveva smesso di scimmiottare il barman per osservare la rossa, con le mani giunte sulla bocca a nascondere un grosso sorriso malandrino; peccato che i suoi occhi ridessero prima ancora delle labbra.
    -    Aki? Tutto bene?!- domandò Yusei, incerto.
Oh sì certo Yusei, stavo solo pensando a quanto la tua voce era bella graffiante e a come devi essere muscoloso per poter portare una moto e sollevare gente a caso da terra ma figurati, come funziona allora con questi cocktail?
La rossa scosse il capo, cercando di riprendere contegno e senso di conservazione. Lì successe il disastro.
Dapprima sentì una fastidiosa sensazione che le comprimeva il petto all'altezza del seno: la stringeva con una certa pressione, quasi fossero due mani quelle che la serravano. E poi, senza preavviso, la pressione venne rilasciata tutta d'un colpo, lasciandola libera di respirare. Il bottone schizzò in avanti come un proiettile, sbattendo rumorosamente contro il mobiletto di fronte e tintinnando a terra, Yuya ne seguì la traiettoria con lo sguardo mentre Yusei si guardò intorno alla ricerca della fonte di quel rumore. Muovendosi quasi al rallentatore, Aki abbassò gli occhi su di sé, individuando spuntare, tra i lembi candidi della camicia, il profilo scarlatto delle coppe del suo reggiseno.
Non trovò neanche la forza per urlare dalla vergogna: si abbassò di scatto, accucciandosi sulle sue stesse gambe, le braccia premute al petto e gli occhi sbarrati nel vuoto. Yusei le si inginocchiò subito accanto, preoccupato, mentre Yuya andava alla ricerca del bottone misteriosamente scomparso.
    -    Aki?! Aki! Che c'è?!- domandò il barman, agitato, posandole le mani sulle spalle – Ti senti bene?!-
No, non si sentiva affatto bene. E lo era da quella mattina anche se aveva cercato in tutti i modi di nasconderlo e non pensarci. Un nodo le strinse la parte bassa del ventre, mentre lei scuoteva il capo.
    -    Ho...ho perso il bottone...!-
E lo disse con la voce così piccola, e le guance così rosse, che Yusei fu costretto a frenare una forte risata. Non di scherno, ma di tenerezza.
    -    Io non ritrovo il bottone...!- esclamò Yuya, anche lui inginocchiato sul pavimento, con il petto ben aderente al suolo mentre scrutava il pavimento – Credo sia finito sotto il mobile-
    -    E allora resterà lì finché non puliranno- concluse Yusei – Vai a lavarti le mani dopo, che hai toccato il pavimento. Aki, hai una camicia di ricambio?-
    -    Questa è l'unica-
    -    Ci sono dei kit di cucito, nei camerini- disse Yuya, alzandosi in piedi e spolverandosi le mani sui pantaloni – Ho dei bottoni di riserva, se vuoi puoi usarli! Puoi appuntarne uno nuovo!-
    -    ...Non so cucire-
    -    E che problema c'è? Lo faccio io!-
La spontaneità della risposta di Yuya le fece alzare lo sguardo. Il ragazzo le stava regalando un ampio sorriso, mentre si sistemava gli occhialetti.
Se ne vergognava, Aki. Se ne vergognava profondamente, di non saper eseguire autonomamente un'azione così semplice e basilare come il cucito. Non le era mai stato insegnato, così come non le era mai stato mostrato come cucinare o caricare una lavatrice: ci sono le domestiche pagate per fare questo, le dicevano il padre e la madre.
Era cresciuta così, vezzeggiata e preservata da qualsiasi attività potesse implicare anche il più piccolo rischio, dallo scottarsi al bucarsi con un ago piuttosto che scivolare su una macchia d'acqua. E stava imparando, seppur lentamente, a sopperire autonomamente alle mancanze idiote della sua educazione fin troppo privilegiata; ma c'erano tante cose di cui ancora non era pienamente capace, e il confessarlo la faceva sentire stupida e incompetente.
Ancora doveva rendersi pienamente conto che di quelle mancanze nessuno, intorno a lei, ne faceva realmente un dramma.

 
****

    -    ...e ma CHE CAZZO!!!-
    -    AKI?! Tutto-tutto bene?!-
    -    Uff...sì Yu, sì. Diciamo di sì-
    -    Sicura?! Che hai da urlare così?-
    -    Niente Yu...inconvenienti femminili-
    -    Inconvenienti fem—OH-
    -    Mh, già. Puoi farmi un favore, già che ci sei? Potresti passarmi la borsa? È quella rossa, dentro l'unico armadietto aperto. Ho dimenticato anche il lucchetto a casa, oggi...-
    -    Va bene, solo un secondo-
Yuya lasciò la camicia e la scatola di bottoni sull'asse da stiro, andando a spalancare l'armadietto senza lucchetto e prelevando l'unica borsa rossa presente al suo interno, badando a non far cadere le scarpe.
    -    Ecco qui. Vuoi tutta la borsa o ti serve qualcosa di specifico?- domandò Yuya, rivolto alla porta chiusa del bagno.
    -    Tutta la borsa, a meno che tu non sappia come sia fatto un assorbente...-
    -    Tieni-
Yuya schiuse la porta quel tanto che bastava per farci passare la bustina viola. La voce di Aki lo ringraziò impercettibilmente.
    -    Lo sapevo, c'era un motivo se me le sentivo più gonfie...toh, guarda qui che roba!- sbuffò poi la ragazza, ben chiusa nel bagno. Yuya si voltò a scrutare la liscia superficie in betulla della porta, prima di aprire la scatola di bottoni e scegliere quello più simile agli altri appuntati sulla camicia.
    -    Questa cosa che vi si gonfiano le tette quando avete le vostre cose non mi è del tutto chiara- buttò poi lì il ragazzo, prendendo ago e filo bianco.
    -    Sei un maschietto, Yuya, non potresti mai capire il disagio-
    -    No, infatti, ma da quello che so è una gran rottura. Lo è anche per la mia ragazza-
    -    ...Tu hai una ragazza?!-
    -    Certo! Perché questo stupore?-
    -    No, è solo che...-
Complimenti Aki, si disse la rossa, rialzando intimo e pantaloni e spalancano il rubinetto per lavarsi le mani. Gaffe più grossa non potevi farla. Genio che non sei altro, questa serata è iniziata MALE e minaccia di finire ancora peggio!
    -    Cos'è, trovi sia strano che un buffone come me abbia una fidanzata?- chiese allora Yuya.
Aki socchiuse la porta del bagno con le mani ancora umidicce. Il ragazzo se ne stava lì, vicino all'asse da stiro, con gli occhialetti calati sugli occhi e l'ago ben sollevato mentre cercava di far passare il filo nella cruna. Non sembrava particolarmente infastidito, a dirla tutta.
E tuttavia dubitava che quegli occhialetti servissero a farlo vedere meglio.
    -    E tu pensi che sia strano?- domandò allora Aki, rigirando la domanda.
Yuya strinse la lingua tra le labbra in una smorfia di concentrazione.
    -    Cosa vuol dire strano?- le chiese ancora, facendo finalmente passare il filo.
    -    ...Immagino voglia dire che non è normale-
    -    E cos'è normale? Perché una cosa può essere definita “normale” e un'altra no? Cos'è che fa meritare la denominazione di “normale”?-
    -    ...Immagino che “normale” sia quella cosa che è universalmente accettata da tutti-
    -    Quindi “strano” vuol dire che una cosa è accettata da pochi?-
    -    Immagino di sì-
    -    Mh, interessante spunto di conversazione. Continuiamo per favore-
    -    Va bene, se insisti...-

Dove voleva arrivare? Aki stessa era ormai curiosa.
A dirla tutta, era incuriosita in generale da quel ragazzino troppo cresciuto, con i capelli a semaforo e gli occhialetti e il serafico volto sempre sorridente. Lo osservò stendere con cura la camicia sull'asse, posizionando il bottone alla stessa distanza degli altri.
    -    Tu dici che “normale” è una cosa che è universalmente accettata da tutti- riprese Yuya, creando un piccolo nodo all'estremità del filo – Allora potremmo considerare “normali” tutti i crimini del mondo, no? Gli attentati, gli assassini, gli stupri e via dicendo-
    -    Che dici?! Certo che quelle cose non sono normali!- esclamò Aki, piccata.
    -    Già, ma sono universalmente accettate da tutti. Tutti sappiamo che esistono questi crimini, tutti sappiamo che c'è gente che li commette, e tutti noi abbiamo accettato la loro esistenza. Di conseguenza, per noi è “normale” parlare di violenze di ogni tipo-
    -    ...Credo di aver capito cosa vuoi dire. Che i concetti di “normalità” e “stranezza” variano di persona in persona, giusto?-
    -    Esattamente. Per te, io sono strano? Sincera-
    -    Beh, normale non sei sicuramente, con quei capelli verdi e rossi...-
    -    Ahahahaha! Dai, sul serio!-
    -    Capelli a parte, non vedo niente che non vada bene in te-
    -    Capisco. Quindi non hai pregiudizi né pretese verso gli altri-
    -    ...Io sono cresciuta tra queste cose-
    -    Oh?-
    -    La mia...la mia famiglia, bada molto all'apparenza, più che alla sostanza. E alla difesa del buon nome. La nostra famiglia sforna avvocati, primari, gente che nella società conta qualcosa, che si fa un nome in tanti ambiti lavorativi. Poco importa se la prospettiva di una vita in studio o in sala operatoria non ti sconfiffera, sei...marchiato, ecco. Predestinato, a vita, a seguire quel determinato percorso che i tuoi genitori e parenti hanno preparato per te-
Yuya alzò lo sguardo verso di lei. Gli occhi diversi la osservarono sporgersi dalla porta del bagno, lo sguardo che puntava il vuoto.
    -    Ti vengono dati i migliori mezzi- continuò Aki – Frequenti le migliori scuole, i migliori club sportivi, monitorano le tue amicizie per assicurarsi che tu non finisca su cattive strade. E finché stai al gioco va tutto bene...poi metti in moto il cervello, ragioni qualche minuto, capisci che ti stanno plagiando la mente ma è troppo tardi per uscirne, a meno di non fare qualche grosso colpo di testa-
    -    Cosa si aspettavano, i tuoi genitori, da te?-
    -    Ma non lo so...forse che restassi con loro e basta. Non hanno mai pensato che le ragazze come me fossero fisicamente pronte a seguire una professione-
    -    E tu cosa vorresti fare? Stai studiando?-
    -    Sì-
    -    Cosa?-
    -    Medicina-
    -    Mh, un modo come un altro per tenere buoni mamma e papà?-
    -    Non lo so. Non lo so più. Pensavo che la strada del medico fosse quella giusta per me, e in un certo senso lo sento ancora, ma ora credo di avere altre priorità-
    -    Del tipo?-
    -    Del tipo imparare a cucirmi i bottoni da sola...cucinare senza bruciare per forza anche i surgelati, fare una telefonata senza vergognarmi, imparare ad usare una lavatrice, cose così-
    -    Quindi imparare quelle cose che sono quotidiane, giusto? Non te l'hanno mai insegnato?-
    -    Mai. Avevamo le governanti, per queste cose-
    -    Capisco. Una ragazza ricca che vuole vivere come Cenerentola...beh, questo è davvero strano!-
In pochi, semplici passaggi, Yuya assicurò il bottone all'orlo della camicia. Tagliò via la parte eccedente del filo e porse l'indumento ad Aki, lasciando che chiudesse la porta del bagno per rivestirsi.
    -    Stare con Yusei ti farebbe bene, lo sai? Anche solo per un po'-

La sentì fermarsi, interrompere volutamente la sua operazione di vestizione per restare in ascolto. Nel silenzio calato tra loro, Yuya poté quasi vedere il volto di lei alzarsi e guardare la porta con espressione stupita.
    -    Perché?!- domandò poi lei, ingenuamente.
    -    Perché Yusei è completamente opposto a te- rispose Yuya, le braccia incrociate dietro la testa – Per noi è una specie di lupo solitario con qualche problema. Sa cavarsela benissimo da solo, e sembra estremamente burbero, sempre così serio com'è...ma è pronto a servirti il cuore su un piatto d'argento se la situazione lo richiede. Ha imparato presto a badare a sé stesso. Non ha avuto quella che si definirebbe “una vita facile”-
    -    Anche Yugi mi ha detto la stessa cosa, il primo giorno che ci siamo conosciuti. Non capisco cosa voglia dire-
    -    Quello che hai sentito. Ha avuto i suoi problemi, le sue vittorie e tante sconfitte. Quell'aria grezza e accigliata che ha è solo una facciata che ha eretto come difesa, usando questo suo lato del carattere come scudo per difendersi dalle negatività e cattiverie. Un po' come ho fatto io-
    -    ...Perdonami Yuya, ma tu mi sembri tutto fuorché cattivo o...o burbero, come hai detto tu-
    -    ...No infatti, non lo sono. Mia madre dice sempre che il mio vero problema è voler indistintamente bene a tutti, e perdonare anche chi mi rema contro, e in effetti è vero. In un certo senso. Ma tanto per le persone sono strano, no? Sono un ragazzo che gioca con bottiglie e bicchieri e che si diverte un mondo anche con le cose più stupide. Chi vuol capire...-
Era chiaro dove volesse andare a parare, e tuttavia quell'attimo di esitazione che aveva avuto a inizio della frase non era passato inosservato. Aki aprì la porta, sistemandosi il colletto della camicia: il bottone era stato sistemato a dovere, e nessuno avrebbe potuto dire che si trattava di un rammendo fatto da un ragazzo che lanciava bicchieri.
    -    La-La scollatura è evidente lo stesso, ma almeno non rischierai di restare nuda nel bel mezzo del lavoro-
    -    Grazie, Yuya- rispose Aki, pizzicandogli una guancia e scatenando una forte vampata sulle guance chiare del ragazzo – Sei stato davvero gentile ad aiutarmi-
    -    Per amici e amiche, questo e altro!-
E lo disse con un sorriso così luminoso da far brillare l'intero quartiere.
    -    Torniamo su, è quasi ora- disse poi la rossa, incamminandosi verso le scale – Ehi, Yuya! Che tipo è la tua fidanzata?-
    -    AAAAAAH, aspetta aspetta! Te la mostro subito!-
Fossero stati in un cartone animato, il ragazzo avrebbe iniziato a sparare cuoricini ovunque, perso in chissà quanto grandi nuvole di zucchero filato. Nella realtà dei fatti smanettò velocemente sullo schermo del cellulare, prima di piazzarglielo sotto il naso con la foga dei bambini che mostravano un nuovo disegno alla mamma.
La foto sul profilo Instagram ritraeva Yuya e la sua fidanzata nell'azzurra cornice di un parco acquatico; lo scatto era stato eseguito dalle sapienti mani di una terza persona che li aveva ritratti mentre, quasi fossero dimentichi del resto del mondo, il giovane teneva sollevata la ragazza fino a farle staccare i piedi da terra. Entrambi con due enormi sorrisi sul volto, Yuya con i suoi inseparabili occhialini e quegli assurdi capelli verdi e rossi che, se doveva dirla tutta, non le dispiacevano affatto, sembravano scambiarsi parole d'amore con gli occhi prima ancora che con la bocca. E stretta a lui, in un forte abbraccio che stava ricambiando, la sua fidanzata gli sorrideva, gli occhi blu come il mare e i capelli di una simpaticissima tonalità di rosa.

 
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Atem si presentò a serata già avviata, comparendo dal nulla come suo solito fare: semplicemente se lo ritrovarono lì, ad osservarli silenzioso ed enigmatico come una sfinge nel deserto, con quello sguardo che tutti, Aki compresa, avevano imparato a decifrare come attento e vigile. Le rivolse un sorriso d'intesa quando incrociò il suo sguardo, mentre a Yusei e Yuya riservò un cenno col capo. Judai sembrò non accorgersi della sua presenza, impegnato com'era a portare piatti avanti e indietro per i tavoli.
    -    Mi sembra ti sia ambientata molto bene- notò il Faraone, con un lieve sorriso, quando Aki fu abbastanza vicina. La rossa abbassò il tablet che stava scrutando e ricambiò il sorriso d'intesa.
    -    Dopo l'impatto iniziale, è stato tutto molto più semplice- ammise lei.
    -    Impatto iniziale, eh? Centra forse quella mano di blackjack?-
Aki dovette arrossire all'istante, perché il Faraone scoppiò in una risata divertita che fece voltare anche Yugi, intento a chiedere qualcosa ai ragazzi dietro al bancone. La rossa spostò il peso da una gamba all'altra, incerta se rispondergli a tono o meno.
Quella mano di blackjack con cui li aveva conosciuti era l'ultima cosa che voleva ricordare, e per diversi motivi: la sua iniziale insicurezza in primis, perché detestava essere così pateticamente impacciata anche se stava affrontando qualche novità. Doveva però anche contare, appunto, quell'assurda scommessa in cui era stata tirata dentro e ultimo, ma non ultimo, Yusei e la sua figura semplicemente coperta da un grembiule.
Non aveva mai visto un uomo nudo...non di persona, almeno: solo in foto, per farsi un'idea “generale” di cosa aspettarsi in futuro. Con tutti i fidanzati che aveva avuto non era mai arrivata a quel punto: a volte per sua intenzione, altre per scelta degli altri, esasperati dal suo atteggiamento remissivo e la sua insicurezza su quel lato della vita di coppia. E sebbene ci fosse una certa curiosità di fondo, non aveva esattamente l'intenzione di soddisfarla subito.
Tuttavia il primo incontro con Yusei era sembrato architettato da chissà quale congiunzione astrale per farle ricordare, con un certo imbarazzo anche, tutte le volte in cui era stata sul punto di “concedersi come una facilotta a qualcun altro”, come spesso commentava aspramente sua zia, quando veniva a sapere di sue nuove conquiste.
In un certo senso, era molto contenta di non essersi subito lasciata andare.
Il fatto era che a volte, ma solo a volte appunto, non le sarebbe dispiaciuto afferrare al volo determinate allusioni o contesti, così come poter rispondere per le rime a simili...non frecciatine, piuttosto pizzichi: Atem riusciva ad essere insospettabilmente delicato ed elegante anche quando si trattava di pungolare qualcuno sul sesso.
    -    Perdonami- le disse poi, sorridente – Ultimamente mi sto prendendo troppi divertimenti alle tue spalle-
    -    Fi-figurati- rispose Aki, incapace di controbattere.
    -    Tuttavia non era per questo che sono giunto qui. Per il momento questo non ti serve-
Con una delicatezza disarmante, Atem le sfilò dalle mani il tablet, prendendo in consegna anche la penna digitale. Aki lo osservò incerta, guardandolo fare cenno a Yugi di avvicinarsi.
Cosa stava pensando di fare?
    -    Judai deve aver terminato le preparazioni- disse poi il Faraone – Continuerò io con le ordinazioni, ma vorrei che andaste a preparare le stanze. Così potrai farle vedere la seconda parte del locale, Yugi-
Il giovane annuì con vigore, sotto lo sguardo curioso della rossa. Gli occhi di Aki osservarono la figura di Atem allontanarsi tra i tavoli: se n'era andato con un curioso sorriso soddisfatto.
Davvero, cosa stava succedendo? E perché aveva parlato di stanze?
    -    Vieni dài, ti faccio vedere-

La gentilezza di Yugi aveva un che di sconvolgente: la sua educazione sembrava davvero quella di altri tempi, complice anche una silenziosa, sfuggente timidezza che lo caratterizzava. Avere a che fare con lui era soddisfacente anche per il solo pensiero di avere, accanto, una persona aperta all'ascolto e al dialogo, un po' come Yuya ma in maniera meno sbarazzina e irriverente. Aki lo seguì attraverso la porta a soffietto delle cucine, da dove Judai appariva e spariva come l'uccellino di un cucù.
Quando varcò la soglia delle cucine quasi sembrò di entrare in tutt'altro mondo: non aveva mai visto l'interno delle cucine di un locale se non in qualche trasmissione televisiva a tema, ma non immaginava un tale allegro e movimentato caos. L'aria satura di vapore e profumi la investì con un soffio caldo, mentre un paio di ragazze si scambiavano velocemente di posto per ultimare delle preparazioni. Judai correva da una parte all'altra della sala, dando ordinazioni e assaggiando qui e là, dando suggerimenti e correzioni; li salutò con un ampio gesto del braccio, invitandoli a farsi avanti.
    -    Questa serata è piuttosto movimentata- commentò lo chef, con un bel sorriso e i capelli lievemente arruffati – Come va Aki? Che ne pensi delle mie cucine?-
    -    Piuttosto...caotiche- commentò la rossa, con un mezzo sorriso – Toglimi una curiosità...se sei l'Executive Chef del locale, perché è più il tempo che passi fuori dalle cucine che dentro?-
Il gesto con cui Judai si accarezzò la clip metallica agganciata al gilet nero, su cui svettava il suo nome e la nomina di appunto Executive Chef, fu quasi amorevole.
    -    Fa parte delle particolarità del Pharaoh's Kingdom- spiegò poi – Molto di rado capita che l'Executive Chef esca dalle cucine o si faccia, in generale, vedere; qui la storia è ben diversa. L'Executive Chef è parte integrante della vita del locale, e come guida e rappresentante dell'intero settore della ristorazione è suo preciso dovere mostrarsi in pubblico e metterci la faccia in quello che fa. In fondo, se fai bene il tuo lavoro cos'hai da temere? Al massimo ti fanno arrossire di complimenti-
La rossa schiuse le labbra come a voler dire qualcosa, ma non emise una parola; si limitò a sorridere, sinceramente colpita.
Il Pharaoh's Kingdom si mostrava come un locale d'elite, ma il suo regno sembrava accessibile davvero a tutti.
    -    Siete qui per le portate da allestire nelle stanze?- domandò poi, con un sorriso fin troppo furbo per gli occhi della giovane – Non vi faccio attendere oltre! Ecco qua-
I due carrelli apparirono quasi per magia al suo fianco, come se li avesse appena evocati: entrambi classici, in metallo lucido, portavano due grossi vassoi con coperchio e una bottiglia di vino custodita al freddo in un secchiello di ghiaccio, insieme a due calici di cristallo. Aki si mise alla guida del secondo, prendendo poi a seguire Yugi attraverso dei corridoi secondari.
Non sapeva bene cosa aspettarsi: forse erano diretti ai privè? Ma ce n'erano due in sala, e di vassoi ce n'erano quattro...ma Atem aveva parlato di stanze: cosa intendeva? Allora il Pharaoh's Kingdom era ancora più grande di quanto pensasse? Quanto realmente era esteso?

Cominciò a farsi una vaga idea di cosa la aspettava solo quando, uscita poi dall'ascensore di servizio, si ritrovò in un lungo corridoio illuminato da luci soffuse. Cinque porte stavano da un lato e dall'altro, tutte di legno scuro e con i numeri svettanti in oro sulla loro superficie. Aki spinse il carrello con più fatica, lievemente ostacolata dalla moquette sul pavimento; seguì Yugi in silenzio, guardandosi intorno incerta sul cosa aspettarsi: il giovane cavò dalla tasca una tesserina magnetica e la passò sul lettore della prima porta.
Quella che si svelò poi ai suoi occhi era un'inconfondibile camera da letto; Aki sbatté le palpebre un paio di volte incredula.
La stanza era immersa in una calda, piacevole penombra, creata dalle soffuse luci al muro e sui due comodini. In quella stanza il bianco e l'oro erano i due colori predominanti, ripreso dalle lenzuola che avvolgevano il letto a due piazze, ma lo sguardo della rossa si era inevitabilmente posato sulla grande, meravigliosa vasca in porcellana che stava proprio di fronte al letto.
    -    Vieni, il vassoio con i calici e la bottiglia li lasciamo qui sul letto- le disse Yugi, superandola – Non togliere la bottiglia dal secchio del ghiaccio-
    -    Esattamente cos'è...questa?- domandò la rossa, innocente.
    -    Non lo immagini? È una camera da letto-
Oh, lo immaginava eccome...ma non pensava affatto di trovare una cosa del genere proprio al Pharaoh's Kingdom. Dire che Aki era sorpresa era poco: cosa succedeva davvero, tra le mura di quel locale?
    -    Mi sembri sorpresa- notò il ragazzo, sbattendo gli occhi – Vieni, qui su questo tavolo ci mettiamo gli stuzzichini-
    -    Lo sono- rispose Aki, scoperchiando il piatto d'argento di fronte a lei e sollevandolo – Non mi aspettavo una simile attività qui-
    -    ...mettiamola così: per Atem l'intimità è qualcosa di sacro. Sia che si tratti della sua che di quella degli altri. E per quanto possa apparire come un burlone ficcanaso che si impiccia degli affari altrui, ha molto a cuore tutti quei momenti di intesa col proprio partner. Gli attribuisce grande importanza-
    -    ...Credo di aver capito. Ha pensato che ai suoi clienti avrebbe fatto comodo e piacere avere una stanza tutta per loro, per qualche ora, dove nessuno li veniva a cercare o disturbare, giusto?-
    -    Esatto-
    -    Sensato. Beh, sotto quest'ottica l'intento è quasi nobile-

Era chiaro anche ad una come lei, così poco smaliziata e vergine nel vero senso della parola, che intorno al sesso ruotavano la stragrande maggioranza delle relazioni sociali. Da lì a trasformarlo in un business vincente ce ne voleva però, soprattutto se si trattava di farlo con una certa eleganza e ricercatezza, senza scadere nel triviale o nell'oltraggioso.

    -    E non sono mai successi...come dire, guai?- domandò poi la rossa, incuriosita.
    -    Del tipo?- chiese Yugi di risposta
    -    Non so, magari aggressioni, qualcosa del genere...insomma, dal momento che due persone entrano in questa stanza, potrebbe succedere di tutto no? Come fate a tenere tutto sotto controllo?-
    -    Oh. Beh, un po' di tempo fa è successa una cosa del genere, effettivamente. A fine turno, e ti parlo delle quattro di mattina, salì il tipo in reception per pagare la stanza ma non la ragazza che era con lui. La ritrovò una delle governanti, completamente dissanguata-
    -    ...L'ha pestata?!-
    -    Magari fosse stato quello. Quel pazzo volle giocare al dottore, usò dei bisturi veri-
Aki rabbrividì al solo pensiero e posò rapidamente il vassoio sul tavolo.
    -    Fu un brutto quarto d'ora, lo ammetto- sbuffò poi Yugi, rassettando le coperte candide sul materasso prima di sistemarvi sopra il vassoio con la bottiglia di champagne e i calici – Polizia, guardia medica, perquisizione del locale, controllo delle registrazioni, venne analizzato perfino il POS, per verificare le strisciate di carta...alla fine riuscimmo a individuare il tipo-
    -    Immagino sia finito in galera- concluse Aki, il tono di voce forse troppo duro.
    -    Ne eravamo convinti anche noi. Invece uno dei cugini di Yuya si ritrovò poi a eseguire un'autopsia su un morto trovato dentro un taxi abbandonato...quel pazzo riuscì a farsi inviare delle foto del cadavere. Non chiedermi perché, lo trovava divertente sbandierarle sotto il naso di Judai, lui è parecchio schizzinoso su cose come sangue, feriti e morti...e scoprimmo che il tizio era stato assassinato. Un colpo di pistola che gli aveva perforato la testa da una tempia all'altra-
    -    Immagino sia la degna fine per un torturatore di donne. Uno dei cugini di Yuya, hai detto?-
    -    Mh-hm. Ne ha tre, si somigliano tutti in maniera tremenda ma solo fisicamente, perché caratterialmente non potrebbero essere più diversi. Yuri è il tipo delle autopsie. Lavora come coroner, e nel tempo libero colleziona piante carnivore e ci fa incroci e esperimenti sopra. Yuya dice che a furia di incroci è riuscito a creare una pianta carnivora gigante e una carota viva che ti morde se provi ad accoltellarla. Ora, non so se la storia della carota sia vera, ma quella della pianta carnivora gigante lo è sicuro! Ci ha inviato una foto, ed è davvero enorme! Devi chiedere a Yuya di mostrartela, è da paura!-

Non ne aveva dubbi...cosa aspettarsi da un cugino di Yuya? Un coroner per di più? Per quanto suoi futuri “colleghi” in un certo senso, aveva sempre trovato disturbante l'immagine di un medico che sezionava il corpo inerme di una salma per comprenderne le ragioni della morte, eppure aveva un certo non sapeva cosa, che la irretiva e affascinava come una carezza birichina che le solleticava la nuca e le faceva prudere le mani di risposta. Chissà cosa si provava a poter usare liberamente seghetti, bisturi, tronchesi e altri attrezzi del mestiere senza doversi preoccupare di sbagliare qualcosa e mettere a repentaglio la vita di un paziente.
L'idea di diventare un coroner l'aveva solleticata più volte. Più di quanto lei stessa volesse ammettere.
Forse era solo per qualche suo disappunto isolato nei confronti del genere umano.

La serata procedette poi senza intoppi ed incidenti, in un'atmosfera lavorativa stimolante e allegra come ormai Aki stava abituandosi ad assistere. Un paio di coppie le avevano chiesto informazioni a riguardo delle stanze: la rossa li aveva abilmente indirizzati verso Atem e i suoi eloquenti sguardi maliziosi, gli stessi del direttore di un teatro che osservava compiaciuto la sua opera preferita andare in scena.
Yuya le aveva infine mostrato, con fare divertito, la famosa foto accanto al cugino e alla pianta carnivora gigante. Era davvero grande, quasi quanto una persona di media statura come lo erano Yuya e Yuri: il ragazzo dagli occhi diversi le aveva spiegato che quella pianta apparteneva alla specie Sarracenia, e in natura raggiungeva un'altezza compresa tra i settanta e gli ottanta centimetri. La Sarracenia ibridata da Yuri, invece, superava di slancio il metro pieno e andava a sfiorare senza troppa fatica le spalle del ragazzo con gli occhialetti.
E con sua sorpresa e sgomento, Aki aveva ammesso a sé stessa che Yugi diceva il vero. La somiglianza tra Yuya e Yuri era sconvolgente, anche se c'erano delle differenze peculiari che caratterizzavano il coroner: pallido al punto da sembrare linfatico, con i capelli lievemente più disciplinati di Yuya e colorati in impossibili gradazioni di viola (era forse un tratto distintivo della famiglia?), dava nel complesso un'immagine estremamente raffinata, quasi delicata, come quella di un meticoloso alchimista che si dilettava a miscelare composti e pozioni; ma gli occhi scintillavano fulgidi come agata fucsia, una luce malandrina che rendeva il suo sguardo ancora più impietoso e diretto, come di un rettile che trovava divertimento ad osservare la sua preda contorcersi in agonia tra le sue spire. Era uno sguardo completamente diverso da quello avvolgente e divertito di Yuya, e il lieve sorriso che gli increspava le labbra sottili non aiutava affatto a migliorare la sua impressione.
Il ragazzo dagli occhi diversi le aveva assicurato che la sua era solo una facciata, che sapeva essere anche cordiale e gentile con chi gli andava a genio, ma l'impressione iniziale che aveva avuto di lui era veritiera: Yuri era tutto fuorché un buffo menestrello che abbracciava il primo che passava. Era forse paragonabile meglio ad una delle sue tanto amate piante carnivore: ammaliante, eppure letale. Yuri aveva un fascino tutto suo, ma l'idea che sapesse come vivisezionare un corpo umano, con ogni probabilità facendolo sopravvivere quel che bastava per arrecargli dolore senza ucciderlo, non lo rendeva molto rassicurante. E quel mezzo sorriso che concedeva alla fotocamera non aiutava a far cambiare idea.
In cuor suo sperava di non dover mai incontrare un tipo del genere. Era più bello stare insieme a Yuya e ai suoi giochi con le bottiglie e i sorrisi gratuiti, a Yugi e i suoi modi gentili, a Judai e le sue fisse strane e Yusei e i suoi criptici silenzi. Senza contare Atem e i suoi sguardi silenziosi.
Niente minacce, niente pretese. Solo spontaneità e voglia di stare insieme, nel lavoro e fuori.
Aki aveva un bisogno mortale di tutto questo.

 
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Con la nuova alba, Il centro di Nuova Domino si animò nuovamente dell'incessante viavai dei pendolari e dei passanti, delle auto e delle moto in coda e dei cantieri stradali aperti e operativi. Così sarebbe stato fino alla fine della giornata: una cacofonia di suoni e rumori, un ammasso di facce ed espressioni, un groviglio inestricabile di pensieri.
Atem se ne stava ad osservare il mare di fronte a lui, i gomiti appoggiati al parapetto di una pista ciclabile. Il sole che si alzava dalla linea dell'orizzonte dipingeva incandescenti riflessi sulla superficie dell'acqua, striature d'oro che baluginavano a seconda delle increspature. L'incandescente stella portava con sé l'alba di un nuovo giorno, mettendo la parola fine ad un'ennesima notte che, dal punto di vista lavorativo, era stata davvero proficua.

Il foglietto scritto da Seto Kaiba era ormai stato maneggiato con frequenza tale da spiegazzarlo completamente. Quel A te la prossima mossa l'aveva accompagnato per tutta la giornata, notte inclusa.
Non era nel suo stile tirarsi indietro da una stimolante sfida, né tanto meno era sua intenzione farlo a prescindere. Quella tra lui e Seto Kaiba era una rivalità vecchia da anni, dove entrambi si superavano di volta in volta e nessuno dei due riusciva a prevalere sull'altro, ed era proprio questo a preoccuparlo.
Seto Kaiba era una mente a dir poco brillante, che meritava ampiamente tutto il successo guadagnato anche solo per la sua perseveranza ed ostinazione. Bambino prodigio cresciuto in una vasca di squali da commercio, dove nuotavano affaristi, magnati del gran mercato e filantropi, la sua severissima educazione l'aveva reso quello che era ora: una vera e propria macchina da guerra nell'intricatissimo mondo dell'economia e del commercio. Rilevata la Kaiba Corporation da quello che definiva suo padre, aveva immediatamente smantellato la produzione di armamenti bellici e l'aveva trasformata nella più grande, influente e rinomata industria dell'intrattenimento video ludico e della tecnologia d'avanguardia. Un vero e proprio azzardo a ben pensarci, ma come si diceva la fortuna aiuta gli audaci, e l'aver osato tanto era quanto di più audace potersi aspettare, dal neo-conclamato capo di un'azienda leader in un settore proficuo come quello della produzione di artiglieria.
Tutto questo succedeva quando Seto Kaiba aveva dodici anni appena, se ben ricordava. Forse qualcosa in più, magari qualcosa in meno addirittura. Ora, a ventiquattro anni, era il Re incontrastato dell'intrattenimento, un giovane uomo che aveva fatto del successo una costante della sua vita, tanto amato dalla folla quanto temuto e rispettato nell'economia mondiale.
Che cosa ci avesse mai trovato in Atem, non lo sapeva neanche il diretto interessato. Le loro schermaglie erano cominciate presto, ai tempi del liceo, quando entrambi erano costantemente in lotta per il titolo di miglior studente dell'istituto. E dove non riuscivano ad abbattersi con le medie scolastiche, ci provavano nel modo forse più subdolo che potessero conoscere: sperimentando direttamente sulle menti di ignari spettatori, coinvolti a loro insaputa in misteriosi giochi mentali. L'egocentrismo di Seto Kaiba lo aveva portato a sviluppare autonomamente tutta una serie di tecniche per plagiare le masse, e la storiella delle illusioni era solo la perfetta ciliegina sulla torta. Tuttavia, a dispetto di quanto pensasse, Atem non era ancora stato coinvolto in uno scontro in campo aperto.
Sembrava quasi che Kaiba volesse tenere quel duello solo per loro due. Almeno fino a quel mattino in cui aveva sapientemente mascherato la sua illusione come una trovata pubblicitaria, le loro schermaglie erano sempre state silenziose e a distanza, come in una misteriosa guerra fredda combattuta senza armi.
Proprio questo preoccupava Atem. Creare illusioni, sperimentare con la mente di tante persone tutte insieme, poteva diventare davvero pericoloso, per sé stessi e chi stava loro intorno. Già una volta era successo, e sebbene Atem avesse ormai superato quei terribili momenti non voleva che la storia si ripetesse.
Era nel suo interesse, e anche in quello di Kaiba, evitare che le cose degenerassero al tal punto da uscire fuori dal loro controllo.
Tuttavia, il guanto della sfida era stato ufficialmente lanciato, e lui l'aveva raccolto: come diceva sempre Judai, domandare è lecito e rispondere è cortesia.

Con il marciapiede ormai affollato da passanti, pendolari, lavoratori che correvano in azienda e studenti, Atem si separò dal parapetto e riprese a camminare. Controcorrente, come era sempre stato abituato a fare, meritandosi le occhiate sorprese e seccate di chi era costretto a cambiare direzione per evitarlo. Si sistemò meglio la giacca sulle spalle, alzando il colletto.
La stessa giacca si afflosciò sul marciapiede quando lui sparì, come se la terra l'avesse inghiottito.
Il caos fu generale.




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Numero quattro! Chi c'è ancora? Vi sono mancata? Sì? No? Forse? Probabile?
Vi ho lasciato un bel po' per smaltire la sbornia di Capodanno, direi che possiamo permetterci di fare qualche discorsetto più articolato adesso, eh? xD Passato delle belle feste? Fatto casino? Cominciato il 2018 col botto? Io ho rischiato di farlo davvero il botto, o meglio l'incendio, visto che ho quasi mandato a fuoco un albero con una lanterna cinese e un lancio sfortunato...io e le mie tendenze da piromane mai sopite!

Cominciamo col parlare del capitolo, vi va? Che le cose da dire sono parecchio sto giro xD

Mana&Co. E con Co intendo le sue degne colleghe Ragazze Maghe! Hanno tutte costituito quello che è stato il mio primo deck, quello su cui ho imparato, su cui ho lasciato due diottrie quando gli effetti superavano le quattro righe di testo e allora mi appiccicavo la carta al viso pur di leggere. Non sono tutte, vero, nello specifico mancano Kiwi e Bacca: una perché troppo grande e l'altra perché troppo piccola xD
La bionda, l'altra bionda, la mora e la...turchina?! Rispettivamente Maga Nera, Maga Limone, Maga Mela e Maga Cioccolato! Le prime tre sono (ri)comparse gloriosamente anche nel film Dark Side of Dimension. Di Mana ne avevamo già parlato e già si era visto qualcosina, un paio di capitoli fa: è ora chiaro che il rapporto tra lei e Atem viaggia su certi binari...dai, chi è che non li shippa è bugiardo.

Poi, Aki, Yusei, Yuya e Judai e i drink. Non miscelo cocktail di mestiere, anzi, la mia resistenza alcolica è DAVVERO troppo bassa per permettermi di sostenere qualcosa di forte, ma ammetto che l'argomento mi interessa. Non so perché, mi dà l'idea di estivo e divertente, di serate con amici al chioschetto in riva al mare. Non sono tipa da rave party, non so manco come sono fatti...
Ho speso un po' di tempo a documentarmi a riguardo dell'esecuzione dei cocktail, da qui le concise istruzioni di Yusei. Troverete anche qualche cocktail qui e là! Martini a parte, che Atem beve in abbondanza.
Compagnucce, quante di voi hanno lo stesso problema di Aki in quel periodo? XD Io ho una misura molto scarsa, quindi simili inconvenienti non mi capitano mai, ma ho assistito ad una scena simile e quasi ci rimettevo un occhio per colpa del bottone infingardo. Una scusa come un'altra per far cadere Aki in imbarazzo (povera) e per farla restare un po' sola con Yuya.
Confesso di essere particolarmente legata al quel ragazzo coi capelli a semaforo. Non solo perché è stato il vero primo protagonista di una serie di Yu-Gi-Oh! da me conosciuto, ma anche per tutto ciò che ha effettivamente rappresentato e significato. Sorridi nonostante tutto. Anche se tutto va a pezzi intorno a te non perdere mai la speranza, la convinzione di poter fare la differenza e di poter tornare a sorridere come un tempo.
Si è trattato di un pensiero che mi ha a lungo fatto compagnia, e che mi ha a suo modo aiutata ad uscire da un periodaccio che si è protratto piuttosto a lungo. E ora che sono relativamente sicura di quello che diavolo voglio fare nella mia vita, posso solo continuare a seguire quella via.
Anche se nel mio profondo sono più Zarc. Una povera incompresa che, un giorno, finirà con il radere al suolo tutto ciò che la circonda.

Le camere. Beh, il Pharaoh's Kingdom è, letteralmente, il Regno del Faraone. Chi conosce un po' di storia dell'Antico Egitto saprà che gli adorati sovrani, ritenuti figli di Ra, unici intermediari tra gli uomini e le divinità, vivevano in un lusso e in un'opulenza che, come Judai stesso esprimerà in seguito (può contare come spoiler?!), fa concorrenza solo al trash dei video di 50Cent. Oro ovunque, pare che Cleopatra avesse fatto rivestire un'intera nave del prezioso materiale. E tante mogli. E festini che duravano settimane. Atem la mette, ovviamente, su un piano meno discinto e più "romantico", fornendo ai suoi clienti luoghi sicuri dove trascorrere la propria intimità. Relativamente sicuri, considerato quello che è successo poi.
E qui vi illumino subito: anche le controparti di Yuya saranno presenti! Con rilevanza minore magari, ma ci sarà spazio per loro. Per Yuri sicuramente, visto che se n'è tanto parlato in questo capitolo. Così come per Atem e Yugi, qui dipinti come fratelli, io ho optato per la parentela di cugini per le quattro controparti, sempre per, lo ammetto, spicciarmi in maniera plausibile la questione della somiglianza. Ognuno di loro ha la sua professione di riferimento: per Yuri, così sardonico e, a tratti, spietato, avevo già pronto un posticino come coroner. Ho come l'impressione che abbia il giusto sarcasmo e la giusta, studiata noncuranza per questo mestiere. Non mi dà l'idea di un tipo che si impressiona facilmente.
E ovviamente, così per Aki che nell'originale è tanto legata al suo Rosa Nera, anche per Yuri è sviluppato l'interesse per la botanica, in particolare per le piante carnivore. Chiaro riferimento al suo deck Predapianta, di cui c'è anche un piccolo accenno a quella che è Predapianta Banksiorco: non so se sia una carota, la forma sembra suggerirla. Prendiamola per carota.

E infine, la tanto richiesta risposta di Atem. Cominciano a fare sul serio quei due. Prima le fiamme, poi i corvi, poi i draghi e poi una sparizione improvvisa in mezzo alla folla. Stiamo alzando lentamente l'assicella...la situazione potrebbe sfuggire di mano a qualcuno. Indoviniamo chi.
Penso di avervi detto tutto ragazzi! Come al solito, siccome la mia memoria viaggia a scomparti stagni ultimamente non fatevi scrupoli a chiedere! Vi lascio in buona compagnia! Image and video hosting by TinyPic <3

92Rosaspina


 

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Capitolo 5
*** 5. Cavalli d'acciaio e filmini mentali ***


Pharaoh's Kingdom 5

5. Cavalli d'acciaio e filmini mentali


Una motocicletta funziona in totale accordo con le leggi della ragione, e uno studio dell'arte della manutenzione della motocicletta è veramente uno studio in minatura dell'arte della razionalità stessa.

Robert M. Pirsig, Lo Zen e l'Arte della Manutenzione della Motocicletta




Il tavolo era perfettamente imbandito per la colazione, come di consuetudine mattutina: frutta, fette biscottate, creme di nocciola e biscotti, cornetti caldi con ripieni assortiti, il tutto posizionato con millimetrica precisione su una tovaglia di lino così candida da abbagliare. Gli occhi di Seto Kaiba, però, videro solo il quotidiano accuratamente ripiegato e la busta bianca posata su di esso.
Proprio non riuscì a reprimere un sorriso di sfida, al pensiero che la risposta dell'avversario non si era fatta attendere. Senza indugiare oltre, aggiustandosi i lembi della vestaglia da camera, prese tra le mani il quotidiano e la busta, spiegandolo in prima pagina.
Il primo articolo, spezzato solo dalla pubblicità di una nuova linea ferroviaria targata Kaiba Corporation, parlava dello sconcertante e misterioso evento accaduto proprio quella mattina all'alba, nei pressi del lungomare di Nuova Domino: un giovane uomo era letteralmente sparito in mezzo alla folla, lasciando solo la sua giacca come testimonianza di sé. Era un uomo tangibile, in molti asserivano di averlo inavvertitamente urtato mentre camminava controcorrente rispetto al traffico pedonale, e tutti i testimoni riferivano che fosse sparito di colpo, come se la terra si fosse aperta sotto i piedi e l'avesse inghiottito. Le descrizioni fisiche erano piuttosto confuse, segno che nessuno l'aveva guardato in viso realmente, ma a Seto non erano necessarie ulteriori informazioni.
Era lui. Lo sapeva, lo sentiva. E l'unica conferma di cui aveva bisogno stava in quella bianca busta da lettere. La aprì con un nervoso gesto, infilando un dito nell'asola di carta e strappandola, per poi sfilare il contenuto. Era un singolo rettangolo in cartoncino, leggermente ruvido al tatto, su cui la bella calligrafia di Atem gli dipingeva un chiaro messaggio.
Concludo qui il mio turno.
Seto rimase ad osservare quel cartoncino per chissà quanto tempo. Era strano rivedere la calligrafia di Atem, dopo aver interrotto la loro corrispondenza per tanto tempo: sempre così dannatamente sofisticato e serafico, quasi nulla potesse davvero smuoverlo o impensierirlo, come se quello con Seto non fosse nient'altro che – davvero – solo un passatempo. E la sola idea di essere sottovalutato gli faceva saltare in blocco il sistema nervoso.
Nessuno si prendeva gioco di Seto Kaiba e della sua determinazione. Eppure quella regola sembrava non valere, per Atem.
    -    Fratellone, buongiorno!-

Solo la voce di Mokuba riuscì a scuoterlo dal turbine di pensieri che aveva rapito il suo cervello. L'unica persona che poteva permettersi di entrare nella stanza di Seto senza bussare, e senza rischiare il licenziamento in tronco, trotterellò nella stanza a passi piccoli e rapidi. Doveva essere sveglio da tempo, a giudicare da come i suoi occhi erano vispi e il viso luminoso. Vestito di tutto punto come un piccolo, giovanissimo uomo d'affari, Mokuba rubò subito un cornetto dal tavolo, azzannandolo con la foga di un anaconda, quasi dimentico di avere una giacca bianchissima. Seto rimase in silenzio ad osservarlo.
    -    Chi ti ha fatto il nodo alla cravatta?- gli domandò poi, indicandola con il quotidiano arrotolato nella mano.
    -    Io!- esclamò il ragazzo, a bocca mezza piena – O almeno ci ho provato...si vede tanto?!-
    -    Mh! Abbastanza...dai, vieni qui, te lo sistemo io-
Strappando un altro morso al cornetto, Mokuba si avvicinò docilmente al fratello maggiore, già accovacciato a terra per potergli sistemare la cravatta più facilmente. Gliela sciolse con un lieve movimento della mano sinistra, prima di risistemarla con cura.
    -    Oggi che programmi hai?- domandò il ragazzino, con una nota di allegria nella voce.
    -    Sto definendo i dettagli per il lancio del nuovo videogioco a realtà virtuale- rispose lui – Oggi ho una riunione di dipartimento. E più tardi ne avrò un'altra ancora per sistemare i dettagli della linea ferroviaria-
    -    Da quando in qua ti piacciono i treni? Ahia!- esclamò Mokuba, quando le nocche della mano destra di Seto gli colpirono inavvertitamente il naso.
    -    Alza la testa, Mokuba, altrimenti non riesco- si spiegò il maggiore, dandogli un piccolo buffetto sulla punta del naso – Beh, l'idea è quella di creare una linea di trasporti veloci, e cosa c'è di meglio di una linea ferroviaria che tocca tutti i punti nevralgici di Nuova Domino e città limitrofe, a ridottissimo impatto ambientale, silenziosa e alimentata con energie pulite?-
    -    E ci saranno anche i controllori?-
Stavolta Seto proprio non riuscì a reprimere una risata.

Mokuba era l'unico essere vivente capace di far sciogliere, in un sincero sorriso, anche un “perenne musone” del calibro di Seto Kaiba, così come era l'unico che poteva permettersi di rivolgergli un simile epiteto e non, semplicemente, morire. In lui c'era ancora l'innocenza tipica dei ragazzini, la stessa che Seto aveva perso molto tempo prima per diventare subito adulto, per nuotare e sopravvivere in una vasca di feroci squali pronti a sbarrargli la strada per il successo.
Aveva passato brutti momenti da giovane, e la sua infanzia era stata letteralmente cancellata dalle esagerate, assurde pretese di un patrigno che aveva disconosciuto appena possibile; il suo obiettivo, fin da ragazzo, era stato quello di impedire che Mokuba patisse le stesse sofferenze, subisse lo stesso distacco e le stesse angherie a cui Seto aveva stoicamente resistito. E ora che era a capo della più grande multinazionale in fatto di tecnologia e intrattenimento, aveva riservato a lui tutto quell'affetto e amore che gli era stato negato fin dal principio, al solo scopo di tenerlo lontano dai pericoli e cattiverie del mondo e preservare la sua innocenza.
    -    Immagino di sì- rispose poi Seto, terminando finalmente di allacciare la cravatta e prendendo a sistemargli il colletto di giacca e camicia – Potrebbe rivoluzionare gli spostamenti da Nuova Domino ad altre città, ma nulla dovrà essere lasciato al caso-
    -    E poi? Tornerai a giocare con il tuo amico mago?-
A quella domanda, Seto si fermò con le mani sulle spalle del fratellino. Lo osservò a lungo, specchiandosi nei medesimi occhi blu che in lui erano così vividi e carichi di aspettative. Gli accarezzò i folti capelli scuri, spostandogli qualche ciocca dal volto.
    -    Il mio amico mago, eh?- domandò poi – Beh, immagino di poterlo definire così-
    -    Cosa farai stavolta? Farai apparire ancora un drago?-
    -    Ci stavo pensando-
    -    Dài! Ti prego rifallo, mi è piaciuto tantissimo quello dell'altra volta!-
    -    ...l'hai visto anche tu?!-
    -    Sì beh, mi ero svegliato presto e non riuscivo a riprendere sonno...allora ho giocato un po' ai videogiochi e poi ho sentito tutte le persone che urlavano per strada...mi sono affacciato e ho visto un graaaaaaaaande drago bianco come la neve!-
Questo non se l'aspettava. Era convinto che Mokuba non avesse assistito di persona a quella scena...il suo fratellino sapeva delle sue capacità, e dell'eterno conflitto che lo animava contro Atem, ma mai l'aveva direttamente coinvolto nei loro giochi di immagini e percezioni.
Un brivido lo scosse da capo a piedi, alimentato dai ricordi che scorrevano nella testa come la pellicola di un vecchio film fatta girare ad alta velocità. In un angolo della stanza, la sua ombra lo osservò con occhi tristi.


****


La prima cosa che udì quando scese velocemente le scale che portavano al garage, erano le note ruggenti dei Volbeat farsi più alte e nitide di quando la porta era semplicemente chiusa.
La seconda cosa che udì fu un tintinnio tanto alto quanto assurdo, come quello di un gigantesco sonaglio che veniva scosso. Mentre scendeva le scale, il suono si ripeté una seconda volta, salvo poi spegnersi come la precedente. Udì anche Yusei frenare a stento un'imprecazione, qualcosa sembrava non andare per il verso giusto con la sua moto.
Il terzo suono che sentì fu il lieve scatto metallico di una chiave che veniva sfilata via e nuovamente inserita. E di nuovo quel tintinnio si ripresentò, seguito poi da un sonoro schiocco.
E poi, ci fu un rasposo suono dal motore, come un singhiozzo rauco e secco. Durò davvero poco, perché poi le orecchie di Judai si riempirono di un boato assordante, amplificato dallo spazio ristretto del garage. Yusei girò con decisione la manopola del gas due, tre, cinque volte: la moto si scosse tutta, dalla cima del cupolino alla punta del codone, tremò e urlò, quasi furiosa di essere costretta in uno spazio così piccolo. Judai gridò e si portò le mani alle orecchie, sentendo la terra tremargli sotto i piedi e temendo lo scatenarsi di un terremoto da un momento all'altro.
    -    AAAAARGH...YUSEI! SPEGNI LA MUSICA, ABBASSA IL VOLUME! YUSEI!-
Impossibile, per il giovane motociclista, udire il compagno. Troppo concentrato sul suo lavoro, il giovane diede gas ancora un paio di volte, prima di attendere che la moto tornasse a girare al minimo per poi spegnerla, e solo allora fu in grado di udire gli improperi di Judai. Il giovane alzò gli occhi verso di lui, osservandolo con aria incuriosita, quasi si stesse chiedendo cosa mai ci faceva lì.
    -    Ti ho svegliato?- domandò poi preoccupato, osservandolo nudo dalla vita in su, vestito di quei pantaloni larghi e morbidi che usava per dormire. Judai si fece sfuggire una sorta di risata sarcastica.
    -    Ma no figurati, ero in preda ad un terribile incubo, meno male che mi hai svegliato!- rispose poi il castano, sbracciandosi vigorosamente – Ero convinto di trovarmi dentro un aereo finito in una tromba d'aria, e invece eri solo tu con questo MOSTRO!-
    -    Perdonami, non ci ho proprio pensato...è che mentre facevo colazione ho avuto l'illuminazione, credo di aver trovato la giusta mappatura per la centralina-
    -    Ah sì? Una che fa fare meno rumore esiste?-
    -    Credo di no-
    -    Bella fregatura...Bah, torno a dormire, cerca di abbassare il volume-
    -    Tranquillo, tra un po' esco per un collaudo, non ti darò alcun fastidio! Scusami!-
    -    Ma figurati, che vuoi che sia? Buon cielo che sonno...-

Borbottando qualcosa di incomprensibile, Judai risalì la scala e chiuse la porta alle sue spalle, seguito dalle iridi blu del giovane; impossibile, come ogni volta che lo scorgeva a schiena nuda, distogliere lo sguardo dal gigantesco occhio che aveva tatuato dietro al collo.
Inchiostrare la propria pelle era diventata una vera e propria moda negli ultimi anni: Yusei aveva perso il conto degli intrecci tribali tatuati a ridosso del fondoschiena delle bagnanti al mare, oppure dei simboli maori che svettavano sulle braccia dei buttafuori ai locali. Che fosse per moda o per ricordare qualcosa, o qualcuno, ognuno aveva un motivo più o meno valido per lasciarsi marchiare a vita da un disegno, bianco e nero o colorato che fosse. Il drago di Yusei apparteneva a quella categoria di tatuaggi cercati, pensati, studiati e voluti: un universale simbolo di saggezza e potenza, riverito, temuto e amato contemporaneamente, insieme alle stelle che tanto amava, scintillanti tra i suoi occhi.
La grossa iride di Judai invece, seguita da misteriosi segni neri, sembrava avere per lui un significato particolare e pauroso allo stesso tempo: il castano gli aveva raccontato fosse una visione frequente in sogni da ragazzo, quando soffriva spesso di paralisi del sonno e si ritrovava a boccheggiare in apnea, convinto che un'immensa creatura malvagia lo stesse schiacciando per privarlo del respiro. Aveva disegnato quello stesso occhio su molti suoi testi scolastici, e anche ora, quando si ritrovava a scarabocchiare mentre era al telefono, quell'occhio compariva. Judai aveva spiegato che la sua immagine in sogno l'aveva sempre angosciato: tatuarsela addosso, lì dove sapeva che c'era ma non poteva vederla, era un modo come un altro per esorcizzarla.
Pensare che era esistito qualcosa in grado di preoccupare Judai...Yusei non l'aveva mai ritenuto possibile. Non dopo aver conosciuto Judai di persona, ed essersi abituato alla sua schiettezza ed altruismo.
 Con uno sbuffo di stanchezza misto a soddisfazione, Yusei spense il computer e riposizionò la carena sulla moto, prima di rimettere velocemente a posto tutti i suoi attrezzi ed indossare la giacca, alzando la zip fino al collo.

E quando si rimise a cavalcioni della moto, fu come sentirsi improvvisamente a casa. E non casa nel senso di tetto sulla testa, pasto caldo e letto in cui dormire, ma casa come luogo in cui ritrovare la propria pace e serenità, la dimensione nel quale si trovava a suo agio. Il rombo assordante del motore era musica per le sue orecchie, la velocità era la medicina per ogni suo male, e il vento che lo sfiorava era una morbida carezza. Qualcosa che non tutti comprendevano, ma che a lui non interessava professare come un'assoluta religione come tanti suoi colleghi motociclisti: era ben felice di poter tenere quelle emozioni per sé, e di goderne egoisticamente le belle sensazioni.


****


La notte (anzi, mattina) era stata terribile. Scossa da lancinanti fitte al bassoventre, Aki aveva dormito poco e niente, contorcendosi tra le lenzuola per interminabili ore e spostandosi continuamente in bagno.
L'unico momento in cui sentiva di odiare il suo essere donna era proprio quello. Il dolore era tale da lasciarla completamente senza forze e priva di alcuna lucidità, e questo si ripercuoteva sul suo umore, rendendola nervosa e triste, oltre che a risvegliare una fame da lupi. Seppur con qualche rimorso per la sua linea, la rossa si infilò in bocca l'ennesimo biscotto, mentre ultimava di prepararsi.
Aveva in precedenza deciso che il suo giorno di riposo sarebbe stato dedicato alle compere per la sua nuova casa, e nulla le avrebbe fatto cambiare idea, neanche un tipico inconveniente femminile. Non fosse stato altro per distrarsi dalle fitte al basso ventre...aveva già assunto un antidolorifico, ma ancora non aveva fatto completamente effetto, e ogni tanto si ritrovava ad imprecare tra i denti per il dolore mentre con una mano pettinava i capelli e con l'altra dava fondo alle sue scorte di dolci, mentre ripassava mentalmente la lista delle cose da comprare.
Le tende anzitutto: proprio non sopportava più quelle veneziane vecchie e polverose. Aveva provato a pulire il giorno prima, e aveva passato il resto della giornata a starnutire: non aveva mai sofferto di allergia alla polvere, ma la massiccia presenza di questa era tale da recarle un grosso fastidio. Forse era stata la causa del suo occhio irritato.
E poi dei buoni detersivi. Non aveva mai usato il forno fino a quel momento, per il semplice fatto che, incrostato com'era, temeva di mangiare cibi contaminati dal carbone, se cotti lì dentro. Aveva bisogno anche di una pentola con dei manici interi.
E poi qualche fiore. Meglio se finto, non avrebbe così avuto il dispiacere di vederli appassire inevitabilmente...anche se le mancava il giardino della sua casa.
Sempre così ben curato e mantenuto, il giardino della magione degli Izayoi era una piccola isola verde nel mezzo dei grattacieli: suo padre allestiva spesso rinfreschi e ricevimenti lì, e allora questo prendeva ancora più vita, tra sommelier e camerieri, tavole imbandite e invitati che rumoreggiavano tutt'intorno. Ma lei lo preferiva quando poteva goderselo per sé, nel silenzio e nella pace, a leggere qualche bel libro o, più semplicemente, stare in pace da sola.
Quella nuova realtà la spaventava e affascinava insieme.
Non pensava sarebbe stato così...strano vivere da sola. Non c'era più nessuno che la svegliava, doveva essere lei quella a premurarsi di inserire la sveglia al giusto orario; così come non c'era nessuno che caricava per lei la lavatrice o le stirava i vestiti. Si era di colpo resa conto di quante fossero, le reali mancanze della sua formazione, che non riusciva a sentirsi pienamente indipendente.
Lo era, in quanto nessuno più provvedeva al suo sostentamento, ma non così come lei voleva, o meglio sperava. Si era resa presto conto di essersene andata di casa per via di un suo capriccio, come tanto l'aveva etichettato suo padre, e non tornava sui suoi passi per puro orgoglio.
Quanto avrebbe effettivamente resistito?
Ripensò alle parole di Yuya quella sera, con un nodo alla gola.
Quel ragazzo, così atipico con quella chioma a semaforo e gli occhialetti in testa, aveva una lucidità che pochi potevano vantarsi di possedere. Era, letteralmente, uno che faceva lo scemo per non andare in guerra: fare buffonate, scherzi, battute per la maggior parte tristi e che gli fruttavano valanghe di insulti  - quante gliene aveva sentite dire, quelle sere...era tutto parte di un'abile sceneggiata che nascondeva una testa pensante molto fine. E quel discorso della sera precedente le dava davvero da pensare.
Aveva bisogno di dimostrare a sé stessa di essere in grado di badare alla sua vita, senza che nessuno si arrogasse il diritto di darle ordini o imposizioni da lei non richieste. Aveva bisogno di crederci un po' di più in quello che faceva.
Non era semplice, quando ti crescevano con l'idea che non eri niente, senza qualcuno al tuo fianco che ti spingeva in una determinata direzione.
Ci stava provando: si stava aggrappando a quell'idea, a quella speranza, con le unghie e con i denti. Non doveva dimostrare niente a nessuno, se non sé stessa.
Era per lei stessa che resisteva. Per non vanificare la sua speranza di crescere una volta per tutte.
Terminò di applicare il leggero velo di gloss trasparente e infilò tutto nella borsa da passeggio, mettendo a posto la busta dei biscotti e chiudendola con una molletta, per preservarne la freschezza. Nell'attimo in cui uscì di casa e chiuse la porta con due giri di chiave, il pensiero andò su Yusei.


Il tappo del serbatoio scintillava al sole come una gigantesca moneta d'argento caduta a terra. Era stato lasciato lì, appoggiato al muretto, tra il mazzo di fiori e la croce bianca. Sull'asfalto c'erano ancora i segni neri degli pneumatici di un'auto.
Oltre quel muretto c'era la spiaggia frequentata da alcune coppie a passeggio e gruppi di chiassosi amici che già provavano i primi tuffi, nonostante l'estate non fosse ufficialmente cominciata: le alte temperature fuori stagione spingevano a cercare refrigerio in qualunque modo.  Tutti loro erano, con ogni probabilità, totalmente ignari di quella storia raccontata da quelle scie scure sull'asfalto. Più o meno come l'incauta automobilista che aveva davanti.
La piccola utilitaria rossa frenò bruscamente, costringendo Yusei ad una brusca piega verso destra che minacciò di concludersi con un capitombolo sul marciapiede. Tirò con forza la leva del freno, e la Bimota arrestò la sua corsa un attimo prima di salire il gradino; il giovane percepì distintamente l'anteriore affondare e la ruota posteriore sollevarsi di qualche centimetro.
Ci fosse stato Judai con lui avrebbe imprecato fino all'alba del giorno dopo.
Si ritrovò accanto all'utilitaria rossa: una bionda ossigenata aveva estratto il suo cellulare dalla borsa e aveva cominciato a scrivere, le dita che si muovevano velocemente sul tastierino virtuale. In un moto di rabbia, Yusei picchiò selvaggiamente sul finestrino dell'auto con la mano guantata, imprecando come un pazzo; la ragazza all'interno dell'abitacolo trasalì e subito fece per ingranare la marcia, ma l'auto si spense con una sorta di singhiozzo. Yusei scosse il capo e lasciò perdere, puntellandosi col piede a terra e inserendo la marcia. Diede un lieve colpo di gas, la moto ruggì feroce e avanzò, lasciandosi dietro gli scarichi i clacson furiosi degli altri automobilisti.
Non aveva mai avuto particolari risentimenti verso le donne al volante, ma c'erano alcune esponenti, di tale categoria, alla quale avrebbe volentieri bruciato la patente e squarciato le gomme dell'auto. Con quale coraggio potevi guidare mentre scrivevi messaggini al cellulare?!
Era per colpa di simili persone che girare in moto per la città era diventato davvero pericoloso, e in generale muoversi su qualsiasi mezzo a due ruote era diventata un'impresa da veri temerari. L'essere sempre vigili e attenti in strada era un requisito essenziale per tornare a casa tutti interi, e a volte non bastava, come nel caso di quello sfortunato motociclista investito un paio di giorni prima.
A ben pensarci, Yusei aveva rischiato davvero tante volte, tra automobilisti che azzardavano parcheggi fuori controllo e altri che non rispettavano le precedenze. Qualche giorno prima ci aveva anche rimesso uno specchietto, proprio grazie ad uno di quei simpaticoni più concentrato sul cellulare che sulla strada.
Era l'unico motivo che lo spingeva a fuggire dalla città quando poteva. Il poter lasciar andare il motore a pieno regime, senza preoccuparsi di chi gli stava intorno, solo lui e la sua due ruote e la strada di fronte, e il vento e il mondo che, intorno a lui, svaniva in una macchia confusa. E quella meravigliosa sensazione, come la vertigine di un funambolo in equilibrio su una fune sospesa nel vuoto, la consapevolezza di essere vivo.

Mantenne una costante velocità a passo d'uomo mentre costeggiava il lungomare, la visiera del casco alzata a godersi il vento. Le giornate si stavano rapidamente allungando, e anche le temperature si stavano alzando: l'estate era ancora lontana sul calendario, ma bastava mettere il naso fuori casa per fare i conti con una realtà diversa.
Fu lui a vederla per prima. Stava percorrendo il marciapiede in senso opposto al suo, a passo svelto e deciso e gli auricolari nelle orecchie. Lui la riconobbe subito, lei procedette per la sua strada per qualche passo, salvo poi insospettirsi della presenza di un motociclista che si era fermato proprio a qualche metro dopo di lei. Aki si voltò ad osservare il misterioso centauro mettere piede a terra e voltarsi verso di lei: forse lo conosceva?
Fece dietro front e si avvicinò rapidamente, cercando di individuare il viso celato dal casco sbirciando sotto la visiera aperta; e finalmente notò due occhi blu che aveva visto spesso, ultimamente.
    -    Yusei?!- domandò la giovane, incredula.
    -    Ma guarda, il mondo è davvero piccolo!- esclamò il giovane, sorridendo sotto il casco mentre spegneva il motore – Passeggiata mattutina?-
    -    ...Beh, la mia idea era di andare a comprare qualcosa-
    -    Oh, shopping allora!-
    -    Sì, qualcosa del genere-
    -    Qualcosa del genere dici...heh, sei davvero una ragazza strana, Aki-
Di nuovo il discorso di Yuya le tornò in mente: chissà cos'era strano, per Yusei...come se lui fosse completamente normale per gli schemi sociali. Le parole del barman acrobatico dagli occhi diversi, tuttavia, sparirono in un indistinto eco nella sua mente quando Yusei decise di togliersi finalmente il casco.
Sganciò la chiusura di sicurezza e se lo sfilò in un unico gesto, con entrambe le mani, posandolo sul serbatoio della moto. Aki lo osservò reclinare il capo all'indietro e scuoterlo lievemente, quasi a voler liberare la sua chioma scura dalla costrizione del casco che l'aveva imprigionato fino a poco prima, gli occhi chiusi e le labbra semiaperte; poi si passò una mano tra i capelli, ravvivandoli un poco, sempre con quegli occhi seri eppure vividi, carichi, vibranti di energia, lucidi come dopo una lunga corsa.
Ci mancava solo la musica di sottofondo, poi poteva tranquillamente passare come la scena di uno spot pubblicitario di qualche profumo da uomo. E lei era rimasta anche a guardarlo con tanto d'occhi, persa in chissà quale immagine proiettata nella sua mente. Modo perfetto per passare come una deficiente per la seconda volta, come se già la gaffe rimediata la sera prima non fosse bastata. Almeno, ora sapeva come fosse Yusei quando era in moto: completamente assorbito in un mondo a parte, lui e la sua fidata due ruote, e anche bello da vedere, doveva dirla tutta. La moto era davvero singolare, aveva qualcosa di diverso da tutte le altre, ma che lei non sapeva spiegarsi per mancanza di nozioni tecniche, eppure era davvero bella, così snella e nervosa come un levriero da caccia. E Yusei sembrava perfettamente a suo agio, avvolto nella sua giacca da moto e nei suoi stivali, con i jeans che premevano contro le cosce forti e robuste...okay, l'hai davvero squadrato, peeeerfeeeetto, se non si è accorto adesso di quanto tu sia idiota allora è un tardone anche lui.

    -    Lo so, i jeans sono vecchiotti, ma fanno ancora il loro dovere, soprattutto quando devo lavorare vicino alla moto- buttò lì Yusei, notando la direzione del suo sguardo.
Aki cambiò colore nel giro di un battito di ciglia, stringendo il manico della borsetta con tanta forza da farsi quasi male.
    -    Perdonami...non volevo sembrare--
    -    Non sembri nulla Aki, perlomeno nulla di quello che stai pensando adesso-
E invece lo sembrava davvero, ma per non metterla ulteriormente in imbarazzo Yusei preferì non dirglielo: sembrava già intimidita così, dopo la sua uscita, non era il caso di peggiorare la situazione.
    -    Cosa stai cercando nello specifico?- domandò allora Yusei, cercando di interrompere quell'imbarazzante silenzio che sembrava averla posseduta come un demone.
    -    Articoli per la casa- rispose prontamente la rossa – Ho voglia di rinnovare un po' l'appartamento-
    -    Oh! Vivi da sola?-
    -    Sì, a poca distanza dal Pharaoh's Kingdom-
    -    Ecco perché ti sposti sempre a piedi...ehi! A proposito del Pharaoh's, ci sei stasera?-
Da rossa che era per l'imbarazzo, Aki divenne pallida nel giro di qualche secondo. Yusei dovette notarlo, perché fece per mettere il cavalletto e scendere dalla moto per sorreggerla.
    -    Per-perché?!- domandò lei, tesa – Non era oggi il mio giorno di riposo?-
    -    Ma sì che lo è! Ricordi? Abbiamo visto ieri che avevamo il riposo sincronizzato!-
Solo allora Aki si permise di respirare ancora, portandosi una mano al petto.
    -    Per un attimo ho temuto di confondere i giorni...-
    -    Ti capisco, succede anche a me. Questo scherzo mi ha fruttato cinque sere di straordinari...alla fine ero cotto. Atem mi concesse quella volta una settimana di ferie, mi disse chiaramente “DORMI”. E così fu-
Finalmente sembrò rilassarsi, e si sciolse in un dolce sorriso che non le vedeva spesso. O meglio, non le vedeva spesso quando intorno non c'erano i due saltimbanchi, così come definiva Yuma e Yuya, e neanche Judai e il suo continuo decantare di paste, dolcetti e stuzzichini. Ed era un peccato che riservasse quel sorriso solo a pochi e in determinati momenti, perché era davvero bello vedere quelle belle labbra curvarsi in quell'espressione divertita e serena.
    -    Fammi capire, andrai al Pharaoh's anche se è il tuo giorno di riposo?- domandò Aki, cercando di capire.
    -    Lo faccio molto spesso- annuì Yusei, con un sorriso – Mi piace godermi il locale anche così, come se fossi un cliente. Ed è divertente vedere Judai che sgobba avanti e indietro-

Di nuovo, la rossa sorrise, più ampiamente di prima.
Sì, era un vero peccato non vederla sorridere così spesso.
    -    Interessante punto di vista- commentò poi – Credo lo metterò alla prova anche io-
    -    L'idea di vedere Judai correre avanti e indietro piace a tutti-
E stavolta rise. Rise davvero, come se la cosa la divertisse immensamente. Per l'ennesima volta Yusei si scusò mentalmente con l'amico, per prendersi quel divertimento alle sue spalle, ma il suono di quella risata ne ripagava lo scotto.
La vista di quelle labbra curvate poteva essere anche più bella della sua moto.
    -    Allora ci vediamo stasera!- esclamò la ragazza, con aria contenta.
    -    Direi proprio di sì! Ora io vado Aki; non prendertela, ma ero nel mezzo di un collaudo...-

    -    Figurati, mi ha fatto piacere! Complimenti per la moto-
Yusei sorrise e s'infilò il casco con un unico gesto, facendo scattare la chiusura e riavviando la moto. Un sordo boato esplose dagli scarichi sotto il codone, facendo voltare qualche passante e trasalire la stessa Aki, rimasta ad osservare la partenza. Il giovane le rivolse un ultimo saluto, prima di ritornare sulla strada e calare la visiera sul casco. Si allontanò in velocità, allungando vistosamente fino a che il motore non parve urlare.
Il sorriso non accennava ad abbandonarla.



****

L'assetto della serata era cambiato. Senza Yusei al bancone, Atem aveva preso il suo posto, rivelandosi bravo tanto quanto lui. Molto meno acrobatico, evitava volentieri i virtuosismi e le acrobazie, ugualmente efficace e meticoloso nella preparazione. Era bello guardarlo mentre miscelava alcol e sciroppi di ogni tipo, sembrava davvero gli piacesse: nulla sembrava disturbarlo, né gli applausi delle persone alle esibizioni né i lanci azzardati dei due Yu alle sue spalle. Solo ogni tanto alzava lo sguardo per osservarli, quando si rendeva conto che ai due stava per sfuggire fuori controllo uno dei lanci: in quel caso, i due bartenders tornavano rapidamente alle loro postazioni, immobili come statue.
Li rimetteva in riga con una sola occhiata. La cosa era davvero divertente.
    -    Aspetti qualcuno?- le chiese Judai, offrendole un piatto pieno di dolcetti che Aki accettò con gioia: la voglia di zucchero non le era passata, anzi...
    -    Yusei- rispose lei, addentando la prima pasta, mugolando soddisfatta a sentire l'esplosione di crema pasticciera nella sua bocca. Judai sgranò gli occhi.
    -    Yusei? Cos'è, un appuntamento?!- domandò invece Yugi, sorpreso. Aki alzò gli occhi su di lui incerta.
La domanda di Yugi non era stupida. Era un appuntamento, quello? Non ne avevano parlato, da che si ricordava, e poi figurarsi se, per un'uscita insieme, l'avrebbe portata al Pharaoh's Kingdom! Magari l'avrebbe fatta entrare in qualche altro locale di lusso, dove potevano stare soli ed in intimità, no? Era così che si svolgeva un appuntamento, no?
No?!
    -    N-no, almeno credo...non lo so...- balbettò lei, guardandosi intorno come alla ricerca di aiuto.
    -    Yuuuuuuuuuseeeeiiii!!!-
    -    Cosa diavolo ti urli, SCIMMIA!-
I due ruggiti fecero alzare gli occhi di entrambi i due colleghi. Yusei aveva fatto il suo ingresso nel locale, e la sua presenza era stata segnalata da quella sirena ambulante che era diventata Yuma. In un attimo, Aki sentì il proprio morale risollevarsi di colpo e, nello spazio di un secondo, precipitare nella confusione totale.
Davvero doveva considerarlo un appuntamento? Si conoscevano appena, ed erano solo colleghi dello stesso locale...che ne pensava lui? Avrebbe dovuto chiederlo? A saperlo avrebbe scelto un abito più elegante...!
Non che lui fosse esattamente in tiro: vestiva in maniera molto simile a quella con cui l'aveva incontrato quella mattina, cambiando solo maglietta e jeans. La giacca era la stessa, e doveva aver appena tolto il casco, a giudicare dalla foga con cui si stava ravvivando i capelli.
Era sempre più bello guardarlo anche così, al naturale, senza la sua consueta divisa bianca e nera e riparato dietro il suo bancone.
    -    Oh, ma guarda chi c'è!- esclamò Judai, contento – Direi che l'appuntamento è salvo, Aki!-
    -    Non è un appuntamento!-
Troppo tardi: Judai e Yugi si erano allontanati, uno a prendere ordinazioni e l'altro verso le cucine, entrambi ridacchianti come ragazzine del liceo. Aki era scattata in piedi indispettita, salvo poi voltarsi verso Yusei, che l'aveva rapidamente raggiunta.
    -    Ebbene, eccoti qui!- esclamò il giovane – Che te ne pare? Com'è vedere il Pharaoh's Kingdom come una persona normale?-
    -    Beh, bello davvero!- ammise Aki – Completamente diverso-

E senza di te manca qualcosa ma questo non te lo dico.
Ancora quel penetrante profumo di aghi di pino: Aki poteva sviluppare una dipendenza da quel sentore così pungente.
Yusei mollò il casco sulla sedia e rubò un dolcetto, suscitando la sua espressione sorpresa e poi lievemente risentita, prima di sciogliersi in una risata. Vederla in borghese era strano, ma non meno piacevole: i capelli rossi sembravano implorargli una carezza, e la scollatura della maglietta era perfettamente riempita senza risultare volgare o eccessiva. Almeno, con quell'indumento, non rischiava un incidente come quello della sera prima...ma se le gambe erano sottolineate al punto giusto dai pantaloni neri aderenti, quelle ballerine ai piedi gli fecero istintivamente storcere il naso, seppur lievemente.
Ballerine ai piedi, l'unico tipo di scarpa femminile che non era mai riuscito a comprendere e a farsi piacere. Roba che avrebbe perfino “smorzato un'erezione”, come una volta aveva detto Yugi, scatenando occhiate sorprese e scandalizzate tutt'intorno.


Sentire il fratellino di Atem parlare di ragazze e sesso era raro: non sembrava molto propenso ad un'attività così maschile come quella di condividere rispettive conquiste e avventure tra le lenzuola. Qualcosa però diceva, e questo a tutti quanti loro che lo frequentavano, che quel ragazzo la sapesse molto più lunga di quanto volesse dare a vedere: la mole di femmine di cui si ritrovava puntualmente circondato era quasi imbarazzante. Forse era per il suo essere naturalmente gentile e disponibile con chiunque, e rispettoso di qualunque forma di vita lo circondasse? Molto probabile. La delizia di tutte le ragazze, ma a quanto pareva i suoi occhi guardavano davvero solo una, ed era quella che si stava esibendo in quel momento sul palco, tra migliaia di led.

Anzu Mazaki era una cara amica d'infanzia di Yugi, una delle poche con la quale aveva mantenuto i contatti anche dopo i tempi del liceo; dopo le scuole dell'obbligo, avevano perfino continuato gli studi universitari presso la stessa facoltà, seppur scegliendo due indirizzi diversi. Ed era stato grazie a Yugi, se la ragazza poteva esprimersi con la sua danza in un locale di tutto rispetto come il Pharaoh's Kingdom.
Proprio in quel momento si stava esibendo, con il palco a luci spente perché era lei a crearla, la luce, con i suoi cerchi. Aki la stava osservando fin dall'inizio, rapita da tutte quelle movenze e acrobazie: riuscire a gestire un solo cerchio era già complicato, ma lei arrivava a, letteralmente, giocarci. Lo faceva roteare intorno a polsi, collo, spalle, ginocchia, caviglie, e lo lasciava scendere e salire facendo perno sul suo corpo fasciato stretto dal body nero. Saltava al suo interno, lo lasciava roteare sulle spalle, lo lanciava in avanti in modo che rimbalzasse indietro ed entrava al suo interno facendolo risalire al petto con pochi, semplici movimenti.
E quando le luci erano calate sul palco era cominciata la vera magia. Il cerchio tra le sue mani, e quelli posizionati intorno a lei, erano illuminati da centinaia di led al loro interno, che lampeggiavano e cambiavano colore quasi seguissero il ritmo dei remix che, a quanto aveva capito, era stato Yuya in persona a fornirgli. Ecco spiegato anche perché il ragazzo sembrava incredibilmente energico e attivo, e perfettamente sincronizzato con i lanci a tempo di musica: sembrava quasi volesse prendere il posto della ragazza sul palco, e chissà cosa lo stava trattenendo dal farlo. Ma Anzu sembrava inarrestabile, arrivando a gestire quattro cerchi contemporaneamente e senza sembrare affatto affaticata, sempre con il sorriso sulle labbra, gli occhi azzurri scintillanti e i capelli castani striati di sfumature violette e azzurre. Più volte Yugi si era distratto dal suo dovere, con grande gioia di Judai che sembrava divertirsi a prenderlo in giro, che a sua volta alimentava lo scorno di Yusei che, seduto al tavolo, scuoteva il capo mentre osservava il castano dipingere cuoricini nell'aria.
    -    Non so chi dei due sia peggiore- borbottò poi, rubando ancora qualche pasticcino – Se Yugi che sembra rincretinirsi quando è vicino ad Anzu, o Judai che non si rende conto delle attenzioni di Alexis. Io veramente...bah-
    -    È molto carina- disse Aki, servendosi a sua volta – Alexis intendo. E anche Anzu! È così bella mentre danza...-
    -    Sono entrambe due bellissime ragazze, con una testa sul collo come ce ne sono poche, e quei due temporeggiano. Anzi, solo Yugi temporeggia, perché Judai non ci arriva proprio, la vedrà solo come amica o che ne so io...ed è questo che mi spaventa. Il mio timore è che, per quando quei due si saranno svegliati, Anzu e Alexis potrebbero aver trovato l'alternativa: non mancano spasimanti, a quelle due. E se succederà, e succederà di questo passo...avremo non uno, ma ben due deficienti che ci resteranno come una scimmia di fronte al pannello di controllo di un'astronave-
    -    ...Sarebbe?-
    -    Con la banana in mano-
E stavolta Aki rise. Rise davvero, divertita e scossa da quel doppio senso neanche troppo velato. Arrivò perfino a chinarsi sulla pancia, sotto lo sguardo attonito di Yusei che allargò le braccia e sbuffò sorpreso.
    -    Heh, non era neanche un granché come battuta...- borbottò poi lui, accavallando le gambe.
    -    Lo so ma come immagine è...è...-
Aki riprese a ridere, senza alcun freno.
Era bello vederla così, finalmente sciolta e senza quell'espressione tra l'accigliato e il guardingo, quello sguardo da cerbiatta confusa e spaventata pronta a fuggire. O a uccidere qualcuno, quasi fosse protagonista di una versione horror e psichedelica di Bambi.
    -    Dovresti ridere più spesso- notò poi Yusei – Hai un bel sorriso-

Le parole gli uscirono dalle labbra prima che lui provasse a fermarle. Il giovane osservò la rossa rimettersi ben seduta, asciugandosi l'ombra di due lacrime spuntate agli angoli degli occhi, prima di osservarlo chinando lievemente di lato la testa.
    -    Perdonami, non ho capito- disse poi la giovane.
    -Quello che ho detto- rispose Yusei – Hai un bel sorriso, e dovresti farlo più spesso-
    -...Perdonami ma ultimamente non ho trovato molti motivi per farlo-
    -    Io te ne ho dato più di uno-
    -    Ah? Sarebbe?-
    -    Beh, uno te l'ho dato adesso con la mia delicatissima uscita. E te ne do sempre quando sono a lavorare con quelle due bestie laggiù al bancone...- e accennò a Yuma e Yuya che quasi danzavano con le bottiglie – E non scordiamoci poi delle mie chiappe al vento della prima volta! Non ti viene da ridere, a pensarci?-
No, a dire la verità, non le veniva affatto da ridere. Le risaliva solo una grossa quantità di sangue in faccia a colorarle le guance, al ricordo di quelle natiche scoperte degne di un marmo, dannazione a lui che gliele ricordava anche!
    -    Ma dico sul serio. Sei molto bella, se solo sorridessi un po' di più...-
    -    Tu mi trovi bella?!- chiese lei, con una nota di sorpresa nella voce.
    -    Certo! Non te l'ha mai detto nessuno?-
    -    ...Mi hanno detto che spavento, che inquieto, ma che sono bella mai-
    -    ...La prima donna al mondo, che conosco, bella e che non sa di esserlo. Cielo, questa è da segnarsela sul calendario-
    -    Davvero è così...strano?!-
Il discorso della sera precedente con Yuya doveva averla davvero condizionata...
    -    Non è strano, è insolito- rispose poi il motociclista, servendosi ancora dal piatto – Di solito, una bella ragazza sa di esserlo, e si compiace del sentirselo dire spesso-
    -    ...Non so che dirti. Magari me l'hanno detto in tanti ma non li ho mai presi sul serio-
    -    Per quel poco che ti conosco, è probabile. Cosa ti ha portato qui?-
    -    Intendi qui al Pharaoh's?-
    -    Già-
    -    Lo sai...lo sapete. Avevo bisogno di un lavoro-
    -    Già, ma da quel poco che so, tu sei una di quelle poche persone che potrebbe permettersi di avere tutto con poca fatica-
    -    Proprio questo è il problema-

Sembrava rabbuiatasi di colpo. Yusei si sporse sul tavolo, attento.
    -    È tutto così complicato, e ripetitivo...- sbuffò Aki, la punta delle dita che sfiorava le tempie – Tutti a dire che sono fortunata, ad essere ricca e privilegiata e ad avere tutto disponibile e la pappa subito pronta...ma a quale prezzo? La mia famiglia è un incubo. È da dieci anni a questa parte che non riconosco più nessuno lì dentro-
    -    Perché? Cosa te lo fa dire?- domandò Yusei, sinceramente curioso.
    -    Ma non saprei, forse le assurde pretese che hanno nei miei confronti? Come se io gli avessi mai promesso qualcosa...o come se essere parte di quella famiglia mi rendesse automaticamente debitrice di qualcosa-
    -    Mh, credo di aver capito. Genitori apprensivi ed esigenti che ripongono le loro speranze sulla loro figlia e sperano di vederle prima o poi ripagate, vero?-
    -    Sì. Sì, esattamente-
    -    Quindi te ne sei andata per cercare indipendenza-
    -    Sì. E per dimostrare di essere in grado di cavarmela da sola-
    -    A chi?-
    -    A me stessa-
    -    A te stessa...o ai tuoi?-
    -    ...I miei non sono d'accordo con tutto questo. Sono convinti che non resisterò a lungo. Non sanno neanche che faccio questo lavoro, e se lo sapessero temo la loro reazione. Non è quello che si aspettano da me-
    -    E cosa si aspettano da te?-
    -    Che diventi un modello da seguire per l'alta società di Nuova Domino. E che dia loro degli eredi, immagino-
    -    Bella porcata. Ognuno dovrebbe dare libertà di espressione a chi gli sta intorno, soprattutto se si tratta dei figli-
    -    Possiamo...possiamo evitare di parlare di questo? Non voglio...non voglio rovinarmi la serata, ecco-
    -    Hai solo da dirlo, Aki. Aspettami qui, vado a prendere qualcosa-
E rimase ad osservarlo mentre si dirigeva al bancone e chiedeva un paio di bevande ad Atem. Aki si torse le mani pensierosa, confusa da tutto quello che stava succedendo.
Era davvero un appuntamento?! Sulla base di cosa, se si conoscevano appena? Anche se a ben pensarci, non era quello lo scopo di un appuntamento? Il conoscersi meglio appunto? Condividere interessi, opinioni, passioni, teorie e discorsi?
Voleva davvero conoscerla meglio? A che scopo? Non aveva granché di interessante, solo dei capelli fiammeggianti e un bel seno che, puntualmente, finiva sotto gli occhi degli esponenti del sesso forte, gli stessi che poi scappavano da lei trovando mille scuse. Sei troppo intelligente per me, il tuo nome è troppo importante io per te sono un poveraccio, sei inquietante, guardi tutti come se ti avessero fatto qualcosa. Non tutti, in realtà, ma molti sì. Erano stati in molti a “farle qualcosa”, come dicevano tutti gli altri. Ad evitarla, a farla sentire inappropriata, sbagliata solo per essere figlia di una famiglia di magnati.
La famiglia del Pharaoh's Kingdom era composta dalle prime persone che erano andate oltre le apparenze e l'avevano accettata nonostante la sua diffidenza iniziale. Davvero trovavano, davvero Yusei vedeva qualcosa di bello in lei? Le aveva detto di possedere un bel sorriso, era il caso di ascoltarlo e sorridere più spesso? Non c'era molto per cui valesse la pena sorridere, e tutto quello che le era successo negli ultimi tempi bastava per toglierle qualsiasi voglia di ridere o scherzare...forse era il caso di lasciarsi tutto alle spalle?
Aveva troncato sul nascere una discussione molto importante eppure scomoda. Aveva fatto bene? Yusei ne sarebbe rimasto contrariato?
    -    Aki? Ci sei o cosa?-
    -    Ah?!-

Yusei aveva già fatto ritorno, con un bicchiere azzurro e uno rosso: non sapeva cosa fosse il primo, ma il secondo era il suo analcolico preferito, quello all'aroma di fragola.
    -    E quello cos'è?- domandò, indicando il bicchiere del barman.
    -    Questo? È un Blue Lagoon- rispose Yusei, sollevando il bicchiere – Vodka, Blue Curacao, succo di limone, acqua e ghiaccio. Se vuoi assaggiarlo...-

    -    Magari dopo!-
Sorrise, la rossa, mentre entrambi alzavano i bicchieri e li facevano tintinnare tra loro.
Forse era il caso di ascoltarlo e lasciarsi andare un po' di più.


Quasi quella che aveva colpito l'intera Nuova Domino fosse un'epidemia, i quotidiani del mattino riportarono, in prima pagina, un nuovo evento tanto insolito quanto spettacolare e, a tratti, inquietante.
A partire dalle otto della sera fino alle quattro del mattino, moltissimi oggetti in strada avevano misteriosamente preso il volo, staccandosi da terra anche di metri, e molti altri erano stati deformati da una forza invisibile che aveva lasciato i passanti atterriti. Bidoni della pattumiera ritorti su sé stessi, lampioni curvati ad arte, cartelli stradali che cambiavano segnaletica d'improvviso mandando il traffico in tilt. Qualche panchina si era sollevata, portando in alto con sé anche qualche stanco passante che si era riposato su di loro. Nell'arco di una serata si erano registrati traffico alle stelle, centralini della polizia intasati di segnalazioni di oggetti semoventi, crisi di panico generali e l'intervento di un'ambulanza per soccorrere un uomo colpito da infarto, terrorizzato da quei misteriosi eventi.
Il quotidiano venne recapitato nell'ufficio di Atem al Pharaoh's Kingdom. Il Faraone lo trovò ben piegato sulla scrivania, con una busta chiusa senza sigilli né firme. Al suo interno, solo un foglietto.
Tocca a te.

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Eeeeeeeecco qui! Numero cinque, signore e signori!
Ingraniamo, poco a poco! Devo farvi una confessione, ho un pacco di capitoli già pronti, ma tanti, proprio tanti! Durante il mio periodo di day hospital, forse complice anche la quotidiana nullafacenza, sono stata colpita dal più grande flusso di creatività mai provato, roba che mi ha fatta tirare giù 400+ pagine della storia. Un BOATO se ci pensate. Davvero avevo così disperatamente bisogno di staccare la spina?! Non me ne capacito, giuro.

La citazione che fa da apertura al capitolo viene da Lo Zen e L'Arte della Manutenzione della Motocicletta, opera simbolo di Robert M. Pirsig, rifiutata da ben 121 editori prima di diventare un cult. Non è altro se non un viaggio on the road in motocicletta, contornato da divagazioni filosofiche alla ricerca dell'Io più profondo. Sicuramente non consigliato per chi non trova molto interesse in pagine e pagine di trip mentali e discorsi filosofici, ma io l'ho apprezzato moltissimo.
In fondo muoversi in motocicletta è anche questo. Quando abbandoni il caos cittadino e ti ritrovi ad attraversare stradine di campagna, o un lungomare, in solitudine tu e il tuo mezzo, ti ritrovi con la testa volta a metà tra i tuoi pensieri e l'altra metà concentrata sul serpentone di asfalto di fronte a te.
Un po' come fare la doccia, che impieghi dieci minuti in tutto ma trenta abbondanti li passi sotto il getto d'acqua calda a lambiccarti il cervello sui perché dell'universo. Yusei ce lo illustra bene, con la sua scorrazzata in solitaria sul suo cavallo d'acciaio. Solitaria più o meno, visto l'incontro casuale con Aki. Scrivere di loro mi divertiva un sacco, e lo fa tutt'ora che sto continuando a portare avanti pagina per pagina la storia: anche nell'originale la loro storia è controversa, interessante, iniziata con rabbiosi sguardi di fuoco e stritolate con viticci e finita con il guardarsi negli occhi quasi a voler scorgere i titoli di coda dell'universo. Alla fine lei cercava solo una persona fidata su cui contare, e lui qualcuno da proteggere con tutto sé stesso.
Vogliamo chiamarlo "appuntamento"? XD non lo è, non nel vero senso della parola: è solo un day off trascorso insieme per godere il locale con occhi diversi di quelli di un dipendente, a fare finta di essere clienti per una volta. Ha potuto così conoscere anche Anzu! L'idea di lei a danzare con i cerchi è venuta fuori da sé, con la massima naturalezza: chi ha un po' masticato la serie originale di Duel Monster sa quanto le piace danzare, ma in pochi sanno quanto a me piacciano i LED hula hoop. Nonostante io non sappia usarne uno neanche dovesse dipendere la mia vita da questo, ci sono tantissimi video a riguardo su YouTube e penso di averli guardati davvero TUTTI. Mi piacciono un sacco.

Ma credo vogliate tutti parlare di LUI. L'unico, inimitabile, irraggiungibile, inossidabile (???) Seto porcaputtana Kaiba! Qui fa il suo reale ingresso, in vesti (più o meno) che non sono esattamente quelle a cui siamo abituati tutti quanti. Tranquillo, forse troppo, insieme all'unica persona, Mokuba, in grado di poter far breccia nella muraglia di ghiaccio eretta intorno al suo cuore. Tenete d'occhio il piccolo Kaiba: tornerà presto a far parlare di sé.
Tenete d'occhio anche l'ombra menzionata, anche di quella si parlerà presto. Provate ad indovinare chi è. Provate anche ad indovinare il tatuaggio di Judai. 

Progetto di lasciarvi il prossimo capitolo prima, questo perché per la fine del mese di Marzo (periodo in cui sembro essermi assestata con gli aggiornamenti) potrei essere altrove e non avere quindi tempo materiale per aggiornare. Vedremo. Nel frattempo, se volete parlare con me, potete farlo attraverso i classici canali! Recensione, MP, sulla pagina Facebook, come volete! Io sono qui che vi aspetto!

92Rosaspina

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Capitolo 6
*** 6. Quando il gatto non c'è... ***


Pharaoh's Kingdom 6
6. Quando il gatto non c'è...

Gli amanti, quelli veri, non condividono un letto ma custodiscono un segreto.
Pablo Neruda

Come quell'enormi sfingi distese per l'eternità in nobile posa nel deserto sabbio, essi scrutano il nulla senza curiosità, calmi e saggi.
Charles Baudelaire




    -    Per come la vedo io, Atem, sta per sfondare il limite-
    -    Lo so-
    -    E cosa pensi di fare?-
    -    Gli risponderò alla mia maniera. Ma non subito-
    -    Oh?-
    -    Ha bisogno di sbollire un po'-
Mana annuì e non rispose, tornando a guardare la strada di fronte a loro, la borsetta posata sulle gambe. La superstrada scorreva veloce intorno a loro, mentre la Volvo S90 procedeva come su un binario. Spostando lo sguardo sul display del computer di bordo, la giovane individuò il nome del brano sinthwave che stavano ascoltando.
Quel genere musicale piaceva davvero ad Atem: passava spesso anche per gli altoparlanti del Pharaoh's Kingdom, quando non c'erano melodie orientali o musica più commerciale remixata da Yuya.
    -    Sbollire, dici- disse poi la giovane, voltandosi a guardarlo – Pensi che uno come Seto Kaiba possa “sbollire” così facilmente? Facile che vada in escandescenza per non ricevere nell'immediato una tua contromossa-
    -    La differenza, tra me e Kaiba, è che io ho delle priorità. E la mia priorità attuale è stare con te. Se poi so che al sapersi ignorato si mette a pestare i piedi come i bambini, meglio per me. Lo trovo mortalmente divertente-
Mana rise, nascondendo le labbra dietro il dorso della mano destra. Il modo in cui ne parlava, così sciolto e serafico...sembrava davvero che la faccenda non lo impensierisse per niente.
Lo conosceva abbastanza bene per sapere che quella che aveva messo su era un'abile facciata. La situazione lo preoccupava, e a ragione: un conto era farsi scherzi e giochi mentali tra loro, un altro era coinvolgere direttamente la cittadinanza. L'articolo del quotidiano parlava chiaro, menzionando crisi di panico generale e addirittura un infarto. Non ci era scappato il morto, ma poco ci era mancato.
E forse era questo quello che Atem temeva: che per uno stupido gioco si ripetesse una tragedia.
    -    Ma è proprio necessario?- domandò Mana, senza smettere di osservarlo.
Atem non si voltò a guardarla, ma sapeva che i suoi occhi si erano mossi nella sua direzione. Osservava imperturbabile la strada di fronte a loro, entrambe le mani sul volante, concentrato sulla guida eppure attento alle parole della compagna.
    -    Continuare il gioco, dici?- le chiese infatti.
Mana annuì, spostandosi una ciocca bionda dietro l'orecchio destro. Era un suo vezzo molto carino, Atem si ritrovava sempre a sorridere quando lo faceva.
    -    Solo se nessuno si fa male senza motivo- rispose poi, enigmatico come il suo solito – Non mi piace coinvolgere gli innocenti in scherzi crudeli. E quello di ieri sera era crudele abbastanza. Anche a me piace sperimentare con la mente umana, ma ho una mia etica-
    -    Quindi...andrete avanti?-
    -    Certo. Ma come ti ho detto, dovrà aspettare per avere qualcosa da me. Il tempo necessario che io riporti l'assicella ad un livello accettabile-
La sua mano forte e sicura si chiuse delicatamente sulle candide dita di Mana. La giovane abbassò lo sguardo e ricambiò la stretta, un brivido che le percorreva la pelle.
    -    E poi sono con te. Seto Kaiba è fuori dal mio cervello, adesso-
    -    Oh ma dai, sono più importante perfino del tuo irriducibile nemico?-
    -    Non ci sono dubbi su questo-
Mana sorrise e portò la sua mano alle labbra, baciandone il dorso. Atem sorrise, meno enigmatico, più sciolto e affettuoso.

Conoscerla era stata una delle sue più grandi fortune degli ultimi anni. Quando tutti – e tutte- scappavano da lui, spaventate dai suoi modi e dalle sue percezioni, per non parlare dei suoi assurdi giochi mentali e della sua personalissima opinione su alcuni esponenti del genere umano, lei era rimasta. Non si era tirata indietro, non era corsa via spaventata, non era sparita dalla circolazione: era rimasta lì per lui, affascinata da quella sua mistica presenza e dal modo in cui affrontava il mondo e le sue insidie.
Atem non avrebbe mai potuto esprimere, a parole, la piena gratitudine che provava nei suoi confronti per la sua scelta: non era come Yugi, suo fratello, o come qualsiasi altro membro della sua famiglia. Alla stregua dei ragazzi del Pharaoh's Kingdom, lei aveva accettato ogni sua sfaccettatura, da quella più strana a quella più inquietante e assurda. Aveva guardato oltre l'orlo del baratro e aveva accettato ciò che c'era sotto.
Solo per questo meritava tutta la sua riconoscenza.
E poi era un vero piacere stare con lei. Era così bella, con i lunghi capelli biondi, scintillanti come oro che le colava sulle spalle lungo tutta la schiena, e gli occhi verde smeraldo incastonati nell'ovale del viso come pietre preziose in un gioiello...e anche nei modi, sempre gentile e scherzosa, i gesti innocenti di una ragazza che, per quanto involontariamente, facevano trasparire una malizia degna di un diavolo: se pensava alle volte in cui Yugi aveva momentaneamente perso l'uso della parola, a vederla chinarsi sul bancone con la scollatura in fin troppa bella vista, salvo poi ritirarsi di colpo quando si rendeva conto di apparire estremamente ambigua, doveva lottare per non scoppiare a ridere. Era donna e consapevole del suo fascino, eppure non ne aveva fatto necessariamente un'arma, e la cosa lo aveva attratto fin dall'inizio, un po' come una calamita. E il suo essere appassionata di esoterismi vari aveva aiutato la reciproca comprensione e creazione del loro rapporto.
Stare con lei portava immediatamente una ventata di fresca allegria nella giornata, e cacciava via tutte le sue preoccupazioni sulle prossime mosse di Seto Kaiba. Chissà, forse avrebbe autonomamente compreso di aver esagerato, per una volta.
Figurarsi. Era di Seto Kaiba che si parlava: aveva fatto della spettacolarità il suo marchio di fabbrica e il suo tratto distintivo, e il bello era che la gente lo adorava per questo, per quel suo essere così vicino alla folla eppure così lontano, irraggiungibile come il sole.
Avrà presto la mia risposta. Al momento non mi interessa.
Rallentò entrando nel traffico cittadino, facendo ritorno alla sua abitazione. Mana aveva proposto di viaggiare insieme fino al porto, ad osservare i traghetti salpare: ottima scusa per assaporare uno dei suoi gelati alla frutta preferiti. L'aveva a lungo osservata mentre accarezzava cagnolini al guinzaglio e scrutava i gabbiani che volavano in cielo, bella e graziosa nel suo vestito indaco e gli stivaletti, il collo impreziosito da un pentacolo in argento che lui stesso le aveva donato tempo prima. Più tardi, quella sera, l'avrebbe portata al Pharaoh's Kingdom, se avesse voluto.
Per il momento, voleva esaudire il suo desiderio e portarla nel suo regno.




Posteggiata l'auto in garage, e saliti sul suo attico, Mana era entrata trotterellando – letteralmente- nell'ampio salone, piroettando su un piede e guardandosi intorno. L'appartamento che Atem condivideva col fratello era emblema della sua persona: impeccabile senza essere troppo rigido, e formale quanto bastava per guadagnarsi rispetto e ammirazione. Il parquet chiaro del pavimento era coperto da un paio di tappeti ecrù monocromatici, su cui risaltavano i divani e le poltroncine neri. Il grosso schermo al muro sembrava uno specchio, ora che era spento, e le pareti di vetro garantivano una perenne illuminazione della stanza, oltre che a una vista completa di gran parte di Nuova Domino. Semplice ma d'effetto, a Mana era sempre piaciuta.
Avanzò verso il pianoforte a coda mentre Atem chiudeva la porta alle sue spalle con uno scatto secco. La giovane pigiò qualche tasto a caso: le note vibrarono tra le pareti a lungo, con un riverbero perfetto. Yugi suonava il pianoforte da molto tempo, e a quel che aveva capito era anche piuttosto bravo; non si era mai applicato con dedizione frequentando rinomate scuole di musica perché, sue testuali parole, “per me è solo un passatempo, non una questione di vita o morte”, ma da quando il fratello maggiore gli aveva fatto dono di quel meraviglioso pianoforte sembrava che suonasse molto più spesso.
Mana, invece, sapeva cos'era un pianoforte solo perché lo aveva visto mille volte sulle foto di diversi testi, ma non era capace di creare un accordo neanche volendo. Chissà, magari applicandosi avrebbe imparato, ma non era realmente interessata. Trovava più divertente strimpellare quello strumento a casaccio, e lo fece finché Atem non le posò entrambe le mani sulle spalle lasciate nude dal vestito. Di nuovo un caldo brivido le scosse la schiena, a sentire il suo calore sulla pelle.
    -    Vuoi restare qui a strimpellare o vieni di là?-
Domanda retorica alla quale non era necessario rispondere. Mana sorrise e alzò gli occhi, solo per specchiarsi nelle iridi ametista che la osservavano dall'alto, e sentirsi morire a vedere quel bel sorriso ornargli le labbra. La sua mano sinistra risalì leggermente il collo, sfiorandolo con la punta delle dita, lieve come la carezza di un dio.
Si alzò dal pianoforte solo per tuffarsi dritta tra le sue braccia, trovando le sue labbra alla cieca e impadronendosene quasi subito; profumava di dolce e fresco, e quando Atem insinuò le dita tra i capelli biondi gioì della loro morbidezza.

La guidò con la sua solita sicurezza attraverso il corridoio fino alla sua stanza, lasciandola solo per chiudere anche quella porta, eclissando tutto il resto del mondo all'esterno. Mana volle subito ricordarsi della morbidezza del letto, sedendocisi sopra con un balzo e molleggiando su e giù come una bambina. Anche la sua camera da letto rifletteva la stessa personalità del resto della casa: impeccabile, tirata a lucido dalle sapienti mani di chissà quale governante. E adorava quelle vetrate che sostituivano le pareti: di notte proiettavano un magnifico spettacolo di luci e forme, con la città illuminata.
Osservò Atem mentre si inginocchiava e le sfilava gli stivaletti dai piedi, posandoli ordinatamente a poca distanza. Non avrebbe mai fatto completamente l'abitudine a quel gesto, lui che considerava un re le si inginocchiava di fronte per aiutarla a rivelarsi. Lo aveva sempre fatto lui, non c'era stata una sola volta in cui fosse stata lei stessa a spogliarsi di fronte ai suoi occhi; le aveva confessato essere uno dei suoi piaceri segreti, il liberarla strato dopo strato dai suoi abiti.
La rimise in piedi, Mana mosse lievemente le dita delle piante a contatto con il pavimento, inarcò lievemente la schiena quando avverti la sua mano abbassare lentamente la cerniera dell'abito e lasciarlo scivolare a terra in un'unica onda indaco. I suoi occhi ametista tracciarono scie di fuoco sulla sua pelle, sentiva il suo sguardo addosso mentre lei slacciava i bottoni della camicia uno a uno, facendogliela scivolare via dalle spalle per poi sfiorargli le braccia compatte e il petto sodo, decorarglielo con invisibili circoli tracciati in punta di dita. I modi di fare di un re e il corpo di un dio, perfetto in ogni sua proporzione, dai muscoli che premevano sotto la pelle, dando un'impressione di agilità piuttosto che imponenza, agli spigoli tracciati dalle linee sul ventre che guidavano lo sguardo ben oltre quello che non era ancora stato rivelato.
Non erano soliti parlare in quei momenti, consci che ogni parola sarebbe stata vana, persi com'erano nell'esplorazione reciproca dei loro corpi: ogni bacio, ogni carezza parlava per loro, un linguaggio segreto che solo loro sapevano interpretare. Entrambi distesi tra le coltri, presto privi di ogni indumento, Atem tracciò un rovente sentiero sul corpo della ragazza, dal collo fino al seno, tastandone la consistenza con le dita, serrandolo tra le mani e facendola tendere come la corda di un violino. Quando i suoi denti si chiusero sopra la loro pelle soffice, Mana lasciò andare un delizioso gemito troppo a lungo trattenuto.

Fare l'amore con Mana la prima volta era stato appagante come poche. Unirsi completamente a quella che ormai considerava una compagna di vita, sempre a lui vicina in qualsiasi momento, era la quadratura di un cerchio perfetto. Bella e innocente com'era, Atem era stato il primo uomo che la giovane avesse amato davvero e con quella intensità; il Faraone era stato il primo ad ammirarla nella semplicità del suo corpo nudo e a liberarla dalla sua innocenza. E nessuno dei due sembrava desideroso di trovarsi tra le braccia di un'altra persona. Sempre più impaziente, Mana gli chiuse il labbro inferiore tra i denti quando Atem fuggì da un suo bacio, salvo poi chiudere gli occhi e annullarsi nel percorso tracciato dalle sue labbra, dalla gola al seno che tanto aveva accarezzato poco prima. Mordere, baciare, stringere tra i denti i capezzoli era diventato parte di un rituale conosciuto a entrambi, e che nonostante tutto continuava a riservare brividi e carezze. Mana era ormai persa in un dolce oblio che la cullava avanti e indietro, e le sue mani accompagnavano quel dondolio accarezzandola ovunque riuscissero a raggiungerla. Seno, ventre, gambe, fianchi, labbra, nessun centimetro di pelle venne trascurato da quelle carezze.
Le mani della giovane affondarono tra i suoi capelli, lui sfuggì alla loro presa per serrare tra i denti la soffice pelle del ventre, facendola sobbalzare. Quando sentì la sua mano scivolare in basso e insinuarsi tra le gambe, esplorarla in profondità, le dita di Mana si serrarono contro il cuscino che la sosteneva, e quando fu la sua bocca a sfiorare il suo centro ringraziò di trovarsi in un attico sospeso a centinaia di metri di altezza dalla strada. La sua bocca si schiuse in un grido, e nel caos del sangue che le ribolliva nelle orecchie giurò di averlo sentito soffiare una lieve risata.
Stava sorridendo, lo sapeva. Lo sentiva contro l'interno delle sue gambe, lo percepiva contro la sua intimità sempre più desiderosa: le sue labbra erano piegate in un sorriso tra il sornione e il soddisfatto, quello che gli curvava le labbra quando si compiaceva di qualcosa. E sentiva i suoi occhi addosso, osservarla mentre sprofondava tra le lenzuola cercando appiglio su di esse come se stesse per affogare.
Si sollevò da lei solo quando arrivò al limite e lo infranse senza più freni inibitori. Nella cecità del momento, la vista annebbiata dal piacere e dall'eccitazione, percepì le sue labbra posarle un bacio sulla fronte liberata dai capelli d'oro, e un cassetto cigolare all'apertura.

La presa di posizione di Mana lo sorprese piacevolmente: la ragazza si sollevò di scatto e lo costrinse a ribaltare le posizioni, inchiodandolo al materasso. Di nuovo le sfoderò quell'ampio sorriso, a vederla a cavalcioni sul suo corpo, quel sorriso vittorioso che sapeva scatenare in lei quel lato nascosto che lo sorprendeva ogni volta. Con un veloce gesto la giovane gli sfilò la bustina dalle dita.
    -    Faccio io- gli sibilò, il fiato ancora corto, aprendo la confezione.
    -    Come vuoi, mia dolce maga-
Non gli rispose neanche, ma non ce n'era bisogno. Era così carina vederla con quel broncetto...e le sue mani erano deliziose. Un gemito gli sfuggì dalle labbra quando le dita lo sfiorarono, ma quando lei gli montò sopra e scivolò sulla sua virilità, fu come lasciare che una colata di lava lo incendiasse. Le mani di Atem corsero sui seni, stringendoli fino a farla gemere inarcarsi, gli occhi chiusi e la pelle candida del collo in bella vista. In preda ad una frenesia che le aveva visto poche volte, Mana serrò subito il ritmo, e lui lasciò che lo guidasse inizialmente senza opporre resistenza, beandosi della vista di quel corpo perso nel piacere.
Quando decise di prendere in mano lo scettro del comando, Mana sembrò sprofondare in un vortice. Lasciandosi capovolgere sul materasso, si aggrappò alle sue forti braccia e lo serrò con le gambe, la vista annebbiata e i contorni di ogni cosa sfocati.
L'unica cosa che riusciva a distinguere, nella soffusa luce del sole, era il suo bel volto, e le labbra piegate in un sorriso pieno d'amore.


****



    -    BUUUUUCA! Ahahah! Yugi, visto che colpo magistrale?-
    -    Sì Yuya, ho visto-
    -    No che hai visto, come facevi a vedere se avevi gli occhi sul telefonino?! Aspetta un secondo che te lo rimostro!-
    -    Accidenti a me! Yuma, dove hai ficcato il kit del cucito ieri sera? Devo fare un rattoppo urgente!-
    -    Al suo solito posto, Jud!-
    -    E al suo solito posto non c'è!-
    -    E allora avrà messo i piedi o che ne so io!-
    -    Eddai Yu dammi una mano! Ho rotto i bottoni ai polsini della camicia!-
    -    Continua ad infilartela a polsini chiusi, mi raccomando! Ehi, ma qualcuno sa se posso attaccare questa spina qui?-

La sala piombò nel buio nell'esatto momento in cui Aki fece il suo ingresso: solo la luce d'emergenza, posta sull'ingresso della sala da biliardo, era rimasta ad illuminare l'ambiente. In contemporanea, Yusei era uscito dai camerini, trovandosi l'apocalittica immagine dell'intera sala principale del Pharaoh's Kingdom al buio, Judai che girava con un polsino rotto, Yugi seduto sullo stesso divano su cui Yuya, in piedi sullo schienale, giocava a golf improvvisando con un ombrello dal manico ricurvo, un tappo di sughero e una tazza, e Yuma litigava pesantemente con le prese elettriche.
    -    No, ALLORA!- esclamò il barman, facendo battere le mani tra di loro – Tu, tu, tu, e TU! Vai a sistemarti la camicia, schioda gli occhi dal cellulare e vieni a darmi una mano a scaricare, sistema 'ste luci e poi vai a cambiarti e SCENDI CON I PIEDI DALLA POLTRONA! Non mettertici anche tu!-
    -    Oh andiamo! Ho tolto le scarpe!- ribatté Yuya, ancora in piedi sullo schienale e con l'ombrello in mano.
    -    Non mi interessa! Ci si devono sedere i clienti lì! SCENDI!-
Non fu necessario un terzo ordine. Chiuso il cellulare, Yugi si alzò di scatto dalla poltroncina bianca, creando il disastro: ancora in bilico sullo schienale, il peso di Yuya ribaltò la seduta e il ragazzo si esibì in un comico tentativo di equilibrismo prima di cappottare rovinosamente a terra. Yusei si portò le mani tra i capelli, costernato.
    -    Vi prego, vi voglio bene, non posso fare la bambinaia! Siete grandi grossi e vaccinati, autogestitevi!-
    -    Così va bene?!-
E di nuovo fu luce in tutta la sala. Yuma si rialzò da terra, portando con sé il piccolo portatile alla ricerca di una nuova presa di corrente, mentre Yusei lo osservava sospettoso.
    -    Mi dici che cavolo stai cercando di fare?!- gli domandò poi, serio in volto.
    -    Ma niente, volevo mettere un po' di musica che avevo sul portatile! Ma non riesco a trovare un buon posto dove collegarlo!-
    -    Oh cielo Yuma...nella sala da biliardo, sul soppalco, c'è l'intero impianto stereo con quindici adattatori! Mettilo lì e pace!-
    -    Ooookay!-
Gli occhi di Aki rimbalzarono da Yuma che trotterellava nella sala da biliardo, a Yuya che si alzava velocemente da terra, a finalmente Yusei che sembrava già voler tornarsene a casa. Judai era sparito qualche attimo prima, alla ricerca del kit da cucito, mentre Yugi si stava scusando con l'acrobatico barman mentre questi si infilava di nuovo le scarpe. La rossa strinse il manico della borsetta, incerta su cosa dire.
    -    ...c'è un motivo per tutta quest'euforia generale?- domandò poi lei, scrutandoli curiosa.
    -    Ce n'è più di uno!- rispose Yuya, alzando le braccia al cielo in segno di trionfo – Questa sera ci sarà anche Yuzu!-
    -    Ecco perché sei così agitato...- notò Yugi, le braccia conserte al petto.
    -    E il secondo motivo?- domandò ancora Aki.
    -    Che siamo soli!-
    -    Soli?!-
    -    Atem si è preso un giorno di riposo- spiegò allora Yusei, terminando di arrotolarsi le maniche della camicia – La serata andrà avanti come tutte le altre, anche se stasera non sono previste esibizioni di sorta e siamo senza il capo. Ci sarà gente, ma non come nei fine settimana: tu e Yugi dovreste riuscire a gestire bene la situazione-
    -    Oh, va bene-
Questo voleva dire che non avrebbe lavorato a stretto contatto con Yusei quella sera. Ne era quasi dispiaciuta: si trovava bene ad armeggiare bicchieri dietro il bancone, e la sua vicinanza era un valore aggiunto.
Con sua somma sorpresa, constatò che non era affatto a disagio al doverlo incontrare di nuovo dopo la sera precedente. Avevano parlato a lungo, si era anche divertita: Yusei aveva dimostrato di avere una bella testa pensante sul collo, ed era anche in grado di esprimersi correttamente senza strafalcioni grammaticali...poteva chiedere altro da un uomo? Dove era stato nascosto fino ad ora?
Tuttavia, non gli aveva ancora chiesto nulla riguardo al misterioso segno dorato che gli percorreva il viso. Le parole di Yugi e Yuya le davano da pensare, e forse il giovane non avrebbe reagito bene a sapere che lei era incuriosita da quella sua caratteristica. Non voleva rovinare quella bella intesa che si stava costruendo solo per una sua curiosità scema: aveva quindi preferito il silenzio, e l'inevitabilità di perdersi nei suoi profondi occhi blu.
Ormai non temeva più neanche di essere vista come strana o eccessivamente sognante al riguardo: Yusei cominciava a piacerle, e non c'era altra spiegazione. E le piaceva con quell'intensità crescente che sbocciava come un fiore: erano forse i suoi sguardi eloquenti, i suoi modi di fare o di pensare, ma la stava lentamente rincitrullendo come la più patetica delle protagoniste delle storie d'amore che tanto piacevano a sua madre.


    -    Aspetta un secondo- fece poi Aki, realizzando solo ora il significato delle parole del moro - Atem riposa questa sera, giusto? E chi farà le sue veci?-
    -    Occupa lo stesso spazio che occupo io- rispose Yusei, con un mezzo sorriso che gli alzava appena l'angolo destro delle labbra.
    -    Oh davvero? Dev'essere davvero piccolo, perché lo copri tutto tu!-
Il boato di risate che scosse Yuya e Yugi rischiò di trascinare anche lei, alla vista dello sguardo stupito di Yusei che boccheggiò come un pesce fuori d'acqua, quasi a voler rispondere, senza tuttavia riuscire a spiccicare parola. Si limitò poi a sorriderle in sfida, alzando un sopracciglio: sembrava davvero divertito.
    -    Aaah, ecco che la rosa sta mettendo su le sue spine, eh?- disse poi, la voce resa ad arte roca e bassa.
Perfetto. Davvero perfetto, ci voleva solo quel basso timbro vocale per dare il colpo di grazia ai suoi sentimenti già compromessi. Aki non si scompose, ma fu costretta a dare fondo a tutte le sue energie per non capitolare ed abbandonarsi a qualche sua mistica visione di Yusei.
    -    Beh, come hai visto ci provo, a far rigare dritto queste bestie...- riprese il barman, scoccando un'occhiata di traverso a Yuya che era saltato a sedere su una poltrona – Ma senza successo. La colpa è anche mia credo, non mi impegno davvero a farlo...in fondo è uno dei pochi giorni in cui abbiamo più o meno carta bianca-
    -    Pensavo che Atem vi lasciasse carta bianca a prescindere- notò Aki, arrotolandosi una ciocca scarlatta intorno all'indice sinistro.
    -    Sì, in effetti è così, ma sai com'è...quello ha occhi e orecchie dappertutto. Fai una cosa, e sta' pur certa che lui lo saprà. Non so come faccia a volte-
    -    Davvero! È quasi inquietante- affermò Yuma, sopraggiunto in quel momento e vestito di tutto punto per la sua attività – Come se avesse un sesto senso! O un terzo occhio, o che ne so-
    -    Però, quando lui non c'è ci si diverte di più ovvio!- esclamò Judai, con i polsini della camicia a posto – Ed è anche uno dei motivi per cui spostiamo volentieri il riposo, quando sappiamo che lui non c'è!-
    -    Della serie, via il gatto e i topi ballano?-
    -    Esatto!-
    -    Potrebbe ugualmente passare più tardi- buttò lì Yugi, passandosi una mano sul collo – Mi ha accennato a questa possibilità. Ma molto sul tardi-
    -    Molto sul tardi vuol dire?- domandò Yuya.
    -    Che non sarà di sicuro ora. So che doveva vedersi con Mana-
    -    Oooh...interessante...-
    -    Yuya, la tua faccia non mi piace-

Non piaceva davvero, e non perché fosse inquietante o cosa: il giovane aveva affilato le iridi diverse e sfoderato un ampio sorriso tipico di chi stava facendo due più due. Aki si lasciò sfuggire un sorriso: l'espressività di quel ragazzo era davvero divertente.
    -    Allora potremo tranquillamente aspettarlo domani sera- concluse Yuya, facendo spallucce con un gesto soddisfatto – Ha altro a cui pensare adesso-
    -    Allora questa storia che se la fa con Mana è vera?!- domandò Yuma, perplesso.
    -    Ma ceeeeerto che se la fa con Mana! Secondo te che motivo avrebbero, quei due, di starsi così dietro?!-
    -    Perdonate la mia ignoranza...- esordì Aki, alzando una mano – Ma chi è Mana?-
    -    Una cara amica di Atem- rispose Yuma.
    -    Amica speciale- approfondì Yuya.
    -    Sì beh, escono spesso insieme, e da quello che so c'è più di semplice amicizia tra loro ma non so come definirla...-
    -    Tu fai sesso con la tua migliore amica, Yuma?-
Fu un lampo: Yuma scattò sul posto ad occhi spalancati, avesse Yuya rifilatogli uno sganassone sul naso la reazione sarebbe stata la stessa. Aki non seppe dire cosa attraversò il cervello del ragazzo, in quel momento, ma sicuramente non era qualcosa di esprimibile in quella sede senza apparire un depravato.
    -    N-nooo?!- rispose poi il barman, la gola secca.
    -    Ecco appunto. Per questo dico che non è una semplice “migliore amica”-
    -    Non capisco- soffiò Judai, le braccia conserte al petto – Un uomo può tranquillamente avere una migliore amica e basta no?! Insomma, io ho avuto tante relazioni, ma Alexis è sempre stata la mia migliore amica! Non vuol dire questo?-
Le reazioni dei restanti componenti della crew furono più che prevedibili: Yusei gli rifilò un'occhiataccia da stenderlo sul posto, Yuma preferì invece allontanarsi, imitato da Yugi, ma poco ci mancò che Yuya cavasse fuori dalla tasca una gigantesca freccia lampeggiante con su scritto “CRETINO”. Judai si guardò intorno, esasperato, prima di posare gli occhi proprio su Aki.
    -    Eh? Aki tu che dici?- le domandò poi – Tu sei la migliore amica di Yusei giusto?!-
    -    ...vado a cambiarmi- rispose la rossa, allontanandosi velocemente dal trio rimasto e imboccando la porta dei camerini.
Furono proprio loro tre, Yusei, Judai e Yuya, a guardarsi a vicenda e incrociare le braccia al petto quasi contemporaneamente.
    -    Ma che ho detto di male?- domandò allora il castano, con aria innocente.
    -    Detto, fatto...Judai, meriteresti un cazzotto in faccia, giuro- borbottò Yusei, picchiettandogli la fronte con le dita della mano sinistra.
    -    Ma potrei sapere il perché, di grazia?!-
    -    Ecco il perché!- esclamò Yuya – Perché continui a recitare la parte di quello che casca dal pero ogni volta!-
    -    ...Per caso centra Alexis?-
    -    Continua, sei sulla buona strada...!- lo incalzò Yusei, le mani giunte di fronte al suo volto in segno di preghiera.
    -    Sul serio, tutta quest'ansia di vedermi accoppiato con lei da dove viene? Siamo ottimi amici dai tempi della scuola, abbiamo entrambi le nostre vite e--
    -    E lei vorrebbe averti nella sua! Ma diavolo, è davvero così difficile per te capirlo?!-
    -    Me? Lei vorrebbe avere ME nella SUA vita?! Yusei ma sul serio, ti senti quando parli?! Una come lei con uno squinternato come me? Ma sei serio o cosa?!-
    -    Peccato che la signorina sia innamorata di un certo squinternato!-
    -    Naaaah, ti stai sbagliando!-
   -    Continua a raccontarti belle favolette, Jud. Fai il cretino con gli occhi bendati, ma io SO che hai capito qualcosa. DEVI averlo capito, non puoi essere davvero così tordo...!-
    -    Beh, allora mi spiace deluderti, Yusei, ma devo davvero esserlo, perché io non ci trovo niente di strano nell'amicizia tra me e Alexis-
    -    ...Io non dico più niente-


Alzando le mani in segno di resa, Yusei si allontanò dai due, richiamando Yugi e imboccando una delle uscite secondarie per andare a completare le operazioni di carico e scarico.
C'erano delle volte in cui Judai sembrava davvero implorargli un pugno, o comunque di subire qualsiasi tipo di danno fisico. Ed era un peccato, perché era davvero un ragazzo d'oro, responsabile e accorto come pochi della sua giovane età...eppure aveva spesso delle uscite che gli facevano accapponare la pelle dallo sdegno.
Che Alexis morisse per lui era chiaro perfino alle poltrone del Pharaoh's Kingdom. Se n'era accorta anche Aki, che era con loro a malapena da cinque giorni...! E l'unico che invece non si rendeva conto dell'evidenza dei fatti era proprio il diretto interessato, questo nonostante fosse il primo disposto a gettarsi in mezzo alle fiamme se questo avrebbe determinato la salvezza della ragazza.
Ah, e poi il modo in cui aveva indicato Aki...il bue che dava del cornuto all'asino, proprio. Tra lui e Aki non c'era proprio niente, solo un'amicizia nata per caso e che, sempre casualmente, si stava consolidando perché era così che succedeva quando due persone si trovavano bene a lavorare insieme, no? Dover lavorare a stretto contatto con persone diverse ti metteva in condizioni di trovare delle affinità sulla quale basare il rapporto, no? Era anche nel reciproco interesse di una pacifica e duratura convivenza.
Certo, si era reso conto degli sguardi che spesso Aki gli lanciava. E se proprio doveva dirla tutta, la trovava anche tenera, quando si perdeva in quegli attimi di silenzio e chissà quali pensieri: era un vezzo così tipicamente femminile, eppure l'aveva incontrato davvero in poche ragazze della sua vita.
Forse era l'aria del Satellite che forgiava caratteri molto più stoici e meno svenevoli, anche e soprattutto nelle donne.
E doveva ammettere di trovarla anche...non carina, davvero bella con quei suoi atteggiamenti tipicamente femminili. Aveva una bella testa sul collo e ragionava andando oltre ai pregiudizi e agli stereotipi, forse perché era stata la prima ad esserne vittima probabilmente; era indipendente e determinata, e salvo qualche scemenza, come il dover ricucire un bottone, riusciva a cavarsela tranquillamente da sola nelle più disparate situazioni. Tutti valori aggiunti a quella che era già una bella ragazza, con il viso di una dama d'altri tempi, i capelli di fiamma e un corpo che avrebbe fatto invidia alle casalinghe disperate. E per lui non c'era alcun problema ad ammettere che sì, Aki gli piaceva come persona.
Magari non così direttamente di fronte alla diretta interessata.
    -    Yusei, tutto bene?-
    -    Ah?-
    -    Stai prendendo quella scatola a calci-
Il giovane imprecò tra i denti, chinandosi e sollevando la scatola tra le braccia.


Aki risalì dai camerini nell'esatto momento in cui Yuya tornò con i piedi sulla poltroncina, l'ombrello ancora in mano e la sinistra tesa orizzontalmente sulla fronte, quasi a voler schermarsi da un invisibile sole per vedere meglio in lontananza. Forse era per lo stesso motivo che si era abbassato gli occhialetti? Chissà, ma sembrava che i remix diffusi dagli altoparlanti avessero su di lui qualche misterioso effetto: non era esattamente un tipo tranquillo, ma a ritmo di musica diventava davvero impossibile mettere freno alla sua energia e alle sue pagliacciate. Aki si grattò una guancia confusa, non comprendendo a cosa fosse dovuta la particolare posizione di Yuya in quel momento.
Ebbe la risposta quando la porta di vetro glissò dolcemente, suscitando un estasiato grido di gioia da parte del barman acrobatico. Yuya saltò velocemente giù dalla poltroncina, e corse a grandi falcate verso la ragazza che aveva fatto capolino nella sala: la rossa si lasciò sfuggire un grido di sorpresa quando, a qualche metro da lei, il ragazzo spiccò un balzo e le saltò letteralmente addosso, e fu solo per un miracolo divino che non finirono entrambi lunghi distesi a terra. Dietro la giovane attaccata da Yuya, Anzu era scattata indietro, forse per non essere travolta a sua volta.
Se non fosse bastata la chioma di un'improbabile rosa acceso, ci pensò Yuya a fugarle ogni sospetto. Il giovane barman chiuse le mani a coppa sul suo volto e le regalò un lungo bacio sulle labbra, presto ricambiato dalla ragazza che incrociò le sue braccia al collo. Aki rimase momentaneamente interdetta, Anzu stessa li sorpassò con un sorriso impacciato.
    -    Giovinastri- disse poi, facendole l'occhiolino e scoppiando a ridere insieme a lei.
Aveva parlato poco con Anzu, ma aveva subito concluso fosse davvero una ragazza carina e molto piacevole da avere accanto: con i suoi modi garbati e la sua positività, non c'era da stupirsi se Yugi se n'era invaghito tanto, piuttosto da chiedersi perché non si era ancora fatto avanti, considerando che lei sembrava anche ricambiare quel sentimento. Possibile che gli uomini del Pharaoh's Kingdom perdessero la propria iniziativa di fronte alle donne? Escludendo ovviamente Yuya e Atem.
    -    Come mai tutta sola oggi?- domandò Anzu, scambiando un paio di baci sulle guance.
    -    Sono semplicemente da qualche altra parte- rispose Aki, con un sorriso – Yugi è con Yusei, sta scaricando-
  -    Aaaah, ecco perché non lo vedevo...oh insomma!- esclamò poi, in direzione della coppietta – Prendetevi una stanza se siete proprio così benintenzionati!-
    -    Nessuna stanza! Ne riparleremo quando torneremo al mio appartamento...- rispose Yuya, terminando di far volteggiare la ragazza e facendole toccare piede a terra – Yuzu, vieni qui! Voglio presentarti un paio di persone! O meglio solo una, Anzu la conosci già!-

E così ecco la giovane fidanzata di Yuya, la ragazza che nello sfondo del suo cellulare sorrideva con una felicità difficile da contenere: Yuzu scambiò una stretta di mano con lei, sorridendole ampiamente e accarezzandola con le dita delle sue, snelle e raffinate. Forse la vista la ingannava, ma sembrava superare Yuya di qualche centimetro appena: magari erano i tacchetti delle scarpe? Aveva due occhi azzurri che brillavano di gioia, e quei capelli rosa impossibili da non notare erano legati in due voluminosi codini ai lati della testa: erano davvero belli da vedere insieme, con le chiome così colorate tutti e due.
    -    Yuzu ha appena terminato una sessione di esami piuttosto difficile, e passerà un po' di tempo qui con noi prima di ricominciare le lezioni!- esclamò Yuya, stringendosela a sé con un braccio – Per un po' potremo abbandonare telefoni e conversazioni in webcam!-
    -    Ho lasciato le valigie nell'auto di Anzu- disse la giovane, la voce chiara e limpida – Pensi che potremmo...-
    -    Già metterle in auto? Certo! YUMA! Guarda un po' chi c'è!-
    -    Ehi ehi, che diavolo hai da strillare?! Oh per tutti i...!-
Istintivamente, Aki si ritrovò a pensare che quella povera ragazza doveva essere abituata a quelle reazioni, perché la vide distintamente cambiare posizione per accogliere al meglio il secondo salto della serata: Yuma la strinse in una forte presa a mo' di orso, facendosi sfuggire degli urletti che non avevano molto di virile.
Si conoscevano tutti e tre, a quanto pareva, e da molto tempo a giudicare dalla confidenza che li animava, e stando alla foga con cui si erano riuniti doveva essere anche da molto tempo che non si rincontravano. Aki li osservò con un sorriso sul volto come una sorella maggiore che guardava i suoi fratellini giocare.
    -    Ah ecco perché tutto questo trambusto-
A parlare era stato Yusei, alle sue spalle. La rossa trasalì e si voltò di scatto, osservando il ragazzo farsi avanti insieme a Yugi. Dovevano aver terminato presto di scaricare: in due si lavorava meglio e più velocemente, e non sembravano eccessivamente affaticati. Yugi corse immediatamente da Anzu mentre Yusei trovava subito posto dietro il bancone, a fissarlo contrariato.
    -    Voglio dire...- sibilò poi, scuotendo il capo – Perfino Yuya, ragazzi...e quei due non sanno che pesci pigliare. Yugi temporeggia, e quell'altro non riesce a vedere ad un palmo dal suo naso. Senza speranza, davvero...-
    -    Ehi, che hai da borbottare?- gli domandò la rossa, sorridendogli mentre si avvicinava al bancone, posando i gomiti su di esso e osservandolo incuriosita – Dagli del tempo, magari devono trovare un po' di coraggio-
    -    Di tempo ne hanno avuto fin troppo. Devono svegliarsi adesso o rischieranno di restare fregati-
    -    Cosa intendi?-
    -    ...Mettiamola così: cosa faresti, se il ragazzo di cui sei perdutamente innamorata ti ignorasse? Non notasse tutti i segnali che gli lanci e non capisse quello che provi realmente? Anzi, per dirla alla maniera di Judai, ti vedesse solo come una migliore amica?-
    -    ...Oh. Beh...-
Domanda difficile quella. Anche perché non riusciva a pensare a nessun altro ragazzo, in quel momento, che non fosse Yusei.
Che cosa avrebbe fatto? In un'ipotetica dimensione in cui lei fosse stata realmente invaghita del barman, e lui non avesse recepito i suoi segnali, come avrebbe reagito?
    -    Io non mollerei- rispose poi, torcendosi le mani – Insomma, che senso ha cercare conforto in una persona diversa da quella che vuoi davvero avere al tuo fianco?-
    -    ...Oh-
Sembrava alquanto...sorpreso?, da quella risposta. Forse non se l'aspettava.
    -    Immaginavo- disse poi, facendo spallucce – Forse è perché voi ragazze avete una visione del tutto romantica delle cose-
    -    Ne parli come se fosse una colpa-
    -    Una colpa proprio no, quanto una sciocchezza-
    -    Tu cosa faresti allora? Se una ragazza respingesse le tue...avances?-
Come se fosse fisicamente possibile...era di Yusei che stava parlando, quello era capace di mandare in fibrillazione anche Mai Kujaku.
    -    Di sicuro non risolverei le cose continuando a tormentarla e magari appostandomi sotto casa sua o facendo quelle cose da maniaci. Per cui sì, penso che rispetterei la sua idea e la lascerei stare-
    -    Mh, e poi? Cercheresti conforto tra le gambe di un'altra?-
    -    Non metterla come una cosa puramente orientata verso il sesso, Aki-
    -    E perché non dovrei? Alla fine, gira tutto intorno a quello-
    -    Vero anche questo, ma non c'è solo quello-
    -    Saresti il primo, che conosco, a pensarla così-
    -    Aki, non so sinceramente con quali uomini tu abbia avuto a che fare fino ad ora ma--
    -    Con nessun uomo degno di questo nome. Qualche fidanzato, certo, che scappava subito via. Non sono...abbastanza disinibita e...aperta-
Yusei alzò lo sguardo e la osservò intensamente.
Non aveva capito quello che pensava, vero?
    -    Ti dà fastidio?- le chiese il giovane – Parlarne intendo-
    -    No! Perché dovrebbe?-
    -    Perché ti sei rabbuiata di colpo. E perché la stai prendendo troppo sul serio, la mia era solo una domanda-

Aki fece per rispondere, poi scosse il capo e si portò una mano alla fronte, conscia del fatto che parlare non sarebbe servito a molto.
Era solo una domanda, era vero, ma per qualche motivo quella domanda l'aveva gettata in uno stato di confusione e panico. L'idea che qualche suo comportamento venisse travisato la inquietava, soprattutto perché sapeva di star comportandosi in maniera strana da un po' di tempo.
Esattamente da quando aveva messo piede al Pharaoh's Kingdom.
E l'idea che Yusei potesse aver capito qualcosa la terrorizzava, non trovava altro modo in cui spiegarlo. Poche volte aveva provato reale attrazione per un uomo, e mai con quell'intensità che cresceva a ritmo esponenziale. Perché poi? Quel ragazzo non aveva fatto assolutamente niente per ridurla a quel punto...salvo trattarla con gentilezza tutto il tempo, forse. Ma anche gli altri erano gentili con lei, Yugi primo tra tutti, e poi anche Judai, che le offriva sempre dolcetti e le mandava messaggi del buongiorno e della buonanotte. E Yuma che, qualche sera prima, le aveva insegnato come far girare uno shaker tra le mani senza farlo cadere a terra ogni volta. E Yuya con la quale aveva condiviso un discorso insospettabilmente serio e profondo. Per non parlare di Atem, che si curava così tanto del suo stato di salute ogni volta.
Cos'aveva fatto, Yusei, di diverso? Okay, le aveva mostrato le chiappe, e allora? Non era un gesto voluto, era solo nel bel mezzo di una sfida idiota. E okay, le aveva rifilato quel bacio a stampo che faceva sempre parte di quella sfida. Assolutamente niente che avrebbe potuto rapirla in qualche modo, anzi: inizialmente aveva trovato la cosa anche strana, al limite dell'assurdo.
Qualunque cosa le avesse fatto Yusei, era la stessa che l'aveva fatta rabbuiare a sapere di dover girare per i tavoli, quella sera, e non stargli accanto.
    -    Aki? Tu che ne pensi?-
    -    Eh?!-
Così persa nei suoi pensieri, non si era affatto resa conto che Yusei le aveva probabilmente chiesto qualcosa. La rossa si guardò intorno sperduta, cercando qualcosa al quale aggrapparsi. Una tenda, uno specchio, qualsiasi cosa l'avrebbe aiutata a sfuggire da quell'ennesima, potenziale gaffe. Il ragazzo si morse il labbro inferiore, incerto, prima di avanzare un bicchiere collins ripieno di analcolico alla fragola.
    -    Tieni, nel frattempo. Mi sembri un po' giù di morale- le disse poi, con un lieve sorriso.
    -    Eh? Ah...grazie-
Fantastico. Davvero fantastico. Ma dico perché, perché non mi sono chiusa viva in casa, a circondarmi di gatti e biscotti?!
    -    Che ne pensi? Dicevo di Yuya e Yuzu-
Aki fece spallucce, stringendo con una mano il bicchiere e portando la cannuccia alle labbra; il colorato trio era momentaneamente uscito dalla sala, a sistemare i bagagli della ragazza nell'auto di Yuma.
    -    Sono molto carini insieme- rispose la rossa. Yusei annuì.
    -    Già, e devo dirlo: da Yuya non me l'aspettavo. Conoscendolo...-
    -    Eh? Perché?-
    -    Perché non è sempre stato così. So che la scomparsa del padre gli ha causato parecchi problemi, come se già non ne avesse. Non ne avete parlato, l'altra sera?-
    -    N-no...-
    -    Oh. Non dovevo dirlo allora, non dovevo proprio dirlo. Bah, fai finta come se non avessi detto nulla, okay? Non mi sembra giusto raccontare gli affari degli altri-
Aki si strinse di nuovo nelle spalle e non disse altro, restando ad osservarlo mentre, quasi a ritmo di musica, rimetteva a posto le nuove bottiglie appena scaricate.
Tirò su con la cannuccia. L'analcolico alla fragola era così dolce che le venne quasi da piangere.

****




    -    YUYAAAAAAA!!! MANDA GIÙ QUEL CAZZO DI RUM!-
Detto fatto, il ragazzo dagli occhialetti diede fondo a tutte le sue energie per ingollare il contenuto di quel bicchierino. Aki riuscì a vedergli il pomo d'Adamo ingrossarsi e scorrergli lungo la gola come la bolla di una livella, prima che il giovane barman si producesse nella sequenza di smorfie più singolari e divertenti della sua vita. Yuma scoppiò a ridere come un pazzo, quasi non reggendosi più in piedi, Yusei scosse il capo e continuò a preparare i suoi drink.
Stando a quel che aveva capito, il grosso problema di Yuya, nell'alcol, era costituito proprio dal Rum: per quanto provasse e riprovasse, proprio non riusciva a piacergli. Se diluito in cocktails, come nel caso del Cuba Libre e del Rum Fizz, faceva una carinissima smorfietta col naso e continuava a bere, ma allo stato puro...per lui era un'impresa titanica.
Ma non ci si tirava mai indietro di fronte ad una sfida, vero? E mentre stava sapientemente preparando un Bacardi per il tavolo 5, Yuma gli aveva piazzato quel bicchiere da shot pieno fino all'orlo sotto il naso. Dovevano in qualche modo fare posto sugli scaffali, e quella bottiglia di Rum era quasi finita: quale migliore modo di smantellare le bottiglie alcoliche se non bersi le loro rimanenze?
Yusei stesso, dopo qualche (debole) tentativo di ricondurre i due alla ragione, aveva preso qualche goccio, ovviamente di nascosto dai due barman, e Judai si era servito un bicchierino di Irish Whiskey mentre, con l'altra mano, portava un vassoio di dolci ad Anzu e Yuzu, sedute ad un tavolo poco lontano. Mai Kujaku e Alexis Rodhes si erano unite a loro qualche minuto dopo l'apertura: la giovane cantante, impeccabile nel suo tubino nero e i capelli lasciati sulle spalle, aveva riempito di complimenti Yuzu, allo stesso modo di come si era poi congratulata con Yuya, mentre la sergente, così carina in quell'elegante tuta da sera, aveva intrattenuto un vivace dialogo con Aki, prima che cominciasse a servire ai tavoli.
    -    Va bene Yuma, ora basta! Passami il Rum, mi serve! Come lo faccio questo Mojito?!- esclamò Yusei, quasi seccato.
    -    Aahaha, dillo che vuoi farti un goccio anche tu!-
    -    Certo, perché sono così idiota da mischiare gli alcolici insieme! Vuoi vedermi collassare o cosa?!-
    -    Pfu! Tu così grande e grosso? Mi preoccuperei più per Yugi...gli ho dato un goccio di Vodka Lemon prima ma temo gli stia già facendo effetto-
    -    Certo, PERCHE' LO FATE BERE A STOMACO VUOTO! Geni del male che non siete altro!-
    -    Un Malibu Beach e due Piña Colada- gli riferì Aki, passando accanto al bancone.
    -    Arrivano- rispose Yusei; era il caso di ricordare alla rossa che vedeva le ordinazioni sul display? Ma no, aveva più scuse di avvicinarsi al bancone – Mi fai un favore Aki? Ce la fai a prendere altre ordinazioni da sola?-
    -    Direi di sì, è successo qualcosa?-
    -    Sì, Yugi ha la resistenza alcolica di un pulcino e nessuno se lo ricorda mai!-
    -    Te lo mando al bancone-
    -    Grazie! Prima che succeda l'irreparabile...-
Aki scosse le spalle e si incamminò ad ampi passi verso il fratellino di Atem, ben consapevole che ormai era – forse – troppo tardi: il giovane era seduto allo stesso tavolo di Anzu e Yuzu, con il colletto della camicia aperto e la cravatta disfatta, e la fronte poggiata sul tavolo. Allungando il passo, Aki gli posò una mano sulla spalla destra, facendogli alzare la testa di scatto.
    -    Yusei ti vuole al bancone- gli disse poi – Credo che voglia darti qualcosa. Stai bene?-
    -    Una...una meraviglia!- esclamò lui, gli occhi scintillanti e un grosso sorriso sulle labbra – Sto benissimo! Ho solo i tavoli che mi girano un po' intorno ma va benissimo!-
    -    Aaaah, beata gioventù!- commentò Mai, ridacchiante – Non è tenero, con quelle guanciotte rosse? Hai la resistenza di un bambino tesoro, non dovresti bere così...-
    -    Ma ho preso solo un goccio!-
    -    A stomaco vuoto, amore-
    -    Aaaah...-

Un lampo attraversò quel tavolo, e partì dagli occhi chiari di Anzu e si infranse sul bel volto sornione della cantante. Aki dovette capire qualcosa, perché si affrettò a far alzare Yugi dal tavolo e ad accompagnarlo al bancone, privando subito le due ragazze di un facile bersaglio.
    -    Volete darvi una calmata o no?!- sbraitò Yusei, all'indirizzo dei due colleghi.
    -    E perché?! Non stiamo facendo nulla di male!- esclamò Yuya, infilando una fettina di ananas in bilico sul bicchiere del Piña Colada.
    -    A parte fare casino e scolarvi tutte le bottiglie, s'intende-
    -    Chi è che ha finito la Tequila? EH?- gridò allora Yuma, i pugni chiusi sui fianchi.
    -    E NON URLARE, bestia! Non sono sordo!-
    -    Datemi i bicchieri...- fece Aki, servendosi autonomamente e posando le bevande sul suo vassoio.
    -    La situazione mi sta sfuggendo di mano- borbottò Yusei, facendo rintanare Yugi dietro al bancone – Aspetta, ti do' qualcosa-
    -    Ehi, sto bene giuro! Mi ruota la sala intorno ma--
    -    Piano con le bottiglie!-
    -    Ma sto bene!-
    -    Sì come no...-
Yusei scosse il capo costernato, spalancando il piccolo frigorifero e afferrando la prima lattina di Sprite a disposizione. Gliela stappò con un gesto secco e gliela piazzò in mano, invitandolo a bere.
Il nesso ancora non gli era chiaro, ma aveva scoperto, quasi per caso a dire il vero, che Yugi recuperava lucidità una volta assunta una buona dose di Sprite. Probabilmente aveva anche letto qualcosa a riguardo, su Internet, che non gli tornava in mente al momento; tuttavia, in simili casi non era proprio il caso di farsi problemi e ripetersi che non tutto quello che trovava sul web era vero. Sapeva che funzionava e questo gli bastava.
Alzò lo sguardo verso i tavoli: immersa nella luce violacea della sala, Aki stava diligentemente completando il suo dovere, prendendo ordinazioni che ogni volta lampeggiavano sul display del bancone. Yusei prese a preparare la miscela del Firestarter senza mai staccarle gli occhi di dosso.
Quando aveva un lavoro da fare, Aki perdeva tutta la sua iniziale, apparente timidezza, e si dedicava anima e corpo al suo ruolo, fosse stato quello di prendere ordinazioni oppure il preparare miscele al bancone. Poche volte aveva ritrovato quello spirito di iniziativa e dedizione, e il fatto che fosse tutto concentrato in quella ragazza piccola e carina non faceva altro che alzare vertiginosamente i suoi picchi di attenzione.
In cuor suo, sperò di non averla impressionata o infastidita, con il loro precedente discorso. Né di averle dato l'impressione – totalmente sbagliata – di curarsi poco di cose o persone.

    -    Hai finito di dipingerti cuori per l'aria?-
    -    Non sono come te Jud, certe cose le riconosco a vista d'occhio-
Lo chef del Pharaoh's Kingdom gonfiò le guance indispettito, poggiando i gomiti sul bancone. A poca distanza dal moro, Yuya spedì un bacio alla sua fidanzata con la mano sinistra, prima di riprendere a far vorticare le sue bottiglie.
    -    La vedo sempre più spigliata, o sbaglio?- domandò poi – Aki intendo-
    -    Non sbagli affatto. Sta reggendo bene il ritmo, per essere una novellina- rispose l'altro, osservandolo distrattamente.
    -    Vero! Anche se mi sembra sempre accigliata per qualcosa...non so, è come se ce l'avesse col mondo-
    -    Col mondo no, solo con qualcuno- gli rispose Atem.
Sembrò di vivere un dejà vù. Sorpreso dalla sua presenza alle spalle, Judai scattò per aria come una molla, incespicò nei suoi stessi piedi e cadde a sedere sul pavimento, mentre Yusei trasaliva, preoccupato più dalla reazione del castano che dall'apparizione del padrone di casa. Alle sue spalle, un grosso fracasso di vetri rotti testimoniò il fallimento di Yuma nella sua ennesima presa. Il Faraone sollevò lo sguardo sul giovane e lo osservò con un sorriso serafico, mentre il barman si piazzava le mani tra i capelli sparati.
    -    Temo che questa verrà detratta dal tuo stipendio mensile, Yuma- concluse poi, con un'alzata di spalle.
    -    Ma era vuota!-
    -    Oh davvero? E come mai? Centra qualcosa con l'attuale stato di Yugi?-
    -    Iiiiiio non so niente!- esclamò il giovane chiamato in causa, alzandosi dalla sedia, un sorriso ebete sul volto e lievemente barcollante sulle sue gambe – È stato lui!- ed indicò Yuma – Ma non dirlo a nessuno!-
    -    Yuma? Cosa mi dici al riguardo?-
    -    ...è stato lui!-
    -    Nnnnon pensarci neanche!- sbottò Yuya, rivolgendogli un gesto poco educato con la mano destra – Sei tu quello che ha piazzato bicchieri da shot pieni fino all'orlo sotto il naso di tutti!-
    -    La cosa si fa interessante...vi prego continuate!-
    -    Bestie, direi che sia il caso di fine qui!- esclamò Yusei, la gola secca.
    -    Io ho solo...ehi! Ma-MANAAAA!-
    -    I PIEDI SUL BANCONE!-
Yuma lo ignorò senza farsi troppi problemi: il giovane barman saltò fuori dalla sua postazione e si aggrappò stretto alla ragazza, strappandole una risata, quasi colpendo Aki che aveva raggiunto il gruppo al bancone con una smorfia preoccupata.
Atem era infine passato a controllare come stavano andando le cose. Prevedibile, conoscendolo...e si erano fatti trovare in uno stato pietoso: Yugi mezzo brillo, gli occhi lucidi dal sonno, Judai che alternava un goccio di Whisky a qualche dolcetto, Yuma che passava bicchieri di rum a più o meno tutti, Yuya che di quel rum proprio non voleva saperne, e Yusei che sembrava sul punto di abbatterli entrambi. Eppure non sembrava particolarmente sorpreso dalla situazione, quanto divertito: non era sicuramente la prima volta in cui li coglieva in flagrante, a giudicare dal suo serafico sguardo, e qualcosa nel cuore di Aki le diceva che non sarebbe stata l'ultima.
Poi posò lo sguardo sulla ragazza assaltata da Yuma, la misteriosa accompagnatrice di Atem: la giovane dai capelli biondi aveva gli occhi più verdi che avesse mai visto, e un volto delicato e diafano su un corpo dalle forme armoniose, sottolineate dall'abito color indaco.
Lei era quindi Mana, la don—ragazza che sembrava aver rapito gli occhi del Faraone? Aveva un'aria così dolce e innocente che strideva dannatamente con la presenza misteriosa e fascinosa di Atem; eppure doveva aver qualcosa che aveva attirato la sua attenzione, abbastanza da trattarla con cura e dedizione più di ogni altra donna nei dintorni. Doveva ammetterlo, era molto bella, permeata di quell'innocenza, nell'aspetto, che sembrava ormai perduta, snobbata dalle mode attuali.
    -    Oh, ma guarda chi c'è!- esclamò la voce di Mai Kujaku, comparsa alle sue spalle in quel momento – Ecco il perché di tutto questo caos...-
    -    Mai!- esclamò la giovane, sorridendole. Aveva davvero una bella voce – Da quanto tempo?-
    -    Qualche mese, tesoruccio...ho girato un po' per il continente, e ora sono tornata all'ovile! Ti trovo in gran forma!-
Era tremendamente carina persino quando arrossiva lievemente...! Aki alzò un sopracciglio, scrutando Yusei ancora dietro al bancone, impegnato nella preparazione di cocktail.
Non sembrava attirato dalla sua presenza...chissà per quale motivo. Era impossibile non notarla, in quella sala.
    -    E così lei è la tua accompagnatrice?- domandò Mai, rivolta al Faraone – Eh...potrei essere quasi invidiosa, ma è una ragazza così carina...come si fa a resisterle? Un fiorellino intoccato come lei...-
    -    Mai, fai attenzione a quello che dici...- borbottò Atem, arricciando lievemente il naso.
    -    Oh ma dai, si fa solo per dire! Allora tesoruccio, è ufficiale vero? Da quanto?-
    -    Qualche mese- rispose lei, con un'alzata di spalle, scegliendo volontariamente di restare sul vago.
    -    Oooh, un pochino vaga eh? Fai bene ad esserlo, tienitelo stretto! Non si trova tutti i giorni un uomo capace di fare certe magie...-
    -    Mai...!-
    -    Così come uno storico di prim'ordine! La sua casa racchiude preziosissimi cimeli, so di una certa verga da mago da lasciare a bocca aperta!-
    -    Mai va bene così davvero!-

Qualunque cosa intendesse, doveva aver colpito nel segno, perché la cantante era esplosa in una sonora risata mentre Mana si tormentava una ciocca dorata con l'indice sinistro; Yusei stesso aveva alzato gli occhi di scatto, incuriosito e sorpreso da quell'improvvisa affermazione, graziando Aki dell'ennesima visione del loro profondo blu.
Poteva diventare davvero una mania.
Yugi, invece, aveva avuto seri problemi a riprendere il respiro dopo aver rischiato di strozzarsi con la Sprite. Yuya cercò di aiutarlo a modo suo, sferrandogli forti pacche sul dorso e facendolo imprecare sdegnato.
    -    Mi siete davvero mancati!- esclamò Mana – Tutti quanti!-
E lo disse con un grande sorriso sul volto, prima di voltarsi verso la rossa. Aki la vide sbattere gli occhioni verdi un paio di volte, sorriderle ancora e porgerle una mano.
    -    Ciao! Non credo di conoscerti ancora!- esclamò la biondina, stringendole le dita tra le sue – Io sono Mana!-
    -    A-Aki- rispose la rossa, travolta da tanta foga e spontaneità.
Sì, era davvero bella.



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Come promesso eccolo qui, il numero 6 della serie! In anticipo rispetto alla tradizionale tabella di marcia di fine mese perché so già che non riuscirò ad aggiornare per quel periodo!
Sono attualmente impegnata in un rewatch della serie di 5D'S, e i feels ragazzi, i ricordi, le ansie per i duelli, le risate per le cretinate di Jack Atlas...le bestemmie per le censure alle prime due stagioni...aaaah, la nostalgia...
È vero che il vero start è stato dato da Arc - V, ma ricordo con piacere di quando, più giovincella, facendo zapping tra i canali, capitava di vedere questi duellanti turbo suonarsele di santa ragione sulle loro moto a colpi di evocazioni, trappole e magie veloci. Sapevo si trattasse di Yu-Gi-Oh! perché quel cavolo di giochino girava praticamente OVUNQUE, tra i bambini delle elementari, i ragazzi delle medie e gli scafati neo-maggiorenni del liceo. Ma non mi sono mai addentrata più di tanto nella cosa fino a qualche tempo fa come ben sapete.
Sto ancora recuperando tutto il tempo perso! xD

Veniamo a noi e a questo nuovo capitolo!
Atem ha le idee molto chiare: va bene lo scherzo, va bene il gioco, finché non si fa male nessuno. Ha un valido motivo per essere preoccupato...un VALIDISSIMO motivo. E l'idea che Seto possa fregarsene dell'incolumità altrui, cosa del tutto plausibile, non gli sfagiola, per cui ha deciso così: finché non ti dài una calmata ce ne stiamo buoni buonini, tu nella tua gigantesca torre e io nel mio attico con la mia Maga.
Mi fate sapere se secondo voi, alla luce delle coccole di alto livello che si sono scambiati, devo alzare il rating? xD potri farlo ugualmente in futuro maaaaa vorrei sentire anche voi. Non sarà l'unica scena a luci pseudo rosse maaaa non saranno tantissime, anzi. E con ogni probabilità, in futuro potreste ritrovarvi a preoccuparvi di qualcosa di molto peggio di qualche rotolata tra le lenzuola.

MA! Spostiamoci al Pharaoh's Kingdom, dove in assenza del padrone di casa i suoi scapestrati colleghi fanno un po' quello che gli pare, con Yusei che prova, con scarso successo, a tenerli calmini. Come da lui stesso ammesso, non ci si impegna molto a farlo.
Parliamo del discorso scambiato con Aki: che ve ne pare dei differenti punti di vista? Ormai è chiaro che la confidenza tra i due stia arrivando su nuove vette, al punto da scambiarsi simili pareri e opinioni così, con una naturalezza tale che di primo impatto Aki ne resta sorpresa. Yusei è un ragazzo tremendamente corretto, lo sappiamo, ed è quindi facile intuire che se qualcuna avesse la SCIAGURATA idea di rifiutare un suo corteggiamento lui non insisterebbe al punto dallo sfociare nella mania.
Anche se pensare a Yusei che CORTEGGIA una ragazza...infattibile. E non credo che ne abbia neanche bisogno! xD
Fa il suo ingresso in scena anche Yuzu! Mi raccomando, tenete d'occhio questa coppia perché tornerà molto spesso. E la sua entrata nel gruppo fa ragionare e mette qualche fanalino puntato anche su Judai e il suo rapporto con Alexis. Rapporto un po' complicato, ma perché è lui che nella sua ottusaggine lo rende tale, a ragione però perché, come si scoprirà più avanti, è un ragazzo che silenziosamente lotta contro le sue paure.

Ovviamente il detto "via il gatto, i topi ballano" viene preso alla lettera da questi ragazzacci che si permettono il lusso di BERE in servizio! Tanto per fare ancora più casino in assenza del capo. Non rilassatevi, tale affronto non resterà impunito! Atem ha un'ideuccia a riguardo...niente di potenzialmente pericoloso ovviamente! Ma forse...disturbante...

Al solito ragazzi! Chi vuole, se avete qualcosa da dirmi, fatevi pure avanti che non mordo! Prossimamente conto di caricare questa storia anche su altre piattaforme, e di aggiungere anche qualche disegno in più! Ne sto preparando qualcuno, per il momento ho un sacco di schizzi e studi dei personaggi in preparazione. Magari ricomincerò a pubblicarli!
Vi aspetto!

92Rosaspina

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Capitolo 7
*** 7. Signore!...e signori... ***


Pharaoh's Kingdom 7

7. Signore!...e signori...

Le incantevoli forme femminili complicano in modo terribile le difficoltà e i pericoli di questa vita terrena, soprattutto per i loro proprietari.
George du Maurier




    -    Puoi restare con me anche questa notte, se vuoi-
    -    Non so se Yugi approverebbe-
    -    Ma certo che approverebbe, in fondo è amico anche tuo-
    -    Già, ma considerato come mi stai guardando, non credo tu abbia molta voglia di dormire-
Atem si lasciò sfuggire una risata, preferendo prendere un sorso dal suo bicchiere prima di rispondere. Mana rimase ad osservarlo, con il mento posato sulla mano sinistra mentre con l'altra girava il suo frullato.
    -    Forse hai ragione- rispose poi – Forse dormiremmo poco. Ma la scelta resta tua, non voglio costringerti-
    -    Oh, sai benissimo che la mia scelta sarà sempre una sola-
Le strinse la mano libera, accarezzandole il dorso con il pollice.
Alle due di notte inoltrate, il Pharaoh's Kingdom era ancora a pieno regime: sebbene il ritmo delle operazioni fosse scandito da un blues più raffinato dei remix di Yuya, l'energia messa nel lavoro era ancora maggiore. Yugi aveva presto ripreso piena padronanza di sé dopo quella pseudo-sbornia da Vodka Lemon, tornando a coadiuvare Aki nel servizio ai tavoli. Atem aveva osservato la rossa con una punta d'orgoglio: nella prima serata era partita così timida e silenziosa che, in un primo momento, era stato convinto di aver preso un cosmico abbaglio, e invece si era rivelata una lavoratrice infaticabile e concentrata. Ennesima prova che apparenza non faceva rima con sostanza.
    -    Tu piuttosto...sei sempre convinto?- domandò Mana ad un certo punto. Atem alzò gli occhi verso di lei, lo sguardo interrogativo.
    -    Di cosa?-
    -    Sai bene cosa-
    -    ...Oh. Beh, certo che sì! Non sarà il genere di risposta che invierò a Kaiba, per quello aspetterò ancora, ma...-
  -    Pensi che sia saggio? Farlo attendere intendo. Nessuno può permettersi di ignorare Seto Kaiba senza subirne le conseguenze...anzi, mi meraviglio di come non sia già venuto a cercarti, dopotutto-
    -    Seto Kaiba non si schioda dalla sua candida reggia per fare la paternale ad una persona che tanto SA che non lo ascolterà. Aspetterà, quel tipo è capace di grande pazienza-
    -    Da come ne parli sembri quasi ammirarlo-
    -    Togli pure il quasi, lo ammiro davvero. Il mio più grande rivale, sangue freddo, stoicismo, egocentrismo a secchiate. Ma non si può negare che abbia guadagnato tutto il suo successo. Quello che ha fatto, la velocità con cui ha tirato su il suo impero, è degna di nota-
    -    Lo trovo molto nobile, da parte tua. Ma se lui non ricambiasse il sentimento?-
    -    Ha poca importanza-
Mana annuì e prese ancora un sorso dal suo frullato.
    -    Sei davvero convinto?- domandò poi, piegando la testa di lato, con un mezzo sorriso.
    -    Mh! Certo! In fondo, è necessario rimetterli in riga ogni tanto...e poi è un mio esperimento. Voglio proprio vedere quanto durerà-
La giovane annuì, vagando con lo sguardo per la sala.
Le era mancato quel posto, lì dove tutto sembrava concesso e dove la realtà confondeva i suoi confini con l'immaginazione. Il Pharaoh's Kingdom faceva da ritrovo per molti eccentrici esponenti dell'alta società di Nuova Domino, e gli standard qualitativi erano sempre stati molto alti fin dagli inizi: Atem aveva voluto solo i migliori tra i suoi dipendenti, andando spesso a selezionarli personalmente da altre attività, spesso del tutto diverse. Il ragazzo di nome Yusei era stato la sua più grande scommessa, promossa a pieni voti, e anche la giovane Aki si stava rivelando molto interessante: era bello vedere quella testa rossa girare per i tavoli con passo deciso, quasi temerario.
Quei grandi occhi arcuati sembravano quasi parlare, raccontare una lunga storia fatta di tristezza e poca stima verso sé stessa: sembrava, però, che il lavorare in quel locale la stesse aiutando non poco a riacquistare fiducia nelle sue potenzialità.
Non era ingiusto, coinvolgerla in quello strambo “esperimento”?

    -    Perché anche lei?- domandò Mana, incerta – Non è stata coinvolta. Non ha partecipato a questa...baggianata, come l'hai chiamata tu-
    -    Beh, te l'ho detto- rispose Atem, facendo lievemente roteare il Martini nel bicchiere – Si tratta di un esperimento. Sono proprio curioso di sapere come si comporterà anche lei-
    -    Un esperimento dici, eh? Heh...Sei un pessimo esemplare di uomo-
Atem alzò gli occhi ametista su di lei, un'espressione sorpresa sul volto.

    -    Fisicamente?- le domandò, in tono quasi preoccupato.
    -    Moralmente-
    -    Ah! Beh, immagino che dovrò farmene una ragione-
E le sfoderò il suo miglior sorriso da felino, prendendo ancora un sorso dal suo bicchiere e schioccando la lingua contro il palato.
    -    Ottimo- commentò poi.


****

Il mattino lo colse con l'oro in bocca, o più umanamente con il sole in fronte: l'aver lasciato la serranda alzata era forse stata una delle mosse meno astute, facendolo ritrovare nel suo letto irrorato di luce. Quando Yuma tentò di aprire gli occhi, si ritrovò a sbatterli furiosamente, la vista oscurata da puntini scuri.
E quando si svegliò, quel mattino, lo percepì subito nell'aria: c'era qualcosa di strano.
Non sapeva come definirla, effettivamente, ma era una sensazione particolare, insolita, molto simile a quella che aveva percepito il mattino in cui era rimasto coinvolto nel suo primo incidente d'auto: ginocchio destro letteralmente esploso a seguito del contraccolpo dell'impatto, quasi al suo interno fosse saltata una minuscola bomba ad orologeria, un'operazione chirurgica di tre ore e mesi di degenza per la riabilitazione.
Anche adesso la sensazione era  quella che qualcosa fosse stato preparato per lui, lo aspettasse. Il fatto era che non riusciva a distinguere se questa cosa era buona o cattiva.
Ancora steso nel letto, il ragazzo si guardò intorno, stropicciandosi gli occhi semiaperti e ricordandosi del cerotto all'indice destro: quella sera, per tagliare un'ananas con troppa foga, per poco non ci aveva rimesso un dito. Ghignò divertito, al ricordo di quella fantastica serata in cui erano sembrati tutti in preda ad un'euforia generale: erano queste le sue serate preferite, dove tutti si divertivano senza alcun freno insieme alle persone a cui più si teneva.
Fare ritorno in una casa vuota e solitaria diventava sempre più difficile e triste. Inizialmente c'era Yuya che, di tanto in tanto, gli teneva compagnia: Yuma lo ospitava volentieri, e allora restavano ore intere a sfidarsi ad estenuanti duelli con i videogames o scambiarsi fumetti e film di ogni genere, dai più divertenti ai più trash. Ora che Yuzu si era trasferita da lui, seppur momentaneamente, era ovvio che il giovane dedicasse molto più tempo alla sua fidanzata che al suo migliore amico.
A ripensare a loro due non si poteva negare che formassero una coppietta invidiabile. Si conoscevano fin da bambini, avevano frequentato tutti gli anni della scuola insieme, se non nelle stesse classi allora a due porte di distanza; si erano visti crescere, si erano sorretti a vicenda nei momenti difficili. Yuzu era stata la prima a trovarsi accanto a Yuya, alla notizia della morte del padre del secondo: era stata lei a tirarlo su e a far sì che il ragazzo non cadesse in un baratro di pura depressione e ansia. Si erano voluti bene e rispettati e cercati, anche quando, inevitabilmente, finivano con l'intrecciare relazioni con persone completamente diverse; solo nell'ultimo anno si erano resi conto che era inutile cercare conforto tra le braccia di estranei. Volevano stare insieme, reclamare proprietà una sull'altro, e amarsi senza più alcuna riserva perché spaventati dall'idea del “siamo migliori amici fin da bambini, sembrerebbe troppo strano!”.
Che idiozia. La prima volta che Yuma l'aveva sentita gli aveva rifilato uno sganassone che ancora se lo ricordavano, sia Yuya che la sua mano destra.
Un po' li invidiava davvero. Ma solo un po'.

Si stropicciò gli occhi abbagliati dalla luce del sole, la sottile tenda che si era premurato mesi prima di installare non bastava, per difendere la stanza dal sole. Poco più in là, vicino alla scrivania, il filtro dell'acquario faceva il suo rumoroso dovere, segno che necessitava di un'operazione di pulizia. Mosse un piede: il joypad della console, dimenticato sulle lenzuola, cadde a terra con un secco tonfo.
Rimase ancora in silenzio, come ogni mattina, ad ascoltare i familiari rumori della casa: i lievi scricchiolii di assestamento degli scaffali di legno, il ticchettio dell'orologio, il filtro dell'acquario, il lieve campanello con cui il suo cellulare lo avvisava di aver ricevuto un messaggio.
Afferrò con una mano lo smartphone, sbloccò lo schermo sbagliando codice due volte di fila, per poi ritrovarsi di fronte al buongiorno che gli augurava Kotori. La ragazza gli aveva inviato una foto, un autoscatto realizzato di nascosto in quella che sembrava un'aula universitaria: osservava lo schermo con un dolce sorriso e gli occhi vispi, la penna stretta tra le labbra.
L'unica persona per la quale, a volte, sembrava valido spendere tutte le sue energie era proprio lei. Kotori era una delle poche persone che non aveva mai dubitato delle sue potenzialità, a partire dagli anni scolastici, in cui era additato come un buono a nulla che presto sarebbe finito su una cattiva strada, fino a quegli ultimi anni, in cui in molti avevano criticato la sua scelta di abbandonare i suoi studi universitari per dedicarsi anima e corpo al suo lavoro. Forse non condivideva alcuni suoi tratti, come alcuni suoi sbalzi di umore lievemente infantili, ma non l'aveva mai respinto o criticato per questo, senza però risparmiarsi bacchettate o sermoni quando serviva. Una ragazza che sapeva rimetterlo in riga quando serviva, l'unica in grado di farlo. O forse l'unica a cui era concesso di farlo, chissà.
Decise che sì, era il caso di rispondere a quel messaggio. Pigiò il tasto corrispondente alla fotocamera, preparandosi per l'autoscatto.
E fu allora che notò qualcosa che non andava.
I capelli si erano arruffati parecchio dopo l'abituale doccia post turno, e fin qui niente di strano: il nero prevaleva sul rosso, nascondendogli parzialmente gli occhi. Occhi dalle iridi scarlatte che sembravano molto più gentili di come se li ricordava, eppure si specchiava spesso...e anche le labbra sembravano più piene e turgide. La maglietta che usava per dormire, per qualche motivo, si era fatta più stretta nella zona del petto, forse aveva sbagliato lavaggio? Il giorno prima aveva avuto qualche acceso diverbio con la lavatrice, le cui manopole non giravano quanto voleva lui: forse aveva lavato l'indumento ad una temperatura troppo alta, o bassa, e si era ristretto. Afferrò un lembo della t-shirt per individuare l'etichetta e verificare la sua ipotesi.
Qualcuno suonò al suo campanello, qualche minuto dopo. La signora dell'appartamento di fronte volle verificare le sue condizioni, dopo aver udito quel terrificante urlo.


    -    La testa...buon cielo chi è che la sta usando come tamburo?-
Nessuno stava usando la sua testa come strumento musicale di qualche etnia tribale, per fortuna: Judai lo realizzò quando aprì gli occhi e si ritrovò con la faccia affondata nel cuscino e il petto a contatto con il materasso, non esattamente la sua posizione preferita per addormentarsi ma considerato che aveva il sonno parecchio movimentato c'era da aspettarselo. Sbatté gli occhi, provò a muovere le braccia e imprecò tra i denti: doveva averle infilate sotto il cuscino mentre dormiva, perché erano completamente intorpidite, quasi fossero arti estranei al suo corpo.
Forzò i muscoli delle braccia a muoversi: solo una minima parte, dalla spalla in giù, era recettiva. Si rialzò in ginocchio, sfilando a forza le braccia da sotto il cuscino, osservando le dita delle mani e i palmi ingrossati, provando a scuoterli per sbloccare la circolazione sanguigna: subito quella sensazione che non sapeva definire se piacevole o meno lo attraversò dalla punta delle dita fino alle spalle, una lenta scarica che gli attraversava gli arti e li risvegliava, dandogli l'impressione di un esercito di formiche che gli pizzicavano la pelle, o di altrettanti aghi che lo pungevano per scuoterlo dal suo torpore. Judai sbuffò soddisfatto, passandosi una mano tra i capelli.
Dovrò decidermi a spuntarli, stanno diventando davvero troppo lunghi.
La casa era immersa nel silenzio e nella penombra: la serata aveva prosciugato delle loro energie sia lui che Yusei...o forse era stato l'alcol? Ad ogni modo, il compagno dormiva ancora della grossa nell'altra stanza: lo sentiva respirare rumorosamente perfino con la porta chiusa. Yusei sapeva di russare? Nella sua testa, Judai era convinto di no. Non sapeva neanche di gemere nel sonno, quando gliel'aveva raccontato il ragazzo del Satellite aveva negato con tutte le forze di cui disponeva: si era ricreduto solo all'ascolto di una registrazione che il castano aveva carpito durante la notte, in cui improvvisi rochi gemiti piuttosto equivoci si mischiavano a ben meno imbarazzanti, più inquietanti singulti di paura.  Quel ragazzo aveva un sonno davvero agitato, e stando alle sue parole era così dai tempi della sua permanenza nella Struttura.

La sua memoria lo aiutò ad orientarsi al meglio nei corridoi ancora bui. Fece scorrere la porta del bagno e cercò a tentoni l'interruttore della luce, rischiarando la stanza. Subito corse con le mani sotto il lavandino, aprendone il rubinetto e rinfrescandosi il volto ancora tirato dal sonno con dell'acqua fredda, per poi alzare la serranda ed avvicinarsi al sanitario.
Ci pensò su, mordicchiandosi il labbro inferiore e spalancando gli occhi in un'espressione che, avesse potuto vederlo Yusei, l'avrebbe definita “da vero idiota”.
Tornò di corsa al lavandino, studiando accuratamente il suo riflesso al piccolo specchio che vi avevano posizionato sopra, e constatando, con crescente orrore, che non aveva visto male: il suo corpo era diventato irriconoscibile, stravolto da curve e rotondità prettamente femminili la cui vista lo fecero impallidire, e per poco non cadde di faccia contro il bordo del lavandino.
Quel grido abbandonò le sue labbra prima che riuscisse a fermarlo.

    -    Ma cosa diavolo ha nel cervello quello là!-
Yusei gettò rabbiosamente le coperte ad un lato del letto, mettendosi velocemente in piedi e tirando a sé la maniglia della porta con tutte le forze di cui disponeva, spalancandola di colpo. Immediatamente di fronte, la porta scorrevole del bagno era chiusa, ma i lamenti di Judai erano inequivocabili. Il giovane spalancò gli occhi, preoccupato.
    -    JUDAI!- esclamò, spalancando la porta scorrevole con una pedata – Che diavolo succede?!-
A vederlo entrare così precipitosamente il castano si voltò di scatto, salvo poi urlare ancora alla sua vista, puntandogli teatralmente un dito contro.
    -    A-Anche tu!- esclamò, allibito – ANCHE TU! Io non capisco...non capisco! Cos'è una maledizione?! Un sortilegio?!-
    -    Mi dici che cosa diavolo--
Non serviva che Judai parlasse, la risposta era chiara sotto gli occhi di entrambi. Il castano si portò le mani ai capelli in un gesto di pura disperazione, mettendo in risalto il bel seno pieno. Gli occhi di Yusei si soffermarono su un piccolo – più o meno- particolare che gli fece sgranare gli occhi e imprecare tra i denti.
L'ennesima sua fissa, che Judai aveva chiamato feticismo e lui non sapeva se catalogarla sotto quella particolare categoria, riguardava, e a volte si vergognava anche solo a pensarci, i capezzoli femminili. Perché quando ne vedeva di grandi e rosei, doveva davvero dare fondo a tutte le sue energie per non trasformarsi in uno dei tanti esemplari maschili che, alla loro vista, scollegavano il cervello per dedicarsi ad altro. Il moro sgranò gli occhi blu, deglutendo abbastanza rumorosamente e portandosi una mano al bordo della canottiera, divenuto improvvisamente più stretto sul collo.
    -    Che cosa diavolo è?- domandò poi, incredulo. Judai gli rivolse un'occhiataccia che aveva dell'assassino.
    -    Hai voglia di scherzare?!- sbraitò, livido ( o livida?) in volto – Mi chiedi anche cosa sono?! Sono TETTE, idiota! E IN TEORIA sarebbero una prerogativa prettamente femminile! Peccato che ora le abbiamo anche noi!-
    -    Mi chiedo perché parli al plurale!-
    -    Sul serio?!-
Con uno scatto repentino, Judai gli si fece sotto, il volto contratto da una smorfia accigliata, e aperte le mani a coppa le chiuse con decisione su entrambi i seni. Yusei gridò dalla sorpresa, ritraendosi precipitosamente e coprendosi il petto con entrambe le braccia, salvo poi osservarsi e scambiare un'ennesima occhiata interrogativa con il castano.
    -    Io-io non...cosa?!- balbettò poi – E...e quando?! Ma soprattutto COME?! Che diavolo è successo?! Dammi un pizzicotto per favore, devo star dormendo ancora...!-
    -    Ti ho appena strizzato le tette, se vuoi lo rifaccio- propose invece Judai, a muso duro.
    -    Non posso crederci...sono vere?!-

Le mani gli tremarono impercettibilmente, quando se le chiuse sui seni abbondanti e ne tastò la consistenza; si lasciò sfuggire un gemito di sorpresa, quando percepì le dita scorrere senza problemi sulle rotondità e affondare nella carne con una certa resistenza. Era sensibile, percepiva il tocco e reagiva di conseguenza.
E per qualche motivo, Aki tornò a fargli visita nella mente.
    -    Certo che sono vere, SCIMMIA!- sbraitò Judai, riprendendo l'epiteto preferito del barman.
    -    Impossibile! Cosa diavolo è successo?!-
    -    Bella domanda! La stessa che mi sto facendo io! Ma cosa vuoi che sia successo di strano in queste ultime ore?! Abbiamo bevuto durante il lavoro, nient'altro!-
    -    ...Temi che anche gli altri siano nelle stesse condizioni?-
    -    Ah non lo so! In cuor mio spero di no, e spero che 'sta roba sparisca alla svelta e mi confermi che è tutto un sogno!-
    -    Conosco qualcuno che troverebbe la cosa mortalmente divertente-
    -    …A chi stai pensando?-
    -    Anche se non posso credere che l'abbia fatto davvero-
    -    Yusei? A chi ti riferisci?!-
    -    E secondo te? Chi è che si diverte a, sue testuali parole, fare esperimenti con le persone?-
Judai si passò nervosamente la lingua sulle labbra, lo sguardo lontano, alla ricerca della risposta. E quando la trovò, i suoi occhi castani, più grandi e arcuati, si spalancarono nel vuoto per poi soffermarsi sulla figura di Yusei che, perfino in quella forma inequivocabilmente femminile, non aveva perso la sua aria accigliata.
Sul serio, ma con chi ce l'aveva?
    -    Atem?!- domandò poi, scettico – E a che scopo?!-
    -    Vendetta forse?- rispose Yusei, alzando le spalle – Magari non gli è andata giù la nostra bricconata di ieri sera...-
    -    Bricconata...! Ma se abbiamo semplicemente bevuto in servizio...abbiamo fatto anche peggio, insomma! Ehi, ti ricordi di quando, invece di entrare nei nostri camerini, ci infilammo in quelli delle ballerine?-
    -    Cosa centra, quello fu un errore! Ero appena arrivato, non sapevo orientarmi bene come adesso! E poi perché parli al plurale? Fosti tu quello ad aprire la porta sbagliata-
    -    Sì, ma tu mi seguisti!-
    -    Era perché dovevo anche io imparare dove andare!-
    -    Certo, come no...-
    -    Intanto non fui io quello ad essere bersagliato dall'intero contenuto di una scarpiera-
    -    No, ma Ishizu ti minacciò con una spada turca-
    -    Solo perché tu mi spingesti dentro il camerino a furia di agitarti!-
    -    Continua a raccontartela, Yus-
    -    Smettila di chiamarmi così!-
Seguì un lungo attimo di silenzio, in cui i due coinquilini si osservarono senza parlare. Judai sollevò ancora le mani, puntando al florido seno di Yusei, salvo poi vedersele schiaffeggiare via con un gesto seccato.
    -    Che cosa facciamo?- domandò Judai, scuotendo le mani indolenzite – Non possiamo andare a lavorare così!-
    -    E invece temo sia proprio quello che lui vuole- rispose Yusei, passandosi una mano sul collo, per poi intrecciare le dita nei lunghi capelli scuri – Vorrà ammirare i risultati del suo lavoro, no?-
    -    Facesse quello che vuole, basta che poi risistemi le cose!-
    -    Se lo conosco almeno la metà di quello che credo, temo ci voglia lasciare così a tempo indeterminato-
    -    Yusei...forse ho sentito male. Hai detto che muore dalla voglia di riportarci al nostro stato normale, vero?-
    -    No-


****


Erano tornati a casa che erano passate le cinque del mattino: Yuma li aveva riaccompagnati in auto e li aveva aiutati a scaricare i bagagli di Yuzu, prima di tornarsene alla sua abitazione per il suo sonno ristoratore.
Vederli lavorare tutti insieme era un autentico spasso: era così bello constatare quanto quel loro gruppetto fosse in realtà unito e affiatato anche nelle cose più semplici, come il coordinarsi per una pausa dall'attività. Sapeva del ruolo che Yuya svolgeva nei locali presso cui aveva lavorato, ma non aveva mai assistito dal vivo alla sua specialità. Il giovane giocava con bicchieri, bottiglie e shaker con la stessa, spericolata frenesia e spettacolarità del più acrobatico dei giocolieri: il locale era il tendone del circo, e lui era la stella dello spettacolo al centro della pista, illuminato dai riflettori e dalle luci stroboscopiche, con la musica che rimbombava tutt'intorno e gli dettava un ritmo che lui seguiva con la naturalezza di una camminata.
Vederlo sorridere dopo tutte le difficoltà attraversate in passato era la sua gioia più grande.

Yuya non era stato sempre così allegro ed espansivo, così come anche Yuzu aveva faticato a trovare sé stessa. I due erano cresciuti, e col tempo molti atteggiamenti erano cambiati, così come molte cose venivano poi osservate secondo diversi punti di vista; ma dei due, quello che aveva più rischiato di perdere traccia di sé stesso era stato proprio Yuya.
Yuzu era nata come una bimba silenziosa, tanto. Cresciuta solo dal padre, non aveva mai conosciuto sua madre, e di lei sapeva solo qualcosa che il genitore rimasto le raccontava. Sebbene fosse circondata di foto che ritraevano la donna, non era mai stata pienamente capace di associare il volto di quella donna ad una voce, né di riconoscersi in lei. L'unico suo riferimento tangibile era quel bracciale d'argento che portava sempre al polso destro.
Carina e gentile, ma silenziosa, adorata dagli insegnanti scolastici proprio perché così: diligente, attenta alle lezioni. Eppure erano tutti preoccupati per lei, sembrava avesse qualche difficoltà nel fare amicizia con gli altri bambini.
Poi aveva conosciuto Yuya.
Yuya, per contro, era sempre stato un bambino scapestrato ed iperattivo, come ogni maschietto che si rispetti. Giocava a calcetto, correva, saltava e già si divertiva a far saltare più palline insieme per aria; studiava poco, ma sapeva farsi perdonare per ogni marachella. Ad oggi, Yuzu non sapeva dire cosa li avesse fatti avvicinare: forse il fatto di essere due caratteri diametralmente opposti uno all'altro, o i rispettivi genitori che si conoscevano, o chissà cosa. Con il tempo, erano diventati due inseparabili amici che giocavano, studiavano e combinavano guai sempre insieme.
Le cose erano cambiate dopo.
Crescendo, forse anche grazie alla vicinanza con Yuya, la ragazza era diventata sempre più spigliata ed intraprendente. Intelligente e sempre studiosa, era diventata molto più ciarliera e spontanea, e sebbene i suoi interessi differissero mortalmente da quelli delle sue coetanee non aveva faticato a trovarsi altre amicizie: per tutti era la ragazza dei videogiochi e dei fumetti, delle action figures e dei giochi da tavolo, ma nessuno l'aveva indicata come strana o chissà cosa, integrandola anzi quanto più possibile in nuovi gruppi e giri di conoscenze. Ma Yuya era stato l'esatto opposto: con gli anni, il ragazzo era diventato più silenzioso e freddo, in parte scosso da alcuni episodi di bullismo di cui era bersaglio, per non parlare di improvvisi pestaggi a regola d'arte; e quando suo padre era morto le cose erano peggiorate a vista d'occhio.

Yuzu si era ritrovata il ragazzo sotto casa in lacrime, quel terribile giorno di inverno, agitato al punto che non riusciva neanche a parlare. Faceva freddo, il cielo era così grigio da sembrare scolpito nel titanio, pioveva a dirotto e il ragazzo le aveva raccontato del suo scontro ravvicinato con il capetto della banda della scuola e dei suoi seguaci.
Il tizio non era né grosso né forte, semplicemente veniva da un quartiere residenziale molto ricco ed era stato cresciuto con il valore del denaro, e Yuya era sempre stato ben attento a non farsi coinvolgere da scontri diretti con lui; tuttavia non era riuscito a sfuggire alla morsa dei suoi tirapiedi, e quando avevano finito con il pestarsi e gli aveva rotto gli occhiali da sole, Yuya aveva firmato la sua condanna. Erano seguiti scontri verbali e a base di minacce da lontano, con il capobanda che lo minacciava di ritorsioni, Yuya che rispondeva a muso duro, e Yuzu che sosteneva lui fosse un cretino e doveva smetterla di dare corda alle loro minacce. Questo finché, un giorno, Yuya non se li era ritrovati in sette, a corrergli incontro urlando cose che non capiva. Bloccato da altri due ragazzi sopraggiunti da dietro, il pestaggio subito in un punto nascosto del parco l'aveva lasciato con un occhio ammaccato, il naso che buttava sangue e un polso rotto; all'epoca era convinto di averci anche rimesso una gamba, e il ventre gli doleva terribilmente per i calci subiti.
Si era trascinato in lacrime a casa di Yuzu, l'unica persona di cui ormai sentiva di potersi fidare ciecamente e a cui chiedere aiuto; e lei l'aveva accolto subito e offerto protezione, e anche suo padre aveva offerto aiuto contro quella banda di scalmanati. Ma tutto quello che Yuya voleva era tornarsene a casa e andarsene via da quella città. In un moto di disperazione, aveva urlato di averne abbastanza di tutti, di essere bersaglio di prese in giro e di essere tradito da chi considerava amico.
Yuzu era stata male al solo guardarlo.
E le cose erano precipitate. Alla notizia delle condizioni del figlio, suo padre si era precipitato di corsa in strada per trovarlo al pronto soccorso. Non era mai arrivato a casa di Yuzu: la sua corsa si era fermata prima, quando l'auto dietro di lui, a causa di un guasto all'impianto frenante, l'aveva travolto al semaforo, spinto in mezzo all'incrocio e facendolo finire in mezzo alle altre auto transitanti. Qualcuno aveva avanzato l'ipotesi che se l'auto fosse stata di un modello più recente, e dotata dei moderni impianti di sicurezza, il padre di Yuya sarebbe sopravvissuto: nessuno avrebbe potuto dirlo con certezza, la storia aveva seguito il corso che tutti avevano conosciuto.

Yuya non aveva mai smesso di mortificarsi per questo.
Per molto, troppo tempo, era stato convinto che la morte del padre fosse sua esclusiva colpa: se fosse stato più forte, come diceva sempre, e in grado di difendersi da solo, suo padre non avrebbe dovuto lasciare la sua abitazione per lui, e non sarebbe rimasto vittima di quella carambola stradale. Sprofondato in un pauroso stato di ansia e depressione, aveva a stento passato gli esami di stato e poi si era rinchiuso in casa per mesi, rifiutandosi di uscire e vedere chiunque, rispondendo poco al telefono e quasi niente ai messaggi o alle mail, sparendo dai social network e, lentamente, dalla circolazione.
Era stata lei a cavarlo fuori da quel turbine di oppressione. Non sua madre, non il resto della famiglia che si riuniva, ormai quotidianamente, in raccolta nel suo salone, ma Yuzu, la sua migliore amica dalle elementari, l'unica che mai aveva smesso di credere in lui. Gli aveva parlato con il cuore in mano quella volta, gli aveva gridato di essere uno stupido che viveva di ricordi, gli aveva urlato di farla soffrire con il suo mutismo, stando a quel poco che si ricordava l'aveva anche picchiato. E a quel punto lui si era risvegliato.
Aveva preso in mano la sua vita. Suo padre aveva un piccolo locale in gestione, aveva quindi cominciato a lavorare lì prima di cominciare a spostarsi, alla ricerca di un posto che non gli rievocasse troppi ricordi, con la speranza di poter, un giorno, aprire il suo bistrot. Aveva conosciuto tante persone, era lentamente tornato quello di un tempo, il ragazzino sorridente che giocava a lanciare le cose e riprenderle al volo.
Mai era passato un giorno senza che non si vedessero o almeno sentissero al telefono. Per anni si erano resi l'uno il confidente dell'altra, quando quello la trattava male o quella là lo tradiva con mezzo locale convinta che lui non lo sapesse. E per anni avevano rimandato quello che entrambi sapevano e avevano capito e che, eppure, rifiutavano entrambi di accettare, chissà perché. Solo nell'ultimo anno avevano trovato il coraggio di confessarsi i reciproci sentimenti: lui era da poco entrato a far parte della crew del Pharaoh's Kingdom, lei aveva incredibilmente rinunciato ad un master in sceneggiatura all'estero. Yuya era quasi impazzito, aveva strillato fino a farsi stridere le corde vocali, incapace di spiegarsi il perché di quella scelta.
Era stata la seconda volta che Yuzu aveva pianto di tristezza per causa sua. Come tanto tempo prima l'aveva chiamato stupido, insensibile e tordo, poco accorto a quello che gli succedeva, incapace di comprendere i suoi reali sentimenti e non solo, di negare a sé stesso quello che lui sapeva fin troppo bene; al suo ennesimo silenzio era partita in quarta, se l'era stretto addosso e l'aveva baciato.
Quella volta Yuma aveva fatto cadere due bottiglie una dietro l'altra.
Erano stati necessari altri due giorni prima che Yuya si desse una potente scrollata e la contattasse per rincontrarla. E ammettesse che sì, lei aveva ragione su tutta la linea: era uno stupido, un insensibile e un tordo, e tutto il resto che gli aveva urlato quel giorno al locale e che lui non ricordava troppo bene. Più di tutto, aveva ammesso tra le lacrime di volerle molto più che bene, di vederla molto più che come un'amica o una sorta di sorellina: ormai aveva accettato l'idea che Yuzu fosse l'unica persona che lui volesse davvero al suo fianco, e in cuor suo sperava di non aver aperto gli occhi troppo tardi.
Tra le lacrime sue e quelle del ragazzo, Yuzu gli aveva risposto che lui avrebbe anche potuto non farsi affatto avanti, lei l'avrebbe aspettato sempre e comunque.

A distanza di un anno e qualche mese, a ripensare a tutti quegli eventi, Yuzu non riusciva proprio a trattenere un sorriso. Aveva riso, aveva pianto, aveva sofferto e alla fine, come nella migliore delle favole, era tutto finito bene, come avrebbe dovuto terminare. Con il senno di poi, la conclusione di quella storia era intuibile da chiunque: si conoscevano da che erano bambini, erano cresciuti insieme, e lei era stata l'unica persona di cui Yuya tollerava la presenza, dopo la morte del padre. Per quanto potesse apparire scontato, che due migliori amici fossero finiti insieme dopo tanto tira e molla, la realtà dei fatti era molto più intricata e meno prevedibile.
Si strinse meglio al cuscino, il volto affondato nella federa, lì dove sentiva ancora il leggero profumo del suo bagnoschiuma, uno stupido sorriso sul volto. Tra racconti, risate e coccole di un certo livello avevano dormito relativamente poco oltre che risvegliato mezzo pianerottolo: Yuya ne era sembrato piuttosto divertito, Yuzu aveva provato lo stesso imbarazzo di quella volta in cui erano stati quasi colti in flagrante dalla madre di lui, quando si erano rivestiti al volo scambiandosi le magliette.
Doveva riproporgli qualche scambio d'abito, aveva qualche vestitino che sapeva gli sarebbe stato divinamente addosso...sempre che non fossero entrambi morti dalle risate al solo pensiero.
Ci stava mettendo molto, per uscire dal bagno.
E lei aveva un immediato bisogno di usarlo.
Si alzò dal materasso, pettinandosi distrattamente i capelli rosa con le dita, le gambe lievemente indolenzite e la maglietta che la copriva il necessario, prima di bussare alla porta del bagno.
    -    Yuya?-
Nessuna risposta dall'altra parte. Ma lui era lì, ne era certa: non l'aveva sentito uscire. Bussò ancora.
    -    Yuya? Tutto bene?!-
    -    Yuzu?! Non-non entrare per favore! Mi-mi...-
    -    Yuya, che diavolo...?!-
Ignorando la sua preghiera, Yuzu abbassò la maniglia e spalancò la porta. Di fronte allo specchio, Yuya si acquattò di colpo, urlando come una ragazzina.
La giovane rimase senza parole. Si convinse di star sognando, teoria presto abbandonata quando la pelle del braccio sinistro rispose con una stilettata di dolore al suo pizzicotto. Si stropicciò gli occhi, li chiuse e riaprì un paio di volte, ma Yuya era sempre lì, accucciato sotto il lavandino, gli occhi diversi grandi e spaventati, coperto solo dai boxer rossi e le braccia che si circondavano il petto, a nascondere un seno chiaramente femminile.
Stava sognando. Per forza. Ma il braccio le doleva ancora, e Yuya continuava a cercare disperatamente di nascondere il seno piccolo e sodo che gli era sbocciato dalla sera alla mattina, trovando rimedio nei capelli verdi e rossi, ormai diventati più lunghi di quelli di lei. Yuzu si portò la mano sinistra alla tempia.
    -    Yuya?! Che succede?- domandò poi lei, con la voce tremante. Lo shock era tale che non sapeva se ridere, urlare, piangere o perdere i sensi. Nel dubbio non stava facendo nessuna delle cose, cercando solo di mantenere il contegno che il compagno sembrava aver perso.
    -    A saperlo!- esclamò lui -lei, apparentemente sull'orlo delle lacrime – Mi ero addormentato come maschio, maledizione! E mi sono risvegliato così! Io-io non...!-
Il telefono che squillava lo fece trasalire, sferrando una testata al lavandino che gli strappò un'imprecazione dalle labbra. Lo smartphone lasciato sul davanzale della finestra brillò un paio di volte, sullo schermo apparve la foto di Yuma sorridente. Yuzu lo strinse tra le mani, senza sapere cosa fare.
    -    Yuma- gli disse poi, mentre Yuya si rialzava molto lentamente, quasi dovesse verificare di avere qualcosa di rotto – Vuoi rispondergli?-
Come un burattino guidato da dei fili invisibili, Yuya le prese il cellulare dalle mani. Osservò il volto di Yuma sorridergli dallo schermo, e passarono altri tre squilli prima che decidesse di rispondere.
    -    Pro-Pronto?!-
    -    Yuya! Oh cielo, fortuna che sei sveglio!- esclamò...quella era la voce di Yuma? La ricordava molto più bassa, forse era un disturbo di linea – Temo abbiamo un problema-
    -    Tu dici? Io ne ho due- rispose l'altro, osservandosi allo specchio e tastandosi i seni, prima di infilare una mano nei boxer, facendo sbuffare di sorpresa Yuzu – Anzi, direi TRE!-
    -    Cazzo-
    -    Bravo! Proprio quello!-
    -    Puoi anche cominciare a dirmi bravA-
    -    Cos...ANCHE TU?!-
    -    E anche Judai e Yusei. Li ho sentiti poco fa-
    -    Cos'è successo?!-

    -    A saperlo...secondo loro centra lo zampino di Atem. Credono sia una sua illusione...o magia-
    -    Illusione? Magia?! State scherzando tutti e tre spero! QUESTE...- e si palpò rabbiosamente il seno, fin quasi a sentire dolore – Sono TUTTO fuorché un'illusione, cazzo!-
    -    Ehi, ora che ci penso...Yuzu è lì con te?!-
    -    Seh-
    -    E...e anche lei ti vede...sì insomma, ti vede così?!-
    -    Mi vede e mi tocca!-
    -    Io non ti ho toccato...!- protestò debolmente Yuzu.
    -    Beh puoi farlo! Così potrai accertarti di persona che questo non è un sogno, ma un fottuto incubo!-
    -    ...Posso? Davvero?!-
    -    Accomodati-

Con le mani giunte poco sotto il naso, Yuzu si fece timidamente avanti. Sfiorò le rotondità del suo fidanzato -cielo, non riusciva neanche a pensarla quella...prima di serrare dolcemente le dita su di esse. E quando quelle affondarono con morbidezza nella pelle, Yuzu si ritirò di scatto, portandosi entrambe le mani alla bocca, i begli occhi blu spalancati dall'incredulità.
    -    ...sono vere...!- gemette poi, quasi senza fiato. Yuya annuì.
    -    Sentito?!- sibilò poi nel microfono dello smartphone.
    -    Sentito, sentito. Cazzo, che casino...-
    -    Cosa facciamo?-
   -    So che Judai e Yusei stanno dirigendosi al Pharaoh's Kingdom. Riunione straordinaria, l'hanno chiamata. Yugi ha il telefono staccato, gli hanno lasciato un messaggio, e stessa cosa per Aki, anche se penso che per lei il problema non si presenti. Volete che vi raggiunga in auto, andiamo insieme?-
    -    Per forza! Come faccio a uscire così?-
    -    Vabbé, chi vuoi che ti riconosca per strada?-
    -    Aaaaah...muoviti e basta! Cinque minuti e sono giù!-
    -    Allora arriverò tra mezz'ora-
    -    Sei scemo o cosa?! Ho detto che sono giù tra cinque minuti!-
    -    E i minuti delle donne sono come gli anni dei cani, vanno moltiplicati per sette...-
    -    Ricordati che anche tu hai un paio di tette sotto al collo, adesso...-
    -    Già, vedremo poi chi avrà il seno più bello!-
    -    Fatti sotto!-
L'inaspettata conclusione della chiamata fece sbattere di sorpresa gli occhi di Yuzu. Per contro, il suo fidanzato – o la sua fidanzata? - si fiondò in camera da letto e spalancò il suo armadio, prendendo letteralmente i primi abiti che gli capitavano. Ebbe cura di scegliere una maglietta il più larga possibile, per evitare di sgualcirla con le sue nuove forme. Yuzu si passò una mano tra i capelli, sospirando semisconvolta.
Sarebbe stata una lunga giornata, quella.


Nello specifico, non sapeva cosa pensare al riguardo. Inizialmente era convinta fosse ancora in quell'assurda fase di dormiveglia che la pervadeva prima del risveglio effettivo, quella dove stavolta aveva sognato un nobile principe, armato per la battaglia, che aveva portato a far benzina il suo drago distruttore. E la bestia sembrava decisamente contenta di bere galloni di benzina direttamente dal tubo. Perché quel principe aveva il viso e il corpo di Yusei? Lo stava idealizzando troppo, forse.
Appurato che non ci fossero principi di sorta nei paraggi, e che i draghi continuassero ad essere una simpatica leggenda medioevale, si era risvegliata nel silenzio del suo triste bilocale e si era alzata, pervasa da una strana sensazione all'inguine.
Subito si era alzata dal letto, e aveva tirato un grosso sospiro di sollievo nel constatare che le sue lenzuola non sembravano essere state utilizzate per una scena del nuovo film di Tarantino; tuttavia la singolare sensazione restava, e non sapeva esattamente come meglio definirla, se non con un urlo di terrore una volta specchiatasi in bagno.
Si era seduta a terra per qualche minuto, convinta di star ancora sognando e devastandosi le braccia di pizzicotti: inutile dirlo, aveva la pelle indolenzita ma nulla era cambiato di quel suo rinnovato aspetto mascolino. E sebbene la lunghezza dei capelli rossi fosse rimasta pressapoco la stessa, il volto aveva inequivocabilmente assunto tratti più virili, e il rigoglioso seno del quale doveva ammetterlo, andava orgogliosa, era sparito sostituito da pettorali maschili più o meno prominenti.
Non aveva abbassato lo sguardo oltre, sfilandosi le mutandine alla cieca e accontentandosi di tastarsi con un gesto sospettoso, prima di portarsi le mani al volto costernata.
Ancora seduta sul pavimento, Aki trasalì quando sentì il cellulare squillare nella stanza. Si alzò maldestramente in piedi, camminando come se si trovasse su un tappeto di uova, aggrottando la fronte quando si rese conto che il cellulare era squillato una sola volta: doveva trattarsi di un messaggio, forse il buongiorno di Judai.
La consapevolezza di dover presentarsi al locale in quello stato le creò una vertigine nello stomaco. Aki afferrò lo smartphone, sbloccandolo furiosamente con l'intento di contattare Atem: il telefono dall'altra parte squillò a vuoto per un minuto, prima che si inserisse la segreteria telefonica. I seguenti tre tentativi fruttarono lo stesso risultato.
Solo allora si degnò di guardare il messaggio ricevuto.
Come sospettato era di Judai, che le augurava il buongiorno con un video che definire delirante era poco. Sia il castano che Yusei erano allo specchio, e indossavano due t-shirt bianche che differivano solo per la scritta nera su di essa, realizzata con un pennarello: Judai recava la scritta SEND, mentre sulla maglietta di Yusei spiccava NUDES. Nell'audio, il moro dichiarava l'intera situazione umiliante, Judai gli ordinava di rimando di sorridere, minacciandolo di palparlo se si rifiutava. Concludeva invitando Aki a raggiungere il Pharaoh's Kingdom al più presto, per una riunione d'emergenza.
Gli occhi della rossa non si erano mai alzati dal prosperoso seno di Yusei che deformava la scritta. E non sapeva se rallegrarsi del fatto che anche i due sembravano vittima di un'assurda trasformazione.
Cosa diavolo era successo?

Trasalì ancora quando lo schermo si illuminò di nuovo, segnalando una chiamata da parte di sua madre. Aki gemette affranta: l'ultima persona sulla faccia della Terra con il quale avrebbe voluto parlare in quel momento la stava contattando, e lei era in quello stato e aveva cose ben più importanti a cui pensare piuttosto che alle sue lamentele.
Il telefono continuava a squillare e vibrare insieme. Se non avesse risposto adesso, sua madre avrebbe continuato a mettersi in contatto con lei finché non avesse ricevuto risposta, e allora avrebbe dovuto sorbirsi un'altra ramanzina per non avere sempre il cellulare con sé pronta a rispondere ogni volta: meglio darle la soddisfazione e far sentire la sua voce. Fece scorrere il dito sullo schermo e portò il ricevitore all'orecchio.
    -    Pronto?-
Inevitabilmente venne colta da un attacco di tosse, causato più dal nervosismo dell'imbarazzante situazione che altro: quella che era uscita dalle sue labbra era inequivocabilmente una voce da uomo! Bassa, corposa, quasi rauca: Aki tossì un paio di volte come se volesse invano schiarirla, per poi desistere dai suoi tentativi.
    -    Aki? Tesoro, tutto bene?!- domandò la madre all'altro capo della cornetta, preoccupata.
    -    S-sì mamma, sì...ho solo un po' di mal di gola. Ha fatto molto freddo qui in questi giorni-
    -    Oh Aki, dovresti riguardarti un pochino tesoro! Sei al caldo? Hai preso qualcosa?-
    -    Sì mamma-
    -    Tesoro, vorrei restare a parlare con te ma sono davvero di fretta! Ascoltami, Suketsune intende presentare ufficialmente la sua fidanzata alla famiglia-
    -    Ah, buon per lui-
    -    E in onore di questo tuo padre ha organizzato un ricevimento presso la nostra tenuta! Sarebbe carino se ti presentassi-
    -    Ci proverò, se starò meglio-
    -    Oh ma certo, vuoi vedere che non ti riprendi per la prossima settimana?-
Prossima settimana?! Era ancora peggio di quanto pensasse. Aki rafforzò la presa sul suo smartphone.
    -    Oh, l'ideale sarebbe che tu non ti presentassi sola. Sai com'è, per l'immagine-
Benissimo, ora che aveva toccato il fondo non poteva fare altro che scavare.
    -    E se non avessi nessuno con cui presentarmi?- domandò lei, quasi speranzosa.
    -    Oh andiamo! Avrai fatto amicizia con qualcuno lì, no? Ecco, portati un amico! Non serve per forza un fidanzato Aki, è solo una questione di apparire! Sai come funziona in famiglia-
    -    Sì, mamma-
    -    Oh, e non fare quel tono Aki, sai come vanno le cose...-
    -    Certo, lo so-
    -    Devo andare ora. Un abbraccio-
    -    Anche a te-

Chiuse la telefonata senza troppo entusiasmo, restando ad osservare il soffitto.


****

    -    Mh. Okay. Bene. Anzi, male. Molto male-
Yusei scosse il capo, costernato, passandosi entrambe le mani sugli occhi stanchi. Scrutò uno ad uno i suoi compagni, irriconoscibili in quelle vesti e in quelle caratteristiche così fuori posto.
Lui e Judai avevano preferito uscire in auto, evitando la moto per restare più riparati, e nonostante questo erano stati bersagli di qualche occhiata curiosa dei loro vicini, sorpresi dall'apparizione di quelle due ragazze sconosciute, eppure tremendamente familiari. E la situazione aveva rischiato di precipitare in un vortice vergognoso quando, poco prima di uscire, Judai era entrato in crisi lagnandosi di non aver nulla da mettersi, proprio come una ragazza qualsiasi: Yusei non aveva esitato a rifilargli un cazzotto in testa da spedirlo di faccia contro il suo letto. Col senno di poi, si era reso conto che il castano non aveva tutti i torti: nessuno dei loro abiti avrebbe nascosto le prosperose grazie che qualche misteriosa divinità (o un Faraone?!) gli aveva improvvisamente donato. Yuma e Yuya non avevano avuto questo problema, essendo stati in grado di nascondere le loro femminilità sotto vestiti ampi e larghi che dissimulavano alla perfezione.
Quando Aki era poi entrata, aaah, era stato il puro delirio. I due Yu erano finiti con l'abbracciarsi dallo spavento, osservando terrorizzati la rossa (o il rosso?) che varcava la porta di vetro del Pharaoh's Kingdom con un'espressione che mandava lampi e fiammate ovunque: Yusei stesso si rifiutò di parlarle onde evitare di scatenare la sua ira, limitandosi a salutarla con un imbarazzato cenno della mano destra.
E ora erano tutti lì, ad osservarsi reciprocamente come ebeti, senza sapere cosa dire né cosa fare.
    -    Il momento è molto tragico- sibilò Yusei, aggiustandosi la maglietta che continuava a scoprirgli la pancia, complice il seno che la ingrossava sul davanti – Quando vi siete accorti di...di essere in queste condizioni?-
    -    Appena sveglio- rispose Yuma – Volevo mandare un selfie a Kotori-
    -    Io mi sono specchiato in bagno- spiegò Yuya – Non ho percepito nulla di strano, solo un...vuoto, ecco-
    -    Come se un'importante parte di te fosse andata via?- domandò Judai.
    -    Esattamente-
    -    Beh, io ho perso ben due parti importanti di me- soffiò Aki, la voce roca.
    -    Yuzu, tu l'hai sempre visto così?- domandò ancora Yusei, rivolgendosi alla ragazza – Judai, smettila di toccarti-
    -    Sempre- rispose la ragazza – Beh...sempre dal momento in cui ci siamo svegliati. Ieri sera era del tutto...normale-
    -    ...Sicura?-
    -    Mi stai chiedendo se abbiamo fatto sesso? Sì, lo abbiamo fatto. E tranquillo, siamo andati perfettamente ad incastro-
Judai sbuffò una risata, piegandosi su sé stesso. Yusei fece appello a tutta la sua pazienza per ignorarlo, prima di voltarsi verso la rossa.
    -    Aki?- domandò poi, incerto.
    -    Stessa cosa- rispose la rossa – E c'è di più: ho parlato al telefono con mia madre, stamani...e ha trovato la mia voce molto strana. Bassa-
    -    Quindi abbiamo la seconda conferma che il nostro cambiamento è percepito anche dalle altre persone, JUDAI SMETTILA DI PALPARTI INSOMMA!-
    -    Ma fallo anche tu, musone! Non sai quanto è rilassante!-
    -    Io non ho parole...dovremmo trovare una soluzione a questo ENORME problema e tu non fai altro che toccarti! Credo ti sia abituato troppo presto alla tua nuova identità...-
La porta di vetro scorse dolcemente, facendoli voltare all'unisono.

Nel silenzio che seguì, Yugi rimase in piedi sulla soglia, completamente stravolto. Si portò una mano al ciondolo dorato che aveva al collo, incredulo, prima di scrollare il capo e sbattere gli occhi un paio di volte. Prese un lungo respiro, poi si voltò alle sue spalle, scambiando dei sussurri con qualcuno.
Atem e Mana fecero il loro ingresso nella sala, il primo impeccabile nei suoi pantaloni e camicia scuri, la giacca posata come di consueto sulle spalle a mo' di mantello, e lo smartphone in mano, la seconda elegante nel suo abito lilla. Quel pentacolo che aveva al collo doveva piacerle davvero tanto.
Fu proprio Mana la prima a crollare. La giovane dagli scintillanti occhi verdi scoppiò in una forte risata, coprendosi la bocca con entrambe le mani, mentre Yugi spostava lo sguardo prima su di loro, e poi su Atem, a chiedergli delle spiegazioni in silenzio.
Aki esplose.
    -    Cosa diavolo ridi?- ringhiò, muovendo un passo avanti – Dico, COSA DIAVOLO RIDI?! Questo è un ENORME problema! Abbiamo cambiato sesso dalla sera alla mattina senza rendercene conto, come se fosse una cosa normale, non sappiamo perché, né come, né tanto meno cosa fare per ritornare quelli che eravamo prima! Tra una settimana ho una riunione di famiglia e io dovrei presentarmi COSÌ, hai idea del putiferio che potrebbe succedere? In una famiglia come la MIA poi! Lo trovi davvero divertente, vero?!-
    -    Interessante- esclamò Atem, socchiudendo pigramente gli occhi – Una reazione davvero interessante. Puro sconforto di fronte ad un drastico cambiamento. Sei una persona piuttosto abitudinaria, vero? Non ti piacciono le sorprese, soprattutto quando si tratta di cose che fatichi a controllare-
    -    Ah no, non stavolta! Ti faccio vedere io brutto--
    -    Cosa?-

Aki si fermò a pochi passi dal Faraone. Sbatté gli occhi e si ritrasse di scatto, quasi qualcosa l'avesse colpita, per poi guardarsi intorno stupita.
    -    Dimmi pure Aki, cosa volevi dirmi?- le domandò Atem, con un sorriso. La rossa scosse il capo e sbatté ancora le palpebre.
    -    Io...io volevo dirti qualcosa?- si chiese poi, portandosi una mano alla fronte. I suoi occhi nocciola vagarono nel vuoto – Non me lo ricordo. Forse non era importante-
    -    Yuya mi aveva detto che hai avuto problemi con la camicia, qualche sera fa. Ho provveduto a fartene recapitare una più comoda, non dovrai avere ulteriori problemi. La troverai nei camerini, sull'appendiabiti-
    -    Oh! Grazie-grazie mille!-
Si portò le mani al seno, poco sopra il cuore, eseguendo un piccolo inchino per poi voltarsi e dirigersi verso i camerini. Poco prima di entrare rischiò di scontrarsi con Yusei: il ragazzo indietreggiò e le fece cenno di avanzare per prima, mentre Yuma scendeva scivolando sul corrimano e Judai si lanciava sulla prima poltroncina vuota, scrivendo qualcosa al cellulare. Yuya mormorò qualcosa alla sua fidanzata, suonò come un “mettiti pure comoda”, alla quale lei rispose con un dolce sorriso.
Yugi si voltò di scatto verso il fratello maggiore, sbattendo gli stessi occhi ametista e schiudendo le labbra, incapace di proferire alcuna parola. Indicò i colleghi con un ampio gesto delle braccia, poi si voltò ancora verso di lui, poi osservò Mana e infine tornò di nuovo su Atem.
    -    Mi-mi spieghi cos'hai fatto?! Non ho sognato vero?!- domandò poi il giovane, sull'orlo di quella che sembrava un'autentica crisi di nervi.
    -    Sognato cosa?- domandò poi Atem, reclinando lievemente il capo.
Yugi sbatté gli occhi, colpito.
    -    Cosa?- domandò poi il ragazzo – Non...ti dovevo dire qualcosa?-
    -    Sì, a quanto pare-
    -    ...Non ricordo più. Ah beh, probabilmente non era così importante! Vado a cambiarmi!-
E anche lui imboccò la porta dei camerini, sparendo alla loro vista. Mana si avvicinò silenziosamente al Faraone, osservandolo di sottecchi.
    -    Cosa gli hai fatto, esattamente?- gli domandò poi, incerta – Capisco che gli hai fatto credere quello che volevi, ma come hai fatto a risolvere la situazione?-
    -    ...Mettiamola così-
Atem sorrise soddisfatto, mentre cancellava dal cellulare la foto dei cinque membri della crew del Pharaoh's Kingdom, scattata pochi attimi prima.
    -    Dall'alto della mia saggezza, ho compreso di aver esagerato- continuò poi, rimettendo in tasca lo smartphone – E che come esperimento era davvero troppo anche per loro, che non si meritano sicuramente un simile shock. Per cui ho rimesso le cose a posto, e ho fatto in modo che nessuno di loro ricordasse di questo...scherzo-
    -    Chiamalo scherzo...ma la domanda resta. Come diavolo hai fatto?-
    -    A cosa serve chiederlo? Sai che un bravo mago non rivela mai i suoi segreti...-
Le agitò lievemente un indice sotto agli occhi, prima di picchiettarle la punta del naso piccolo e fine. Mana scosse il capo e sorrise, conscia del fatto che non avrebbe spezzato le catene del suo silenzio.


****


    -    Yuya, hai fatto?!-
    -    Eccomi eccomi! Solo un secondo!-
    -    Okay, al tre, va bene?-
    -    Dammi un secondo...fatto!-
    -    Al mio tre, okay? Uno...due...TRE!-
Yuya spalancò la porta del bagno e uscì nell'esatto momento in cui Yuzu si voltò. Il silenzio che calò tra i due durò qualche attimo, il tempo che si rendessero conto del loro stato attuale e scoppiassero a ridere come due autentici idioti.
L'idea era stata di Yuzu. Gli aveva detto che era una cosa che voleva provare da un po' di tempo, ma che si era sempre vergognata di chiedergli per chissà quale motivo, sebbene sapesse che Yuya non aveva alcun problema a fare simili “pagliacciate” come lei stessa l'aveva definita. Erano tornati a casa dopo l'ennesima, divertente serata, lui si era fatto una veloce doccia e poi avevano iniziato a prepararsi.
A Yuzu stavano davvero bene i suoi occhialetti: le cingevano perfettamente la testa come un grazioso cerchietto, e anche la sua maglietta arancione era riempita davvero bene. Peccato che i pantaloni in stile cargo le nascondessero troppo le belle forme che aveva, ma a questo si poteva rimediare tranquillamente, e sembrava che l'idea di Atem di portare la giacca sulle spalle le fosse davvero piaciuta, perché era così che indossava la sua giubba bianca e rossa.
Ma Yuya era semplicemente osceno in quella camicina bianca e la gonna rossa, al tal punto che Yuzu non riusciva a smettere di ridere. E quando lui si mise anche in posa, mettendosi di profilo e protendendo di poco il fondoschiena al di fuori, arricciando le labbra in un bacio, poco ci era mancato che la ragazza soffocasse dalle risate. La giovane si era sbrigata a scattargli una foto prima che lamentasse qualche crampo alla spina dorsale.
    -    Beh dai, non mi sta mica così male!- esclamò Yuya, eseguendo una piroetta sul posto: la gonna a pieghe, già piuttosto corta, si alzò troppo, provocando un nuovo scroscio di risate – No?-
    -    Oh cielo Yuya, io non...- provò a dire lei – Sei fantast—ehi ma quelli sono i miei fermagli! Oh mio...!-
Come se non fosse bastata la camicia avvitata e la corta gonna, o le parigine nere, Yuya aveva raccolto alcuni dei suoi ciuffi verdi in due striminziti codini, fermati con i suoi fermagli lenticolari blu. Yuzu cadde distesa sul letto, seguita poco dopo dal ragazzo che le montò sopra: la gonnellina si alzò ancora, al punto che era semplicemente irrealistico nascondere i boxer di Star Wars.
    -    Via questi!- esclamò il ragazzo, togliendosi i fermagli e lanciandoli con precisione sul comodino – Come ti senti nei miei vestiti?-
    -    Ohohoh, molto comoda grazie!- rispose Yuzu, con un grande sorriso – E tu? Come ti senti nei miei?-
    -    Molto stretto e sexy! Se ti piace mi vestirò così più spesso ma solo per te, ho una certa reputazione da mantenere!-
    -    Aha...-
    -    Sul serio, se fai vedere quella foto a Yuma non risponderò di me...!-
   -    La tua virilità è al sicuro!- Yuzu si asciugò le lacrime spuntate agli angoli esterni degli occhi – Lo faremo di nuovo! Mi diverte un sacco!-
Prima che lui potesse provare a risponderle, la ragazza gli incrociò le braccia al collo e lo strinse a sé in un forte abbraccio.
    -    ...Ti avrei aspettato per sempre- la sentì soffiargli in un orecchio. Yuya intese subito cosa volesse dire e rafforzò la presa, chiudendo gli occhi – Ti avrei amato in qualunque forma tu fossi comparso-

    -    ...Anche se fossi stato una ragazza svampita e impertinente?-

    -    Anche se fossi stato un ippopotamo rosa con la coda a cuoricino-

Yuya scoppiò a ridere.
Entrambi sprofondarono in quel bacio.



______________________________________________


Questo è un delirio.
Ai tempi in cui questo capitolo è stato scritto ero ancora in fase di riabilitazione, ed erano passate più o meno 24 ore dalla litigata familiare più pesante della mia esistenza. Una cosa inenarrabile che tutt'oggi, a pensarci, mi fa ribollire il sangue dal nervoso e dallo schifo.
Avevo deciso di prendere un capitolo e sfruttare le abilità da illusionista (???) di Atem per proporre, anche se per poco, una versione genderbend dei nostri protagonisti. Una scusa per farsi quattro risate alle spalle di 'sti poveracci, lo ammetto.
Tutt'ora non sto passando un bel momento, ma questo per altre motivazioni al di fuori del contesto familiare. Che brutto lavorare in un call center. Che-brutto.

Capitolo numero SETTE! Delirante, quanto mi serviva all'epoca per tenere il cervello impegnato oltre i massacri e gli squartamenti tra demoni: infilare i duellanti in una strana dimensione in bilico tra il sogno, l'incubo e l'illusione. Illusione che OVVIAMENTE Yusei e Judai percepiscono quasi subito, anche se per caso. Son due ragazzi svegli in fondo, anche se il castano sembra più uno a cui piace bighellonare.
Mi è stato detto che, a conti fatti, di Judai, Yusei e compagnia bella se ne sa ben poco: si possono evincere alcune cose da come si comportano, da come parlano, dal rapporto che hanno tra di loro e da molte altre cose che sono accennate qua e là. Non è un caso, è tutto voluto: andando avanti con la storia verranno resi più chiari alcuni punti, e ci saranno dei capitoli che vi aiuteranno a far luce su alcuni aspetti delle loro vite prima di arrivare al Pharaoh's Kingdom. Li potrete leggere molto presto, qui e là tra gli eventi: si è già accennato qualcosina su Yuya e Yuzu, presto potremo approfondire proprio loro e vederli in azione insieme prima di tutto questo, prima di diventare una coppia effettiva e prima di conoscere il resto dell'allegra brigata del Pharaoh's Kingdom.
Come al solito, spero di non avervi annoiati. Ci sentiamo in tutti i canali possibili, MP o recensione o come preferite!

92Rosaspina


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Capitolo 8
*** La Filosofia dei Viaggi nel Tempo – Performapal Showdown ***


Pharaoh's Kingdom - Time Travel 1


La Filosofia dei Viaggi nel Tempo – Performapal Showdown





    -    Quindi questo bacio c'è stato? Tra te e Yuzu intendo-
A volte sembrava che tutto quello che Yuya facesse, fosse recitare in un grande, gigantesco, eterno spettacolo fatto di quotidianità scolastica e relazioni sociali. Gongenzaka sapeva che le sue erano le risposte più sincere e genuine del mondo, ma proprio non riusciva a trattenere un sorriso nel fare da spettatore a reazioni come quella. Conscio della propria forza fisica, di gran lunga superiore a quella del ragazzo, Gongenzaka calibrò bene il tiro e gli assestò un pugno diretto tra le scapole, costringendolo a forza a liberare l'esofago prima che si strozzasse con il grosso sandwich che aveva addentato con la sua solita grazia di anaconda verde. Yuya mandò un colpo di tosse da cavernicolo, prese un bel respiro e si voltò verso il suo compagno di classe, con gli occhi ancora lucidi dallo sforzo.
    -    Scusami?!- gli domandò poi, concentrando lo sguardo sulla punta del naso grosso per evitare di guardarlo dritto negli occhi.
    -    Mi sembrava di aver capito di un bacio tra te e Yuzu-
    -    Ah? A-AAAH QUEEEL bacio! Ahaha, ma no figurati! Era solo peeeeeeer esigenze di trama! Sì!-
    -    ...Esigenze di trama, dici? Quindi era a teatro...cosa stavate provando?-
    -    Una trasposizione teatrale di una poesia di Baudelaire-
    -    La prof di francese ne sarà contenta-
    -    Sicuramente la mia pronuncia è migliore di quella di Shingo, e dopo quello che è successo alla cioccolateria evitiamo di fingere effusioni anche a teatro-
Stavolta Gongenzaka scoppiò a ridere quasi qualcuno gli stesse facendo del solletico, e Yuya si concesse un risolino nervoso, attorcigliandosi una ciocca scarlatta intorno all'indice destro e mordicchiandosi il labbro al ricordo di quella tragedia sfiorata.

O meglio, non proprio tragedia...forse solo per il suo orgoglio maschile ritrovatosi nella condizione, tutt'altro che semplice e vivibile, di spiegare a sua madre perché stesse imboccando grosse cucchiaiate di cioccolato e panna a Shingo con occhi sognanti. Non era assolutamente nulla, solo una scommessa scema con quell'altro burlone di Sora...una semplice prova fuori dai confini sicuri dell'aula di teatro della scuola, un modo per ridere insieme e divertirsi! Ma come al loro solito, Yuya e Shingo avevano preso quella sfida fin troppo seriamente, e da bravi attori avevano messo in gioco tutta la loro bravura per fingersi la tanto occhieggiata coppietta omosessuale in libera uscita alla loro cioccolateria preferita. Il tutto sotto lo sguardo del diretto interessato Sora e, ovviamente, di Yuzu che non riusciva più a trattenere le lacrime dalle risate.
E il bello era anche che la parte riusciva così naturale ad entrambi da mandare in crisi Yuya stesso...! Tra lui e quella sorta di principino scappato dalla più alta torre del suo castello c'era una sintonia particolare, la stessa che poteva nascere tra due menestrelli di corte che preparavano insieme uno spettacolo: sempre attenti a quello che l'altro faceva o diceva, per concludere le sue frasi o anticipare le sue mosse, si comportavano come un collaudato e riuscitissimo duo comico capace di strappare un lieve sorriso perfino a Reiji Akaba, il temuto capoclasse più rigido di una delle sue sciarpe appena estratte dalla naftalina e dall'amido. E quel pomeriggio alla cioccolateria altro non era se non un modo per mettere alla prova ed affinare le loro qualità recitative, camminando mano nella mano, nascosti dalle giacche, scambiandosi fugaci sguardi piuttosto eloquenti e, alla fine dei conti, comportandosi come il loro solito, solo scambiandosi discrete, silenziose coccole che avrebbero riservato ben volentieri ad una loro fidanzata.
Il problema era nato quando Yoko, l'avvenente, eternamente giovane mamma di Yuya, era entrata nella stessa cioccolateria per comprare qualche dolcetto per quella sera, e aveva colto in flagrante il figlio mentre, con la mano sinistra poco sotto al cucchiaio, imboccava della cioccolata con la panna a Shingo, il tutto con due “occhi da orsacchiotto grossi COSÍ”, aveva commentato Sora prima e sua madre quella sera, a tavola, rischiando di far morire suo padre prima del tempo a causa di un infingardo boccone dello stufato andato di traverso.
Tanto per farla quadrata, il giovane dagli occhi diversi aveva trascorso i seguenti venti giorni cercando di convincere i suoi genitori che le sue precedenti ragazze non erano una copertura.
E il bello era che nessuno dei due sembrava farne un dramma...ma per Yuya, svegliarsi ogni mattino con sua madre che lo fissava con quello sguardo da “io so che tu sai che IO SO!” era stato un vero problema.

    -    Non c'è nulla di divertente in quella storia, è stata durissima per me- borbottò il ragazzo con gli occhialetti, storcendo il naso. Gongenzaka riuscì a ridurre le sue risate ad insensati mugolii, prima di voltarsi a guardarlo sorridente.
    -    Allora cambiamo argomento, ti va?- gli sorrise poi – Parliamo di te e Yuzu?-
Ecco, altro campo minato in cui doversi muovere con destrezza, abilità e circospezione.
Tutti sapevano del legame che li univa reciprocamente, e tutti sapevano che entrambi erano pronti a dare la vita per la salvezza dell'altro; e tutti sapevano che era ormai questione di tempo prima che quell'eterna amicizia esplodesse in qualcosa di più significativo. Perché le premesse c'erano tutte: erano sempre insieme, nella stessa classe, compivano il tragitto casa-scuola e inverso insieme, salvo attività extrascolastiche o corsi di recupero, dove uno andava l'altra lo seguiva e viceversa, non fosse stato altro per evitare che il reciproco compagno si cacciasse nei guai; e inoltre stavano anche crescendo, ed inevitabilmente cominciando a guardarsi con occhi diversi, aiutati da una nuova consapevolezza e un'acquisita maturità fisica che li portava ad intrecciare relazioni più o meno durature. Eppure tornavano sempre l'uno verso l'altra, come un invisibile filo a legarli indissolubilmente. A volte Yuya si chiedeva se quella storia del filo rosso del destino avesse qualche fondo di verità.

La proposta era stata, neanche a dirlo, di Sora: prepararsi, singolarmente o in coppia, come più aggradava, una poesia di Baudelaire da recitare, tratta dalla raccolta de I Fiori del Male. Così, a tempo perso, per giocare e divertirsi e fare qualcosa di diverso. Yuya aveva confessato di provare una sordida, inaspettata attrazione per quella raccolta di poesie: non  condivideva quasi nessuno dei temi pessimistici trattati, né la visione cruenta e crudele che l'autore aveva del mondo, ma qualcosa di quella raccolta di poesie lo attraeva e seduceva come un canto d'amore e morte, come un elisir.
Yuzu aveva allora interpretato La Bellezza, ergendosi tra tutti come la personificazione di quell'Arte che ogni poeta, ogni artista maledetto perseguiva e venerava e amava segretamente, giorno e notte: bella e imperturbabile come la neve, eterea ed irraggiungibile e con due occhi che incantavano. Yuya invece sembrava essere stato dell'umore giusto per recitare La Distruzione, il poeta maledetto irretito dal Demonio e dalle sue grazie e punito con la Noia e la desolazione.
Poi avevano interpretato L'Ossesso e lì i pianeti sembravano essersi allineati tutti insieme.
L'unica visione che il ragazzo dagli occhi diversi condivideva con il poeta era quella di una parte, della propria persona, ammaliata dal male. C'era chi cercava di reprimere totalmente quella natura, chi finiva per amarla smisuratamente, e chi ci conviveva, accettandola ed estrapolandola dal proprio Ego. E allora lui e Yuzu si erano parlati e confrontati, uno la parte oscura dell'altra, esortandosi all'unisono ad abbandonarsi ad una vita di dissolutezze e perdizioni, liberi di pavoneggiarsi tra i folli, i violenti e i lussuriosi; una provocazione sottile e continua, culminata poi nell'adorazione a Belzebù. Recitata insieme, ad alta voce, gli occhi scintillanti e le labbra separate da appena un soffio.
Si erano uniti in un bacio pudico e appena accennato, a malapena spezzato da un lieve sospiro, come se nessun altro a parte loro fosse in quella stanza, su quel palco. Ad occhi chiusi, fronte contro fronte e le punte dei nasi a sfiorarsi, erano rimasti così per lunghi attimi, senza che nessuno richiamasse la loro attenzione o li separasse; solo Shingo era riuscito a spezzare il loro stato tantrico, imprecando sonoramente per il cellulare sfuggito dalle mani mentre controllava i messaggi.

E il bello era che nessuno dei due sembrava davvero imbarazzato dalla cosa. Come se entrambi avessero silenziosamente accettato di varcare di fronte agli altri, anche solo per una volta, quel confine tracciato a protezione della loro amicizia, confine che stava diventando sempre più labile ed indefinito sotto gli occhi di entrambi, senza che nessuno facesse davvero qualcosa per fermarsi prima di varcare quella linea.

    -    Non c'è molto da dire- borbottò Yuya, stringendosi nelle spalle e finendo velocemente il sandwich – Ci siamo fatti prendere dalla recitazione, tutto qui-
    -    Solo?-
    -    Solo. Non fatevi idee strane-
    -    Chi?-
    -    Tutti quanti-
    -    Ma certo, Yoyo-
    -    Come mi hai chiamato?!-
Sì, le sue reazioni erano davvero buffe, e anche gli sguardi stralunati che scoccava. Gongenzaka gli diede un lieve buffetto sulla testa, scompigliandogli allegramente i capelli, pregando in cuor suo che nonostante le ormai evidenti difficoltà di socializzazione di Yuya all'infuori dei suoi pochi, fidati amici, questoinon perdesse mai la sua allegria e voglia di sorridere. Il mondo ne avrebbe sofferto.
    -    Mia madre è arrivata- fece poi, accennando con il capo all'utilitaria scura che si stava lentamente avvicinando dal fondo della strada – Ehi, vuoi un passaggio a casa? Dobbiamo passare per quella via-
    -    Naaaah, grazie lo stesso...credo mi farò due passi- rispose Yuya, le braccia incrociate dietro la testa.
    -    Sicuro? Il tempo non promette bene. Se dovesse cominciare a piovere?-
    -    Tranquillo, non pioverà-
E poi eccolo lì: risposta enigmatica, laconica, e sguardo triste e lontano. Gongenzaka arricciò il naso, scoccandogli un'occhiata curiosa, scuotendo poi il capo e di fatto rinunciando a cercare di comprenderlo.
Yuya era fatto così, molti suoi atteggiamenti sembravano largamente incomprensibili, quasi fosse momentaneamente posseduto da un'altra personalità. A ben pensarci, la cosa aveva un che di inquietante.
    -    Come vuoi. Ci vediamo domani allora!-
    -    Ovvio! Buona giornata Gon!-

Ci credeva davvero in quell'augurio? Yuya se lo chiese più volte, mentre salutava con un ampio gesto della mano il suo amico che entrava nell'auto e si allontanava, sparendo in mezzo al traffico. Sì, ci credeva davvero, per Gongenzaka sicuramente. Anzi, sperava ardentemente che per lui il proseguimento di giornata fosse allegro e spensierato.
Lo sperava per tutti i suoi cari se doveva essere sincero. Non desiderava altro che stessero tutti bene, che fossero tutti felici e spensierati.
Era un augurio che non rivolgeva molto spesso a sé stesso ed era così da molti anni ormai, da quando aveva iniziato a crescere e a rendersi conto che il mondo degli adulti era molto meno divertente di quello che credeva, o sperava. E questo senza neanche entrarci davvero nel mondo degli adulti, perché sebbene l'esame di maturità si stesse avvicinando lui non sembrava affatto dargli il peso che meritava. Per quanto la scuola potesse piacergli, per quanto si impegnasse, per quanto alcune materie gli riuscissero anche bene, Yuya non poteva nascondere il fatto di essere uno che non badava ai voti: erano numeri come altri. E nulla più. E aveva tutta la vita per dimostrare, a sé stesso più che altri, di valere molto più di quella media scolastica che si ritrovava.
Ma gli bastava scorgere lo sguardo sempre più spento del padre, ormai oppresso da una vita passata a lavorare per sostenere la famiglia, e il volto della madre sempre più tirato e sottoposto a trattamenti cosmetici con tre tipi di creme antirughe diverse, per rendersi conto che l'essere adulti coincideva con la fine del divertimento, della spensieratezza e dei giochi. Ci si doveva uniformare alla società, crescere, assumersi responsabilità come gestire un lavoro o una famiglia.
In cuor suo, Yuya sperava di diventare un adulto ben diverso da quelli che lo circondavano, e intendeva portare con sé quante più persone. Yuzu, Gongenzaka, Shingo, anche Sora, e tutti quelli per cui provava affetto e amore.
Era l'unica motivazione che sapeva darsi, per spiegare quel suo continuo fare silenziosamente da spugna per le negatività altrui. Discretamente, senza protagonismi inutili, in un silenzio che aveva un che di disturbante, conoscendo il soggetto. Ripensò quasi con nostalgia a Yuzu e agli altri, augurandogli silenziosamente buona giornata nonostante le nuvole.



Si rese conto che ce l'avevano con lui solo quando decise di togliersi un auricolare da un orecchio, incuriosito dal loro frenetico gesticolare in sua direzione. Yuya li contò rapidamente, facendo scorrere gli occhi diversi su di loro con fare preoccupato: erano in sette, tutti energumeni dalle spalle larghe e le facce cattive. Il ragazzo dai capelli colorati non riconosceva nessuno di loro, non erano del loro quartiere né della loro scuola. Urlavano, a pieni polmoni: offese, ingiurie, bestemmie da far venire la pelle d'oca a chiunque. Silenziosamente Yuya tremò, scosso da un brivido gelato che partì dalla base della spina dorsale e si arrampicò fino a stringergli la base della nuca. Il sandwich mangiato poco prima cominciò ad attorcigliarglisi nello stomaco, le gambe tremolarono quasi fossero di gelatina, e nella sua testa cominciarono ad echeggiare pensieri carichi di paura e preoccupazione.
Ce l'avevano con lui, sicuro? Yuya ripassò mentalmente la giornata appena trascorsa, e anche quella precedente e la settimana prima, alla ricerca di qualche sbaglio o sgarbo commesso verso la persona sbagliata, ma niente gli tornava in mente, forse solo qualche baruffa con i soliti prepotenti della scuola...nulla per cui effettivamente urlargli contro in quella maniera. Se fosse passato avanti ignorandoli? Avrebbe potuto indossare ancora le cuffie, tirare dritto e fingere di non sentirli, per una volta non alimentare il loro stesso malumore.
La pietra scagliata in sua direzione gli fece abbandonare quell'opzione con la stessa velocità con cui l'ebbe formulata.
 
****



    -    ...Yuya?!-
    -    ...Ehilà-
    -    ...idiota! TU SEI UN IDIOTA! Guarda in che stato ti sei ridotto e tutto quello che sai dire è EHILÀ?!-
    -    Ehi ehi, è tutto a posto! Io--
    -    Vieni dentro, forza!-
C'erano volte in cui Yuya si chiedeva da dove Yuzu tirasse fuori tutta quella forza, inaspettata ed insperabile da una ragazza così minuta e dall'aspetto così tenero poi. Lui l'aveva sempre trovata tenera, con i grandi occhi azzurri e i capelli che colorava sempre di tinte pastello: ultimamente sembrava essere entrata nel loop delle chiome rosa, forse aveva rivisto qualche puntata di Sailor Moon.
La trovava tenera nella stessa maniera in cui la temeva, quando aveva questi improvvisi sbalzi di umore che dipingevano espressioni di sconforto e paura, o rabbia, sul suo bel viso. E stavolta era davvero spaventata, e Yuya sentiva di sapere il perché, anche se non poteva guardare bene come fosse davvero ridotto.
    -    Ma guardati, accidenti!- esclamò la giovane, una volta tiratolo dentro casa per un braccio e richiuso la porta alle sue spalle – Sei fradicio dalla testa ai piedi!-
    -    Sai com'è, sta piovendo!- protestò il ragazzo, frenando un gemito di dolore quando lei lo spinse in avanti verso il bagno.
    -    E hai ben pensato di uscire e venire a trovarmi usando un motoscafo?! Esistono gli ombrelli sai?!-
    -    Non...non volevo--
    -    Cosa diavolo hai fatto all'occhio?!-
    -    Ecco-

A Yuzu piacevano tanto gli occhi di Yuya. Li trovava davvero belli e non solo per la loro eterocromia, così evidente da dipingergli le iridi in due tonalità così contrastanti come quelle del cremisi e dello smeraldo, ma per la luce che li illuminava quando il giovane era insieme alle persone che più amava. Quasi l'intero mondo gli sorridesse, Yuya non riusciva a fare a meno di raccogliere quei sorrisi a braccia aperte e restituirli con gli interessi, e gli occhi finivano sempre con il parlare e sorridere prima delle labbra.
Vedergli l'occhio destro, quello cremisi, gonfio al punto da lacrimare ed impossibile da mantenere aperto, la allarmò e per un attimo fece retrocedere. Yuzu scosse il capo con forza, afferrandogli il polso destro.
Il suo urlo di lancinante dolore la fece gridare di sorpresa, quasi perfino lei avesse sentito quella stilettata fulminante partire dalle ossa sbriciolate del polso e percorrerle tutto l'arto. Yuya cadde sul ginocchio sinistro, a pochi centimetri dal lavello, stringendosi al corpo il braccio destro e mordendosi le labbra con forza per frenare a stento le lacrime. Yuzu gli fu subito accanto, circondandogli il volto con entrambe le mani e alzandoglielo, costringendolo a guardarla.
Vederlo piangere era straziante. E non solo di tristezza, ma stavolta di dolore, dolore vero e dilaniante. Yuzu sbatté gli occhi un paio di volte, guardandosi intorno sperduta.
    -    ...cosa...cosa ti hanno fatto, Yu...!-
Avrebbe voluto abbracciarlo, ma temeva di fargli troppo male. Yuya tirò su col naso in una maniera così infantile da stringerle il cuore; si accorse dei lividi perfino sul collo e degli abiti strappati, e solo in quel momento riuscì a recuperare lucidità quanto bastava per tamponargli il naso sanguinante con un asciugamano.
    -    Non...non lo so, me li sono ritrovati di colpo tutti addosso...!- bofonchiò lui, la bocca mezzo tappata -  Ero appena uscito da scuola, mi-mi ero salutato con Shingo...e-e ero rimasto con Gongenzaka che mi aveva proposto di andare via con lui ma io ho detto n-no, volevo fare due passi...!-
    -    Chi erano? Yuya, chi è stato?!-
    -    Non-non lo so...questi non li ho mai visti prima! Non sono della nostra scuola, io non--
Ancora un urlo, quando lei tornò a sfiorargli il polso, e le fu ormai chiaro che fosse irrimediabilmente rotto. Yuzu scattò in piedi e chiamò a gran voce il padre, costringendolo a scendere di corsa le scale e quasi cadere a due gradini dalla fine.


Yuzu e Gongenzaga, e anche Shingo e Sora, e più o meno tutti gli amici di Yuya, erano ben al corrente delle continue schermaglie tra lui e il capetto della scuola. Un ragazzo di buona famiglia, proveniente dai ceti più alti di Nuova Domino, uno che non faticava molto ad avere tutto quello che voleva, cresciuto tra vizi e agi e al momento nel vorticoso turbine costituito dalla separazione dei suoi genitori. Per gli psicologi scolastici i suoi atti di violenza erano un modo per somatizzare il trauma della separazione, per Yuya era tutta una scusa, sebbene si fosse sempre riguardato dal dire una cosa del genere ad alta voce. Yuzu conosceva il ragazzo, sapeva che Yuya era tutto fuorché un attaccabrighe e un litigioso ed evitava lo scontro fisico quanto più possibile.
Yuya, certo, ma non lo “spocchioso moccioso viziato” come Sora Shun'in lo aveva definito, noto per la sua indole capricciosa e piantagrane; il tipico bulletto con i controfiocchi che trovava il pretesto per litigare con tutti e per far litigare tutti, compreso Yuya e uno dei suoi tirapiedi. Yuzu ricordava lo scontro verbale finito in una colluttazione fisica nell'atrio della scuola, in mezzo ad altri studenti spaventati del primo anno e i loro compagni del quinto: niente di così eclatante e violento, Yuya ne era uscito un po' scapigliato ed era riuscito a rompere gli occhiali da sole del tizio.
Il problema era comparso in seguito, quando il capobanda l'aveva preso nel mirino delle sue minacce, con i messaggi minatori, l'armadietto distrutto e il banco messo sottosopra. E per quanto fosse bravo a parole, Yuzu non aveva mai pensato potesse mai arrivare a questo.
Nel tragitto verso il pronto soccorso, Yuya le aveva poi raccontato per filo e per segno cosa era davvero successo. Era uscito da scuola, aveva percorso forse un centinaio di metri o poco meno: Gongenzaka era già entrato nell'auto della madre e si era allontanato. I primi sette erano comparsi dall'angolo della strada e gli urlavano contro cose che non comprendeva: offese indicibili, improperi, minacce confuse tra le bestemmie. Yuya non aveva inizialmente capito ce l'avevano con lui, si era rapidamente voltato solo quando un sasso scagliato gli aveva sfiorato paurosamente la spalla sinistra; e a quel punto si era accorto degli altri due sopraggiunti alle sue spalle a bloccarlo. Era stato letteralmente trascinato di peso nel parco accanto alla scuola, portato in un vecchio gabbiotto della sicurezza abbandonato, dove l'unica cosa che Yuya ricordava, oltre al tremendo tanfo di urina e acqua stagnante, erano le percosse subite.
Con un sospiro sconsolato, Yuzu alzò la mano destra e gli scostò alcune ciocche ribelli dagli occhi; Yuya chiuse pigramente gli occhi al contatto, adagiato sulla barella, il braccio destro sostenuto dalla fascia al collo e il polso ingessato. Il naso aveva smesso di buttare sangue, e dagli esami era stato confermato che non era rotto, così come anche il ventre, seppur dolorante, non aveva recato lesioni interne. Erano in attesa della radiografia alla gamba sinistra, livida e gonfia.
    -    Come ti senti?- gli chiese la ragazza, facendo scorrere le dita della destra sulla guancia tumefatta con delicatezza. Yuya represse un brivido, non seppe dire se di dolore o chissà cos'altro.
    -    Una merda- sibilò poi, voltandosi dall'altra parte - ...Yuzu, credo di non poter più sostenere oltre. Mi trasferisco, cambio liceo-
    -    Sei scemo?! All'ultimo anno?! Abbiamo gli esami! Se proprio volevi dovevi farlo prima! Adesso a che serve?!-
    -    A non rischiare di essere ammazzato di botte forse?!-
Si rese conto di aver reagito in modo troppo brusco quando la testa gli restituì una fitta di dolore, e gli occhi gli mostrarono l'immagine di Yuzu ancora una volta sull'orlo delle lacrime. Yuya imprecò qualcosa tra i denti, poi allungò la mano sinistra e le strinse la sua.
    -    Non dici sul serio vero?- chiese la ragazza, la voce rotta dalle lacrime. Yuya sospirò affranto, dandosi sistematicamente del cretino per averla fatta preoccupare ancora.
    -    Yuzu, no, non dico sul serio- le rispose poi – Dove vuoi che vada? E poi tu? Senza di me cosa faresti?-
    -    ...Sei uno stupido-
Solo in quel momento riuscirono a concedersi un sorriso un po' tirato.
    -    Ehi. Dici che Sora ha ripreso conoscenza dopo aver visto quel bacio?-
La domanda doveva aver colto Yuzu di sorpresa, perché la vide arrossire vistosamente e sbattere gli occhi azzurri con fare stralunato.
    -    Eh?!- squittì infatti, indecisa su cosa rispondere – Che...che vuoi dire?-
    -    Nnnon so, mi era parso un po'...inquietato?, dalla piega presa dalla situazione-
    -    Beh, se l'è cercata! Per quel che mi riguarda la prossima volta possiamo metterci anche più impeto!-
    -    ...Vuoi davvero rifarlo?!-
Troppo tardi, fregata con le sue stesse mani. Yuzu sbatté perplessa le palpebre un paio di volte, e le ci volle qualche secondo in più del previsto per rendersi davvero conto di quello che aveva appena detto. La bocca le si spalancò come a voler parlare, ma tutto quello che fu in grado di emettere fu un suono disarticolato e privo di reale senso. E il furbo sorriso da diavoletto che Yuya le stava riservando non aiutava molto a ragionare su una possibile risposta...la ragazza scosse con veemenza il capo, prima di coprirsi il volto con entrambe le mani e gemere di frustrazione, facendo scoppiare il ragazzo in una risata.
    -    Ma-ma cosa mi fai direeee?!- esclamò poi, ben cosciente di avere le guance della stessa gradazione del rosso che striava i capelli di Yuya.
    -    Cosa vuoi che ti dica?! Hai fatto tutto da sola!- esclamò di rimando lui, ridacchiando come uno stupido.
La ridarella gli sparì nel giro di pochi attimi, quando il padre di Yuzu fece il suo ingresso nella stanzetta.

    -    Oh, eccovi qui- annotò a voce alta Shuzo, lo sguardo puntato su Yuya – Credo di essermi perso per qualche corridoio di troppo. Arriverà il dottore a dirtelo Yu, ma la gamba sta bene, è solo un po' ammaccata. Un po' di riposo e tornerà come nuova-

    -    Bene- si limitò a rispondere lui – Papà è già arrivato?-
Il cambio di espressione di Shuzo fu registrato da entrambi i due ragazzi: impossibile non rendersi conto del lampo improvviso che aveva brillato nei suoi occhi in un attimo di consapevolezza. Confuso, esitante, quasi parlare gli costasse un po' di fatica, l'uomo strusciò un piede a terra e si passò una mano sul volto, sospirando pesante. Yuya piegò lievemente il capo di lato, con fare curioso.
    -    Shuzo?-
    -    Papà? Tutto bene?-
Il lieve cenno di diniego dell'uomo gettò un brivido freddo lungo la spina dorsale di Yuya; ignorando le proteste doloranti dei muscoli indolenziti e delle ossa peste, il ragazzo si tirò a sedere sul lettino, puntando gli occhi sull'uomo.
    -    Ecco Yuya...c'è stato un incidente. Non...non so neanche come dirtelo-




Ma il modo lo trovò, in fondo. Perché notizie del genere non potevano essere comunicate in nessun altro modo se non in maniera diretta, a costo di suonare insensibili e brutali.
Yuya era venuto a sapere della morte del padre mentre il dottore che lo aveva momentaneamente in cura era sopraggiunto a comunicargli i risultati delle radiografie. Una carambola stradale a quanto pareva: la pioggia aveva tradito l'impianto frenante dell'auto dietro quella di Yushio Sakaki, e un incauto automobilista che attraversava l'incrocio a velocità ben superiori al limite consentito aveva fatto il resto. Era morto durante il tragitto in ospedale, per via di una lesione interna che aveva causato il collasso dei polmoni.
Yuya non aveva mai smesso di piangere da quel momento. Non un minuto, non un secondo che passava i suoi occhi diversi erano privi di quella infida, traditrice patina acquosa che gli oscurava la vista, e quando non era intento a letteralmente consumarsi gli occhi dal pianto dormiva, dormiva della grossa, come se il sonno potesse in qualche modo lenire il dolore. Piangeva fino a consumarsi e si lasciava sopraffare dalla stanchezza, cadendo addormentato sul divano di casa, nel letto sfatto della sua stanza incasinata, sulla sedia al tavolo della cucina.
Mai per un secondo Yuzu lo aveva abbandonato.
Per quanto potesse farle del male vedere Yuya ridotto in quel penoso stato, non pensava minimamente di lasciare il fianco del suo migliore amico: altro rimedio non trovava, per farlo stare meglio, se non accollarsi metà della sua sofferenza. Conosceva Yushio, adorava quell'uomo così energico e devoto alla famiglia e alla moglie e suo figlio. Perderlo era un durissimo colpo per Yuya.
Non si sarebbe ripreso facilmente, Yuzu ne era consapevole e cercava di fare del suo meglio per sostenerlo.

Con un sospiro pesante, allungò una mano e strinse la sinistra di Yuya in una presa forte ma non dolorosa, alzando lo sguardo per osservarlo in volto. Impietrito, come se avessero deciso di incidere il dolore sul suo volto, il ragazzo non scostava gli occhi dal feretro, mentre sconosciuti uomini in nero varcavano il cancello della casa e caricavano la scura cassa nella lunga auto.
Yuzu non aveva una grande passione per il nero. Lo trovava molto elegante in alcune occasioni, ma l'idea di vestirsi di nero ad un funerale non le era mai piaciuta: le persone, così tristi e stanche, sembravano uno stormo di corvi raggruppati per vegliare su un morto. Di fatto non si scostava molto da quello che era stato fatto fino a quel momento.
Aveva smesso di piovere, ma il cielo era grigio come la canna di un fucile e l'aria era così fredda da pizzicare la pelle. Yuzu portò la mano del ragazzo alle labbra, soffiò un paio di volte per scaldargliela: quello stupido non aveva indossato i guanti, le aveva tutte intirizzite. Gli si sarebbero screpolate altroché, ed era un peccato perché le piacevano le sue mani: erano insolitamente curate per essere quelle di un ragazzo, ed erano agili ed esperte nel maneggiare palle da giocoliere, clavette e cerchi durante l'ora di educazione fisica. Avrebbe dovuto curarle di più, quel testone.
E tuttavia, con tutto quello che gli stava succedendo, era il minimo che non pensasse ad un simile necessità. Yuya chinò il capo, nascondendosi dietro il colletto della giacca, il braccio destro ancora appeso al collo e gli occhi diversi perennemente fissi sulle solide pareti di legno scuro che circondavano il corpo del suo amato padre. Alla sua destra, sua madre osservava la scena apparentemente impassibile: il suo era il silenzioso, dignitoso pianto di una moglie rimasta vedova troppo presto, e con un figlio grande che, se possibile, meritava il doppio delle attenzioni di un bambino. Alla sua sinistra, invece, Yuzu non gli lasciava mai la mano: la sentiva accarezzarne lievemente il dorso con le dita, il volto premuto sul suo braccio.
Il ragazzo era sparito agli occhi dei familiari per tutto il tempo in cui la camera ardente era rimasta allestita nella loro casa. Era stata Yoko ad insistere affinché suo marito tornasse a riposare, per un'ultima volta, nella sua amata casa, ma Yuya non aveva voluto saperne: mai, neanche una volta, si era affacciato a salutare il padre, come se non volesse avere il suo volto pallido come ultimo ricordo. E chissà, forse per lo stesso motivo aveva deciso di non prendere parte alla cerimonia funebre, quasi non volesse fare i conti con quella realtà e volesse anzi ritardarla il più possibile.
Yuzu sapeva che questo avrebbe fatto tutto tranne che aiutarlo a superare il trauma più velocemente, tuttavia non si era sentita in condizioni di contestargli tale decisione; e dello stesso avviso era stata la madre, che aveva deciso di lasciare il figlio a casa a patto che qualcuno restasse con lui. Chiamare la ragazza era quanto di più caritatevole potesse fare, in quel momento, per suo figlio.
Perché sembrava proprio che Yuzu fosse l'unica persona di cui Yuya tollerava la presenza, in quel momento.

Seguirono con lo sguardo l'auto con il feretro e quella di Yoko allontanarsi, fino a sparire in fondo alla strada, diretti verso il santuario dove Yushio Sakaki avrebbe cominciato il suo ultimo viaggio. Fu poi Yuya a chiederle un contatto più ravvicinato, senza parlare, solo con l'avvicinarsi a lei.
Non servivano troppe parole in quel momento.
Yuzu lo strinse forte a sé, badando al polso ancora ingessato e scostandosi poi quel che bastava per osservarlo meglio in viso: gli scostò alcune ciocche dalla fronte e rimase ad osservare con sguardo contrito gli occhi diversi tristi, spenti come se qualcuno avesse chiuso delle serrande dietro le sue pupille. Reso pallido dal freddo e dal raffreddore che si era buscato, le palpebre arrossate parlavano di un pianto che durava da giorni, e le guance lievemente più scarne di inappetenza.
Vedere Yuya ridotto in quello stato era da straziare il cuore.
    -    Entriamo in casa-
Anche la sua voce era triste e bassa, priva della consueta allegria con cui lo aveva conosciuto e lo aveva sempre sentito. Yuzu si mordicchiò il labbro inferiore, tesa e preoccupata e soprattutto scoraggiata.
Quello non era Yuya. Non era quel ragazzo a cui voleva bene e del quale si stava pian piano innamorando. Quel Yuya era energico e positivo, pronto a sorridere anche delle proprie disgrazie e a trovare qualcosa, o qualcuno, per la quale valeva la pena sforzarsi di lottare e reagire agli imprevisti e alle difficoltà.
Yuya adesso era solo una pallida, penosa ombra di sé stesso. Stanco di sorridere ed essere felice anche quando non lo era, saturo di tutte le negatività e i calci subiti e non solo in senso metaforico. Con orrore e quasi rabbia verso se stessa, Yuzu si era accorta che era così già da tempo. Da tanto il ragazzo aveva “qualcosa che non andava”, eppure lei aveva sempre messo la questione in secondo piano, come se in realtà fosse solo un abbaglio, un' impressione; lei che si definiva tanto legata a lui non si era accorta di quello che stava davvero succedendo nella sua testa.
Aveva la tempesta dentro e nessuno l'aveva capito. Tranne lei, ma l'aveva ignorato.
Non sapeva se essere delusa da sé stessa, per aver fallito nel suo compito di amica, consigliera e sostegno, se delusa da chi diceva di voler bene a Yuya e non essersi accorto di quello che gli stava succedendo, oppure se essere amareggiata dall'improvvisa apatia del ragazzo.
    -    Yuya, hai le mani gelate-

Il ragazzo sbuffò nervoso, pigiando il tasto corrispondente al terzo piano e stringendo la ragazza a sé mentre le porte del vecchio ascensore si chiudevano con un lieve scatto metallico. Lo stomaco gli sussultò debolmente quando la cabina d'acciaio cominciò lentamente a salire.
Nel silenzio ovattato creatosi, Yuya strinse forte a sé la giovane e nascose il volto tra i suoi capelli colorati, profumati di pulito e fresco. Glieli accarezzò, e nel passare le dita tra le ciocche lisce e curate trovò finalmente un po' di sollievo al suo dolore.
    -    Come ti senti?-
    -    Come sotto un treno. Ma me la caverò, me la cavo sempre-
Già, lo diceva ogni volta, ed effettivamente gli era sempre riuscito: era sempre stato bravo a sgusciare via da guai e punizioni con la sua solita furbizia un po' maldestra e creativa, con quel sorriso contagioso e bello. Ma qualcosa si era rotto in quel giocattolo ora, e come il motivetto di un carillon guasto che ripeteva all'infinito la stessa triste nota anche Yuya mormorava all'infinito quelle parole cariche di tutto tranne che speranza.
Quella volta non se la sarebbe cavata, non da solo. E di questo ne erano consapevoli entrambi.
    -    Vuoi che ti prepari qualcosa?- le domandò poi, mentre insieme varcavano l'ingresso dell'appartamento e Yuya richiudeva la porta alle loro spalle – Un té, un caffé...-
    -    Un letto per stanotte. Intendo restare da te- rispose Yuzu, senza troppi giri di parole.
    -    Perché vuoi un letto adesso? Abbiamo sempre dormito insieme-
    -    Non voglio recare disturbo-
    -    Ora non dire fesserie. Non hai mai disturbato-
    -    E invece sì. Ora...ora sono solo d'intralcio-
    -    Yuzu?-
Era un periodo in cui avevano tutti i nervi tesi a fior di pelle, ma Yuya stesso non prevedeva una simile reazione e delle simili parole da lei. Seduta al tavolo della cucina, stretta nel suo maglione bianco, quello che le aveva regalato qualche mese prima, Yuzu chinò il capo reprimendo a stento le lacrime.
    -    Volevo essere per te un valido aiuto- pigolò lei, con la voce tremante – Ma non...non sono stata in grado di aiutarti in niente. Non ho realizzato quanto stessi male, eppure notavo qualcosa di diverso in te, lo sentivo-
    -    Era davvero così palese?-
Col senno di poi, Yuya realizzò che non era esattamente la scelta di parole più oculata e saggia che potesse fare. Gli argini si ruppero definitivamente, Yuzu si lasciò sfuggire un singhiozzo che si trasformò in un pianto e non trovò nulla a cui aggrapparsi per evitare di essere trascinata via dalla tristezza.
Nulla se non la mano del suo migliore amico, e le sue braccia, e il suo corpo tutto, in un abbraccio che più di conforto sembrava il disperato tentativo di mantenere entrambi a galla.
    -    Yuzu...buon cielo, calmati ora-
Ma il singhiozzo che la scosse gli fece capire che non sarebbe stato facile farle riprendere il controllo. E in un momento come quello, in cui lui si sentiva pronto a tutto tranne che a sostenere il dolore di una persona a lui cara, il ragazzo non riuscì a fare altro che rafforzare i proprio abbraccio e soffocarle il pianto contro la spalla sinistra.
E non poté fare altro che darsi dello stupido e del debole, perché la causa di tutto questo era solo sua e delle idee sbagliate che aveva degli altri. Suo padre se n'era andato nel modo più violento ed improvviso possibile nel vano tentativo di raggiungerlo e portarlo al sicuro, e della sua perdita avrebbero sofferto tutti.
    -    Non devi piangere. Sono forte, e lo sai. Posso esserlo per entrambi-
Glielo disse dopo averla lievemente allontanata da sé, sorreggendole il volto umido di lacrime con la sinistra e cercando di guardarla negli occhi devastati dal pianto. Yuzu tremò nella sua stretta e si aggrappò con le dita pallide al suo polso, alla ricerca di un sostegno.
    -    Perché?- domandò poi lei, dopo un tempo quasi infinito dove solo il meccanico ticchettio delle lancette dell'orologio scandì il passare dei secondi – Perché...tutto questo dolore a te? Non...non lo meriti...-
    -    Immagino debba scontare qualche errore della vita passata...posso farcela. Ehi Yuzu, hai sentito? Posso farcela, ce l'ho sempre fatta e anche adesso. Ma tu devi essere con me, va bene? Mi ascolti?-
Con il pollice sinistro le asciugò due lacrime rotolate lungo la guancia, fino a bagnarle l'angolo destro delle labbra. Yuzu annuì con il tremolio di un uccellino senza orientamento in una giornata d'inverno, i begli occhi azzurri fissi in un punto impreciso del suo collo.
    -    Per quel che mi riguarda, può ora andare tutto il mondo al diavolo. Famiglia, amici, scuola, può anche sparire--
    -    Non dire queste cose neanche per scherzo, io--
    -    Ma voglio che tu resti. Non crollare. Te ne prego. Sono forte abbastanza per tutti e due-
Yuzu alzò il viso e incontrò la sua bocca a metà strada.

Non era il primo bacio che si scambiavano, tolto quello della famosa reinterpretazione di Baudelaire: quando erano bambini lo facevano spesso. Yuzu, che era cresciuta senza mamma e solo con le amorevoli e accorte cure del padre, aveva una volta osservato i genitori di Yuya scambiarsi un dolce bacio a stampo e gli aveva chiesto il perché l'avessero fatto, cosa volesse dire quel gesto: Yuya aveva allegramente risposto, con la tipica innocenza dei bambini, che quello era un modo che avevano per dirsi “ti voglio bene”. A quel punto, colpita dalla nuova rivelazione, la bambina si era fatta coraggio e aveva replicato lo stesso gesto sotto lo sguardo stralunato di Shuzo, non ancora pronto a vedere la sua bambina scambiare tenerezze con i maschietti. Agli strilli indispettiti di Yuya, che chiedeva perché tra un gridolino e l'altro, lei aveva risposto “Io ti voglio bene!”. E colpito dalla cosa Yuya aveva ricambiato il gesto, in quel timido innocente silenzio da bambino che valeva più di mille parole.
Quel gesto per loro così naturale e sincero, e fondamentalmente innocente, si era perso con l'ingresso nelle classi medie fino allo sparire negli anni del liceo, una volta raggiunta la consapevolezza che un simile scambio di affettuosità poteva implicare anche altro a livello di rapporti con quella persona. E sebbene entrambi continuassero a volersi bene e sostenersi a vicenda, la nuova maturità fisica e mentale aveva inevitabilmente posto un muro di confine tra loro: attraversarlo anche solo per scherzo avrebbe implicato qualcosa, anche a livello di pensieri che potevano girare nella testa degli altri.
Non era il primo bacio che si scambiavano, forse non sarebbe stato l'ultimo: ma la ritrovata purezza di quel gesto d'affetto così innocente lo colpì come un pugno allo stomaco. Yuya si separò dalla sua bocca solo per sfiorarle con le labbra ogni punto raggiungibile del volto, dalla fronte semicoperta dalla frangia alle palpebre socchiuse e umide di lacrime salate.
Solo il ronzio del campanello lo costrinse a interrompere la sua perlustrazione, ma gli occorse qualche secondo per trovare la forza di separarsi dalla ragazza. E quando si allontanò, sentì distintamente il suo corpo farsi freddo e privo di emozioni.
Quella consapevolezza l'avrebbe accompagnato per lunghi anni, e lui l'avrebbe sempre messa a tacere, archiviandola in un angolo remoto del suo io razionale nello scaffale delle “impressioni”; in quel momento badò solo ad aprire la porta e a placcare l'assalto di Yugo.

Il cugino dal ciuffo biondo non era mai stato un tipo esattamente pacato nei suoi slanci di emotività: definibile come la parte chiassona e casinista del variopinto quartetto di cugini dalla somiglianza di gemelli, Yugo era più trasparente di una sfera di cristallo quando si trattava di esprimere i propri sentimenti. Espansivo, schietto, a volte anche troppo col rischio di essere erroneamente giudicato arrogante e borioso, era il ragazzo più altruista e sincero che conosceva. E sincero fu anche l'abbraccio con cui lo strinse una volta che se lo trovò avanti, finendo quasi soffocato dal colletto in finta pelliccia della sua giacca, mentre ebbe appena il tempo di registrare anche la presenza di Yuto e Yuri. Rispettivamente la parte responsabile e adulta e quella maliziosa e furba del quartetto: tutti e quattro insieme avrebbero probabilmente costituito l'uomo perfetto, ma nascere in corpi separati sembrava non costituire alcun problema per i loro rapporti definibili fraterni.
    -    Yoko ci ha detto dov'eri finito! Razza di stupido!- sbottò Yugo, afferrandolo per le spalle e scrollandolo malamente come un sacchetto di noccioline; con la coda dell'occhio il ragazzo dagli occhi diversi notò Yuto farsi avanti come a voler frapporsi tra i due, fu fermato solo da una mano di Yuri sulla sua spalla – Sono giorni che cerchiamo di metterci in contatto con te! Non rispondi al telefono né ai messaggi né niente, perché?!-
Vero, c'era anche quello. Da quando aveva appreso della morte del padre, Yuya si era letteralmente isolato dal resto del mondo: aveva spento il cellulare e staccato il telefono nella stanza, e dai social network era letteralmente sparito senza leggere neanche uno degli innumerevoli messaggi di cordoglio dei suoi contatti.
Qualcosa si era inevitabilmente rotto. Sulla vita di Yushio Sakaki era appena calato il sipario, e lui non aveva fatto neanche in tempo ad inchinarsi di fronte al vasto pubblico che lo applaudiva della bella esibizione; e la velocità di quegli eventi aveva travolto anche il figlio, lasciandolo ormai senza neanche più rabbia da provare o lacrime da versare, o voglia di stare a contatto di chiunque. Chiunque che non fosse Yuzu.
    -    Yugo, dài...non è il caso- borbottò Yuto, alzando al cielo gli occhi grigi seminascosti dai capelli.
    -    No, ha ragione- Yuya scosse il capo, abbassando lo sguardo – Solo che non me la sentivo di...di riprendere subito contatto con tutti. Immagino mi serviva tempo-
    -    Come stai ora?- domandò Yuri, con quella sua voce sempre bassa e pacata, lieve come una carezza: si era sempre preoccupato molto dello stato di Yuya.
    -    Diciamo che sto- rispose il ragazzo dagli occhi diversi, con un'alzata di spalle – Mi riprenderò, non sono solo per fortuna-

E con un cenno del capo indicò Yuzu, sopraggiunta alle sue spalle in silenzio, tirando appena su col naso e stringendogli la mano. Yuya le sfiorò una guancia prima di stringersela al fianco.



Cala il sipario Artistamico – Trappola Normale

Scegli come bersaglio un qualsiasi numero di mostri scoperti controllati dal tuo avversario, fino al numero di Carte Magia scoperte che controlli; metti quei mostri coperti in Posizione di Difesa.



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Ben ritrovati tutti!
Come vanno le cose? Spero sempre di non avervi fatto attendere troppo, tutti voi che leggete o che approdate per caso su questa storia.

"La Filosofia dei Viaggi nel Tempo", oltre che essere il titolo del pseudobiblium su cui si fonda il film del 2001 Donnie Darko, sarà il titolo che accomunerà questa mini serie, all'interno della storia, di capitoli incentrati su eventi passati, per qualche motivo significativi, dei protagonisti principali della storia. Quello che seguirà invece dopo sarà il nome di carte di gioco, realmente esistenti, in qualche modo legate ai protagonisti e agli eventi raccontati.
Se le cose vanno per le "lunghe", potrei decidere di renderla una serie a sé stante, vedremo.

Ammetto che avrei voluto battezzare questa miniserie con qualcosa di più leggero e allegro...ma sarò sincera: ultimamente il mio umore è realmente a terra. Sto organizzando dei grossi cambiamenti nella mia vita, e purtroppo si sta prospettando un futuro nella quale, con ogni probabilità, mancherà una persona per me molto importante, che ha costituito un punto fermo per 6 anni della mia vita. E brutto da dire, ma quest'eventualità si sta concretizzando per i tentennamenti, l'immaturità e l'apparente indifferenza di questa persona.
Non sto a tediarvi oltre con queste vicissitudini personali, non serve, e probabilmente non vi interessa neanche; volevo solo darvi un'idea di cosa mi sta realmente frullando in testa, e del perché ricerchi stabilità nei miei scritti con così tanta...disperazione? Non so come chiamarla.

Piccolo appunto: come precedentemente spiegato, i quattro Yu sono qui ritratti come cugini, per spiegare il perché della somiglianza così palese. Avrete sicuramente notato come sono belli uniti e forti tutti e quattro insieme, Yuri compreso che sappiamo, dall'anime, essere un sadico tendente allo STRONZO vero e proprio...mistero risolto: il loro rapporto combacia con quello che la versione manga di Yuya, più grande, più adulta, più smaliziata e meno tendente al demoralizzarsi, ha con le sue tre controparti! Yuri stesso si prende molta cura di Yuya, attaccando e aggredendo con ferocia chiunque gli causi danno in duello.

Il prossimo capitolo farà sempre parte della serie della Filosofia nei Viaggi del Tempo, dopodiché torneremo alla quotidianità dei nostri protagonisti! Chissà, forse riuscirò anche a postarvelo prima del previsto. Vedremo, con me è tutto possibile.
Fatemi sapere!

92Rosapina

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Capitolo 9
*** La Filosofia dei Viaggi nel Tempo – Smiling World ***


Pharaoh's Kingdom - Time Travel 2

La Filosofia dei Viaggi nel Tempo – Smiling World



    -    ...stai scherzando-
    -    Assolutamente no-
Per un attimo, Yuto boccheggiò a vuoto con il comico sguardo stravolto di un pesce fuori dall'acqua. Incerto su cosa dire o fare, posò con estrema cura sul tavolo il bicchiere di Cuba Libre che stava sorseggiando, quasi temesse di romperlo con un solo battito eccessivo di ciglia, si passò la lingua sulle labbra con fare nervoso e alzò gli occhi grigi verso il cugino. Per contro, Yuya se ne stava a capo chino e stretto tra le braccia, i gomiti puntellati sul ripiano e il volto nascosto come a non voler incrociare lo sguardo con nessuna delle sue altre parti, come definiva lui i variopinti cugini dannatamente simili tanto quanto opposti nel carattere.
    -    Vediamo quindi se è tutto chiaro- si fece avanti Yuri, al solito impettito e formale al punto da essere disturbante – A Yuzu, e altri quattro fortunati eletti, è stata data la possibilità di prendere parte ad un master in sceneggiatura in una importantissima casa cinematografica francese. Lei ha rifiutato-
    -    Sì- confermò Yuya per la terza volta in quella serata, alzando di poco lo sguardo e abbassandolo subito dopo, come a voler evitare le impietose iridi del cugino.
    -    Per quanto avventato come rifiuto, è tuttavia comprensibile. Prova a razionalizzare-
    -    L'ho già fatto, più di una volta e per due giorni consecutivi, e continuo a non capire-
    -    Si tratta comunque di lasciare tutto e andare in Europa. Per un tempo limitato certo, ma non è una cosa semplice e sicuramente non può accettarla di getto-
    -    Sì ma neanche rifiutarla! Che motivo avrebbe? Cosa la trattiene qui?!-
Con uno sbuffo sconfortato, Yuri si portò pollice e indice della sinistra all'attaccatura del naso, chiudendo gli occhi e restando in silenzio: Yuya non sapeva dire se per ponderare meglio sulle parole da riferire oppure se per recuperare temporaneamente la lucidità annebbiata dall'alcol. Alla sua sinistra invece, Yugo stava lentamente abbandonando i tre: con la testa posata sul tavolo lo studiava con un occhio chiuso e uno aperto, seminascosto dall'impertinente e disordinatissimo ciuffo biondo. Non sembrava aver oltrepassato il limite delle sue facoltà, ma per sicurezza Yuto aveva preferito sfilargli di nascosto il cellulare dalla tasca della giacca: già una volta era capitato l'invio di qualche messaggio compromettente in momenti in cui non era propriamente lucido.
    -    Hai mai pensato...- riprese poi Yuri, in maniera così improvvisa che il ragazzo dagli occhi diversi trasalì nervosamente – Che non è qualcosa, ma qualcuno a trattenerla qui?-
    -    ...ci siamo baciati-

Lo aveva effettivamente previsto, ma in realtà la reazione generale lo lasciò ugualmente sorpreso: Yugo si rimise ben ritto con la schiena e prese ad osservarlo di traverso, letteralmente, con il capo esageratamente ripiegato verso sinistra e lo sguardo sorpreso e lucido di chi aveva esageratamente alzato il gomito, le guance e la punta del naso lievemente arrossati a ulteriore conferma del suo stato. Yuri invece, notoriamente quello dai modi più sofisticati e posati dei tre, aveva allontanato la mano dal volto e aveva preso ad osservarlo ad occhi ben aperti, lo sguardo interrogativo prima ancora di effettivamente porre la domanda ad alta voce; Yuto aveva preferito invece restare in silenzio, rifugiandosi dietro il suo bicchiere.
    -    Cioè...mi ha baciato lei- riprese Yuya, non esattamente sicuro del punto da cui avrebbe dovuto iniziare – Insomma, abbiamo discusso della cosa, e anche abbastanza pesantemente. Voglio dire, ha di getto rifiutato un master davvero importante all'estero! E chissà per cosa poi! Le ho detto che doveva pensare al futuro, che era per la sua formazione, che non era il caso di precludersi una simile possibilità per—per dei sentimentalismi, ecco!-
    -    Ah-ha. Continua-
Yuya deglutì, la gola fattasi improvvisamente secca. Dall'altra parte del tavolo, Yuri continuava a fissarlo con sguardo impietoso, mentre Yugo sembrava essere appena uscito da un anime demenziale. Solo Yuto sembrava aver conservato un minimo di compassione per il cugino, eppure il ragazzo dagli occhi diversi sapeva di non meritarsi tutta quella comprensione.
Di fatto, la colpa era tutta sua e negarlo, o cercare delle giustificazioni a riguardo, era inutile e controproducente.
E ripercorrere tutti gli eventi per spiegare come le cose erano realmente andate non aiutò affatto il suo morale, anche perché non fece altro che razionalizzare tutto quello che, fino a quel momento, si era semplicemente rifiutato di ammettere.
E dire che non era certo da qualche giorno che aveva quella consapevolezza, né qualche settimana o mese: si parlava di anni. E forse da ben prima che Yuzu diventasse uno dei pochi, se non il più importante punto di riferimento della sua vita.

Molte cose erano, inevitabilmente, cambiate con il tempo, e la brusca dipartita di suo padre aveva letteralmente acceso la miccia di tutta una serie di mutazioni nella sua vita e di chi gli stava intorno.
Fedele a suo marito in vita così come in morte, Yoko aveva scelto di non, come le era stato avanzato da qualcuna delle sue neanche troppo simpatiche amiche, cercarsi un altro compagno per consolarsi della perdita: aveva rifiutato di sfilarsi la fede, sostenendo che una promessa era per sempre, così come il suo amore per l'unico uomo capace di mettere fine al suo turbolento passato da motociclista sfasciacarrozzerie. Il cugino Yuri, quello dai modi più sofisticati dei quattro e con una visione del mondo piuttosto sinistra, aveva chiuso gli studi liceali con il massimo dei voti, guadagnandosi di diritto una borsa di studio per la migliore facoltà di medicina legale in America, a Harvard: aveva completato il programma “pre-medical” in un anno e mezzo anziché quattro, e gli studi alla Medical School in poco più di due anni, specializzandosi poi in tutto quello che riguardava le applicazioni mediche in criminologia e autopsia. Yuri sosteneva di aver studiato giorno e notte: conoscendo lui e quel suo cervellone stava mentendo.
Anche Yuto aveva concluso gli studi superiori con ottimi voti e aveva intrapreso la carriera di criminologo, trovandosi poi a lavorare nella stessa equipe scientifica di Yuri. Durante un'ispezione in un locale coinvolto in un violento omicidio degno di una serie televisiva, il ragazzo dagli occhi grigi si era ritrovato a dover sedare una rissa esplosa all'improvviso per motivi non ben chiari, in cui una povera ragazza era quasi rimasta coinvolta. Aveva così conosciuto Kurosaki Shun e Ruri: il primo, stando poi alla ricostruzione dei fatti, aveva semplicemente messo a tacere un galletto di quartiere che aveva avuto l'idea, piuttosto infelice a dire il vero, di mettere in una stessa frase la sorella di lui e uccelli di grossa taglia,  non necessariamente pennuti. E il fatto che entrambi i Kurosaki fossero due ornitologi non aveva fatto altro che rendere l'insulto ancora più inadeguato e sbagliato.
Kurosaki Shun aveva per la sorella un attaccamento e un senso di protezione paragonabile al morboso; quando Yuto e Ruri avevano iniziato a frequentarsi sempre più assiduamente, il giovane aveva rapidamente mangiato la foglia. E tuttavia non si era mai messo tra lei e il primo e unico ragazzo che era riuscito a metterlo davvero al tappeto, oltre che ammanettarlo.
Perfino Yugo aveva chiuso gli studi con una media di tutto rispetto per un ragazzino scapestrato che passava i pomeriggi in garage e i fine settimana a mangiare fango, polvere e terreno tra le curve della pista da cross. Ingegneria meccanica era il percorso di studi scelto da quello che Yuri definiva, guadagnandosi una valanga di insulti ed epiteti più o meno disturbanti dal diretto interessato, un “idiota col ciuffo ossigenato”. Di fatto però, non c'era motivo di stupirsi che un tipo come Yugo avesse la massima media di voti in un corso di studi tutt'altro che facile: componenti e sistemi meccanici avevano su di lui lo stesso effetto di una batteria di fuochi d'artificio, ed aveva, e questo era innegabile, un innato talento in meccanica. Al suo corso aveva conosciuto Rin, sparuta presenza femminile in una facoltà frequentata per lo più da ragazzi. Nuova arrivata in città, conosciuta quasi per caso grazie ad un incidente nella mensa universitaria, aveva scoperto essere poi la misteriosa pilota dalla moto bianca e rosa. Yugo ne era mortalmente attratto, al punto da perdere la cognizione spazio temporale in sua presenza, ma un'improvvisa e infantile timidezza gli impedivano di farsi avanti; allo stesso modo Rin aveva dei sentimenti importanti da confessargli ma non sembrava in grado di trovare le parole giuste né il coraggio.
Nelle retrovie, sogghignante spettatore che pregustava lo spettacolo, Yuri definiva lei adorabile nella sua timidezza, e Yugo un benemerito cretino che perdeva tutta la sua spavalderia quando si trattava di passare dalle parole ai fatti.

Di fatto, l'unico che aveva faticato a trovare la sua strada era stato proprio Yuya. La perdita del padre era stata per lui un durissimo colpo, e per quanto avesse tentato di non esternarlo troppo, l'evento l'aveva condizionato e scosso.
Aveva a stento terminato gli studi superiori, diplomandosi con la votazione minima indispensabile, e poi si era letteralmente trincerato in casa. Chiuso vivo quasi una reclusione  auto condannata per chissà quale motivo: tirarlo fuori da lì era stato difficilissimo. A nulla erano servite le parole di Yoko, o i messaggi di Gongenzaka, Sora e Shingo; non erano state utili neanche le parole di esortazione di Yuto e Yuri, e neanche le velate minacce di Yugo.
Solo Yuzu era stata in grado di tirarlo fuori dal suo isolamento.
Yuzu era l'unica in grado di compiere anche l'impossibile per lui. E di questo Yuya era sempre stato consapevole e cosciente, eppure non aveva mai ragionato bene su quel pensiero, su quell'evidenza. A ripensarci ora era ben chiaro il perché.
L'affetto...no, meglio, l'amore che Yuzu provava per lui era sempre stato vivo e forte, autentico, e lui ci aveva invece sempre visto una forte amicizia radicatasi negli anni ma, come in molti casi, destinata inevitabilmente a...non sparire, forse deteriorarsi un po', anche in risposta alle nuove necessità dell'età adulta e dei nuovi percorsi che si aprivano per entrambi.
E quando l'aveva sentita dirgli che aveva rifiutato quel master di sceneggiatura in Francia, il ragazzo era letteralmente esploso: insomma, quel master rivestiva per lei un'importanza speciale, la degna conclusione di un percorso di studi che non era stato per niente facile! E aveva scelto di boicottarlo per...
    -    Un cretino- sibilò all'improvviso Yuto, le braccia conserte al petto e lo sguardo duro e impietoso – Un cretino-
    -    Lo so, non c'è bisogno che me lo ripeti- risposte Yuya, con la testa tra le mani.
    -    Quella ragazza, la tua migliore amica da una vita, ha praticamente messo sul piatto dei sentimenti chiari e forti che tu condividi da altrettanto tempo, e tu non hai avuto niente di meglio da dirle in risposta che quello stupido master?!-
    -    Non lo definirei tanto stupido- lo rimbeccò Yuri, una mano posata sotto il mento con fare pensieroso – In fondo si tratta di un importante punto sul suo curriculum artistico a cui credo abbia rinunciato con una certa fatica-
    -    Già, anteponendo a tutto i suoi sentimenti per questo cretino qui-
    -    Credo abbia valutato anche quelli, ma conoscendo Yuzu...responsabile com'è credo abbia deciso semplicemente che la vita in Europa, seppur per breve tempo, non fa per lei-
Yuya non rispose; impossibile dire perché con certezza, forse era rimasto senza parole, consapevole del suo errore. O forse era troppo impegnato a sorreggere Yugo che, nel frattempo, gli era quasi salito in braccio e bofonchiava qualcosa di non troppo chiaro.

    -    Insomma, le ho detto che secondo me era una cosa stupida...abbandonare l'idea del master per della...della nostalgia fondamentalmente. E lei...lei ha cominciato a sbraitare. Sbraitare e piangere insieme-
L'immagine in sé era stata disturbante ai limiti dello strazio. Non gli piaceva vedere Yuzu in lacrime per qualsiasi ragione, ma sapere di essere lui la causa di tanto dolore...no, non lo sopportava.
Ed era con orrore che si era reso conto, in quelle ultime quarantotto ore, che buona metà delle lacrime da lei versate nell'arco di un'intera vita erano per causa sua.
    -    E poi?- incalzò ancora Yuto, con una voce che definire spietata era poco.
    -    E poi nulla, ha cominciato a rinfacciarmi cose che-che neanche io ricordavo o di cui comunque non mi sono mai reso conto-
    -    E immagino tu sia rimasto in silenzio, giusto?-
    -    Cosa dovevo fare?!-
    -    Provare ad ammettere quello che già sai?-
    -    Tu la fai sempre terribilmente facile...-
   -    Puoi sempre ribattere ricordandogli dei primi tempi in cui lui e Ruri stavano conoscendosi...allora era un po' come un paletto piantato nel terreno- buttò lì Yuri, lo sguardo lontano a guardare altrove. Yuto si voltò di scatto, rifilandogli un'occhiata assassina.
    -    E a quel punto?- chiese allora il giovane dagli occhi grigi decidendo, per quieto vivere, di ignorare le insinuazioni del cugino.
  -    E a quel punto nulla...- riprese Yuya – A quel punto credo che il mio silenzio debba averle fatto scattare qualcosa, perché-perché è stato allora che mi ha baciato-
    -    Immagino sia stato il suo modo di scrollarti e dirti chiaramente che sei un cretino-
    -    Grazie per il sostegno Yuto, parlare con te è un piacere a volte-
    -    Sai cosa intendo-
Lo sapeva eccome Yuya, lo sapeva eccome.

Nonostante la sua indole piuttosto silenziosa e pacifica, Yuto era conosciuto anche per i suoi modi schietti e la lingua pelata come la testa di un calvo. Diretto e sincero al punto di apparire, in molti casi, sfrontato e insolente, era -purtroppo per molti- un bravo osservatore in grado di comprendere i sentimenti e le intenzioni di chi gli stava intorno prima che a realizzarli fossero i diretti interessati. Yuya aveva imparato a temere i lunghi silenzi con cui il cugino dai penetranti occhi grigi assisteva ai loro discorsi: era praticamente certo che non facesse altro che appuntarsi mentalmente ogni parola, ogni pensiero che veniva pronunciato a voce alta, per essere poi più bravo a rinfacciarli quando ce n'era bisogno.
Il che, molto spesso, si traduceva in quattro parole piazzate in croce capaci di smontare interi castelli di illusioni e bugie.
    -    Nnnnon saprei- sbuffò Yuya, arruffandosi i capelli con foga – Voglio dire...mi piace davvero tanto! Stare con Yuzu intendo. Mi è sempre piaciuto, insieme a lei mi sento libero di essere me stesso, possiamo parlare di qualsiasi cosa senza formalismi o tabù e sembra sempre sapere cosa mi passa per la testa-
    -    Aha-
Yuya deglutì, gli occhi posati sul giovane investigatore: Yuto lo osservava senza battere ciglio, il volto reso impassibile dalla concentrazione, pronto ad ascoltare ogni singola sua parola. Accanto a lui, diametralmente opposto alla sua espressione accigliata, Yuri lo osservava con l'espressione indolente e sorniona di un grosso felino che studiava i movimenti di una futura preda.
Uno più inquietante dell'altro. In quello stato, riverso sul tavolo con la faccia nascosta dai capelli, Yugo non sembrava altrettanto destabilizzante.
    -    Tutto quello che voglio è che Yuzu sia felice- continuò poi il ragazzo dagli occhi diversi – Non voglio altro che questo. Voglio semplicemente proteggerla da tutto quello che potrebbe causarle dolore e sofferenza, anche da me se necessario! Non sopporterei di veder sparire il suo sorriso per causa mia, lo adoro, e la ammiro sinceramente per come è cresciuta nonostante la mancanza di una madre e per come ha in questi anni sostenuto anche me! E vorrei poter fare lo stesso anche io per lei, insomma...-
    -    Aha-
    -    E poi sì, non si può negare è tanto carina, adoro i suoi capelli sono sempre così morbidi e profumati! E anche quando si arrabbia ha quel “qualcosa” che mi attira terribilmente, e lo ammetto, ogni tanto resto a guardarla senza dire niente perché non mi viene in mente niente di intelligente da dire e non potrei immaginare la mia vita senza di lei ma non so come--
    -    Ne sei innamorato pazzo razza di CRETINO-
Appunto. Yuya si lasciò sfuggire un sospiro sconsolato, chinando lo sguardo alla ricerca di qualsiasi caratteristica interessante su quel vecchio tavolo che ancora traballava, scosso dal forte pugno che Yuto aveva sferrato in un gesto di puro sconforto. Yugo aveva sollevato il volto e aveva mugolato qualcosa scontento prima di tornare con la faccia appiccicata al tavolo, mugugnando qualcosa che sembrava il distorto motivetto di qualche canzone rock.
Laddove Yugo si lasciava sfuggire commenti abbastanza coloriti e Yuri osservazioni al limite del sarcasmo, c'era da temere Yuto e il suo silenzio rotto appena da monosillabi quanto ti ascoltava parlare: era indice del fatto che stava architettandosi il bel discorsetto da spiattellarti in faccia, e di solito era così ben costruito e argomentato che dava l'idea di esserselo preparato almeno una settimana prima.
Poche cose non riuscivano bene a Yuto, e tra queste rientrava il dire le cose con un certo “tatto”.
    -    E davvero, c'è da chiedersi cosa ci trovi Yuzu in un lazzarone scapestrato come te- soffiò poi, affogando le sue ultime opinioni nell'alcol, Yuya si strinse nelle spalle sconsolato.
    -    Grazie mille cugino, avevo proprio bisogno di una bella iniezione di fiducia...- borbottò poi, con lo sguardo fisso su Yugo rantolante contro il tavolo
Forse consapevole per merito di chissà quale sensibilità innata, Yuri trasse un bel respiro e si alzò strategicamente dal tavolo, asserendo che fosse giunto il momento di aiutare Yugo a recuperare lucidità. E mentre lo osservava aiutare ad alzarsi il cugino semi-collassato, issandoselo letteralmente su una spalla, il ragazzo dagli occhi diversi non poté non pensare alla velata vigliaccheria del coroner.
Vigliaccheria tuttavia giustificata: le lavate di capo di Yuto straziavano le budella anche solo ascoltandole rivolte ad altri.
    -    Non era mia intenzione farti riacquistare fiducia- brontolò poi il ragazzo dagli occhi grigi, per poi aggiungere un – Idiota- che celava epiteti ben più fantasiosi e denigratori.
    -    Ironia questa sconosciuta...-
    -    Non è il caso di fare ironia. Lei c'è sempre stata per te e ha sempre avuto un debole per te, ma almeno ha avuto il coraggio di ammetterlo di persona e proprio al diretto interessato. Tu non vuoi ammetterlo neanche a te stesso-
Ecco qui, le parole tanto temute da Yuya che Yuto gli aveva soffiato con lo stesso, freddo distacco di un antico anatema egizio. Il ragazzo dagli occhi diversi si stropicciò gli occhi con un gesto stanco.
    -    Yuto, davvero non mi pare il caso...-
    -    Ah no? Guarda che se non ti sbrighi lei potrebbe nel frattempo trovare un'alternativa, l'ennesima-
    -    L'alternativa a cosa?
    -    L'alternativa a chi vorrai dire-
    -    Non saprei. In fondo le sue storie finiscono sempre male-
    -    Certo, e indovina un po' il perché. Anche le tue mi sembrano piuttosto turbolente o mi sbaglio?-
    -    Vero, ma ci sono un sacco di fattori-
    -    Tutti riuniti sotto il comune denominatore di Yuzu. Ne sei innamorato alla follia, ma sembri quasi spaventato dalla cosa. Non lo accetti, ma intanto cerchi lei in ogni ragazza che incontri-
Sì, era decisamente odioso quando decideva di metterti alle corde utilizzando solo le parole. Yuto era maledettamente bravo in questo, al punto da chiedersi perché avesse deciso di entrare in un dipartimento di polizia scientifica piuttosto che aprirsi un piccolo studio dove ascoltare persone che gli raccontavano dei loro problemi e angosce.
    -    Che diavolo- sbuffò poi Yuya, allargando le braccia in un gesto esasperato – Riesci a renderti conto delle cose prima ancora che se ne accorgano i diretti interessati. Sicuro di non volerti dare alla psichiatria?-
    -    Mestiere troppo “statico”-
    -    Quello che hai appena detto non ha alcun senso-
    -    Ragazzi ho perso Yugo-
    -    Ha senso eccome invece perché...cosa?!-

Tutto quello che Yuri seppe fare in risposta allo sguardo stralunato del cugino fu semplicemente stringersi nelle spalle con l'espressione più innocente che gli riuscisse. Sconfortato, Yuto si stropicciò gli occhi con foga inaudita, mentre Yuya era semplicemente ammutolito.
    -    Abbi pazienza Yuri...- soffiò poi il ragazzo dagli occhi grigi, con l'aria di chi fosse ad un passo dallo sbottare in una valanga di furiose imprecazioni – Cosa vuol dire che “hai perso Yugo”?!-
    -    Quello che ho detto- si limitò a rispondere l'altro, alzando di nuovo le spalle – L'ho accompagnato in bagno convinto che dovesse vomitare, mi sono girato un attimo e lui non c'era già più-
    -    Non è possibile, non è possibile! Hai controllato nel locale?-
    -    In tutti i bagni e in tutti gli angoli e a tutti i tavoli. Anche sotto. Non c'è. Qualcuno dice di aver visto un pazzoide con il ciuffo biondo imboccare la porta d'uscita, nessuno sa dire in che direzione-
    -    Buon Dio-
Yuya si arruffò i capelli, teso e forse imbarazzato.
Yugo ubriaco e a piede libero poteva essere una potenziale minaccia, più per sé stesso che per gli altri: l'ultima volta che si era sbronzato ad una festa era stato ritrovato sul terrazzo dell'appartamento condiviso con Yuri, seminudo non fosse stato per la collana di fiori e il gonnellino di paglia, e con due ciglia finte applicate male che gli avevano anche procurato un'irritazione alle palpebre. Il sadico cugino aveva poi provveduto a risvegliarlo sparandogli un getto d'acqua fredda in faccia con il tubo che usava per innaffiare le sue preziosissime piante, non prima però di aver usato la supercolla per ancorargli ai piedi dei sandali femminili con tacco alto abbastanza per farlo barcollare ad ogni passo. Per non parlare poi di quella volta in cui l'aveva ritrovato nel cortile di Dennis Macfield con improbabili accessori sadomaso.
Inseguire Yugo a piede libero e ubriaco per la città non era esattamente il passatempo preferito dei suoi cugini.
    -    Va bene, prendiamo la mia auto- disse Yuto, alzandosi di colpo dalla sedia – Andiamo a pagare e poi andiamo a cercarlo. Idea di dove possa essere andato?-
    -    A quest'ora potrebbe essere ovunque- rispose Yuri, con l'ennesima alzata di spalle – Spero non sia andato a buttarsi in mare-
    -    Potrebbe farlo?!-
    -    Assolutamente sì-
Yuya scosse il capo scioccato.




    -    Comunque sei un cretino-
Dai sedili posteriori dell'auto, il ragazzo dagli occhi diversi individuò Yuri alzare lo sguardo, fino a quel momento puntato sullo schermo dello smartphone, e puntarlo sul cugino dai capelli scuri striati di viola.
    -    ...perché?!- domandò poi, con la migliore aria innocente che potesse contrargli il volto.
    -    Perché una cosa dovevi fare. UNA-
    -    Oh ti prego, non cominciare-
    -    Yugo è sotto tua diretta responsabilità ora-
    -    Ehi, non è che perché sei andato a convivere che ora sei autorizzato a fregartene sai?-
    -    Ciò non toglie che io debba stare lì col guinzaglio pronto-
    -    Ma infatti non lo sono neanche io. Yugo è perfettamente in grado di badare a sé stesso. Tranne quando è ubriaco- aggiunse poi, dopo un attimo di pausa.
    -    Altro motivo per prestarci attenzione-
    -    Senti, è grande maggiorenne e vaccinato, prima o poi imparerà da solo che non è il caso di guastarsi il fegato a questo modo-
    -    Non è una buona scusa per lasciarlo avvelenarsi! O peggio buttarsi a mare!-
    -    Perché te l'ho detto? Perché tutto questo timore di vederlo affogarsi ora?-
    -    Perché una volta ci è quasi riuscito!-
    -    In una pozzanghera sul ciglio della strada-
    -    Esatto, in una pozzanghera sul ciglio della strada! Figurati se dovesse incappare in una piscina...-
    -    Ci siamo persi-
    -    O peggio se dovesse davvero trovare la strada per cosa Yuya?-
Allo stesso modo di come non era esattamente piacevole sentirsi spiattellare la verità in faccia, non era bello sentire Yuto che a malapena riusciva a scandire le parole, tale era il nervoso che provava. Il ragazzo dagli occhi diversi si fece più piccolo che gli riuscì, quasi vergognandosi della sua disattenzione che l'aveva portato a distogliere la sua attenzione dal navigatore.
    -    Ho detto, ci siamo persi- ripeté poi il ragazzo, arruffandosi i capelli bicolore. Yuto arricciò il naso sconcertato.
    -    Persi? E perché, dove stavamo andando?!-
    -    Non stavamo andando al mare?-
    -    Ma quale mare dannazione!-
    -    Uno qualsiasi. Alla fine è uguale, sono tutti mescolati-
    -    Yuri sono a tanto così dal farti male-
    -    Le tue dita si stanno toccando-
    -    Esattamente-
   -    Comunque devi deciderti a cambiare navigatore- sbuffò Yuya, sventolandoglielo proprio sotto il naso – Questo è inutile ormai. Non parla più e le mappe non sono aggiornate-
    -    Ripeto...- Yuto stava davvero compiendo uno sforzo titanico per non mandarli entrambi al diavolo, e la cosa sembrava divertire Yuri – Io non intendevo andare al mare-
    -    E da dove volevi cominciare a cercarlo?-
    -    Ma non lo so! Qualsiasi punto, cominciamo a cercarlo nei dintorni e poi ci spostiamo!-
    -    Con una bicicletta potrebbe muoversi ovunque, anche in punti impossibili da raggiungere con l'auto-
    -    Sentiamo, cosa proponi allora Sherlock?-
    -    Di restare fermi qui a lato della carreggiata finché non ci passa accanto-
    -    ...questa è la cosa più stupida che io abbia mai sentito-
    -    Stai a vedere. Ci vorrà poco-

E ci volle davvero poco: lo spazio di un battito di ciglia stralunato di Yuto e di uno disinteressato di Yuya, che ormai non si preoccupava neanche più delle teorie strampalate e delle proposte assurde del cugino dagli occhi affilati. Yugo passò accanto a loro in sella ad una bicicletta sconosciuta, gridando qualcosa di incomprensibile con un grosso sorriso sul volto; Yuto lo seguì con sguardo sbalordito, prima di tornare a posare gli occhi su Yuri.
    -    …tu lo sapevi- disse poi, quasi atono. Non una domanda ma un'affermazione.
    -    Certo- rispose l'altro, chiudendo gli occhi per un attimo appena.
    -    Come diavolo facevi a--
    -    Lo conosco. È di Yugo che si tratta. E poi l'ho intravisto dallo specchietto retrovisore-
    -    Sento l'impellente bisogno di farti davvero male-
   -    Ragazzi per favore!- esclamò Yuya, sporgendosi in avanti verso i sedili anteriori – Riusciamo a stargli dietro prima di perderlo di nuovo?-
    -    Quanto ci tieni a vederlo fare qualcosa di davvero stupido?-
    -    Voglio solo impedirgli di farsi male inutilmente!-
Intento encomiabile e tuttavia non condiviso da Yuri, che si limitò a sogghignare mefistofelico e scuotere il capo, mentre l'auto si avvicinava al ragazzo dal ciuffo biondo e lo affiancava lentamente. Fu proprio il coroner dallo sguardo tagliente ad abbassare il finestrino e a sporgersi, attirando la sua attenzione.
Pietoso fu il primo aggettivo che gli venne in mente quando il cugino si voltò verso di loro ad osservarli con occhi grandi come due biglie e il sorriso più ebete del mondo stampato sul viso. Yuya si portò le mani alla testa affondandole nei capelli, incredulo.
    -    Yugo?!- esclamò Yuri, fuori dal finestrino per buona metà del busto – Che diavolo stai combinando?!-
    -    Wiiii!-
    -    Non mi rispondere con wiiii dannazione!-
L'intera scena era così paradossale da risultargli perfino comica; Yuya frenò a stento una grossa risata che gli fruttò un'occhiataccia da parte del suo compagno dagli occhi grigi.
    -    Dove hai preso quella bicicletta?!-
    -    L'ho trovata!- esclamò Yugo per tutta risposta, sbracciandosi vigorosamente e quasi rischiando di cadere dal sellino – Non è bellissima?-
    -    Sì sì certo, sarà anche bellissima ma non è tua! Dove stai andando?!-
    -    Corroooooo corro via sulle ali della libertà!-
    -    Completamente andato- Yuto scosse il capo sconcertato – Reggetevi, gli taglio la strada!-
    -    Cosa?! NO!-
Non avrebbe mai saputo dire se Yuto stesse solo scherzando o se intendesse sul serio, ma di una cosa Yuya era certo: il coroner l'aveva preso sul serio. E troppo anche, considerato lo slancio con cui gli aveva afferrato il volante e sterzato di scatto, facendo deviare pericolosamente l'auto a sinistra e rischiando di farli montare sul marciapiede della corsia opposta. L'investigatore della scientifica calò con pesantezza il piede sul freno, costringendo l'auto ad una brusca frenata.
    -    Dico ma sei fuori di testa?!- sbraitò poi, voltandosi di scatto verso Yuri – Potevi farci ammazzare!-
    -    Non mi sembra che tu avessi tanto riguardo anche per Yugo!-
    -    Non volevo investirlo! Volevo accelerare e guadagnare metri per sbarrargli la strada e convincerlo a rallentare e fermarsi! Ma come diavolo ci sei entrato nella scientifica!-
    -    Scusami se non sono un uomo d'azione e preferisco aprire cadaveri!-
    -    Questo è ancora più disturbante!-
Con una brusca sterzata, Yuto voltò l'auto e si rimise all'inseguimento del cugino. In quel momento Yuya provò l'invitante impulso di scendere al volo.


****

La serata si era conclusa poi nel modo più becero ed ignorante possibile.
Fermo restando che con quel trabiccolo rubato dal parcheggio del pub, Yugo sembrava letteralmente imprendibile: più volte era letteralmente sgusciato sotto il loro naso, infilandosi in qualche vicolo troppo stretto per l'utilitaria di Yuto e rendendosi irraggiungibile. La cosa aveva quindi contribuito ad alimentare il malumore crescente del giovane investigatore, che aveva preso a compiere manovre di guida sempre più azzardate al punto da far sputare orribili minacce dalla bocca di Yuri, compresa quella di una penetrazione posteriore che aveva fatto rizzare i capelli sulla nuca di Yuya.
Come erano poi finiti a parlare delle relazioni amorose di ciascuno era stato del tutto incomprensibile. E mentre sterzavano da una curva all'altra si erano ritrovati a chiacchierare del rapporto tra l'investigatore e Ruri Kurosaki, schizzato su vette altissime, e sulle relazioni piuttosto burrascose di Yuya e di Yuri: insospettabile il primo, prevedibile il secondo, perché il coroner aveva un caratterino per niente facile da gestire e non tutte le ragazze che provavano una relazione con lui restavano a lungo. A parte una giovane veterinaria con la quale nessuno dei due aveva ancora capito quale fosse davvero il legame e cosa davvero ci fosse tra i due, a parte del sesso abbastanza rumoroso e corroborante. Al suo solito, Yuri aveva elegantemente eluso tutte le domande poste.
Alla fine avevano ritrovato Yugo sdraiato su un marciapiede, abbracciato con l'ostinazione di un koala ad un cartello di divieto di sosta divelto dal terreno, con tanto di basamento di cemento ancora presente. E se da una parte chiedersi come fosse riuscito a sollevare quel cartello dal marciapiede era fondamentalmente inutile, provare a separarlo da esso si era rivelato impossibile: la sua presa era diventata irragionevolmente troppo forte da spezzare, e il chiasso creato dai tre restanti cugini era stato tale da far sporgere alcune teste dalle finestre dei rispettivi appartamenti. Non vi era stata altra scelta se non quella di caricare Yugo in auto con l'intero cartello, costringendo Yuto ad aprire il portellone del portabagagli per guadagnare spazio; le manovre di inserimento avevano però portato ad un colpo sul parabrezza con il basamento di cemento, incrinando irrimediabilmente il vetro.
Il resto del viaggio si era concluso con Yuto che bestemmiava per il vetro rotto e per il cartello stradale nell'auto, vilipendio stradale che avrebbe potuto costargli caro in carriera se qualcuno l'avesse riconosciuto, Yuri che rideva come solo un sadico pazzo poteva fare, Yugo che dormiva della grossa e Yuya che si lagnava dicendo di voler scendere dall'auto.
Alla fine si erano accordati con il riportare Yugo all'appartamento condiviso con il coroner, non prima di aver in qualche modo nascosto il cartello; e per l'ennesima volta la scelta era ricaduta sull'appartamento del ragazzo dagli occhi diversi. Come prevedibile, altri improperi e bestemmie avevano riempito l'abitacolo, stavolta però sbraitate da Yuya stesso: ne aveva già sei di cartelli in casa, appesi ai muri come quadri o trofei di caccia, ma questo era un divieto di sosta su un palo d'acciaio e quaranta centimetri di cemento, come pretendevano di portarglielo in casa?!
A poco erano valse le proteste, e le imprecazioni erano davvero diventate troppe quando si erano resi conto che in tre con quel cartello non sarebbero mai entrati nell'ascensore, il che si traduceva in cinque piani di scale A PIEDI e con quell'affare in braccio.
Erano scesi giusto in tempo per vedere Yugo sveglio come un grillo, spostatosi al posto del guidatore, che suonava il clacson all'impazzata e urlava contro un traffico inesistente. Yuto aveva ringraziato il cielo di aver portato con sé le chiavi.


Aveva dormito poco, male ed era stato perseguitato da incubi bislacchi del quale ricordava davvero poco, e quando erano giunte le otto del mattino di quello che era il suo giorno di riposo dal locale si era svegliato e aveva iniziato a pulire l'intero appartamento da cima a fondo, con la foga disperata di chi cercava a tutti i costi un motivo per distrarsi e non pensare troppo a quella valanga di pensieri che gli offuscava il cervello.
Speranza vana: la conclusione burrascosa della serata si alternava a cadenze regolari con l'immagine di Yuzu in lacrime che lasciava il locale.
Poco prima di finalmente separarsi tutti e tre, Yuto aveva ribadito il concetto. Stai rimandando l'inevitabile e negando l'evidenza, gli aveva detto, sei legato a lei in maniera del tutto diversa da quella che tu stesso ti imponi di pensare.
Davvero, c'era da riversargli contro tutto l'odio del mondo quando ti spiattellava la verità in faccia a questo modo. Soprattutto perché poi non trovava alcun modo di negare tali concetti.

L'inverno era arrivato in ritardo quell'anno, prolungando le piacevoli passeggiate sul lungomare di ancora qualche settimana; ma quando le temperature erano finalmente scese in linea con le medie stagionali il freddo si era fatto sentire ancora più pungente del previsto, costringendo i cittadini di Nuova Domino ad un tardivo e precipitoso cambio di stagione negli armadi. E vicino al mare, poi, il freddo era particolarmente vivido, tale da farlo rabbrividire nonostante il maglioncino a collo alto e la pesante giacca a doppio petto; anche a coprirsi le labbra con la sciarpa, Yuya le sentiva secche e dure, già pronte a spaccarsi. Cosa che detestava, perché poi la tentazione di mordicchiarsi le pellicine era troppo forte e finiva con il disastrarle ancora di più.
Con un po' di imbarazzo, una volta seduti al tavolo del Melodious il ragazzo dagli occhi diversi chiese a Yuzu del balsamo per le labbra, usando poi i polpastrelli per picchiettarsene un poco sulla loro superficie già screpolata. Troppo tardi stavolta.
    -    Tutto bene?-
Yuya trasse un sospiro mentre si spogliava della giacca e la lasciava sul sedile della postazione libera.
    -    Sì, credo di sì-
A dire il vero era un no, ma nel suo solito, stoico, stupido modo di fare Yuya non volle farglielo pesare. Aveva il tormento scritto in faccia, ma l'ultima cosa che voleva era che lei lo notasse e se ne dispiacesse.
L'aveva già fatta stare troppo male, d'altronde.
Il fatto era che non potevano andare avanti così ancora a lungo, e ormai anche lui si era arreso all'evidenza dei fatti: negare era inutile e controproducente.
Voleva bene a Yuzu, ma quel bene che non era minimamente paragonabile all'affetto riservato alla sorella o alla migliore amica. Se n'era reso conto molto tempo prima, quando a furia di vederla struggersi per storie che andavano al diavolo quasi prima di cominciare si era ripetuto più volte, con una certa rabbia anche, che non capiva perché andasse a cercare altrove un compagno quando lui poteva essere tutto quello che lei voleva e cercava e desiderava.
Erano cose che diceva così, tanto per avere qualcosa per cui borbottare, per non concentrarsi sulle sue storie turbolenti e brevi; ma nel suo piccolo aveva sempre creduto all'idea di starle accanto come qualcosa di ben più significativo ed importante di un amico d'infanzia.
Yuya sosteneva, anche con una certa convinzione, che un'amica non era più solo tale se ci finivi col fare sesso. Con Yuzu era ancora lontano da quel punto specifico, ma non poteva negare di averci pensato spesso, molto spesso anzi, con la stessa innocenza di quelli che si lambiccavano il cervello su tanti se e ma e forse. Non sapeva se l'immaginazione applicasse lo stesso concetto da lui tanto sostenuto, ma era consapevole che il suo inconscio gli stava inviando, da mesi – forse meglio dire anni, dei chiari segnali.
Se c'era una persona che meritava tutto il suo meglio in qualsiasi cosa – affetto, comprensione, fisicità e tutto quello che comportava la vita di coppia – era solo e unicamente Yuzu.
E sperava di non averlo ammesso a sé stesso troppo tardi, perché non sarebbe mai stato in grado di perdonarsi un simile errore.

La caffetteria sembrava più affollata del solito quel giorno: l'inverno aveva spinto molte persone a cercare riparo in un posto caldo e accogliente, meglio se distributore di dolci e cioccolata così caldi da essere quasi roventi. La cioccolata con fragola che gli venne servita fu inizialmente impossibile da assaporare, tanto era bollente: Yuya ebbe il coraggio di prendere a malapena una cucchiaiata prima di lasciarla raffreddarsi. E fu allora che Yuzu parlò.
    -    Allora!- esclamò poi, sorridendogli morbida – Cosa mi racconti di bello?-
    -    Cosa? Oh...beh, niente di speciale- si limitò a borbottare lui, stringendosi nelle spalle – Avevo voglia di vederti e così...-
    -    Capisco. Volevi solo stare con me-
    -    In parte sì-
Tempo due nanosecondi e Yuya provò l'invitante impulso di prendersi a calci DA SOLO.
Ma che razza di risposte erano quelle?! Ci fosse stato Yuto presente gli avrebbe rifilato un cazzotto da lasciarlo secco sul tavolo per i due giorni a seguire.
Calmati, stupido. Calmati. E respira.
È solo un'uscita. Un appuntamento.
Non sclererai mica per un fottuto appuntamento vero?!
Più facile a dirsi che a farsi con tutto quello che era successo. E per un attimo si chiese se la sua non fosse stata una pessima idea, quella di rivedersi a così breve distanza dopo tutto quello che si erano detti – o meglio, strillati in faccia...non sarebbe stato il caso di far passare un po' di tempo, di far calmare le acque?
Forse. Come forse era più giusto battere il ferro finché era caldo, sviscerare la cosa finché c'era tempo, finché l'argomento era ancora di vivo interesse per entrambi, prima che perdessero interesse nella questione. A sentire la sua voce al telefono, Yuzu era parsa disponibile ad incontrarlo, ma c'era qualcosa nel suo tono che l'aveva insospettito: era come se avesse acconsentito a vederlo più per cortesia che per altro, come se fosse esausta o...rassegnata, possibile?
Non avrebbe dovuto arrivare a questo. Non avrebbe dovuto neanche sfiorare quel punto di rottura, e non solo lui l'aveva fatto, ma ci aveva letteralmente schiantato sopra una bella manata di egoismo e superficialità.
    -    Centra forse quella storia del master?-
Aveva perfino l'intelligenza e la bontà di avanzare il discorso per prima...! Ma che aveva fatto lui per meritarsi una simile persona? Yuya era sempre più sconcertato.
    -    Non proprio...cioè, sì- ammise poi lui, stringendosi nelle spalle – Insomma, credo di aver forse esagerato-
    -    In cosa?-
Non era arrabbiata, almeno così sembrava; il ragazzo dagli occhi diversi tirò un sospiro di sollievo e si sfilò gli occhialetti dal capo, lasciandoli sul tavolo. Si passò una mano sul volto e tirò il fiato.
    -    Hai ragione tu-
Fu stavolta Yuzu a stringersi nelle spalle e a guardarlo interrogativa.

    -    Esattamente in cosa?- domandò poi.
    -    Sul mio essere idiota-
    -    ...ti riferisci a qualcosa in particolare? Perché proprio non...oh. Per il master abbiamo detto. Stiamo sempre parlando del master giusto?-
    -    Sì, esatto-
    -    Yuya, ti ho già detto che--
    -    Abbi pazienza, Yuzu- cominciò poi il ragazzo dagli occhi diversi, prendendole entrambe le mani tra le sue e accarezzandone il dorso – Con tutto il bene che ti voglio...carine le unghie-
    -    Cosa?! Oh beh...- la ragazza rimase lievemente spiazzata dal suo improvviso cambio di argomento, e abbassò gli occhi ad osservare il delicato, preciso french manicure di appena mezz'ora prima – Ho trovato una nuova estetista. Ha dei prezzi leggermente più alti ma i risultati sono migliori. E soprattutto sa usare le lime senza ogni volta distruggermi le cuticole-
    -    Ha fatto un bel lavoro, mi piacciono-

    -    Vuoi fartele anche tu?-
    -    Cosa?! No dai, non scherziamo...e non cambiamo argomento!-
    -    Sei tu che hai svincolato!-
    -    Mi sono distratto, va bene?! Torniamo al punto-
Yuzu non riuscì proprio a trattenere un risolino.
    -    Il punto è...perché?! Santo cielo non...-
Non riusciva a trovare le parole, era chiaro. Yuzu sorrise e allungò una mano per arruffargli i capelli colorati.
    -    A parole tue Yuya- lo incoraggiò poi – Ti ascolto-

Yuya non era esattamente definibile come “prevedibile”. Ogni confronto con lui presentava sempre delle incognite sul risultato finale, dovute anche e soprattutto al suo carattere fin troppo sensibile e, a tratti, ansioso. Per quanto tendesse a prendere la vita quotidiana con una certa, allegra leggerezza, c'erano delle cose che lo interessavano davvero al punto da inventarsi paranoie di qualsiasi tipo al riguardo. E tra queste c'era proprio il legame con le persone a lui più vicine, come i suoi scapestrati cugini e soprattutto Yuzu.
E lei era sempre stata consapevole di questo. Era sempre stata ben cosciente della profondità del legame tra loro e della possibilità che potesse trasformarsi in qualcosa di più intenso, così come aveva anche accettato l'eventualità di irrimediabilmente dividersi e andare ognuno per la sua strada.
Quest'ultima possibilità non era affatto la sua preferita, ma l'avrebbe accettata nonostante tutto, seppur con grande dolore.
    -    A parole mie eh?- lo sentì dire, con un mezzo sorriso sulle labbra – Allora va bene. A parole mie-
Un attimo di silenzio che lui impiegò per prendere l'ennesimo respiro, mentre Yuzu prese una cucchiaiata di cioccolata e la portò alle labbra.
    -    Ti amo-
Forse fu per la temperatura lavica della cioccolata servita appena qualche minuto prima, o forse per quell'improvvisa dichiarazione così spontanea e diretta, ma tutto quello che riuscì a fare fu mandarsi quasi la cucchiaiata di traverso. La ragazza si lasciò sfuggire un gemito, coprendosi la bocca con entrambe le mani.
    -    Diavolo, Yuzu, tutto bene?! Perdonami, sono stato troppo--
    -    Non sei stato assolutamente nulla! Lasciami riprendere un attimo fiato, mi stavo strozzando!-
Quasi si dispiacque di quell'improvviso scoppio, considerato lo sguardo sperduto che Yuya le scoccò subito dopo, ma sul momento proprio non le era riuscito di mantenere il controllo. Yuzu si prese qualche attimo per riguadagnare fiato, diede un colpo di tosse e poi alzò gli occhi verso il ragazzo, scrutandolo in silenzio.
Sarebbe stato bello conoscere cosa passava nella sua testa in quel momento.
    -    Mi ami. Ne sei sicuro- fece poi, con l'idea di porgli una domanda ma, di fatto, rendendola più un'affermazione, come se conoscesse già la risposta.
    -    Sì- rispose allora il ragazzo – E mi dispiace solo di averci messo tutto questo tempo per...non per non capirlo, perché-perché era chiaro da un bel po'...semplicemente ad accettarlo-
    -    Non lo accettavi-
    -    No-
    -    ...perché?-
    -    Non lo so. Forse temevo di essere troppo...inopportuno?-
    -    Inopportuno?! Yuya...oh. Non so cosa dire, giuro-
   -    Beh sì! Insomma, dopo tutto quello che abbiamo passato...ci siamo sempre comportati alla stregua di migliori amici! Il nostro rapporto è del tutto particolare, e all'inizio avevo paura a varcare un certo tipo di confine-
    -    All'inizio dici. Cosa ti ha fatto cambiare idea allora?-
    -    L'idea di perderti. Quando...quando hai detto che hai rinunciato al master...beh, ho fatto la parte di quello arrabbiato con te per aver sprecato un'occasione...ma a dire il vero ero così felice da esplodere-
    -    Sei un cretino-
Yuya si lasciò sfuggire un risolino sconsolato.
    -    Hai ragione anche su questo- riprese poi – Ho negato a me stesso per anni quello che già sapevo e non ho mai accettato solo per paura, anche se vedevo con i miei occhi che era un sentimento corrisposto-
Occhi fattisi improvvisamente più lucidi. Yuzu si sporse leggermente più in avanti sul tavolo, senza mai interrompere il contatto visivo.
    -    Spero...spero non sia andato tutto perduto- riprese poi lui, arruffandosi i capelli con una mano, in un gesto che la intenerì irrimediabilmente – Hai ragione, su tutta la linea. Mi hai ferito l'altro giorno al locale, mi hai rinfacciato tutto quello che sono. E so di-di volerti davvero bene, di volerti al mio fianco come qualcuno di più importante di un'amica o di una sorella. Ti devo davvero tutto, forse perfino la vita. E non voglio più scappare dall'evidenza-
Gli argini si erano rotti. Yuya aveva fatto una grossa fatica a parlare, e aveva cercato di nasconderlo dicendole tutto senza pause di sorta, al punto di dover prendere un grosso respiro una volta finito; ma quelle due lacrime solitarie che gli avevano solcato le guance parlavano per lui ben più della sua voce. Qualcosa le si strinse nel cuore al punto da farle quasi male.
    -    Tutto qui. Spero...spero di non essermi reso conto troppo tardi, di tutto-

Tutto qui diceva lui, tutto qui. Yuzu si morse il labbro inferiore con ferocia, sentiva già il respiro accelerare e gli angoli degli occhi pizzicare.
Quel cretino riusciva perfino a farla piangere. Per cosa poi? Per la rabbia e lo sconforto di un'evidenza raggiunta dopo così tanto tempo che neanche lei ormai sperava davvero più in qualcosa? O forse per il sollievo di non essere stata respinta dopo tutti quegli anni? Perché c'era stato questo timore, un grosso macigno che le era pesato addosso per due giorni e due notti intere, privandola di sonno e produttività, troppo impegnata a pensare e rimuginare, a crearsi in testa apocalittiche interazioni dove tutto finiva con il rifiuto.
Aveva avuto paura quando gli aveva urlato quelle cose in pieno volto, perché tutto voleva fare tranne svelarsi così, con quell'impeto mosso da pura negatività e frustrazione. Aveva temuto di aver sbagliato, di aver commesso un errore imperdonabile che le sarebbe costato davvero caro.
A quale divinità doveva fare voto perché quel sogno non svanisse d'improvviso?
Una lacrima, solo una le sfuggì dalle palpebre, quando chiuse gli occhi per un attimo come a voler ponderare bene sulle prossime parole o azioni. Non disse nulla, preferì alzarsi, aggirare il tavolo e sederglisi accanto sullo stesso divanetto, stringendolo a lei con tutta la forza che le permettevano le sue esili braccia. Preso in contropiede, Yuya non trovò inizialmente neanche la forza di rispondere a quell'abbraccio.
    -    Sai cosa?- gli disse poi, dopo attimi che parvero ore di silenzio, senza mai separarsi - ...Non riesco neanche a restare troppo a lungo arrabbiata con te. Forse dovrei esserlo più con me stessa-
    -    ...Perché?- domandò allora lui, con un filo di voce.
    -    Perché avresti anche potuto non farti affatto avanti, mai. E io ti avrei aspettato sempre e comunque-
Una rivelazione e una consapevolezza che lo colpirono dritto allo stomaco. Yuya incrociò le braccia sulla sua schiena, rispondendo finalmente a quell'abbraccio e facendola aderire a sé ancora di più.




L'idea iniziale era stata quella di concedersi una passeggiata sul lungomare ad osservare il sole tramontare; nella realtà dei fatti le previsioni meteo avevano deciso di fare un grosso dispetto, facendo loro trovare un grigio cielo temporalesco e raffiche di vento così forti da costringerli a camminare stretti tra loro per porvi resistenza. E quando le prime gocce di pioggia avevano cominciato a picchiettargli sulla fronte, Yuya aveva proposto casa sua come rifugio temporaneo. Almeno finché le condizioni meteo non si fossero ristabilite aveva detto, perché l'idea di farla guidare in mezzo a quel temporale non gli piaceva affatto: ecco come si erano quindi ritrovati a varcare insieme la soglia del suo bilocale. Yuzu non aveva mai visto prima d'ora la sua nuova abitazione: aveva da poco lasciato il tetto familiare  condiviso con la sola madre, ma aveva avuto tutto il tempo per stabilirsi meglio che poteva. E per quanto quella cucina abitabile fosse piccola, sembrava che ben sopperisse alle sue esigenze abitative: Yuya era riuscito perfino ad incastrare in un angolo un divano a due posti e il televisore dove erano collegate le console. Non avrebbe saputo dire da quanto tempo non aveva occasione di lavare i piatti, ma dubitava che la ragione dietro quella catasta di stoviglie ammassate dentro il lavello fosse l'agenda strapiena di impegni.
Eppure le piaceva, quel rifugio piccolo, accogliente e personale: il poster di Episodio IV al muro, un ukulele di legno con esotici fiori dipinti a colori vivaci sulla cassa, un...cartello di divieto di sosta con tanto di basamento di cemento?! Anzi, più di uno, dai lavori in corso al divieto di accesso fino ai limiti di velocità: Yuzu si voltò a guardarlo stupita, Yuya si strinse nelle spalle e si rifugiò dietro uno dei suoi sorrisi a trentadue denti.
    -    Ricordi di serate movimentate insieme a Yugo, Yuto e Yuri- rispose poi – Diciamo che...è capitato commettessimo reati tali che dovremo attendere che cadano in prescrizione per poterli raccontare senza conseguenze-
A Yuya piaceva sempre ricorrere a qualche iperbole nei suoi discorsi: era davvero bravo con le parole. Il problema era che conoscendolo, e soprattutto conoscendo i suoi cugini, c'era davvero da chiedersi se stesse volutamente esagerando per divertimento, oppure se dietro le sue parole si nascondesse un fondo di verità; nel dubbio, Yuzu frenò a stento una risata mentre si slacciava il cappotto.
    -    Dài qui, ci penso io! Ti preparo qualcosa? Una cioccolata calda, del té?-
    -    Del té andrà benissimo!-
Yuya annuì, imitando la sua scelta. Di fatto, una seconda cioccolata calda sarebbe stata devastante per il suo stomaco; mise l'acqua nel bollitore, ma non lo accese.

A ben ripensarci, una tale conseguenza degli eventi era piuttosto prevedibile.
Ora che avevano entrambi messo in chiaro i reciproci sentimenti verso l'altra parte, non c'era più motivo di esitare o restare nascosti: Yuya aveva pensato a questo, quando aveva mollato il bollitore e aveva letteralmente bruciato in due falcate la distanza che li separava, stringendosela al petto e affondando il volto tra i capelli colorati, sciolti sulle spalle in morbide onde rosa. E rafforzò ancora la presa al solo pensiero di quello che aveva rischiato, ancora una volta, di perdere per un suo sbaglio, per la sua vigliaccheria.
    -    Va tutto bene Yuya- la sentì dire con voce bassa e dolce, accarezzandogli i capelli arruffati – Va tutto bene-
    -    Lo so- rispose lui, la bocca premuta contro il suo collo; la ragazza rabbrividì impercettibilmente, quasi deliziata da quel contatto – E andrà sempre meglio. Te lo prometto. Resta con me oggi, e anche stanotte. E anche domani se ti va-
    -    Anche tutto il fine settimana se vuoi-
Yuya sorrise ampiamente: la prospettiva non era affatto male.

    -    Però dovrò tornare a prendere delle cose a casa-
    -    Più tardi ti accompagno-
Sempre che avessero avuto voglia e forze di uscire dalla casa, perché la sequenza di baci con cui Yuzu si era avvicinata al suo volto faceva ben intendere quello che stava per succedere. Il ragazzo sorrise sotto quelle carezze a fior di labbra, lasciando che lo sfiorasse su ogni punto raggiungibile del viso, dalle arcate delle sopracciglia alla punta del naso, risalendo un poco sulle palpebre e scendendo lungo le guance; e forse era sbagliato provare tanta impazienza, ma quando finalmente la sua bocca raggiunse il traguardo delle sue labbra non poté che lasciarsi sfuggire un sospiro soddisfatto e sollevato insieme, racchiudendo il suo viso con le mani, separandosi poco da lei per poi ritornare sulle labbra schiuse come petali di un fiore. Le accarezzò leggero con le sue, le mordicchiò appena il labbro inferiore strappandole un risolino, e quando si riavvicinarono lo fecero con impeto crescente, tale da rubarsi il respiro e ridursi in affanno, rendendo quei baci sempre più audaci come una danza.
L'ultimo confine che si ergeva a separarli, quel basso muretto che li separava dalla parte degli amanti, venne scavalcato con un sospiro trepidante e lo scambio di uno sguardo languido; venne inesorabilmente abbattuto quando Yuya fece scorrere le mani sotto il maglioncino di lei e le sfiorò la schiena, accarezzandole la pelle tesa. Yuzu non riuscì a nascondere un brivido, inarcandosi leggermente e gettandogli le braccia al collo. Yuya le baciò la tempia destra, fremente.
    -    Andiamo di là?-

Non ci fu bisogno di rispondergli verbalmente: Yuzu piegò le labbra in morbido sorriso, poi spostò le mani sulle sue spalle, e quasi l'avesse letta nei pensieri il ragazzo la prese con forza alle cosce e la issò come una bambina, permettendole di allacciare le gambe ai suoi fianchi.
Col senno di poi, Yuya realizzò che un simile gesto sarebbe stato meglio eseguirlo quando entrambi fossero stati già nell'altra stanza: non era solo il camminare con una visuale considerevolmente ridotta, ma l'intera operazione era resa ancora più difficoltosa dai continui baci della ragazza, sempre più passionali, quasi possessivi al punto di lasciargli poco respiro. Quando arrivò al bordo del letto ce la lanciò letteralmente sopra quasi con soddisfazione, riprendendo fiato quanto bastava per poterle saltare addosso, sostenendosi con mani e ginocchia per non schiacciarla all'improvviso. Yuzu si lasciò sfuggire un gridolino quando il materasso si abbassò lievemente in risposta alla variazione di peso, e ridacchiò in risposta al sorriso laido del compagno e allo sguardo che esprimeva più delle parole.
    -    Credo abbiamo parecchie cose da recuperare- le disse poi, accarezzandole i capelli amorevolmente – Tipo qualche anno-
    -    Hai forse fretta?- domandò allora lei, pizzicandogli il naso con pollice e indice della mano destra. Yuya lo arricciò in una buffa smorfia prima di continuare.
    -    Fretta no, ma ammetto di essere un po' impaziente dal desiderio-
    -    Se la cosa può aiutarti, siamo in due ad essere impazienti-
    -    ...hehe. E questo dovrebbe aiutarmi, eh?-
    -    Quantomeno dovrebbe aiutarti a tapparti la bocca e usarla per altro-
Yuya alzò un sopracciglio e sorrise con un'espressione soddisfatta sul volto, stuzzicato da quel celato, perentorio ordine mascherato da provocazione, e fu allora che Yuzu razionalizzò finalmente in cosa era andata a cacciarsi.
Per anni Yuya era stato il suo silenzioso, comprensivo, fidato consigliere in tante sfaccettature della sua vita, da quella scolastica a quella lavorativa sconfinando perfino in quella sentimentale: accettandolo finalmente come compagno, si era automaticamente consegnata in mano alla persona a cui, per tanto tempo, aveva raccontato cose di sé stessa al punto da essere per lui come un libro aperto. E di fatto il ragazzo era sempre stato bravo ad interpretare i suoi stati d'animo e a dire o fare la cosa giusta per motivarla o risollevarla quando ce n'era bisogno.
Ma il modo in cui ora la stava guardando e toccando era quello di un esploratore appena approdato su una terra vergine. Lo percepiva dal tocco delle mani sul suo corpo, sotto il maglione: sicuro ma non sfacciato, permeato di una delicatezza che non aveva niente di timido, piuttosto del deliberatamente provocatorio. Yuzu si lasciò sfuggire una sorta di miagolio quando l'indumento risalì fino al petto, rivelando il seno ancora coperto; Yuya gli riservò una lieve carezza con la punta delle dita, senza mai staccare gli occhi dai suoi. La ragazza represse a stento un brivido, giurò di aver visto un lampo attraversare quegli occhi diversi.
Paragonabile al lampo fu invece la velocità con cui il suo maglioncino sparì in un angolo indefinito della stanza: la giovane rabbrividì per il contatto della pelle nuda con la fredda aria casalinga, e quasi avesse previsto la sua necessità Yuya si affrettò a stringersela al petto, sollevandola a sedere e allungandole una mano dietro la schiena.

La chiusura del reggiseno scattò nel silenzio totale, in un momento in cui il respiro si fermò ad entrambi. Yuzu lasciò che il compagno glielo sfilasse dolcemente via, ma il modo con cui si andò a coprire una volta liberata dell'indumento fu un gesto talmente pudico da intenerirlo. Yuya chiuse le dita sui suoi polsi e la invitò a scoprirsi, lasciandole un bacio sul dorso di entrambe le mani come ricompensa.
    -    Non coprirti, per favore- mormorò, accarezzandole i capelli fino a sfiorarle le labbra con il pollice della mano sinistra. Yuzu annuì, lasciandosi sfuggire un sospiro.
    -    Se tu vuoi...-
    -    Voglio. Ti dà fastidio?-
    -    No. Solo che...-
    -    Sto-sto correndo troppo? Dimmelo se ti sembra di bruciare le tappe, in qualunque momento! Nessuno dei due è alla prima esperienza, ma siamo appena--
    -    Yuuuuya, oooh!-
Yuzu scoppiò a ridere, intenerita da quella reazione così accorta ed emotiva, suscitando un suo sguardo stralunato; in un impeto di audacia sfuggì alla sua stretta sui polsi e gli guidò le mani al petto. Entrambi vennero scossi da un brivido: Yuya abbassò lo sguardo, accarezzando con gli occhi le forme arrotondate della ragazza.
Era un seno non troppo grande, sodo quanto bastava per essere piacevolmente stretto ed incontrare una dolce resistenza, perfettamente contenuto nel palmo della sua mano. Il ragazzo dagli occhi diversi chiuse un paio di volte le dita sulle sue forme con dolcezza, alzando gli occhi sul suo volto e studiandone le espressioni.
Mai Yuzu gli era sembrata più bella, con quell'espressione persa di appagamento e abbandono alle sue carezze, gli occhi concentrati sulle sue mani e le labbra schiuse in respiri brevi e carichi di trepidazione. Il ritmo perse la sua sincronia quando fece scivolare le dita della destra sull'areola, sfiorandola appena con la punta dell'indice.
Si rincontrarono ancora in un bacio, rubandosi reciprocamente il respiro, stringendosi e accarezzandosi sulla pelle nuda e sotto la stoffa. La ragazza infilò una mano sotto la maglia di lui, accarezzandone il ventre affusolato, tirandola verso l'alto in una muta, inconfondibile richiesta. Yuya si separò appena da lei e afferrò i bordi della maglia a collo alto, sfilandosela in un unico gesto.
Per lungo tempo il ragazzo aveva accarezzato il sogno di diventare attore, tutt'ora dedicava del tempo in una palestra in cui imparava a scalare, saltare e librarsi in aria su un trapezio sospeso nel vuoto: diceva che non gli sarebbe spiaciuto recitare anche in scene d'azione senza controfigura. Con il tempo, il sogno era lentamente sfumato, e lui aveva preferito darsi alla recitazione insieme ad una compagnia teatrale; ma il rigore dei suoi allenamenti era rimasto, e ora le stava restituendo un fascio di muscoli piacevolmente definiti e non volgari, che premevano contro la pelle chiara in forme allungate e guizzanti come quelle di un felino, le braccia tornite e snelle di chi scalava pareti, il torace ampio e invitante e l'addome definito, con le ossa dei fianchi che disegnavano due inequivocabili, sensuali linee che guidavano lo sguardo su un unico punto.
Yuzu deglutì a vuoto: stentò a riconoscere quello che era un tempo un ragazzino timido e smilzo. E la sensazione suscitata dal vederlo così era ben più intensa perfino di tutte le giornate in piscina passate ad osservarlo tuffarsi dal trampolino con qualcuno del loro gruppo. Ora aveva quel petto, quelle braccia...aveva Yuya solo per lei, e un brivido le accarezzò piacevolmente la schiena.
Nessun altro rumore, se non quello della pioggia che martellava sui vetri, le notifiche audio dei messaggi ricevuti sui loro cellulari e i loro respiri spezzati. Fu un continuo cercarsi e sfiorarsi, prolungando apparentemente all'infinito quegli attimi in cui tutto quello che facevano era conoscersi reciprocamente, in un piano fisico mai toccato prima per timore di sbagliare e rovinare un'amicizia costruita dalla più tenera età. E per quanto il bisogno di sentirsi finalmente uniti in ogni senso diventasse impellente ogni secondo che passava, in un silenzioso accordo decisero volutamente di prolungare l'attesa, come se quel gioco di baci e carezze fosse fin troppo interessante per ignorarlo troppo presto.
La loro prima unione ebbe i ritmi e la delicatezza della condivisione di uno stato d'animo piuttosto che di un desiderio. Il sollievo di essersi finalmente ritrovati, la consapevolezza di iniziare un'esistenza condivisa: nessuno dei due avrebbe saputo definirlo con esattezza.
    -    Colpa di Yugo-

Si erano presi qualche minuto di assoluto silenzio dopo l'amplesso, passato solo a stringersi ed accarezzarsi con deliberata, appagata svogliatezza; ma quando Yuya parlò, Yuzu alzò lo sguardo e lo osservò attenta.
A cosa si riferiva?
    -    Il primo cartello è di un anno fa, più o meno. Yuto ci aveva invitati a bere in un locale, per festeggiare l'ingresso nella scientifica- riprese il ragazzo dagli occhi diversi, senza smettere di sfiorarle i capelli. Yuzu si separò poco da lui per sollevarsi sul gomito destro – Io, Yuto, Yugo e Yuri. Ti risparmio le litigate indecenti degli ultimi due-
Yuzu frenò una risata trasformandola in uno sbuffo.
Yugo e Yuri si volevano bene al punto da uccidere pur di NON ammetterlo. Yugo aveva sempre avuto da ridire sulla cinica, a volte sardonica vena provocatoria di Yuri, ritenendolo fin troppo disfattista e in un certo senso sadico, perché cos'altro poteva essere uno che – letteralmente- campava della morte degli altri e non solo, si divertiva a dissezionarne i corpi per capire se ad ucciderli era stato un proiettile piuttosto che un veleno? A sua volta Yuri pungolava Yugo sulla sua iperattività e l'indole casinista e, in alcuni casi, troppo facilona.
Poi Yuri cominciava a chiamare Yugo in mille modi tranne che con il suo nome vero e allora restava solo da andare a farsi un giro altrove nell'attesa che sbollissero, non prima però di aver messo a sicurezza l'ambiente intorno a loro.
L'unico vero, reale difetto di Yugo era l'avere dei nervi decisamente fragili a volte, e un'inclinazione al procurare dolore fisico altrui che mai ci si sarebbe aspettata da un ragazzo allegro e altruista come lui. Riconoscere il momento in cui stava per perdere le staffe era molto semplice: i suoi respiri si facevano sempre più lunghi, profondi ed isolati, arricciava il naso e cominciava a gesticolare con l'enfasi del reboot di un anime mecha. Chi lo conosceva e si trovava vicino a lui, subito cercava di far sparire tutti quegli oggetti pesanti e contundenti che aveva a disposizione nel raggio di mezzo metro. Nelle sue mani, anche un innocuo temperino poteva trasformarsi in un'arma di distruzione di massa, tale da far venire l'acquolina in bocca a dittatori coreani con il pulsante di reset totale delle nazioni sulla scrivania. Yuzu ricordava fin troppo bene la baruffa di quell'estate in spiaggia quando, eccessivamente pungolato sui sentimenti provati su una ragazza del suo corso di ingegneria e appassionata di moto (Rin, si chiamava così forse?) Yugo aveva cominciato ad agitare la bottiglia dell'acqua come se fosse un giavellotto, puntando agli occhi affilati del cugino mefistofelico.
    -    Insomma, abbiamo cominciato a bere. Tutti, Yuto compreso anche se nulla di troppo forte. Yugo era parecchio energico quella sera, aveva un trenta e lode da festeggiare. Siamo usciti dal pub alle tre di notte passate. Yugo e Yuri erano, non scherzo, completamente andati. A livello che giravano a braccetto e cantavano oscenità. Ad un certo punto Yuri si è messo in testa di insegnare a Yugo a ballare. Ti risparmio anche quello, ti dico solo che sono finiti a bestemmiare piroettando su un piede solo-

Tutti gli sforzi fatti fino a quel momento per trattenere le risate si rivelarono vani: Yuzu cercò di rimediare nascondendo il volto nel cuscino, ma le spalle erano chiaramente scosse da sussulti. Yuya si prese lunghi attimi ad osservarla, prima di continuare il suo racconto ed aggiornarla su tutte le bravate notturne del loro quartetto, senza risparmiarsi ogni più piccola cretinata e godendosi ogni sua risata.
Era bello vedere il mondo finalmente sorridergli.



–    ...pronto?!-
–    Oh Yuri! Grazie al cielo sei a casa!-
–    Yugo?! Certo che sono a casa, dove vuoi che stia? A che ora conti di tornare, le hai le chiavi?-
–    No eeeehm, ecco, non credo tornerò a casa stanotte!-
–    Cosa?!...dietro quale gonnella sei corso stavolta? Di chi è questo numero?!-
–    Calunniatore! Non dire certe cose non sono il tipo e tu lo sai!-
–    Ho un filmato di una festa al quinto anno di liceo che dimostra il contrario-
–    Ti avevo detto di cancellarlo!-
–    E ho ancora l'indirizzo del tuo vecchio account Myspace. Non stavi male con l'eyeliner-
–    Yuri ti uccido!-
–    Figuriamoci. Devo venire a prenderti? Dove sei adesso?-
–    In questura-
–    ...cosa?!-
–    Sai, per la storia dei cartelli stradali. Mi hanno individuato tramite le registrazioni delle telecamere della zona-
–    Mannaggia al demonio Hugo arrivo!-
–    Non mi chiamo Hugo mi chiamo Yugo! Ma seriamente?!-





Mondo Sorridente – Carta Magia

Tutti i mostri scoperti attualmente sul terreno guadagnano 100 ATK per ogni mostro attualmente sul Terreno, fino alla fine di questo turno.



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Così si conclude il piccolo "memorial" dedicato a Yuya!
Come state diavolacci? Stavolta mi sono fatta attendere più del solito, ma gli impegni in quest'ultimo periodo si stanno sommando uno sull'altro e con gli studi in mezzo non è semplice conciliare tutto. Per questo elaborare questo capitolo mi è costato qualche giorno in più...penso abbiate capito che questi sono capitoli che sto scrivendo "sul momento", non fanno quindi parte di quel pacco di capitoli già pronti ma è qualcosa che sto aggiungendo personalmente in quei punti dove ritengo possano stare bene, in modo da fare chiarezza su qualche curiosità che possa magari esservi balenata in mente.

Direi che qui abbiamo recuperato tutto il divertimento e lo pseudo-trash saltato nel precedente capitolo no? Con Yugo ubriaco in giro c'è solo da pregare che non si faccia male inutilmente...il problema è che, come scoprirete più avanti, farsi e fare scherzi cretini è un po' un'abitudine dei coloratissimi quattro cugini...solo Yuto se ne tiene bellamente fuori, a quanto pare la sua ira è temutissima; ma per quanto riguarda Yuri e Yugo, che a questo punto della storia condividono lo stesso appartamento in maniera non molto diversa da Yusei e Judai, marachelle e scherzi anche pesanti sono quasi quotidiani, soprattutto da parte del primo ai danni del secondo. Ecco spiegato il perché delle scarpe incollate xD
Anche se è chiaro che le tre controparti restanti non saranno protagoniste allo stesso modo di Yuya, voglio dare risalto anche a loro nella storia: quindi salutateli qui, ma non disperate che li ritroveremo più avanti! Sempre tosti e coloratissimi!

Sappiamo ora anche cosa realmente è successo tra Yuya e Yuzu, cosa li ha realmente avvicinati e come hanno finalmente valicato il confine tra amicizia e amore. Ci voleva un po' di dolcezza dopo la conclusione così cupa del precedente capitolo, no? <3
Dal prossimo capitolo torniamo ai giorni nostri! Abbiamo lasciato in sospeso un futuro ritrovo familiare, e la povera Aki deve ancora scegliere il suo accompagnatore! Si accettano scommesse...

Ci rileggiamo presto! (spero!)
92Rosaspina

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Capitolo 10
*** 8. Vasta gamma ***


Pharaoh's Kingdom 10

8. Vasta gamma

Tutto andrà bene un giorno, ecco la nostra speranza.
Tutto va già bene adesso, ecco l’illusione.
(Voltaire)




    -    Dio, la comprerei all'istante anche solo per usarla come fermacarte...è bella da mozzare il fiato!-
Non gli capitava spesso di accompagnare Yusei in pista, ed essenzialmente per un solo motivo: quando era circondato dalle moto, quel ragazzo perdeva letteralmente il senso della realtà e dimenticava perfino la sua presenza al suo fianco. Judai ci aveva ormai fatto l'abitudine, e anzi trovava divertente, quasi tenero quell'atteggiamento: era un po' come osservare il proprio pargoletto che andava irrimediabilmente a perdersi nel Paese dei Balocchi. Tuttavia non poteva fare a meno di pensare a quanto potesse lasciare perplesse persone che non conoscevano Yusei e i suoi pallini.
Yusei era strano e sotto molti punti di vista, quel strano che non era chiaro se intrigante o inquietante. Il segreto stava nel dargli tempo di esprimersi e mostrare il suo vero carattere, quello generoso e altruista di una persona sempre pronta ad aiutare, ma era un'autentica impresa fare fronte alla sua facciata esterna silenziosa, impermeabile ed ermetica, con quello sguardo lontano eppure impietoso, inflessibile e diretto come se si aspettasse una fucilata alla schiena. Non si sarebbe stupido Judai, a sapere che in molti avevano rinunciato ad avere un contatto con lui per quell'impressione iniziale.
E dal momento che si riusciva a fare breccia nelle sue iniziali difese, si scopriva il ragazzo del Satellite gentile e sincero, amante delle stelle e cresciuto in mezzo ai motori. Judai conosceva i suoi trascorsi al Satellite, Yusei gliene aveva fatto parola senza tralasciare un solo singolo istante della sua vita sull'isola: sapeva tutto perfino dei campionati di velocità e di endurance, e di tante altre cose che avrebbe preferito non sapere.
E sapeva che tenere Yusei lontano dalle due ruote sarebbe stato più improbabile dello svuotare l'oceano con uno scolapasta. Il rombo dei motori era per lui il canto mortale delle sirene mangiauomini.
Solitamente, Judai preferiva starsene a casa anche per un altro motivo: paura, semplicemente. Non aveva problemi a salire in moto con il suo amico, uscivano regolarmente insieme per percorrere il tratto casa-lavoro...ma un conto era il guidare la moto in mezzo al traffico cittadino, a basse velocità sgusciando via tra le auto in coda, un altro era vedere il suo coinquilino sguinzagliare duecento cavalli su una pista.
Che poi, Yusei la chiamava pista, ma al castano pareva un vero e proprio circuito di gara in piena regola, con corsia box, torre di controllo e tutto il resto. Il motociclista gli aveva spiegato che, di fatto, la colpa era sua che si ostinava a chiamarla così, ma quello era un tracciato da competizione a tutti gli effetti, inserito in quasi tutti i campionati motociclistici esistenti: la redazione del giornale lo aveva in concessione quando avevano per le mani qualche interessante supersportiva da provare e raccontare ai lettori.

Prima ancora di essere un barman e un aspirante astrofisico, Yusei era un collaudatore di moto sportive. E forse questa nomina gli calzava a pennello, molto più delle altre due. A quanto pareva lo faceva come impiego saltuario per una sua vecchia conoscenza, il capo redattore di un mensile dedicato alle moto e tutto ciò che girava intorno alle due ruote, dai campionati mondiali alle nuove norme della sicurezza su strada. Diversi erano i collaudatori chiamati in collaborazione con la rivista, ognuno specializzato in una tipologia specifica: c’era chi si dedicava alle moto da turismo, chi alle cromatissime custom americane, c’era anche un vecchio rocker piuttosto anonimo che, appesa la chitarra al chiodo, andava in giro per il mondo a scovare le special più assurde ed elaborate al mondo. Yusei si occupava, prevedibile, delle supersportive mangiacordoli, le belve carenate con centinaia di cavalli a disposizione da liberare tra i nastri d’asfalto dei circuiti.
Che il suo amico fosse abile in moto lo sapeva…non si capacitava di come in realtà fosse così bravo. Silenzioso e pragmatico nella quotidianità, Yusei si trasformava in un mastino divora tornanti e il solo guardarlo da uno dei monitor della sala di controllo era una goduria e un continuo supplizio. Goduria, perché guardarlo condurre con tanta sicurezza un mostro d’acciaio da duecento cavalli era come osservare la fine opera di un pittore alle prese con un ritratto, dove il circuito era la tela da riempire di forme e colori e la moto il fidato, infallibile pennello: la sicurezza con cui il ragazzo del Satellite guidava la carenata tra i cordoli era invidiabile, la faceva apparire la cosa più semplice del mondo, come una tranquilla passeggiata sul lungomare.
Supplizio, perché il proprio sistema nervoso era sempre, costantemente messo alla prova dall’ansia e dalla tensione che si accumulava nel vedere i gomiti e le ginocchia del ragazzo sfiorare l’asfalto in pieghe ad alta velocità. Era un po’ come vedere un film horror: terribile, ma non potevi smettere di guardare, e a lungo andare sviluppavi perfino una insana attrazione per quelle scene da brivido.
Con Yusei si applicava più o meno lo stesso concetto. Per quanto la paura di vederlo irrimediabilmente sfracellarsi a terra gli dicesse di chiudere gli occhi, c’era qualcosa nel vederlo portare la moto che impediva di distogliere lo sguardo, come assistere ad un tango su una pista da ballo: sensuale al punto da apparire indecente ma impossibile da ignorare. E i passi con cui si muoveva intorno alla moto aveva in tutto e per tutto l’aria di passi di danza.
La MV Agusta F4 si lasciava invece ammirare in perfetta quiete, sostenuta dal cavalletto alla ruota posteriore. E Judai doveva ammetterlo, quella moto era davvero bella al punto da poter restare tranquillamente parcheggiata in un salotto di lusso come un pregiato pezzo d’arredamento. La carena pareva disegnata apposta per amalgamarsi col vento: tutto, di quella moto, era disegnato, pensato, concepito per la velocità, dal cupolino sagomato al codino provocante come i fianchi di una modella, vestita del rosso dell'abito di una mangiatrice di uomini.
    -    I fazzoletti sono dietro di te, ti dovessero servire…-

    -    Rally-
    -    Sì?-
    -    Una battuta sconveniente-
    -    Lo so, ma guardati! Sembri un’ape che svolazza intorno a un fiore!-
    -    Cosa devo farci?! È bellissima!-
    -    Più della Bimota?-
    -    …non dirglielo, altrimenti si ingelosisce-

I due scoppiarono in grosse risate, Judai abbozzò un ghigno tanto per essere della partita ma se doveva dirla tutta non aveva la minima idea di cosa quei due stessero dicendo.
Con suo rammarico, doveva accettare l’evidenza del fatto che i motociclisti vivevano in un mondo completamente a parte, e tipi come Yusei e Rally sembravano proprio vivere su un altro pianeta.
Quest’ultimo era, come Yusei, un trovatello del Satellite, che per anni aveva vissuto sulla gigantesca isola finché questa non era stata finalmente ricollegata con Nuova Domino. La ritrovata unione tra le due città aveva giovato enormemente agli abitanti del Satellite, sollevandoli finalmente dalla loro condizione di reietti della società e dando loro la possibilità di osare, di riprendere in mano la propria esistenza. Da ex ragazzino scapestrato che rovistava nelle discariche, alla ricerca di pezzi di ricambio, rottami da assemblare e vecchie motociclette abbandonate al loro destino, Rally aveva messo a frutto le sue conoscenze meccaniche e le aveva poi messe a disposizione per diverse riviste del settore motociclistico, prima di ritrovarsi a collaborare con l’amico di una vita. Era giovane e pieno di energia e talento, non avrebbe faticato ad andare avanti.
    -    Bella e difficile, non mi sembra affatto una moto da neofiti- osservò Judai, gli occhi puntati sullo scarico che spuntava sotto il motore.
    -    Non lo è per niente- confermò Yusei – Le F4 sono opere d’arte da vedere e anche divertenti da guidare…se hai il manico giusto. Altrimenti rischi il decollo-
    -    Verissimo- confermò Rally – Le moto da corsa non sono mai semplici…ma questa è una delle più complesse. E soprattutto questo modello, che riprende quella del Reparto Corse del Campionato Superbike!-
    -    …aspetta un attimo COSA?!-
Judai sbuffò una risata nel vedere il suo amico centauro fare capolino da dietro la carena con tanto d’occhi: giurò di averglieli visti brillare! Rally lo osservò con un sorriso che non ci fossero state le orecchie gli avrebbe fatto il giro della testa due volte.
    -    Ebbene sì! Non chiedermi come perché non lo so, ma siamo riusciti a mettere le mani sul prototipo del Model Year 2018! Ricordati che i fazzoletti sono sempre là dietro-
    -    Rally finiscila, sto per prenderti di parola!-
    -    Vieni, ti faccio vedere questa meraviglia con più cura! Guardala, carenatura in fibra di carbonio! E il telaio è a traliccio in tubi di acciaio! È chiuso nella parte centrale da leggere piastre in lega di alluminio, che fanno da punto di ancoraggio del forcellone monobraccio. Così potremo variare l’altezza del pivot del forcellone posteriore come più ti aggrada! E ovviamente sospensione anteriore e posteriore sono targate Ohlins-
    -    E quei freni? Quello davanti è un doppio disco flottante vero?-
Doppio disco cosa?! Judai sbatté gli occhi perplesso.

    -    Eeeeesatto! Doppio disco flottante con fascia frenante in acciaio e flangia in alluminio davanti, disco in acciaio da 210 millimetri dietro. Al posteriore hai una pinza freno Nissin a 4 pistoncini, davanti sei nelle mani di San Brembo protettore dei pistaioli!-
    -    Vi lascerò i solchi in staccata…-
    -    Devi farlo! Vogliamo che fai galoppare a briglia sciolta tutti i 212 cavalli di cui dispone!-
    -    Du-duecentododici?!- chiese Judai, allibito – Yusei, la tua Bimota quanti ne ha?-
    -    Qualcuno di meno...- rispose il giovane, accarezzando ancora la carena.
    -    Quanto di meno?!-
    -    La Bimota ha 98 cavalli-
    -    Che coooooosa?!-

Fossero stati in un fumetto, il volto di Judai avrebbe ricalcato perfettamente la sagoma distorta dell’urlo di Munch: Yusei fu quasi in grado di vedergli un fantasmino lasciargli svolazzando la bocca spalancata e frenò una risata a stento.
    -    E tu intendi guidare quel MOSTRO?!-
    -    Lo trovi problematico?-
    -    Lo trovo problematico? Lo trovo problematico?! Yus, è ben oltre il doppio della cavalleria della Bimota!-
    -    Normale, è una moto da pista. C’è bisogno di tanta cavalleria per poter essere il più veloci possibile-
    -    La fai facile tu, a parlarne così!-
    -    Judai, non è niente di pericoloso. Più o meno-
    -    Bravo, è quel più o meno che mi inquieta!-
    -    So quello che faccio. Andrà tutto bene-

Judai sbuffò qualcosa, e ridusse le sue proteste a mugolii privi di senso mentre scuoteva il capo, spostando lo sguardo dal suo amico al di fuori dei box, lì dove la pit-lane si allungava in avanti fino a immettersi nel circuito.
Aveva paura, non poteva negarlo. Per quanto Yusei fosse bravo, si stava apprestando a domare un mostro che superava i duecento cavalli, una moto che lui stesso aveva definito difficile...e non si trattava di condurla a passo d'uomo, ma di correre come se avesse il diavolo alle calcagna! E insieme a Yusei aveva visto fin troppe gare motociclistiche, in televisione, per evitare di anche solo pensare a quanti incidenti potevano capitare nello spazio di un battito di ciglia.
    -    Va bene, se tu sei pronto allora monta su e raccontaci di questa meraviglia!-
    -    Oh, non vedo l'ora!-
E anche cercare di frenare il suo entusiasmo sarebbe stato inutile e deleterio: poche volte gli capitava di vedere Yusei così preso e contento, e non si sentiva in grado di smorzare il suo entusiasmo. Judai incrociò le braccia al petto, osservando l'amico infilarsi il casco con un veloce gesto: gli occhi blu spuntarono dalla calotta grandi e vividi come un giovane innamorato, e si voltò verso di lui.
    -    Tutto bene?- gli domandò poi. Judai giurò di vederlo sorridere anche da dietro la mentoniera.
    -    Yup. Fai attenzione, non esagerare col manico-
    -    Sul manico non ti prometto niente!-
Judai si lasciò sfuggire un sorriso divertito. Figuriamoci, pensò quando Rally gli porse un paio di cuffie.
    -    Indossa queste! Tempo qualche secondo e te le imposto così da sentire Yusei! Potrai ascoltarlo ma non tentare di parlargli, quelle sono prive di microfono, non ti sentirebbe-
    -    Va bene-
Erano comode e leggere, avvolgevano senza troppi problemi l'intero padiglione auricolare; ma quando Yusei andò ad avviare il motore la loro protezione sembrò quasi nulla. Come se alle sue spalle fosse arrivato un colpo di mortaio, Judai scattò sull'attenti, strappando al collega una risata amplificata dalle cuffie. Il castano riprese a respirare solo quando la moto uscì dal box, sparendo dai loro sguardi.
Fu allora che Rally lo invitò a seguirlo fuori dal box a ridosso del muretto che costeggiava il rettilineo della linea di partenza; lo guidò con allegria al riparo dietro una tettoia scura, dietro cui stavano alcuni schermi da cui era possibile tenere d'occhio diversi punti della pista. Uno di questi restituiva in tempo reale le immagini della camera on-board, ma Judai non era molto convinto di voler osservare proprio quel punto di vista...considerato quanto si stava inclinando in curva e stava andando anche piano...
    -    Buon cielo, ha l'agilità di un cane da caccia!- esclamò improvvisamente Yusei, nelle sue orecchie.
   -    Ricordati che la versione da cui sono partiti per questa moto è quella del 2017. Molte caratteristiche del precedente modello sono state rifinite- rispose Rally, gli occhi puntati sullo schermo che restituiva le immagini della on-board.
    -    Mi piace! L'avantreno è fantastico, è come toccare la curva con entrambe le mani!-
L'avancosa?! Forse parlava della ruota...Judai preferì restare in silenzio nella sua quasi totale ignoranza motociclistica.
    -    Mi sembra solo serpeggiare un po' in frenata...insistere con i freni può essere un azzardo. Il motore aiuta però molto, basta un colpo di gas e la moto scivola via!-
    -    Come ti senti in sella?-
    -    Stretto-
Judai si voltò appena ad osservare Rally ridacchiare.
    -    Sul serio, per spingere va bene...ma le pedane sono davvero alte, mi sento come incastrato-
    -    Sei riuscito a trovare un difetto perfino a questo gioiello...poi ti lamenti se le tue fidanzate durano poco!-
    -    Le moto non si lamentano e fanno godere il doppio-

Stavolta Judai si unì alla risata, scuotendo il capo. Da Yusei c'era da aspettarsela, una simile affermazione...eppure c'era del vero in quello che Rally aveva insinuato poco prima.
Sapeva che il ragazzo del Satellite fosse un tipo piuttosto complicato, ma a volte si stupiva di quanto realmente strane, forse assurde, fossero alcune sue consuetudini.
A cominciare dalla discutibile abitudine del dormire nudo. Discutibile perché dimenticarsi di tale caratteristica ed entrare incautamente in cucina, al mattino, mentre lui stava versandosi un bicchiere di latte poteva essere oltremodo traumatico. Almeno per il suo coinquilino, magari una sua compagnia femminile avrebbe oltremodo apprezzato la cosa...ma sui gemiti notturni c'era da soffermarsi. E non gemiti di piacere, ma di paura. Qualcosa di paurosamente vicino ad urla: i primi tempi della loro convivenza il castano si fiondava nella sua stanza, attirato dagli insoliti rumori e in un certo senso spaventato, convinto che Yusei avesse bisogno di aiuto. Stando alle spiegazioni del moro, ne soffriva dal suo soggiorno nella Struttura; la cosa lo destabilizzava ed innervosiva, a volte spingendolo a restare sveglio fino a tardi, finché il suo corpo stesso non rischiava il blackout e lui aveva appena la forza di spogliarsi per infilarsi tra le coperte.
In un certo senso era come le sue paralisi del sonno.
Aveva poi scoperto che adorava alla follia qualsiasi cosa avesse un sapore dolce: si sarebbe lasciato bruciare vivo per dei marsh-mallow, e per la cioccolata avrebbe volentieri ucciso. Al latte, alle nocciole, bianca, gianduia, ripiena di arancio o ciliegia, andava matto per qualsiasi ripieno e tipo. Ne consumava giornalmente quantità industriali, salvo poi fare esercizio fisico fin quasi a sentirsi male per rimediare allo sgarro.
Il problema era che spesso era così assorbito dai suoi impegni, universitari e non, da dimenticarsi di mangiare. Judai aveva perso il conto delle volte in cui era sceso in garage a portargli il pranzo, e di quanto spesso si era visto nella condizione, velatamente assurda, di dovergli imboccare la prima forchettata di qualsiasi cosa per convincerlo a mangiare.
E per quanti bagni o docce facesse, quel vago sentore di olio motore sembrava non lasciarlo mai andare. Era a lui caratteristico quasi quanto il suo profumo preferito, quello di una ignota marca norvegese dalle note di pino silvestre.
Degna di nota, ma conoscendo Yusei era anche prevedibile, la sua totale fissa, perché Judai non sapeva in quale altro modo definirla, per tutto ciò che riguardava l'universo. Era qualcosa che sfiorava il morboso: una vocazione che lui aveva abbracciato fin da bambino e che aveva condizionato la sua vita al punto da imperniare il suo percorso di studi sull'astrofisica. La passione per l'argomento era tale da invogliarlo a collaborare per un canale podcast che trattava di nuove scoperte scientifiche. Nnelle sue puntate spiegava, in pillole, tutto ciò che c'era da sapere sull'universo e illustrava le nuove scoperte in campo astronomico: i podcast organizzati da Yusei erano quelle con il più grande numero di download in assoluto dell'intero canale.

Chissà se Aki sapeva di quei podcast: Yusei non ne faceva un vanto, così schifosamente umile com'era, ma Yuya e Yuma non se ne perdevano uno e ne discutevano ampiamente, a volte anche con lo stesso barman, riempiendolo di domande a cui lui rispondeva con un trasporto disarmante. Impossibile che almeno uno dei due non gliene avesse parlato.

Yusei era un autentico concentrato di altruismo e bontà una volta che riusciva a superare la naturale diffidenza che nutriva verso le persone, e tuttavia non sembrava in grado di intrecciare un rapporto duraturo con esponenti del gentil sesso. L'unica relazione degna di questo nome, da quando si conoscevano, era durata poco più di un anno, prima che lui tagliasse volutamente i rapporti con la ragazza dopo aver scoperto “di essersi ritrovato con il palco di corna di un'alce dietro la testa”, per riprendere l'espressione di Judai. Il resto delle sue storie erano state brevi e fin troppo intense e ogni volta restava solo, ferito ma fin troppo orgoglioso per ammetterlo anche a sé stesso.
Lui e il resto della crew del Pharaoh's ci scherzavano volentieri sopra, ma in cuor suo Judai sapeva che c'era del vero nelle parole che lo stesso Rally condivideva: se esiste l'anima gemella di Yusei, aveva detto una delle prime volte in cui si erano incontrati, non è in questa galassia.
Forse era vero. Forse quel ragazzo era davvero destinato a restare per sempre legato alle sue amate stelle e alle due ruote. Che poi, quale nesso esisteva tra le due cose? Come poteva una persona come Yusei, con i piedi saldamente piantati per terra, avere gli occhi sempre rivolti alla volta stellata e la mente sempre a scorrere tra i cordoli e le mille luci notturne della città?

Atem sosteneva fosse una sua forma di estraniamento dalla quotidianità, una valvola di sfogo che gli permetteva, di tanto in tanto, di poter uscire dagli schemi convenzionali a cui la società l'aveva presto abituato. Non era facile farsi vedere di buon occhio, non quando avevi un'aria perennemente accigliata e il marchio della Struttura ben in vista sulla faccia. Potevi essere accorto, diligente, ben educato e discreto quanto volevi, ma un segno così evidente ti bollava a vita come un delinquente, uno che aveva infranto la legge in maniera grave abbastanza per guadagnarsi un soggiorno nel carcere di massima sicurezza di Nuova Domino. Poco importavano le tue motivazioni.
Chissà se ci pensava mai a come le cose avrebbero potuto svolgersi, se fosse tutto andato in maniera diversa. Se non fosse mai finito in prigione, se avesse proseguito la sua vita sul Satellite...forse sarebbe morto come tanti prima di lui? Circolavano voci non proprio lusinghiere su quella gigantesca discarica galleggiante, e il fatto che fosse stata di recente inglobata nella rete di scambi di Nuova Domino non aveva migliorato la sua reputazione: ci si addentrava con molta cautela nelle zone interne dell'isola, e chi lo faceva di sua spontanea volontà doveva essere pazzo o disperato per non temere le bande di ladri e criminali letteralmente ghettizzate.
No, figuriamoci: uno sveglio e svelto come Yusei non avrebbe mai lasciato la pellaccia tra quei vicoli bui e sgangherati. Con ogni probabilità avrebbe resistito fin quando l'isola non sarebbe stata ricollegata alla terraferma, per poi spostarsi e ricominciare da capo nella stessa modalità con cui era andato avanti in quegli anni: duro lavoro, poca importanza alle voci, alle porte sbattute in faccia e alle occasioni negate.
Aveva i piedi piantati a terra come una solida quercia, ma nel suo profondo era più sognatore di un bambino che diceva di voler fare l'astronauta da grande.
Al momento gli andava bene essere etichettato come “marziano”, ma quello era l'epiteto che Judai gli affibbiava per ogni cosa, non solo per la conduzione della moto. Per lui era un marziano in un po' tutto quello che faceva, dagli studi alla preparazione dei cocktail fino all'insana manualità con tutto ciò che fosse meccanico e tecnologico, perfino i siti web e i codici di programmazione non avevano segreti per lui. A volte aveva l'impressione che se avesse potuto, il suo cervello avrebbe letteralmente iniziato a correre al punto che Yusei non sarebbe stato in grado di stargli dietro.
Un marziano nel vero senso della parola.

Cosa aveva in comune con Aki?
A parte l'aria accigliata ovviamente...ma quella della ragazza era più condizionata da una sorta di meccanismo di autodifesa: cresciuta nell'élite nobiliare di Nuova Domino, le era stato insegnato a temere tipi tenebrosi come Yusei, stare alla larga da quelli scapestrati tipo Judai e schernire i buffoni dello stampo di Yuma e Yuya. Nel caso di Yusei si parlava di vera e propria intolleranza a molte sfaccettature idiote del resto del genere umano.
Non c'era nulla che li accomunasse, davvero. Erano letteralmente opposti come il sole e la luna. Nel senso che Aki era il sole e Yusei la luna. E non un sole e una luna belli da guardare, perché lei era pronta a fare terra bruciata intorno a sé e lui...anche.
Ecco, forse una cosa in comune l'aveva trovata? Ma no, non era giusto esagerare fino a quel punto. Però era evidente che fossero entrambi agli antipodi e, a ben pensarci, insospettabilmente vicini allo stesso estremo dello spettro delle emozioni umane.
Forse definirli opposti non era neanche giusto...complementari era molto più azzeccato. Perfino nei colori preferiti sembravamo incastrarsi fin troppo bene! Aki non faceva mistero della sua predilezione per il rosso, mentre Yusei non aveva fatto verniciare di blu la Bimota solo perché non prevista come colorazione dalla casa madre. E la iniziale diffidenza di lei era ben compensata dalla naturale, guardinga curiosità dell'altro.
E poi quel gioco nascosto di sguardi, poco più di una settimana prima...Judai avrebbe volentieri dato un braccio pur di poter rivedere quella scena ancora e ancora.
Nella testa del castano era tutto così spudoratamente chiaro, che non ne faceva parola col compagno solo per non farsi rinfacciare i suoi tentennamenti con Alexis.

Ma poi, perché tutta quella fretta di accoppiare il suo coinquilino e migliore amico?
Tornò ad osservare il monitor in silenzio, gli occhi puntati sulla figura di Yusei e sulla moto che, stretta tra le sue gambe, scendeva in piega con una facilità disarmante, ad angolazioni che sembravano voler annullare le leggi della fisica tanto care al pilota. Judai scosse il capo, stropicciandosi gli occhi.
Yusei era un marziano.
E come tale non avrebbe mai potuto comprendere appieno il suo mondo.


****

    -    Fammi capire, l'hai portata a trecentoventi all'ora?!-
    -    Sì-
    -    E la casa ha dichiarato appena trecentodue?!-
    -    Ehi, si tratta di un prototipo, ricordatelo. Dopodiché guidata in pista è ovvio che possa dare dei parametri diversi, dipende anche da chi sta sopra. L'ho portata a trecentoventi ma urlava da chiedere pietà. Essendo destinata al mercato delle supersportive da strada metteranno dei limitatori, con ogni probabilità-
    -    Quindi sarà la scelta dei fighetti con i risvoltini che vanno a prendere lo Spritz sul lungomare?-
    -    Probabile. Io mi tengo stretta la Bimota-
    -    Oh per fortuna, Dio grazie-
Judai scosse il capo, tornando alla sua bibita.
Finiti i giri in pista, Yusei era sceso dalla moto più euforico di un bambino e con gli occhi più grandi e liquidi che gli avesse mai visto: avesse dovuto dipingere il ritratto della gioia avrebbe avuto la sua faccia e la sua espressione. Si era preso poi del tempo per discutere con Rally di dati e rilevamenti: a quanto pareva i computer di bordo e la centralina mandavano informazioni in tempo reale, quindi si trattava solo di mettere in chiaro alcuni punti specifici. In seguito la redazione avrebbe battuto l'articolo; in qualche punto della pista Judai aveva notato anche gli obbiettivi di alcuni fotografi.
Era sceso dalla MV Agusta solo per montare sulla sua amata Bimota, e il castano avrebbe giurato di averlo sentito mormorarle qualcosa che sembrava un “non essere gelosa”;  concedersi poi un tranquillo giro sul lungomare, con tanto di stop ad un chiosco per rinfrescarsi, era loro parsa la migliore conclusione della mattinata.

    -    Pensavo-
Yusei spostò appena gli occhi, senza staccare le labbra dalla Red Bull.
    -    Ma se volessi prendere una moto anche io?-
Red Bull che rischiò di andargli bastardamente di traverso. Yusei diede un colpo di tosse e si voltò ad osservare il compagno con sguardo stralunato, suscitandogli uno sbuffo divertito.
    -    Che c'è?- gli domandò poi Judai.
    -    Come che c'è?! E da quando ti piacciono le moto?!-
    -    Da sempre, tontolone. Solo che preferisco guardarle piuttosto che guidarle-
    -    E cosa ti ha fatto cambiare idea?-
    -    Non saprei a dire il vero...non l'ho proprio cambiata, diciamo che voglio togliermi la curiosità di provare-
    -    ...hai rivisto Akira?-
    -    Mi piacerebbe salire su una delle sportive giapponesi più retrò! Sai quelle degli anni '80 che sembravano copiate dai manga...-
    -    Hai rivisto Akira-
    -    Dici è meglio se lascio perdere?-
    -    Lo sai che non ti dirò mai di lasciar perdere su una cosa che desideri. Dico solo di pensarci bene, passare dalle quattro alle due ruote non è così facile. E comunque uscire in moto implica dei rischi-
    -    Per te o per gli altri? Perché non vorrei mai essere nei panni del tipo che ti ha fatto saltare lo specchietto, credo sia morto fulminato, con tutti gli anatemi che gli hai lanciato-
    -    Lo spero, un imbecille in meno sulle strade-
    -    Non potevo aspettarmi una risposta diversa...-
Yusei preferì non rispondere a quella sottile provocazione, continuando a bere dalla sua lattina.

    -    Ehi! Pensavo-
    -    Di nuovo. A cosa?-
    -    Aki ti piace-
Non una domanda, ma una constatazione, come se fosse qualcosa di ormai evidente a tutti gli spettatori della storia tranne che al diretto interessato. E Yusei realizzò che forse non era il caso di bere qualsiasi bibita quando era a chiacchierare con Judai, perché non era la prima volta che se ne usciva con constatazioni improvvise che puntualmente gli mandavano tutto di traverso.
E il punto era che non sapeva mai se rifilargli un'imprecazione, strozzarlo o montare qualche bugia per coprire le apparenze.
E poi, era lui a parlare? Seriamente?! Judai?!
    -    Perdonami, ora questa da dove è saltata fuori?!- chiese il giovane astrofisico, quasi allucinato, tra un colpo di tosse e l'altro.
    -    Ti piace. È evidente- continuò Judai – E neanche poco. Chiacchieri con lei molto spesso, c'è una bella intesa. L'abbiamo notato tutti-
    -    Ma notato cosa?! Non c'è proprio nulla tra me e lei. Siamo solo due colleghi che passano almeno otto ore a serata insieme, ringrazia il cielo che siamo in sintonia altrimenti sarebbe tutto più difficile-
    -    Vero anche questo-
    -    Già-
    -    Tutta questa tensione però mi fa pensare-
    -    Judai, ascoltami bene-
Con un sorriso amaro il castano capì di aver tirato troppo la corda e scosse il capo: Yusei si voltò ad osservarlo con sguardo impietoso, rigido ed impettito in quell'espressione seria che gli vedeva davvero troppo spesso.
    -    So bene cosa pensi- disse poi il capobar – E sì, ammetto che con Aki c'è una bella sintonia, se questo ti fa stare meglio e alimenta il tuo cuore da pettegolo ficcanaso. Ma non c'è altro. Non VOGLIO altro-
    -    ...perché?-
    -    Perché è meglio così. In fondo sai anche tu che non sono un granché con le relazioni sociali-
    -    Stronzate. E noi allora? O vale lo stesso discorso di Aki? Siamo davvero solo tuoi colleghi? IO sono davvero solo un tuo collega?-
Yusei si lasciò sfuggire uno sbuffo sconsolato e scosse il capo, finendo in un sorso il contenuto della sua lattina.
    -    Non intendevo questo. Scusami se ho fatto passare questo messaggio- gli rispose poi – Ma sai com'è...non sono un tipo semplice da gestire. E anche io non voglio avere legami seri e duraturi con una donna. Non ora almeno-
    -    Perché?-
    -    Non potrei prendermi cura di lei, non come meriterebbe. E certe cose si fanno in due-

Con un sospiro, Judai annuì e si voltò verso il vuoto.
Tipico di Yusei: anteporre il benessere degli altri al proprio era il suo tratto distintivo, non immediatamente visibile come il segno sul volto o il tatuaggio sul braccio ma allo stesso modo evidente e caratterizzante. Yusei era così, dava tutto sé stesso in qualsiasi cosa attirava la sua attenzione, e lo faceva con una discrezione quasi imbarazzante. Avrebbe preferito uccidersi pur di non ammetterlo, ma i suoi livelli di empatia erano davvero fuori dagli standard di quel pianeta; ed era una caratteristica messa in secondo piano solo dalla sua iniziale diffidenza e scontrosità.
In cuor suo Judai era sempre più convinto, che la giovane rossa dai grandi occhi da cerbiatta fosse l'unica in grado di far breccia nell'impenetrabile muro di cinta del giovane astrofisico. Non Yuma o Yuya, né Yugi e neanche Atem, per quanto improbabile; neanche lui stesso, nonostante l'evidente complicità che ormai c'era tra loro. No, era Aki l'unica persona in grado di fare tanto, con quel suo approccio timido e discreto al punto da farsi rabbioso e scostante.
    -    Capito- sorrise poi Judai – Scusami, non volevo metterti in difficoltà-
    -    Figurati-
    -    Sicuro?-
    -    Ehi, è tutto a posto-
Ecco, e poi finiva così. È tutto a posto, diceva. Il mondo avrebbe potuto crollargli intorno ma lui avrebbe sempre risposto a quel modo, è tutto a posto. Come se nulla potesse scuoterlo o sconvolgerlo.
A volte Judai si chiedeva quante davvero ne avesse passate, in quell'isoletta ora collegata da una strisciolina di asfalto sospesa sull'oceano.


****



Sei giorni erano passati fin troppo velocemente, tra serate lavorative e ore di studio concentrate dopo il risveglio. Aki si era abituata presto a quei nuovi ritmi, e aveva scoperto che non le dispiaceva affatto avere le giornate così impegnate.
Quando ancora viveva con la sua famiglia, le cose erano piuttosto diverse: intere giornate dedicate allo studio, tra università ed esami, finivano con l'annoiarla e logorarla. E se, inizialmente, si era sentita in colpa, a rubare così tanto tempo allo studio per lavorare e riposarsi, i rimorsi erano passati molto presto. Forse dipendeva dal fatto di non essere sotto il costante e protettivo sguardo della famiglia, chissà.
L'idea di tornare in quella casa la inquietava. Non si erano lasciati in chissà quale violento modo, ma che Aki non avesse più un buon legame con i suoi familiari era ormai chiaro anche ai muri della sua abitazione. Vista ormai come la futura poco di buono che avrebbe infangato il buon nome della famiglia, era convinta che l'avrebbero ignorata, o che perlomeno avrebbero preferito tenerla lontana da eventi così particolari come la celebrazione di un fidanzamento.
Di sicuro centrava sua madre. L'invito non poteva essere partito da Suketsune stesso: il suo cugino si ricordava a malapena di Aki, e a prescindere qualcun altro avrebbe preferito non coinvolgerla, per evitare di alimentare inutili malumori.
Manco avesse lo scorbuto.
Ma sua madre le voleva bene...a modo suo. Iperprotettiva e premurosa, per i gusti di Aki forse troppo, e tremendamente legata alla figlia, anche questo eccedente secondo l'opinione della rossa. Avrebbe messo una mano sul fuoco, l'invito era partito da lei.
Sei giorni erano passati, e mancava ancora l'accompagnatore.

Bella forza. Sua madre le aveva detto di non presentarsi sola: “per l'immagine della famiglia, sai com'è”, aveva spiegato, al che Aki aveva annuito senza fare altre domande. Ma i giorni erano passati e pochi erano i candidati proponibili, anche pensando alla crew del Pharaoh's Kingdom.
Yuya era da escludere a priori: per quanto adorasse la compagnia di quel ragazzo, voleva risparmiargli la crudeltà di un ricevimento così chic e freddo. E poi aveva una fidanzata a cui pensare: quei due sembravano vivere una specie di luna di miele, sarebbe stato molto scorretto separarli. Stesso ragionamento che aveva fatto pensando a Yuma, contando il fatto che era troppo piccolo rispetto a lei ma soprattutto troppo energico. Un ragazzo come quello avrebbe creato solo danni.
Judai e Yugi...niente, proprio non se la sentiva di tirarli in mezzo a quel pandemonio. E stesso discorso per Yusei, quel ragazzo di sicuro non sarebbe piaciuto a nessuno: troppo serio, con quella perenne espressione accigliata neanche si aspettasse una coltellata alle spalle da qualcuno, privo di quelle caratteristiche da esponente dell'alta società. Era un lavoratore, serio e fiero del suo mestiere: poco importava che studiasse astronomia, era sempre e comunque un ragazzaccio che scorrazzava in moto per la città, che preparava intrugli alcolici e con la lingua pelata come la testa di un calvo.
Però, l'idea di presentarsi al ricevimento con lui l'aveva solleticata un po': giusto per vedere le facce di suo padre e sua madre, un modo come un altro per alimentare l'incendio del malumore che li stava consumando da quasi dieci anni ormai.
    -    Tanto cosa gliene importerebbe?- mormorò a sé stessa, scendendo le scale – In fondo, sono una pecora nera. Una che farà poca strada-

Quando fece scorrere la porta di vetro, la sala del Pharaoh's Kingdom venne spazzata da una potente raffica di vento: da dove venisse era un mistero, priva di qualsiasi tipo di finestra. Vento caldo e sabbia, che le pizzicò gli occhi e glieli fece lacrimare. Se li stropicciò debolmente, cercando di recuperare la vista mentre gli zoccoli suonavano argentini e nitidi sul pavimento nero.
La purosangue trottò verso di lei, in un movimento fluido ed elastico, le gambe come molle. Aki sbatté gli occhi e li fissò sulla creatura di fronte: elegante e bella come un'odalisca, scintillante nel suo candido manto, il collo cinto da preziosi ornamenti, la giumenta frustò l'aria con la coda un paio di volte, scuotendo il capo con aria altezzosa. Sotto il candore del suo manto, i muscoli guizzavano sotto la pelle come animati di vita propria; la cavalla la osservò con i suoi grandi occhi scuri, liquidi e scintillanti, pura onice incastonata in una meravigliosa scultura vivente.
Una seconda raffica di vento se la portò via. Aki sbatté ancora gli occhi, portandosi le dita alle tempie e massaggiandole con ampi movimenti circolari.
    -    Atem?!- chiamò.
Il Faraone fece capolino dalla sala di biliardo, con un ghigno malandrino sul volto.
    -    Ehilà! Spero di non averti spaventata!- esclamò poi, indicandola con un cenno della testa mentre usciva.
    -    Cosa...cos'era?!- domandò la rossa, incredula.
    -    Un cavallo! O meglio, una giumenta. Niente di particolare, stavo facendo solo un...esperimento. Una prova, per un'amica-
    -    Una prova-
Aki annuì, guardandosi intorno con sguardo spaesato.
La sala del Pharaoh's Kingdom era sempre la stessa: pavimento nero lucido, tavolini, poltrone e divani, il palco per le esibizioni e l'occhio di Ra che tutto vedeva; ma qualcosa dava una strana sensazione, quella giornata. Il silenzio regnava sovrano, lì dentro: non c'era il solito, allegro caos di quando arrivava al locale e tutti erano già pronti con le loro divise, a sistemare l'arredamento prima dell'apertura ufficiale. Aki osservò l'orologio al polso: erano appena le sei e un quarto, non così tardi...e non era neanche così in anticipo come pensava.
Quasi qualcuno avesse letto i suoi ansiosi pensieri, Judai comparve alle loro spalle. Vestito di tutto punto con la sua divisa, entrò di schianto dentro le cucine, facendo spalancare sonoramente le porte; Aki lo sentì dare qualche imperioso ordine e scambiare qualche battuta con i cuochi, prima che uscisse ancora, stappando con un secco gesto una lattina.
    -    Birra in lattina?- gli domandò Atem, attirando la sua attenzione – Lo sai che se Yusei ti vede bere quella roba, ti uccide?-
    -    Infatti lo faccio ben lontano da lui- rispose il castano, facendo spallucce – Ma se continua a mettere il blocco ai rubinetti, ha poco da incazzarsi-
    -    Yusei non beve birra in lattina se non strettamente necessario- spiegò Atem, in risposta allo sguardo curioso di Aki – Solo dalla bottiglia, anche se preferisce in assoluto la birra alla spina. Un po' come tutti noi qui...il problema è che la birra alla spina piace un sacco anche a Yuma-
    -    Un paio di settimane fa quel nano malefico si è scolato l'intera botte!- concluse Judai, un grosso sorriso sul volto – Avresti dovuto esserci, Aki! Yusei era paonazzo, te lo immagini?! “Ti ammazzo deficiente!” e tutte 'ste cose-
Aki ridacchiò: chissà perché, ma riusciva a vedere benissimo Yusei nella parte del barman isterico. Per quanto fosse silenzioso e discreto, i suoi scoppi erano forse ancora più rumorosi ed inaspettati.
    -    Ehi Aki! Hai portato con te il costume, vero?!- domandò Judai, dopo aver preso ancora un sorso dalla lattina. La rossa annuì, tastando la morbida superficie della sua borsa – Ottimo! Cambiati, mettiti la divisa e seguici di sopra!-
    -    Di sopra?!-
Con il braccio che reggeva la lattina, Judai le indicò il fondo della sala: la pianta di kensia era stata spostata, e ora si vedeva il muro che voltava l'angolo e scopriva una scala resa luminosa da alcuni led posizionati sotto i gradini. Aki sbatté gli occhi: non ci aveva mai fatto caso, prima.
Era forse lì che si nascondeva la famosa piscina?
Scambiò un'occhiata con Atem, che le sorrise complice prima di girare dietro il bancone e cominciare a prepararsi il suo consueto bicchiere di Martini. Aki lo osservò a lungo mentre miscelava sapientemente ghiaccio, alcol e sale, creando un cocktail a regola d'arte degno della foto di un manuale.
Avrebbe potuto chiederglielo? Aki si diede della stupida quasi subito, a quel pensiero, e corse giù per la scala che portava ai camerini, sbuffando stressata. Figurarsi se Atem era persona da stare dietro alle esigenze e alle fisime di una povera ragazza quasi scappata dalla famiglia: l'avrebbe ignorata, o più semplicemente le avrebbe riso in faccia e avrebbe poi detto di no...eppure un uomo come lui sarebbe stato perfetto per contrastare le gelide occhiate e le frecciate velenose della famiglia: bella presenza, l'attitudine di un intellettuale, lo sguardo lontano di chi si elevava, a ragione, su poveri mortali insignificanti e la lingua affilata e tagliente più di uno stocco. Cos'era, per lui, partecipare ad un ricevimento di ricconi? Poteva mischiarsi tranquillamente tra di loro e, se proprio le cose fossero andate male, avrebbe potuto confondergli le idee con qualche trucchetto dei suoi.
L'idea non era male.

Si ripromise di ripensarci su, quando finalmente salì sulla terrazza e scoprì che fine avessero fatto i suoi colleghi. Varcata l'ennesima porta di vetro e uscita dal cubo di cristallo che sovrastava la scala, Aki rimase un attimo a godersi la vista.
L'ondata di caldo dell'ultimo periodo aveva anticipato l'arrivo dell'estate con tale evidenza che erano stati tutti invitati ad indossare le divise estive; finalmente Yusei non doveva più passare tutto quel tempo ad arrotolare le maniche della camicia, e il suo dragone osservava il cielo che sembrava quasi specchiarsi nei suoi occhi dipinti e in quelli del suo proprietario. Aki gli rivolse un sorriso e un cenno del capo, prima di farsi avanti e guardarsi intorno.
Il pavimento in mattonelle bianche spariva in una piccola rampa di scale che sprofondava nella grande piscina rettangolare: la sua profondità cresceva mano a mano che si avanzava, illuminata dai faretti che, sotto il pelo dell'acqua, disegnavano bianche pennellate di luce. Accanto alla scala, un piccolo quadrato in marmo nero delimitava quella che doveva essere una vasca idromassaggio. Molto carino era il piccolo percorso che la piscina disegnava tra le due piccole costruzioni: la prima, quella più grande, racchiudeva i camerini e i bagni per i clienti, la seconda, più piccola e discreta, racchiudeva probabilmente i generatori, a giudicare dal sibilo attutito che proveniva dalle pareti. In quel piccolo canale luminoso, grossi parallelepipedi bianchi fungevano da vasi da cui le palme puntavano verso il cielo; di quegli esotici alberi la terrazza ne era circondata, spuntavano qui e là così come i tavolini, le sdraio e le poltroncine. Poco più in là c'era un altro palco per le esibizioni, dove un grosso pannello verticale doveva fare da scenografia, e dalla parte opposta stava il bancone presso cui Yusei aveva già preso posizione. Judai gli volteggiò (sì, ebbe davvero quell'impressione) intorno prima di portare due vassoi carichi di stuzzichini ad una grossa tavola già imbandita e piena di ogni ben di Dio che le veniva in mente: Yuzu e Anzu, insieme a Mana e ad un'altra ragazza dai capelli verdi (sul serio, ma proprio non riuscivano ad usare dei colori umani?!) si erano già create la loro composizione di frutta, mentre Alexis e Mai stavano tranquillamente a parlare sedute su un divanetto. L'argomento doveva interessare parecchio la cantante, perché stava ascoltando la compagna con molto interesse: le gambe elegantemente accavallate e il mento poggiato sulla mano destra, seguiva con lo sguardo gli ampi sventolii di mano della bionda dagli occhi grigi. Yuma e Yuya stavano cercando di sistemare l'impianto audio, preparandolo per l'esibizione: ogni tanto si sentiva una forte risata salire dal coloratissimo duo.
Con la bella stagione, apriamo la terrazza- le spiegò la voce di Atem, sopraggiunto alle sue spalle – Quattro serate su sette saranno organizzate qui, tempo atmosferico permettendo ovviamente. Ma direi che questa sarà una serata fortunata: non ci sono nuvole-
Aki lo imitò e alzò lo sguardo: incorniciato dalle cime dei grattacieli, il cielo di Nuova Domino si stava trasformando in una gigantesca tavolozza di colori, dove l'azzurro e l'oro accecante del sole cominciavano lentamente a sfumare nel rosso del tramonto. Più in là, gli occhi erano abbagliati dallo scintillante riverbero del sole sul mare, lì dove qualche vela solcava temeraria le onde.
Davvero una bella vista.
Stasera ci divertiremo- le promise Atem, allontanandosi poi a rubacchiare qualche scaglia di formaggio dal tavolo.
    -    Che te ne pare?- domandò Yusei, affiancandola silenzioso, le braccia incrociate al petto – Non si sta affatto male, qui-
    -    Direi proprio di no- annuì la rossa, sorridendo – Davvero, è un posto fantastico, riserva continue sorprese-
    -    Sono contento. Che ti trovi bene, intendo. Ti trovi bene, vero?-
    -    Yusei, credo tu abbia ormai capito che se una cosa non mi sta bene, lo faccio capire-
    -    Lo so rosellina, la domanda era retorica. Ultimamente mi sei parsa...strana. Distratta. Come se qualcosa ti preoccupasse-

Era anche attento. Davvero, cosa poteva chiedere di più ad uomo? Aki si morse il labbro inferiore, abbassando lo sguardo.
Yusei era davvero strano, sotto molti punti di vista. Non era solo per il suo essere, per la maggior parte del tempo, silenzioso e accigliato, e non centravano solo il suo tatuaggio e il segno dorato che gli percorreva il volto: sembrava capace di leggere le persone bene quasi quanto Atem, con la differenza che lui non faceva strani giochi con la mente e la percezione altrui. E l'aveva notato anche vedendolo a confrontarsi con Judai o i due Yu che l'aiutavano al bancone: Yusei sembrava preoccuparsi sempre molto per loro, allo stesso modo di come li riprendeva aspramente quando combinavano qualche guaio dei loro. Per qualche motivo, Aki era convinta che tutto quel riguardo che nutriva nei loro confronti, Yusei non lo riservava per sé stesso.
Le cicatrici sulle braccia le davano conferma. Non erano molte, ma erano piuttosto profonde e brutte: una gli attraversava diagonalmente il dorso della mano destra, un'altra spuntava da sotto la stessa manica. Un altro taglio, più lungo e profondo, gli incideva l'interno dell'avambraccio sinistro, e qualcosa le diceva che quel bel tatuaggio a forma di testa di drago servisse a coprire un altro segno.
Perché? Come se li era procurati?
    -    Ne vuoi parlare?-
La voce di Yusei era sempre bella, però. Bassa, lievemente vibrante, capace di diventare forte quando c'era bisogno di dare ordini o richiamare qualche collega indisciplinato. Sembrava capace di accarezzarla e metterle sicurezza solo con le parole.
    -    ...Niente di così particolare- disse poi lei, scrollando le spalle – Ho sentito i miei, ultimamente-
    -    Oh. Tutto bene?-
Glielo chiese con quel tono sincero ed interessato di chi sapeva cosa le stava passando per la testa.
    -    Sì beh, non abbiamo parlato molto, io e mia madre. Andava piuttosto di fretta-
    -    Sbaglio o non è la prima volta?-
    -    No, non sbagli-
    -    Beh, che cosa vi siete dette allora? Cos'è che ti fa preoccupare così tanto?-
    -    L'invito ad un ricevimento di famiglia-
    -    Oh?-
    -    Un mio cugino intende ufficializzare il suo fidanzamento, e seguendo la tradizione familiare verrà tenuto un ricevimento nella tenuta di famiglia-
    -    Credo di aver capito: è quella roba che si vede anche nei film? Con i teli bianchi, i sommelier, i camerieri e tutti vestiti eleganti, a far finta di essere interessati reciprocamente all'intera faccenda mentre scroccano cibo a buffet e si vantano di loro meriti gonfiati ad arte?-
Neanche un cavaliere su un destriero bianco mentre le porgeva un mazzo di rose avrebbe creato quella stessa vertigine allo stomaco. Aki annuì, passandosi una mano sul collo.
Era anche capace di sfoderare del sarcasmo così artistico e raffinato, che si stupiva di come non si trovasse uno stuolo di pretendenti sotto il portone di casa. E lei si era innamorata di uno così.

Il cuore le mancò un battito.
Innamorata?
Innamorata?!
Un mezzo sorriso le curvò le labbra, gli occhi che vagavano nel vuoto.
Era stato stranamente semplice, più di quanto pensava, ammetterlo a sé stessa. Se ne stava innamorando, piano piano, con quella centellinata lentezza di un fiore che schiude i petali. A furia di conviverci, di passare ore insieme, e di trovare le affinità mentali più disparate, se n'era davvero invaghita, come la più stupida e frivola protagonista di romanzetti rosa.
    -    Sì, proprio così- rispose Aki, arricciandosi una ciocca intorno all'indice sinistro.
    -    Ah beh, buona fortuna allora, sai che barba...- borbottò Yusei, stringendosi nelle spalle.
Aki prese un profondo respiro, ignorando il desiderio di fracassarsi il cuore in mille pezzetti minuscoli. O mettergli le mani al collo, la tentazione era molto forte.
    -    E mi hanno gentilmente invitata a non presentarmi da sola- continuò poi, con una lieve nota d'imbarazzo nella voce.
    -    Sarebbe?-
    -    Sarebbe che presentarsi ad un ricevimento di fidanzamento, senza qualcuno al tuo fianco...non è considerato molto elegante-
    -    ...Non ha senso questo, lo sai vero?-
    -    Certo-
    -    Insomma, dov'è scritta questa regola? Se non ho nessuno, o nessuna nel mio caso, al mio fianco è perché forse non la trovo? Non c'è nessuno che sia realmente disposto a stare con me? Succede, l'anima gemella non si trova subito...ma non per questo ti meriti di essere eclissata o cose del genere-
    -    Io sono eclissata a prescindere, Yusei. Lo sono da quando ho deciso di staccarmi dal mio nucleo familiare-
    -    A maggior ragione! Se davvero non sei più così importante per loro, presentarsi da sola o presentarsi in compagnia che differenza fa?-
    -    Non lo so. Bel mistero anche questo-
    -    Mmmh...hai trovato l'accompagnatore, almeno?-
    -    Macché. Le uniche persone con cui ho contatti con abbastanza frequenza siete voi. Non mi è interessato fare amicizia col vicinato. Tra l'altro c'è quella specie di arpia del piano di sotto che è convinta io voglia rubarle il marito, la mia non è una convivenza felice-
    -    Cosa non si fa per denigrare le ragazze giovani e carine, eh?...vengo io-
Ci mise un po' per registrare il reale significato di quelle parole, ma quando Aki comprese cosa avesse realmente detto, sentì le guance andare letteralmente a fuoco lento. MOLTO lento.
    -    Co-come?!- domandò poi lei.
    -    Mi hai sentito, no?- rispose Yusei, le braccia conserte al petto e un'alzata di spalle – Ti farò da...accompagnatore. Così non sarai da sola-

    -    Yusei...no-
    -    No?!-
    -    No, davvero. Ti ringrazio per la proposta, sei molto carino ma-ma non posso. Non posso-
    -    Non puoi cosa? Che vuoi dire?-
    -    Non posso costringerti a passare una giornata in quell'assurda casa, con quell'assurda gente e quell'assurda atmosfera di perbenismo forzato perché si deve apparire perfetti ad ogni costo! La famiglia felice del cazzo!-
Aveva urlato?! Non se n'era resa conto, ma gli sguardi lanciati dai suoi compagni parlavano molto chiaro. Aki si lasciò sfuggire un sospiro, accarezzandosi le braccia lasciate nude dalla camicia senza maniche.

    -    Ti ringrazio Yusei, ma...devo farlo da sola- rispose poi – Tanto non mi importa davvero di cosa pensano, di me. Io non...Yusei?!-
Si era allontanato senza dirle niente, tornando al suo bancone, cominciando a preparare qualcosa con grande foga e senza smettere di guardarla. Con il cielo che imbruniva alle sue spalle, Yusei sembrava averne rubato il colore con i suoi occhi, resi affilati dallo sguardo intenso che tanto resemblava quello del suo drago. Aki rimase in silenzio, incapace di sostenere il suo sguardo a lungo e spostando i suoi occhi nocciola sulla palma vicina al bancone.
Tornò da lei con un bicchiere collins in mano: Aki riconobbe il suo analcolico preferito. Yusei le fece cenno di prenderlo, la ragazza accettò nonostante la titubanza iniziale.
    -    Se non ti importasse davvero di cosa pensano, non ti ci arrovelleresti il cervello con tanta intensità, o no?- le domandò allora, le mani sui fianchi.
Aki alzò gli occhi verso di lui, osservandolo con lo sguardo sperduto di un animale a cui erano state tagliate tutte le vie di fuga. Yusei si convinse a sciogliersi un po', se non altro per tranquillizzarla e non apparire come un grosso, burbero bacchettone mangiatore di ragazze indifese.
Sentiva distintamente gli occhi di Judai puntati addosso. Quasi gli sembrava di vederlo alle sue spalle, accanto al tavolo del buffet, a sgraffignare stuzzichini quasi fossero pop-corn in una sala cinema.
    -    Ti comporti come se non te ne importasse niente, e invece te ne importa eccome- incalzò il giovane – Altrimenti non ci staresti così male. Anzi, con ogni probabilità avresti silurato l'invito. Avresti inventato qualcosa del tipo “No no, ho mal di testa” o una di quelle scuse idiote da femmine e ti saresti risparmiata l'incombenza e l'umiliazione. E sinceramente, dopo aver ascoltato quel poco che mi hai confidato--

    -    Quel poco che ti ho confidato non significa nulla!-
  -    Ah davvero? Bocciare ogni iniziativa della figlia non significa nulla?! Ascoltami bene: mio padre è sparito prima che io potessi camminare decentemente, e di mia madre ho a malapena una foto, ma qui non serve un genio per capire che questo è scorretto!...O forse sono i segni che ho addosso il problema?-
    -    I...segni?!-
Istintivamente, lo sguardo di Aki si posò sul tatuaggio dorato che si allungava dall'occhio sinistro.
    -    Ho fatto degli sbagli, è vero- sbottò poi – E tanti anche, alcuni anche grossi. E ho pagato per ciascuno di essi. Non mi pento né mi vergogno di quello che ho fatto, perché era tutto solo per aiutare chi mi stava accanto!-
    -    Ora sei tu che stai fraintendendo. Non ho pensato a quello- rispose Aki, con uno sbuffo – Io...io voglio solo evitare di mettere nei guai gli altri, perché è così che finisce sempre. Ovunque vada, succede qualcosa!-
    -    Aki...! Oh santo cielo...! Vie-vieni con me, forza. Dai!-

Incalzata dal barman, la rossa lo seguì docilmente dietro al bancone, incapace di riconoscersi nel suo atteggiamento. Chiunque altro le si fosse rivolto con quel tono avrebbe rischiato di perdere un braccio, come minimo...e lui le aveva appena sbraitato in faccia, con un'aria non esattamente gentile. Eppure non si era tirata indietro né aveva provato l'impulso di rispondergli a tono.
Perché?! Cosa stava succedendole?!
Affranta, prese un sorso di analcolico: neanche a dirlo, era dolce come quello dell'altra volta. Si leccò le labbra, confusa.
Non era giusto, non era pronta per una cosa del genere.
    -    Non so nello specifico cosa succedesse in casa tua- riprese il giovane, scrivendo qualcosa al cellulare e poi lasciandolo sul ripiano – Mi hai raccontato il raccontabile, immagino. Quello che si poteva dire senza esagerare. Ma se stai così male al solo pensiero deve esserci un motivo valido-
    -    ...Io non sto male-
    -    Continua a raccontarti belle favolette, Aki. Guarda che si vede, è palese-

Lo era davvero, e Yusei non comprendeva il perché tutta quell'ostinazione a volersi chiudere in sé stessa e privarsi di un contatto umano vero. Altro che mettere su le spine, Aki era l'unico fiore all'interno di un intricato groviglio di rovi e faticava a sbocciare.
Eppure era così dannatamente evidente, che Yusei sentiva il proprio sistema nervoso saltargli in blocco. Era preoccupata, era visibile in ogni suo sguardo e gesto: sorrideva ma non più come l'avevano conosciuta, era più seria e accigliata e restava fin troppo tempo in silenzio. Nei precedenti giorni, quando l'aveva aiutato al bancone, aveva a malapena spiccicato parola.
Cosa scattasse, nel cervello delle ragazze, da far loro rispondere “Niente” alla domanda “Che c'è?”, Yusei non l'aveva mai capito. Così come non aveva mai compreso cosa spingesse le persone a negare i propri malesseri. Ma il cambiamento in Aki era stato così radicale che l'aveva prima insospettito e poi preoccupato.
    -    Stai male, e vuoi nasconderlo. Intento nobile ma vano, perché come avrai capito si vede- rispose poi – E io non intendo lavorare con una musona-
    -    Io non sono una musona- lo rimbeccò lei, protendendo le labbra in un delizioso broncetto che lo fece sorridere.
    -    No?! E che cosa stai mettendo su adesso? Aki, se non vuoi che venga dimmelo, liberissima di farlo, rispetterò il tuo desiderio! Tra l'altro ho sbagliato, lo ammetto, ad autoinvitarmi come un cretino, ma cosa posso farci? Vedo una mia collega stare male, preoccuparsi, e mi preoccupo anche io! E adesso perché sei tu, ma poteva essere chiunque! Poteva essere Yugi, poteva essere Yuma, poteva essere quel fesso di coinquilino che mi ritrovo...-
Alle loro spalle, Judai imprecò quando gli cadde dalle mani un pezzetto di formaggio.
    -    Poteva anche essere il tuo gatto per quello che ne so io...-
    -    Mai avuto gatti, sono animali opportunisti che considerano le persone mobilio a sangue caldo-
    -    Aki, era un modo di dire...-
    -    ...Perdonami-
    -    Figurati, per così poco! Ma il senso della storia rimane. Stai male, sei mia collega e amica ed è lecito che mi preoccupi per te. È così che fanno gli amici, giusto? GIUSTO BESTIE?-
    -    Giusto!- esclamarono in coro Yuma e Yuya, ancora a litigare con i vari cavi e fili.
    -    Così funziona, tra amici. Sempre che tu mi consideri amico, ovviamente-

Eh, bella domanda. Il ragazzo che popolava i suoi sogni notturni da due settimane, ormai, era catalogabile come “amico”? Aki si mordicchiò l'unghia del pollice, poi scosse il capo.
    -    Proprio perché ti considero un caro amico, voglio evitarti il supplizio- gli rispose poi – Perché soffrire in due quando uno basta?-
Yusei sembrò deporre le armi: alzò le mani in gesto di resa e sorrise.
    -    Non insisterò- disse poi – Ma qualsiasi cosa, anche se dovessi ripensarci nel cuore della notte, non farti scrupoli, okay?-
    -    Okay-
Aveva davvero il sorriso più bello del mondo.
    -    Ehi, ora che mi viene in mente...hai il cellulare con te?- le chiese allora in tono curioso.
    -    Sì-
    -    Posso?-
    -    ...Accomodati-
    -    Puoi sbloccarmelo prima?-
    -    Cosa vuoi fare?- domandò allora Aki, mentre inseriva rapidamente il codice di sblocco.
    -    Solo controllare una cosa. Dammi un secondo...-
Aki rimase ad osservare assorta il volto di Yusei, concentrato sullo schermo: gli occhi blu riflettevano debolmente la sua luce.
    -    Ehi, non hai il mio numero? E non ti vergogni?-
Glielo disse col sorriso, e Aki realizzò che le sue capacità di comprensione si erano notevolmente ridotte. La rossa lo vide digitare velocemente un numero sulla rubrica e salvarlo, prima di restituirle lo smartphone.
    -    Ecco qua! Immagino passerai l'intera giornata al telefono, no?- le domandò poi – Ebbene, se avessi voglia di farti una chiacchierata, o anche solo di inviare qualche messaggino, hai anche il mio numero!-
    -    O-okay!-
    -    Ora me lo fai un sorriso? Uno dei tuoi, dai...quello bello!-
E se glielo chiedeva così era impossibile dirgli di no. Le labbra di Aki, appena colorate dal gloss, si stesero in un dolce sorriso che sembrò riflettersi sul volto di Yusei.
    -    Adesso va molto meglio- le disse poi, prima di alzare lo sguardo e rivolgersi ai due Yu – Ehi voi! Che diavolo combinate laggiù?!-
    -    Che cosa vuoi che ti dica! Ho il gomito sdrucciolevole!- esclamò Yuma, una volta terminato di districarsi da quello che sembrava un autentico groviglio di fili e cavi.
    -    Ma cosa vuol dire!- sbottò Yuya, le mani infilate tra i capelli bicolore – Esiste una cosa come il gomito sdrucciolevole?!-
    -    Certo che esiste! Guarda qua! Guar-- no, devi guardarmi però! Prendo il cavo...comincio ad arrotolarlo LENTAMENTE intorno alla mano e al gomito...e alla fine mi ritrovo COSÌ! Ti sembra normale?!-
    -    Tu non sei normale, Yuma...-
    -    Ha parlato lo stramboide...il bue che dà del cornuto all'asino, proprio!-
Yusei si scusò frettolosamente con Aki, dirigendosi a passo di carica verso i due Yu.


****

La ragazza dai capelli verdi si chiamava Kotori e, intuibile, era grande amica di Yuma. Ultimamente si vedevano poco, a causa del lavoro di lui e degli impegni universitari di lei, ma quella sera era riuscita a ritagliarsi finalmente del tempo per andare a trovare il suo migliore amico. Era tremendamente carina e tenera, molto in confidenza con Yuzu, un po' meno con Mai, ma con la seconda il problema era generale: nessuna, perfino Anzu, sembrava capace di reggere le sagaci battutine maliziose della bella cantate che si sarebbe esibita la seguente serata.
Sul palco, quella sera, c'era di nuovo il corpo di ballo delle “ventriste”, come le aveva chiamate Judai. Tra le melodie orientali, le percussioni e i campanelli, erano una decina le ragazze che muovevano i loro corpi a ritmo di musica, giocando con veli, trasparenze, ventagli e spade turche, allietando gli occhi della folta clientela del Pharaoh's Kingdom. Alcuni di loro erano già in acqua, a rilassarsi tra le bolle dell'idromassaggio: Aki provava giusto un po' di invidia per loro, così tranquilli e distesi mentre lei stava lentamente cominciando a sudare un po' troppo. Fare avanti e indietro a quella temperatura era molto più faticoso del previsto, e l'avere le braccia completamente nude non aiutava affatto.
Dovette passare la mezzanotte, prima che Atem decidesse di mostrarsi, a modo suo.
L'aveva visto da lontano: era rimasto a parlottare con Yugi per qualche attimo, invitandolo ad usare il cellulare per una foto – o video, con un gesto inequivocabile. Si era poi chinato a terra e aveva cominciato a slacciarsi le scarpe, sotto lo sguardo divertito ed incuriosito dei presenti. Chissà cosa pensavano, in quel momento.
Forse che il proprietario del Pharaoh' Kingdom fosse un po' suonato.
Lasciò le scarpe accanto a Yugi, intento a riprendere tutta la scena con il suo smartphone; Atem gli lasciò in consegna anche il suo portafoglio, il telefono e la giacca. Slacciò uno ad uno i bottoni della camicia, gli porse anche quella; poi si voltò con un gesto fluido, e si diresse verso la piscina, sotto lo sguardo incuriosito degli avventori. Qualcuna fece un sottile commento di apprezzamento, appena percettibile: con la coda dell'occhio, la rossa individuò Mana voltarsi verso la voce. Non se la sentiva di giurarci, ma sicuramente aveva lanciato un'occhiataccia in quella direzione. Totalmente ignaro, assorto in qualche suo pensiero, Atem mise piede sull'acqua.
In un primo momento, Aki pensò di aver visto male: sbatté gli occhi incredula, lasciando ricadere le braccia ai lati del suo corpo e reggendo a stento il suo vassoio vuoto, ma le esclamazioni di stupore di chi era lì intorno le fecero intendere che no, non aveva visto male, stavano tutti guardando la stessa cosa. Atem mosse un passo dietro l'altro con naturalezza, come se stesse ancora camminando sul pavimento: l'acqua sotto i suoi piedi nudi vibrava appena, dipingendo piccole onde circolari che si espandevano piano piano ma non si apriva per inghiottilo, come se una forza invisibile si concentrasse sotto le sue piante e lo sostenesse. Arrivò così fino all'altro lato della vasca, lì dove il fondo toccava il metro e mezzo: si inginocchiò, portando le ginocchia a contatto con l'acqua: quella vibrò ancora, senza subire altre variazioni. Atem immerse le mani nell'acqua, quasi a volerle lavare, le passò entrambe tra i capelli, inumidendoli un poco prima di alzarsi in piedi e lasciarsi cadere all'indietro, le braccia spalancate.
L'acqua si spalancò appena la sua schiena la infranse, e lo inghiottì in un abbraccio bluastro. Qualcuno si alzò dalle poltrone per osservare meglio, tutti si avvicinarono al bordo della piscina, aspettandosi di rivedere Atem risalire. L'acqua ritornò calma e piatta com'era prima del tuffo, e del Faraone non sembrava esserci traccia, neanche sul fondo della piscina.
Riapparve sul palco, attirando l'attenzione generale con un singolo, secco battito di mani: completamente rivestito di camicia e scarpe, la giacca posata sulle spalle al suo solito modo, non aveva un centimetro di pelle o indumento che fosse bagnato o appena umido, come se mai si fosse tuffato. Yugi trasalì alla scena, si toccò con la mano sinistra le tasche dove Atem gli aveva infilato portafoglio e telefono, ma fu lui a cavarli fuori dalle sue tasche e mostrarglieli con un grosso sorriso. Il ragazzo non smise mai di filmare.
E come la precedente volta, Atem ignorò gli applausi festosi della folla colpita dalla performance. I suoi occhi si spostarono lontano, verso l'unico, silenzioso spettatore che non lo acclamava.

L'intera crew del Pharaoh's Kingdom si gelò sul posto.
Seto Kaiba era rimasto sulla soglia della porta di vetro; impeccabile nel suo completo nero e la cravatta blu, osservava Atem da lontano, con due occhi blu che sembravano inchiodare chiunque sul posto. E nessun altro a parte loro sembrava essersi reso conto della sua presenza, a parte Atem ovviamente. Scese dal palco delle esibizioni e scomparì momentaneamente nella folla, prima di ripresentarsi e fronteggiare il rivale occhi negli occhi.
Aki si allontanò prudentemente, osservandoli in disparte. La differenza di altezza tra i due era lampante: forse era Kaiba ad essere esageratamente alto, e la sua figura stoica e impassibile contribuiva a far sembrare chiunque più piccolo, ma torreggiava sul Faraone con sguardo impietoso e labbra strette. Atem gli rivolse un mezzo sorriso, gli occhi ametista che scintillavano.
    -    Di nuovo, buonasera- esclamò poi – A cosa devo il piacere della tua visita?-
    -    Ti piace sempre perdere tempo con i convenevoli, a quanto vedo- rispose Kaiba, la voce gelida tanto quanto i suoi occhi.
    -    E a te piace sempre svincolare da qualsiasi tipo di parola gentile da rivolgere al prossimo. Certe cose non cambiano mai-
    -    ...Una settimana è passata, Atem-
    -    Davvero? Il tempo vola, ragazzi...-
    -    Ho temuto avessi abbandonato la sfida-
Sfida? Di quale sfida parlavano? Aki sbatté gli occhi incredula, mentre il Faraone prendeva a giocherellare con un mazzo di carte dal dorso dorato, uscito da chissà dove.

    -    L'idea non mi ha mai minimamente sfiorato il cervello- rispose Atem, con un sorriso e un'alzata di spalle, mentre le percussioni scandivano il ritmo della nuova esibizione – Semplicemente volevo farti sbollire un po' di adrenalina-
    -    Sbollire, dici. A me-
    -    A te-
    -    Pensi ne avessi bisogno?-
    -    Il tuo scherzetto è quasi costato un cuore nuovo-
    -    Cose che capitano-
    -    Non si gioca con la vita altrui-
    -    Proprio tu ne parli-
Fu un attimo. Un solo, insignificante momento sospeso nel tempo, ma fu percettibile a tutti loro che gli stavano intorno, Kaiba compreso. Per la prima volta da quando era comparso, il suo inflessibile sguardo era lievemente vacillato, in risposta alla stilettata inflittagli dagli occhi ametista del Faraone, rabbuiatosi all'improvviso.
    -    Sappiamo entrambi come sono andate le cose- concluse lui – E quale prezzo è stato pagato. Io non commetterò lo stesso errore una seconda volta, ma non lascerò certo che sia tu a farlo-
    -    Se è questo che temi, allora puoi rasserenarti- rispose Kaiba, sostenendo il suo sguardo - Non intendo sbagliare, io-
    -    Felice di sapere che il tuo egocentrismo non ha del tutto ingoiato il tuo buonsenso!-
Il Faraone si sciolse finalmente in un sornione sorriso; in quel momento, Aki riprese a respirare autonomamente. Con un veloce, fluido ed elegante gioco di dita, Atem aprì il mazzo di carte a ventaglio, lo richiuse, lo divise in tre piccoli mazzetti che fece ruotare sapientemente tra le sue dita, fino a mostrare a Kaiba un'unica carta.
    -    Your move- gli disse poi, senza perdere il suo sorriso.
La carta mostrata era un singolare jolly: il corvo nero se ne stava fieramente appollaiato su una Regina caduta, posata di traverso su una scacchiera. Kaiba abbassò gli occhi sulla carta, osservandola impietoso.
Il corvo si voltò verso di lui: tre occhi si schiusero all'unisono.

****



    -    Quel tipo mi fa paura. Mi fa paura davvero- mormorò Aki, stringendosi nelle spalle.
    -    Non piace neanche a me- confermò Yusei, tornato da una lunga serie di bracciate – Ma ad Atem sembra stare mortalmente simpatico. Il perché o il come sia possibile non lo conosco-
Aki si strinse nelle spalle, continuando a dimenare le gambe nell'acqua, seduta a bordo piscina. All'altra sponda, dove l'acqua era più profonda, Yuma, Yuya e Yugi stavano divertendosi con una serie di tuffi sincronizzati, mentre le tre rispettive compagne si divertivano a scattare foto. Alexis era seduta ben comoda nella porzione di vasca riservata all'idromassaggio, e chiacchierava con Judai che, lì vicino, galleggiava sulla schiena. Atem stava facendo qualche gioco di carte a Mana e Mai, usando lo stesso mazzo di carte dal dorso dorato.
    -    Che ti è parso, di questa serata? Piaciuta?- domandò Yusei, appoggiandosi con i gomiti a bordo della vasca. Aki gli sorrise e annuì.
    -    Non avevo ancora visto la terrazza, non pensavo fosse così bella- rispose poi, l'indice sinistro che si arrotolava intorno una ciocca scarlatta.
    -    A fine turno, il bagno qui è d'obbligo. È bello vedere il sole sorgere-
Anche stavolta, Aki non poté fare a meno di annuire. Sorrise, osservando distratta il volto di Yusei, a sua volta perso nella contemplazione di qualcosa di irraggiungibile, un punto lontano a lei non visibile.
Era bello guardarlo anche così, con il volto assorto in chissà quale pensiero. In quei momenti, il suo sguardo si scioglieva in un'espressione più serafica, più rilassata, come un mare che si chetava dopo una forte burrasca. E del mare aveva il colore degli occhi, l'azzurro chiaro dell'acqua a riva e il blu profondo del largo: il contrasto che avevano sulla pelle ambrata era destabilizzante, così come quello delle sue cicatrici sulle braccia e sull'addome.
Quando l'aveva vista per poco non le era cascata la mandibola a terra, e con suo grande scorno Judai se n'era accorto, scoppiando a ridere come un pazzo. In effetti, e questo lo aveva notato con un certo imbarazzo, i suoi occhi avevano indugiato troppo sul ventre del ragazzo: solo non se l'aspettava di trovarselo di colpo davanti così, non aveva colpe!
Non era stato un problema, per lei, mettersi in costume di fronte a degli sconosciuti, lo faceva periodicamente ogni estate nelle sue giornate al mare, ma sapeva che il vero problema sarebbe sorto quando anche Yusei li avrebbe raggiunti in piscina, e così era stato: era rimasta qualche secondo di troppo ad osservargli il torace piacevolmente affusolato, con i muscoli addominali in risalto contro la pelle e quelli del petto turgidi e sodi, ed era stato allora che Judai non aveva potuto fare a meno di puntare il dito sui suoi occhi scintillanti. Il suo sguardo, però, era stato attirato anche dal segno che lo attraversava sul ventre, sfregiandogli la pelle in diagonale poco sopra l'ombelico: ad occhio superava di poco la decina di centimetri, ma era la sua estensione a preoccupare. Sembrava che qualcosa avesse scavato a fondo nel suo corpo una prima volta, infliggendogli il taglio più grande, prima di sferrargli altri due colpi che si erano richiusi trasversalmente sulla prima cicatrice: Aki tremava al solo pensiero, ma quelle sembravano davvero ferite da arma da taglio.
Come se l'era procurate? Yusei aveva detto di aver commesso degli errori in passato, errori che aveva pagato: centrava forse qualcosa con le sue cicatrici? E con il segno dorato sul suo volto?
    -    A che pensi?- domandò ad un certo punto il ragazzo, spostando gli occhi su di lei. Aki si riscosse, sbattendo gli occhi e stringendosi poi nelle spalle, in un gesto che Yusei le vedeva fare spesso e che trovava piuttosto tenero.
    -    A domani- rispose poi lei – Alla bella mattinata che mi aspetta-
    -    Mi prometti di chiamarmi, se succede qualcosa?-
    -    Cosa dovrebbe succedere?-
    -    Non lo so, ti stufi o litighi con tutti o sei ad un passo dallo strangolarli uno dietro l'altro-
Aki scoppiò a ridere, reclinando il capo all'indietro, gli occhi chiusi. Yusei puntellò il capo contro una mano e rimase a guardarla, aspettando che il suo scoppio d'ilarità si arrestasse ma imprimendosi bene nella mente quell'immagine.
Era raro vederla così rilassata e sorridente, ed era un vero peccato: non meritava tutte quelle preoccupazioni, non lei che si mostrava così volenterosa e moralmente buona. Se la stampò bene in mente la sua figura, seduta a bordo piscina mentre si sosteneva con i palmi delle mani, il bel sorriso che la ornava meglio di qualsiasi gioiello, i capelli rossi che le facevano da cornice e i begli occhi rivolti al sole che nasceva. Lo sguardo accarezzò le ciocche rosse lasciate più lunghe, scendendo fino al bel seno ricoperto dal due pezzi rosso.
Judai li stava osservando, e lo sapeva. Sentiva gli occhi del castano rimbalzare prima su Aki e poi su di lui, e chissà cosa lo stava trattenendo dal tirargli qualche insulto.
    -    Se succederà qualcosa sarai il primo a saperlo, te lo prometto- sorrise lei, voltandosi a guardarlo.
    -    Domani sera sei in turno?-
    -    No, ho preso l'intera giornata-
    -    Se non sei stanca ti va di passare? Non saremo in terrazza ma ci divertiremo lo stesso-
    -    Va bene!-
Aki sorrise, tornando ad osservare il sole sorgere oltre la cima dei grattacieli.
Chissà se anche quello era classificabile come “appuntamento”.


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Numero dieci, qui tutto per voi!
Come vanno le cose ragazzi? Qui sto spadellando tra manuali di preparazione in vista di un test d'ingresso universitario, sono impegnata in uno studio matto e disperatissimo e il ventilatore non basta ad alleviare le mie sofferenze per colpa del caldo...
Vi anticipo subito che il mese corrente verrà due aggiornamenti! Questo perché il capitolo attuale è stato rivisto e caricato in ritardo, e per quello che seguirà...beh, con tutto quello che avrò da fare durante il mese potrei ritardare ulteriormente la pubblicazione.
Intanto vi mostro qui, tramite link, la meravigliosa MV Agusta F4 Replica del Reparto Corse Superbike! Vero e proprio capolavoro motociclistico italiano, una delle moto più belle in circolazione! Yusei era felice come un bambino.

Ragazzi, ammetto di avere carenza di argomenti in questo ultimo periodo...sono forse troppo stressata e stanca. Ma se avete qualcosa da chiedermi, potete farlo! Messaggio privato, una recensione, quello che più vi piace!
Ci sentiamo presto <3

Rosaspina

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Capitolo 11
*** 9. Il principe azzurro ha la moto. ***


                9. Il principe azzurro ha la moto.






La sveglia suonò troppo presto per i suoi gusti: Aki provò l'invitante impulso di afferrarla e scagliarla a tutta forza contro il muro, ficcare la testa sotto il cuscino e chiudere di nuovo gli occhi, ignorando il suo insistente suono squillante, la giornata che l'aspettava, la sua famiglia che l'attendeva.
Mai con tanta riluttanza aveva lasciato il letto per fare la sua doccia ristoratrice. L'orologio mostrato sul display del telefono mostrava le dieci e un quarto: era andata a dormire cinque ore prima, quando la serata era stata ufficialmente chiusa ed erano tutti usciti dalla piscina per rivestirsi e tornare a casa. Yusei ci aveva tenuto a rinnovarle la sua disponibilità, esortandola a contattarlo se ci fosse stato bisogno; aveva poi aggiunto che poteva chiamarlo o scrivergli a qualsiasi ora, tanto aveva il sonno leggero e avrebbe risposto subito.
Mentre l'acqua calda della doccia risvegliava i muscoli e li scioglieva, Aki cominciò a prepararsi mentalmente alla giornata che l'attendeva. Non aveva esagerato, il giorno prima, con il descriverla a Yusei come un “pessimo spettacolo”.
Non sapeva cosa aspettarsi. I rapporti con i suoi familiari erano diventati a lei incomprensibili, quasi estranei, e tutto da quando aveva cominciato a manifestare diverse idee sul suo futuro, a quella che considerava una tenera età di quattordici anni. Esattamente dieci anni erano serviti, perché il loro rapporto prendesse una piega del tutto imprevista ed incontrollabile.
Un po', e questo doveva ammetterlo, se l'era cercata. Il nome Izayoi sembrava marchiarti a vita: si diventava avvocati del diavolo, ricchi proprietari di qualche industria, qualcuno si era dato alla medicina e in un paio d'anni si era ritrovato a vestire il camice del primario di un intero plesso ospedaliero. Il destino dei nuovi nati nella famiglia sembrava segnato, la strada verso il successo e la realizzazione spianata, in molti casi, a colpi di banconote.
Era la parte della realizzazione che Aki non comprendeva.
Si diceva sempre che il miglior regalo che si poteva fare, ad un figlio, era quello di instradarlo come meglio si poteva verso il raggiungimento del suo obiettivo finale: tutti sviluppavano una propensione ad una certa attività e tutti mostravano, inevitabilmente, delle attitudini che, con il tempo, diventavano sempre più evidenti. Tutti avevano bisogno di esprimersi in un modo a loro congeniale.
Il concetto non sembrava essere molto chiaro alla famiglia Izayoi e a chiunque girasse loro intorno. E la cosa che preoccupava tanto Aki, era che molti di loro non sembravano rendersi conto della cosa: partecipavano inconsapevolmente a quel gioco, gli veniva insegnato a mettere il successo e il buon nome della famiglia al primo posto ex-aequo, come se non ci fosse nient'altro di più importante. Si cominciava dagli anni scolastici fino a quelli universitari, per poi far trovare sedie pronte e comode in qualche ufficio dietro un'insegna altisonante.
Aki non aveva mai pensato a sé stessa come una futura impiegata di ufficio, ma negli ultimi anni aveva avuto seri dubbi perfino su quell'eventualità.

Sua madre, doveva ammetterlo, era molto protettiva, a detta sua anche troppo. Aki non era certo conosciuta per le sue manifestazioni d'affetto, che si limitavano a sorrisi tirati e qualche isolato abbraccio, ma sua madre sembrava il perfetto opposto a quella sua eccessiva rigidità. Con il tempo, il loro rapporto si era logorato, e la rossa non sapeva bene a cosa attribuirne lo scomodo “merito”: forse al fatto di essere cresciuta sviluppando atteggiamenti diversi da quelli sperati, forse alla sua poca propensione a mostrare affetto, che sembrava ereditata da quell'arpia avvizzita della zia Seiko. Forse aveva contribuito anche sua madre, dedicatasi anima e corpo alla direzione della sua catena di cosmetici.
Qualsiasi cosa avesse innescato quella lenta rovina, aveva trovato il suo culmine con la partenza di Aki. E lei lo sapeva, lo sentiva nelle loro voci quando parlavano al telefono, lo leggeva nei loro laconici messaggi: in qualche modo li aveva delusi.
A volte si chiedeva davvero se la sua scelta era quella giusta. Lasciare il nido familiare per cercare fortuna altrove...gli intenti erano nobili, certo, ma come stavano davvero i fatti? Aveva un esame da preparare, e in quei giorni a malapena aveva toccato i libri. E fosse stata stanca e provata dalle ore lavorative a cui era sottoposta avrebbe almeno avuto una giustificazione da usare, ma la realtà dei fatti stava proprio lì.
Non si sentiva affatto stanca. Non era affatto provata dalle sue otto, a volte dieci ore di lavoro notturno; che descritto così sembrava chissà cosa, e invece si trattava solo di portare qualche vassoio ai tavoli e, occasionalmente, di preparare bevande alcoliche. Niente di apparentemente deplorevole o umiliante, ma ovviamente dipendeva dai punti di vista, e quelli dei suoi familiari erano molto particolari.

Uscì dalla doccia proprio mentre il telefono le mandò il singolo segnale sonoro che la avvisava della ricezione di un messaggio. Come di consuetudine mattutina, era Judai che le augurava il buongiorno e le augurava buon riposo, prima di tornarsene a dormire ancora un po'. Aki sorrise, bloccando lo schermo dello smartphone e posandolo sulla piccola mensola sotto lo specchio del lavello.
Judai era un altro tipo che poteva meritarsi tranquillamente la definizione di “strano”, e stavolta senza particolari ripensamenti al discorso avuto con Yuya diversi giorni prima: erano proprio Yusei e gli altri membri della crew del Pharaoh's Kingdom a definirlo così. A prescindere dal fatto che fosse consapevole, o meno, dell'infatuazione di Alexis nei suoi confronti, sembrava che nulla potesse realmente scalfire la sua allegria, né farlo desistere dai suoi buoni propositi. E per quanto, a volte, venisse a tutti voglia di scaricargli un pugno in testa, per la faciloneria con cui trattava certe cose o fatti, gli volevano tutti indistintamente bene per quella ventata di allegria e positività che portava con sé. Sembrava quasi estraneo a cose come la negatività e il malumore: perfino Yuya, che si era rivelato uno dei più inclini a sorridere e scherzare, aveva a volte i suoi momenti no, degli attimi in cui sembrava rabbuiarsi e perdere tutta la sua allegria, e Yuzu era l'unica che sembrava in grado di risvegliarlo dal suo stato.
La crew del Pharaoh's Kingdom era un autentico ricettacolo di fenomeni, questo doveva ammetterlo: sei uomini, poco più che ragazzi, che collaboravano tra di loro e coesistevano tranquillamente nonostante i loro caratteri così contrastanti. Appena approdata in quel locale, Aki si era ritrovata di fronte ad una variopinta realtà fatta di serate nel lounge, spettacoli, sorrisi, sguardi d'intesa, battute e scherzi a volte cretini, come quello del ragno finto nell'armadietto di Yusei. Stando a quello che Judai le aveva raccontato, il ragazzo era, più che aracnofobico, totalmente avverso alla maggior parte delle specie di insetti esistenti al mondo: qualsiasi animale dotato di più di quattro zampe lo faceva gridare inorridito e fuggire a gambe levate mentre imprecava, e poco importava se la bestiolina in questione camminasse, saltasse, volasse o strisciasse.
Per qualche motivo, i suoi pensieri finivano sempre a vorticare intorno a Yusei.
La situazione stava diventando snervante. Forse era solo suggestione, ma la rossa percepiva chiaramente il battito del suo cuore accelerare vertiginosamente quando finiva con il ripensare al suo volto, o al suo sorriso, o alle occhiatacce rifilate ad un impiccione del calibro di Judai.
E neanche a dirlo, la precedente serata in piscina non sembrava affatto averla aiutata, anzi. Non aveva mai, in precedenza, visto il suo corpo per intero, se non quel primo giorno quando gli era capitato di restare con le grazie al vento; ma quella sera era arrivato il colpo di grazia per i suoi ormoni già duramente compromessi. E va bene, aveva intuito qualcosa a furia di osservarlo, ma un conto era immaginare e un altro era ritrovarselo davanti così, senza magliette inutili. La scorsa volta, quando lo aveva incontrato sulla moto, le era tornata in mente la pubblicità di un profumo maschile, ma quella sera i pensieri che le si erano accavallati in testa erano impossibili da esporre senza apparire come una depravata. E il bello era stato che Yusei se n'era anche accorto, accidenti a lui...! Le aveva sorriso allegro, aveva reclinato lievemente il capo e le aveva anche detto “Se vuoi mi avvicino, così vedi meglio”. Roba che Judai gli era spuntato dietro la spalla sinistra come un gufo ficcanaso, gli occhi castani spalancati e le labbra piegate nel mefistofelico sorriso del gatto stregato di una certa favola...
Lui sapeva. Sapeva, o forse se lo immaginava e basta, e ci prendeva anche gusto a punzecchiarla. Eppure lei non riusciva proprio ad esserne infastidita, anzi.
Scorse con il dito sulla rubrica del telefono, scrutando nell'applicazione dei contatti, lì dove Yusei aveva aggiunto il suo numero. Non le aveva chiesto il suo, dandole tutto il diritto di scegliere se concederglielo o meno, e lo trovava un gesto molto carino da parte sua. Sapeva che il modo in cui si erano conosciuti era decisamente atipico, e forse sentiva la necessità di fare un passettino indietro e rimettere a posto quella palizzata che aveva sfondato...non di prepotenza, ma quasi. Ma il suo interessamento era genuino e sincero, e gli era grata per quel suo essere così premuroso verso di lei.
Almeno sapeva che a qualcuno importava qualcosa.

L'auto arrivò sotto il suo palazzo che l'orologio segnava un quarto a mezzogiorno, come pattuito precedentemente per messaggio telefonico: Aki riconobbe dalla finestra l'elegante coupé nera fermatasi di fronte al portone. Si diede una rapida occhiata allo specchio del bagno, prese un profondo respiro e si riappropriò del cellulare sulla mensoletta, prima di afferrare la borsetta e correre verso l'ascensore.
Era ancora in tempo per boicottare tutto. Poteva tranquillamente rimandare indietro l'autista e denigrare l'invito, a costo di litigare: almeno avrebbe impiegato il tempo in qualcosa di produttivo e avrebbe litigato per un valido motivo.
Strinse il telefono nella mano destra con forza.
Sarebbe stata una lunga giornata.



Ritrovò Yusei nel garage, al suo solito, per una volta non concentrato su qualche lavoretto sulla moto: a quanto aveva capito il ragazzo aveva finalmente trovato una buona mappatura per la centralina, e il problema dell'erogazione dell'intera cavalleria a disposizione del bicilindrico era stato finalmente risolto. Tuttavia la musica era a volume alto lo stesso, e lui se ne stava poco lontano dalla sua moto, vicino a quei pochi attrezzi ginnici sistemati lì con il tempo. Prono su un tappetino scuro, con i piedi uniti e le braccia divaricate, scendeva lentamente fino a sfiorare il terreno, la schiena dritta e rigida come una tavola, prima di tendere i muscoli delle braccia e risalire. Era in perfetto silenzio, concentrato sui suoi esercizi, la schiena lucida di sudore quanto bastava per fargli capire che era da un po' che stava allenandosi. Senza dire una parola, conscio del fatto di non essere udito a causa dell'alto volume della musica, Judai scese velocemente gli scalini metallici, bruciò la distanza che lo separava dal suo coinquilino e, una volta vicino a sufficienza, eseguì una mezza piroetta per andare poi a sedersi sulla sua schiena. Yusei sbuffò un'imprecazione, sorpreso, Judai lo zittì quasi subito mentre riprendeva a scrivere sul cellulare.
    -  Zut! Continua con le tue flessioni, soldato!- esclamò poi, in tono noncurante.
    -  Fai pena...come Sergente Maggiore Hartman- sibilò Yusei, facendosi forza e sollevandosi ancora, nonostante il nuovo, improvviso peso sulla schiena.
    -  Non sprecare il fiato, soldato! A quante sei arrivato?-
    -  Novantadue...con questa qui-
    -  Miri al cento?-
    -  Ne faccio sempre cento...!-
    -  Ah allora scusa. Non ti ho mai visto allenarti-
    -  Ti ho per caso...risvegliato di nuovo...che stai facendo così lo stronzo?-
    -  Ma sentitelo! Invece di ringraziarmi...ho aggiunto un carico, no? Così lavori meglio!-
    -  Il carico...non si siede di schianto...con quello schermo panoramico che hai al posto del culo! CENTO! Scendi IMMEDIATAMENTE!-
    -  E perché? Sto così comodo...-
Senza rispondere, Yusei staccò una mano dal pavimento, facendosi leva sull'altro braccio, e andrò a stringere tra pollice e indice la pelle direttamente sotto il ginocchio destro di Judai. Il castano si lasciò sfuggire un urlo non proprio virile e scattò in piedi come un soldatino sparato da una molla, liberando il barman dal suo peso. Yusei imprecò, mettendosi in ginocchio sul tappetino, lo sguardo alzato sull'amico che girava intorno alla Bimota.
    -  Seriamente, ti ho svegliato?- chiese di nuovo Yusei.
    -  Ma finiscila, ti stavo prendendo in giro!- rispose Judai, rimettendosi il cellulare nella tasca dei vecchi pantaloni – Mi ero risvegliato e avevo mandato il buongiorno ad Aki, ho provato a rimettermi a dormire e non ci sono riuscito, quindi eccomi qui! E pensare che oggi riposo, potrei dormire quanto mi pare, e invece...-
    -  Tu mandi il buongiorno ad Aki?- domandò allora il compagno.
Inizialmente impegnato nell'osservazione della forcella della Bimota, Judai si voltò a guardare il suo amico. Dal tono di voce era parso...sorpreso, e anche il suo sguardo dava quella sensazione.
     -  Sempre mandato!- rispose poi, con un'alzata di spalle – Come l'ho sempre inviato sulla conversazione di gruppo. A proposito, dovrei aggiungere anche lei secondo te?-
    -  Per carità, no! Con Yuma e Yuya che parlano in continuazione di videogiochi, e tu con le tue foto di modelle alternative...-
    -  Che ne sai, magari piacciono anche a lei!-
    -  I videogiochi?-
    -  Le modelle alternative!-
    -  Judai-
    -  E va bene, va bene, la smetto. Però mi sembra scorretto, insomma...è una conversazione di gruppo per lavoro, per scambiarci turni e informazioni. Ora che lei fa ufficialmente parte della crew, le farebbe comodo essere inserita-
    -  Judai, quella ERA una conversazione di gruppo per lavoro. L'avete trasformata in un bordello tra foto, meme stupidi, filmati di videogiochi e video di gattini che spuntano tra le tette!-
    -  Come se ti dispiacessero, i gatti!-
    -  Non ho detto questo!-
    -  E allora non lamentarti!-
    -  Non mi sto lamentando-
    -  Ma se l'hai fatto fino ad ora!-
    -  Okay, come vuoi tu!-

Con un mezzo sbuffo di nervosismo, Yusei si alzò in piedi e arrotolò velocemente il tappetino, gettandolo poi dietro la panca. Dovette colpire qualcosa di metallico, perché questo cadde a terra con un sordo clangore; Judai immaginò una delle preziosissime chiavi inglesi del compagno finire a terra.
    -  Dormito male?- chiese allora il castano, incuriosito.
    -  No, dormito splendidamente- rispose Yusei – Sono solo un po' pensieroso. Oggi riposi quindi, me n'ero dimenticato-
    -  Mi sostituisce Atem-
    -  E lui quando riposa?-
    -  Domani sera-
    -  Okay, allora questo lo ricordavo bene-
    -  Cos'è, hai voglia di fare baldoria anche tu senza temere di essere bacchettato?-
    -  No, ho bisogno di saperlo in anticipo, visto che mi servirà qualche ora per meditare-
    -  Meditare?-
    -  Perché so che andrò incontro alle fiamme dell'inferno. Gestirvi diventa sempre più difficile-
    -  Potresti rendere le cose molto più semplici, sai?-
    -  Mh, e come?-
    -  Semplice! Non gestendoci!-
    -  ...Vado a farmi una doccia-
    -  Eddaiiiii che musone che sei!-
Yusei sventolò una mano con fare seccato, risalendo la scala e tornando nel loro appartamento, imboccando subito la porta del bagno.
Era pensieroso, davvero. E non era del tutto convinto di aver fatto la scelta giusta. Forse avrebbe dovuto insistere un po' di più con Aki, convincerla a farsi accompagnare, almeno per non restare sola con quella gente che, se aveva ben inteso, badava molto all'apparenza e veramente poco alla sostanza dei fatti. Si ritrovò a ghignare maligno, al solo pensare della reazione dei cravattoni ad una sua possibile entrata in scena: casco alla mano, giacca da motociclista, jeans di quarta mano eternamente sporchi di olio motore e quel segno dorato sul volto.
Sarebbe comparso al ricevimento solo per far saltare qualcuno di loro dalle sedie.
Ora che ci pensava, Aki non gli aveva mai chiesto nulla al riguardo, a differenza del novantanove per cento delle persone che incontrava e si fermavano a guardarlo per più di un minuto; e allo stesso modo non gli aveva domandato nulla sulle sue numerose e, accidenti, visibilissime cicatrici. Aveva visto i suoi occhi caderci sopra con una certa frequenza, quindi le aveva notate, eppure non aveva domandato nulla su di esse, e conoscendola c'era un solo motivo che spingeva Aki a non parlarne, a non chiedere di saperne di più. Yusei sorrise al pensiero che quella ragazza si era tenuta le domande per sé, pur di non sembrare inopportuna.
Diede una rapida occhiata al suo cellulare, prima di lasciarlo sulla mensola della finestra e infilarsi nella cabina doccia. Era da poco passato mezzogiorno, e in fondo aveva lasciato il suo numero ad Aki con assoluto disinteresse. Non era tenuta a chiamarlo o a fargli sapere dove fosse.

Sì, forse doveva insistere di più. Almeno non avrebbe passato il resto della giornata a macerarsi nel dubbio e nell'ansia, perché conoscendosi bene avrebbe fatto quella fine. Nemmeno la fresca doccia ristoratrice aiutò ad arrestare momentaneamente il suo flusso di pensieri, tutto rivolto alla giovane dai capelli rossi.
Ripensava a quello che lei gli aveva raccontato nei giorni scorsi, con un moto di amarezza nel cuore.
Yusei aveva davvero un vago ricordo del padre ricercatore, e della madre gli restava solo il volto sorridente impresso su una vecchia fotografia; ma quel ricordo, seppur indistinto, era dolce e luminoso, così positivo che lui aveva, con il tempo, automaticamente associato l'idea della famiglia alla classica immagine del nucleo famigliare felice tra le mura domestiche. Aki l'aveva messo di fronte ad una realtà ben diversa, a suo parere davvero triste: dalle sue parole aveva conosciuto una famiglia fredda e poco disponibile, poco attenta alle esigenze della figlia.
Magari era solo un'impressione. Forse aveva solo inteso male le sue parole, o forse la sua mente gli stava gonfiando ad arte la faccenda; l'idea che lei avesse voluto appositamente enfatizzare troppo la cosa non gli sfiorò minimamente il cervello, sentiva che Aki non avrebbe mai fatto una cosa del genere, non ne aveva il coraggio.
Poteva essere tutto, ma non una ragazza a caccia di attenzioni.

A farlo uscire dalla doccia fu solo il segnale sonoro del cellulare, e un bestemmione di Judai che si lamentava dell'acqua calda che non gli arrivava al lavello della cucina. Infilatosi alla svelta l'accappatoio sulle spalle, Yusei mise mano allo smartphone e lo sbloccò senza troppo entusiasmo.
Il numero mostrato non era salvato nella sua rubrica.
Arricciando il naso, il giovane aprì il messaggio inviatogli dal numero sconosciuto, socchiudendo gli occhi.

*Questo è il mio numero, segnatelo se vuoi! Sono appena arrivata a casa, che allegria...*

Ci mise qualche secondo di troppo per realizzare, ma quando comprese sentì il suo sorriso farsi ancora più ampio sul volto: almeno sentiva che stava bene. Andò a sedersi sul suo letto e con pochi, veloci gesti, salvò il numero nella rubrica prima di rispondere.

**Già fatto! Che aria tira da quelle parti? È tutto a posto?**

Perché tutta quell'insistenza da parte sua? A volte non riusciva a prevedere neanche le proprie mosse. Aki era sua amica, si era facilmente legato a lei e viceversa, al punto che la giovane gli aveva confessato alcuni dettagli del suo complesso rapporto con la famiglia...ma aveva chiaramente detto di potersela cavare da sola, di poter sostenere tutto questo da sola. Che, magari, stava solo pensando automaticamente al peggio e che la giornata sarebbe invece trascorsa liscia e tranquilla. E lui aveva annuito e detto sì, magari hai ragione.
Lui le aveva offerto la sua compagnia, lei l'aveva rifiutata, a posto così, no?
No?

*Per ora sembra tranquillo. Ci sono già tutti, sembravano aspettarmi.*

Male, molto male. Subito al centro dell'attenzione, ecco come peggiorare le cose. Yusei si grattò la guancia sinistra, accigliato.
Non era affatto tranquillo.

**Non ti avranno fatto storie per il ritardo spero. Può capitare, traffico o cose del genere.**

Eh, magari il traffico, pensò Aki, arricciando il naso e rimuginando tra sé, incerta su cosa scrivere.
Il traffico c'era stato, era vero, ma non era l'unica causa del suo ritardo: era rimasta nascosta nell'ascensore per un tempo non quantificabile, seriamente combattuta tra la consapevolezza di avere un impegno da rispettare e il desiderio di mandare tutto al diavolo, mentre sentiva l'autista di famiglia camminare su e giù per il marciapiede mentre pigiava il pulsante del citofono corrispondente al suo nome.
Era stata davvero tentata dal boicottare tutto.
E invece eccola lì, nel giardino della sua tenuta, curato e maestoso come se lo ricordava: numerosi tavoli erano stati addobbati a festa e con ogni cibaria disponibile, con uno sfarzo e una ricchezza di alimenti da far sembrare minuscolo il generoso banchetto del Pharaoh's Kingdom. Aki aveva passato i primi quindici minuti dal suo arrivo a salutare parenti di cui non ricordava nemmeno l'esistenza, stringendo mani e scambiando sorrisi di circostanza. Pochi attimi e già ne aveva fin sopra i capelli, di quella gigantesca farsa.
Sua madre l'aveva salutata con il suo solito affetto e calore, stringendola forte a sé finché Aki non aveva sentito l'aria mancarle. L'aveva baciata e accarezzata, rimproverata perché si faceva sentire poco, e constatato che sembrava molto dimagrita.
Suo padre, d'altro canto, l'aveva salutata a sua volta, più discreto della moglie ma altrettanto caloroso. E in un primo momento Aki era stata davvero convinta di essersi sbagliata, per una buona volta, di aver pensato male e di essersi fatta condizionare troppo dal passato.
Poi era subentrata zia Sakue e le cose erano precipitate nello spazio di un battito di ciglia.
Zia Sakue non aveva mai nutrito troppa simpatia nei confronti di quella stramba nipote: aveva preso a chiamarla “piccola strega” molto presto, quando Aki, ancora ragazzina, aveva fatto perdere la reputazione della cugina di fronte all'intero plesso scolastico, scoprendo una serie intricata di ricatti e minacce verso altre ragazze meno facoltose e benestanti. L'amore che zia Sakue nutriva per sua figlia Seiko era quasi rivoltante, così come l'ingiustificabile odio che covava per Aki e che, inevitabilmente, l'aveva divisa dal padre suo fratello. Perché cosa poteva fare, suo padre, se non difendere la piccola Aki, a costo di vedere i rapporti con l'amata sorella rompersi e diventare sempre più freddi?
Purtroppo le cose non si erano concluse bene: titolare della fetta più grossa del mercato delle azioni in cui la famiglia Izayoi era coinvolta, Sakue aveva cominciato ad escludere il fratello Hideo dalla gestione del patrimonio familiare, lasciandolo detentore di quelle azioni minori che bastavano appena per non farlo finire in miseria e mettendo a serio pericolo la sua carriera di senatore di Nuova Domino. Con il tempo aveva perso favori di politici e amici, restando politicamente solo, con pochissimi sostenitori che, seppur fedeli, nulla potevano contro i rappresentanti di altri partiti.
E col tempo, suo padre aveva cominciato a puntarle il dito addosso: come se lei fosse stata la colpevole di tutto, venne addirittura additata come una scansafatiche rovinafamiglie, una piccola serpe allevata in seno. Sputò quelle parole intrise di veleno in un momento di collera, e forse non stava ragionando bene con la testa, come lo giustificò sua madre: ma quelle invettive la colpirono nel profondo e la segnarono.
Esclusi dal giro d'affari più grande, i suoi genitori l'avevano, forse inconsapevolmente, resa martire e strumento fisico della loro realizzazione personale: Aki Izayoi era stata quindi trattata come se da lei dovesse partire la rivalsa dell'intera famiglia, come se a causa sua fosse iniziato tutto e fosse necessario che fosse lei quella ad espiare la colpa. Aki non aveva mai saputo che pensare a riguardo di quella storia, ma non si era mai pentita del gesto fatto ai danni della cugina, anzi: aveva sempre ammesso che, fosse tornata indietro nel tempo, l'avrebbe rifatto altre mille volte, e anche di più se fosse stato necessario.
E come se non fosse bastato, le cose erano sensibilmente peggiorate quando erano venute alla luce le reali intenzioni di Aki. Sembrava che quella donna non aspettasse altro che quel segnale: di colpo la giovane Aki Izayoi, pseudo-rampolla di famiglia con un carattere inavvicinabile, si era trasformata in una sfasciafamiglie di mal'affare, irriconoscente verso i valori e le fortune familiari e indegna del nome che portava.
Il bello era che suo padre, a volte, ci credeva anche a quelle scemenze.

*Traffico e altre cose. Qui tira aria pesante, come sempre.*

**Neanche cinque minuti e hai cambiato versione dei fatti.**

Aki sospirò affranta, seduta da sola al tavolo di famiglia, il cellulare stretto tra le mani e quello stupido vestitino elegante che continuava a scoprirle troppo le gambe.
Che Yusei fosse un tipo attento lo aveva capito da un pezzo, ma COSÌ attento...ancora doveva capacitarsi dell'idea che una persona potesse prestare davvero tanta attenzione a quello che diceva. Si arricciò una ciocca intorno all'indice sinistro, mordicchiandosi il labbro inferiore e soppesando le parole.

*Va tutto bene, posso resistere. Si tratta di mezza giornata, alla fine.*

**Sei sicura? Lo sai che posso raggiungerti in ogni momento, basta che tu lo dica.**

Ma si rendeva conto di quello che scriveva?!

*Ti invio la posizione. Fatti avanti.*

Sicuramente lei non se ne rendeva conto...! Inviò il messaggio prima che realizzasse cosa avesse scritto e bloccò all'istante lo schermo del telefono, scioccata.
Era il preludio ad un disastro su tutta la linea.

Rimase ad osservare le lettere sullo schermo, in quella nuvoletta azzurra, per qualche secondo, prima di decidere che sì, ci vedeva davvero bene e sì, gli occhiali potevano ancora aspettare. Yusei lanciò lo smartphone sul materasso, prendendo a prepararsi in tutta fretta.
    -  Judai!- esclamò, sporgendosi fuori dalla porta – Tu esci con la tua auto, vero?-
    -  E certo!- rispose l'altro, dalla cucina – Più tardi però, la sera!-
    -  Non importa! Ho bisogno del tuo casco!-
    -  Eh? Che devi farci? Non va bene il tuo?-
    -  Non è per me, idiota! È per un probabile passeggero!-
    -  Fai come vuoi Yus, non ci sono problemi per me!-
    -  Ti ho già detto di non chiamarmi così!-
Il cellulare suonò ancora una volta: Yusei si lanciò sul letto e lo afferrò al volo, sbloccandolo e cliccando sul link appena inviato. La piantina stradale dell'applicazione gli mostrò il tracciato da seguire segnandolo in blu, attraverso curve e vicoli in città fino alla superstrada, andando poi ad inerpicarsi su una collina poco lontana dal centro di Nuova Domino. Trentacinque minuti di viaggio.
Ci avrebbe messo molto di meno.


Aki strinse a sé il telefono con tanta forza da sentire un leggero scricchiolio di assestamento. Lo rimise velocemente nella borsetta, alzandosi per sgranchire le gambe e dare qualcosa, al suo cervello, per tenersi impegnato: solitamente, una bella camminata funzionava a dovere, quando si trattava di distrarsi e non pensare a qualcosa.
Solitamente. Non quella volta, con suo grande scorno, che sentiva lo stomaco contorcersi in una terribile morsa che altro che farfalle nello stomaco...si portò una mano al volto, scuotendo il capo quasi scioccata.
Non era stata esattamente la mossa più intelligente che potesse fare. Yusei sapeva solo il raccontabile, e a grandissime linee: non solo, se fosse piombato nella tenuta a testa bassa, come temeva, avrebbe solo peggiorato i rapporti già compromessi. Aki Izayoi sarebbe stata definitivamente indicata come una poco di buono che andava con un mototeppista.
Sfilò di nuovo fuori il cellulare dalla borsetta, lo sbloccò rapidamente e inviò un altro messaggio a Yusei, chiedendogli di ignorarla e restare dov'era, che non c'era bisogno di scapicollarsi per arrivare da lei. Mandò quel messaggio con il cuore divorato dai rimorsi, consapevole del fatto che quel ragazzo si stava preoccupando per lei.
Non meritava tutte quelle attenzioni. Aveva meritato determinate conseguenze, non meritava le difese di una persona come Yusei.
    -  Aki! Vieni qui, tesoro! Devo presentarti una persona!-
La rossa alzò lo sguardo verso la figura di sua madre, poco lontano; insieme a lei, il semisconosciuto cugino Suketsune e la di lui compagna. Molto bella a dire il vero, impeccabile nell'abito giallo pallido, ma rigida e formale come si richiedeva alle donne della famiglia. Aki si lasciò sfuggire un sospiro affranto, per poi tornarsene dalla madre, mascherando con un sorriso la sua inquietudine.
    -  Ah, eccoti qui! Resta un po' con noi, sarà più divertente! Ecco, Kochiyo, lei è mia figlia-
Kochiyo, un nome più stupido non poteva essere scelto. Aki scambiò una stretta di mano con lei, tirando lievemente il suo sorriso e imitata a specchio dalla ragazza: la sua curatissima mano era fredda come il marmo.
    -  Kochiyo è la futura erede della sua azienda familiare- le spiegò la madre, accarezzandole distrattamente i capelli rossi – Quando sarà il momento, prenderà il comando della casa di moda, e tutte le passerelle la vedranno come protagonista insieme ai suoi abiti! Che te ne pare, non è fantastico?-
    -  Certo. Un bel colpo- asserì Aki, il sorriso di una persona che voleva evitare guai e gli occhi di chi voleva essere lontana da lì anni luce.
    -  Tu cosa fai invece, cugina?- domandò Suketsune, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni gessati – So che hai preso la facoltà di medicina, me l'ha detto mia madre-
E chissà quante cose carine ti avrà detto zia Sakue, pensò la rossa, ma non lo disse ad alta voce.
    -  Studio- ammise poi – Sto preparando la prima sessione di esami-
    -  Ma è vera questa storia?-
    -  Quale storia?-
    -  Che lavori in un locale notturno-
Il primo impulso che Aki provò, fu quello di prendere il vassoio d'argento su cui poggiavano le deliziose tartine di caviale e suonarglielo in testa neanche fosse un gong.
Mai, MAI la scelta di parole del suo cugino poteva essere così sbagliata e controproducente. Nel silenzio che si era creato, sua madre aveva irrigidito il sorriso e Kochiyo si era voltata ad osservare il fidanzato. Nei suoi occhi, Aki individuò la stessa, perfida luce di malizia che animava lo sguardo di zia Sakue.
Sapeva cosa aveva detto. E l'aveva fatto di proposito, porgendole quella domanda ad un tono di voce abbastanza alto da farsi sentire da più persone: altri membri della sua numerosa famiglia si voltarono verso di loro, ad osservarli a metà tra il sorpreso e lo sconcertato.
Proprio vero che un frutto non cadeva mai troppo lontano dall'albero su cui cresceva. Aki strinse spasmodicamente la sua borsetta.
    -  Vero- rispose poi, la gola secca – Faccio la cameriera. A volte capita che serva una mano al bancone e preparo bevande-
    -  Oh, quindi è questo quello che fai!- esclamò Suketsune, sorpreso – Beh, capisco. È...nobile, da parte tua, voler condividere il lavoro di certa gente-
Ma certa gente cosa?! Aki artigliò la borsetta fin quasi a farsi sbiancare le nocche; sua madre dovette notarlo, perché le posò una mano sulla spalla, in un gentile richiamo.
    -  Mi piace compiacermi del fatto che sappia cavarmela anche da sola- rispose poi lei, a muso duro, soffiando come un gatto costretto in un angolo da un grosso cane.
    -  Questo non lo metto in dubbio! Sei sempre stata piena di risorse, cugina. Una solitaria rosa in mezzo ad un ammasso di rovi, bella e irraggiungibile ma, appunto, bella. E forse solo quello-
Di male in peggio. Cosa voleva dire?
    -  Cosa stai insinuando?- domandò la rossa, ufficialmente sulla difensiva. Il suo sguardo scattò dietro la sagoma del ragazzo, dove la zia, fingendo interesse per il buffet, sembrava ben attenta ai loro discorsi.
    -  Più che insinuando, mi sto chiedendo...- Suketsune sembrò soppesare le parole da usare, prima di schioccare teatralmente le dita, colpito da quella che sembrava un'illuminazione – Ecco sì, mi stavo chiedendo quanto una camerierina possa contribuire al capitale della famiglia. Insomma, non che ci sia nulla di male, ma ritengo che come titolo sia molto...basso-
    -  L'unica cosa bassa qui, tra noi due, è la tua umanità, ragazzino spocchioso e viziato che non sei altro-

Sentì sua madre gemere quasi di dolore, e Aki si sforzò di ignorarla, deglutendo e preparandosi alle conseguenze delle sue parole. Perché zia Sakue era lì, e sapeva che offendere uno dei suoi adorati pargoli creava più scompiglio di un'autocisterna lanciata a folle velocità contro un muro di fiamme.
    -  ...Oh. Ohohoh, questa non me l'aspettavo!- Suketsune si lasciò sfuggire una mezza risata, guardandosi intorno quasi a voler cercare conforto generale -Ero convinto fossi molto più silenziosa e remissiva, cugina, e invece scopro che sai usare le tue spine davvero bene!-
    -  Non sei l'unico ad avere l'esclusiva di una lingua biforcuta e una faccia da culo- sibilò Aki, per tutta risposta, con sua madre che si voltò di scatto verso di lei e la prese per le spalle.
    -  Meraviglioso- fu allora che Sakue entrò in scena – Davvero meraviglioso. Ecco come Hideo educa i suoi figli, e i risultati si vedono, eccoli qui! La figlia di un senatore ad un passo da vendere il suo didietro-
Il silenzio portò alle sue orecchie il lontano rombo di una moto farsi sempre più vicino alla tenuta. Il primo pensiero di Aki andò a Yusei.
Era troppo chiedergli di non entrare sfondando il cancello?


Entrare nella tenuta era stato molto più semplice di quanto pensava da principio: era bastato fare il nome di Aki Izayoi e subito quel damerino al cancello l'aveva fatto passare. Troppo facile, effettivamente: chiunque avrebbe potuto farsi avanti così, anche un malintenzionato.
Buon per lui. Percorse il piccolo sentiero di bianco brecciolino, imprecando alla vista delle ruote sporche di polvere, prima di posteggiare lì dove sembrava organizzato il parcheggio: una piccola fiera del lusso, con auto il cui valore non sembrava voler scendere sotto il centinaio di migliaio di yen. Coupé sportivissime, spider eleganti, un paio di Cavallini Rampanti e un grosso SUV che avrebbe scatenato un fiume di imprecazioni da Judai: il ragazzo odiava quella tipologia di auto. Posizionò la moto sul cavalletto, agganciò il casco al manubrio e prese il via verso il gran vociare e la musica d'atmosfera.
La villa Izayoi era proprio come se l'era immaginata: abbarbicata in solitaria su una collina, con una bella vista panoramica di gran parte di Nuova Domino, la costruzione rifletteva lo stile moderno ed essenziale di certe case di lusso, con molte pareti sostituite da grosse vetrate. In fondo, separato da un'alta siepe, l'ingresso del giardino lo catapultò in un mondo verde, rosso e bianco: le rose sbocciate spuntavano tra il fogliame verde scuro come stille di sangue, e il prato ben curato appariva come un'unica, omogenea marea verde brillante. C'erano tavoli imbanditi ovunque, coperti da bianche tovaglie di lino e presentanti qualsiasi tipo di alimento, dai formaggi salati ai salumi, dalla carne al pesce ad alimenti bio, passando per frutta immersa in fontane di cioccolato. Poco più in là individuò un piccolo bancone presso cui un paio di ragazzi stavano preparando delle bevande. Yusei storse il naso, inorridito.
Volete scherzare?! Il Daiquiri alla fragola va nel bicchiere da cocktail! Cos'è quel...COSO?!
Distolse velocemente lo sguardo da quello scempio alcolico, pensando alle facce di Yuma e Yuya di fronte a quell'oltraggio al loro stesso mestiere; alzò gli occhi e la vide, finalmente.
Aveva pregato di trovarla in abiti comodi, pronta per una fuga strategica, ma a quanto pareva non poteva chiedere troppo ad una ragazza che doveva partecipare a una festa di fidanzamento: le sue forme erano abilmente sottolineate dall'abitino nero che le lasciava collo, spalle e braccia scoperte, la vita sottolineata dalla fascia rossa e le gambe accarezzate lievemente dalla gonna che terminava in vezzose ondine. Imprecò mentalmente quando vide i sandali col tacco ai piedi: non erano vertiginosi, ma come diavolo sarebbe salita sulla moto?
Perché aveva automaticamente assunto che sarebbe venuta via con lui? Yusei scosse il capo, passandosi una mano tra i capelli scuri e dirigendosi a passo svelto verso di lei, impegnata in una discussione con un ragazzo dalla faccia lunga e una donna dall'aspetto arcigno. Che simpatica famigliola, si ritrovò a pensare, davvero un bell'ambiente.
Il pensare determinate non sottolineava la sottile ironia con cui rivolgeva tali complimenti a quella gente: tutto, intorno a lui, profumava di eleganza ostentata e perbenismi forzati, pacifica convivenza d'occasione. Yusei si diede del cretino per non aver insisto con lei, per non averla convinta a lasciarlo stare al suo fianco fin dal primo momento.
E probabilmente non si aspettava che venisse davvero, perché quando finalmente si accorse della sua presenza fece un salto sul posto neanche avesse visto un fantasma. Si voltò verso i suoi famigliari, scoccando loro uno sguardo carico di apprensione prima di partire a passo di carica per afferrarlo per un polso, allontanandosi velocemente da loro. Il ragazzo la seguì docilmente, lasciandosi quasi trascinare dal suo impeto e fermandosi accanto ad un grande roseto. Aki lo osservò dal basso verso l'alto, gli occhi spalancati dalla sorpresa; al ragazzo venne naturale sorridere, ad osservare le belle iridi calde.
Sempre più carina ogni giorno che passava. La cosa rischiava di sfuggirgli di mano.
    -  Che diavolo...come sei arrivato qui?!- chiese lei in un soffio – Ti avevo detto di restare a casa, che me la cavavo da sola...!-
    -  Quando me l'avresti detto?! Ma se mi hai inviato la posizione!- ribatté lui, fissandola interrogativo.
    -  Ecco, guarda qua!-
Con un gesto veloce, Aki gli piazzò il telefono sotto il naso, indicandogli un messaggio inviatogli che lui non aveva letto.
    -  Ero già in moto- spiegò lui, allontanando l'apparecchio con una mano – Non potevo leggere-
    -  Eri già in mo-- quanto diavolo sei andato veloce?! Quel messaggio te l'ho mandato neanche quindici minuti fa!-
    -  Vado meglio se non seguo il navigatore. Fa perdere un sacco di tempo. E ignorando i limiti dove posso sono ancora più veloce-
Io non--
    -  Se preferisci posso tornarmene a casa-
    -  NO!-

Urlò e non se ne rese conto, ma non solo: tanto per far quadrare il cerchio, Aki gli afferrò il polso destro con entrambe le mani, quasi temesse davvero di vederlo scappare via da un momento all'altro. Yusei sbatté gli occhi un paio di volte, stupito, Aki lo maledisse per la millesima volta da quando lo conosceva, lui e la sua meravigliosa espressività.
Quel ragazzo aveva il mare negli occhi, e lei rischiava di affogarci dentro ogni dannata volta.
    -  Resta, ti prego- lo supplicò poi – Ho...ho bisogno di una faccia amica-
    -  Non devi pregarmi, Aki- la rimbeccò lui – Ma perché non mi hai ascoltato quando era il caso?!-
    -  Non fare domande idiote, adesso! La situazione è già difficile!-
Vuoi andare via?-
Aki schiuse le labbra pronta a rispondere, ma le parole si rifiutarono di uscire. Lo fissò senza rispondergli, passandosi nervosamente la lingua sulle labbra.
L'idea di andarsene di soppiatto non le aveva neanche sfiorato il cervello, essenzialmente perché le sarebbe stato impossibile: non era in grado di guidare l'auto di suo padre, e poi che cosa avrebbe concluso? Aveva deciso di ballare, e doveva continuare a seguire il ritmo. Eppure, ora che lui era presente, e munito di un suo mezzo di trasporto, perché non farlo? Poteva lasciarsi alle spalle tutta quella gente che guardava il resto del mondo come se fossero l'anello più infimo della catena dell'evoluzione umana, e tornarsene alla sua nuova esistenza di semplice cameriera, ad attendere l'inizio del suo nuovo turno; poteva tornarsene tra quelle persone che l'avevano accettata e la apprezzavano per quello che era in grado di fare, e non per i suoi titoli o per il suo conto in banca.
L'idea era fin troppo allettante per silurarla alla cieca.
    -  Aki?! Tutto bene?!-
La rossa si voltò di scatto, osservando la figura della madre agitare una mano in sua direzione. Yusei si voltò a sua volta, osservando la donna e notando subito la grande somiglianza tra lei e la rossa: lei e sua madre sembravano davvero due gocce d'acqua, non fosse stato per la lampante differenza d'età. Aki si mordicchiò il labbro inferiore, sospirando.
    -  Andiamo- disse poi, riprendendolo per il polso destro – Ora dobbiamo continuare la farsa-
    -  ...A saperlo mi sarei reso presentabile- commentò Yusei, con un mezzo sorriso.
    -  Non starti a preoccupare per queste cose. E poi lo sei sempre-
    -  Oh davvero?!-
Aki mugolò qualcosa ma non rispose, allargandogli il sorriso.
    -  Senti...cerca solo di minimizzare i danni, okay?-
    -  ...ci proverò-
Aki annuì poco convinta, ma avanzò ugualmente in direzione della madre, pregando con tutta sé stessa che la rinomata schiettezza del capobar non scatenasse una guerra; Yusei la seguì docilmente verso il piccolo trio, trovandosi a confrontarsi occhi negli occhi con un giovane prestante in un impeccabile completo gessato, una ragazza accanto a lui che, a giudicare da come gli era vicina, doveva trattarsi della fidanzata, la madre di Aki e una donna dall'aria di perfetta mangiatrice di poveri sprovveduti. Alta ed eccessivamente scarna per i suoi gusti, i capelli biondo paglierino e gli occhi scuri dall'espressione severa ed implacabile, il suo volto sembrava aver subito un ritocchino di troppo, che aveva coinvolto fronte, zigomi, guance e connessure labiali in un'egregia opera di tiraggio, puntualmente svelata dalla pelle raggrinzita del collo e delle mani ingioiellate. Vestiva con un severissimo maglione a collo alto e maniche lunghe fino ai polsi: puro suicidio pensare di indossare un simile capo con il caldo di quei giorni, e ancora più aberrante pensare che quella fantasia di arabeschi di velluto verde sul tessuto nero potesse piacere. Almeno i pantaloni erano semplicissimi nel loro tessuto nero, ma qualcosa diceva a Yusei che non fossero di materiale leggero neanche quelli.
    -  Mamma, Suketsune...zia- disse Aki, spingendolo lievemente in avanti: Yusei ebbe la spiacevole sensazione di essere buttato in pasto agli squali – Lui è Yusei, un mio collega e accompagnatore-
    -  Collega, dici?- ripeté Suketsune, dubbioso – Questo qui ti aiuta a servire le tavolate?-
    -  Questo qui ha un nome, signor nonhocapitobenecomesichiama- rispose Yusei, a muso duro.
Aki si convinse sempre più che trascinarlo lì in mezzo era stata la peggiore scelta della sua vita. Gli strinse un braccio, attirando la sua attenzione: Yusei rimase ad osservarla per qualche secondo, prima di tornare a rivolgere la sua attenzione al cugino.
L'aria stessa sembrava vibrare di negatività.
    -  Ah, muso da duro e lingua affilata!- esclamò l'altro – Cos'altro aspettarsi, da un ex galeotto?-
E anche stavolta parlò a voce abbastanza alta da farsi ascoltare da tutti, camerieri compresi. Aki ebbe la terribile sensazione di essere diventata il punto verso cui convergevano tutti gli sguardi: si guardò intorno, e constatò con timore che non aveva sbagliato. Tutti gli invitati si erano voltati ad osservare la coppia appena creatasi, scoccando occhiate sospettose a Yusei e mormorandosi qualcosa, per poi fissare Aki e scuotere il capo con fare rassegnato. La rossa si morse il labbro inferiore con forza.
Cosa voleva dire? Cosa stava succedendo? Come poteva Suketsune parlare così di uno sconosciuto?! La sua perfidia era tale da inventarsi storielle sugli sconosciuti? Alzò lo sguardo su Yusei e trasalì impercettibilmente: il ragazzo non sembrava affatto oltraggiato da quell'insinuazione. Anzi, aveva mantenuto il suo stoicismo e il suo sguardo incatenato agli occhi dell'altro.
    -  Parli proprio come uno di quelli che ha avuto tutto servito su un piatto d'argento, dalla vita, e non ha mai avuto necessità di sporcarsi le mani- rispose poi il barman, a muso duro.
Aki spalancò gli occhi. Non aveva negato quell'insinuazione?! Okay che non aveva esattamente una faccia da tipo raccomandabile, in quel momento, ma...
    -  E tu parli come un imberbe moccioso che viene dai bassifondi del Satellite- rispose l'arcigna zia Sakue – Di male in peggio. Questa è davvero l'onta più grande che la nostra famiglia possa subire. Aki, da te mi sarei aspettata di più-
    -  Cosa si sarebbe aspettata? Magari di vederla con un cravattone come questo qui?- ringhiò Yusei, sempre più nervoso.
Aki lasciò la presa sul suo braccio, costernata.
    -  Il cravattone, come l'hai chiamato tu, è mio figlio, e si dà il caso che a breve diventerà la persona più influente e importante dell'economia di Nuova Domino! Ha fatto una fortuna con le sue azioni, e presto il suo cantiere navale diventerà il più grande del continente! Mentre tu...- e lo disse rivolgendogli una smorfia disgustata, quasi stesse dialogando con una carriola piena di letame – Cosa sei? Se non un ragazzino gradasso che ha visitato la Struttura?-
La Struttura? Aveva sentito bene?! Aki non ci stava capendo più nulla.
    -  Sono un onesto lavoratore, signora. Una persona che ha fatto degli sbagli e ha pagato per questi- e si indicò il segno dorato sul volto – E sta cercando di crearsi una nuova vita per uscire da quel marcio. Lei, invece, sembra nuotarci bene, in questo mare di critiche e di arroganza-
    -  Stai parlando con me per caso?-
    -  Vede per caso qualche altra arpia smorta che si diverte ad offendere gli sconosciuti? Io no. Quanto ha pagato il suo chirurgo? Perché se lo lasci dire, ha fatto davvero un lavoro di merda-

Aki si passò nervosamente la lingua sulle labbra, concentrata: zia Sakue sembrava aver finalmente vacillato per un attimo, a giudicare dalla sua espressione orrorificata. Lo stesso Suketsune si era voltato a guardarla, incerto.
Aveva forse trovato un punto debole? La tattica degli insulti gratuiti non aveva mai funzionato con una donna come sua zia, ma Yusei era tutto fuorché stupido e poco attento: aveva notato quel qualcosa di strano, di scomposto nell’immagine della donna e lo stava usando a suo pieno vantaggio per ribaltare la situazione.
Sotto certi aspetti, risultava inquietante quasi quanto Atem.
    -  Da quello che racconta sembra che abbia a disposizione un ingente capitale- continuò Yusei, le braccia ora incrociate sul petto – Potrebbe usare qualcuna delle sue magiche banconote per pagare un chirurgo più meritevole. Che mi dice di quel Cartier al polso?-
Aki abbassò gli occhi sul polso sinistro della donna, posandoli sul prezioso orologio: zia Sakue era andata personalmente a mostrarlo ad ognuno degli invitati, fiera di quel rifinitissimo e, soprattutto, costoso orologio regalatole dalla futura nuora: il quadrante d'argento racchiuso dal piccolo pavone recava due piccole rose rosse dipinte a mano al suo interno, e tanti piccoli brillanti componevano il corpo dell'elegante uccello, il cui occhio scintillava d'ametista.
    -  A quale bancarella l'ha comprato?-
Era ufficiale, Yusei si era appena creato una nemica per la vita. O forse aveva mandato all'aria un fidanzamento. Sakue ammutolì, finalmente, raggelata da quell'insinuazione.
    -  Cosa stai insinuando?!- sputò poi, rabbiosa.
    -  Se sono finito in carcere c'è un motivo...- commentò Yusei, con un mezzo sorriso vittorioso – So riconoscere un falso quando lo vedo, e quell'orologio è solo una vile patacca. Fatta veramente bene, ma comunque una patacca. O pensava che quelli fossero diamanti veri? O che il quadrante fosse di vera madreperla? I diamanti veri hanno riflessi argentei, mentre sui suoi sembra esserci passato un arcobaleno. E quella madreperla presenta un'opalescenza fin troppo omogenea-
Aki trattenne il fiato, a vedere l'espressione di zia Sakue mutare rapidamente da uno sguardo allibito ad una smorfia oltraggiata; prima che la rossa potesse dire qualcosa, o che la donna potesse esplodere in qualche fiume di recriminazioni, Yusei prese gentilmente il polso di Aki e si allontanò velocemente, salvo poi ritornare sui suoi passi dopo qualche secondo.
    -  Oh, e comunque...- disse poi – Quella storiella di suo figlio futuro magnate dell'economia del continente...provi a raccontarla a Seto Kaiba. È un nostro cliente abituale, lo troverà al Pharaoh's Kingdom-
Indice e medio della sua mano destra entrarono nella tasca interna della sua giacca, e ne uscirono tenendo stretto un piccolo biglietto da visita, un cartoncino dorato su cui le parole erano segnate in nero. Nessuno dei tre si fece avanti per recuperarlo, e fu Yusei ad infilarlo nel taschino del completo del giovane Suketsune.
    -  E ti prego, anche tu, il fiore all'occhiello è del secolo scorso almeno...-
    -  Yusei andiamo!-

Senza lasciargli il tempo di continuare, Aki lo prese per mano e se lo trascinò via, fuori dal giardino e lontano dagli invitati. Decine di paia di sguardi curiosi e oltraggiati li seguirono, nel silenzio rotto solo dalla musica d'atmosfera.
Aki stava tremando. E non certo per il freddo, ma per il cosmico guaio in cui si era appena cacciata. Aveva fatto entrare un estraneo in casa...o meglio, era stato l'estraneo ad entrare di sua iniziativa, e aveva lasciato che si prendesse gioco del capitale della famiglia e mettesse a nudo la loro viscida opulenza: due cose che, da sole, bastavano e avanzavano per escluderla dalla famiglia Izayoi. Ma soprattutto, e questo le creava una insostenibile vertigine nello stomaco, Yusei era stato additato come un ex galeotto: era vero, la sua espressione lo rendeva poco avvicinabile, e si capiva chiaramente che non fosse tipo da abbracciare nell'immediato il primo che gli capitava a tiro, ma da qui a definirlo un autentico delinquente ne scorreva, di acqua sotto il ponte.
    -  Immagino tu voglia sapere-
La voce di Yusei la fece voltare appena, mentre lo guidava lontano dai giardini, non sapeva neanche lei dove.
    -  Quindi è vero?- domandò poi, arrestandosi di colpo, il fiato corto e le guance arrossate, quasi avesse corso.
    -  Che sono stato in prigione? Sì-
    -  ...Perché non me l'hai detto?-
    -  Non pensavo ti interessasse la cosa. E comunque, non intendo parlarne qui. Dobbiamo andarcene-
Senza aspettare la sua risposta, fu stavolta Yusei a prenderla per mano e portarla via, guidandola verso il parcheggio. La rossa percepì un lungo brivido percorrerle l'intero braccio, dalla punta delle dita fino alla spalla, scorrerle lungo la schiena e imporporarle le guance. Scrollò il capo, cercando di darsi un certo tono.
Non riusciva neanche a guardarlo in viso che subito veniva sopraffatta da quelle emozioni, e la cosa stava diventando snervante.
    -  Hai un qualche vestito più comodo da metterti?- le chiese Yusei, fermandosi in mezzo alle auto parcheggiate – Un paio di pantaloni, qualcosa...?-
    -  Sono venuta qui così- rispose lei, indicandosi. Yusei arricciò il naso.
    -  Speravo in qualche abito più adatto...fa niente, lo faremo andare bene lo stesso. Ecco, tieni questa-
Lasciò momentaneamente lo zaino a terra: doveva esserci qualcosa di pesante dentro, e voluminoso, a giudicare da com'era rigonfio. Con un veloce gesto il ragazzo si tolse la giacca da moto dalle spalle, porgendogliela e invitandola a indossarla.
Poteva morire. Aki sentiva di poter morire dentro in quel momento, risucchiata da quello stesso vuoto che stava devastando il suo stomaco, e sarebbe stata ugualmente felice.
Si voltò, dando a Yusei le spalle e permettendole di indossare la sua giacca. Subito il calore la pervase dalla testa ai piedi, facendola rabbrividire: le stava grande almeno due volte, e le maniche arrivavano a coprirle le mani. Si sentiva estremamente piccola, eppure protetta. Difesa.
    -  C'è il mio cellulare dentro una delle tasche, se senti qualcosa di strano non preoccupartene-
Il suo cellulare era l'ultima cosa a cui pensava. Mentre il giovane recuperava lo zaino ed infilava la borsetta al suo interno, Aki allacciò la zip della giacca fino al colletto.
C'era il suo profumo sopra, mischiato alla pelle dell'indumento e ai fumi di scarico. Poteva decidere di non toglierla mai più.
Solo quando lui le mostrò un casco integrale nero tornò con i piedi a terra. E lo fece cadendo dalle sue nuvole di zucchero filato con un tonfo da farsi sentire fin su Plutone.
    -  Devo...devo metterlo io?!- chiese poi, insicura.
    -  Certo! Non vorrai montare in moto senza?!- domandò Yusei per tutta risposta.
    -  ...Non sono mai andata in moto in vita mia...!-
    -  Beh, c'è sempre una prima volta!-
Senza dirle altro, Yusei chiuse lo zaino e glielo assicurò alle spalle. Si prese qualche minuto per assicurarsi che il casco le stesse bene, e per allacciarglielo con le dovute precauzioni, prima di rialzare il cavalletto della moto e inserire la folle per spostarla meglio, facendo forza sui manubri per spingere la moto lontana dal brecciolino. Montò in sella, indossò il casco integrale a sua volta e le fece cenno di salire dietro di lui.
Aki inspirò a fondo, l'imbottitura del casco che le comprimeva i lati del volto: voleva davvero che salisse su quella...cosa?! Non era neanche definibile una sella, quella! Era un pezzettino di tessuto imbottito...chi avrebbe scelto di salire, di sua spontanea volontà, su una cosa del genere?!
Lei, a quanto pareva. Perché senza che realizzasse davvero i suoi movimenti, radiocomandata da chissà quale istinto, o desiderio, alzò una gamba e si issò sul sellino del passeggero, posando i piedi sulle piccole pedane ai lati del telaio. Di fronte a lei, Yusei si alzò la visiera, invitandola a fare lo stesso.
    -  Devi reggerti a me!- le disse – Con tutta la forza che hai a disposizione! Chiaro? Comoda?-
    -  Sì! E no, per niente!- esclamò la rossa, aggrappata alle sue spalle.
    -  Aki, non ci siamo capiti! Devi reggerti a me! Guarda, così-
E con una delicatezza disarmante le prese le mani e gliele mise attorno ai fianchi. Aki chiuse gli occhi e non fiatò, incredula ed incapace di proferire parola.
Non stava accadendo davvero, vero?
Una volta sicuro che la ragazza fosse ben aggrappata a lui, Yusei voltò la chiave d'avviamento: la lancetta del contagiri compì un intero giro e tornò a zero, disegnando una colorata scia arancione che venne sostituita dal blu e dal rosso della zona del limitatore.
Quando poi la Bimota si accese, le venne istintivo aggrapparsi con più forza al ragazzo: la due ruote tremò tutta, dal cupolino al codone su cui era arrampicata, Aki sentiva gli scarichi borbottare sotto di lei. Troppo spaventata perfino per parlare, chiuse gli occhi quanto la moto si mosse in avanti e varcò il cancello, portandola fuori dalla tenuta.
Complimenti Aki Izayoi!, si ritrovò a pensare, ora puoi davvero dire di essere una ribelle!


Fu la mezz'ora più lunga della sua vita. Mai salita su una moto in precedenza, completamente vergine a quell'esperienza, ci vollero parecchie curve prima che decidesse di aprire gli occhi e guardarsi intorno; a sua volta, Yusei preferì non accelerare subito, per darle la possibilità di abituarsi meglio a quella nuova sensazione.
Lo fece quando ormai erano scesi dalla collina e stavano per entrare nella superstrada. In quel momento, Yusei si abbassò la visiera del casco: qualcosa suggerì ad Aki che era meglio imitarlo. Vinse la sua paura e staccò una mano da lui per calarsi il visore trasparente sugli occhi, prima di tornare a stringersi con forza al ragazzo. Solo allora Yusei girò con forza la manopola del gas, e la Bimota sembrò quasi prendere il volo: un improvviso vuoto alla bocca dello stomaco le disse che la ruota anteriore si era leggermente sollevata da terra un paio di volte, in risposta alle brusche scalate di marcia del pilota, e il piccolo display digitale che fungeva da contachilometri sembrava non stare dietro a tutta la potenza sprigionata dal motore.
Qualcosa le disse che, non fosse stato per la sua presenza, Yusei non avrebbe fatto altro che andare e andare, spingendo il motore e infischiandosene di limiti di velocità di sorta: la sua presenza come passeggera, tuttavia, sembrò fermargli il manico, facendolo assestare sulla velocità dei centoquaranta che, su una moto, sembravano pronti a farla volare via dalla sella come una bandierina staccata dall'asta.
E tuttavia, qualcosa di inspiegabile la convinse che, tutto sommato, non era così male: il mondo intorno a loro scorreva veloce e indistinto, come la pellicola di un film mandata avanti alla ricerca di una determinata scena, e le auto intorno a loro sembravano quasi ferme, superate senza difficoltà dalla inarrestabile due ruote. Era una sensazione insolita, quella di correre in strada senza un abitacolo a farle da protezione, a schermarla dal resto del mondo: ora ne faceva parte, di quel mondo che era solita osservare dai finestrini di un'auto, e di fronte a quella potenza e velocità sembrava davvero piccolo, insignificante ed indistinto.
Il suo istinto di sopravvivenza, tuttavia, le impose di non staccare più neanche un dito dal ragazzo, neanche quando la velocità cominciò a diminuire fino al loro ingresso nella città. Qui furono evidenti i vantaggi dell'andare in giro su due ruote anziché quattro: il traffico sembrava non esistere per loro, che superavano le auto incolonnate con una facilità disarmante.

Quando Yusei fermò la moto in pieno lungomare, in un piccolo parcheggio di fronte ad un chiosco, Aki scese maldestramente dalla sella e quasi rischiò di cadere: le gambe indolenzite dalla posizione eccessivamente ripiegata e dalle vibrazioni sembrarono rifiutarsi di sorreggerla, inizialmente, costringendola ad aggrapparsi all'ultimo secondo alle spalle di Yusei, per evitare una rovinosa caduta a terra. Il ragazzo smontò a sua volta, piazzando la moto sul cavalletto.
    -  Hai bisogno di camminare un po'- le disse poi – Ritrovarsi con le gambe in questo stato è del tutto normale-
Aki non perse tempo neanche ad annuire: sganciò velocemente il casco e se lo sfilò in un unico gesto, riconsegnandolo e dirigendosi verso la spiaggia senza aspettarlo: scavalcò il muretto di cinta con qualche sventolio di troppo dell'abito, che ignorò volutamente, per poi sfilarsi i sandali dai piedi e reggerli con la destra, mentre si dirigeva a passi piccoli e rapidi verso la riva, già popolata dai primi bagnanti. Non prestò attenzione agli sguardi curiosi delle altre persone, voltatesi ad osservare una ragazza dai capelli rossi vestita fin troppo elegante per farsi un bagno o anche solo sostare pigramente in spiaggia, e in più con una grossa e pesante giacca da motociclista. Aki individuò un posto relativamente isolato dalle altre persone e vi si sedette di schianto.
Era stanca. Stanca, provata da quella giornata inspiegabilmente intensa, amareggiata da come le cose erano andate con la sua famiglia, vergognosamente eccitata dal suo primo giro in moto, e soprattutto preoccupata. Preoccupata perché, a conti fatti, quello che credeva di sapere di Yusei era veramente il minimo confessabile, e chissà cosa nascondeva quel ragazzo dal segno dorato. Per quale motivo non gliene aveva parlato? Aki non era tipa da abbandonarsi a pregiudizi di sorta, e lui lo sapeva...o almeno, doveva averlo inteso...perché tenerglielo nascosto?
Poi scosse il capo. Yusei non aveva alcun tipo di obbligo verso di lei: non era tenuto a raccontarle per filo e per segno cosa gli era successo e cosa aveva passato. E tutti avevano dei segreti che volevano tenere per sé, forse per non dare credito alle malelingue o qualcosa su cui spettegolare.
    -  Si chiamava Team Satisfaction-


Aki trasalì nel sentire la voce di Yusei alla sua sinistra: presa com'era dai suoi pensieri non si era accorta che il giovane l'aveva raggiunta e si era seduto accanto a lei. Aki si voltò a guardarlo, incerta.
    -  Team Satisfaction, hai detto?- domandò poi. Yusei annuì.
    -  Gareggiavo in classi minori di corse di motociclismo- spiegò poi – Durante gli anni del liceo. Mi piaceva, mi divertiva un sacco e mi riusciva anche bene, ho collezionato parecchie vittorie insieme ai miei compagni. Erano corse particolari, su strada-
    -  ...corse clandestine?!-
    -  Non proprio clandestine...mettiamola così: la vigilanza del Satellite non è mai stata tutto questo granché, e i corpi di sorveglianza sono facilmente corruttibili. C'era una specie di patto, se vuoi chiamarlo così, tra la sorveglianza e noi “ragazzacci” delle moto: potevamo correre quanto ci pareva e dove volevamo, a patto di non causare incidenti gravi-
    -  Cosa intendi per “incidenti gravi”?-
    -  Intendo che dovevamo tenere i coltelli a posto-
    -  ...Oh-
    -  Erano tempi in cui non esisteva un vero e proprio collegamento tra il Satellite e Nuova Domino. C'era solo una grossa conduttura a fare da ponte tra loro, ed era utilizzata da Nuova Domino per usare il Satellite come discarica. Credo che fra gli uomini che approvarono quel progetto, ci fosse anche tuo padre. Un certo Hideo Izayoi-
Aki abbassò lo sguardo, stringendosi le ginocchia al petto, non troppo sicura di voler rispondere.
Era vero, Yusei aveva ragione: tra le firme di approvazione al progetto della conduttura, c'era anche quella di suo padre. Non aveva mai personalmente gradito l'iniziativa, ritenendo che fosse ingiusto condannare gli abitanti del vecchio Distretto ad un destino di decadenza urbana e isolamento: inutile dirlo, il suo parere era stato caldamente ignorato. Ora era chiaro da dove veniva l'atteggiamento naturalmente cautelativo di Yusei: non sopravvivevi nel Satellite se non eri in grado di combattere o difenderti da solo.
    -  Le corse erano organizzate lungo tutta l'isola- continuò Yusei – Era fondamentalmente una prova sul tempo: ogni team schierava quattro piloti con rispettive moto, e i primi piloti partivano insieme. Dopo dodici giri partivano i secondi, e così via. Quando tutti avevano completato i dodici giri pattuiti, si faceva il calcolo dei tempi per individuare il team vincitore-
    -  Mi sembra sensato- notò Aki.
    -  Era l'unico modo che la vigilanza aveva di tenerci buoni: darci modo di sfogare la nostra rabbia e frustrazione con qualcosa di relativamente innocuo come le corse-
    -  Nessuno si è mai fatto male?!-
    -  In parecchi sono morti in quelle gare-
    -  Oh-
    -  Le strade non erano come quelle di Domino. Erano sconnesse, vecchie, e gran parte dei tracciati includevano parcheggi su più piani e vecchi cantieri abbandonati. Presto abbiamo perso il conto dei piloti finiti nei pozzi-
Aki rabbrividì e si strinse ancora di più le ginocchia a sé.
    -  Eravamo un bel gruppetto- al solo ricordo, Yusei si abbandonò ad un sincero sorriso – Io, Jack Atlas, Crow Hogan e Kalin Kessler, il nostro leader. Bruno si aggiunse a noi tempo dopo, aiutandoci con una delle nostre moto ingolfate poco prima dell'inizio della nostra gara. “Tempo due minuti e ve la rimetto a posto”, ci disse, e fu di parola: la moto venne rimessa a posto a tempo record, permettendo a Crow di iniziare la corsa-
    -  Che tipo era? Questo Bruno, intendo- chiese Aki, curiosa.
    -  Un patito dei motori. Adorava mettere le mani dentro le moto, gli piaceva più di correre. Devo dirlo, non era esattamente un tale stinco di santo, ma in confronto a noialtri tre, lui era davvero una perla di ragazzo, sempre in grado di evitare le risse. Mentre noi...beh, ci siamo scornati parecchie volte. Penso tu abbia visto i miei segni-
    -  S-sì-
    -  Mh! Beh, lui era un pacifista, a confronto. Non gli interessava menare le mani, ciò che adorava più al mondo erano le moto e i motori-
    -  Aveva una moto?-
    -  Certo! Un chopper strapieno di borchie, cromature e il serbatoio aerografato. Rozzissimo, se l'era costruito lui pezzo dopo pezzo. Gli piaceva elaborare qualche special che faceva partire clandestinamente verso Nuova Domino; altre se le teneva per sé, le più belle. Aveva una sua collezione personale. Era...un tipo, davvero. Con qualche segretuccio di troppo, temo-
    -  Cosa intendi?-
Yusei si prese qualche attimo di pausa prima di rispondere, rimanendo ad osservare in silenzio il mare di fronte a loro.
    -  Spacciava- rispose poi – Non così spesso, ma lo faceva. Lo scoprii per puro caso, quando un team avversario decise di metterci i bastoni tra le ruote. Blackwings, così si chiamavano. Una massa di tipacci poco rispettosi delle regole e vogliosi solo di creare problemi. Io e i ragazzi del team abbiamo cercato in tutti i modi di tenerci lontani da loro, ma alla fine riuscirono a punzecchiarci. Jack fece a pugni con uno di loro e fu il perfetto aggancio, era da un bel po' che cercavano il pretesto per guastarci il sangue. Volarono minacce, botte, pugni, fuori i coltelli e, alla fine, fecero saltare fuori che Bruno teneva duemila yen di cocaina nelle borse laterali del suo chopper proprio durante una retata della sorveglianza-
    -  Du-duemila yen di...-
    -  In quel momento non so cosa mi passò per la testa. Sapevo solo che il nostro meccanico rischiava di finire in prigione ed era l'unico che conosceva a menadito ogni bullone delle nostre moto. E poi...non so che dirti, non volevo che se la prendessero con lui. Lui smerciava un po' di polvere bianca, ma noi tre avevamo fatto di molto peggio-
    -  Fammi indovinare: hai fatto ricadere la colpa su di te-
    -  ...Prima che arrivasse la sorveglianza, presi le dosi e le nascosi nel mio zaino-
    -  E ci cascarono in pieno?!-
    -  Se se la bevvero o mangiarono la foglia, questo non lo so. Ottennero però un abitante del Satellite da sbattere in cella e per loro andò bene così. È così che sono finito nella Struttura, ed è da qui che viene il mio marchio-

Aki annuì, leccandosi le labbra.
Il primo dei grandi misteri su Yusei era risolto.
    -  Rimasi sei mesi nella Struttura- riprese poi – E in sei mesi successe il finimondo. Il nostro team andò letteralmente distrutto. Bruno prese a correre al posto mio, per sostituirmi finché non fossi uscito dalla Struttura. L'intento era nobile, le cose andarono poi diversamente-
    -  Cosa successe?- domandò la rossa, incerta.
    -  Kalin morì durante una corsa. Lo fecero schiantare a piena velocità contro un muro. Della sua moto non rimase niente di riconoscibile, lui stesso era diventato dello spessore di una tavola da stiro con la forza dell'impatto. Bruno venne ritrovato nel pozzo di un cantiere qualche giorno dopo, precipitato insieme alla moto. Più morto che vivo e completamente fuori di senno. Finì i suoi giorni in un ospedale psichiatrico. Ad oggi nessuno sa cosa gli sia davvero successo-
    -  ...Jack e Crow?-
    -  Loro fecero la migliore scelta della loro vita, credo, la più sensata: mandarono al diavolo l'intero giro. Col Team Satisfaction smembrato, e solo loro due a rappresentarlo, decisero di perseguire l'obiettivo che era un po' quello di noi tutti: uscire dal Satellite. Si allearono con la sorveglianza. Fecero i nomi e cognomi di tutti, ottenendo la grazia e una fedina penale completamente pulita. Venne fatto un repulisti completo dell'intera Satellite prima che venisse costruito il ponte Daedalus. L'ultima notizia che ho, di loro, è il pagamento della mia cauzione, dopodiché sono spariti dalla mia vita, e io dalla loro. Ora gareggiano nei circuiti professionisti. E io...beh, lo sai cosa faccio, preparo cocktail in un lounge bar-
    -  Non...non li hai più cercati?-
    -  No-
    -  No?! E per quale motivo?-
    -  Perché la mia vecchia vita del Satellite è finita con la creazione del ponte. Il mio...il nostro sogno, era quello di lasciare quella dannata isola, un giorno o l'altro, di poter trovare la nostra strada fuori da quella gigantesca pattumiera galleggiante. E una volta che il ponte è stato completato, e il nostro team disgregato...non c'era più motivo di stare insieme-
    -  Pensi spesso a loro?-
    -  Più di quanto chiunque possa immaginare-

Aki sorrise e annuì.
Aveva visto giusto. Per quanto Yusei potesse atteggiarsi a fenomeno, a ragazzo forte e stoico e indipendente, viveva di ricordi e fantasmi del passato che non riusciva ad abbandonare completamente. Quelle persone di cui le aveva parlato...Jack, Crow, Bruno e Kalin...dovevano essere state davvero importanti per lui: parlarne addolciva il suo sguardo accigliato e scioglieva la tensione della mascella, rendendolo meno teso e più rilassato, più...vulnerabile, forse. Abbassata quella maschera che sembrava costituire parte della sua difesa, restava solo un sognatore, come tanti ne aveva prodotti il Satellite. Quegli stessi sognatori che uomini privi di scrupoli avevano relegato su un'isola, come una massa di ratti da scacciare dalle vie di una bella città.
L'idea che anche il nome Izayoi figurasse, tra quei meschini affaristi, le faceva ribollire il sangue.
-     Ecco qui- concluse Yusei, con un lieve sospiro – Ora sai tutto di me. Mi sembra strano di come tu non abbia subito riconosciuto il marchio della Struttura-
-    Non sapevo neanche cosa fosse- ammise lei, con un certo imbarazzo.
-    Capisco. Ti hanno tenuta al sicuro proprio da tutte le brutture del mondo, eh?-
Aki annuì, consapevole che qualsiasi cosa avesse detto non avrebbe mascherato la realtà. Seguì il fluido movimento di Yusei con gli occhi mentre questo si alzava in piedi, stiracchiandosi e pulendosi i pantaloni dalla sabbia. Poi indicò il suo vestito con un cenno della testa.
-    Mi dispiace- disse poi – Per il vestito-
-    Oh figurati, si sistema- rispose lei – Non sarà un po' di vento e sabbia a rovinarlo-
-    E mi dispiace...per quello che è successo con i tuoi-
-    Figurati. Anzi, forse dovrei ringraziarti, hai impedito che accadesse il peggio-
-    Non sono sicuro di questo-
-    Fidati di me-
-    ...Volevo fare un'entrata più ad effetto, ma ho pensato che sfondarti il cancello di casa con la moto non fosse esattamente la mossa più intelligente da fare...-
-    Hai pensato benissimo!-
La sua risata...era così bello sentirlo ridere, perché non lo faceva più spesso? 
Yusei le porse una mano, aiutandola a rialzarsi.
-    Vuoi passare a casa a cambiarti?- le domandò poi.
-    Perché? Dove vorresti portarmi?-
-    Che domande, al Pharaoh's Kingdom!-
Già, che domande. Aki sorrise, al pensiero di tornare in quella che ormai considerava la sua casa.


                              ****


La giornata si era conclusa in maniera del tutto imprevista. Nel bel mezzo della serata, Aki era stata contattata telefonicamente da suo padre: sembrava che l'uomo fosse piuttosto nervoso e volesse delle spiegazioni esaustive al gesto della figlia, che sosteneva l'avesse messo in imbarazzo di fronte alla sua intera famiglia. La chiamata era andata avanti per diversi minuti, e mano a mano Aki diventava sempre più nervosa: i balbettii aumentavano, un pessimo segno, e sembrava che suo padre non volesse sentire ragioni. Yusei era rimasto a osservarla per tutto il tempo, preparando i cocktail alla cieca, incerto se toglierle o meno il telefono dalle mani.
Alla fine, era stata proprio la rossa a mettere fine a quella sceneggiata: Yuya aveva detto che era “esplosa” ma Yusei aveva definito quell'aggettivo riduttivo, in quanto Aki aveva preso a sbraitare poco lontana dall'entrata della sala, facendo voltare metà dei clienti, attirati dalle urla inferocite di una giovane dai capelli rossi che gesticolava come i matti. Aveva chiuso la chiamata con tanta veemenza che per poco il telefono non le era scivolato dalle mani, era andata a risedersi al suo tavolo ed era scoppiata in un pianto dirotto.
Era la prima volta che Yusei la vedeva piangere, e non c'era cosa più brutta di vederla stravolta dalla tristezza e dal dolore. Era corso da lei come attirato da una calamita, lasciando che fosse Yuma a terminare quel Cosmopolitan in preparazione, le si era accovacciato di fronte e l'aveva costretta a guardarlo ed ascoltarlo.
Yusei non era mai stato troppo bravo con le parole, era decisamente più bravo a dimostrare quello che intendeva con i fatti; per cui non si era fatto scrupolo alcuno di stringerle le mani tra le sue ed esortarla ad ignorare tutti quanti, a seguire solo le sue aspirazioni e di fare affidamento su tutti loro in ogni momento. Il capobar era l'unico a conoscere tanti lati oscuri della famiglia di Aki, ma sentiva di poter parlare a nome di tutti i suoi colleghi.
Quando lei l'aveva stretto in quel forte abbraccio, più forte di quello con cui si era serrata a lui sulla moto, si era ripromesso di fare in modo di non farla piangere mai più.
Atem doveva aver assistito alla scena da lontano, perché si era poi fatto avanti e si era offerto di accompagnare Aki a casa: intuito che quella giornata, per lei, non era stata affatto facile, aveva suggerito che quello di cui la ragazza aveva bisogno fosse una bella dormita, del sano riposo. Aki aveva annuito.
Aveva salutato tutti ed era andata via seguendo Atem.
E Yusei non sapeva più cosa pensare.

Durante tutto il tragitto verso casa, non poté fare a meno di ripensare a quella giornata trascorsa e agli allucinanti esemplari della famiglia Izayoi. Persone di tutto rispetto, non c'era che dire: rispettabilissimi politicanti con le mani impastate in affaracci sporchi, fin troppo occupati a difendere le loro poltrone per comprendere qualsiasi sentimento umano. Come aveva fatto, la ragazza, a venire su in maniera totalmente diversa, era un bel mistero; eppure ne era mortalmente contento. Forse era un pensiero piuttosto egoista, ma gli piaceva pensare che Aki aveva da offrire solo il meglio del suo nome.
Era la prima volta che l'aveva vista piangere e non gli era affatto piaciuto. E non avrebbe permesso che sprofondasse nella tristezza una seconda volta.
Gli ci volle qualche minuto, e il completo giro della casa, per rendersi conto che Judai non era tornato.
Solitamente, quando tornava dalle sue serate, il castano lasciava un allucinante casino per tutto l'appartamento, spogliandosi in mezzo al corridoio e dimenticandosi il frigorifero aperto tre volte su quattro: tuttavia non c'erano indumenti sparsi stavolta, e il refrigeratore era perfettamente chiuso.
Ora che ci pensava, non aveva visto neanche la sua auto.
Yusei si passò una mano tra i capelli, sorpreso. Forse era uscito? Ma dove poteva andare, alle sei e un quarto del mattino? Forse a prendere qualcosa con cui fare colazione, lo faceva spesso quando Yusei lavorava...ma no, non avrebbe mai preso l'auto per andare alla cornetteria sotto casa. Dov'era finito? Sapeva che aveva programmato una serata con Alexis, possibile che non fosse ancora tornato?
La risposta gliela diede il telefono che gli squillò nella tasca interna della giacca. Yusei lo recuperò velocemente, rimanendo ad osservare soprappensiero il numero di Judai comparire sopra la sua faccia sorridente: fece scorrere il dito sullo schermo e portò il ricevitore all'orecchio.
-    Yusei!- sibilò il castano nella cornetta – Oh per fortuna sei sveglio! Pensavo fossi andato già a dormire!-
-    Jud? Dove diavolo sei?! Tutto a posto?- domandò il barman, sorpreso -Mi hai fatto preoccupare! Non ti vedevo da nessuna parte!-
-    Ah, eheh, non preoccuparti, è tutto a posto! Sono vivo e vegeto, sano come un pesce! Per ora-
-    Che sei vivo e vegeto lo sento, ma cosa vuol dire “per ora”? E perché sussurri?-
-    Nnnnon sono da solo-
-    Mi dici dove cazzo sei?! Mi sto innervosendo! Sono stanco, voglio andare a dormire! Se è davvero tutto a posto perché mi hai chiamato? Devo venire a prenderti? Ti si è fermata la macchina?-
-    Nonono, niente di tutto questo! Sussurro perché non sono solo!-
-    E questo l'avevo capito, razza di-- aspetta, con chi sei?-
-    Yusei...ti ricordi del discorso della scorsa settimana? Quello cominciato con Atem e Mana e le migliori amiche?-
-    ...A grandi linee. Judai, taglia corto ti prego, ho bisogno di dormire...- sbuffò il ragazzo, versandosi da bere del latte.
-    Ecco, chi era che diceva che uno non fa sesso con la sua migliore amica se la considera solo questo? Yuya?-
-    Yuya, sì, così mi pare. Ma perché—
-    Ecco, temo abbia ragione-
-    Ma CERTO che ha ragione! Se fai sesso con la tua migliore amica è perché non la vedi semplicemente come tale! Ci vedi qualcosa di più profondo in lei, magari provi attrazione per lei anche in un altro senso! Magari ti piacerebbe averla come compa—
-    ...Yusei?! Ci sei?-
Rimasto con la confezione di latte in mano mentre stava per rimetterla a posto nel frigorifero, Yusei fissò lo sguardo su una confezione di salamini scaduti.
Non aveva capito quello che pensava, vero?!
-    Judai, dove diavolo sei ora?!- gli domandò poi, chiudendo di scatto il frigorifero.
-    ...A casa di Alexis-
La risata gli risalì lentamente la gola, a piccoli singhiozzi, prima di scuoterlo dalla testa ai piedi e farlo cadere seduto sul pavimento. E sentire Judai che sibilava dall'altra parte della linea non aiutava a fermarlo.
-    Smettila dannazione, la svegli così! Ti potrebbe sentire!- soffiò Judai, costernato.
-    Ma...ma io...cosa...sul serio? TU?! E ALEXIS?!-
-    Ehi, è capitato, va bene?! Era un po' brilla quando l'ho riportata a casa e—
-    E te ne sei approfittato?! Judai, giuro che—
-    No, casomai è stata LEI che ha approfittato di me!-
-    ...nnnnon ho capito...-
-    Sì che hai capito, fenomeno! L'ho portata a casa, mi ha urlato addosso non mi ricordo che cosa, diceva di stare male e di sentire caldo e che cosa devo dirti, me la sono ritrovata nuda davanti! Sembrava l'apparizione di Venere quando nasce dalla cozza, cazzo!-
-    Venere non nasceva da una cozza...-
-    Sì, vabbé cos'era, una conchiglia?! Dannazione Yus, che diavolo faccio adesso?!-
-    E non chiamarmi così...! Cosa intendi?-
-    Se si sveglia e si accorge del nostro stato e si ricorda cosa abbiamo combinato, che ne sai di quello che potrebbe fare?!-
-    Judai...io spero tu stia scherzando-
-    Fottiti Yusei! Qui la faccenda è seria! Sono finito a letto con la mia migliore amica, e quel che è peggio è che lei vive ancora con suo fratello! Se Atticus viene a saperlo mi appiccica al muro con uno schiaffo, e voi dovrete cercarvi un altro chef!-
-    Quello potrebbe essere un problema, effettivamente...-
-    ...Oh CAZZO!-
-    Judai? Ehi, Jud?! Judai!-
La conversazione si chiuse di scatto, lasciando Yusei con il cellulare in mano, ad osservare il timer del telefono lampeggiare sullo schermo.
Pochi attimi dopo afferrò giacca e casco e si precipitò in garage, imprecando su Judai e sui discorsi a vanvera di Yuya.






Capitolo 11! Finalmente sono tornata!
Lo ammetto, sono decisamente in ritardo rispetto alla mia tabella di marcia. A dire il vero sonno in ritardo un po’ con tutto, ma sono stata molto impegnata con lo studio per gli esami di accesso universitari e ora sono ufficialmente studentessa di un ateneo padovano!
Capirete quindi che non ho avuto molto tempo da dedicare perfino a me stessa. Con il trasferimento da preparare, le dimissioni da lasciare a lavoro, il cambio di vita e la necessità di adattare le mie abitudini a nuovi ritmi…tutto questo mi ha tenuta lontana dalla tastiera per un po’, impedendomi perfino di pubblicare un aggiornamento pronto ormai da tanto tempo.
Spero che nessuno ne abbia a male!

Torniamo a noi!
Abbiamo in questo capitolo parecchia carne al fuoco…e un’idea più precisa di come sia realmente la famiglia di Aki. Ho qui seguito più o meno le “linee guida” dell’originale, che vedono l’alta società – in realtà tutta Nuova Domino, come una comunità fortemente influenza da ideologie distopiche al limite del razzismo, che disprezza gli abitanti del Satellite considerandola “feccia” di cui è necessario liberarsene. Anche qui ho voluto ripercorrere questa strada, anche se alla base di tutto questo ci sono altre motivazioni che verranno mano a mano scoperte.
Scopriamo qui anche qualche informazione sul passato di Yusei al Satellite! Team Satisfaction altro non è che la denominazione originale del gruppo di Esecutori, formato appunto da Yusei, Jack Atlas, Crow Hogan e Kalin Kessler. Come sappiamo tutti Bruno comparirà solo molto tempo dopo, ma mi piaceva l’idea di dar loro un “collega” esperto di moto al punto dal conoscere a menadito. Purtroppo non troveremo molto su di loro in questa storia, giusto nei ricordi del giovane Fudo, come un perenne memento della sua precedente vita.
Dopodiché, ho deciso di chiudere il capitolo con quella che a tutti gli effetti potrebbe essere considerata una “notizia bomba”: Judai e Alexis insieme?! E parliamo dello stesso Judai giusto? Quello che si batte fieramente il pugno al petto e urla “Io e Alexis siamo due perfetti migliori amici!”. Parliamo di lui vero?!
Parliamo proprio di lui. Sarà tutto chiaro nel prossimo capitolo! Intanto ditemi per favore se riscontrate problemi di impaginazione su questo: non disponendo di un PC vero e proprio ho ottimizzato il mio iPad come piattaforma per disegno e scrittura, ma sto ancora imparando tutti i trucchetti e qualcosa potrebbe essermi sfuggito.

Per qualsiasi domanda o dubbio io sono qui! Recensione, MP o qualsiasi altro modo vogliate usare per contattarmi, io ci sono!

Un abbraccio,
92Rosaspina.

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Capitolo 12
*** 10. Bevi responsabilmente. ***


Pharao's Kingdom 12

10. Bevi responsabilmente.






La serata procedeva alla grande: Alexis sembrava divertirsi davvero molto, e Judai aveva ormai perso il conto dei brindisi che si erano concessi. Seduti uno di fronte all'altra allo stesso tavolo, erano al terzo bicchierone di Cuba Libre per lei, e ne aveva appena ordinato un quarto; mentre lui, per quella sera più assennato e consapevole di doverla poi riaccompagnare a casa, si era fermato al secondo giro di Rum Fizz, cercando di portarselo più avanti possibile bevendolo a piccoli sorsi.
Era da un po' che non si concedevano una serata insieme, solo loro due. Per tutto il mese si erano visti molto spesso, ma sempre al Pharaoh's Kingdom, quando lui era in turno e, con suo dispiacere, non aveva molto tempo da dedicarle; a fine serata poi, arrivava stremato e desideroso solo di una bella doccia e una sana dormita, e a malapena riusciva a scambiare un saluto con lei.
A volte ci ripensava, e si dava sistematicamente del cretino. Sperava sempre che Alexis non se la prendesse troppo a male ad essere liquidata così velocemente: non era nelle intenzioni di Judai essere scortese o altro, ma quando aveva sonno diventava piuttosto burbero e indisponente. La ragazza sembrava però capirlo, e aveva sempre l'accortezza di lasciarlo andare quando sapeva che non era il caso.
C'era un motivo perché a Judai piaceva la sua compagnia, e stava proprio in quella sua esemplare empatia: lo conosceva meglio di chiunque altro, e sembrava sapere perfettamente cosa gli passava per la testa ogni volta. Glielo chiedeva spesso, e Alexis gli rispondeva che era brava ad osservare certe cose.
Era consapevole del fatto che la ragazza provasse, per lui, un affetto smisurato, un forte sentimento di amicizia che non li aveva mai portati a dividersi per tutti quegli anni, e Judai era fiero di poter contare su una persona come lei. Poche ragazze potevano rivaleggiare con Alexis su molti aspetti: sicuramente la sua bellezza, definibile come eterea con quella pelle candida, i capelli biondi e gli occhi grigi, molto rari ed estremamente accattivanti, l'ovale del viso ben strutturato e il corpo tornito dalle ore di palestra, ma fosse stata solo bella non avrebbe attirato la sua attenzione. Dotata di un'intelligenza viva e acuta, Alexis si era diplomata con il massimo dei voti e stava rapidamente scalando i gradini del corpo della polizia di Nuova Domino, ottenendo poco tempo prima una promozione a Sergente. Appena saputa la notizia, si erano chiusi in una cantina e avevano bevuto fino a star male: Judai era stato costretto a prendere due giorni di malattia dal suo lavoro, Alexis si era stoicamente resa subito operativa.
Bella, intelligente, seria, responsabile e onesta: tutte qualità di spicco in qualsiasi essere umano esistente, che avesse un seno o meno. E questo Judai lo sapeva.
E lo sapevano anche i suoi amici e colleghi, Yusei in primis, che sembravano così desiderosi di vederli insieme. Lo chef del Pharaoh's Kingdom aveva ben chiaro il perché di tanta insistenza, ma per quanto gli fosse fatto notare non aveva mai visto, in lei, un vero e proprio interesse in quel senso. Certo, le piaceva stare con lui, uscire, bere qualcosa, condividere successi o anche solo video stupidi su social network, ma Alexis aveva una sua ben definita vita privata e Judai aveva a sua volta la propria.
Che poi questa fosse colma di alti e bassi, era un altro discorso.

Judai sembrava incapace di mantenere una relazione stabile che durasse più di qualche settimana. Il motivo non era chiaro neanche a lui stesso: Yusei aveva ipotizzato che stesse nel fatto che, nel suo profondo, sapeva di volere una sola persona accanto. Che poi indicasse Alexis come persona, anche quello era un altro discorso, ma in cuor suo sapeva che il capobar aveva ragione: la giovane Rhodes era l'unica ragazza con la quale aveva sviluppato un'affinità tale da sapere entrambi cosa stessero pensando, in un determinato momento.
Judai aveva sempre giustificato tale complicità con il fatto di conoscersi fin da ragazzini e di aver trascorso gran parte degli anni scolastici insieme, un po' come Yuya e Yuzu. La differenza da questi ultimi era che fosse, effettivamente, impensabile vedere Yuya con una qualsiasi ragazza che non fosse Yuzu, e viceversa: il modo in cui si completavano e sopperivano alle reciproche mancanze era visibile in una coppia su un milione, ed era per loro impossibile stare senza la loro metà. E di questo se n'erano effettivamente resi conto, al punto di confessarsi i reciproci sentimenti e decidere, finalmente, di stare insieme. Atem aveva scherzosamente profetizzato un loro futuro matrimonio, cosa che aveva fatto guardare in faccia i due interessati con sorrisi ebeti sul volto: non era tanto il fatto di pensare all'idea delle nozze, seppur in giovane età come loro, quanto il fatto che, a prevedere tale futuro, fosse stato proprio il Faraone.
Quel tipo non parlava mai a vanvera, né tanto meno riempiva per forza i silenzi se non sapeva cosa dire. E tutti, tutti sapevano che se aveva espresso tale pensiero era perché sentiva che gli eventi avrebbero preso una simile piega. Yuya e Yuzu sembravano momentaneamente più propensi a divertirsi insieme, scorrazzando in giro e facendo tutte quelle scemenze da fidanzatini, ma c'era davvero da farsi qualche domanda quando Atem li osservava con il suo solito, maliardo sguardo sornione.
Era come se sapesse. Come se prevedesse davvero il futuro.
Per certi aspetti era inquietante.

Una cosa doveva dire, di Atem, ed era che a differenza del resto della crew del Pharaoh's Kingdom non sembrava insistere troppo sull'idea di lui e Alexis insieme. Laddove Yusei, Yugi, e a volte Yuma e Yuya battevano spesso il martello su quel chiodo, Atem aveva avanzato quell'ipotesi una sola volta, per poi non ripetersi mai più. Gesto tipico di lui: ogni cosa da lui fatta, detta o chiesta era un one call, come lui la definiva. Avevi una sola possibilità di captare il significato intrinseco di un suo gesto o parola, e spesso questa sfumava subito appena provavi a ripensarci sopra. Ogni cosa da lui detta o fatta era un po' come le sue illusioni, o magie come lui stesso le chiamava: coreografiche e d'effetto, ma mai ripetute una seconda volta. Ripeterle voleva dire dare agli altri la possibilità di capire dove fosse il trucco, e questo valeva con i suoi giochi così come le sue parole.
L'unica volta in cui aveva parlato di lui e del suo rapporto con Alexis, gli aveva detto che se non avesse lui stesso aperto gli occhi, ci avrebbe pensato lei, in un modo o nell'altro.
Non sapeva cosa pensare al riguardo.

In quel momento, si limitò a fissare gli occhi sul volto ridente di Alexis: doveva aver fatto qualche battuta davvero divertente poco prima, forse aveva raccontato qualche nuova birbonata di Yuma, perché la giovane era scoppiata in una grossa risata che le aveva fatto chiudere gli occhi e reclinare il capo indietro, reggendo il bicchiere di Cuba Libre nella mano destra. Le guance erano lievemente imporporate, forse per il calore presente nella sala o, più probabile, per le dosi di alcol che stava assumendo.
Il 31 Lounge era un locale poco distante dal Pharaoh's Kingdom, ma su tutt'altro genere: non offriva la stessa tipologia di intrattenimento, e mirava ad una clientela meno facoltosa ed esigente. Era un locale molto carino, con le luci soffuse e la musica adatta, frequentato per lo più da gruppi di giovani che si ritrovavano tutti insieme soprattutto nel fine settimana: i muri erano pieni di cornici entro cui erano racchiusi vecchi vinili, pezzi importanti che avevano fatto la storia del jazz e del blues, mentre i tavoli erano rivestiti di pagine in bianco e nero di vecchi fumetti. Il bancone sul fondo non poteva certo rivaleggiare con quello del Pharaoh's Kingdom per maestosità e capienza di bottiglie, ma nella sua semplicità era estremamente funzionale per quei due ragazzi che preparavano bevande. Era una piacevole variazione ad un territorio già conosciuto, come il regno del Faraone, rinomato soprattutto per i Cuba Libre e per i cornetti che sfornava a mezzanotte.
    -    Certo che quel tuo amico è davvero un tipo particolare!- esclamò Alexis, ridacchiando e tornando a bere un sorso – Yuma, intendo-
    -    Lo è, maledizione- annuì lui, prendendo un altro sorso dalla sua bevanda – Probabilmente ha messo il dito in una presa di corrente, da bambino. Non so come spiegarmi tutta quella sua iperattività-
L'ennesima risata di Alexis a quella battuta un po' scontata gli fece capire che l'alcol le era entrato in circolo.
In realtà, quello che aveva detto non si scostava molto dal vero: Yuma era sempre stato carico come una dinamo, troppo per metterlo a prendere ordinazioni ai tavoli. L'intuizione di Atem era stata giusta: metterlo al bancone a preparare alcolici gli dava un buon modo per sfogare la sua energia. Aveva imparato i segreti del Flair Bartending più per passatempo che per altro, ma da quando aveva scoperto di esserci piuttosto portato nessuna bottiglia in mano sua restava dritta per più di mezzo secondo. Allo stesso modo, se si trattava di inventare nuove miscele era un vero disastro: creava intrugli insapori allo stesso modo con cui partoriva autentiche distillerie in miniatura, riuscendo a stendere perfino un tipo con la resistenza di Yusei. Atem dribblava sapientemente qualsiasi invito ad assaggiare le sue creazioni, ma spesso gli chiedeva di preparargli un Martini; Judai aveva voluto provare una sua bevanda auto prodotta e se n'era pentito amaramente.
Al di là della sua discutibile inventiva in campo alcolico, Yuma era un tipetto davvero complicato da gestire e governare, e finora solo Yusei sembrava in grado di tenerlo tra le sue redini senza eccessiva fatica: arginare la sua iperattività era un arduo compito che avrebbe esasperato chiunque, soprattutto per i pasticci che questa causava, dentro e fuori dal locale. Ma averlo intorno era divertente, e la sua assenza si faceva sentire anche troppo.

    -    Alexis, non bere così velocemente-
L'unico difetto di Alexis era che, in alcuni campi, non sembrava conoscere mezze misure; e uno di questi era proprio l'assunzione di alcol. Più e più volte era finito con il riportarla a casa che a malapena si reggeva in piedi: assumeva l'alcol troppo velocemente, e spesso a stomaco vuoto. Questo si traduceva, spesso e volentieri, in Alexis che diventava brilla nello spazio di un bicchiere.
Figurarsi cosa poteva succedere con quattro. E dire che tra i drink a base di rum, il Cuba Libre era anche molto leggero: conteneva appena due parti e mezzo di rum bianco contro le sei di Cola, era facilmente tollerato anche da Yugi che non era esattamente un campione di resistenza alcolica. Tuttavia, questo valeva se ne veniva assunto un solo bicchiere e con la dovuta calma, non quattro di seguito.
    -    Non posso farci nulla, mi piace davvero tanto!- rispose la ragazza, posando il bicchiere vuoto a metà – Ehi! Mi togli una curiosità? Ma cosa c'è tra Yusei e Aki?-
    -    Vuoi la verità?- Judai prese ancora un sorso prima di continuare – Non l'ho mica capito ancora. Si trovano bene insieme, li sorprendo a chiacchierare molto spesso. So per certo che Aki ha preso una bella sbandata per lui, a volte si incanta a fissarlo e smette perfino di ascoltarlo, persa in chissà quali nuvole di zucchero filato...ma credo si ucciderebbe piuttosto che ammetterlo. È una ragazza apparentemente molto riservata-
    -    Uuuuhm. E Yusei?-
    -    Beh, Yusei sta molto bene con lei, anche se ha notato qualche suo strano atteggiamento e a volte la punzecchia per questo. Le vuole bene, questo è certo...l'ho sentito poco fa, mi ha detto di essere andato a prenderla dalla casa dei suoi genitori. Hanno fatto un giro in moto insieme, ad Aki sembra essere piaciuto-
    -    ...Yusei ha invitato una ragazza a fare un giro sulla sua preziosiiiissima moto?!-
    -    In realtà, se ho capito bene è stata più una necessità che un vero piacere-
    -    Beh, è comunque un indicatore molto importante questo! Da quello che so Yusei non è molto propenso a portare passeggeri sulla sua moto, a parte te...-
    -    Anche io sono una necessità. Non gli piace perché dice gli compromette la ciclistica della moto-
    -    La che cosa?!-
    -    Ma che ne so, quella roba che sanno solo i motociclisti...Alexis, stai bene?-
    -    Eh? Sì, sì...certo!-
    -    Hai bevuto troppo in fretta-

    -    Non è vero!-
    -    Cominci a strascicare la voce, vuoi che ti porti a casa?-
    -    Ma non è neanche mezzanotte!-
    -    Sì, e sei già ridotta ad uno straccio-
    -    ...Vuoi solo liberarti di me il prima possibile-
    -    Ma cosa dici?! Ehi, non mettere il muso, adesso-
    -    Non mi vuoi bene-
    -    Alexis...oh buon cielo...-

Judai si passò una mano sul volto, costernato, dandosi sistematicamente del cretino.
Alexis amava l'alcol, ma la sua resistenza ad esso era veramente bassa: troppa, per sostenere quattro drink ingollati tutti d'un fiato. Non era la prima volta che si ritrovava in quelle condizioni durante una serata, ma ogni volta gli sembrava sempre peggio. Più volte era stato costretto a riportarla a casa sua quasi in braccio, e quella serata minacciava di finire più o meno allo stesso modo.
    -    Stai bene? Sei sicura?- domandò Judai, apprensivo, stringendole una mano; gesto che sembrò illuminare gli occhi di Alexis dall'interno.
    -    Sto beeeeenissimo!- confermò lei, con un grosso sorriso – Ho solo un leggero cerchio alla testa...-
    -    Sarà l'aureola-
Alexis scoppiò a ridere ancora: la testa le ciondolò paurosamente da una parte all'altra, facendogli sgranare gli occhi castani.
Decisamente un pessimo segno.
    -    Okay, credo sia il caso che ti riaccompagni a casa- annuì poi, alzandosi in piedi. Alexis lo seguì con i grandi occhi grigi acquosi.
    -    Mi accompagni tu? Siiiiii!- squittì poi, deliziata, alzando le braccia al cielo e attirando gli sguardi di un paio di ragazze.
    -    Forza, andiamo al bancone-
    -    Ma non dovevamo tornare a casa?-
    -    Certo, ma prima devo pagare-
    -    Ooooh. Mi alzi tu?-
    -    Va bene-

Sì, era lievemente peggio delle altre volte. Judai si chinò verso di lei e la prese sotto le braccia, mettendola in piedi come una bambola. Alexis scoppiò a ridere, sostenendo di farle il solletico, barcollò leggermente e, priva di forze ed equilibrio, gli si appoggiò addosso, finendo dritta tra le sue braccia. Judai alzò gli occhi al cielo, sbuffando costernato e dandosi ancora dell'idiota.
    -    Perdonami, Alex. È tutta colpa mia, dovevo controllarti- le disse poi, sorreggendola con sé mentre arrivava al bancone.
    -    Controllarmi?! Eeeeehi, non sei mica mio padre!- sbuffò lei, scuotendo il capo.
Faticava perfino a mantenere gli occhi aperti...Judai si diede del cretino per la terza volta consecutiva mentre cavava il portafoglio fuori dalla tasca e porgeva un paio di banconote al ragazzo alla cassa. Era sotto la sua responsabilità, e lui aveva lasciato che si ubriacasse come una barbona, avrebbe detto Yusei. La aiutò ad incamminarsi verso la porta d'uscita: i sandali col tacco non sembravano aiutarla molto nella camminata...
    -    Vieni con me. Perdonami, davvero, sono un idiota- borbottò il giovane, aprendo la porta e uscendo alla svelta dal locale – Dove vai?! L'auto è di qua!-
    -    Ah? Oh è vero!-
Alexis cambiò rapidamente direzione, barcollando sui tacchi: Judai frenò a stento un urlo quando vide la sua caviglia destra piegarsi sotto il peso del suo corpo. In un battito di ciglia le fu accanto, sorreggendola e guidando i suoi passi.
    -    Che bello! Cavalluccio! Siiiiiii!-
    -    No no no che cavalluccio AHIA!-
Qualunque cosa la giovane avesse inteso, aveva preso un granchio grosso come una casa: Judai le si era avvicinato di corsa e l'aveva rimessa in piedi e lei, per tutta risposta, era saltellata fin dietro di lui e aveva spiccato un balzo, montandogli sopra. Fu solo per un suo veloce riflesso che il castano l'afferrò per le cosce lasciate nude dal vestitino e la sostenne.
    -    Forza...andiamo!- esclamò poi – Almeno così non mi finirai lunga per terra-
    -    Eeeeh! Per così poco...dai, più veloce!-
    -    No, più veloce cosa?! Non sono un cavallo, dannazione!-
    -    Uuuffa, non mi diverto così!-
    -    Non agitarti, non riesco a tenerti sennò!-
In un attimo, Alexis si quietò. D'improvviso, senza un reale motivo. Judai alzò la testa, preoccupato, convinto gli si fosse addormentata addosso. E invece la sentì incrociarle le braccia al collo e strusciare la testa contro la sua guancia sinistra, prima di guardarsi intorno completamente spaesata.
    -    Judai...- lo chiamò poi, la voce ridotta ad un soffio nel suo orecchio che lo fece rabbrividire – Ma dove siamo?-
    -    Andiamo bene...- commentò il ragazzo, scuotendo il capo – Ti ricordi almeno come ti chiami?-
    -    Ma certo, sciocchino! Ehi, ma la tua auto è rossa!-
    -    Sì, lo so Alexis, la mia auto è rossa-
    -    Uhuuu...il colore della passione! Sei un tipo passionale, Judai?-
    -    ...Dipende da cosa intendi con “passionale”. Scendi un attimo, come faccio a farti entrare in macchina sennò?-
    -    Oh, ma secondo te cosa intendo con “passionale”? Ehi, ma che bella la tua auto!-
    -    Grazie Alexis, me lo ripeti ogni sera quando ti sbronzi-
    -    Così ben rifinita...e uuuuuh! Guarda il contachilometri!-
Con uno scatto, Alexis avanzò fino a tastare con mano il contachilometri della Mini Cooper, posto dietro il volante.
    -    Beh? Che ha di strano?-
    -    Ma come che cos'ha di strano?!-
Alexis si voltò verso di lui nell'esatto momento in cui Judai entrò nell'abitacolo a sua volta: la giovane spalancò gli occhi lucidi e gli sfoderò un ampio sorriso, che il ragazzo trovò allucinante.
    -    Il tuo cruscotto è così graaaaaaaaandeeeeeee!- spiegò poi, allargando le braccia per enfatizzare la parola.
    -    Oh mamma. È peggio di come pensavo- commentò il ragazzo, avviando il motore – Dai Alexis, mettiti bene sul sedile, ti accompagno a casa-
    -    Che bello! Andiamo a casa! Siiiii!-
Judai sospirò. Sarebbe stato un luuuungo viaggio.


Un paio di volte era stato tentato di spalancare la portiera e farla volare fuori dall'abitacolo, davvero. Il pensiero era osceno e terribile, ma la pazienza di Judai era stata esaurita tutta nel giro di mezzo secondo, quando Alexis aveva fatto cadere il piccolo peluche portafortuna (quello che Yuma definiva “piccola palla di pelo alata”) dallo specchietto retrovisore prima di afferrare il volante, pretendendo di guidare mentre lui pigiava il pedale: la Mini Cooper aveva sbandato un paio di volte e per poco non avevano rischiato un frontale con un'auto che viaggiava nel senso opposto. Un conto era ridacchiare a battute insensate ed agitarsi sul suo sedile, un altro era rischiare di farli uccidere in un eccesso di iperattività: Judai era esploso in un'imprecazione che, fosse stato nel locale, gli avrebbe fruttato una cannonata a base di cubetti di ghiaccio da parte di Yusei, le aveva strillato addosso e ordinato di restare ferma. A quel punto Alexis era sprofondata nel sedile, le braccia conserte sotto il seno e lo sguardo basso.
    -    Non mi vuoi bene- sibilò ad un certo punto, senza guardarlo. Judai si voltò appena verso di lei.
    -    Che diavolo dici?! Certo che ti voglio bene!- esclamò lui, per tutta risposta.
    -    Visto come mi urli addosso non mi sembra proprio-
    -    Alexis, dimmi che non stai dicendo sul serio, ti prego...- Judai staccò le mani dal volante per stropicciarsi la faccia, esausto ed esasperato – Ti rendi conto di quello che hai fatto?! Stavamo per causare un incidente stradale!-
    -    Ma io volevo solo aiutarti!-
    -    Ma non mentre guido! Si guida uno alla volta!-
    -    ...Non mi vuoi bene-
    -    Ancora con questa storia?!-
    -    Allora perché non mi capisci?-
    -    ...Alexis, cosa--
    -    Io ti voglio bene! Un bene che tu non puoi neanche immaginare! Ma sembra che non te ne importi nulla! Non capisci! Mi prendi solo in giro-
I volti di Atem e Yusei gli tornarono in mente, scoccandogli un'occhiataccia e una smorfia.
Aveva sentito bene?!
    -    Alexis, lo so che mi vuoi bene- sbuffò lui, scuotendo il capo e faticando a trovare le parole – Lo so e me ne sono accorto-
    -    E allora perché stai complicando le cose?!-
    -    Io non complico un bel niente! È solo che--
Judai sbuffò ancora, scuotendo il capo.
    -    Senti, arriviamo a casa tua e ne parliamo meglio, okay? Ora devo restare concentrato, sto guidando-
    -    Quanto manca...?!-
    -    Poco, dai. Ci siamo quasi-
    -    ...Aki mi piace tanto!-
Il castano alzò gli occhi al cielo, disorientato da quell'improvviso cambio di discorso.
    -    Davvero?- domandò lui, cercando di restare sul nuovo argomento.
    -    Mh-hm! È così carina...! Ha due occhi stupendi, e...e i suoi capelli!-
    -    Che cos'hanno i suoi capelli?-
    -    Ma come che cos'hanno?!-
Alexis scattò ben seduta sull'attenti, osservandolo con occhi sgranati.
    -    Sono rossi!- esclamò poi, come se gli avesse appena rivelato il segreto dell'eterna vita – E sai cosa dicono delle rosse, vero?-
    -    ...Non posso ripeterlo!-
    -    Dicono...che siano streghe!-
    -    Ah davvero?-
    -    Sììì! E che abbiano poteri maaaaagici!-
    -    Questa mi è nuova...quindi sei convinta che Aki sia una strega?-
    -    Se lo è, è la strega più bella che io abbia mai visto!-
Ci mancava solo di scoprire che Alexis giocava per due squadre, e poi Yusei avrebbe avuto tutte le scuse per fregiarlo del titolo di CRETINO DELL'ANNO. Judai borbottò qualcosa, continuando a guidare, gli occhi concentrati sulla strada.
    -    A te piacciono le rosse, Judai?-
E ora che cavolo di domanda era, quella?!
    -    ...Perché?!- le domandò lui, per tutta risposta. Non che le sue, di domande, fossero particolarmente intelligenti...
    -    Perché il rosso è un colore che ti piace!- esclamò lei, con l'allegria e il bel sorriso di una bambina – La tua giacca preferita è bianca e rossa...anzi, più rossa che bianca! E-e la tua macchina anche è rossa! E poi ti piacciono i frutti rossi! Le fragole, le ciliegie...anche alcuni tuoi boxer sono rossi!-
    -    ...E tu cosa ne sai di--
    -    Si vedono quando ti siedi!-
    -    Oh buon cielo-
    -    Quindi, se il rosso è il tuo colore preferito, immagino che anche i capelli rossi ti piacciano, no? E poi quelli di Aki son davvero beeeeelli! Cioè, sono rossi, ma non così rossi! Sono...tendenti al viola ecco! Al fucsia! Pensi siano naturali?-
    -    Ma credo proprio di no...-
    -    Allora anche a lei piace il colore rosso! Allora? Ti piacciono i capelli rossi?-
    -    Beh, cosa vuoi che ti dica, Alex? Sì, mi piacciono-
    -    Quiiiiiindiiii...se mi tingessi i capelli di rosso, riuscirei a piacerti?-
    -    Non hai bisogno di quella roba. Mi piaci così, a me-
Un attimo. E quando l'aveva pensata quella?! Judai si voltò brevemente ad osservarla, cauto e sorpreso dalle sue stesse parole.
Alexis era rimasta ad osservarlo in perfetto silenzio, ma qualcosa, nelle sue parole, l'aveva fatta sorridere. E non quel sorriso tipico di una sbornia, senza motivo e quasi idiota: un sorriso vero, dolcissimo, come quelli che gli aveva sempre riservato. La giovane aveva gli occhi che parevano scintillare.
    -    Davvero?- chiese poi, la voce morbida.
    -    Davvero. Sono sincero. Mi piaci Alexis, ma penso che questo l'avevi già capito da te...che motivo avrei di starti sempre così dietro? Sei una mia cara amica. La migliore-
Ecco, forse era riuscito a salvare in corner la situazione. FORSE. O forse l'aveva solo peggiorata. Judai arricciò il naso, incerto delle sue stesse parole.
Ora perché gli tornava in mente il discorso di Yuya e delle migliori amiche che non erano più solo tali dal momento in cui ci facevi sesso?!
    -    Allora mi vuoi bene davvero?!-
    -    Ma certo che ti voglio bene! Ma hai davvero dei dubbi a riguardo?-
    -    Mmmm...No! Mh, sei davvero il mio più grande amico, Judai!-
    -    Ah...eh...gra-grazie. Anche tu, Alexis-

Judai si lasciò andare ad un sospiro soddisfatto e sospettoso insieme, tornando a guardare la strada con occhi attenti. Se li stropicciò un poco, cercando di recuperare tono.
L'alcol stava iniziando a salire anche alla sua testa: la sentiva eccessivamente leggera, e qualcosa sembrava accarezzargli la testa proprio alla nuca...ah no, quella era la mano di Alexis.
    -    Mh, hai dei capelli così moooorbidi, Judai...- la sentì mormorare poi, sempre con il sorriso sulle labbra.
Ma Judai non l'ascoltava più ormai, troppo perso nei suoi stessi pensieri.
Aveva davvero rischiato un grosso scivolone, poco prima: qualche parola di troppo e la situazione avrebbe potuto davvero diventare troppo strana e facile da fraintendere. Non che Judai non intendesse quello che aveva detto: Alexis gli piaceva davvero, e per tanti motivi che si era sempre ripetuto, e per tante altre qualità per la quale la reputava la persona più affidabile sulla Terra. E soprattutto gli piaceva così com'era, senza colorazioni strane o tatuaggi o altre particolarità dettate dalla moda: era bella così, al naturale, illuminata dalla sua allegria e gentilezza e non da cosmetici ipercostosi.
Gli piaceva, però, in quella maniera che neanche lui sapeva definire: in quella grande burrasca creata dalle sue relazioni sentimentali piuttosto brevi, Alexis era il suo unico punto fermo, un faro nella notte presso cui fare ritorno quando la tempesta si faceva troppo forte. In qualsiasi momento, lei c'era, c'era sempre stata: per consolarlo, consigliarlo, sostenerlo e, a volte, alimentare il fuoco del suo bruciante risentimento. E proprio perché Alexis era per lui speciale, che non poteva riservarle un trattamento analogo a quello delle altre ragazze che frequentava: non meritava simili affronti, né di essere sminuita in quel modo.
E poi, davvero: Yusei li vedeva come coppia dell'anno, ma con quale occhio poteva mettere una ragazza come lei con uno squinternato del suo calibro? Un sergente di polizia con un capocuoco?
Non che non ci avesse pensato...ma erano sempre stati solo pensieri, appunto, nulla messo in pratica, anche per non rovinare la loro bella amicizia...perché se fosse finita per un suo sbaglio o svista o mossa avventata non se lo sarebbe mai perdonato, neanche in una vita futura.
Alexis contava troppo, per lui.
E più ci pensava, e più ci ragionava, e più gli sembrava di sentire i suoi pensieri con la voce di Yusei.

Arrivarono a casa di Alexis dopo mezz'ora di viaggio: la giovane aveva parlato per tutto il tempo, chiedendogli ora di Yugi e Anzu, ora di Yusei e Aki. Sembrava insospettabilmente lucida nonostante i quattro long drink bevuti, anche se continuava a strascicare alcune parole. Almeno aveva smesso di gesticolare con troppa enfasi e aveva desistito dall'attaccarlo ad abbracci; non ricordava, però, che l'alcol le sciogliesse la lingua a quel modo.
    -    Siamo arrivati- le disse, posteggiando la macchina a pochi centimetri dal marciapiede – Eccoci qui. Vuoi una mano a scendere, Alexis?-
    -    Eh? No dai, ce la faccio da sola! Passami solo la borsa...-
Fortuna che, conoscendo lei e le loro precedenti serate, Judai aveva scelto di non fidarsi troppo: una volta passata la borsa, era velocemente sceso dall'auto e fatto il giro, fermandosi di fronte a lei in tempo per prenderla tra le sue braccia prima che si schiantasse a terra. Alexis sbuffò frustrata.
    -    Ooooh...scuuusami- sbuffò poi, alzando la testa ed osservandolo con occhi lucidi – Ah, ma perché non riesco a reggere l'alcol, non è giustooooo...-
    -    Perché non sai bere senza trangugiarlo come un vecchio marinaio, Alexis...-
    -    Ma che dici?! Non è vero!-
    -    Aaaah, aiutami anche tu piuttosto, come faccio a rialzarsi se non...Alexis? Alex?!-
Ma lei non l'ascoltava più ormai: fattasi improvvisamente pesante tra le sue braccia, Judai fu costretto ad accompagnarla gentilmente a terra per non vederla cadere sul selciato come un sacco di patate, col rischio magari di farsi male. Gli si aggrappò alla gamba sinistra come un koala al tronco di un albero, e scoppiò in una forte risata lì, in mezzo a quel marciapiede illuminato solo dalla gialla luce di un lampione; una falena ci svolazzò intorno, facendo vibrare la luce per qualche attimo.

    -    Alexis...dai, rimettiti in piedi!- esclamò Judai, afferrandola per le braccia e cercando di sollevarla – Forza! Ti accompagno io di sopra, dai, almeno sono sicuro che non ti farai male...come ti senti? Devi vomitare?-
La giovane scosse il capo, prima di tornare a ridacchiare. Judai la rimise bene in piedi, senza mai lasciarla neanche per un secondo; la guidò per qualche passetto quanto bastava perché riuscisse a chiudere la portiera con un calcio, e liberò la mano destra per prendere la chiave e pigiare il bottoncino su di essa: la chiusura centralizzata mise l'auto in sicurezza.
E una era fatta. Ora veniva la parte difficile.
    -    Sei sempre al quarto piano, giusto?-
    -    S-sì...-
    -    Okay. Hai le chiavi nella borsa?-
    -    Ceeeeerto...-
    -    Bene. Cominciamo con l'aprire il portone allora...attenta al gradino! E ooooplà! Bravissima! Ora, PIANO, verso l'ascensore, su!-
Perché doveva finire così ogni benedetta volta?! Con lui che la sorreggeva e la accompagnava fin dentro casa? Judai si diede del cretino per quella che era la ventesima volta in tutto l'arco della serata, ripromettendosi di fare più attenzione in seguito. Magari le avrebbe fatto portare direttamente un bel bicchierone di latte, la prossima serata: Alexis l'avrebbe probabilmente odiato a morte, ma almeno lui sarebbe stato tranquillo e non in preda ad indicibili rimorsi.
Era solo colpa sua se era ridotta ad un ridacchiante straccio che a malapena si reggeva in piedi.
Entrò nell'ascensore insieme a lei, quasi caricandosela in spalla prima di pigiare il bottone per il quarto piano. Quando l'ascensore toccò il secondo, Alexis minacciò di scivolare di nuovo a terra, sorretta solo dalla sua forte presa. La giovane riprese a ridacchiare quando lui la mise meglio in piedi, sorreggendola con un braccio e posando gli occhi sul piccolo display posto in alto sulla pulsantiera.
Quanto diavolo era lento quell'ascensore?!
Il rasposo suono di una zip che veniva fatta salire e scendere gli fece abbassare gli occhi: Alexis aveva preso a giocherellare con la cerniera del suo abitino, alzandola e abbassandola in continuazione, scoprendo casualmente porzioni di seno sempre più grandi.
E certo, ci mancava solo questa adesso!
Finalmente l'ascensore arrestò la sua salita, spalancando le sue ante metalliche direttamente di fronte alla porta d'ingresso dell'appartamento di Alexis. Judai la guidò gentilmente fuori dal vano ascensore, accompagnandola di fronte alla porta e attendendo che inserisse la chiave nella toppa. Solo dopo svariati, infruttuosi tentativi di inserimento Judai si risolse a prenderle la chiave dalla mano e girarla lui stesso nella toppa, spalancandola e lasciandola entrare per prima. Il giovane entrò subito dopo, chiudendosi la porta alle spalle.
    -    Okay Alex, ci siamo. Hai bisogno di qualcosa? Devi vomitare, vuoi prenderti qualcosa?-
    -    Ho caldo...-
    -    E grazie, è l'alcol che ti sta salendo in te-no no no, eddai, non cadere di nuovo, tieniti suuuu...-
    -    Non ce la faccio...mi-mi gira tuuuuuutto il mondo! Guarda che bello quel lampadario!-
    -    Sì Alexis, è il tuo, te lo ricordi? Siamo a casa tua ora-
    -    Davvero?! Sono a casa mia?!-
Sollevò i suoi occhi grigi per guardarlo con un misto di sorpresa ed incredulità. Judai si tirò indietro i capelli, costernato e tuttavia comprensivo del suo attuale stato. Dandosi ancora del cretino, il giovane decise di assecondarla.
    -    Sì Alexis, sei a casa tua- rispose poi, accarezzandole la testa – Ora, da brava, rimettiti in piedi e--
    -    Siiiiii! Libera!-

Judai era pronto a tutto, ma non ad una scena del genere. Rialzatasi in piedi con uno scatto felino, e traballando pericolosamente sui tacchi (ma quanto si era piegata quella caviglia?!), Alexis si era diretta a passo spedito verso la cucina, abbassando completamente la cerniera del vestito e aprendolo sul davanti, lasciandoselo scivolare via per le spalle e facendolo ricadere sul pavimento in una informe massa bianca.
Judai lasciò ricadere le braccia morbidamente ai lati del corpo, fermo sul posto neanche l'avessero ancorato al suolo con un arpione da caccia alle balene, gli occhi fissi sulla figura di Alexis che, priva del vestito, se ne andò ancheggiando (più o meno) in cucina: più di tutto il resto, Judai fissò gli occhi sulle belle gambe candide, ulteriormente slanciate dai sandali, e su quel suo fondoschiena sodo e scolpito messo in risalto dal sottile, minimalista intimo grigio-blu. La ragazza ebbe anche l'interessante idea di portarsi le mani dietro la testa ed alzarsi i capelli, tanto per mettere in mostra quella schiena tornita che culminava in quelle due tenere fossette di Venere.
Judai mandò giù un grosso groppone, sentendo la sua temperatura alzarsi vertiginosamente e non era l'alcol.
    -    A-Alexis...- pigolò poi, scavalcando l'abito e seguendola in cucina – Alexis bada a cosa fai! Sei sbronza marcia, non--
    -    Aaaaaah! Essere da soli a casa è così bello...!-
    -    No Alexis, io sono ancora qui se non te ne sei resa conto...-
    -    Ma certo che lo so!-
    -    AH LO SAI?!-
    -    Dammi un secondo e sono subito da te! Ho solo voglia di...di...ahaaaaa ma cos'è questo? Un nuovo bricco di latte!-

    -    ...Potrebbe essere una mossa intelligente-
Poteva esserlo davvero: Judai aveva sempre risolto i suoi problemi di post-sbornia con un bel bicchierone di latte. Da quando Yusei gli aveva spiegato che contrastava la disidratazione e aiutava a riportare i livelli di zuccheri alla normalità, oltre che a tamponare l'acidità che irritava lo stomaco, il giovane si premurava sempre di prenderne qualche confezione in più al supermercato. Solo che poi Yusei aveva la stessa idea e quindi si ritrovavano con cartoni di latte per una settimana, da consumare a breve vista la scadenza. Il capobar andava matto per il latte, Judai un po' meno, ma trovavano ugualmente il modo di utilizzarlo senza buttarlo.
    -    Cerca solo di fare attenzione a--
Troppo tardi: nel momento in cui Alexis aveva aperto la nuova confezione, se l'era portata subito alle labbra, bevendo direttamente dal cartone. Anche quello era un gesto che Yusei faceva spesso, con grande scorno di Judai che finiva col mischiare le confezioni e non sapeva più di chi fosse quale. Il problema, in quel momento, venne rappresentato dallo scarso senso delle misure della ragazza che, non proprio in uno stato lucidissimo, finì col versarsi del liquido sul petto.
Le mani di Judai corsero ai capelli, in un'espressione di scoramento. Alexis gemette frustrata, posando la confezione di latte sul lavello della cucina e abbassando lo sguardo sulle coppe del reggiseno merlettato, ora zuppe di latte.
    -    Ma guarda tu che idiota che sono!-
Con una rapidità sconcertante, la ragazza si portò le mani dietro la schiena: il secco scatto della chiusura del reggiseno risuonò forte come una cannonata, nel silenzio creatosi tra loro due. E quelle stesse candide, gentili mani sollevarono le bretelline di nastro rasato e sfilarono via l'indumento intimo, lasciandolo sullo schienale di una sedia lì vicino.
Non aveva mai compreso certi feticismi di Yusei, mai fino a quel momento almeno. Il suo cuore frullò come se fosse stato immerso in un bicchiere d'aranciata quando si rese conto che quello era il suo seno naturale, senza più sostegni, dalla sensuale forma a goccia e soffice anche solo alla vista, figurarsi al tatto...gli occhi castani del giovane seguirono il percorso di quelle bianche gocce di latte che giocavano a rincorrersi sulla sua pelle, seguendo il loro profilo tondeggiante e sfiorandole l'areola sinistra, grande e chiara.
Sì, ora capiva decisamente il suo coinquilino. Judai trasse un lungo sospiro, tremante, spostando il peso da una gamba all'altra: con una certa apprensione realizzò di aver nuovamente sbagliato il programma della lavatrice, era l'unica spiegazione plausibile ai jeans stretti.
    -    Io ho ancora caldo!-
    -    A-Alexis...a-ascoltami...-
Come parlare ad un muro. La giovane si aggrappò allo schienale della sedia di fronte a lei, alzò una gamba e si sfilò velocemente uno dei suoi sandali, lanciandolo oltre la porta della cucina e sfiorandolo ad un orecchio. Solo la sua risata gli fece capire che il lancio era stato puramente casuale. Il secondo sandalo, tuttavia, tracciò una traiettoria troppo alta, centrando in pieno l'orologio sullo stipite e staccandolo dal suo supporto, facendolo schiantare a terra.
    -    Siiiiii! Ah, come è fresco il pavimento!-
    -    Alexis, datti una calmata! Io...!-

Continuando ad ignorarlo, la giovane saltellò letteralmente fuori dalla cucina, scappando in corridoio. Judai si guardò intorno, esterrefatto, incapace di formulare una frase di senso compiuto.
    -    Ma...ma...ma io ne ho le palle piene! INSOMMA!-
La voce gli si era alzata più del desiderato, ma cancellò alla svelta quella preoccupazione dalla sua testa. Al momento aveva una...no anzi, DUE faccende ben più importanti da risolvere.
La prima era Alexis. Non poteva lasciarla in quello stato, i rimorsi l'avrebbero divorato tutta la notte. Doveva rivestirla, metterla a letto, darle qualcosa contro futuri bruciori di stomaco, sistemarle i vestiti di cui si era impropriamente liberata e rimettere a posto l'orologio in modo che, una volta sveglia, avesse trovato tutto in ordine e soprattutto Atticus non avesse notato nulla di strano: per quanto i rapporti tra di loro andassero alla grande, non voleva passare per quello che lasciava la sua adorata sorellina sbronza marcia e fradicia di latte come una poppante.
E poi doveva pensare a sé stesso. Doveva correre a casa, farsi una doccia, possibilmente GHIACCIATA, e andare subito a dormire e dimenticarsi di quell'assurda serata in cui Alexis sembrava divertirsi a testare il suo equilibrio. Il mattino dopo si sarebbe alzato e sarebbe passato alla cornetteria poco lontana da casa per recuperare qualcosa da mangiare, per lui e Yusei, e poi l'avrebbe chiamata per sincerarsi che stesse bene.
Tutto qui. Nient'altro. Niente giri di parole, niente perdite di tempo, e soprattutto niente smanacciate notturne. Non su Alexis, non sulla sua migliore amica, non sulla persona a cui più teneva. Glielo doveva come minimo, era ingiusto anche nei suoi confronti!
Gli ci volle qualche secondo in più per udire i suoi singhiozzi. Quasi l'avessero colpito in testa con un randello, Judai si riscosse e seguì la direzione del pianto, entrando a testa bassa nella stanza di Alexis.
La trovò seduta sul grosso letto ad una piazza e mezza, la calda luce dell'abat-jour che svelava la sfumatura salmone delle mura. La ragazza se ne stava lì, seduta a bordo letto, china sulle ginocchia e le mani a coprire il volto. In poche falcate il ragazzo bruciò la distanza che li separava, accovacciandolesi di fronte.
    -    Alexis?! Che diavolo ti prende adesso? Sbornia triste? Che hai?-
    -    Tu...tu non mi vuoi-
    -    Io non cosa?!-
    -    Non mi vuoi ho detto! Perché? Dopo tutto quello che ti ho dato? Tutto l'affetto e l'amore che nutro per te non valgono nulla?-
Judai sbatté rapidamente gli occhi, incredulo.
La situazione cominciava ad assumere toni davvero surreali.
Senza esitare oltre, il ragazzo le prese le mani, svelandole il volto umido di lacrime e contratto in una triste smorfia. Gliele strinse tra le sue, accarezzandone il dorso con i pollici.
    -    Ehi, che diavolo ti prende adesso?!- le domandò allora, asciugandole una lacrima scappata dalle sue ciglia – Ti rendi almeno conto di quello che stai dicendo? Io non ti voglio bene? Io non ti voglio? Sul serio?!-
    -    É solo che ogni volta...ogni volta ti vedo così preso da-da quelle lì che--
    -    Quelle lì chi?! Le ragazze che frequento?...A-Alexis, io spero tu stia scherzando, perché non c'è affatto paragone! Ehi, ascoltami. Guardami-
Finalmente riuscì a farle aprire gli occhi e rivolgergli uno sguardo umido e sperduto. Judai sentì il cuore esplodergli in mille pezzi, consapevole che, per un motivo a lui sconosciuto e, allo stato attuale delle cose, totalmente privo di interesse, era lui la causa di quelle lacrime.
    -    Sai come la penso- le disse poi – E te lo dimostro ogni volta. Ho la mia vita sentimentale, è vero, così come tu hai la tua...ma alla fine è sempre da te che torno! E c'è un motivo! Ti voglio bene Alexis, davvero...sai quello che provo per te. Non mi sognerei mai di fare qualcosa che ti spezzerebbe il cuore o ti indispettisse. Tengo a te più di ogni altra persona al mondo, e lo sai, sarei pronto a cavarmi il cuore dal petto con queste mie stesse mani se da ciò dipendesse la tua salvezza! E lo sai, come sai anche che puoi contare sempre su di me, per qualsiasi cosa!-

    -    Hai...hai detto qualsiasi cosa?-
Qualcosa era cambiato, nel suo tono di voce e nel suo sguardo. Judai se ne accorse, alzando gli occhi verso di lei e puntandoglieli addosso, scrutandola in volto alla ricerca di qualche indizio.
    -    Sì- disse comunque – Qualsiasi cosa-
    -    Bene. Molto bene-
Judai rimase ad osservarla, interrogativo.
    -    Fermami-

Prima che potesse chiederle spiegazioni, Alexis gli si avventò letteralmente contro: sciolse le mani dalla stretta delle sue, le mise a coppa intorno al suo volto e lo costrinse ad avvicinarsi a lei con uno strattone.
Si schiantò contro le sue labbra senza che gli venne data possibilità di ritirarsi o controbattere. Fu un contatto immediato, quasi brusco, dal quale lui non riuscì a fuggire; nell'improvviso caos di sensazioni ed emozioni, la sentì schiudergli la bocca con la lingua e costringerlo ad uno scambio precipitoso e quasi rabbioso. Judai ringhiò qualcosa tra i denti, prima di costringerla a separarsi da lui.
    -    Dico, ma che ti salta in mente?!- le sibilò, scrollandola per le spalle – Ti ha dato di volta il cervello o cosa?!-
    -    ...Uao-
Alexis lo guardò con espressione quasi stupida, sbattendo gli occhi.
    -    Uao cosa?! Mi prendi anche per il culo?!-
    -    ...Mi hai fermata davvero-
Stavolta fu Judai ad osservarla come se le fosse spuntata una seconda testa e avesse cominciato a danzare intorno al fuoco vestita di un gonnellino di paglia.
    -    Ma CERTO che ti ho fermata!- esclamò poi – Cosa diavolo ti dice il cervello per attaccarmi così?! Come se tu fossi una cretinazza qualunque! Credi che io ti veda così? Vuoi davvero metterti a livello di quelle là?!-
Non ebbe altra risposta se non un singhiozzo isolato e un nuovo scoppio di pianto. Fu stavolta lui stesso a stringersela al petto, alzandosi in piedi e portandola in alto con sé: Alexis affondò il volto nell'incavo tra collo e spalla, stringendo i pugni sulla sua maglietta, Judai le accarezzò dolcemente la testa.
Mai situazione era stata più surreale di quella. Un attimo prima eccola lì, a ciondolare visibilmente sbronza, provocandolo involontariamente e facendolo esaurire dietro le sue idiozie, e un attimo dopo eccola attaccarlo con la ferocia di una consumata mangiatrice di uomini.
E poi eccola sciolta in lacrime su di lui.
Decisamente non l'avrebbe mai più fatta bere così.
    -    Ascoltami- le disse poi, sussurrandole in un orecchio - ...Credo di aver capito cosa intendi. E, ti prometto, TI PROMETTO che ne parleremo. Okay? Te lo devo-
La allontanò da sé quel poco che gli bastò per prenderle il volto tra le mani e asciugarle le lacrime con i pollici. Alexis si morse il labbro inferiore e abbassò gli occhi, posando le mani sulle sue.
    -    Meritiamo entrambi di chiarirci reciprocamente. Hai ragione, concordo su tutta la linea. Ma non possiamo farlo adesso, in queste condizioni, io stanco e poco lucido e...e tu quasi nuda e sbronza da fare schifo. Dobbiamo essere entrambi seri e concentrati, okay?-
Alexis annuì, senza rispondere.
    -    Facciamo così: vieni al Pharaoh's domani sera. Atem non c'è, potremo restare a parlare un po' di più insieme. Ci mettiamo uno di fronte all'altra, da persone civili e ADULTE quali spero che siamo e- e svisceriamo la cosa. Okay? Siamo migliori amici Alexis, supereremo anche questa. Ci stai?-
La ragazza annuì ancora, stringendolo a sé più forte che le riuscì.


****


Le era rimasto accanto con l'intento di aspettare che dormisse per dare una sistemata a tutto il caos lasciato nell'appartamento, e invece era stato poi lui a cadere addormentato tra le sue braccia. Nel silenzio innaturale che li circondava, con solo la vecchia sveglia analogica che dettava il passare dei secondi, Judai era poi stato risvegliato nel cuore della notte proprio da Alexis, o meglio dai suoi movimenti fuori e dentro il letto. Nel dormiveglia l'aveva sentita sgattaiolare da sotto le lenzuola, allontanarsi a piedi nudi per un tempo inquantificabile, entrando in un'altra stanza. Aveva sentito qualche cassetto aprirsi e chiudersi, finché lei non aveva fatto ritorno al letto.
Si era voltato verso la ragazza quando, con un ginocchio, aveva fatto lievemente cigolare le molle del materasso, e con una mano aveva acceso di nuovo l'abat-jour. Stropicciandosi gli occhi, Judai si era voltato verso di lei, sbattendo le palpebre per metterla meglio a fuoco: gli si era inginocchiata a fianco, quasi nuda non fosse stato per le mutandine, gli occhi che parlavano prima della bocca e un piccolo quadratino di plastica stretto nella sinistra.
Non avrebbe potuto essere più chiara neanche se gli avesse fatto un disegnino.
Era stato in quel momento che Judai aveva compreso che, muovendosi in quella direzione dove lei lo aspettava, si sarebbe trovato in un fottuto vicolo cieco. Un altro one call, come avrebbe detto Atem: poteva darle quello che voleva, consapevole che poi le cose si sarebbero complicate qualora decidesse poi di chiuderla lì, oppure provare a farla desistere, illuminandola con la promessa di sistemare tutto insieme la sera dopo.
Ripensandoci sopra, si era reso conto di conoscerla già la risposta, ma di volerla nascondere perfino a sé stesso. Se le raccontava davvero bene, le storielle.
Quando poi lei, spazientita da quel silenzio, gli aveva coperto la bocca con la propria, con una certa timidezza dettata dalla paura di un'altra, plateale respinta come quella precedente, Judai si era ritrovato a maledire Atem e tutta la sua stirpe. Perché gli avrebbe fatto comodo un potere come il suo, come quel suo dannato, invisibile terzo occhio che tutto vedeva, tutto sapeva e tutto prevedeva; perché gli avrebbe fatto comodo scrutarsi all'interno e trovare la risposta a quel turbine di domande che gli stava soffocando il cervello.
Perché la risposta ce l'aveva dentro, e si rifiutava di accettarla per qualche suo sordido motivo. Era quella stessa risposta che l'aveva fatto cadere dritto tra le sue braccia, crogiolandosi con lei in un lungo abbraccio e in tanti, piccoli baci, soffici e cauti, umidi e lascivi, lasciando parlare i loro corpi perché le parole erano ormai prive di alcun senso, in quel momento. Si era lasciato spogliare dalle sue mani dolci e accorte, alla calda luce di quella singola lampada sul comodino: Alexis era rimasta in silenzio per tutto il tempo, concentrata mentre lo privava degli abiti e lei stessa si toglieva quell'ultimo, inutile pezzo di stoffa che li separava, tornando poi a baciarlo quasi con urgenza, forse temendo il sorgere dell'alba.
Era ancora più bella, con quell'espressione assorta sul volto. E Judai non si era affatto sentito imbarazzato o fuori posto, in quell'atipica situazione: stavano entrambi oltrepassando quell'unico confine che entrambi avevano tracciato per anni ma nessuno dei due sembrava rimpiangerlo. In qualche modo, il giovane sapeva che era giusto così, che doveva finire così tra loro.
Non era parsa molto in confidenza con il sesso orale, almeno a riceverlo: come lei stessa gli aveva confessato dopo, con un sussurro quasi doloroso, non erano in molti che mettevano cura o attenzione al suo piacere. Era stato lui a rompere il ghiaccio, seppur con una certa riverenza, e per quanto lei poteva essere consenziente nulla aveva impedito che una sua timidezza di fondo la facesse riparare dietro le sue stesse braccia, nascondendo le labbra tumefatte dai morsi e gli occhi lucidi di piacere fin quasi a piangere. Le aveva riservato una dolce carezza e un bacio, quando si era lasciato scavalcare affinché lei ricambiasse quella cortesia.
Aveva spesso pensato a quelle mani sul suo corpo, doveva ammetterlo: aveva sempre ricacciato quelle visioni perché troppo...sporche, per lui. Troppo sporche e ingiuste, perché non aveva diritti simili su quella che era la sua migliore amica. Ci aveva spesso pensato, ma sentirle effettivamente, quelle mani morbide e delicate addosso, era tutta un'altra storia: nessuna visione o sogno poteva rivaleggiare quella sensazione di puro calore lì dove le sue mani l'accarezzavano, o le sue labbra lo baciavano.
Quando poi si era fatta sovrastare di nuovo, e gli aveva rivolto quel sorriso beato, non era riuscito a non imitarla a sua volta.
Era affondato nel suo corpo con una morbidezza esasperante, in cui neanche lui stesso si era riconosciuto: la paura di sbagliare, di travolgerla, di farle del male o ferirla in qualsiasi modo gli aveva posto un freno da cui aveva faticato a liberarsi, ma quell'amplesso fu il più dolce e desiderato in cui fosse passato. Niente di frettoloso, niente di furioso, niente di corroborante, solo una morbida onda che li aveva trascinati via insieme, mordendosi reciprocamente le labbra per non urlare.
E ora, con l'orologio del telefono che segnava le sei e un quarto, se ne stava ad osservare il soffitto, senza sapere come andare avanti.

One call, lo chiamava Atem. Vicolo cieco del cazzo. Judai si passò una mano sugli occhi, stropicciandoli con foga e mordendosi l'interno della guancia destra.
Aveva passato il confine...no anzi, l'aveva sfondato “a sapienti colpi di bacino” avrebbe detto un Yuma in pessima forma con le battutacce. E ora quante speranze aveva di tornare indietro e fare finta che non fosse successo nulla? Come diceva Yuya, una migliore amica non era solo una migliore amica, appunto, se ci finivi col fare sesso.
Stava rasentando l'esaurimento. Non sapeva più cosa fare, dire o pensare. Si voltò alla sua sinistra, osservando il serafico volto di Alexis, addormentatasi poco dopo la loro unione, e il suo bel corpo giunonico malcelato dal lenzuolo. Judai restò a guardarla in silenzio, indeciso se approfittare della sua immobilità per riservarle un'altra carezza, restare accanto a lei o andarsene alla chetichella.
Che cosa diavolo aveva fatto? Se lo stava chiedendo da che si era svegliato ormai. Quella vaga sensazione di star facendo qualcosa che non era assolutamente contemplabile si era fatta largo nel cervello a fatto già compiuto; dubitava però che avrebbe deciso di fermarsi se l'idea gli avesse attraversato la testa prima, e già questo la diceva lunga su cosa davvero pensava di tutta quella faccenda.
Mai aveva avuto le idee così chiare su di lei...su di loro, e la cosa lo destabilizzava al punto da terrorizzarlo. La guardò ancora, in silenzio, temendo di svegliarla anche solo col respiro. Col senno di poi si rese conto, non senza un brivido, che avrebbe voluto vivere quegli attimi ancora una volta, e ancora e ancora. Si portò le mani ai capelli, scompigliandoli con foga.

    -    Accidenti a me!- sibilò, afferrando il cellulare e selezionando il numero di Yusei per la chiamata.
Perché chiamare proprio lui, non lo sapeva. Forse perché era la seconda persona di cui si fidava di più, dopo Alexis: un ragazzo sincero e schietto come pochi, capace di donarti un abbraccio così come uno schiaffo e un biglietto sola andata per il Diavolo, se serviva, e senza farsi alcun tipo di problema. Gli serviva una voce sincera, qualcuno che potesse aiutarlo a schiarirsi il cervello.
Senza contare il fatto che non si sentivano da quasi ventiquattro ore, e non era tornato a casa, e probabilmente era anche preoccupato. Quel ragazzo aveva lo strano, innato istinto della mamma chioccia: non glielo poteva far notare senza rimediare un cordialissimo dito medio, ma anche Yusei sapeva che, nel profondo, il castano aveva ragione.
    -    Yusei!- sibilò Judai, appena sentì il suono della linea aperta, portandosi una mano davanti alla bocca – Oh per fortuna sei sveglio! Pensavo fossi andato già a dormire!-
    -    Jud?!- la voce di Yusei era carica di preoccupazione mista a sollievo nel sentirlo vivo – Dove diavolo sei?! Tutto a posto? Mi hai fatto preoccupare! Non ti vedevo da nessuna parte!-
    -    Aaaah...eheh, non preoccuparti, è tutto a posto! Sono vivo e vegeto, sano come un pesce! Per ora-
    -    Che sei vivo e vegeto lo sento, ma cosa vuol dire “per ora”? E perché sussurri?-
Nell'attimo di silenzio che si prese per decidere cosa rispondergli, Judai sentì il portello del frigorifero aprirsi. Gli venne immediatamente voglia di latte.
    -    Nnnnon sono da solo-
    -    Mi dici dove cazzo sei?!- ecco che cominciava a sbraitare...- Mi sto innervosendo! Sono stanco, voglio andare a dormire! Se è davvero tutto a posto perché mi hai chiamato? Devo venire a prenderti? Ti si è fermata la macchina?-
    -    Nonono, niente di tutto questo! Sussurro perché non sono solo!-
    -    E questo l'avevo capito, razza di...aspetta, con chi sei?-
Eh...non penso mi crederesti.
    -    Yusei...- Judai si schiarì un paio di volte la voce – Ti ricordi del discorso della scorsa settimana? Quello cominciato con Atem e Mana e le migliori amiche?-
    -    ...A grandi linee. Judai, taglia corto, ti prego, ho bisogno di dormire...-
    -    Ecco, chi era che diceva che uno non fa sesso con la sua migliore amica se la considera solo questo? Yuya?-
    -    Yuya sì, così mi pare. Ma perché--
    -    Ecco, temo abbia ragione-
    -    Ma CERTO che ha ragione! Se fai sesso con la tua migliore amica è perché non la vedi semplicemente come tale! Ci vedi qualcosa di più profondo in lei, magari provi attrazione per lei anche in un altro senso! Magari ti piacerebbe averla come compa--
Silenzio. Improvviso. Repentino. Quasi gli sembrava di sentire gli ingranaggi del cervello di Yusei rimettersi febbrilmente in moto, carburati a latte.
Silenzio.
E ancora s i l e n z i o.
    -    Yusei? Ci sei?-
    -    Judai, dove diavolo sei ora?!-
Judai sentì il portello del frigorifero chiudersi di scatto.
    -    ...A casa di Alexis-

La sentì, dapprima bassa, quasi rasposa, il ringhio sommesso di un vecchio lupo; e poi qualche singhiozzo, e infine Yusei scoppiò finalmente in una risata roboante e divertita. E allora Judai seppe che no, il suo collega non sarebbe stato affatto d'aiuto. Si voltò istintivamente verso Alexis: la ragazza arricciò il naso nel sonno, ma non aprì gli occhi.
    -    Smettila dannazione, la svegli così! Ti potrebbe sentire!- gli soffiò nella cornetta.
    -    Ma...ma io...cosa...sul serio?! TU?! E ALEXIS?!-
    -    Ehi, è capitato, va bene?! Era un po' brilla quando l'ho riportata a casa e--
    -    E te ne sei approfittato?! Judai, giuro che--
    -    No, casomai è stata LEI che ha approfittato di me!-
    -    ...nnnnnon ho capito-
Eh, e quando mai...
    -    Sì che hai capito, fenomeno! L'ho portata a casa, mi ha urlato addosso non mi ricordo che cosa, diceva di stare male e sentire caldo e che cosa devo dirti, me la sono ritrovata nuda davanti! Sembrava l'apparizione di Venere quando nasce dalla cozza, cazzo!-
    -    Venere non nasce da una cozza...-
    -    Sì vabbé cos'è quella roba, una conchiglia?! Dannazione Yus, che diavolo faccio adesso?!-
    -    E non chiamarmi così...! Cosa intendi?-
    -    Se si sveglia e si accorge del nostro stato, e si ricorda cosa abbiamo combinato, che ne sai di quello che potrebbe fare?!-
    -    Judai...io spero tu stia scherzando-
    -    Fottiti Yusei! Non è il momento adatto per psicanalizzare, qui la faccenda è straseria! Sono finito a letto con la mia migliore amica, e quel che è peggio è che lei vive ancora con suo fratello!- il solo pensiero risvegliò in lui un'atavica paura – Se Atticus viene a saperlo mi appiccica al muro con uno schiaffo, e voi dovrete cercarvi un altro chef!-
    -    Quello potrebbe essere un problema, effettivamente-
Più in là, oltre la stanza e il corridoio, la porta d'ingresso si spalancò, e una voce maschile trillò chiamando Alexis.
Per Judai fu come una doccia gelata.
    -...Oh CAZZO!-
    -Judai? Ehi, Jud?! Judai!-

Il castano già non udiva più la voce del suo amico, impegnato com'era a sgattaiolare fuori dal letto: il lenzuolo gli si avvinghiò bastardamente a una caviglia, spedendolo dritto per terra, a pochi centimetri dai suoi pantaloni. Soffiò un'imprecazione, raccattò tutti i suoi abiti e si nascose dentro il grosso armadio a muro proprio mentre Atticus faceva il suo ingresso nella stanza.
    -    Sooooorellinaaaa!-
Il richiamo stranamente melodico del maggiore fece destare Alexis: la ragazza sollevò lo sguardo, mettendo a fuoco la figura di Atticus e la sua improbabile camicia hawaiana. Ne aveva a decine, tutte diverse per colori, stampe e materiale, e diventavano parte integrante del suo abbigliamento estivo insieme alla muta da surf. Alexis rispose al suo buongiorno mugolando qualcosa e alzando una mano.
    -    Abbiamo bevuto anche stasera, eh?-
    -    Mmmmh...-
    -    Poi mi spiegherai che male ti ha fatto quell'orologio per staccarlo dalla parete con una scarpa, se volevi cambiarlo bastava dirlo! Oh, ecco, questo dovrebbe essere tuo!-
Un soffice tonfo le indicò che il suo reggiseno era planato a pochi centimetri dal suo piede sinistro.
    -    Da quanto tempo sei tornata?-
    -    Nnnnnon ricordo. Perché?-
    -    Perché l'auto di Judai è ancora qua sotto. O meglio, CREDO sia quella di Judai...queste diavolo di Mini Cooper sono tutte uguali! Ma questa non ha quella palletta di pelo con gli occhioni allo specchietto, quindi...bah, sarà un modello simile-
    -    ...-
    -    Tutto bene, Alex?-
    -    S-sì...sì-
    -    ...Mh! Bene! Vado a farmi una doccia, okay? Ti va di fare colazione fuori o hai lo stomaco in subbuglio?-
    -    ...Fammici pensare-
    -    Tutto il tempo che vuoi!-
Atticus uscì dalla stanza canticchiando qualche sconosciuto motivetto; fu solo dopo aver udito lo scrosciare della doccia che Alexis, di slancio, scattò in piedi mentre Judai spalancava l'armadio, vestito di tutto punto...come diavolo aveva fatto, dentro l'armadio?!
    -    Judai!- esclamò Alexis, sorpresa – I-io...-
    -    Nnnnnon dire niente Alex! Nnnnon dire niente!- la esortò lui, alzando le mani quasi a volersi difendere da qualcosa – Ne-ne parliamo stasera al Pharaoh's come promesso, okay? Fammi andare, prima che faccia una brutta fine!-
Senza indugiare oltre, Judai coprì la breve distanza che li separava con un ultimo bacio, prima di uscire in punta di piedi dalla stanza. Alexis lo sentì chiudersi la porta alle spalle con quanta più dolcezza gli riusciva.


Poco prima di entrare nella cabina per la sua ristoratrice doccia, fu quasi per caso che Atticus Rhodes guardò fuori dalla finestra e notò la Mini Cooper rossa fare bruscamente retromarcia, sfiorando il paraurti della BMW dietro di lei in un bacio mozzafiato prima di uscire dal parcheggio e scattare con uno stridore di gomme; in quell'esatto momento, la moto di Yusei Fudo frenò bruscamente in mezzo alla strada. Il suo pilota si voltò, alzando la visiera del casco, prima di dare gas e costringere la moto ad una brusca girata, puntando il piede sinistro a terra e facendo pattinare la ruota posteriore, prima di partire con l'anteriore sollevato all'inseguimento della Cooper.


______________________________________________________________________________________________

Le cose si fanno complicate adesso.
O meglio, le cose erano davvero molto semplici fin dalla prima battuta, ma un CRETINO a caso (AKA Judai) ha temporeggiato e negato a sé stesso quello che in realtà ben sapeva da taaaaaanto tempo. E ora? Come Yuya ha detto tempo fa, una migliore amica non è più solo questo se finisci col farci...lui ha detto sesso, ma quello che Judai ha concesso a Alexis qui è amore.
Che poi lui lo neghi a sé stesso con una convizione quasi disperata, quello è un altro paio di maniche.

Numero dodici, signore e signori! Come sta andando? Io sono finalmente riuscita a mettere le mani su un vecchio portatile che avevo eclissato in un armadio, in atesa del ritorno del mio fidato PC fisso: c'è di meglio nel lotto dei netbook attualmente disponibili sul mercato ma so che c'è anche di peggio e quindi mi accontento di quello che ho! L'iPad è figo ma per certi lavori di scrittura è abbatanza scomodo: preferisco usarlo per giocherellarci e per disegnare.
Allora, cosa abbiamo qui? Per cominciare, lo metto subito in chiaro anche se credo sia ben intuibile: questo capitolo ha rivissuto la serata allucinante di Judai in compagnia di Alexis, riallacciandosi poi allo stesso punto con cui ci eravamo fermati nel precedente capitolo. Ergo, Yusei che corre a salvare quel disgraziato del suo coinquilino/migliore amico prima che un certo fratello maggiore ne faccia sfilacci. Ora sappiamo per filo e per segno cosa diavolo è successo in questa serata da capogiro dove finalmente Judai ha ceduto di schianto: pur opponendo una stoica resistenza nulla ha potuto contro l'evidente forza di un sentimento covato nel tempo. Era in fondo solo questione di tempo, appunto, perché sfondasse quella sottile linea di confine che aveva tracciato per difendere il suo rapporto con Alexis: meglio tardi che mai si dice, ma ora abbiamo un Executive Chef in piena crisi mistica che ha bisogno di tanto supporto morale! Non date nulla per scontato, il ragazzo è davvero in crisi. Starà a lui trovare il coraggio e le forze per uscirne.

PREMETTO UNA COSA. La storia del latte come rimedio post-sbronza. RAGAZZI. Vi ricordate del discorso della Sprite, accennato qualche capitolo fa, come altro rimedio per "riacchiapparsi" dopo una sbornia? Ecco, quella è una teoria tutta made in Internet. Stessa cosa con il latte! Di certo latte e burro sono una mano santa contro il bruciore di stomaco e di gola conseguente, ma non vi sono assolutamente prove certe che questi siano entrambi dei rimedi contro ubriacature varie. Ve lo grassetto anche così son sicura che lo leggete. So che siete tutti in grado di distinguere perfettamente la realtà dei fatti dei giorni nostri dalle leggende del web, ma qualche avvertimento in più non guasta mai. Non sia mai che mi venite a cercare sotto casa perché avete provato a farvi passare una sbronza con del latte e avete per assurdo peggiorato le cose...
Dopodiché, se vogliamo parlare di quanto Judai e soprattutto Yusei siano amanti del latte, beh...quello penso sia ben chiaro xD è Yusei stesso a chiedere del latte al bancone del pseudo-saloon di una città che fa il verso ai migliori western di Sergio Leone. Diciamo che ora Judai l'ha amato ancora di più 'sto latte, considerata la bella visione che gli ha regalato.

Ragazzi! Non c'è molto da dire su questo capitolo, in fondo si spiega un po' per sé. Ma se avete qualcosa da dirmi al riguardo parlate pure, lasciate una recensioncina o che ne so. Ora che ho un PC effettivo mi sarà per me molto più semplice rispondervi, e considerato che ho il netbook quasi sempre con me perché lo porto anche in università sarò sempre pronta a scrivervi! Studio permettendo. Oh, ce n'è sempre una eh.
Vediamo chi ha spottato Kuriboh Alato qui!

Un bacione,
92Rosaspina

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Capitolo 13
*** 11. 50 sfumature di che casino ho fatto?! ***


Pharaoh's Kingdom 13


11. 50 sfumature di che casino ho fatto?!







    -    Sono un cretino-
    -    E quindici. Arriva a venti e vincerai una bambola gonfiabile con la quale sfogarti-
    -    E che palle-
    -    Seriamente, Judai, qual è il problema?-
   -    Maledizione Yusei! Voglio lamentarmi un po', va bene? Posso rimproverarmi sulla mia imbecillità senza che tu debba per forza commentare ogni cazzo di cosa che dico? E andiamo!-
Il pugno di Judai si abbatté sul tavolino del bar, facendo voltare un paio di ragazze sedute a qualche metro da loro. Yusei scosse il capo, portandosi la tazza alle labbra e bevendo qualche sorso di caffellatte.
Inutile dire che il sonno gli era passato tutto d'un colpo. Il sollievo provato alla notizia che Judai era vivo e vegeto era stato rimpiazzato da un crescente sospetto, che l'aveva seguito fin quando, in sella alla sua moto, non aveva assistito di persona alla precipitosa fuga del compagno dalla casa di Alexis. Aveva voltato alla svelta la Bimota e l'aveva seguito, affiancandolo e facendogli segno di stargli dietro, guidandolo fino al loro bar preferito, quello che sfornava i migliori cornetti caldi del mattino. Un ambiente piccolo e intimo, dove tante volte si erano fermati, a fine turno, per fare colazione in santa pace prima di tornarsene a casa a dormire. Judai si era sempre divertito un mondo a vedere Yusei fronteggiare la ragazza svampita alla cassa, quella giovinetta che aveva una cotta epocale per il suo amico; tuttavia, stavolta era rimasto a fissare la vetrinetta dei cornetti con un vuoto preoccupante negli occhi. Yusei era rimasto a guardarlo a lungo, quasi a volergli trovare un malanno, ma proprio non riusciva a capire cosa gli passava per la testa.
E il fatto che avesse passato quegli ultimi cinque minuti a maledirsi e darsi del cretino, invece di spiegargli cos'era successo, non lo aveva certo aiutato a quadrare la situazione. Il capobar sapeva solo che Judai era finito a letto con la sua migliore amica, che GUARDA CASO era innamorata persa di quel tordo, era poi scappato dalla casa di suddetta amica come un ladruncolo e ora, per qualche motivo, non faceva altro che rimuginarci sopra e darsi del cretino, come se la cosa lo preoccupasse o mortificasse.
Se prima Yusei aveva sperato che Judai avesse finalmente messo in moto il cervello, e ragionato più o meno un minuto per rendersi conto dell'ovvio, tutte le sue speranze si stavano ora infrangendo verso il muro di silenzio eretto dal compagno.

    -    Okay, ricapitoliamo- cominciò poi il moro, posando la tazza nel piattino e dando un altro morso al suo cornetto.
    -    Sono un cretino- gemette Judai, scuotendo il capo e passandosi le mani sul volto, stropicciandosi gli occhi.
    -    E questo è chiaro, e io dico evviva l'ossigeno che te ne sei accorto! Dovrei chiedere a Yuya di costruire davvero una freccia luminosa con su scritto CRETINO e appiccicartela addosso. Ora, fermati un attimo, interrompi momentaneamente la tua autocommiserazione e dimmi: cos'è successo, stanotte, con Alexis?-
Judai si morse il labbro inferiore, gli occhi fissi sul caffellatte quasi volesse cercarci dentro qualcosa. La risposta, forse, oppure le parole. Magari quel poco di dignità che aveva e che aveva vergognosamente perso, chissà.
La verità era che non sapeva da dove iniziare. C'erano così tante cose in gioco, che lui aveva inizialmente ignorato e ora non poteva più fare a meno di notare, che non sapeva davvero che pesci pigliare.
    -    ...Ci siamo incontrati- cominciò poi – E siamo andati al 31. Ci andiamo spesso, è un locale piccolo ma carino, e a mezzanotte sfornano anche i cornetti. Ha cominciato a bere, un drink dietro l'altro-
    -    Cosa ha bevuto?-
    -    Cuba Libre-
    -    Quanti?
    -    ...Quattro-
    -    Quattro?! Mi prendi in giro?!-
    -    Affatto. Quattro Cuba Libre uno dietro l'altro. Avevamo anche gli stuzzichini salati, ma credo non l'abbiano aiutata granché-
    -    ...Si è sbronzata-
    -    Sì. Beh, succede sempre quando beve. Ha una resistenza all'alcol pari a zero, cosa vuoi che ti dica...-
    -    Continua. Cos'è successo?-
    -    Ho deciso di riportarla a casa, in quelle condizioni rischiava di collassarmi sul tavolo da un momento all'altro. È stato un viaggio...turbolento, lei era sbronza e rideva per cose senza senso, si sbracciava, mi prendeva il volante, insomma, sai...-
    -    Le cose che fanno tutte le persone ubriache. Poi?-
Poi? Judai prese un grosso respiro, preparandosi ad un'immersione a testa bassa nei ricordi.
    -    Poi siamo entrati nel suo appartamento, e lì...lì ha dato il meglio di sé. Ha esordito con dire che aveva caldo, mi si è spogliata davanti ed è corsa in cucina. Ha provato a bere del latte finendo col rovesciarselo addosso, quasi mi centrava lanciando via una scarpa e poi l'ho trovata a piangere nella sua stanza-
Yusei non rispose, ma sapeva che lo stava ascoltando. Per quanto si ostinasse a mantenere gli occhi sul caffellatte, Judai sentiva distintamente le sue iridi perforanti addosso.
    -    Ha...ha cominciato a sragionare- continuò poi – A dire cose senza senso, del tipo che non le voglio bene, e che non la voglio perché sono più preso dalle altre. Ho cercato di farla ragionare, le ho detto che non era vero niente, che le volevo bene come nessun'altra ragazza al mondo...ed è vero, eh! Sai l'affetto che mi lega a lei!-
    -    Certo. Continua-
I suoi occhi facevano paura. Lievemente schermati dalle mani di fronte al volto, le cui solo i polpastrelli erano in contatto, e da qualche ribelle ciocca scura, gli occhi blu lo osservavano senza perdersi neanche un battito delle sue ciglia.
    -    E lei, per tutta risposta, mi è saltata addosso. Così, come se fosse una facilona in piena astinenza sessuale. Io l'ho respinta, perché...non era giusto insomma! Non era quello che volevo, e neanche lei!-
    -    Aha-
   -    Ha ripreso a piangere, allora le ho promesso che ne avremmo discusso per bene stasera al Pharaoh's, entrambi a mente lucida e senza alcol in corpo. Avevo bevuto anche io, e un po' mi aveva fatto effetto, per cui non ho voluto addentrarmi in un simile discorso in quello stato-
    -    Più che giusto. Poi?-
   -    Poi sono rimasto con lei. Ho detto “resto con lei finché non si addormenta e poi me ne vado”...e invece mi sono addormentato con lei. Mi sono risvegliato non so a che ora, con lei accanto. Ancora nuda e con un preservativo in mano-
    -    ...Ah-
    -    Eh. Manco ci fosse bisogno di un disegnino, no?-
    -    Aspetta un secondo-
    -    Cosa?-
    -    Ancora nuda hai detto? Ma perché, quando si è spogliata?-
    -    Te l’ho detto prima, cretino. Comunque è stato prima di rovesciarsi il latte addosso-
    -    ...mi era sfuggito. E tu? Quando lei si è ripresentata con...questo “disegnino”?-
    -    E io cosa vuoi che abbia fatto? L'ho...l'ho assecondata-
    -    Quindi hai davvero fatto sesso con lei?!-
    -    ...Sì. Ehi, lo so, è stato un errore madornale, però--
    -    Però cosa, Jud?! Cazzo, era sbronza da fare schifo! Anzi, direi proprio ubriaca, stando a quello che mi hai detto! E se lei non ricordasse nulla di quello che vi siete--
    -    Lo ricorda, tranquillo. Ne abbiamo parlato appena sono uscito dall'armadio-
Solo in quel momento Judai ritrovò la voglia di sorridere, osservando il gigantesco punto interrogativo che sembrava sormontare la testa del compagno. Yusei sbatté comicamente gli occhi un paio di volte, incredulo.
    -    Dall'ar...madio?!- chiese poi, stupito, incerto se avesse sentito bene o meno.
    -    Dall'armadio- confermò Judai – Quando ti ho chiamato, stamattina, e ho interrotto la comunicazione, è stato perché Atticus è tornato dal turno notturno-
    -    E quindi ti sei chiuso nell'armadio per AHAHAHAHAH!!!-
    -    Non c'è un cazzo di divertente!-

Poche erano le cose che strappavano a Yusei una risata divertita: quel musone dallo sguardo severo e il delicato umorismo di un taglialegna con l'ascia smussata trovava da ridere solo in cose estremamente plateali. E l'idea di Judai chiuso in un armadio per non farsi scoprire dal fratello della sua migliore amica era plateale abbastanza, più che altro per quello che gli riportava alla mente.
Un mese prima, o qualche giorno di meno, Judai frequentava una ragazza di alto borgo, una giovane universitaria molto carina a dirla tutta, sebbene non avesse niente di speciale. Yusei l'aveva definita un po' anonima, con quei capelli castani e gli occhi scuri, e quando Judai gli aveva chiesto di trovarle un difetto lui ci aveva pensato sopra e aveva indicato il suo naso, troppo lungo per i suoi gusti; tuttavia aveva ammesso che, nel complesso, si trattava di una bella ragazza e con una personalità...interessante, una piccola bibliotecaria a cui piaceva molto leggere.
Il fatto era che si incontrava con Judai mentre era già fidanzata con un altro ragazzo, un tipo che, stando ai racconti del castano, era grosso come un armadio e con la voce piuttosto rude: la ragazza sosteneva non lo amasse più e che stesse cercando di lasciarlo in qualche modo. Judai aveva preso ad incontrarla più per semplice amicizia che altro, avendola conosciuta in diverse serate al Pharaoh's: inizialmente le piaceva la sua compagnia, poi aveva scoperto che farci sesso era ancora più divertente. Il problema si era presentato quando quel bestione di fidanzato che si ritrovava era tornato a casa prima del previsto, quasi cogliendoli sul fatto e costringendo il castano ad una precipitosa fuga nell'armadio di lei: nudo come un verme e con il cellulare in mano, Judai aveva subito contattato Yusei per metterlo al corrente della situazione e dettargli testamento, salvo poi inviargli un messaggio audio per fargli ascoltare quel penoso amplesso a cui era stato costretto ad assistere dietro le ante. Si era rivestito al buio nell'armadio, con complicate torsioni e insperata delicatezza, salvo uscire fuori dalla cabina mentre l'energumeno era andato a farsi una doccia. Aveva optato per una fuga veloce dalla finestra di lei, era appena al secondo piano; peccato che la vecchina del piano di sotto avesse iniziato a strillare come un'arpia dell'Odissea quando lui era atterrato sul balconcino, prima di prenderlo a bastonate e costringerlo a scendere di corsa, atterrando tra le misere fronde di un albero e cascando poi sull'asfalto del marciapiede. Era rimasto a casa una settimana, assentandosi dal Pharaoh's Kingdom: la caduta non gli aveva causato particolari problemi per fortuna, ma per qualche giorno si era sentito tutto ammaccato e, soprattutto, era ricoperto di graffi lasciatigli dai rami che gli avevano inciso la pelle, senza contare l’abominevole livido comparso sulla coscia destra. Tutto era bene ciò che finiva bene, si diceva, e infatti ormai ci ridevano entrambi su quella storia assurda: Judai non aveva più voluto sapere nulla di quella tipa, e Yusei aveva preso qualche screenshot della conversazione nell'armadio e l'aveva salvati sul suo laptop. Non si sa mai, aveva detto.

E stando a quanto gli aveva appena raccontato, sembrava che quella di nascondersi negli armadi altrui e rivestirsi al loro interno fosse diventata una sua specialità: bastava solo che gli dicesse che era saltato fuori dalla finestra ed era a posto.
    -    Se hai finito di ridertela come un deficiente...- borbottò Judai, azzannando il suo cornetto con la grazia di un'anaconda verde.
    -    Eheheh...perdonami. Dai, ti ascolto adesso-
    -    Ti dicevo, lei ricorda tutto. Siamo rimasti d'accordo che ne parleremo effettivamente stasera, al Pharaoh's-
    -    Mh. Ottimo direi, no?-
    -    Se lo dici tu...-
    -    E perché no? Avrete modo di chiarirvi così, no? Tu sicuro avrai modo di fare chiarezza nel tuo cervello una volta per tutte...-
    -    Io ho le idee chiare-
   -   Ma non penso proprio, altrimenti non staresti qui a flagellarti e darti del cretino! O sbaglio? Se tu avessi le idee chiare come dici tu, a quest'ora saresti ancora da lei! Non mi avresti telefonato, forse mi avresti mandato un messaggino, saresti rimasto con lei, avresti salutato Atticus direttamente dal letto e avresti ammirato la sua faccia nel vedervi insieme!-
C'era un motivo se Yusei era il suo migliore amico, e stava soprattutto in questo: nella schiettezza delle sue parole, dirette e spietate come una lama rovente piantata nella carne.
    -    In questo caso sì, devo concordare con te: sei un cretino. Ora smettila di fare la lagna o ti faccio dare io una calmata-
    -    Non sto facendo la lagna-
    -    Ti stai dando del cretino da quando siamo arrivati. Il tutto per una ragazzina-
Judai alzò lo sguardo di scatto, fissandolo dalla testa ai piedi mentre terminava di mangiare il suo cornetto.
    -    Non chiamarla ragazzina- sibilò poi.
    -    Lo vuoi un consiglio?- gli domandò Yusei, ignorandolo.
    -    No, non lo voglio-
    -    Piantala di raccontarti quelle belle storielline fesse del tipo “siamo migliori amici, non ci lasceremo mai!”. Le cose non vanno mai come credi, Judai. Quello di Yuya e Yuzu è stato un caso su mille, ma tu e Alexis, a quest'ora, potevate benissimo essere uno dalla parte opposta del mondo rispetto all'altra, completamente dimentichi della vostra esistenza. E stando ai tuoi racconti lo siete stati, per un bel po’. E se vuoi la mia opinione—
    -    Non la voglio-
    -    E invece la ascolti, visto che è anche gratis—
    -    Cosa chiedi a fare le cose—
    -    Se le vuoi davvero bene come tanto decanti, allora fallo e senza misure-
Judai aveva imparato a temerle, quelle lunghe occhiate dall'alto verso il basso che il suo collega gli riservava, quando stava facendo qualcosa di insensato e lo sapeva.

    -    Solo...è solo che non mi sembra...non so-
    -    Non ti sembra cosa?-
   -   Non mi sembra giusto, ecco! Lei è la mia migliore amica, Yusei, non posso farle del male in alcun modo! E se qualcosa dovesse guastarsi, in un nostro ipotetico rapporto “serio”?- domandò, mimando le virgolette con indice e medio di entrambe le mani.
    -    Ah, allora ammetti di pensarlo, ogni tanto-
    -    Ma certo! Chi non fa pensieri sui migliori amici? Anche tu con Aki, se è per questo...
    -    Non cambiare discorso adesso!- Yusei s'irrigidì di colpo – Stiamo parlando di te!-
    -    Ooooh...non lo so, Yus-
    -    Non devi chiamarmi così-
    -    Non...non mi sembra corretto, ecco-
    -    Corretto amare la tua migliore amica?-
    -    ...Sì. Voglio dire! Ascoltami un attimo e non alzare gli occhi al cielo cazzo, che nervoso...!-
    -    NO! Ascoltami tu adesso!-
C'era da dire che, appena alzava di poco il tono di voce, Yusei metteva leggermente paura. Ma leggermente, lo stesso timore che poteva incutere un drago che scopriva che qualcuno aveva rubato delle gemme preziose dal suo inestimabile tesoro. Judai chiuse gli occhi, mordicchiandosi il labbro inferiore, pronto a farsi investire dal fiume di parole che avrebbe contribuito a farlo sentire ancora più idiota.

    -    Quante volte hai osservato Alexis andare con altri ragazzi e commentato che non erano giusti per lei? Che non la rispettavano abbastanza?- gli domandò Yusei, puntandogli minacciosamente contro la tazza di caffellatte – Ti rispondo io: SEMPRE! L'hai sempre fatto, e le sei sempre stato accanto quando lei troncava le sue relazioni per un motivo o per un altro! Hai sempre guardato i suoi fidanzati con disgusto e pensato che non fossero giusti per lei, che non la rispettavano, e sai che ti dico? Che hai ragione su tutta la linea dannazione! Perché TU sei l'unica persona degna di restare al suo fianco! E nel profondo ne sei convinto anche tu, perché non ci sarebbe altro motivo, per te, per andarle così dietro!-
Quattro parole piazzate in croce. Tanto era bastato, a Yusei, per smontargli tutte le (ormai poche) illusioni rimaste. E senza neanche andare nello specifico della cosa, perché in realtà c'era di che parlare anche su questo.
Judai era sempre stato il povero idiota che consolava Alexis dalle sue disgrazie sentimentali, la sua spalla su cui piangere: e lei lo trattava da tale perché era lui stesso a mettersi in quelle condizioni, perché fino a quel momento non aveva fatto nulla di concreto per aiutarla davvero, solo farsi usare come sfogo e muro del pianto.
Per la bontà del cielo, Yusei era qualcosa di sconvolgente a volte. Chissà se lui se ne rendeva conto.
    -    Continuare a mentirvi a vicenda potrebbe essere solo controproducente-
    -    Io...io non so che dire. Non ci ho mai pensato...cioè, ci ho pensato eccome, ma ho sempre pensato che--
    -    Ecco, il tuo problema è qui, Judai. Pensi troppo, dannazione. Lo fai raramente, ma sempre quando non devi-
    -    ...Non so se essere contento o meno, di quello che hai detto-
    -    Hah! A tua discrezione Jud-

Terminarono la loro colazione in silenzio, senza più tirare l'argomento in ballo. La testa di Judai lavorava febbrilmente.


****



L'orologio sullo smartphone segnava le dodici e mezza appena, ma erano già tutti svegli. Yuma a parte, che continuava a ronfare sul divano letto. Yuya fece capolino dalla porta che separava la cucina abitabile dal corridoio, osservandolo mentre allungava una mano per grattarsi una gamba, sempre nel sonno.
L'idea era stata di Yuzu: ritrovarsi tutti insieme nell'appartamento del suo fidanzato, per passare insieme qualche divertente giornata e farsi compagnia. Kotori era stata entusiasta dell'idea, Yuma e Yuya neanche a dirlo: avevano quindi preparato qualche borsone e si erano spostati nell'appartamento di quest'ultimo, grande abbastanza per ospitare quattro persone senza farle stare troppo strette. L'idea dello scherzo, però, era stata proprio di Yuya. Diceva che era da tempo che non aveva modo di punzecchiarlo, e gli mancava sentire le sue urla ed improperi quando il compagno gli faceva qualche sorpresa. Faceva parte della loro complicità e del loro rapporto: ogni tanto si molestavano con qualche innocente burla.
Ghignando mefistofelico, Yuya corse in punta di piedi nella stanza da letto: Kotori li aveva raggiunti poco prima, lasciando Yuma da solo sul divano-letto. La trovò seduta sul materasso insieme a Yuzu, mentre guardavano qualcosa sul cellulare e frenavano le risate.
Ma che carine che erano, tutte e due? Kotori era di una tenerezza disarmante, amica di Yuzu fin dalla prima tintura dallo stesso parrucchiere prima di conoscere il fantastico mondo delle colorazioni della Manic Panic, e Yuzu...ah beh, Yuzu era sempre più bella ogni volta che la guardava, anche con i capelli sfatti e gli occhi ancora cisposi. Le aveva detto di poter dormire ancora, che ci sarebbe voluto del tempo prima di mettere in atto lo scherzo vero e proprio, ma lei aveva insistito: voleva vedere anche lei di che si trattava, cos'aveva architettato stavolta. Una cosa semplice e d'effetto, le aveva risposto lui, mostrandole quello che aveva tutta l'aria di essere un...
    -    ...un altoparlante Bluetooth?!- domandò Kotori, anticipando Yuzu e prendendo la confezione tra le mani, studiandola incuriosita- E cosa dovresti farci? Non vorrai risvegliarlo con la musica a tutto volume? Non so se funzionerà...-
    -    Oh, non proprio- gongolò Yuya, andando a rovistare dentro un cassetto del suo scrittoio – L'idea è sì svegliarlo con la musica, ma non solo! Voglio fare in modo che la musica lo accompagni ovunque vada!-
    -    E come farai a--
La risposta le venne piazzata proprio sotto il naso: Kotori quasi storse gli occhi e fu costretta ad allontanarsi un pochino per mettere meglio l'oggetto a fuoco, ma quando si rese conto di cosa fosse seguì Yuzu nelle sue risatine soffocate dietro le mani. Il ghigno di Yuya si allargò raggiungendo misure inquietanti, prima che questo cominciasse ad aprire le confezioni.
    -    Ma-ma poi si toglierà?- domandò, asciugandosi una lacrima spuntata all'angolo destro dell'occhio e spostandosi i capelli verdi sull'altra spalla.
    -    Ma certo!- le garantì Yuya – Altrimenti che scherzo sarebbe? Ci dobbiamo ridere sopra, non farci male inutilmente!-
    -    ...Mi sembra sensato-
    -    Preoccupata?-
    -    Della sua reazione-
   -    Stai tranquiiiiilla, non lo sciuperò troppo! Sarebbe carino vedervi finalmente insieme entro la fine dell'anno, e sarà meglio che lui sia in perfetta forma e senza cose strane sul corpo!-
    -    Ma-ma che cosa...!-
    -    Ahaaaaa, è arrossita, allora avevo ragione! Guardala Yuzu guardala!-
    -    Nnnnoo ma cosa mi fate dire!-
Kotori quasi ignorò l'abbraccio con cui Yuzu se la strinse addosso, troppo occupata a coprirsi il volto per nascondere le guance arrossite dall'imbarazzo.
Sempre così quando ci si ritrovava a parlare di qualche sentimento nascosto tra lei e Yuma; col senno di poi, Kotori aveva scoperto che Yuya e Yuzu non erano esattamente le due persone più silenziose al riguardo, e che rivelargli un simile segreto era stato, forse, un errore. Non erano certo corsi a rivelarglielo, non erano tipi da fare bambinate di quel genere; in compenso si divertivano a punzecchiarla quando possibile, tra allusioni velate e voli pindarici espressi a voce alta. E ora che Yuya e Yuzu erano insieme, lei non aveva neanche la possibilità di ribaltare la situazione con uno dei due: tutto quello che le riusciva era arrossire e ammutolire, incapace di difendersi da quei due lestofanti che sembravano sempre desiderosi di rivangare la realtà.
C'era sempre stata una forte complicità con Yuma, quell'intesa tipica di due persone che si conoscevano da tanto tempo e sapevano prevedere uno i pensieri dell'altra: l'aveva vista in Yuya e Yuzu, e anche in Judai e Alexis. Un affetto molto forte, un sentimento duraturo che, nel caso della prima coppia, era sfociato in amore reale, e nella seconda sembrava di vedere due rette parallele, che viaggiavano insieme senza mai incontrarsi davvero. Ecco, tra lei e Yuma c'era più o meno lo stesso feeling: il ragazzo adorava la sua compagnia, e lei si era profondamente legata a quello stramboide che metteva tanta, troppa energia in qualsiasi cosa facesse. Parcheggi, drink, videogiochi, musica, faccende casalinghe, perfino andare a fare la spesa per comprare un tubetto di dentifricio diventava, per lui, un pretesto valido per portare un po' di scompiglio e allegria. E col tempo, Kotori si era resa conto che di quell'energia era davvero difficile farne a meno.
Stare accanto a Yuma era un po' come essere posizionati accanto ad un accoppiatore energetico: a non fare attenzione si rischiava di prendere anche la scossa. Kotori aveva accettato questo rischio fin dall'inizio.

    -    Aaaallora, vediamo un po'!- esclamò Yuya, estraendo il piccolo altoparlante quadrato dalla confezione e cominciando a studiarlo per bene, facendolo ruotare rapidamente tra le dita – Qui dice che servono un paio di batterie ministilo...tipo quelle del telecomando, dovrebbero andare bene! Yuzu, le ho nel mio comodino!-
Detto, fatto: la ragazza dalla chioma rosa aprì con dolcezza il primo cassetto del comodino, mettendoci dentro le mani come se fosse stato il suo. Scostò il caricabatterie del telefono, un mucchietto di calzini spaiati, una confezione di preservativi quasi vuota...quello era grave, dovevano ricordarsi di quell'acquisto...prima di lanciargli dolcemente il blister contenente un paio di pile nuove di zecca.
    -    Ora non potrà più lamentarsi del mondo troppo silenzioso per i suoi gusti!- esclamò il ragazzo, inserendo le batterie e accendendo l'altoparlante – Potrà ascoltare tutta la musica che vuole, dove vuole, quando vuole!-
    -    Esattamente, dove hai intenzione di appiccicarglielo?- domandò Kotori, dubbiosa – In fronte?-
    -    Aha, certo! In bella vista!-
    -    ...Tu sei un pazzo-
    -    No, sono solo uno che vuole tanto divertirsi!-
    -    Divertirsi a spese degli altri!-
    -    E vabbé, è l'unico effetto collaterale! Restate qui-
Era chiaro che Yuzu e Kotori non gli avrebbero mai obbedito, troppo curiose com'erano, ma a Yuya la cosa non diede alcun fastidio, anzi: sogghignò tra sé quando notò la sua compagna prendere il cellulare e cominciare a riprendere l'intera scenetta.
Il solo pensiero di aver rischiato di perderla per sempre gli dava alla testa. Yuzu non faceva altro che ripetergli che l'avrebbe aspettato per sempre, anche se lui non si fosse mai più fatto vedere; Yuya non sapeva quanto di vero ci fosse, in quelle parole, ma non era così curioso di conoscere la risposta.
Si accovacciò accanto al divano dove Yuma continuava a ronfare, a braccia spalancate e la maglietta mezza sollevata a scoprirgli la pancia: con i capelli lasciati liberi da pettinature strane era quasi irriconoscibile. Quasi trattenendo il respiro, e tuttavia incapace di reprimere quel grosso ghigno che gli deformava la faccia, Yuya aprì con delicatezza il tubetto della supercolla e ne cosparse una buona quantità sul retro.
L'improvviso squillare del cellulare di Yuma lo fece trasalire. In una paurosa moviola, il ragazzo osservò il braccio del suo collega muoversi in direzione del telefono, a pochi centimetri da lui, per prenderlo e disattivarne la sveglia, prima di lasciarlo morbidamente cadere sul materasso e tornare a dormire come se niente fosse. Teso come la corda di un violino, Yuya si voltò verso le due ragazze: il tenerissimo duo riusciva a stento a trattenere le risate.
Doveva fare in fretta. Veloce e preciso. Senza indugiare oltre posò l'altoparlante sulla fronte di Yuma, attendendo qualche secondo perché questo aderisse bene, prima di voltarsi e tornare rapidamente nella stanza in punta di piedi. Yuzu non riuscì a trattenersi oltre e saltò sul materasso, affondò la faccia nel cuscino e scoppiò in una forte risata.
A volte pensava di essersi fidanzata con un pazzo. Ma solo a volte.
    -    E ora diamo il via alle danze!-
Afferrando il suo cellulare, Yuya settò rapidamente le impostazioni giuste per collegarsi con l'altoparlante ora ben appiccicato alla fronte di Yuma; qualche attimo dopo eccolo che scorreva velocemente la playlist del suo smartphone per selezionare la prima canzone da mettere in riproduzione.
The Vulture dei Pendulum risuonò a tutto volume per la cucina abitabile. In un primo momento Yuma non sembrò percepire nulla intorno a sé, ma quando la canzone entrò nella sua parte più ritmata sembrò scuotersi completamente: il ragazzo si rizzò a sedere di scatto, quasi fosse tirato da invisibili fili, e prese a sbraitare.
    -    YUYAAAAA!- urlò, con tutto il fiato che aveva in gola – ABBASSA QUEL CAZZO DI VOLUME!-
    -    Come ha fatto a sapere che ero io?!- sibilò Yuya per tutta risposta, coprendosi la bocca ghignante e fermando la riproduzione musicale.
    -    Forse perché sei l'unico che conosce che ascolta i Pendulum?- avanzò Kotori, frenando le risate.
    -    Aaaah, ma che fa?! Si è riaddormentato?!-
    -    Aspetta aspetta! Ci provo io! Come ti sei collegato?-
    -    Vieni, ti faccio vedere!-
Dopo qualche tentativo fallimentare, anche Kotori riuscì a collegarsi al piccolo altoparlante, e lo imitò cercando la canzone prescelta nella sua playlist. Inizialmente non capì cosa cercasse con tanto fervore, ma quando sentì le familiari note di Gangnam Style non riuscì più a trattenere le risate, crollando ignobilmente a sedere a terra mentre Yuma si rimetteva di nuovo seduto, gli occhi stretti e il naso arricciato in un'espressione indecifrabile. Rimase ad osservare il vuoto per qualche secondo prima di rendersi conto che FORSE c'era qualcosa di strano che gli tirava leggermente la pelle della fronte. Alzò una mano e si tastò comicamente l'altoparlante bluetooth, prima di voltarsi verso loro tre con sguardo truce.
    -    Tutto ma Gangnam Style NO!- sbottò poi, scattando in piedi – Non la sopporto quella canzone! Spegnetela! Maledizione! AAAAAHIA!-
    -    Yuma no! Cazzo, è incollata!- gridò Yuya tra le risate, quando vide l'amico afferrare il cubetto con la destra e cercare di tirarlo via.
    -    Co-COSA?! Come sarebbe a dire?! Yuya razza di DEFICIENTE!-
    -    AH! NOOOO!-

Troppo tardi per correre a nascondersi: con una velocità impensabile perfino da un iperattivo come lui, Yuma saltò giù dal divano letto e corse letteralmente dal compagno dai capelli verdi e rossi, caricandolo e sbattendolo di peso sul letto dove Yuzu stava ancora ridendo, costringendola a piegare le gambe sul petto per evitare di essere travolta dai due compagni. L'urto lasciò i due senza fiato, e Yuya scoppiò a ridere come un cretino, con Yuma che non sapeva se ridere a sua volta o scaricargli addosso il suo migliore repertorio di insulti.
    -    Mi hai incollato sta roba alla fronte?!- sibilò poi, indicandosi con foga l'altoparlante con entrambe le mani – E mi dici come la tolgo adesso?!-
    -    Molto semplice! Non la togli!-
    -    COME SAREBBE A DIREEEE?!-
    -    Ahahahah! Andiamo, non te la prendere! È uno scherzo innocente!-
    -    E per uno scherzo innocente devo stare con questo coso appiccicato in faccia A VITA?!-
    -    Non a vita! Solo per questa sera!-
    -    IO TI AMMAZZO!-
L'istante dopo, Yuzu e Kotori furono costrette a lanciarsi in mezzo ai due, per evitare il pestaggio.
Pareva proprio che Yuma non l'avesse presa così bene...



Si risvegliò autonomamente pochi minuti prima che la sveglia le segnalasse le dodici e mezza. Aki spalancò gli occhi sul soffitto, godendosi per qualche attimo il silenzio.
Il suo sonno era stato piuttosto agitato. Dopo quella giornata in cui aveva toccato tutti gli spettri dello stato d'animo umano, Aki era crollata sul materasso senza neanche svestirti: si era spogliata nella notte, complice il caldo soffocante e il ventilatore che le dava davvero poco sollievo, ma quando si abbandonava tra le braccia di Morfeo i mostri tornavano subito. I mostri, gli incubi, le insicurezze, decine di immagini oniriche le bombardavano la testa, in un turbinio di situazioni paradossali e scollegate tra loro che le avevano disturbato il sonno e portata ad aprire gli occhi almeno ogni ora.
Si mise lentamente a sedere, stropicciandosi gli occhi malamente struccati. Le bruciavano un po', probabilmente aveva anche pianto, ma non se lo ricordava.
Il pensiero corse subito alla sera precedente.
Yusei l'aveva accompagnata a casa, per cambiarsi d'abito e indossare qualcosa di più comodo per stare al Pharaoh's. Aveva fatto qualche allegro commento sul suo appartamento, notando quanto lo stesse arredando bene: aveva aggiunto delle tende nella camera da letto e nella cucina abitabile, usando le sfumature di malva per la stanza dove dormiva e le gradazioni del giallo per la seconda. Yusei si era stupito di quanto fosse piccolo, quell'appartamento: Aki gli aveva spiegato che, dopo aver vissuto anni in una casa grande abbastanza per perdersi, aveva volutamente cercato qualcosa di piccolo e facile da gestire, che le desse un aspetto più intimo e meno imponente, meno “freddo”.
Erano poi tornati al Pharaoh's Kingdom, sempre in sella alla sua moto: già il secondo giro aveva avuto un impatto diverso sulla ragazza, rapidamente abituata alla nuova situazione. Cominciava davvero a piacerle, e non aveva potuto fare a meno di notare come la sicurezza di Yusei, già lampante nel suo lavoro, si rifletteva anche sulla conduzione della moto. La faceva piegare e curvare con pochi, semplici spostamenti del corpo, oltrepassando la fitta muraglia costituita dal traffico cittadino come se non esistesse.
Abbracciarlo per reggersi a lui non era più stato così strano o imbarazzante: Aki aveva iniziato a vederla come una necessità. Non c'erano appigli che le permettevano di restare in sella senza rischiare di essere sbalzata via ad ogni cambio di andatura, e Yusei non sembrava farne un problema, anzi. Considerando che lui stesso era stato il primo ad invitarla ad un simile contatto, Aki aveva seguito di nuovo le sue indicazioni e si era stretta a lui. Gli aveva restituito la giacca: non le andava che girasse a mezze maniche per far stare più riparata lei, per cui si era munita di una giacca in similpelle rossa e aveva reso l'altra al ragazzo.
Eppure era ugualmente riuscita a percepire il suo calore, quando l'aveva stretto. Istintivamente, aveva sorriso.

E l'avere la serata libera dall'attività lavorativa l'aveva messa in condizioni di poterlo osservare meglio al lavoro, in quello che sembrava il suo habitat naturale. Era divertente guardarlo mentre dava ordini a Yuma e Yuya, mentre cercava di tenerli a bada e li esortava a non perdere tempo in stupidi giochi o rotazioni eccessive delle bottiglie. Le aveva portato il suo analcolico preferito, le aveva chiesto se stava bene, le aveva accarezzato la testa e aveva chiesto ai ragazzi delle cucine di prepararle un vassoio di dolci. I loro occhi si erano incrociati spesso, lui dal bancone e lei dal piccolo tavolo singolo a lei riservatole, un gioco di sguardi e silenziosi dialoghi che nessuno aveva voluto disturbare. Neanche Atem, quella sera sostituto di Judai: era rimasto ad osservarli in silenzio, prima uno e poi l'altra, con l'ombra di un sorriso sulle labbra. Come se aspettasse quella scena.
Purtroppo la serata non aveva avuto esito tranquillo. Suo padre l'aveva contattata per telefono, avvisato dell'uscita di scena della figlia durante la festa: le aveva comunicato che lei e il suo amico teppista avevano quasi rischiato di far rompere un fidanzamento, complice l'insinuazione di Yusei sull'effettiva autenticità dell'orologio, confermata poi dopo un accurato esame dei materiali di cui era composto. La giovane Kochiyo era entrata in una crisi di panico che l'aveva scossa e lasciata in lacrime per mezz'ora, zia Sakue l'aveva chiamato su tutte le furie e aveva sputato veleno come se non ci fosse stata possibilità di vedere un nuovo giorno. Sua madre era profondamente costernata dal suo atteggiamento e lui...lui sembrava davvero deluso.
Aki aveva faticato. Aveva faticato a spiegargli come le cose erano effettivamente andate, cosa era successo, cosa era stato detto: aveva sudato quando aveva dovuto spiegare chi fosse Yusei e come mai era con lei, perché lei frequentasse un ragazzo che aveva visitato la Struttura come gli era stato comunicato. E infine, quasi a voler mettere la ciliegina sulla torta, l'aveva rimbeccata ancora sulla sua scelta di vivere un futuro lontano dalla famiglia, ripetendole che stava sbagliando tutto, che era un'incosciente irrispettosa e che era il caso che lasciasse perdere e tornasse a casa.
Lì aveva visto rosso. Si era alzata, avvicinata alla porta di vetro della sala e aveva cominciato a sbraitare. Non ricordava neanche cosa avesse detto di preciso, ma il rabbioso fiume in piena di parole aveva fatto ammutolire suo padre, dall'altra parte della linea. Si era fermata solo quando si era resa conto che l'uomo aveva interrotto la comunicazione.
Aveva pianto come troppo spesso le era accaduto in quegli ultimi tempi, e a quel punto Yusei si era fatto avanti.
Non era riuscita a non guardargli, per l'ennesima volta, il segno dorato che gli percorreva il lato sinistro del volto: l'aveva osservato bene, il marchio della Struttura, quella sottile linea dorata che l'aveva bollato a vita come delinquente, sebbene la storia fosse davvero molto più complicata e molto meno scontata di quanto appariva. Aveva studiato tutte le pieghe di quella linea, il modo in cui svettava sulla sua pelle ambrata come un segnale di pericolo illuminato nella notte: un carcerato della Struttura, un tipo probabilmente pericoloso, stare alla larga. Ma tutto quello che aveva visto, e che continuava a vedere, era solo un giovane uomo che aveva perso tanto e stava faticosamente ricostruendo la sua vita da zero; e che, nonostante tutto quello che aveva messo in gioco, tutto lo schifo in cui era passato, trattava le altre persone con un rispetto fuori dall'ordinario.
Quando le aveva poi promesso che avrebbe fatto in modo di non farla ma più piangere, ecco, lì aveva cominciato a raschiare il fondo. Aki era stata scossa da un nuovo scoppio di lacrime calde e gli si era letteralmente lanciata tra le braccia. E poco le era importato di tutti gli sguardi della crew puntati addosso, non aveva badato a quella scomoda sensazione di essere diventata il centro dell'attenzione, il punto su cui convergevano tutti o quasi gli sguardi della sala: in quel momento, aveva solo badato alle mani e braccia di Yusei che risalivano lentamente la sua schiena, ricambiando poi la stretta con dolcezza. Non aveva più parlato, limitandosi ad attenderla mentre piangeva tutte le lacrime che aveva da versare, finché il suo pianto non si era ridotto a qualche singhiozzo isolato.
Solo allora Atem si era fatto avanti e le aveva proposto di tornare a casa, di accompagnarla di persona: era stata indubbiamente una giornata poco piacevole per lei, quella appena trascorsa, e sebbene non avesse voluto scendere nei dettagli, Aki aveva capito che lui sapeva. In quel momento le era tornata in mente quella mattina in cui l'aveva convocata nel suo ufficio e le aveva mostrato i tarocchi egizi: l'immagine dell'Arcano della Persuasione le era balzata in mente come un flash fotografico.
Il conseguimento di un discorso, e di un obiettivo. A patto che tu sia perseverante e non perda la speranza. Vedi, alcune questioni familiari, insieme a intoppi, infamie e gelosia, potrebbero condurti a perdere degli amici...ma la tua ostinazione sarà degnamente ripagata con nuovi rapporti rigenerativi.
Perdere degli amici, aveva detto Atem: considerati gli eventi successi ventiquattro ore prima, Aki poteva dire tranquillamente di aver perso un'intera famiglia, ormai. Ora che era stato reso pubblico che la figlia del senatore Izayoi lavorava in un locale notturno (perché sia mai che si dicessero le cose così come stavano...) e frequentava un bruto che aveva soggiornato nella Struttura, poteva tranquillamente dire di aver perso ogni posizione che le spettava nell'alta società.
E il bello era che non gliene importava nulla.

Quando il telefono squillò, non gli diede neanche peso, convinta che fosse l'allarme della sveglia; le occorse qualche secondo per leggere il nome di Atem sul display. Lo sbloccò velocemente e rispose alla chiamata.
    -    Pro-pronto?!-
    -    Buongiorno a te, Aki. Dormito bene?-
La voce calda di Atem le causò un brivido lungo la schiena. Era così limpida e chiara che sembrava di averlo davvero a pochi centimetri di distanza.
    -    ...Diciamo di sì- rispose poi la rossa, grattandosi la testa e lasciando ricadere il braccio destro a lato del suo corpo -  Ho avuto nottate migliori, comunque-
    -    Immaginavo. Non credo sia necessario ripetertelo, ma se dovesse servire hai tutta la crew pronta a sostenerti. Non farti scrupoli a parlare di quello che ti preoccupa. Ovviamente, se te la senti di ripercorrere i momenti e spiegare, e se te la senti di raccontare certe cose a quelli che sono, fondamentalmente, degli sconosciuti. In qualunque momento, noi siamo qui-
    -    Va...va bene. Grazie-
In quel breve attimo di silenzio che seguì, Aki giurò di averlo percepito sorridere.
    -    Indovina dove sono ora?- le chiese poi il Faraone, Aki aggrottò le sopracciglia.

    -    ...a giudicare dall'ora, a casa tua?!- buttò lì lei, incerta: che razza di domanda era quella?
    -    Diciamo di sì...sembra che anche tu abbia cominciato a pensare al Pharaoh's Kingdom come una seconda casa, mh?-
    -    ...è così palese?-
    -    Lo consideriamo tutti. È un altro dei motivi per la quale tutti si ritrovano lì, anche nei giorni di riposo-
    -    Capisco. Quindi sei al locale?-
    -    Esattamente, nel mio ufficio. Ho quattro carte davanti, quale di queste volto?-
Fu improvvisamente chiaro cosa intendesse fare. Aki si mordicchiò il labbro inferiore, incerta.
Non aveva mai preso sul serio quelle robe...strane, come la lettura delle carte o della mano e affini: le aveva trovate sempre confusionarie e dai significati fin troppo ampi, e come Atem stesso le aveva confermato ognuno ci leggeva quello che voleva, in quelle carte. Non aveva molto senso, farsi predire il futuro da qualcosa che non era una scienza esatta, ma solo una formula il cui esito dipendeva dagli occhi di chi guardava.
Poi ripensò alle parole di Atem di quella mattina: le carte erano come una piantina stradale, le aveva detto. Mostrano le vie possibili, ma non certo obbligatorie. Un modo come un altro per aprirsi la mente a più possibilità.
    -    ...la seconda- gli disse poi, dopo un attimo di pausa – Dalla tua sinistra-
    -    Mh! Non crederai mai a cosa è tornato!-
    -    Fammi indovinare? La Persuasione?-
    -    Esattamente. La previsione della precedente volta è confermata-
Aki sorrise amaramente. Altri guai in arrivo, sembrava dire. E figurarsi.
    -    Vuoi voltarne un'altra?-
    -    Quella subito dopo-
    -    ...Oh. Interessante-
    -    Cosa c'è di interessante?-
    -    Sai cosa si è rivelato?-
    -    No. Cosa?-
    -    Diciassettesimo Arcano, La Speranza-
Per un attimo fu tentata dal chiudere la telefonata. L'ironia era troppo sottile.
    -    Che-che cosa vuol dire?- domandò poi, la gola secca.
    -    Lo sviluppo di intuizione e di forza. Illuminazione e nascite. Ci sarà anche, se accompagnata da insoddisfazioni, una piccola soddisfazione in egual misura-

    -    Mi stai quindi dicendo che potrò vedere quel covo di serpi saltare in aria?-
    -    Ahahah! Sì, mettiamola così. Ecco, proprio questa rabbia che ti porti dentro: verrà quietata, e ci saranno anche riconciliazioni-
    -    Riconciliazioni, eh? Vorrei proprio vedere-
    -    Non disperare, Aki: tutte le privazioni del passato verranno debitamente ripagate-
    -    Tu dici?-
    -    Certo. Basta che ricordi la Persuasione. O la Forza. Cambiano i nomi ma non i significati-
    -    ...Ci proverò-
    -    Brava, quello che volevo sentirmi dire! Se poi, oltre che a provare, riesci anche, saremo tutti più contenti, soprattutto tu. Domani sera hai la serata libera-
    -    EH?!-
   -    Non prendermi per filantropo o chissà cosa: è nel mio interesse che tu mi lavori con la stessa efficienza dei giorni scorsi, e non puoi attingere a quell'energia se sei così turbata nell'animo. Avrei preferito farti riposare stasera stessa, ma io sono assente, ho altre...questioni urgenti a cui pensare-
Aki ripassò in mente la figura di Mana.
    -    E tra l'altro, anche Yusei riposerà domani. C'è meno urgenza di personale nella prossima serata che in questa. E poi so che vi divertite quando io non ci sono! Per cui non voglio privarti di questo divertimento!-
Aki ebbe la conferma ufficiale di avere a che fare con un matto.
    -    Solo, so che ti chiederò l'impossibile, ma ci provo lo stesso: puoi dare un occhio a quei mattacchioni e evitare che bevano in servizio?-
    -    Li minaccerò dicendogli che il Grande Fratello li sta guardando-
    -    Brava! Peccato che lì in mezzo solo Yusei abbia letto 1984. Forse lo ha letto anche a Judai, ma non sono sicuro. Per cui ti basterà ricordargli di un certo Terzo Occhio-
Mentre chiudevano la comunicazione, Aki ripensò alla mattinata in cui Atem le aveva letto le carte, nel suo ufficio, e alla strana sensazione di essere scrutata, effettivamente, da un terzo occhio.
Sembravano tutti prendere quella caratteristica troppo sul serio, per considerarla solo uno scherzo.


****


    -    ...Io non voglio sapere cosa sta succedendo. Sono appena arrivato e sono già stanco-
Yusei si stropicciò gli occhi, costernato, mentre scorreva rapidamente la home di Instagram sul suo smartphone. Aki si voltò verso la direzione da cui sentiva quella musica: esattamente dal basso, dalla scala da cui si saliva per accedere alla terrazza. Judai si voltò ad osservare i due bartender mentre facevano la loro rumorosa entrata in scena, seguiti da Yuzu e Kotori. Più di tutto, ad attirare la loro attenzione, fu Yuma, o meglio il suo profilo che sembrava aver guadagnato una strana protuberanza cubica. Dovettero attendere che si avvicinasse un po' di più perché si rendessero conto trattarsi di un piccolo altoparlante bluetooth. Aki sgranò gli occhi, incredula, mentre Judai si piegò in due dal ridere e Yugi, intento ad apparecchiare la seconda metà del bancone, si affrettava a cercare qualcosa sul cellulare senza smettere di ridere.
    -    Ahahaha, molto divertente, massa di squilibrati- commentò Yuma sarcastico, ghignando beffardo – Divertitevi pure finché non si stacca!-
    -    Ohohoh, puoi giurarci!- esclamò Judai, asciugandosi una lacrima spuntata alla base dell'occhio destro – Preparati per un'infernale serata!-
    -    Yuya, amico mio...ti voglio un bene dell'anima, mi getterei nel fuoco per te, ma GIURO a volte ho voglia di riempirti di cazzotti-
   -    Oh andiamo dai! Ti stai divertendo un sacco anche tu!- protestò l'altro, fronteggiandolo con un grosso sorriso – Hai sparato tutte quelle canzoni idiote in auto! Questo sbandato ha l'intera discografia apparsa fino ad ora su tutte le versioni uscite di Dance Dance Revolution! Io non potevo crederci!-
    -    Meglio di quell'Oppa Porcaputtanaharottolepalle Style!-
Senza aspettare la sua risposta, Yuma allungò una mano e artigliò gli occhialetti del compagno, tirandoli quel che bastava per farglieli schiantare in faccia. Yuya sobbalzò all'indietro, gridando di sorpresa, prima di alzargli gli occhialetti e scoppiare a ridere come un idiota: due invidiabili cerchi rossi gli contornavano gli occhi diversi.
    -    Chi ha messo Dark Horse ora?!- sbottò Yuma tra le risate, quando sentì la musica partire dall'altoparlante.
   -  Perdonami Yuma, non ho resistito!- esclamò Yugi, ghignando dietro il bancone degli stuzzichini, mentre gli mostrava lo smartphone con uno sventolio.
    -    TU?! Tu non eri quello che ascoltava gli Avenged Sevenfold a colazione, pranzo, cena e merenda?!-
    -    Ringrazia Atem, è lui che mi ha azzeccato questa canzone-
    -    Atem?!- Yuma era semplicemente allibito – Quello che ascolta musica classica?!-
    -    Se per musica classica intendi i Rhapsody Of Fire, sì, parliamo di quell'Atem-
    -    Quelli o gli Alestorm-
    -    Gli Alestorm li ascolto io. Lui sente spesso gli Orphaned Land, sai...Estarabim, Estarabim!-
    -    ...e gli piace Katy Perry?!
    -    Da morire-
    -    Perdonami ma non lo vedo proprio a cantare California Girls sotto la doccia...-
    -    Sotto la doccia non canta affatto, infatti-
    -    Yugi era un modo di dire...-
    -    Ma gli piace ascoltare e vedere qualcosa di più leggero e trash, ogni tanto. Avreste dovuto vederlo quando guardò il video di Wrecking Ball la prima volta, era lì per morire dalle risate...-
    -    A proposito, oggi riposa?- domandò allora Yuya, sfregandosi gli occhi. Aki annuì.
    -    L'ho sentito questa mattina- spiegò poi.
    -    Mmmmh. E ti ha anche detto se passava?-
    -    Non direttamente. Mi ha detto che ha delle questioni urgenti da risolvere-
    -    Questioni urgenti le chiama ora, eh?-
Yuya arricciò il naso e si portò una mano sotto il mento, scrutando i compagni durante quell'attimo di silenzio creatosi.
    -    Mana- disse poi, facendo spallucce.
    -    Sì, Mana- lo seguì Yuma.
    -    Definitivamente Mana- annuì Yusei.
    -    Assolutamente Mana- confermò Judai.
    -    Yugi, sei sicuro di voler tornare a casa, stavolta?- domandò Yuma, circospetto.
    -    Non ci torno, a casa- rispose Yugi, con un'alzata di spalle – Sono ospite di Jonouchi. Insieme a Honda e Bakura-
    -    ...ti sei premunito stavolta, eh?-
    -    Diciamo che voglio evitare errori del passato-
    -    Potevi approfittarne per imparare qualcosa quella volta, no?!-
    -    Non ho assolutamente nulla da imparare, fidati-
    -    Questa conversazione sta diventando davvero strana- notò Aki, incerta.
    -    Fidati Aki, questa conversazione è anche troppo tranquilla per i nostri standard- la rassicurò Yusei, con un sorriso divertito.
   -   Sul serio, a volte mi ritrovo ad invidiare la carica erotica di quel tipo- borbottò Judai, sistemando un piatto sul bancone – Ne è completamente circondato! Secondo me anche Mai Kujaku ci ha fatto un pensierino qualche volta!-
    -    Mai Kujaku è stata la prima, credo- notò Yuya.
    -    Ah quindi c'è stato qualcosa tra quei due?!-
    -    Secondo te da dove viene tutta quella confidenza? Nessuno dei due va a sbandierarlo ai sette mari ma è palese-
    -    Bah, non mi stupirei se un giorno entrasse al Pharaoh's con un harem di fanciulle dietro...-
    -    Ehi, hai presente le ragazze del Dark Magician? La moretta, la biondina e quell'altra che cambia colore di capelli ogni settimana, giorno più o giorno meno?-
    -    La biondina non è Mana? O ce n'è un'altra?!-
    -    Ce n'è un'altra! E credo se la intende anche con quelle là!-
    -    Su questo permettetemi di deludervi- avanzò Yugi – Quelle hanno gli occhi puntati su di me-
Aki sbatté gli occhi confusa, nel vedere il resto della crew del Pharaoh's Kingdom, comprese Yuzu e Kotori, voltarsi all'unisono verso il ragazzo e guardarlo tutti con la stessa, lestofante espressione! La rossa indietreggiò, quasi spaventata.
Gli standard di conversazione si stavano alzando molto rapidamente...
    -    Ohoooo, ma davvero! Il prossimo in linea di successione ricalca bene le orme del maggiore!- esclamò Yuya, con sguardo scintillante e una mano ad accarezzarsi il mento.
    -    Anche tu Yugi, cazzo...- borbottò Judai, scuotendo il capo – Come diavolo fai! Ehi, chi si ricorda quella cinesina al contrario? Victoria, Vera, come si chiamava...-
    -    Vivian-
    -    Vivian! Quella fu una conquista da ricordare!-
    -    Quella aveva gusti troppo estremi per me. Quando ha tirato fuori collare e guinzaglio ho avuto seriamente paura...-
    -    Poi davanti ad Anzu perdi la facoltà di pensiero e parola, io non lo so...AHIA! Ma sei matto?!-

Il bicchiere da shot scagliato da Yusei rimbalzò dalla testa del castano sul tavolo degli stuzzichini, con una precisione di traiettoria che sembrava calcolata. Judai si portò una mano al punto colpito, voltandosi a scrutare il compagno con sguardo assassino.
  -    Tu devi solo stare ZITTO!- soffiò Yusei, già armato di un altro bicchiere e pronto ad un altro lancio – Tu che con Alexis hai le capacità di comprendonio azzerate!-
    -    Ma quando mai?! E poi dopo tutto quello che ti ho raccontato, la pensi ancora così su di me?!-
    -    Certo! Perché se nasci tondo non puoi morire quadrato! Per me cretino resti, per il solo fatto di aver impiegato tutto 'sto tempo per decidere di che morte morire, tu e il tuo rapporto con Alexis!-
    -    Ma porcamiseria! Ma ti ho anche spiegato le mie motivazioni! Io--
    -    Prosciutto!-
    -    Che bordello!- esclamò Yugi, allargando le braccia.
    -    Toh, bevici su-
Senza dargli tempo per rispondere, Yusei gli porse un bicchiere collins, pieno di quello che Aki riconobbe come un Cuba Libre. La rossa spalancò gli occhi, sorpresa: quando l'aveva preparato, quello?!
    -    Proprio del bere vi volevo parlare- esclamò Aki, dopo un attimo di incertezza – Atem mi ha chiesto di dirvi che c'è un...un terzo occhio che vi guarda-
    -    Il silenzio fu generale, e molto diverso da quello che li aveva inglobati prima di farsi domande sull'effettiva vita sentimentale del padrone di casa: era un silenzio carico di incertezza e tensione, dove Judai alzò lo sguardo su Yusei e il capobar annuì col capo.
    -    Bevi quello e basta- gli disse poi – A tutti quanti, comprese voi due BESTIE...niente bicchierini in servizio. Facciamo alla chiusura-
Yuma e Yuya non trovarono nulla con cui replicare. Aki rimase ad osservare la scena sconcertata.
E seppe che no, il terzo occhio che aveva intravisto sulla fronte di Atem non era un sogno.

****

Le Harpy Ladies erano un trio di ragazze dalla bellezza disturbante e lo sguardo perforante, oltre ad essere dotate di una voce potente e meravigliosamente evocativa. Sul palco della terrazza del Pharaoh's Kingdom, si stavano esibendo in una serie di pezzi originali e cover, oltre ad interessantissimi mashups, accompagnandosi con il violoncello della giovane dai lunghi capelli rossi, seduta tra le due compagne. Quello, insieme ad altri semplici strumenti, tra cui un rullante, fungeva da accompagnamento strumentale alla loro splendida voce. Aki ne era rimasta assolutamente incantata: tre sensuali ed ammalianti sirene che stregavano occhi e orecchie di chi le ascoltava, e proprio quel loro sguardo la inquietava: sembravano pronte a far di un solo boccone chiunque presente in sala.
    -    Due Cosmopolitan, un Bacardi e uno Strawberry Mojito- disse la rossa, avvicinatasi al bancone.
    -    Iiiin arrivo!- esclamò Yuma, momentaneamente dimentico dell'altoparlante appiccicato alla fronte. Nell'arco della serata, erano state molte le volte in cui era stato messo in funzione, facendo esasperare il giovane bartender.
    -    Atem mi ha concesso la serata libera, domani- continuò Aki, attirando l'attenzione di Yusei.
    -    Lo sappiamo- rispose il moro – Ci ha mandato un messaggio in conversazione-
    -    Conversazione?!-
    -    Sì, abbiamo una conversazione di gruppo sui telefoni, in cui ci scambiamo orari e informazioni lavorative. PURAMENTE LAVORATIVE-
    -    Uffaaaa, sempre a puntualizzare la cosa...- borbottò Yuya, mentre terminava di preparare il primo Cosmopolitan.
    -    In realtà è stata creata dopo che la prima conversazione era stata trasformata in una fiera di tette, gatti e videogiochi-
    -    ...Non voglio sapere altro-
    -    Figuriamoci-
Alle sue spalle, Aki percepì la figura di Judai inchiodare di colpo, quasi qualcosa gli avesse ancorato i piedi al suolo. La rossa si voltò a guardarlo, incerta e, in un certo senso, preoccupata. Era impallidito di colpo, neanche avesse visto un fantasma; ma a fare il suo ingresso in terrazza era stata semplicemente Alexis, impeccabile e bellissima nel suo vestitino bianco ottico. Si guardò intorno, scrutando la folla, e quando si accorse della presenza di Judai si illuminò di colpo e fece per avanzare in sua direzione, salvo poi fermarsi quando Judai le fece cenno di restare lì dov'era. Il giovane chef si slacciò velocemente il grembiule e lo lasciò sul bancone, senza rivolgere né una parola né uno sguardo a Yusei o a nessun altro, gli occhi puntati sulla figura della ragazza.
Le si avvicinò a passo spedito, invitandola ad allontanarsi ulteriormente verso il sentiero d'acqua, lontani dalla folla e dai compagni. I loro discorsi, complici la musica e la distanza, divennero incomprensibili.

    -    Bene, eccomi qui- cominciò Alexis, spostandosi una ciocca bionda dietro l'orecchio destro – Come...come va?-
    -    Bene- annuì Judai, la gola secca – Si lavora, c'è gente, si passa il tempo-
    -    Ah-ha, vedo. Mmmh...novità?-
    -    Nessuna-   
    -    A casa tutto bene?-
    -    Tutto bene-
    -    Yusei? La moto?-
    -    Alla grande-
    -    Aki?-
    -    Bene anche lei-
    -    Bene-
    -    Già-
Seguì un attimo di silenzio, carico di incertezza e tensione. Alexis si torse le mani, tracciò distrattamente un piccolo cerchio con la punta del piede destro, Judai si mordicchiò il labbro inferiore.
Sapeva che sarebbe finita così, a fare il gioco degli sguardi e dei silenzi. Sapeva che quello che aveva fatto avrebbe inevitabilmente causato un punto di rottura nel loro rapporto. Ora dipendeva tutto da lui, se salvare la situazione o continuare a battere su quel punto fino a sfondare la vetrata.
Ormai era da quasi ventiquattro ore che si dava del cretino.
    -    Ascolta...-
Parlarono insieme, all'unisono, con una coordinazione che mai si sarebbero aspettati, neanche si fossero messi d'accordo. Si guardarono in volto, sorpresi, e la situazione si sciolse un pochino, complice la risata imbarazzata di Alexis e il sorriso di Judai.
    -    C'è una cosa di cui devo parlarti- esordì Alexis, guardandolo timidamente negli occhi.
    -    Già, anche io-
    -    Ecco-
    -    Chi comincia?-
    -    Tu, la tua cosa è molto più importante della mia-
    -    E chi l'ha detto?-
    -    Io. La mia cosa viene dalla fiera delle ovvietà-
    -    Mh. Punto tuo. Va bene, allora comincio io-
Judai prese un bel respiro, le mani sui fianchi; strusciò distrattamente un piede a terra, si stropicciò un occhio, prima di alzare di nuovo lo sguardo su di lei.
    -    Sono un cretino-

    -    Ma che diavolo stanno facendo?!- domandò Yuya, incuriosito, gli occhi puntati sulla coppia allontanatasi poco prima.
    -    Parlano Yuya, parlano!- rispose Yuma, accanto a lui, ancora con quello stupido altoparlante appiccicato in fronte – Ma da qui non si sente un tubo!-
    -    Ehi, voi due! Bestie!- li richiamò Yusei, quasi infastidito.
    -    Ehi! Non stavamo facendo nulla di male!-
    -    A parte ficcanasare come due comari! Tornate alle vostre posizioni! Mancano un altro Cosmopolitan e lo Strawberry Mojito, chi ci pensa?-
    -    Tu!-
    -    Ma non penso proprio!-
Di nuovo, nella testa di Aki si formò ancora l'immagine di mamma gatta con i suoi micini: Yusei si avvicinò ai due colleghi e li afferrò per il colletto della camicia, sollevandoli entrambi e riportandoli alle loro postazioni. La rossa trattenne una risata, coprendosi la bocca con un paio di dita.

    -    Sono un cretino- ripeté Judai, meritandosi un'occhiata sorpresa da Alexis – Sono un cretino perché per tutto questo tempo non voluto accettare quello che era ovvio. E mi dispiace che sia stata tu quella ad andarci in mezzo, ma come ti ho già detto sono un cretino e dovrai aspettartele spesso da me, queste idiozie-
    -    Judai, cosa--
    -    Per tutto questo tempo non ho fatto altro che cercare me stesso in altre relazioni, spesso anche complicate. Alcune anche pericolose, c'è stato un periodo in cui me ne andavo con ragazze fidanzate, fai tu. E in tutto questo tempo ti ho...ti ho ignorata, come un imbecille-
Alexis preferì restare in silenzio, limitandosi ad osservarlo con tanto d'occhi.
    -    Io ti avviso, sono un vero fiasco con le relazioni– continuò Judai, prendendole entrambe le mani tra le sue – Non ricordo i compleanni, e semmai mi dirai che hai messo la data del nostro fidanzamento come password del Wi-Fi allora resterò senza internet a vita pur di non chiedertela ed evitare la figuraccia del cretino a cui sembra non importare niente. Le mie abitudini alimentari fanno davvero schifo e non ho pazienza di passare intere giornate in mezzo ai negozi. Non so riconoscere le almeno dieci sfumature di rosa degli smalti e tiro calci nel sonno. E in generale sono un tordo che si rende conto delle cose troppo tardi, quando combina casini allucinanti e rischia di mandare all'aria le relazioni sociali. Per cui, ammesso che tu voglia davvero stare ancora con un cretino di questa portata, sappi che è questo quello che ti aspetta. E anche peggio. Donna avvisata mezza salvata-
    -    Hai finito?-
    -    ...Sì-
    -    Bene-
La giovane annuì, passandosi la lingua sulle labbra e mordicchiandosi il labbro inferiore, lo sguardo basso e le mani ancora strette tra quelle di Judai.
Gli serrò le dita con forza, quasi facendolo sobbalzare.
    -    I compleanni non li ricordo neanche io- cominciò poi – Devo segnarmeli ogni volta sul cellulare ed impostare un promemoria giornaliero per ricordarmene. Sono un fiasco con i regali, e odio farli perché non so mai come uscirmene. La mia password Wi-Fi è sempre stata unoduetrequattro perché mi secca ricordarmi qualcosa di più complicato. Le mie abitudini alimentari sono peggio delle tue, sono solo stata graziata da un metabolismo veloce e da una costanza per gli esercizi in palestra. Sono anni che non faccio shopping al centro commerciale, compro tutto online. Il rosa mi fa schifo. Quando dormo sbavo e bagno tutto il cuscino. E non so cucinare, ogni volta che ci provo rischio di mandare a fuoco la stanza e chiunque capiti nei paraggi. Per cui, ammesso e concesso che io scelga di stare con un cretino della tua portata, sappi che dovrai pensarci tu a nutrire l'uno e l'altra, perché se aspetti me moriremo entrambi di fame-
    -    Sembra sensato. Allora? Che si fa?-
    -    ...Ma come che si fa?!...un tordo. Sei un tordo-
Alexis gli lasciò le mani di scatto, per stringergli il volto tra le sue e azzerare la distanza che li separava con un bacio.

Nel caos generale, l'inequivocabile suono di una bottiglia finita in frantumi arrivò alle orecchie dello chef. A seguire furono le urla e le risate di Yuma e Yuya, mentre Yusei cominciò a sbraitargli contro e a chiedere aiuto per pulire dietro al bancone. Sorrise nel bacio, al pensiero che il capobar aveva FINALMENTE fallito una presa. Strinse a sé Alexis, enormemente sollevato dal fatto di non aver aperto gli occhi troppo tardi.
Col senno di poi, si rese conto che la sua mossa azzardata della sera prima non gli aveva fatto perdere nulla, essenzialmente perché non c'era nulla da perdere. Aveva solo anticipato, con i fatti, quello che provava a parole.
Era strano sentirsi finalmente completi.


****


    -    Sei sicuro di voler stare ancora qui?- domandò Aki, muovendo liberamente le gambe nell'acqua, seduta a bordo piscina.
   -    Certo- rispose Yusei, seduto accanto a lei – Dopotutto sono io che ho insistito affinché Judai se ne tornasse a casa...secondo te cosa staranno facendo, lui e Alex? Io eviterei di ritrovarmi davanti lo spettacolo-
    -    ...Avrei giurato che saresti stato pronto quantomeno a origliare-
    -    Non sono pettegolo come lui, ricordatelo-
Aki annuì e sorrise, voltandosi verso il sole nascente.
A serata finalmente conclusa e a terrazza sistemata, la crew si stava finalmente concedendo il sospirato relax in piscina. L'altoparlante appiccicato alla fronte di Yuma si era poi staccato da sé, complici il sudore e la supercolla non proprio super usata da Yuya; tuttavia, tanto per sottolineare che lo scherzo era stato crudele e l'avrebbe pagata, soprattutto per aver usato quel piccolo altoparlante per sparare orgasmi a tutto volume quando non c'era musica, il giovane vittima della marachella aveva trascinato Yuya in un tuffo in piscina mentre erano ancora vestiti. Roba che Yusei, appena uscito dai camerini, aveva assistito alla scena e si era schiaffato entrambe le mani sul volto, scuotendo il capo e borbottando imprecazioni. Judai e Alexis erano ormai lontani, ma Yuzu, Kotori e Yugi erano rimasti a fare foto stupide ai due barman bagnati come pulcini, mentre si dimenavano nell'acqua come ragazzini.
Yusei alzò lo sguardo sulla ragazza, sorridendo sollevato nel vederla di nuovo rilassata e sciolta. Sembrava che la giornata di ieri non l'avesse impensierita troppo, o quantomeno che stesse provando a non pensarci: encomiabile impegno, si vedeva quanto fosse desiderosa di voltare pagina.
    -    Hai detto di riposare domani?- le domandò poi, disinvolto. Aki si voltò a guardarlo, i due occhi nocciola sbatterono un paio di volte: un gesto talmente femminile che Yusei provò istantaneamente tenerezza.
    -    Affermativo- rispose lei, reclinando lievemente il capo, come a volerlo osservare meglio.
    -    Mh. E se ci vedessimo?-
    -    Qui al Pharaoh's?-
    -    Anche. Ma pensavo a qualcosa di diverso, del Pharaoh's-
    -    Oh?-
    -    Pensavo ad un giro in moto, insieme. La sera-
    -    La sera?-
    -    Immagino che durante il giorno tu abbia delle cose da fare. Io ho da studiare, sono rimasto un po' indietro-
    -    Studi? Non me l'avevi detto-
    -    Davvero? Ero convinto di avertene parlato-
    -    Mh-hm. Cosa studi?-
    -    Astronomia e astrofisica-
    -    Oh, uao! È...insolita, come scelta!-
    -    Lo so, ma ho questo pallino fin da bambino. Mi piacciono le stelle, tutto qui-
Tutto qui. E lo disse con una tenerezza disarmante, facendo perfino spallucce. Un capobar, appassionato di moto, vissuto in quel ciarpame galleggiante che era stato il Satellite, finito in prigione per i suoi amici, e che nonostante tutto continuava ad inseguire i sogni del bambino che era ancora in lui, nascosto da qualche parte.
    -    Immagino sia anche per questo che ti piace uscire la sera in moto, vero?- domandò poi Aki – Per vedere le stelle-
    -    Già, ma non in città. Devo spostarmi più lontano, dove so che le luci cittadine non possono dare fastidio. Belle anche quelle però-
    -    Va bene-
    -    Uh?-
    -    Va bene ho detto. Ci sto. Usciamo insieme-
    -    Mi prometti di vestirti comoda?-
    -    Va bene!-
Rise, cogliendo l'allusione all'incriminato vestitino del giorno prima.
Quello poteva essere davvero considerato un appuntamento.


Decise di aprire gli occhi solo quando il sole diventò più fastidioso. Ancora avviluppata in un unico, grande bozzolo bianco di lenzuola, Mana si voltò sul materasso, inspirando sollevata, sorridente.
Atem non era lì, ma sembrava aspettarla in terrazza, placidamente steso sul divanetto in tessuto, un modello molto simile a quelli che aveva al Pharaoh's Kingdom. Contro la luce del sole, Mana riuscì a distinguere la forma intricata del suo narghilè, posato sul tavolino.
Si districò fuori dalle lenzuola, indossando la vestaglia da camera bianca che Atem le aveva lasciato accuratamente piegata accanto a lei, prima di alzarsi in piedi e uscire sulla terrazza; le gambe indolenzite le davano un'aria deliziosa, ma temeva che quel segno rosso al collo non sarebbe andato via molto presto. Quando finalmente raggiunse il Faraone, lui si accorse della sua presenza e si tirò su, facendole spazio per farla accomodare a sua volta.
Subito entrò nel caldo rifugio offerto dalle sue braccia, un sorriso ad incresparle il volto. Alzò gli occhi verdi verso di lui, osservandolo mentre, con gli occhi ametista fissi verso l'orizzonte, traeva una boccata dal narghilè e soffiava via il fumo, con una noncuranza che sembrava studiata e che, inspiegabilmente, le piaceva davvero tanto, forse troppo.
    -    Dormito bene?- le chiese poi, abbassando lo sguardo per guardarla a sua volta, intrecciando le dita tra le sue ciocche bionde. Mana annuì, sorridendo.
    -    Splendidamente- si limitò a risponderle lei, gli occhi che le brillavano.
    -    Forse ho esagerato un po' stavolta. Le tue compagne non mi guarderanno più allo stesso modo-
Era chiaro che si riferisse al segno rosso sul suo collo, quel marchio di possesso che le aveva impresso in un momento di foga, tra un amplesso e un altro. Mana fece spallucce, senza tuttavia togliersi quel sorriso dal volto.
    -    A me non dà fastidio- rispose – Anzi. Mi piace-
    -    Ti piacciono i morsi. Mh, questa dovrò ricordarmela-
Proprio non riuscì a trattenersi dallo sferrargli un buffetto sul naso, facendolo ridacchiare.
    -    Come mai già in piedi?- le domandò poi, prendendo un'altra boccata.
    -    Potrei farti la stessa domanda-
    -    Mah, ero solo un po' sovrappensiero per i ragazzi-
    -    Ma dai, se la saranno cavata alla grande!-
    -    Sicuro. Ho lasciato un messaggio ad Aki da riferire loro, se sono stati coscienziosi e furbi avranno capito e avranno fatto i bravi-
    -    ...A volte sei spaventoso, sai?-
    -    Lo so! Ma la cosa non mi preoccupa granché-
    -    No?!-
    -    No. Al momento sono più concentrato su come convincere Seto Kaiba a far scendere quelle auto-
Mana annuì, osservando insieme al Faraone le decine di quattro ruote che solcavano l'aria sopra i grattacieli.




_________________________________________________________

Quanto c'è di vero nell'affermazione "il lupo perde il pelo ma non il vizio"? C'è tanto di vero ragazzi, ma tanto davvero.
No che mi ero dimenticata di questa storia! Mai potrei dimenticarmi di nessuna delle mie storie, da quelle che più mi hanno divertito nel scriverle, come questa, a quelle a cui ho importanti ricordi legati, a quelle che si sono rivelate profetiche, come una storia a tema fantasy iniziata nel lontano 2012 e che, complici alcuni avvenimenti degli ultimi tempi, mi sono decisa a riprendere in mano e riscrivere, migliorandone forma e contenuti. Non so se anche quella finirà pubblicata, vedremo come si evolverà.
Sono successe molte cose negli ultimi tempi ragazzi: la mia carriera universitaria mi ha messa di fronte ad una prima, molto dura sessione di esami, e quella che sto attraversando adesso è anche peggio se possibile. In più sono successe cose che mi hanno costretta ad un veloce trasferimento d'urgenza: almeno mi sono avvicinata al mio ateneo, a quanto pare con le sfighe qualcosa di buono arriva sempre!

E con questo capitolo chiudiamo finalmente una questione lasciata aperta da un po' di tempo! Il magico rapporto che unisce Judai e Alexis è ormai definitivamente decollato, Yuma e Yuya cominciano la loro epopea di scherzi cretini e potenzialmente pericolosi, Aki e Yusei continuano il gioco degli sguardi, Yugi continua a essere trattato come la mascotte del gruppo e Atem pensa a come ricambiare il megascherzone mattutino di Seto Kaiba. Mi sembra ordinaria amministrazione insomma!
Fatemi sapere! Sto tornando, arranco un po' ma sto tornando! <3

92Rosaspina

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Capitolo 14
*** 12. Drago Stellare Maestoso ***


Pharaoh's Kingdom 14


12. Drago Stellare Maestoso


Ogni atomo nel tuo corpo viene da una stella che è esplosa. E gli atomi nella tua mano sinistra vengono probabilmente da una stella differente da quella corrispondente alla tua mano destra. È la cosa più poetica che conosco della fisica: tu sei polvere di stelle.
Lawrence Maxwell Krauss




L'articolo riportava, con grande dovizia di particolari, il paranormale evento che aveva visto come sfondo uno dei distretti di Domino City: poco dopo le sei e mezza del mattino, decine di auto in sosta si erano sollevate a decine di metri d'altezza, muovendosi in cerchio su tutto il quartiere. Nessuno era rimasto intrappolato all'interno di un abitacolo, ma lo spettacolo era bastato per congestionare il traffico per almeno un quarto d'ora: tanto era servito, perché le auto ritornassero con le ruote per terra. E questo senza che venissero danneggiate in alcun modo: con la stessa delicatezza con cui si erano sollevate dal suolo, così erano ritornate ai loro parcheggi, come se nulla fosse successo.
Seto Kaiba sorrise, enormemente soddisfatto. Dal suo smartphone, digitò velocemente un breve messaggio.
Il mio turno è concluso.
Lo inviò senza troppi preamboli al numero di telefono di Atem, prima di bloccare lo schermo del dispositivo e tornare a fare colazione. In piedi sul balcone della sua stanza, con la vestaglia sulle spalle e il telefono posato sul tavolino accanto a lui, Seto posò lo sguardo sulla linea dell'orizzonte dipinta dal mare, mentre staccava un piccolo morso dal suo cornetto.
    -    Per quanto ancora andrà avanti questa sfida?-
La sua voce gli fece rizzare il capo, ma non si voltò. Sapeva che era lì, ad osservarlo dall'interno della sua stanza.
    -    Finché non verrà decretato il vincitore- si limitò a risponderle.
    -    Sono cinque anni che state gareggiando per decidere chi, dei due, sia il migliore-
    -    E impiegheremo altrettanti anni, se sarà necessario. O questo, o farà quello che dico io-
    -    Seto...io non potrò tornare indietro, in alcun modo. E tu lo sai-
    -    Questo lo dici tu-
    -    Seto...oh-

Solo allora Seto Kaiba si voltò per osservarla, dopo aver masticato lentamente anche l'ultimo pezzo di cornetto.
La sua stanza, essenziale senza privarsi di eleganza e funzionalità, era vuota: oltre a lui non c'era nessuno, e la prima voce che sentiva era quella della telecronista che annunciava il prossimo servizio al televisore lasciato acceso. Ma la seconda voce, quella che solo lui poteva udire, era calda e vellutata, flebile come una delicata carezza che troppo gli mancava.
Gli ci volle del tempo, prima che i suoi occhi potessero distinguere il profilo evanescente della sua figura. Bella come il più dolce dei ricordi, di fatto intoccabile: visione mistica, quasi angelica, i capelli candidi le circondavano il volto diafano come un velo da sposa, gli occhi blu svettavano come zaffiri incastonati in un gioiello. Vividi, dolci, eppure eternamente tristi.
    -    Non puoi rischiare così tanto. Non potete entrambi- gemette la donna, coprendosi il volto con entrambe le mani – Te lo chiedo ancora, metti fine a questa disputa. Non è necessario. Non rischiate di coinvolgere qualcun altro. Già in due abbiamo pagato per questo-
    -    Kisara...non posso- scosse il capo lui.
    -    Perché?!-
    -    Perché NON LO ACCETTO!-
Il suo fu un autentico grido di dolore. L'immagine di Kisara sembrò tremare tutta, mentre indietreggiava con il volto deformato dalla paura. Seto prese un bel respiro e cercò di darsi un freno.
    -    Quello...quello che è successo...- iniziò lui, lo sguardo basso – Non era previsto. Neanche Atem aveva calcolato un simile rischio. Nessuno dei due prevedeva...questo-
E la indicò con un vago cenno della mano destra, senza tuttavia guardarla.
    -    Atem non ha colpa, e lo sai- mormorò Kisara, scuotendo il capo.
    -    Questo lo dici tu. Lui poteva fare qualcosa per fermare quel...quel pazzo-
    -    Nessuno poteva prevederlo, Seto. Neanche lui. Non è onnisciente come può sembrare-
    -    Non sarà onnisciente, ma tra i due è quello che ha più contatti con quel...quel mondo. E so che può fare qualcosa. So che può sistemare tutto-
    -    Il prezzo da pagare sarebbe troppo alto-
    -    Il prezzo più alto lo abbiamo già pagato. Lui ha ben due vite sulla coscienza e io...io ti ho persa-
    -    Tu non mi hai persa-
Quella che gli sfiorò la mano destra sembrò una folata di vento arrivata da chissà dove: Seto aveva imparato a riconoscerla come una sua carezza, un suo disperato tentativo di raggiungerlo, toccarlo, sentirlo ancora vicino a sé.
    -    Io sono sempre qui con te. Ovunque tu vada- gli mormorò, con un sorriso sul volto.
Seto alzò gli occhi su di lei, cercando di scrutarla in volto, ma tutto ciò che riusciva a vedere erano solo i suoi perforanti occhi blu, immensi nella loro triste dolcezza, e il suo viso quasi confuso tra la luce e la stanza. Provò ad alzare una mano, a raggiungerla, sfiorarle quel volto diafano irrorato di luce: le sue dita afferrarono l'aria nel momento in cui Mokuba fece il suo ingresso nella stanza.
    -    ...Fratellone?!-

La sua voce risuonò lontana, come il richiamo di un pastorello alla ricerca della sua pecorella smarrita. Seto sbatté gli occhi, puntandoli sulla figura del fratellino appena entrato, vestito sempre più elegante ogni giorno che passava. Quella mattina aveva scelto un completo blu scuro, con i profili della giacca bordati in argento, ma era senza cravatta: la reggeva nella mano destra, di lucida seta azzurra.
    -    ...Posso chiederti di darmi una mano con questa?- gli domandò poi, mostrandogliela – Ho provato a fare come hai fatto tu l'altra volta, ma non ci riesco-
    -    ...Prova a mettertela, vediamo dove sbagli-
    -    Okay!-
Si sedette a bordo del letto, mentre osservava Mokuba che, di fronte alla grande anta a specchio dell'armadio, armeggiava sulla sua cravatta, cercando di annodarla: aveva la punta della lingua stretta tra le labbra, in una simpatica smorfia di concentrazione.
    -    Vado bene?- gli domandò, gli occhi fissi sullo specchio.
    -    Sì, Mokuba-
    -    Che hai questa mattina? Sei piuttosto...strano-
    -    Sono solo un po' pensieroso-
    -    Per cosa? Il tuo trucchetto di stamattina è riuscito alla grande! Ne parlano tutti i giornali!-
    -    Non è per quello. Attento a quello che fai, Mokuba. Più giù-
    -    Più...ooooh! Ecco dove sbagliavo allora-
Seto si lasciò sfuggire un sorriso.
    -    Non è per il trucchetto hai detto?- chiese poi il ragazzino – E allora per cosa? C'è qualcos'altro?-
    -    C'è sempre qualcos'altro, Mokuba. Col tempo capirai-
    -    ...Bah. Quanti misteri che fai...solo perché non sono alto come te!-
    -    Non è questione di essere alti, Mokuba! È...oh...-
Seto si passò una mano tra i disciplinati capelli castani e scoppiò a ridere, sconcertato da quella battuta. Mokuba gli aveva sempre fatto notare quanto fosse alto, forse anche troppo per gli standard normali degli uomini della sua età, e in passato, quando il ragazzino chiedeva spiegazioni su argomenti che non avrebbe mai potuto comprendere, Seto gli aveva sempre risposto con un laconico “quando sarai alto come me capirai”. Un modo come un altro per dirgli che era necessario diventasse più grande e più maturo per capire certe cose del mondo dei grandi; ma Mokuba aveva preso quella frase letteralmente sul serio, e ad avvalorare la sua ipotesi c'era il fatto che Seto si fosse alzato di un'altra decina di centimetri almeno.
Ma avrebbe mentito a sé stesso, se non avesse ammesso di adorare quella sua verve ironica e dissacrante. Chissà da chi aveva preso.
    -    Impegni per oggi?- gli chiese il minore – Hai ancora qualche riunione per la linea ferroviaria?-
    -    Indovinato- rispose lui, aggiustandogli il colletto della camicia – Il progetto sembra essere piaciuto molto, ma dobbiamo decidere quali punti andare a toccare. La mia idea era quella di coinvolgere Nuova Domino e zone limitrofe-
    -    ...Anche il Satellite, allora?!-
    -    Anche il Satellite. Potrebbe enormemente facilitare i trasporti commerciali o gli spostamenti in generale. Quell'isola è stata ripulita, e della pattumiera galleggiante che era è rimasta solo la vecchia conduttura. La mia idea è di smantellare quel tubo gigante e costruirci la linea ferroviaria. Più pulita, più sicura e più decente-
    -    Alla gente del Satellite piacerà tantissimo! Non so alle teste coronate di Nuova Domino...-
    -    Non mi importa granché di loro. Il mio intento è di estendere la linea ferroviaria quanto più possibile, per trarne il maggior profitto e la maggiore pubblicità. Quelli di Satellite non mi hanno fatto nulla, non ho motivo per escluderli. E anche se fosse, c'è una cosa al mondo che si chiama business: di fronte a questo, ingoi qualsiasi malumore tu possa avere con qualsiasi gente-
    -    Il business fa parte di quelle cose che capirò solo quando sarò alto come te?-
    -    ...Anche-
    -    Mh! Dev'essere bello! Insomma, capire tutte queste cose e usarle per avere il mondo tra le tue mani-
    -    Non userei proprio quest'espressione, ma sì. Più o meno è così-
    -    Lo sai che sono capace anche io di reggere il mondo tra le mani?-
    -    Ah? Figuriamoci, e come faresti, vediamo un po'?-
Detto, fatto: prima che Seto potesse anche solo pensare di muoversi, Mokuba si avvicinò e gli racchiuse il volto tra le sue mani piccole, lasciandolo interdetto e togliendogli ogni parola.
    -    ...Mokuba, io ho una reputazione- sibilò Seto, dopo qualche attimo di tensione.
   -    Lo so!- rispose lui, allegramente – E sai anche tu che con me non attacca, questa minestrina del “Sono un uomo d'affari tutto d'un pezzo gnegnegne Atem gnegnegne”-
Lo faceva apposta. Seto lo sapeva, lo faceva apposta: ogni volta che lo vedeva imbronciato o serio (più del solito almeno), il suo fratellino si inventava sempre qualche modo per fargli sparire quell'espressione accigliata dal volto e provare a strappargli uno dei suoi rarissimi sorrisi. E doveva ammettere che stava migliorando a vista d'occhio. Incapace di rispondergli in altro modo, Seto allargò le braccia e lasciò che fosse il più piccolo a stringerlo per primo, prima di ricambiare la stretta a sua volta.
Alzò lo sguardo: in un angolo della stanza, Kisara sorrise.




Con Yuma e Kotori nell'altra stanza, a una porta di distanza a separarli, scambiarsi coccole ed effusioni diventava più difficile e rischioso: il problema era rappresentato dall'eccessiva sensibilità di Yuzu, che squittiva (e non usava un termine a caso) anche per un semplice pizzicotto ad un fianco, figurarsi quindi per baci e carezze più audaci. Avrebbe rischiato di risvegliarli in pochi minuti: l'unica soluzione era porsi un freno a tutti i costi e limitarsi, per quanto gli riuscisse.
Nulla però impediva Yuya di serrarla in uno dei suoi forti abbracci spaccaossa, quelli che la facevano svegliare nel cuore della notte e lo scostavano alla ricerca di ossigeno: sapeva di essere davvero invadente quando ci si metteva, per cui non si stupiva se, al risveglio, si ritrovava separato dal corpo di lei. A volte Yuzu restava con il volto verso il soffitto, altre invece la ritrovava addormentata su un fianco, proprio di fronte a lui. Era il momento ideale per osservarla: quando dormiva era ancora più carina e dolce.

Mai avrebbe pensato che il rosa potesse stare così bene sui capelli di una persona. Glieli accarezzò piano, quanto bastava per non farle riaprire gli occhi.
Nella casa regnava il silenzio. Yuya si stropicciò debolmente gli occhi prima di allungarsi verso il comodino e afferrare il suo cellulare: il display gli mostrava l'una meno un quarto. Si svegliavano sempre più tardi, ma considerato tutto il lavoro che avevano ogni sera era prevedibile.
Solo allora si ricordò che quella sera anche Yusei sarebbe stato assente, oltre ad Aki.
La cosa lo fece stupidamente sogghignare. Atem aveva spiegato le ragioni di quella decisione in un breve messaggio nella conversazione, sostenendo che Aki avesse bisogno di recuperare il suo stato mentale dei giorni precedenti: e infatti loro tutti avevano notato un repentino cambiamento nello stato d'animo della ragazza, manifestatosi poi con un'autentica crisi di pianto due sere prima. Ci erano voluti diversi minuti perché si calmasse, perfino Yusei non sapeva che pesci pigliare, e lui sembrava essere quello più consapevole di ciò che stava passando Aki in quei giorni: le sue parole erano state chiare e forti, le aveva promesso di non farla piangere mai più.
Una promessa così importante non si faceva senza una buona motivazione di fondo.
Eppure, nonostante l'evidenza di un piano molto più contorto, Yuya proprio non riusciva a non pensare che, sotto sotto, Atem l'avesse fatto apposta a coordinare i riposi tra quei due. Già la prima serata tra loro sembrava essere andata molto bene, con i due che sembravano aver da raccontarsi tutta la vita passata: il rapporto tra i due sembrava consolidarsi giorno dopo giorno, era davvero interessante osservarli.
Erano una coppietta niente male: lui serio e pensoso, imbronciato, a volte imbronciatissimo come diceva Yugi, e lei carina e gentile, pronta a sfoderare artigli smisurati quando qualcosa non le andava a genio. La sua scenata nei confronti di un cliente era stata memorabile.
Era successo tutto il sabato sera scorso, quando Aki sembrava già essere più rabbuiata del solito: c'era tanta gente, e le ordinazioni si susseguivano a ritmo esponenziale. Quando uno dei ragazzi del tavolo da cui stava raccogliendo le ordinazioni aveva azzardato una palpata al suo sedere, Yuya aveva avuto l'impressione di vedere Aki gonfiare il pelo, letteralmente, prima di sferrare una potente zampata o, nel suo caso, uno schiaffo che aveva fatto girare sulla sedia il burlone. Aveva esaurito gli improperi da utilizzare, e avrebbe potuto continuare per minuti se non fosse stato per l'entrata in scena di Atem che, notata la situazione e il gesto, aveva cordialmente invitato i signori ad alzare i tacchi e andarsene senza neanche prendere la consumazione. “Non si allungano le mani sulle donne, nel mio locale” aveva detto, con un tono che avrebbe fatto gelare il sangue ad uno Yeti.

Sarebbe stata una coppietta davvero interessante da vedere in azione. Per il momento, Yuya si era fatto bastare la soddisfazione di vedere quel tardone di Judai mettere finalmente in moto il cervello: grazie all'ossigeno, tanto per riprendere una delle esclamazioni preferite di Yusei, quel ragazzo aveva finalmente fatto chiarezza sui sentimenti provati per Alexis, e la ragazza aveva accolto quella confessione a braccia aperte. Indubbiamente non aspettava altro, ma gli riusciva semplice immaginare cosa avesse provato in quel momento.
Tra lui e Yuzu era stato più o meno lo stesso. Ed era davvero felice di come le cose fossero andate.

Le fece dono di un bacio sulla fronte: Yuzu si mosse impercettibilmente ma non si svegliò. Allora scostò il lenzuolo che aveva usato per coprirsi, e mise piede a terra, restando qualche secondo a fissare il vuoto, seduto sul bordo del letto.
C'era davvero tanto silenzio nella casa. Stavano ancora tutti dormendo, probabilmente. Si stropicciò ancora gli occhi e si mise in piedi.
Le fitte partirono dal basso: le piante vennero colpite simultaneamente in più punti, facendolo boccheggiare dal dolore e sbilanciare prima in avanti, poi indietro. Crollò seduto di schianto sul materasso, rimbalzando un paio di volte; Yuzu mugugnò qualcosa ma non si mosse né si svegliò. Incredulo, con il torpore del sonno scemato improvvisamente, Yuya alzò un piede e se lo osservò per bene, alla ricerca della fonte di tanto dolore tutto insieme.
    -    Ma-ma porco tutto il mondo! YUMA! Questa è opera TUA!-
Solo allora si accorse che qualcuno sveglio, in quella casa, c'era: Yuma e Kotori stavano cercando di soffocare le loro risate, dietro la porta, senza successo. Il giovane dai capelli verdi sbuffò adirato, si rimise in piedi e mosse ampi passi verso la porta.
L'avesse mai fatto. Il dolore divenne allucinante ed insostenibile, e Yuya si lasciò sfuggire un grido mentre spalancava la porta e cadeva con un ginocchio a terra. Dietro di essa, Yuma e Kotori si scostarono di scatto, mentre il ragazzo, nudo eccetto per i suoi coloratissimi boxer, si era rovesciato sulla schiena, lamentandosi.
    -    Solo tu puoi andare in giro con quei boxer osceni, Yu!- esclamò Yuma, piegato in due dalle risate. Yuya lo squadrò torvo dal basso.
    -    Cos'hai contro i miei boxer, tu?!- sbottò poi, amareggiato.
    -    Sono osceni, ecco cos'ho!-
    -    Sono di Adventure Time!-
    -    E sono osceni lo stesso!-
    -    Si può sapere cosa mi hai fatto?!- sbraitò il ragazzo, tornando ad osservarsi i piedi – Ma...ma sono MATTONCINI LEGO?!-
    -    Sai come si dice Yuya? Chi la fa l'aspetti!-
E senza dire altro, Yuma gli fece atterrare sul petto nudo lo stesso tubetto di supercolla da lui adoperato il giorno prima. Yuya lo osservò per bene, poi si riguardò i piedi, infine fece due più due e, con un urlo che sembrava un ruggito, si rimise in piedi pronto a balzare addosso a Yuma; il dolore provato, però, distorse l'urlo in un alto gemito di dolore corredato da un'imprecazione. Tuttavia nulla gli impedì di lanciarsi addosso al compagno e trascinarlo con sé sul divano letto, imprecando in tutti i modi che conosceva e coinvolgendolo una specie di lotta greco-romana molto rumorosa.
    -    Io come diavolo faccio a lavorare con 'sta roba ai piedi, dannazione!- sbraitò il ragazzo dai capelli verdi e rossi, paonazzo.
    -    Come io ieri ho lavorato con quell'altoparlante DI MERDA appiccicato alla faccia, IDIOTA!- sbottò Yuma per tutta risposta, cercando di difendersi.
    -    E poi con quale sentimento sprechi dei preziosissimi mattoncini della LEGO?! Mostro senza cuore!-
Il suono di uno scatto fotografico li fece voltare tutti e tre.
Yuzu si era risvegliata in seguito al grande trambusto, e attirata dai forti rumori si era diretta in salotto, vestita con la maglietta di Yuya dei Bad Religion, quella rossa dove le due suore si scambiavano un bacio saffico, e si era ritrovata la scena apocalittica di Kotori seduta a terra che non riusciva a smettere di ridere, e Yuma e Yuya avvinghiati tra loro sul divano letto, il secondo con le piante dei piedi ricoperte di rettangolini rossi, gialli e blu. Senza pensarci troppo sopra aveva alzato il suo smartphone e aveva immortalato i due compagni in uno scatto decisamente equivoco, con Yuya coperto solo dai suoi coloratissimi boxer, incuneato tra le gambe di Yuma, che almeno indossava ancora una maglietta.
Le ci volle qualche secondo di troppo per capire che il suo fidanzato era sceso di corsa dal divano letto e si stava dirigendo verso di lei a grandi passi doloranti.
    -    Vieni qui!- esclamò, paonazzo – VIENI QUI! DAMMI QUEL CELLULARE, PICCOLAAAAAHIA!-
Yuzu urlò quando il compagno si schiantò a terra, impossibilitato a camminare. Ormai senza respiro, Yuma si abbandonò disteso sul materasso, scosso dalle risate.
La giornata era cominciata sotto i migliori auspici...



    -    Ogni vagone dovrà avere a disposizione una cassetta per il pronto soccorso e l'accesso facilitato per persone con handicap fisici. Rampe, sedili speciali, qualsiasi cosa possa facilitare loro la salita e la discesa-
L'immagine del prototipo venne ingrandita a tutto schermo sul grosso LCD al plasma, mostrando il disegno in vettoriale del vagone di un treno agganciato alla sua locomotiva: disegnata quasi dovesse tagliare il vento, le linee sinuose favorivano la sua aerodinamicità e riducevano quanto più possibile la resistenza aerodinamica, favorendone la velocità sui lunghi tratti. I canonici colori ormai simbolo della Kaiba Corporation, il bianco e il blu, erano usati rispettivamente per la carrozzeria e per le rifiniture, mentre il logo dell'azienda svettava in lucente argento.
Ho bisogno di buone finiture interne. Niente che possa deteriorarsi col tempo o rovinarsi con atti vandalici-
    -    Questo potrebbe richiedere un po' di tempo- ragionò Ishizu, accarezzandosi una ciocca scura mentre prendeva appunti sul suo tablet – Un materiale a prova di tagli, bruciature e inchiostri di qualsiasi tipo, quindi?-
    -    Esattamente. A costo di inventarne uno da zero-
    -    Capisco. Ci sono alcune aziende che producono materiali simili: ottima resistenza a trazione, calore, facili da pulire dagli addetti-
    -    Le contatti. Analizzi le loro condizioni di vendita e stringa accordi con la più vantaggiosa-
    -    Sarà fatto. Per quanto riguarda invece l'estensione della linea?-
    -    Tutta Nuova Domino e zone limitrofe. Compreso il Satellite-
Ishizu alzò gli occhi sul CEO della Kaiba Corporation, la penna digitale sospesa a pochi centimetri dallo schermo del tablet. Incuriosito dal suo silenzio, Seto Kaiba si voltò ad osservarla, senza battere ciglio.
    -    Ho sentito bene?- domandò poi Ishizu, incerta – Anche il Satellite?-
    -    Crede possano esserci problemi, da parte della gente del Satellite?-
    -    Da parte loro no sicuramente. Ho più pensiero per le...come le aveva definite l'altra volta? Le teste coronate di Nuova Domino. Qualcuno potrebbe non essere daccordo-
    -    Quello che pensa la gente non è affar mio. Voglio che la linea ferroviaria si estenda anche al Satellite e così sarà-
    -    Ishizu annuì e riprese a scrivere febbrilmente sul tablet.
Seto Kaiba aveva parlato. E quando parlava, c'era davvero da mettersi l'animo in pace e attendere: qualsiasi cosa fosse nei suoi desideri, fosse stata la più assurda o improbabile, non solo veniva realizzata a regola d'arte, ma si rivelava anche un successo, un veicolo di attrazione per la massa con lo stesso potere di un alveare su un grosso orso. Quel giovane Re Mida trasformava ogni sua iniziativa in realtà, portando nuova ricchezza alle casseforti già piene della società, e sembrava non esistere un freno per quel ragazzo cresciuto troppo in fretta. In quella sala conferenze, dove erano solo in tre a discutere degli ultimi dettagli della linea ferroviaria (due, magari, non sapeva se Mokuba contasse...), il CEO aveva preso le decisioni più importanti della sua carriera, veri e propri azzardi che si erano rivelati i più grandi successi.
Qualunque cosa decidesse, sembrava che gli astri si allineassero per piegare il destino a suo favore.
In quella sala conferenze sospesa a centinaia di metri dal suolo, a quell'ovale tavolo a cui sedevano i suoi più fidati collaboratori, Seto Kaiba aveva annunciato l'inizio dei lavori per la sua linea ferroviaria targata Kaiba Corporation. Azione lodata da tutti, ma ora che si parlava seriamente di estenderla anche al Satellite, Ishizu sapeva che le cose avrebbero potuto complicarsi.
Le famiglie più benestanti di Nuova Domino erano le stesse che, fino a pochi anni prima, usavano l'isola come pattumiera galleggiante, sfruttando le condutture per scaricare rifiuti e liquami e richiedendo maggiore sorveglianza per impedire che la “feccia” le usasse per scappare. La creazione del ponte Daedalus aveva suscitato malcontenti e opposizioni, e la futura notizia della creazione di una linea di trasporto veloce da e per il Satellite non avrebbe fatto altro che aggiungere benzina all'incendio.
E questo, Seto Kaiba lo sapeva. Ma non gli importava granché.

****

Poche volte era capitato che Aki entrasse in profonda crisi per il suo abbigliamento, e questa era una di quelle rare occasioni. Sbuffando costernata si spogliò per quella che era ormai la quindicesima volta, sedendosi a bordo letto e passandosi le mani sul volto, esausta: rischiava di ritardare all'appuntamento e tutto perché non sapeva vestirsi, e si diede subito della stupida al pensiero di restarsene seduta sul letto in contemplazione invece di darsi una mossa e decidere quale abbinamento usare. Si stropicciò gli occhi, sbuffando ancora una volta.
Ecco, quello poteva essere definito un appuntamento in piena regola: lei e Yusei, uscire insieme e da soli, lontani dal Pharaoh's Kingdom. O meglio, lontani solo per un po': il piano iniziale era quello di fermarsi al locale per prendere qualcosa e fare un rapido saluto, per poi partire insieme alla scoperta della Nuova Domino di notte, fino ad arrampicarsi sulle colline a vedere le stelle.
Davvero molto romantico se ci ripensava, ma considerando che Yusei era un aspirante astronomo doveva anche aspettarselo, forse: chissà quante volte si era già goduto quello spettacolo in solitaria...o magari in dolce compagnia...
Strinse i pugni e si mise di buona volontà a cercare un abbinamento che la soddisfacesse, togliendosi dalla testa le smielate immagini di Yusei con qualche svitata gallina da spennare. Più facile a dirsi che a farsi, e subito lo sconforto si impadronì ancora di lei: chissà cosa si aspettava, quello là...su che standard viaggiava? Cosa si aspettava da una ragazza?
Poi scosse il capo. Era già decollata per voli pindarici senza neanche ragionare: Yusei non aveva mai manifestato chiaramente dell'interesse nei suoi confronti...non in quel senso almeno. Ed era vero, la stava aiutando ogni giorno, l'aveva letteralmente strappata dalle grinfie della sua famiglia due giorni prima...ma queste erano cose che si facevano più che volentieri tra amici, no?
Devo darmi una calmata. Allora, cosa aveva detto? Vestirmi comoda, giusto.
Pantaloni, maglietta e stivaletti. E giacca, che sulla moto poteva fare freddo. Più comoda di così non sapeva davvero cosa inventarsi. Diede un'occhiata all'orologio, e si sbrigò ad indossare gli abiti scelti: doveva fare presto.
E quando il suo telefono squillò, proprio non riuscì a trattenere un'imprecazione. Lo afferrò con un gesto stizzito, e imprecò ancora una volta quando lesse il nome sul display. Fece scorrere velocemente il dito prima di portare il ricevitore all'orecchio.
    -    Mamma?- soffiò nella cornetta – Tutto bene?-
    -    Tesoro, sì! Come stai? Non ti ho sentita per tutta la giornata ieri...-
Non che avessi tanta voglia di parlare...
    -    Sto bene, grazie. Mi sto preparando per uscire-
    -    Ah davvero? Son contenta! Dove vai di bello?-
Avesse potuto si sarebbe presa a calci da sola. Aki si morse l'interno della guancia, riflettendo quanto più velocemente le riuscì.

Dire a sua madre che usciva con quel BRUTO che l'aveva portata via alla festa, aveva rischiato di far saltare un fidanzamento e sembrava aver perfino soggiornato nelle comode celle della Struttura non era la mossa più intelligente da fare, soprattutto con quegli eventi successi a distanza così breve. Allo stesso modo non era molto carino mentirle, ma almeno poteva guadagnare tempo.
    -    Ad un locale- buttò lì poi – Con delle mie amiche-
    -    Allora sei davvero riuscita a fare amicizia! Sono davvero contenta!-
Sono capace di relazionarmi con gli altri mamma, ma grazie della fiducia.
    -    Mamma, perdonami, ma se non c'è niente di importante da dirmi dovrei chiudere, sono in ritardo...-
    -    Tuo padre è davvero furioso con te, Aki-
Eccolo lì, il reale motivo della telefonata. Aki chiuse gli occhi e si buttò a sedere sul materasso, stringendosi l'attaccatura del naso con pollice e indice della mano sinistra. Fantastico, ora anche sua madre piazzava il carico.
    -    Tuo padre è davvero furioso perché hai mancato di rispetto a tua zia e tuo cugino-
    -    Ah, io ho mancato di rispetto a loro?!- sbuffò Aki, roteando gli occhi nelle orbite – E loro allora? Che mi hanno dato della poco di buono che vende il suo didietro nei locali?!-
    -    Ti ricordo che hai scelto tu questa via, Aki...-
    -    Esatto, l'ho scelta io! E non vedo quale sia il problema!-
    -    Che non è un mestiere--
   -    Oh per favore non provarci neanche a propinarmi la minestrina sciacquata del “non è un mestiere per una giovane nobile come te!”! Non voglio averci niente a che fare con la nobiltà se devo diventare come zia Sakue o quello svitato del figlio!-
    -    Aki, ma lo sai come sono!-
    -    Appunto perché lo so! E dovrei lasciarmi ugualmente offendere gratuitamente?!-
    -    Aki, tesoro, capisco come ti senti--
    -    No che capisci-
    -    Sì invece. E credimi, vorrei davvero che le cose fossero diverse ma sai che non possiamo permettercelo. Tuo padre soffre molto la tua mancanza, Aki-
    -    Mh, e quindi? Vorrebbe che tornassi a casa?!-
    -    La nostra porta è sempre aperta, lo sai-
    -    E mai più la varcherò. Neanche quel cretinazzo di Suketsune dovesse sposarsi domani, neanche oggi stesso!-
    -    AKI! Oh buon cielo...-
    -    Lascia stare il cielo. Dovevi dirmi solo questo?-
    -    Tesoro...davvero, sai quanto ci tengo a te, e quanto amo tuo padre e quanto vorrei che la nostra famiglia tornasse quella di prima...ma sai che non è possibile-
    -    Già, lo so. Se me ne sono andata è anche per questo-
    -    ...Dimmi, tesoro: quel ragazzo...quello che ti è venuto a prendere l'altro giorno...è davvero un tuo collega?-
    -    Sì-
    -    Ed è davvero stato nella Struttura?-
    -    Per una serie di sfortunate circostanze, sì-
    -    Oh. Capisco. Mi dispiace, non sembra una cattiva persona-
    -    Non lo è-
    -    Io mi fido di te, Aki, e lo sai. Ma spero davvero che tu non ci deluda-
    -    Non lo farò-
    -    Vai pure, tesoro-
    -    Ciao-
Con un secco gesto, Aki chiuse la conversazione e lasciò il telefono sul letto, restando ad osservare ancora il vuoto. Si lasciò sfuggire un sospiro stanco.

Sapeva che sarebbe finita così. Non aveva mai goduto di troppa fiducia da parte del padre, che la considerava troppo poco responsabile per tante mansioni, e quel suo improvviso atto di ribellione non aveva fatto altro che peggiorare le cose. E la sua uscita di scena dalla festa di fidanzamento aveva portato ulteriori problemi. Non ce l'aveva con Yusei perché aveva fatto quasi irruzione nel giardino, certo...ma non poteva negare che quella sua iniziativa avesse guastato i rapporti già precari tra lei e la sua famiglia.
La figlia di un senatore lavorava come cameriera e frequentava un ex galeotto. I cravattoni dell'alta società avrebbero avuto di che parlare...e la cosa peggiore era che a lei non importava nulla.
Era la sua famiglia quella al centro dei pettegolezzi, certo...ma si sentiva fuori da quel mondo da molto tempo ormai.
Il telefono squillò ancora. Non lo prese in mano, semplicemente si voltò a guardarlo.
Il cuore le fece un tuffo degno di un atleta olimpico. Afferrò il cellulare e rispose alla chiamata, il cuore che aveva aumentato le pulsazioni.
    -    Yusei!- esclamò – Perdonami! Il tempo di recuperare la giacca e la borsa e scendo!-
    -    Ehi ehi, tranquilla!- ridacchiò Yusei, dall'altra parte – Non scappo da nessuna parte! Non farmi un capitombolo dalle scale per scendere di corsa eh! Prenditi il tempo che serve per finire di prepararti!-
Non sembrava infastidito dal ritardo. Meglio così, si disse Aki, sorridendo sollevata. Forse era abituato...magari Judai era un ritardatario cronico. Oppure le ragazze che frequentava in passato erano ancora più ritardatarie...chissà com'erano, le sue vecchie conquiste. Magari tutte giovani e carine? Forse tutte studentesse? Lo vedeva bene a fare la punta alle universitarie, aveva tutte le carte in regola per piacere a giovani ragazze: un segno dorato in faccia che poteva indicarlo come probabile bad boy, e solo il cielo sapeva quanto le femmine adorassero i ragazzi che si atteggiavano da stronzi, per non parlare delle cicatrici! Sicuramente era un tipo duro...e la moto? Davvero bella tra l'altro? E se tutto questo non fosse bastato c'erano i due occhi più belli che avesse mai visto e un corpo che...cielo, che corpo...
Sono un'idiota.
Aki scosse il capo e si infilò gli stivaletti in corsa, mentre recuperava smartphone, giacca e borsetta.


Aveva perso un po' di tempo prima di partire: con i precedenti lavoretti fatti alla moto si era dimenticato di fissare meglio una delle trombe del clacson, e ci aveva messo velocemente mano per evitare di perdere quel componente per strada. Aveva ritardato qualche minuto giusto per salutare Judai: il ragazzo si era affacciato in cucina mentre lui si concedeva il suo solito bicchiere di latte, e aveva i capelli castani tutti arruffati e un'espressione così beata da sembrare quasi stupida.
Non poteva negare di essere contento e sollevato per come le cose erano andate, tra lui e Alexis: il suo compagno sembrava aver aperto gli occhi giusto in tempo per accorgersi dell'inevitabile e, fatta chiarezza nel suo cervello, aveva capito come stavano davvero le cose tra lui e lei. Sicuramente anche quella notte passata insieme aveva influito molto, ma per Yusei non era stata altro che la conferma dell'ovvio: Judai nutriva un profondo affetto per Alexis, e anche lui aveva accarezzato l'idea di stare insieme di fatto, ma qualcosa l'aveva frenato fino a quel momento, quando aveva accolto il suo desiderio.
Era contento di come le cose si erano evolute tra loro.
Ci aveva ripensato mentre usciva dal garage, e durante tutto il tragitto per arrivare fino a casa di Aki. Era davvero contento di come le cose si erano sistemate per entrambi.

Lasciò il telefono nella tasca interna della giacca, tirando di nuovo su la zip e chinandosi sul casco appoggiato al serbatoio della moto, restando in attesa.
Il palazzo dove viveva Aki non era esattamente recente, ma la sua facciata ben si amalgamava con quella delle costruzioni più innovative; a sentire la rossa, però, neanche gli interni erano tutto questo granché. Aki aveva infatti messo in conto un po' di spese da fare per sistemare l'appartamentino, e non si trattava solo di rinnovare l'arredamento ma anche di chiamare qualcuno a sistemare l'impianto elettrico che stava saltando troppo spesso: si era inizialmente tirata indietro quando Yusei le aveva proposto di sistemarglielo a zero spese, salvo poi accettare l'aiuto.
Aki sembrava davvero estranea all'idea di essere trattata con gentilezza. E conoscendo i fantastici esemplari della sua famiglia non gli riusciva difficile capire il perché.
Sorrise quando la vide uscire velocemente dal portone: notò con piacere che l'aveva ascoltato quando le aveva suggerito di vestirsi comoda. E come riuscisse ad essere così carina anche abbigliata in maniera così semplice restava un mistero, per lui: pur ammettendo che la base di partenza non era affatto male, quella ragazza pareva avere un fascino tutto suo. O forse era quel bel seno stretto sotto la maglietta grigia? Yusei era indeciso.
    -    Eccomi!- esclamò Aki, con un gran sorriso – Scusami, ho dovuto prima rispondere ad una telefonata urgente...-
    -    Niente di grave spero- buttò lì Yusei, lasciando la moto sul cavalletto e smontando rapidamente.
    -    Mah, se per te una madre che ti ripete quanto il tuo comportamento abbia deluso la famiglia non è niente di grave...-
Non perse il sorriso, ma le sembrò molto più tirato di prima. Yusei si diede dello stupido per aver tirato di nuovo in ballo l'argomento, e si ripromise di non parlarne più.
    -    Aaaah, figuriamoci. Cos' hanno detto? “Chi è quel bruto sfregiato che ha sputato sentenze in casa nostra?” e roba del genere?-
    -    Ebbe l'insperabile risultato di riuscire a farla ridere. Yusei rimase ad osservarla chiudere gli occhi e reclinare il capo, le spalle scosse dalle sue risate.
Pensare che esisteva qualcuno in grado di farla piangere...Yusei strinse i pugni: il pensiero gli creò un nervoso mai provato prima.

Perché?


    -    Dai, non pensiamoci- pronunciò poi, togliendosi con agile mossa lo zaino dalle spalle, aprendolo e porgendole il casco da indossare – Ho in mente un bel piano per oggi!-
    -    Davvero? Sentiamo un po'...- rispose Aki, infilando la borsa nello zaino.
   -    Giro sul lungomare, ci fermiamo a vedere il sole che comincia a tramontare e a respirare un po' di iodio; passiamo al Pharaoh's, ci prendiamo qualcosa, restiamo un po' e quando si fa abbastanza buio ripartiamo e andiamo a goderci Nuova Domino di notte, fino a vedere le stelle-
    -    Sembra divertente!-
    -    Lo sarà! Metti il casco e monta su, non dimenticarti dello zaino!-
Aki sorrise ampiamente e annuì.



Divertente lo fu davvero, e questo nonostante la poca esperienza che Aki aveva come passeggera.
A furia di portare Judai sul sellino come una zavorra, Yusei si era rapidamente abituato all'idea di avere una persona in sella con sé. In passato era una cosa che cercava di evitare quanto più possibile: non solo perché la comodità sulle moto che aveva posseduto era ridotta all'osso per il pilota, figurarsi per il passeggero, ma soprattutto perché proprio non riusciva a sopportare la presenza di una persona che poteva mettere a dura prova l'equilibrio della moto con movimenti bruschi e inappropriati. E poi c'era che preferiva guidare da solo, con i suoi tempi e i suoi metodi, senza dover avere il pensiero costante di una persona di cui tenere conto; e doveva anche considerare il fatto che, ad ogni frenata leggermente più brusca, o al contraccolpo di un'accelerazione improvvisa, quello dietro andava a cozzare con la mentoniera del casco contro la sua nuca, e a lungo andare risultava davvero fastidioso.
Per Aki sentiva di poter fare tranquillamente un'eccezione.
Che poi, se proprio doveva dirla tutta, non aveva la più pallida idea di cosa stesse facendo.
L'idea del giro in moto insieme era stata un pensiero che gli era balenato in testa con l'irruenza di un flash fotografico, troppo veloce perfino per riprenderlo, portarlo dietro e ragionarci sopra. Gliel'aveva chiesto di getto, a bordo della piscina del Pharaoh's, convinto che lei avrebbe rifiutato l'offerta.
Quando aveva accettato si era sentito il cuore frullargli in maniera mai sentita prima, una sensazione al quale non sapeva dare un nome.

Il cielo solo sapeva per quale motivo si fosse affezionato così tanto a quella ragazza. Qualcosa di lei l'aveva colpito, inevitabilmente: forse la sua natura schiva e gentile, la stessa che nascondeva quell'animo introverso al limite del rabbioso, o forse era perché trovava ingiusto che una ragazza con tale iniziativa fosse osteggiata da una famiglia così complicata. Potevano essere anche mille i motivi, ma indubbiamente quella giovane l'aveva colpito, più di quanto volesse ammettere a sé stesso.
Si era guadagnato la sua fiducia col tempo: Aki era sembrata piuttosto turbata dal loro primo, rocambolesco approccio al Pharaoh's Kingdom. Non aveva mai valutato l'idea di mostrarsi coperto solo da un grembiule come tattica di seduzione, ma qualcosa in quell'assurda situazione sembrava averli sensibilmente avvicinati. Ragionandoci sopra, Yusei era arrivato alla conclusione che entrambi possedevano un carattere molto simile: schivo, serio, rispettoso degli altri finché quello stesso rispetto non veniva loro negato per il più astruso dei motivi. Aki ci metteva un po' di femminile innocenza e incolpevole ignoranza, la stessa che l'aveva fatta crescere senza conoscere come sbrigare le faccende di casa più semplici, ma l'assicella era stabile su quel livello.

E c'era anche da tenere presente che, a differenza di altri, non aveva mai chiesto nulla riguardo alle sue cicatrici e al suo segno sul volto, preferendo un discreto silenzio ad una scomoda ficcanasaggine. Aveva poi raccontato di persona del suo soggiorno alla Struttura, e contrariamente a quello che si aspettava Aki non ne era rimasta spaventata, né turbata in alcun modo: non le aveva chiesto il perché, ma si era già fatto una sua idea.
Allo stesso modo sapeva che la ragazza aveva notato tutte le sue cicatrici: quelle numerose sulle braccia, e quei tre colpi al ventre che, non fosse stato per il tempestivo intervento di Jack Atlas, lo avrebbero lasciato agonizzante sull'asfalto del Satellite. Aveva sicuramente capito che quelle erano ombre di ferite da arma da taglio, in fondo era un aspirante medico; ma allo stesso modo di cui non gli aveva chiesto nulla sul segno dorato, così Aki non aveva domandato nulla a riguardo di esse.
Sapeva che le importava qualcosa, sapeva che la incuriosivano, eppure lei rispettava il suo silenzio a riguardo e attendeva che fosse lui a parlargliene.
La cosa lo destabilizzava da una parte e lo inteneriva dall'altra.
E aveva scoperto che ad intenerirlo erano soprattutto i suoi improvvisi silenzi mentre le parlava: restava ad ascoltarlo, rapita dalla sua voce come un serpente verso il flauto di un incantatore, gli occhi persi in chissà quale fantasticheria. E aveva letto quell'espressione negli occhi di fin troppe ragazze per non sapere cosa le passava per la testa, in quei momenti. La differenza era che Aki fosse molto più riservata e timida al riguardo, e quando veniva riscossa da quei pensieri non poteva fare altro che scuotere il capo e sbattere gli occhi con quell'aria innocente che aveva imparato ad apprezzare. La prima volta che si erano ritrovati in piscina, sulla terrazza del Pharaoh's Kingdom, ci era mancato poco che le scoppiasse a ridere in faccia: la rossa era ammutolita, alla sua vista, e la sua punta d'orgoglio tipicamente maschile l'aveva fatto sorridere divertito, salvo poi cercare disperatamente un punto, del suo corpo, dove poter posare lo sguardo con una certa sicurezza. Il punto era che ovunque la guardasse nulla sembrava salvarlo: gli occhi nocciola che lo osservavano con quel loro misto di curiosità e impressione, le belle labbra che apparivano morbide già solo a guardarle, i capelli rosso-violacei e il collo candido da cardellino...e per chissà quale grazia divina era riuscito a non soffermarsi troppo su quel seno florido, ma distogliere lo sguardo era stato davvero difficile. Alla fine si era accontentato di posare gli occhi sulla saltellante figura di quel cretino di Judai: mai sua comparsa era stata più provvidenziale.
Il tuffo in piscina era stato d'obbligo, se non altro per raffreddare certi spiriti bollenti.

Gli ci era voluto poco per capire che, involontariamente, si era ritrovato in una situazione molto vicina a quella di Judai con Alexis: con una ragazza, tra i piedi, che presentava il perfetto connubio tra testa e bellezza. La differenza era che lui non aveva nulla da rifletterci sopra: il rapporto che c'era tra il suo amico e la bella biondina era fuori da ogni metro di paragone. Aki era appena entrata nella sua vita, e sì, ne era attratto, ma doveva ancora capire in quale misura.

Per il momento si accontentava di sentirsela vicina mentre scorrazzavano in moto.

Già alla terza uscita sembrava avere molta più familiarità, e sapeva che le cose non avrebbero fatto altro che migliorare: Aki gli si era stretta addosso con molta più confidenza e sicurezza, e aveva assecondato tutti i suoi movimenti lungo la strada, trovandosi a ben presto a passeggiare a velocità sostenuta per il lungomare. Yusei alzò la visiera, Aki lo imitò e si voltò in direzione indicata dal pilota, spalancando gli occhi e sorridendo estasiata.
Di fronte a lei, Aki riusciva a distinguere la spiaggia dorata e gli ombrelloni colorati, le persone in acqua e quelle ancora comodamente sdraiate a prendere il sole: un caos di voci, risate e musica che si alzava dagli stabilimenti, coperto dal borbottare della Bimota: ma il vero spettacolo ce l'aveva di fronte. Il sole cominciava a scendere, e aveva dipinto le nuvole di incandescenti riflessi dorati, tramutandosi in una gigantesca sfera di fuoco che si apprestava a sprofondare nell'oceano. Il mare stesso stava rubando i raggi solari e li stava usando per incoronare d'oro le lievi increspature sulla sua superficie. Aki non poté fare altro che godersi quello spettacolo mentre Yusei faceva avanzare la moto, con il suo solito fare sicuro.
Per qualche motivo, gli si strinse addosso ancora di più.


****


    -    Ho paura, cosa sto vedendo?!- gemette Yusei, allibito, le braccia aperte e il casco nella sinistra.
Concluso il loro giro panoramico sul lungomare, Yusei e Aki si erano fermati al Pharaoh's Kingdom, come pattuito. Con il sole che si abbassava sempre più, e l'orario di apertura che si avvicinava, avevano posteggiato la moto nel parcheggio dei dipendenti ed erano scesi in sala, con l'intento di prendersi qualcosa prima di ricominciare la loro passeggiata; ma tutto si sarebbero aspettati tranne un comitato di benvenuto come quello.
Atem e Yugi erano già presenti, come prevedibile: dei due, il primo si stava preparando un Martini, apparentemente ignaro di tutto quello che stava succedendo, e il secondo era appena risalito dai camerini con un paio di pinze in metallo nelle mani. Suddette pinze avevano attirato lo sguardo di Yuya che, fatto sdraiare su una poltroncina, prese a dimenarsi con tanta energia che Judai non fu più capace di trattenerlo e fu necessario l'intervento congiunto di Yuzu e Kotori. Il castano aveva quindi alzato le gambe del bartender, aiutato da Yugi, mettendogli bene in mostra i piedi ricoperti di strani rettangolini rossi, gialli e blu.
    -    Qualsiasi cosa tu abbia in mente di fare ti prego NON FARLA!- gridò Yuya, gli occhi spiritati dal terrore, a Yuma che aveva preso le pinze in consegna.
   -    Oooh, ma tranquillo collega!- gli rispose l'altro, con un tono che lo rendeva tutto fuorché tranquillo - Sarà una cosa molto rapida! Non posso assicurarti che sia completamente indolore, ma posso fare del mio meglio!-
    -    Il tuo meglio è il mio pegAHIAAAAA!!! MA SEI MATTO O COSA?!-

Aki sobbalzò a sentire quell'urlo di dolore misto a rabbia: aveva osservato impotente Yuma che aveva avvicinato le pinze ad uno dei rettangolini e l'aveva tirato via con un ghigno divertito. Assolutamente poco divertito sembrava essere Yuya, che aveva cominciato a snocciolare tutto il suo repertorio di insulti mentre Yugi e Judai se la ridevano come matti, cercando di tenergli ferme le gambe.
Atem terminò di preparare il suo Martini, e si voltò ad osservare i due motociclisti prima di prenderne un sorso. Yusei e Aki raggiunsero il bancone proprio mentre Yuya scagliava il secondo urlo della serata.
    -    Esattamente cosa stanno facendo quelle due bestie?!- domandò Yusei, attonito. Atem scrollò le spalle.
   -    Da quello che ho capito, stanno regolando i conti con degli scherzi- gli rispose poi, facendo roteare lievemente il drink nel bicchiere – Ciao Aki. Volete che vi prepari qualcosa?-
    -    Per me no grazie, sto guidando-

    -    Oh? Siete in moto? Tu vuoi il tuo solito, Aki?-
    -    Sì, stiamo facendo un giro insieme. Grazie, se possibile sì- rispose Aki.
    -    Un giro insieme eh? Mmmh...-

Quando Yuya urlò per la terza volta, gli occhi ametista di Atem scoccarono una lunga occhiata prima a Yusei, e poi alla rossa. Aki deglutì, torcendosi le mani incerta.
Quello sguardo...sembrava quasi che li stesse leggendo dentro, scrutando nel cuore. E forse dovette trovare quello che cercava, perché poi sorrise loro enigmatico e prese a preparare l'analcolico, con Yuya che strillava e imprecava di sottofondo e gli altri che ridevano.
    -    Mi raccomando, andate piano- disse loro, sorridendogli.
    -    Contaci, capo. Ehi, cosa intendevi prima con “stanno regolando i conti con degli scherzi”?- domandò Yusei, per tutta risposta.
    -    Quello che ho detto. Hai presente l'altoparlante di ieri?-
    -    Sì, e?-
    -    Beh, pare sia stato uno scherzetto di Yuya, e Yuma non ha fatto tardare la sua risposta-
    -    ...Mi sembra crudele...insomma, i LEGO sotto i piedi...non lo farei neanche al mio peggior nemico-
    -    Perché?- domandò Aki, innocente – Che hanno di strano?-
    -    Ti è mai finito un LEGO sotto i piedi, Aki?-
    -    ...No...-
    -    Come no? Quando ci giocavi?-
    -    ...Mai giocato con i LEGO-
    -    Oh diavolo. È...è più complicato di quanto pensassi...okay, ti farò vedere anche quelli. Nel frattempo sappi che se ne pesti uno ti fai davvero male-
    -    Immagino che incollati alle piante dei piedi siano ancora peggio-
La risata di Yusei coprì momentaneamente l'ennesimo, ultimo urlo di Yuya. Il giovane bartender con gli occhialetti aveva i lucciconi agli occhi, tanta era stata la sofferenza, ma le sue piante dei piedi erano finalmente libere da quegli infidi mattoncini e poteva muoverli tranquillamente.
    -    Mai, mai, MAI!- esclamò Yuya, una volta liberato dalla presa dei compagni – Se questo è il dolore di un parto, io non farò MAI figli!-
    -    Ma che diavolo dici!- sbottò Yuzu, sferrandogli un buffetto sulla testa – A confronto di un parto, quello che hai passato è nulla! È molto peggio!-
    -    Altro motivo per non fare MAI figli!-
    -    Guarda che non devi partorire tu!-
    -    Ah no? E dovresti partorire TU?! A saperti che attraversi un dolore forte dieci volte più di questo io MUOIO!-
    -    Yuya...ooooh!-

Incapace di rispondere, Yuzu scoppiò a ridere tenendosi la pancia mentre il compagno si rimetteva in piedi con molta lentezza, valutando se fosse tutto intero o meno. Fu Yuma il primo ad avvicinarglisi, porgendogli la mano.
    -    Pari patta e pace?- gli propose, con un sorriso da lestofante: sembrava che strappargli mattoncini LEGO dai piedi l'avesse davvero divertito...
Yuya lo fissò con sguardo truce. Sembrò quasi pensarci sopra per un po', indeciso su quale soluzione adottare, prima di muovere un passo, afferrare il volto del compagno e schiaffargli un bacio a bocca aperta.
Lo scoppio d'ilarità fu generale, perfino Atem si concesse una risata nel vedere Yuma dimenare gambe e braccia come in un fumetto comico. Yuya si separò da lui con un grugnito, lasciandolo ruzzolare a terra e pulendosi la bocca con il dorso della mano sinistra.
    -    ADESSO possiamo dire pari patta e pace!- esclamò il ragazzo – I miei poveri piedi, che male!-
Aki si ritrovò a doversi asciugare le lacrime mentre Atem le porgeva il suo analcolico.
Decisamente il gruppo di amici più strano al mondo.


****


Una volta tornati in sella, Aki capì per quale motivo a Yusei piaceva prendere la moto di notte. L'aria era sensibilmente più fresca, la giacca le stava tornando molto utile, ma la visiera chiara che durante il giorno le aveva dato qualche problema si stava rivelando perfetta per osservare le mille luci di Nuova Domino.
Contro il cielo scuro della notte, insegne, lampioni, cartelloni pubblicitari e grattacieli sembravano immersi in una luce propria. In movimento sulla superstrada, ad una buona velocità sulla corsia di sorpasso, Yusei guidava la sua moto in un giro panoramico intorno ai distretti di Nuova Domino, lasciandola godere dello spettacolo offerto dal dedalo di luci che illuminava la città, trasformandone i ponti sospesi sul canale in sentieri di luce.
Quando poi si erano allontanati dalla superstrada, e si erano immersi nella sfera luminosa del centro di Nuova Domino, lo spettacolo era diventato ancora più vivo. Traffico a parte, sempre presente con l'avvicinarsi del fine settimana, si erano concessi un secondo giro sul lungomare, ad osservare gli stabilimenti animati dalla movida notturna e a guardare il mare vestito di nero e argento.
Non aveva mai allentato la stretta al suo corpo.
Potevano entrambi abituarsi a quella sensazione.

Erano infine usciti dalla città: qui Yusei si era arrampicato su stradine e curvoni in salita, illuminati di tanto in tanto da qualche lampione ma, di fatto, la strada era principalmente rischiarata dal faro allo xeno della Bimota. Aki gli si era stretta ancora di più addosso, quasi impaurita da quell'improvviso buio e silenzio, come se volesse fondersi con lui.
L'aveva lasciato solo quando si erano fermati al punto panoramico preferito da Yusei. In cima alla collina, lontani da tutto e tutti, una piccola area di sosta li mise di fronte al panorama di cartolina di Nuova Domino e delle sue mille luci. Scesa dalla moto ed avvicinatasi al parapetto, Aki rimase a guardare meravigliata la sua città da un'angolazione molto diversa da quella che conosceva.
    -    E quello cos'è?- domandò a Yusei, una volta che anche lui le fu vicino. Il ragazzo seguì la direzione indicata dal suo indice destro: Aki puntava una gigantesca costruzione che sormontava un ponte che, estendendosi sul mare, collegava Nuova Domino ad una città molto ben conosciuta a lui.
    -    Quello è il monumento eretto per simboleggiare l'unione tra il Satellite e Nuova Domino- le spiegò, indicando i due bracci sospesi che si univano in un anello dorato – E quello sotto è il ponte Daedalus-
    -    Non l'ho mai attraversato-
    -    Non c'è ragione di farlo, se non devi entrare nel Satellite. La vedi la conduttura?-
    -    ...Eccola lì! Ehi, è vicinissima al ponte!-
    -    Già. Se ho capito bene, vogliono rimpiazzarla col binario di un treno veloce. Più elegante, senza dubbio-
    -    E quell'isola laggiù è il Satellite?-
Aki accennò all'agglomerato di luci che, in lontananza, illuminava l'intera isola che aveva fatto da casa a Yusei.
    -    Proprio quella- annuì lui – Ora le cose sono molto cambiate, è più visibile; in passato era talmente satura di rifiuti, smog e inquinamento da essere circondata da una foschia che la rendeva invisibile a questa distanza. Ora è stata ripulita e resa più vivibile-
    -    ...Ti manca?-
    -    ...No. No, troppi ricordi, credo. Non mi spiacerebbe rivisitarla, un giorno, per scoprire cosa è cambiato e cosa no...ma sto bene così-

Aki annuì debolmente col capo, sorridendogli dolce.
Quando poi sentì le sue mani sulle spalle il cuore le fece un tuffo dalle parti dello stomaco, e prese a battere con tanta violenza che temette lui potesse sentirlo. Yusei la fece dolcemente voltare e le indicò il cielo.
    -    E qui c'è il vero spettacolo! Guarda come si vede bene il Dragone!-
Tutto quello che poté fare fu semplicemente restare a bocca aperta, di fronte a quell'immensa tavolozza nera punteggiata d'argento. La luna piena sembrava illuminare tutta la collina a giorno, striando strade e alberi di merlettature argentate. E in quel mare oscuro, in mezzo a quei scintillanti punti di luce, Aki contò rapidamente le stelle più luminose ed evidenti: due, tre, cinque, dieci, quattordici in tutto, disposte in una lunga, sinuosa coda.
    -    Quella più a sinistra è Eltanin- le indicò Yusei – Una stella gigante arancione. Accanto c'è Rastaban, la terza stella più luminosa della costellazione. Viene dall'arabo Al Ras al Thu'ban, che vuol dire “la testa di serpente”-
    -    La seconda più luminosa? È quella lì?-
    -    Quella, esatto, Al Dhibain Prior. Viene anche questo dall'arabo e significa “due lupi”. E l'ultima più luminosa è Delta Draconis. Lì, invece, quasi alla fine della coda, c'è Thuban. È il nome arabo che veniva dato per questa costellazione, vuol dire “il basilisco”. Intorno al 2700 avanti Cristo è stata la stella polare nord. Intorno ci sono i due Carri, li vedi?-
    -    ...Eccoli! L'Orsa Maggiore e l'Orsa Minore!-
    -    Già. Ora sai cosa vengo a fare quando riposo e non ho voglia di vedere quei brutti musi dei miei colleghi-
Aki scoppiò a ridere, gli occhi ancora puntati su quelle stesse stelle che Yusei aveva imparato ad amare. Si sentì sollevato al vederla divertirsi, meno a disagio.
    -    Uno spettacolo- mormorò la ragazza, avvicinandoglisi impercettibilmente. Lei lo vide sorridere e annuire, gli occhi blu puntati al cielo.
    -    La mia tappa fissa- le spiegò – Vengo quassù, spengo la moto, mi appoggio al parapetto e resto a guardare le stelle. A volte ci passo le ore e non me ne accorgo-
    -    Non ti facevo così romantico-
Yusei si lasciò sfuggire una risatina.
    -    Un ex carcerato che prepara intrugli alcolici e scorrazza in giro su un cavallo d'acciaio non è esattamente quello che si definirebbe “romantico”- le rispose poi, con un'alzata di spalle.
    -    Magari lo sei davvero, nel tuo profondo-
Yusei scosse le spalle e si voltò verso di lei, gli occhi scintillanti quasi le avessero rubate, quelle stelle che stavano in cielo.
    -    Forse. Chi lo sa- disse poi.
    -    Non avresti avuto motivo di portarmi fin quassù-

Yusei scosse il capo, sorrise e tornò ad osservare le stelle senza dire una parola.
Era vero, perché l'aveva portata fin là sopra? Era il suo luogo speciale quello, il suo rifugio personale, neanche Judai ne era a conoscenza, non ce l'aveva mai portato. Si rifiutava di pensare di averla portata fin là sopra perché, sotto sotto, un po' romantico lo era davvero e quasi aspettava che fosse lei a fare il primo passo.
Rischiava di fare la stessa fine di Judai e il peggio era che lo sapeva. Cosa doveva aspettarsi, che gli saltasse al collo e si lanciasse in una smielata dichiarazione d'amore come in quelle commediucce romantiche che lui e il suo collega si divertivano a sbeffeggiare?
Il fatto che gli avesse poggiato la testa sul braccio sinistro bastava e avanzava.

Si sentiva in imbarazzo. Tremendamente, come mai gli era capitato prima. E si odiò per qualche secondo, e si diede dello stupido, e maledisse il momento in cui aveva deciso di portarla fin lassù perché non aveva la più pallida idea di che cosa fare adesso.
Per un attimo la osservò, con la coda dell'occhio, mentre continuava a tenergli la testa indolentemente appoggiata al braccio. Osservava la volta celeste con un sorriso sul volto, e gli occhi nocciola rivolti verso un punto indefinito sembravano brillarle.
    -    Grazie per questa serata- gli disse poi, in un flebile sussurro – Sono stata davvero bene-
Escitene con qualche battuta sugli occhi e sulle stelle e potrai avere una scusa per andare a ucciderti male.
    -    Anche se hai preso freddo per i tre quarti abbondanti della serata?-
Aki scoppiò a ridere, e si separò da lui per piegarsi sulla pancia, di nuovo. E Yusei sorrise sollevato tra sé, resistendo al primo impulso di sparare qualche romanticheria diabolica che non era proprio da lui. Poi la sentì aggrapparsi alla sua spalla, alzarsi sulle punte e scoccargli un bacio sulla guancia, di quelli così forti da potergli dare una consistenza, quasi toccarli.
A posto. Poteva mandare tutto al diavolo, l'archivista del cervello, il cricetino sulla ruota, la sanità mentale, il mondo, anche il paradiso che tanto non se lo meritava.
E adesso? Che poteva fare?
Che doveva fare?
Restò ancora qualche attimo a guardare le stelle, poi le passò un braccio intorno alle spalle.

Silenzio, tra di loro. Solo qualche isolato frinire di animaletti in mezzo agli alberi, e i lontani rumori della città.
Nessuna parola tra di loro.
Non servivano d'altronde.


___________________________________

Della serie, chi non muore si rivede.
Non ricordo quando è stato l'ultimo aggiornamento di questa storia...forse quest'estate, o poco prima. Beh, in ogni caso mi mancava troppo e ho deciso di ridarle ancora spazio!
Non starò a tediarvi troppo sui motivi del mio ennesimo ritardo, credo in realtà già sappiate che ho una storia originale in cantiere che mi assorbe in tutto e per tutto. Conto di pubblicarla sul sito, ma non troppo presto, voglio studiarmela molto bene. Ci tengo, ecco.
Ma avevo voglia anche io di rileggermi qualche scanzonata avventura di questi mitici duellanti nelle improbabili vesti di bartenders!

Fatemi sapere se vi è piaciuto, se avete qualche domanda, o dubbio, o anche solo per imprecarmi dietro per il ritardo xD

Ci si rilegge presto! (spero)

92Rosaspina

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Capitolo 15
*** 13. A volte ritornano ***


Pharaoh's Kingdom15


13. A volte ritornano




Il destino, quando apre una porta, ne chiude un'altra. Dati certi passi avanti, non è possibile tornare indietro.
Victor Hugo





Aprì gli occhi solo quando sentì la chiave nella toppa girare sei volte di seguito, sbloccando tutte le chiusure della porta blindata, prima di aprirsi e chiudersi con un sonoro scatto metallico. Dalla porta semiaperta della sua stanza, Yusei notò la figura di Judai affacciarsi e salutarlo silenziosamente, prima di dirigersi con passo strascicato in cucina.
Si sfregò gli occhi, abbandonandosi a un sospiro, godendosi il ventilatore che di tanto in tanto si voltava in sua direzione e gli gettava aria addosso. Con gli occhi che vagavano nella penombra della stanza, posò lo sguardo sulla scrivania ingombra di libri di testo e fogli con i suoi appunti universitari; perfino da lì riusciva a vedere il colorato guazzabuglio delle sue annotazioni.
Judai aveva dato un'occhiata ai suoi quaderni e foglietti un giorno, e si era allontanato dalla scrivania stropicciandosi furiosamente gli occhi, asserendo di non capire un tubo della calligrafia del compagno. Su questo doveva dargli ragione: Yusei stesso, a volte, incontrava difficoltà a decifrare i suoi stessi appunti. In un vano tentativo di sistemare le cose aveva provato a utilizzare un sistema fatto di evidenziatori, frecce, freccette, balloon e post-it, tutti colorati diversamente in base all'argomento: Yusei asseriva di trovarsi bene, Judai sosteneva che così creava solo ulteriore confusione.
Yusei non era mai stato un tipo molto ordinato quando si trattava di materiale scolastico, fin da ragazzino; diverso discorso era per i suoi attrezzi da meccanico, e per il telescopio vicino alla sua finestra e per i libri che riempivano le sue mensole, come anche per i suoi vestiti, ripiegati e riposti in ordine maniacale nell'armadio. Lui stesso non sapeva spiegare perché trattasse il suo materiale di studio con così poco garbo.

Allungò il braccio sinistro verso il comodino e riprese lo smartphone in mano, sfiorando lo schermo con il pollice e riaprendo l'applicazione dei messaggi. Senza un vero e proprio motivo, ancora mezzo intontito dal sonno, rilesse velocemente i messaggi inviati ad Aki. L'aveva rassicurata una volta giunto a casa e lei gli aveva augurato la buonanotte, ringraziandolo per la bella serata trascorsa insieme.
Erano rimasti a guardare le stelle molto più tempo di quello che si aspettava: Aki ne era rimasta davvero affascinata, e gli aveva chiesto un sacco di cose, di cui alcune non aveva una memoria così approfondita e allora avevano entrambi sbirciato sul cellulare per trovare la risposta. Quando avevano deciso di fare ritorno al locale, erano da poco passate le due e un quarto.
Avevano trovato i loro compagni piuttosto agitati a dire il vero: Yuma e Yuya avevano placcato entrambi Judai e l'avevano bombardato con un fuoco di fila di domande sul rapporto tra lui e Alexis, su cosa si erano detti e cosa avevano deciso; Yugi sembrava invece intento a scappare dalle mire di una biondina occhialuta che non perdeva occasione di farglisi sotto per chissà quale motivo, sicuramente molto divertente per i tre amici del ragazzo seduti allo stesso tavolo della sera prima. Yuzu e Kotori si stavano mostrando fin troppo complici agli sguardi dei due fidanzati, e quando Judai non era sotto le loro grinfie le osservavano con sguardi smarriti. Atem, invece, continuava con il suo lavoro con diligenza e professionalità, miscelando cocktail e analcolici senza togliersi quella serafica espressione dal volto. Osservava i suoi colleghi con fare quasi paterno, ma qualcosa nel suo sguardo aveva indotto Yusei a credere avesse la testa da tutt'altra parte: stava macchinando qualcosa.
Aki aveva bissato il suo analcolico, Yusei si era ritrovato un bicchiere di latte sotto il naso prima ancora che potesse esprimere qualunque preferenza. Erano rimasti lì ancora un'oretta prima che decidessero entrambi di tornare a casa, ormai stanchi e soddisfatti.

Il secondo bacio della serata l'aveva rimediato appena arrivati di fronte al suo portone: Aki gli aveva sganciato il casco, gliel'aveva sfilato e gli aveva sfiorato con le labbra la guancia destra. Gli aveva chiesto di inviarle un messaggio appena arrivato a casa, di non farla preoccupare.
Quella poteva contare come dichiarazione d'amore? O quantomeno di affetto?
Yusei sorrise, bloccando lo schermo del telefono e posandolo sul comodino, sospirando quasi soddisfatto e nascondendosi il volto dietro le braccia.

Almeno l'aveva vista sorridere davvero, con la testa per una volta libera dalle sue preoccupazioni. La sua famiglia non era mai stata nominata nell'arco di tutta la serata, neanche nei momenti in cui avrebbero potuto tranquillamente farlo: sembrava quasi che Aki avesse trovato molto di meglio che rimuginare sulle sue vicissitudini familiari. E il ragazzo ne era contento, sapeva di star lavorando bene sulle sue insicurezze.
Restava ancora un mistero il perché si fosse preso tanto a cuore la sorte e il benessere di quella ragazza. Era forse da imputare al suo animo altruista che lo rendeva sempre propenso a mettersi in gioco per aiutare gli altri? Molto probabile, così come non poteva negare l'attrazione nei confronti di Aki.
Ne era invaghito, e fosse stata una semplice attrazione fisica avrebbe potuto gestirla più sapientemente, lavorando su sé stesso e imponendosi un limite che avrebbe sicuramente rispettato; ma qui l'interesse era anche e soprattutto mentale: Aki era completamente diversa rispetto alle ragazze da lui incontrate in precedenza, priva di quelle frivolezze da nobile e animata da una volontà incrollabile nonostante le evidenti difficoltà. Aveva preso in simpatia quella giovane accigliata che lottava per dimostrare a qualcuno che sapeva cavarsela da sola, e aveva scoperto che il solo pensiero di vederla piangere gli dava davvero sui nervi.

Forse era da lì che veniva tutta la sua insistenza, il suo desiderio di vederla sempre allegra e in pace con sé stessa e gli altri. E il suo sorriso...trovava sempre più triste il fatto che non lo facesse spesso, così bello e dolce com'era quando le labbra le si piegavano in quella dolce curva, e il volto tutto si illuminava di gioia, e la sua espressione mutava in una distesa e gentile.
Doveva davvero sorridere più spesso. Anche per non vedere più i suoi occhi rabbuiati da quell'espressione corrucciata e pensosa: erano così belli quella sera, volti verso l'alto ad ammirare le stelle...Yusei aveva davvero faticato per non farsi uscire dalle labbra qualche romanticheria idiota da quattro soldi, aveva visto chiaramente le stelle riflettersi in quei grandi occhi da cerbiatta che aveva, farglieli brillare quasi avesse visto tutte le meraviglie del mondo insieme.
La sua amata costellazione del Dragone gli aveva fatto un gran regalo quella sera, dandogli modo di contemplare Aki bella e gioiosa come mai l'aveva vista, rilassata come aveva avuto modo di ammirarla solo in piscina, seduta a bordo vasca a dimenare le gambe su e giù nell'acqua. Era bella anche così, illuminata dal sole che nasceva, la pelle alabastrina e il corpo sinuoso ed elegante, con quelle belle forme che molte volte aveva ammirato di nascosto, quando lei non lo osservava. Quello stesso corpo su cui si stava riscoprendo a fantasticare fin troppo spesso, soprattutto la notte.
Seriamente?!
Yusei sbuffò, quasi seccato, allargando le braccia e lasciandole ricadere ai lati del suo corpo; alzò una mano, si strofinò la pancia infilandola sotto la maglietta, prima di alzarsi e chiudersi in bagno.
Meglio approfittarne subito prima che Judai reclamasse il suo trono.


****


Il quotidiano parlava chiaro: un uomo era stato visto camminare sospeso a metri di altezza dal suolo, completamente a testa in giù, sfidando ogni possibile legge della fisica e della gravità fino a quel momento conosciute. Anche quell'apparizione era stata vista sul lungomare, e anche in quel caso le descrizioni fisiche discordavano tra di loro: nessuno era riuscito a toccare quell'uomo, stavolta, nessuno aveva avuto un vero e proprio contatto fisico, ma in molti sostenevano si trattasse della stessa persona che, giorni prima, era sparita in mezzo alla folla lasciando dietro di sé solo la sua giacca. A seguire c'erano numerosi articoli che ricapitolavano tutte le apparizioni in cui Nuova Domino era stata coinvolta fino a quel momento, compreso il drago bianco dagli occhi blu che aveva scosso l'alba di qualche settimana prima. Un piccolo dossier sui migliori maghi illusionisti completava l'opera.
Insieme al quotidiano, era stata recapitata una busta da lettere. Nessun bigliettino, solo una carta da gioco dal dorso dorato, come quella che Atem gli aveva mostrato qualche sera prima sulla terrazza del Pharaoh's Kingdom: appollaiato sulla Regina caduta, il corvo si era voltato ad osservarlo con i suoi tre occhi prima di prendere il volo e sparire, letteralmente, come se mai fosse stato stampato. Seto Kaiba voltò la carta più volte, rigirandosela tra le dita e osservandola da ogni angolazione, e così fece con la busta da lettere e il quotidiano, ma il corvo sembrava sparito.

Seto sorrise tra sé, quasi ghignando: la sfida stava diventando davvero interessante, e il suo eterno rivale rispondeva colpo per colpo ad ogni sua mossa. Infilò la carta da gioco nella busta, ancora; la estrasse una sola volta per verificare qualche suo cambiamento, ma invano: il corvo era sparito, lasciando la Regina da sola, reclinata sulla scacchiera. Chiuse la busta e la posò sul quotidiano ripiegato, tornando a lavorare sul monitor del suo computer.
Ishizu aveva fatto un ottimo lavoro: in poco più di ventiquattro ore aveva raggiunto il perfetto accordo commerciale con un'azienda in grado di fornire loro materiale tessile di prima categoria, quello che desiderava per la sua linea ferroviaria; i primi vagoni erano già in fase di assemblaggio, e i lavori per la costruzione della linea avevano già segnato le prime tracce: i ponteggi erano comparsi nei punti strategici di Nuova Domino, circondandola come un gigantesco serpente d'acciaio.
Seto Kaiba e la sua azienda stavano per mettere a segno un altro, magistrale colpo, in quel gigantesco bersaglio che era l'economia nazionale.
Quando il telefono squillò alla sua sinistra, Seto allungò la mano con ancora il suo sorriso di vittoria sulle labbra. Scrutò un attimo il display, osservando il numero: l'interno era quello dell'ufficio di Ishizu.

    -    Ishizu- la chiamò, atono.
    -    C'è una persona che chiede espressamente di parlare con lei- pronunciò la donna, diretta e senza giri di parole come Seto preferiva.
    -    Non ricevo visite oggi, men che meno alle sette e zero-cinque-
    -    Dice di essere stata inviata dal senatore Izayoi in persona-
Il sorriso di vittoria si trasformò in una smorfia seccata.
Un galoppino del senatore Izayoi, giusto quello ci voleva. Per un attimo ripensò alle parole di Mokuba e Ishizu stessa, quando gli avevano profetizzato che le “teste coronate” di Nuova Domino avrebbero avuto di che ridire, dell'estensione della linea ferroviaria.
    -    Confronto ravvicinato eh? E va bene, fallo salire su, sentiamo cos'ha da dire-
    -    Bene-
Gli piaceva lavorare con Ishizu perché, come lui preferiva, non si perdeva in chiacchiere sterili e centrava subito il punto delle questioni, come se ci fosse sempre qualcosa di più importante a cui dedicare attenzione, che a delle parole messe solo per riempire dei silenzi. Seto si appoggiò per bene allo schienale, lo sguardo fisso sulla porta d'ingresso del suo ufficio, prima di decidere di voltarsi ad osservare il mondo fuori dalla parete di vetro.
I grattacieli di Nuova Domino si protendevano verso il cielo, tutti troppo piccoli per sfidare la massiccia presenza della sua torre. Come un'aquila sulla cima di una montagna, Seto studiava senza battere ciglio il resto della città da lì, facendo scorrere gli occhi sull'intricata ragnatela di strade e vie sotto i suoi piedi. Più in là, a quella distanza piccola abbastanza per non farsi notare, la gigantesca isola del Satellite galleggiava sull'acqua, ancora per poco isolata dal suo impero.
Si voltò solo quando sentì la porta dell'ufficio aprirsi. Ishizu Ishtar, impeccabile nell'avvitata giacca bianca e la gonna nera che le sfiorava le ginocchia, gli impenetrabili occhi scuri trincerati dietro la difesa di una discreta montatura di occhiali che, personalmente, dubitava le servissero davvero, fece avanzare nel suo ufficio una seconda donna, che di impeccabile aveva solo la pregiata fattura del suo marziale tailleur blu. Alta, troppo magra per i gusti di chiunque, i capelli biondi ripassati a colpi di spazzola e phon più volte; il volto tirato e messo a lucido, a contrasto con la pelle del collo smorta e raggrinzita, era sicuramente frutto dell'intervento della mano di un chirurgo plastico. Al polso destro le scintillava un bell'orologio il cui quadrante era circondato da un piccolo pavone.
    -    Sakue Izayou, rappresentante del senatore Izayoi.- annunciò Ishizu.
    -    Grazie mille, Ishizu. Puoi andare-

    -    Mi contatti se ha bisogno di qualcosa-

Sicuro, per accompagnare quest'impiastro alla porta, pensò Seto, ma non parlò né le rispose, limitandosi ad un piccolo cenno della mano mentre la donna usciva dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Solo allora Seto puntò i suoi occhi da squalo sulla donna sedutasi di fronte a lui. Il suo sorriso era così tirato da sembrare grottesco.
    -    Grazie per avermi ricevuta, signor Kaiba- la sentì dire. Perfino la voce sembrava sputare melenso veleno.
    -    Non ci faccia l'abitudine- la rimbeccò lui, scrutandola torvo – Non è mia abitudine ricevere visite con tale imprevedibilità-
    -    Se preferisce, posso tornare sotto appuntamento. Chiedo alla sua segretaria?-
    -    A che scopo? Lei è già qui ora, perché tornare a farmi perdere tempo una seconda volta?-
I gomiti poggiati sulla scrivania, Seto incrociò le dita tra loro, senza mai spezzare il contatto visivo con quella donna.
La situazione cominciava davvero a non piacergli.
    -    Ora capisco come ha fatto a diventare così forte nell'economia nazionale. Ha una bella parlantina svelta, signor Kaiba-
    -    Non si fanno soldi con le chiacchiere-
Aveva volutamente irrigidito la mascella e reso il tono di voce più freddo e duro, e sembrava aver funzionato: Sakue Izayoi sembrò vacillare, ma fu solo per un momento. E non perse mai quel suo grottesco sorriso da mascherone di cartapesta.
    -    Immagino di no- disse infatti – Verrò subito al dunque, allora-
    -    Prego, la ascolto-

    -    Recentemente, merito anche della magistrale campagna pubblicitaria--
    -    Il punto, signora Izayoi, il punto-
    -    ...Bene. Pare che la sua nuova linea ferroviaria si estenderà fino al Satellite, giusto?-
Seto si irrigidì ulteriormente ma non riuscì a non gonfiare il petto con fare orgoglioso. Ci aveva visto giusto.
    -    Esattamente- rispose poi – Al posto di quella grossa conduttura che ormai non serve più-
    -    Proprio di questo volevo parlarvi. Il senatore Izayoi, e un consiglio composto dalle più importanti famiglie di Nuova Domino, vorrebbe apportare delle modifiche al suo iniziale progetto-
    -    Modifiche di che tipo?-
    -    Di estensione. Riteniamo che il Satellite possa essere tranquillamente escluso-
    -    Davvero? E al senatore Izayoi e al suo circolo del golf cosa importa, di quanto lungo sia il mio binario?-

Era davvero divertente vedere le persone ammutolire in risposta alle sue frecciatine. In quei momenti Seto capiva cosa provava Atem, quando confondeva le menti delle persone.
    -    È stata unanime la decisione di porre questa esplicita richiesta, per preservare il decoro e la sicurezza di Nuova Domino- continuò la donna, le dita strette sulla borsetta, impettita sulla sedia come una statuetta egizia.
    -    Per il decoro, possiamo tranquillamente risolvere rimuovendo quella gigantesca conduttura inutilizzata- rispose Seto, senza cedere con lo sguardo – Magari installandone una subacquea, più pulita, più moderna e meno a vista e che ci creda o no, più rispettosa dell'ambiente di quella tinozza lunga chilometri. Non si preoccupi per l'inquinamento dei mari, sarà tutto messo in sicurezza. E per quanto riguarda la sicurezza, appunto, mi risulta che il Satellite sia stato ripulito da ogni traccia di criminalità anni fa, o no?-
    -    Per modo di dire. Molti dei criminali del Satellite si aggirano a piede libero su Nuova Domino e dintorni-
    -    Non confonda i professionisti del bancomat con gli assassini, signora-
    -    Ci mancherebbe altro! Io parlo di gente che vive in mezzo a noi e a cui è permesso condurre una vita normale-
    -    Parla dei detenuti del programma di riabilitazione?-
    -    Anche-
   -    Credo non viaggiamo sulle stesse frequenze, signora. Lei, il senatore e il suo circolo del golf. Non credo di essermi spiegato quando prima le ho chiesto di arrivare dritta al punto-
    -    Molto semplice, signor Kaiba. Desideriamo che la sua ferrovia escluda il Satellite-
    -    No-
    -    Sapevamo che questa sarebbe stata la sua risposta-

Gli occhi blu di Seto si abbassarono, nel notare un veloce movimento delle mani della donna. Le sue dita scarne e raggrinzite, nodose come vecchie radici, aprirono la borsetta e ne estrassero un blocchetto rettangolare di fogli. Sakue Izayoi lo posò sulla scrivania, lo voltò e lo spinse verso di lui con le dita, insieme a una stilografica.
    -    Segni qui la cifra che vuole- gli disse – La capisco, sa? Si tratta di affari, e lei parla la nostra stessa lingua-
    -    Non ci siamo capiti affatto, invece-
Con un gesto seccato, Seto spinse via blocchetto e penna, sollevando gli occhi sulla donna.
La voglia di cancellarle a modo suo quell'orribile sorriso in faccia era tanta.
    -    Non è una questione di soldi- le disse poi – Non prendo ordini da nessuno, tanto meno lavoro su richiesta. Io ho deciso di fare questa ferrovia, io ho deciso quanto questa debba essere lunga, e così la farò-
    -    Non si comporti così, signor Kaiba, la nostra vuole essere una trattativa pacifica-
    -    La mia no-
    -    A che scopo? Perché un progetto così imponente come una ferrovia?-
    -    Perché i videogiochi sono per una determinata fascia di pubblico. E io voglio giocare con i grandi, signora Izayoi-
    -    ...Capisco. Mi spiace averla fatta innervosire-
    -    Ci vuole ben altro per farmi saltare la mosca dal naso-
    -    ...La ringrazio ugualmente per avermi dedicato del tempo-
    -    Si figuri. Ha bisogno di qualcuno che la accompagni?-
    -    Non si disturbi, so trovare l'uscita da sola-
    -    Va bene. Addio, signora Izayoi. Porti i miei saluti al senatore-
    -    Arrivederci vorrà dire, signor Kaiba-

Rimase a lungo ad osservare la porta chiusa, senza sciogliere la stretta in cui le sue dita erano serrate.
Allungò una mano e afferrò la cornetta del telefono, digitando velocemente l'interno di Ishizu e portandosi il ricevitore all'orecchio.
    -    Signor Kaiba?-
    -    Voglio un dossier completo della famiglia Izayoi sulla mia scrivania. Azioni, proprietà, influenza politica, anche il codice fiscale se registrato. Qui sulla mia scrivania. Quindici minuti-
    -    Sarà pronto in dieci-
    -    E manda qualcuno ad intercettare quell'impiastro di donna prima che si perda in mezzo alla torre-
    -    Sarà fatto-
Abbassò il ricevitore con un gesto nervoso.
La giornata era cominciata decisamente col piede sbagliato.



    -     Oh, finalmente! Ben svegliato principino! Il latte è lì per te-
    -     Nnnnh...-
Judai alzò gli occhi castani al cielo con un lieve sorriso: dimenticava sempre il fatto che le facoltà di comunicazione di Yusei erano azzerate prima che avesse assunto la sua dose di latte mattutina.
Al solo pensiero del cartone di latte nel frigorifero, i ricordi lo assalirono e lo fecero sorridere come un'idiota; nella sua mente, Alexis provava a sorseggiarne un po' direttamente dalla confezione, prima di rovesciarsene metà addosso e indurla a scoprirsi completamente di fronte ai suoi occhi. Chissà che diavolo di faccia aveva fatto, a vederla denudarsi pezzo per pezzo di fronte a lui: per fortuna che era brilla abbastanza da non ricordarsene, altrimenti l'avrebbe preso in giro per mesi.
Ripensò alla giovane con affetto e con il cuore stretto in una trepidante morsa di gioia, mordicchiandosi il pollice mentre, seduto al tavolo circolare della cucina, osservava Yusei lasciarsi cadere a peso morto sulla sedia, proprio di fronte a lui, con la maglietta e i boxer come unici indumenti.
    -    Dormito bene?- gli chiese Judai, mentre il giovane beveva il latte a rapide sorsate.
    -    ...Bene- rispose lui, la voce lievemente roca. Aprì il frigorifero per riappropriarsi del suo cartone di latte, pronto a versarsene un secondo bicchiere.
    -    Seriamente Yusei, dovresti darci un taglio con quella roba-
    -    Bere latte fa bene-
    -    Sì, ma non nelle quantità in cui le bevi tu-
    -    Sono un paio di bicchieri la mattina, che vuoi che sia?-
    -    Anche ieri sera l'hai bevuto-
    -    Oh, davvero ti preoccupi del mio stomaco?-
    -    A grandi dosi, il latte ha effetti lassativi-
    -    Che stronzata-
    -    Guarda che è vero-

Yusei fece spallucce e si versò il secondo bicchiere, bevendolo a sorsi più piccoli e ponderati, quasi lo stesse gustando più di prima.
    -    Che penserebbe Aki, se sapesse che bevi latte come un moccioso attaccato alle tette della mamma?- domandò il castano, stropicciandosi un occhio.
   -    Non avrebbe proprio nulla da pensare, lei- rispose Yusei, poggiato contro lo schienale: a Judai venne in mente l'immagine di certi giganteschi pupazzi di plastica sgonfiati e lasciati ad afflosciarsi contro un muro, insolitamente tristi – Non è che si fa problemi per un bicchiere di latte-
    -    Yugi mi ha raccontato della sua crisi di pianto l'altra sera, quando non c'ero. Povera ragazza...che cosa brutta dev'essere, ripresa dai genitori per chissà cosa ogni giorno. Ma tu cos'hai fatto?-
    -    In realtà nulla, l'ho solo difesa da un cugino che stava sparando cattiverie su di lei. E poi sono stato a mia volta attaccato da quell'arpia della zia-
    -    ...hanno notato il tuo segno?-
    -    Ma certo-
    -    Bella rottura-
    -    Nessun problema, ormai ci sono abituato-

Lo era davvero. I primi tempi, quando si era messo di buona volontà a cercare lavoro, aveva perso il conto delle porte sbattute in faccia solo perché aveva quello sfregio dorato in faccia. Ovunque andasse era bollato automaticamente come delinquente, senza dargli possibilità di raccontare la sua storia né dargli possibilità di far ricredere suoi futuri datori di lavoro. Aveva vissuto per mesi a spese di una mensa comune, in una struttura dedicata appositamente alla reintegrazione degli ex carcerati nella società che metteva a disposizione, oltre che al vitto, anche l'alloggio: più comodo di una cella ma molto lontano dall'idea che tutti i loro ospiti avevano, di casa.
Aveva appena diciotto anni. E mai si era arreso, mai aveva abbassato il capo: alla ricerca di lavoro di giorno e studiando sui libri la notte, sognando un corso di laurea che sperava di autofinanziarsi, Yusei aveva stretto i denti e tenuto duro fino a incontrare Atem.
A ripensarci, l'incontro avvenuto con il giovane a capo del Pharaoh's Kingdom era stato molto simile a quello di Aki: aveva semplicemente risposto ad un annuncio su internet, e si era presentato al locale all'orario pattuito pur non nutrendo troppe speranze; insomma, se tutti i precedenti colloqui erano andati male, come pensava di risollevarsi con quello?
Aveva presto scoperto che Atem dava davvero poca importanza all'apparenza, e molta alla sostanza, e a vedere il suo immenso locale sembrava davvero tutto il contrario; era rimasto subito rapito dalla sua accattivante, sorniona indole e dal suo spirito di osservazione. Con un semplice sguardo era stato capace di metterlo a nudo come se fosse stato lui stesso a raccontargli il suo passato; l'unica cosa che gli aveva espressamente chiesto era il perché avesse deciso di mettersi in mezzo in quella brutta questione dello spaccio.

Yusei gli aveva spiegato che aveva fatto tutto questo per un amico, per aiutarlo a non finire nei guai; un gesto dettato dall'altruismo e dalla consapevolezza che quel povero ragazzo, così allegro e sorridente, sarebbe finito dietro le sbarre della Struttura per aver spacciato un po' di polverina bianca, mentre Yusei e la sua banda aveva fatto di molto peggio e invece giravano a piede libero per il Satellite. Lo stesso Yusei aveva probabilmente qualche pilota sulla coscienza, anche se cercava in tutti i modi di non pensarci né di farsi troppe domande a riguardo.
Solo allora Atem gli aveva chiesto da dove provenisse. E quando il giovane gli aveva nominato il Satellite, non aveva più voluto sapere nulla.
Gli aveva pagato di tasca propria un corso per bartending, il migliore del continente, chiedendogli di studiare ed impegnarsi perché, alla fine, aveva un posto di lavoro da ricoprire. Judai Yuki, che già allora lavorava per lui, l'aveva preso davvero in simpatia, e anche lui insensibile alla questione del marchio della Struttura l'aveva ospitato nel suo appartamentino, prima che i due trovassero qualcosa di più spazioso da condividere. Yugi era sostanzialmente una versione più piccola e più ingenua di Atem, eppure ugualmente gentile e affabile: non gli fu difficile scoprire molti punti in comune con il giovane del Satellite e diventare amico, nonostante l'iniziale diffidenza di Yusei. Yuma Tsukumo era stato inizialmente intimorito dalla sua presenza, ma si era velocemente abituato al suo sguardo diretto e al suo aspetto serio e anzi, aveva fatto di tutto per aiutarlo a sciogliersi e farsi le ossa in quello strano, rumoroso ambiente che era quello della gestione di un bar. Il ragazzo era chiaramente quello con più esperienza tra i due, uno di quelli che il lavoro se l'era andato proprio a scegliere, eppure era stato Yuma stesso a proporre Yusei come capobar.
Yuya Sakaki, l'ultimo arrivato in quella “combriccola di stramboidi” come l'apostrofava Judai, aveva osservato il segno dorato di Yusei, aveva arricciato il naso in una smorfia piuttosto buffa e aveva fatto spallucce; si erano poi ritrovati a parlare entrambi del proprio, reciproco passato, Yusei che descriveva la sua vita al Satellite e i motivi del suo soggiorno nella Struttura, Yuya che lo metteva al corrente dei suoi episodi come vittima di pestaggi e atti di bullismo vari, del pericoloso baratro della depressione che aveva rischiato di portarselo via alla morte del padre. Alla fine del racconto si erano sentiti più leggeri e vicini.

L'entrata in quella nuova, imprevista famiglia aveva improvvisamente colmato un vuoto che lo aveva attanagliato al cuore per mesi.
Segni in faccia o meno, Atem e soci l'avevano accolto come uno di loro, e mai era stato così grato al genere umano di averlo messo di fronte a simili persone.

    -    Yusei? Mi senti?!-
Il giovane sbatté rapidamente gli occhi quando vide Judai sventolargli una mano sotto il naso. Scosse debolmente il capo, arricciando il naso.
    -    Scusami Jud, ero un attimo pensoso. Hai detto qualcosa?-
    -    Ti ho chiesto come sta Aki. Dopo tutto quello che è successo-
    -    Bene, direi. Molto meglio rispetto ai giorni scorsi. È tornata quella di prima-
    -    Oh! Sono contento...ieri sera era davvero rilassata-
    -    Si notava così tanto?-
    -    Già! La tua vicinanza le fa davvero bene-
    -    ...Ora non metterti strane idee in testa-
    -    Hai voglia di scherzare?! Mi hai asfaltato gli attributi per ANNI con la storia tra me e Alexis e ora io non posso commentare?!-
    -    Ti ho asfaltato gli attributi, per riprendere la tua altolocata espressione...-
    -    Eccolo che comincia a usare parole difficili...-
    -    Stai zitto...dicevo, ti ho rotto le scatole al riguardo perché era PALESE che Alexis ti moriva dietro, e anche tu hai fatto qualche pensierino su di lei più di una volta!-
    -    Beh, non lo nego! Ma tu non fare lo stesso!-
    -    Io non sto negando davvero nulla!-
    -    Ah no? Mi hai appena detto di non mettermi idee strane in testa!-
    -    Perché lo so cosa pensi in queste situazioni!-
    -    Cosa posso farci? Vi vedo davvero bene insieme!-
Ci si vedeva davvero bene insieme anche lui, se proprio doveva dirla tutta, ma questo non gliel'avrebbe mai detto, a costo di sembrare stupido o permaloso o chissà cosa.
Storse lievemente il naso, accigliandosi in un'espressione pensosa.
    -    Ecco, lo vedi? Ci stai pensando anche adesso!-
    -    Stai zitto, cosa ne sai di quello che sto pensando?!-
    -    Te lo leggo negli occhi!-
Si era dimenticato che Judai era capace di leggere e vedere storie e sentimenti dove ancora non esisteva palesemente nulla. Yusei scosse il capo, sbuffando a metà tra lo sconcertato e il divertito.
    -    Tra l'altro la divisa femminile le sta molto meglio- notò poi Judai, dal nulla.
    -    E grazie, prima usava una di quelle di Yugi!-
    -    Lo so lo so! Stavo solo notando la cosa! Forse le sottolinea troppo il seno però-
    -    Ma che dici?! Va benissimo così!-
    -    Ho capito, ma uno potrebbe facilmente distrarsi!-
    -    Basta guardare altrove!-
    -    Mh, del tipo? Tu hai anche il feticismo delle labbra, figuriamoci...-
    -    Non è un feticismo!-
    -    Ah no?! Yusei ti ecciti quando vedi una bocca femminile! E non provare a negarlo!-
    -    Lo sai almeno che vuol dire feticismo o spari vocaboli a caso come al tuo solito?-
   -    Non so nemmeno come tu riesca a resistere, chiunque perderebbe i freni inibitori con quelle labbra lì! Perfino Alexis ha detto che sono davvero belle! Mentre tu sembri non avere reazione!-

    -    Sicuro non l'avrò adesso, sono immune alle tue stronzate per i prossimi quindici minuti almeno-
    -    ...ti sei masturbato-
    -    NO!-

L'improvviso scoppio del compagno fece trasalire Judai sulla sedia.
    -    Tu...tu sei andato in bagno prima!-
    -    E certo! Dovevo pisciare!-
    -    E ci hai messo venti minuti?!-
    -    ...pisciare con un'erezione è difficile. Oltre che doloroso-
    -    ...hai almeno tirato l'acqua?-
Judai si alzò di scatto quando vide il suo compagno sfilarsi velocemente un infradito dal piede e alzarlo con fare minaccioso; indietreggiò pericolosamente fin quasi a toccare l'acquario, le mani alzate in segno di resa.
    -    Oh daaaaaai, non si può neanche scherzare!-
    -    Vado a farmi una doccia!-
    -    E chi apre alla porta che suona?-
    -    Tu! Visto che sei anche vestito decentemente!-
Senza dire altro, il giovane capobar si infilò nel bagno, chiudendosi la porta alle spalle e sbuffando costernato.
Il fatto era che Judai ci aveva visto davvero lungo: capitava sempre più spesso che, nei suoi pensieri, Aki si risvegliasse accanto a lui di buon mattino, coperta solo il minimo indispensabile per non offendere il pudore generale, per non parlare di quando oniriche visioni notturne la raffiguravano in mezzo a uno dei suoi amati roseti, coi boccioli rossi come unico ornamento del suo corpo candido...roba che a pensarci di giorno, a occhi aperti, rischiava di portare effetti collaterali inaspettati. Yusei si arruffò furiosamente i capelli sulla testa, sbuffando costernato.
La situazione cominciava a sfuggirgli di mano. Si liberò della maglietta in un unico gesto, prima di restare in ascolto quando sentì la porta di casa chiudersi.
    -    Judai?! Chi era?!- lo chiamò, insospettito.
    -    Ah, è qui dentro?-
    -    Sì, ma non so se è il caso di entrare adesso--
Il cuore gli fece un balzo tale che temette di doverlo sputare da un momento all'altro. Yusei si voltò, pallido come un cencio sbattuto, ad osservare la porta che si apriva con la lentezza di una moviola.
Quella voce...erano anni che non la sentiva, ma l'avrebbe riconosciuta tra mille. E quando l'uomo entrò nella stanzina, e posò gli affilati occhi violacei su di lui, Yusei rischiò di perdere qualsiasi contatto con la realtà.
    -    ...Jack...Atlas?!-
    -    ...Heh. Ti vedo in forma, Yusei-



Preso un bel respiro e accovacciatosi di fronte alla lavatrice, Yugi incrociò le braccia sul petto e rimase con lo sguardo perso nel vuoto, deciso a non muoversi per la prossima mezz'ora. L'aria della casa era ancora satura dell'odore di bruciato: anche se le finestre erano state spalancate, sarebbe occorso più tempo perché l'odoraccio scomparisse del tutto.
Si era svegliato nel modo più doloroso possibile, sbattendo la fronte contro la testiera del letto: cosa impossibile per qualunque essere umano “normale”, ma non per lui. Appena sveglio e aveva scagliato un'imprecazione così grossa che Atem, in cucina, si era fatto scivolare il piattino della tazza sul lavello.
Si era tagliato il pollice destro con il vetro scheggiato del suo smartphone; niente di serio ma suo fratello aveva insistito per farglielo disinfettare ed incerottare. Ne era seguita una precipitosa fuga per le stanze, con lui che fuggiva da Atem armato di ovatta e acqua ossigenata; Yugi odiava quel tipo di medicazione. Alla fine il maggiore gli aveva quasi stritolato il polso in una forte stretta, impedendogli di liberarsi, l'aveva trascinato in bagno e aveva versato direttamente l'acqua ossigenata sul pollice ferito.
Il vasetto di vetro posto sulla mensola del salotto aveva guadagnato venti yen nel giro di mezz'ora.
Aveva bruciato, per non dire carbonizzato, i due croissant alla marmellata che avrebbero teoricamente dovuto fargli da colazione, trasformando la cucina in un piccolo inceneritore e costringendolo a spalancare le finestre di tutta la casa per impedire la diffusione del pungente odore per le stanze. Per correre a chiudere le porte aveva sbattuto il ginocchio contro lo stipite della porta della cucina, e quando aveva deciso di prepararsi il caffè da solo e si era sporto verso la mensoletta dove erano custodite le cialde aveva urtato il ceppo di coltelli e l'aveva fatto cadere, evitando l'autocastrazione per davvero pochi centimetri.
La camicia era comunque finita in lavatrice alla velocità della luce, grazie al caffè rovente che si era rovesciato addosso.

    -    Qual è il problema?- gli domandò Atem, alle sue spalle.
Yugi si lasciò sfuggire un sospiro scontento, scuotendo il capo, mentre chiudeva la lavatrice e avviava il programma di lavaggio veloce. Appoggiato con la spalla destra allo stipite, Atem lo osservava dalla testa ai piedi come alla ricerca di un malanno, le braccia conserte e il volto adombrato dallo sguardo serio. Yugi lo notò picchiettarsi l'avambraccio sinistro con l'indice opposto, seguendo il ritmo della musica diffusa dal salotto.
    -    Sto...sto bene- rispose Yugi, con un'alzata di spalle.
    -    Non ti ho chiesto se stai bene, quello lo vedo. Ti ho chiesto qual è il problema-
Yugi si mordicchiò il labbro inferiore.
E lui pensava davvero di farla al suo fratello maggiore?! Atem lo conosceva meglio di sé stesso, sapeva in anticipo cosa gli passava per la testa e gli bastava un'occhiata per capirlo. C'erano delle volte in cui comprendeva quel senso di vago terrore e soggezione che i suoi amici e colleghi provavano, quando si ritrovavano a parlare con lui.
    -    Centra Anzu, forse?
    -    Seriamente, è così palese?-
Yugi era esterrefatto.
    -    Beh, non così come lo faccio sembrare- gli rispose Atem, con un enigmatico sorriso – Ma qualcosa ti attanaglia fratellino...tu che sei sempre così positivo e libero da ogni preoccupazione...a volte ho desiderato essere nella tua testa, sai?-
    -    Davvero?!-
    -    Sì, mi sono sempre chiesto come doveva essere a stare nella testa di qualcun altro...vivere con i loro pensieri per un giorno-
    -    ...Tu hai davvero interessi strambi-
    -    Mi piace farmi domande su tutto ciò che mi circonda. Mia unica pecca temo, mi rovino sempre le sorprese-
    -    ...Non credo di capire ma...va bene-
    -    Ma non cambiamo discorso, su! Parlavamo di Anzu, fino ad un attimo fa...-

E Yugi ci aveva quasi sperato, che se ne fosse dimenticato...! La velocità con cui Atem cambiava discorsi era allucinante, a volte anche lui trovava difficoltà a stargli dietro.
Neanche a dirlo, Yugi invidiava mortalmente quella sua particolarità.
    -    Per caso è successo qualcosa tra voi due?- domandò Atem, serafico.
    -    Ah? No no no no no, ahm...no! Non ancora almeno!-
    -    Oh, non ancora dici? Quindi stai già “lavorandoci su”?-
    -    ...In che senso?-
Atem alzò gli occhi al cielo senza smettere di sorridere.
    -    Pensavo stessi valutando finalmente l'idea di dirle chiaro e tondo cosa provi davvero nei suoi confronti- spiegò poi, senza sciogliere la sua posizione.
    -    E l'idea è quella! Però--
    -    Però cosa, Yugi? Cosa ti turba?-
    -    ...Niente, lascia perdere-
    -    Se hai bisogno di un consiglio sai che posso dartelo-
    -    Lo so. Lascia perdere lo stesso-
    -    Yugi...non migliorerai le cose così-
    -    Lo so! Lascia perdere e basta!-
    -    Come vuoi. Sei pronto?-
    -    Pronto per cosa?-
    -    Per uscire-
    -    Do-dove dobbiamo andare?-
    -    A comprarti un nuovo cellulare. Quello ormai è andato-
    -    Ma funziona ancora! Ha solo il vetro scheggiato!-
    -    Con la quale ti sei tagliuzzato tutt'e dieci le dita negli ultimi quindici giorni. Non intendo vederti versare più neanche una goccia di sangue per questa fesseria-

Yugi si grattò la testa, confuso, poi fece spallucce e ritornò nella sua stanza, pronto per un veloce cambio d'abito.
Non gli piaceva spendere troppi soldi per cose che non servissero davvero...videogiochi a parte ovviamente...e il cellulare era uno di quelli: per quanto l'uso che ne faceva era davvero intensivo, tra chiamate e messaggi e social network di ogni tipo, era un tipo che tendeva a sfruttare gli oggetti fino all'ultimo, preferendo evitare gli sprechi. Atem era l'esatto opposto: quando una cosa perdeva il suo interesse se ne disfaceva molto velocemente. Era l'esatto motivo per cui ogni anno portava un televisore sempre più grande in salotto, e invece restava a lavorare su quel vecchio laptop di almeno dieci anni fa, esattamente l'ultima volta in cui aveva acquistato un computer portatile. L'ultimo televisore dismesso l'aveva invece donato a Judai e Yusei.
La nota positiva era che la faciloneria di Atem nel cambiare oggetti e arredamenti non si applicava sulle persone: chi lui sceglieva di far restare al suo fianco era perché aveva genuinamente stuzzicato il suo interesse. E questo valeva con i suoi colleghi così come per le donne di cui era puntualmente circondato.
Che Mana fosse l'unica a resistere alle sue stramberie, tuttavia, era un'altra storia.

Yugi si grattò una guancia mentre con l'altra mano riallacciava velocemente i bottoni della nuova camicia. Il pensiero corse inevitabilmente ad Anzu.
Era parsa...strana quei giorni. Un po' distante, avrebbe detto. Ma forse era solo presa dalla presenza di Yuzu e Kotori, erano legatissime e ritrovarsi tutt'e tre insieme era, per loro, il massimo del divertimento. Che poi fosse gelosa e, forse, un pochino invidiosa della confidenza che Mai Kujaku aveva con tutti, soprattutto con lui, questo era un dato di fatto: Anzu era legata a lui da una profonda amicizia, la stessa che gli aveva permesso di mantenere i rapporti anche con Jonouchi, Honda e Bakura dopo gli anni del liceo; era però chiaro che ci vedesse qualcosa di più di un amico, nel ragazzo, allo stesso modo di cui Yugi provava forti sentimenti nei suoi confronti. E il problema stava proprio lì, perché entrambi erano timidi abbastanza dall'aspettare che fosse l'altro a fare la prima mossa.
Si rincorrevano in tondo senza raggiungersi mai.
Terminò di chiudere i bottoni, la consapevolezza che Anzu si sarebbe esibita quella sera lo colpì al cervello come una manata in fronte.
Era troppo tardi per darsi malato?



Seduto al tavolo circolare della cucina, Judai spostava rapidamente lo sguardo da Yusei a Jack Atlas e da Jack Atlas a Yusei, senza che fosse in grado di spiccicare parola.
Jack Atlas. Il leggendario Jack Atlas, quel ragazzo di cui Yusei gli aveva tanto parlato in passato, quel suo compagno di scorribande motocicliste e vero salvatore di Yusei Fudo era lì, in quella cucina, di fronte al suo compagno di gare clandestine e rivale. Per qualche motivo se l'era immaginato diverso dai racconti del suo amico: si era figurato un energumeno grosso, burbero e rissoso, uno che incuteva rispetto e paura solo a guardarlo, magari facilmente incline alla rissa e agli scontri fisici.
Della sua impressione, ci aveva preso davvero poco: Jack Atlas suscitava deferenza con la sua sola presenza, ma senza opposizione. Circondato da una stoica aura di freddezza quasi aristocratica, a tratti forse arrogante, scrutava le persone intorno a lui dall'alto verso il basso e non solo per un'evidente questione di possanza fisica (seriamente, quanto era alto?!). Forte dei suoi indiscutibili successi agonistici, sembrava davvero prendere sul serio quella nomina di Re che gli era stata affibbiata.
C'era qualcosa di indefinito, in quell'uomo, che non gli piaceva moltissimo. Forse era solo un'impressione, ma bastava per metterlo in guardia.

Lo stesso Yusei non sembrava propriamente a suo agio. Rivestitosi al volo con i primi indumenti puliti a disposizione, osservava Jack con lo sguardo di chi era combattuto tra l'alzarsi e andarsene altrove, e chi aveva voglia di rifilare un cazzotto su quegli affilati lineamenti quasi vampireschi. Se ne stava con la schiena ben aderente alla sedia, le braccia conserte al petto e le gambe accavallate, in quella postura che Atem avrebbe definito “di difesa”; Jack, più disinvolto e apparentemente divertito dalla scontrosità dell'amico (poteva ancora definirlo così?), ciondolava svogliatamente una gamba mentre si guardava intorno.
    -    Beh, direi che ti sei sistemato molto bene, caro Yusei- notò, scrutando con un vago sorriso la cucina – Direi che ti ho lasciato in buone mani-
    -    Perché sei qui?- domandò Yusei, a muso duro. Jack gli scoccò un'occhiata divertita.
    -    Via via, cos'è quel tono? Ah, sembra ieri quando ti ho rivisto con quel musetto scazzato...-
    -    Ti ho chiesto perché sei qui!-
    -    Va bene va bene, stai calmo! Fumantino come al solito eh?-
    -    Stare calmo?! Jack hai idea di quanto tempo sia passato?! Sono quasi SETTE ANNI che non ci vediamo!-
    -    So contare Yusei, lo so quanto tempo è passato. Ma fidati, non è per ricordare i vecchi tempi che sono qui. Ehi, quindi sai anche di Bruno?-
    -    So che ha tirato le cuoia in un ospedale psichiatrico e tanto mi basta-
    -    Vero anche questo ma non sai il perché, temo-
    -    So che era finito nel pozzo di un cantiere abbandonato-
    -    Precipitato durante una corsa-
    -    Aveva cominciato a correre?!-
    -    Cosa credevi che facesse?! Con te in prigione e Kalin schiantato contro un muro...perché? A che scopo?-

Glielo chiese quasi Yusei sapesse a cosa si riferisse, e il bello era che il giovane tatuato aveva anche inteso cosa intendesse.
    -    Bruno era innocente- sibilò Yusei, a muso duro – Ben più di noi-
    -    Non avevi alcun dovere nei suoi confronti-
    -    Dipende dai punti di vista, credo. Avevi detto che non eri qui per ricordare i bei tempi no? Allora cos'è che vuoi?-
    -    Molto bene, verrò subito al punto-
Jack sciolse le gambe e si allungò sul tavolo, i gomiti poggiati a sostegno e gli occhi violacei fissati sul suo vecchio compagno di squadra. Il Re arricciò il naso.
Per quanto si impegnasse, non riusciva a nascondere completamente l'indole ribelle da ragazzo cresciuto nel Satellite. Glielo leggeva negli occhi: sempre puntati altrove, verso un punto indefinito alle sue spalle, quasi cercasse un traguardo o uno scopo.
    -    Ho bisogno di un pilota-
    -    Scordatelo-
    -    Ascolta prima la mia proposta-
    -    Sai già cosa ti risponderò-
   -    Il terzo pilota del nostro team ha avuto un incidente, nell'ultima gara. Una brutta caduta in curva, la moto gli ha rifilato un high-side che l'ha sbattuto a terra. Clavicola e gamba destra rotte-
    -    Oh povera stella-

    -    Si avvicina l'ultima gara di campionato e siamo senza un pilota, e rischiamo di perdere il titolo-
    -    Assurdo! Beh, spero proprio riusciate a trovare un pilota che vi aiuti!-
    -    Io l'ho già trovato-
    -    E io ti ho detto di no-
    -    Dammi una motivazione-
    -    Non ho niente da rendere a te-
    -    Ah no?! Chi è che ti ha tirato fuori da quel cubo di cemento armato che è la Struttura?! La fatina buona forse?!-

La mente di Yusei dipinse la distorta immagine di Jack Atlas con ali opalescenti e vestitino di tulle, con tanto di cappello a cono e velo lucente; non seppe se scoppiargli a ridere in faccia o chiudersi in bagno a vomitare dal disgusto. Nel dubbio, affilò ancora di più i suoi occhi, quasi gli stesse implorando di morire fulminato sul posto.
    -    Nessuno ti aveva chiesto niente quella volta, Jack- gli rispose, i denti stretti di un cane rabbioso.
    -    Tu dici?! Tutto quello che io e Crow abbiamo fatto è stato anche per te! Ricordi il nostro sogno? La nostra promessa? Uscire tutti insieme dal Satellite!-
    -    E l'abbiamo fatto-
    -    Esatto! L'abbiamo fatto! Io e Crow abbiamo applicato l'unica soluzione possibile! Non dirmi che ce l'hai con noi per aver fatto i nomi della feccia!-
    -    Sai cosa me ne importa di quella gente?-
    -    Un cazzo, come non te ne importava prima. E allora cos'è tutta quest'ostilità adesso?-
    -    Ostilità dovuta al fatto che ti presenti qui, dopo quasi sette anni, pretendi che nulla sia stato e mi chiedi di partecipare ad una corsa suicida forse?!-
    -    Non è una corsa suicida!-
    -    Ah no?!-
    -    È la Satellite Tourist Trophy-
    -    AHAHAHAHA!!! Jack ma ti ascolti quando spari queste cazzate?! Con quale criterio sei venuto da me?-
    -    Perché sei il migliore dei piloti che io conosca-
    -    Correzione caro: ero. Molto tempo fa. Tu mi hai superato e di gran lunga-
    -    Quindi il motivo è questo: invidia e paura. Non vuoi confrontarti con me-
    -    Non provo nulla del genere per te-
    -    Probabilmente non provi neanche qualcosa-
    -    Esci fuori di qui-
    -    Sei davvero sicuro?-
    -    FUORI-
    -    Va bene, va bene-

Jack Atlas si alzò con un sordo grattare della sedia e un lieve tintinnio degli orecchini, non notati prima da Judai. Prese la giacca dallo schienale, indossandola con agile movimento e scoccando un'altra occhiata a Yusei.
Il ragazzo del Satellite era rimasto seduto, ad osservarlo di traverso. Judai deglutì abbastanza rumorosamente: l'aria tra i due si tagliava con un coltello.
    -    Speravo che il nostro fosse un incontro molto più disteso e piacevole, Yusei- borbottò poi Jack, incrociando le braccia al petto e scrutandolo torvo dall'alto – Mi sbagliavo. Credo che la vita cittadina ti abbia rammollito da una parte e reso più rabbioso dall'altra-
    -    Speravo di non vedere più il tuo brutto muso, Jack Atlas- soffiò Yusei, senza interrompere il contatto visivo – Mi sbagliavo. A quanto pare l'erba cattiva non muore mai-
    -    Avresti avuto più piacere se fossi finito io in quel pozzo invece che Bruno, vero?-
Stavolta Yusei non rispose, restando ad osservare il vuoto ad occhi spenti. Jack scosse il capo e si congedò molto velocemente anche da Judai, senza aspettare che questi lo accompagnasse alla porta.
Solo quando sentì l'uscio chiudersi alle sue spalle, il castano tirò finalmente un sospiro di sollievo.
    -    Ragazzi, che smaltita...!- gemette, tremante – E così lui era il tanto decantato Jack Atlas?!-
    -    In carne, ossa e stronzaggine- rispose Yusei, picchiettando con un indice sul tavolo.
    -    ...Dannazione. Sembra quasi un figlio segreto di Seto Kaiba e Mai Kujaku-
    -    Judai no ti prego, che immagine...-
    -    Ho comunque capito poco e niente. Cos'è questa Satellite Tourist Trophy?-
    -    Una corsa suicida. Non deve importarcene nulla-
    -    Ma...ehi! Dove vai?-
    -    Esco in moto. Tornerò per ora di pranzo. Tu dovresti andare a dormire Jud-
    -    A me è passato il sonno...-
    -    Sforzati. Ci vediamo dopo-
Senza dirgli altro si alzò dal tavolo e uscì dalla cucina, fermandosi nella sua stanza solo quel tanto che gli bastava per infilarsi gli stivali e recuperare giacca, casco, telefono e portafogli.



L'orologio segnava le otto e un quarto, eppure era già sveglia, e per niente stanca. Aveva dormito come un sasso, cullata da dolci sogni fatti di viaggi interstellari attraverso costellazioni e galassie, accompagnata in moto da un coraggioso astronauta. Aki si era risvegliata con il miglior sorriso da rincitrullita che poteva sfoderare, e la testa leggera e sognante. Solo quando si era messa a tavola, con la tazza di caffellatte pronta e la brioche calda appena sfornata, si era resa conto di aver canticchiato tutto il tempo.
Era davvero una bella sensazione.
Addentando con fame la sua brioche, Aki diede una veloce occhiata al suo cellulare, ripescando i messaggi di Yusei della sera prima. Aveva esaudito la sua richiesta, per quanto ansiosa potesse apparire, e le aveva inviato un messaggio appena arrivato a casa per tranquillizzarla, come a voler dire “Ehi, sono tutto intero!”. Si erano salutati brevemente, ma lei non aveva potuto fare a meno di ringraziarlo per la serata.
Era stata davvero bene. Cominciava lentamente a capire cosa ci trovasse, Yusei, in quei rumorosi cavalli d'acciaio a due ruote: la sensazione di libertà provata sulla pelle era qualcosa di emozionante e travolgente allo stesso tempo, l'esperienza forse più ribelle da lei mai provata in vita sua. In un'esistenza dove era stata tenuta alla larga da qualsiasi situazione rischiosa, montare in sella insieme ad un ex galeotto era quanto più pericoloso ed eccitante le fosse capitato.

Spazzò via la colazione e prese a sistemare le stoviglie con cura, continuando a canticchiare un motivetto sconosciuto. Il perché di tanta allegria non sapeva neanche spiegarselo. Insomma, aveva avuto un appuntamento! Il primo degno di questo nome da quando conosceva Yusei, ma si trattava ugualmente di un appuntamento: un modo come un altro per conoscersi meglio e trovare altri punti in comune. Era più che lecito tra colleghi e amici, no?
Ma a chi voleva darla a bere? Viaggiava su nuvole di zucchero filato già dal secondo giorno di conoscenza, e negarlo non l'avrebbe certo aiutata. Aki scosse il capo, scacciando l'ennesima visione di Yusei dalla testa.
La sua immaginazione puramente femminile le stava giocando brutti scherzi ultimamente.
Doveva studiare. Sì, niente di meglio di qualche sana ora sui libri, a studiare e ripassare in vista dei futuri esami. Ci teneva a fare bella figura e a ottenere buoni voti, non voleva passare per lavativa o usare il lavoro come scusa per impegnarsi di meno. Avrebbe finito di sistemare le stoviglie e avrebbe subito aperto i libri.
Quando il telefono squillò, nell'altra stanza, si fiondò sul materasso con le mani ancora umidicce. Staccò l'apparecchio dal caricabatterie e si precipitò a leggere il nuovo messaggio inviatole da Yusei. In allegato c'era la foto di una spiaggia: il sole bello alto faceva scintillare il mare in tutte le sfumature più chiare dell'azzurro, e quasi le sembrava di udire il coro di voci e musica salire dai bagnanti.

Viene voglia di farsi un tuffo! Ricordati il costume stasera!

Aki inspirò rumorosamente, sprofondando con il volto nelle lenzuola ancora disfatte e dimenando le gambe.
Lui sapeva. Lui sapeva, lo faceva apposta a ricordarglielo! Aveva notato il suo sguardo la prima volta in piscina, quella sua aria da candida verginella che sembrava non aver mai visto un uomo in semplici braghe! Lo sapeva e riusciva anche a punzecchiarla a riguardo! Per un solo, brevissimo istante Aki sentì di odiarlo. Davvero per poco.
Quelle attenzioni cominciavano davvero a lusingarla più del dovuto: Aki non sapeva ancora decidere in quale misura lei interessasse a Yusei, e questo la frenava quando si trattava di interagire con lui. Magari quello era il suo modo di fare: per quanto apparisse come un tipo serio e integerrimo, poteva essere effettivamente propenso ad aprirsi una volta presa confidenza con le persone a lui vicine. Ma no, Yusei era davvero troppo serio per aprirsi così con tutti...c'era qualcos'altro sotto. Ma cosa? Anche lui sembrava essere stato bene quella sera, ma in fondo aveva ammirato le stelle come era solito fare...
Eppure non le sembrava che quel bacio a stampo gli fosse dispiaciuto così tanto, anzi...
Devo mettermi a studiare, sì.

Niente di meglio di qualche sana nozione di medicina per distrarre il cervello dal misterioso ragazzo del Satellite, giusto? L'idea era nobile, gli intenti c'erano, nella realtà dei fatti le cose funzionarono diversamente.
Da qualche giorno non riusciva a togliersi dalla testa la visione di quelle cicatrici che gli deturpavano il corpo. Forse il tatuaggio a forma di drago serviva a coprirne un'altra sul braccio destro, ma tutte le altre erano fin troppo visibili: la mano destra, l'interno dell'avambraccio, quelle sul ventre che si intrecciavano tra loro. E più stava a contatto con lui e più ne individuava altre. Ne aveva una proprio all'interno del palmo della mano sinistra, dritta e dai bordi regolari, come se avesse stretto un oggetto particolarmente affilato: la lama di un coltello, forse? E ne aveva anche una sul collo, sul lato sinistro: ad occhio, qualcosa gli aveva intaccato la pelle a distanza irrisoria dalle vene principali della giugulare. Era questione di millimetri, un poco più a destra e con ogni probabilità quel ragazzo non sarebbe stato vivo, a quell'ora.
Ripensandoci,  Aki non poteva fare a meno di rabbrividire per tutta quella violenza subita.

La gente del Satellite aveva passato davvero tempi bui, negli anni precedenti: bistrattati dall'alta società, isolati dalla terraferma, ignorati dalla stragrande maggioranza delle vie di comunicazione classiche, i suoi abitanti sembravano essere stati colti dalla stessa, irrefrenabile furia e crisi collettiva che li aveva resi quello che apparivano agli occhi degli abitanti di Nuova Domino: una massa di criminali senza scrupoli né scopo. Yusei apparteneva all'ultima generazione, quella del cambiamento di rotta, di coloro che avevano tentato l'ultima, disperata carta che aveva funzionato.
Ammirava quella sua costanza nel cercare di cambiare il suo futuro, di prenderlo in mano e dargli la svolta decisiva. Quel ragazzo portava addosso i segni di un'esistenza violenta e triste, eppure cercava di ignorarli in tutti i modi e di concentrarsi sul presente, lavorandoci per cambiare il suo futuro. Non aveva mai smesso di sognare, quel ragazzo delle stelle.

Avrebbe dovuto prendere spunto da lui. Lavorare nel presente per dare la svolta decisiva al suo futuro. Dare una sonora lezione a tutti quelli che sembravano non darle alcun credito.
O forse la lezione doveva darla solo a sé stessa.
Scosse il capo e si mise alla scrivania, aprendo i libri.



    -    No okay, che cavolo ci fa anche lui qui...Oooooh!-
Yusei sbuffò, ringhiando qualche imprecazione tra i denti e cominciando a radunare rumorosamente i bicchieri intorno a sé. In posizione dietro il bancone al posto di Yuma, Aki si voltò dapprima a guardare il compagno, e poi seguì con gli occhi la direzione verso cui Yusei aveva cominciato silenziosamente a scaricare parolacce ed improperi degni di un amante deluso.
Dei tavoli arredati sulla terrazza, uno era stato occupato da una coppia di uomini mai visti prima. Il primo, quello che l'aveva più impressionata, scrutava il resto della sala con sguardo imperioso e penetranti occhi violacei, molto più cupi e arroganti di quelli di Atem: glieli scorgeva da sotto le ciocche bionde accuratamente acconciate. Vestito di bianco e viola, la prima cosa che l'aveva attirata era stato il paio di orecchini, due scintillanti A impossibili da non notare. Si era liberato della giacca e l'aveva delicatamente posata sullo schienale della sedia, accomodandosi senza degnare di uno sguardo il bancone, lasciando probabilmente la sua ordinazione al compagno. Quello ad avvicinarsi era stato un ragazzo sensibilmente più basso del biondo imperturbabile, con i capelli rossi tenuti indietro da una fascetta, e il volto segnato da quelli che aveva imparato a riconoscere come marchi della Struttura. Il giovane si avvicinò al bancone e picchiettò le nocche sul mezzo metro di quercia scura proprio dove c'era Yusei, costringendolo a prestargli attenzione.
    -    Yusei!- esclamò allargando le braccia – Aaaah, quando Jack me l'ha raccontato non volevo crederci! Sei in gran forma!-
    -    Crow- lo salutò l'altro, alzando gli occhi verso la figura di...lui era Jack Atlas?! Lo stesso di cui Yusei le aveva parlato?! Quindi quell'altro doveva essere Crow Hogan...per qualche motivo se l'era immaginati diversi. Forse più...più cattivi?
    -    Come stai? È da un bel po' che non ci si incontra!-
    -    Già! Fammi pensare...mmm da quasi sette anni! Come corre veloce il tempo!-
    -    Beh, ti vedo in ottima forma!-
    -    Taglia corto, cosa vuoi?-

Aki aggrottò la fronte, incerta e stupita. Sbatté un paio di volte gli occhi, incredula a ciò che stava vedendo.
Quello non era il Yusei che conosceva. Era schivo e di poche parole con gli sconosciuti, certo, ma a quanto pareva quelli erano tutto fuorché tali: cosa gli stava prendendo? Perché li trattava così?
    -    Dicci cosa vuoi e sparisci- sibilò Yusei – Il capo ci guarda, non possiamo chiacchierare a lungo-
    -    Due Bacardi, se non vi spiace. Sei sicuro che vada tutto bene?-
    -    Oh sì, sicurissimo! Solo che non mi aspettavo la vostra presenza qui, ecco tutto!-
    -    Ehi, va bene che abbiamo tagliato i ponti per tutto questo tempo ma—aspetta. Fammi indovinare-
    -    Spara-
    -    Jack è già passato da te questa mattina-
Yusei alzò lo sguardo sul suo ex compagno, osservandolo sorpreso e, in un certo senso, nostalgico.
Era passato davvero tanto tempo. Troppo, se proprio doveva dirla tutta. Quasi sette anni in cui avevano completamente perso i contatti: l'ultima informazione che aveva, di loro, era il pagamento della cauzione per farlo uscire dalla Struttura, prima di sparire ognuno verso la propria vita. E sebbene non potesse fargliene una vera e propria colpa, Yusei era piuttosto amareggiato da come la situazione si era conclusa.
Ogni suo tentativo di mettersi in contatto con loro rimbalzava come se, dall'altra parte, nessuno dei due intendesse rispondergli. Almeno ringraziarli per quello che avevano fatto per lui, un saluto, un addio...completamente spariti dalla circolazione ed introvabili. Aveva scoperto solo in seguito dei loro successi nei circuiti professionisti delle corse, e se da una parte ne era stato contento per loro, dall'altra era rimasto piuttosto amareggiato di quel loro eterno silenzio.
Aveva impiegato un po' per mandare giù il boccone. E ora si ripresentavano entrambi, carichi di speranze e sorrisi, convinti di poterlo riportare dalla loro parte, cancellare sette anni di lontananza e silenzio per un gioco rischioso come quello di una corsa nel Satellite?

    -    Sì- rispose poi Yusei, mentre terminava di preparare il suo Bacardi. Crow si lasciò sfuggire un sospiro.
    -    Aaaah, lo sapevo...ha dovuto fare di testa sua. Gli avevo detto di aspettare, l'avremmo fatto insieme...-
    -    La risposta sarebbe stata ugualmente no-
    -    ...Anni fa non avresti rifiutato-
    -    Anni fa, vero. Ma adesso mi tiro indietro. Non voglio tornare in quel mondo. Ho un'altra vita-
    -    Non si tratta di farlo per sempre. Solo una volta-
    -    Questa sola volta potrebbe costarmi cara-
    -    Sarà tutto in sicurezza Yusei! Facciamo le cose serie noi!-
    -    Ho già detto di no! Vai ora, non posso metterci tre quarti d'ora per versarti due Bacardi!-
    -    ...non spariremo di nuovo, Yusei-
    -    Io dico di sì invece-
Crow Hogan gli sorrise poco convinto, prima di allontanarsi con i due Bacardi in mano. Rimasta ad osservare in silenzio tutta la scena, Aki scrutò Yusei di sottecchi, incerta su cosa dire o fare.
Un urlo si sollevò dalla folla, mentre l'acqua della piscina si sollevava in un gigantesco geyser: l'immenso pennacchio d'acqua salì in cielo quasi volesse toccare la luna, suscitando esclamazioni di stupore, qualcuno cominciò a riprendere con il cellulare l'incredibile metamorfosi della colonna d'acqua.
Toccata dal soffio di un vento siberiano, il geyser si congelò su sé stesso, trasformandosi in un'alta e possente scultura di ghiaccio: quella che sembrava la grottesca, gigantesca mano di una strega si protese verso il cielo notturno, scintillando alla luce dei fari e della mezzaluna che sembrava voler ghermire tra le sue dita.
Seto Kaiba tolse la mano dalla superficie ghiacciata dell'acqua, dandosi una rassettata alla giacca del suo completo bianco. Si avvicinò a passo deciso ad Atem, rimasto ad osservare impassibile la scena a poca distanza.
Tutto quello che fece fu consegnargli una carta da gioco dal dorso dorato. Atem la prese tra le sue dita senza dire una parola, e fu con quello stesso silenzio che Seto Kaiba si allontanò verso la scala e sparì, inghiottito nel buio.
Il corvo fece ritorno. Volò in cerchio un paio di volte prima di appollaiarsi sulla Regina caduta. Mosse piano le ali, arruffò le penne e lo scrutò curioso con i suoi tre occhi.



___________________________________


La Satellite Tourist Trophy non è altro che una citazione alla Isle Of Man Tourist Trophy, una corsa motociclistica di autentici scavezzacolli suicidi. Si corre solitamente la prima settimana di giugno sul circuito stradale dello Snaefell Mountain Course, sull'Isola di Man: trentotto miglia di strade asfaltate che si snodano lungo tutta la costa dell'isola, strade adbibiti a circolazione civile che vengono opportunamente chiuse per la competizione. I piloti si lanciano a velocità folli su salite, discese, dossi stradali, manto stradale non proprio bellissimo, e ha fatto parte delle primissime edizioni del Motomondiale prima che venisse eliminata come corsa perché troppo pericolosa. Vi lascio un video esplicativo qui ----> https://www.youtube.com/watch?v=LU-ynRoqDEs così potrete vedere di persona di cosa si tratta, e decidere da voi se Jack Atlas e Crow Hogan son dei pazzi o meno.

Come state carucci? La mia sessione invernale si è conclusa prima del previsto causa Covid-19 o coronavirus come volete chiamarlo, obbligandomi a posticipare altri due esami a giugno. Volevo darne sette, alla fine sono diventati cinque, forse un altro lo farò ad aprile. Devo ancora capire come intendono gestire lezioni ed esami. Intanto scrivo quello che voglio, aggiorno dove devo, sistemo la mia stanza incasinata e vado avanti con la mia vita incasinata.
Vediamo qui Seto Porcaputtana Kaiba in azione e direi anche in perfetta forma! E un primo incontro ravvicinato tra Yusei e il Re, il suo rivale di sempre. Ho voglia di rivedermi 5D's adesso, ma le idee reclamano attenzione quindi credo approfitterò del solito momento in cui il cervello mi si spegnerà, creativamente parlando, per rivedermi le avventure di Yusei&Co.
Fatemi sapere che ne pensate, ci rileggiamo presto!

Rosaspina

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Capitolo 16
*** 14- Falle nel sistema - parte 1. ***


Pharaoh's Kingdom 16


14- Falle nel sistema - parte 1.


La Scienza dei Computer non riguarda i computer più di quanto l'astronomia riguardi i telescopi.
Esdger Wybe Dijkstra






    -    Quindi erano loro?- domandò Aki, stupita – I tanto decantati Jack Atlas e Crow Hogan?-
Vide Yusei annuire senza metterci troppo entusiasmo, mentre sistemava diligentemente bottiglie e bicchieri nelle mensole del piano di sotto. La rossa lo scrutò brevemente, incerta su che stato d'animo attribuirgli.
Il ragazzo del Satellite era stato pervaso da un malumore che si era impossessato di lui fino a fine serata. Jack Atlas e Crow Hogan erano rimasti lì fin quasi all'orario di chiusura, e quando si erano allontanati e l'avevano salutato aveva risposto loro con qualcosa di paragonabile un grugnito. Perfino Yuya sembrava aver notato la cosa e aveva fatto molte meno battute del solito, quasi non volesse infastidire troppo il capobar o distrarlo dal suo stato pensieroso.
Aki, di sua spontanea volontà, aveva scelto di non tempestarlo subito di domande. Era davvero curiosa a riguardo della faccenda, ma l'ultima cosa che voleva era indispettire o far arrabbiare Yusei più di quanto già non lo fosse: l'improvvisa apparizione di quelli che erano suoi vecchi compagni sembrava averlo davvero turbato.
Non era bello vederlo con quell'aria accigliata.

    -    In carne ed ossa- lo sentì rispondere poi – Le ultime persone che mi sarei aspettato di rivedere, soprattutto dopo tutto questo tempo passato-
    -    Quasi sette anni, davvero?-
    -    Incredibile, eh? E ora si fanno avanti per risolvere i loro comodacci...figuriamoci-
Aki non aveva capito molto dai loro discorsi,  ma sembrava che volessero coinvolgere Yusei in qualcosa di davvero grosso e importante, almeno per loro, e il capobar si era bruscamente tirato indietro dalla questione. In un certo senso, Aki comprendeva il suo punto di vista: dopo sette anni, o quasi, di silenzio, nessuno poteva farsi avanti e chiederti un favore in nome di un'amicizia che sembrava essere stata cancellata dagli eventi, tanto meno chiamando in causa qualche favore fatto in precedenza; come Yusei sembrava pensare, non aveva chiesto aiuto a nessuno, ma si era fatto di proposito carcerare per aiutare un amico.
Che poi le cose fossero finite così male, era un altro conto.
D'altra parte, la rossa non riusciva a togliersi dalla testa l'idea che quell'improvvisa difesa non fosse altro che, di fatto, una facciata, una muraglia eretta quasi a dispetto.
Quei due gli erano mancati, glielo leggeva negli occhi; quegli stessi occhi che, molto spesso nell'arco della serata, si erano alzati verso quel tavolo dove i due conversavano amabilmente e dove avevano firmato anche qualche autografo, riconosciuti da alcuni appassionati del mondo delle corse. Lui stesso aveva ammesso di pensare spesso a loro, più di quanto desse a vedere, e lei aveva notato la malinconia nel suo sguardo quando, quel passato pomeriggio in spiaggia, le aveva raccontato di loro.
Yusei era felice di rivederli e constatare che stessero bene. Ma quello che era successo in passato era davvero troppo, per non esserne condizionato e cambiare il suo umore di conseguenza.

    -    Che cosa pensi di fare con loro?- domandò Aki, strofinandosi le mani sul grembiule, appena terminato di mettere tutto a posto. Yusei si strinse nelle spalle.
    -    Li ignorerò- rispose poi – Come loro hanno fatto con me per tutto questo tempo. Se davvero hanno bisogno di un pilota, se lo andassero a cercare da qualche altra parte. Ho chiuso con le corse. Ho altre priorità ora. Devo studiare, ho da preparare una tesi-
    -    Fammi indovinare...sulle stelle?-
Aki provò a cambiare direzione del discorso, desiderosa di vederlo senza più quello sguardo cupo ad adombrargli il volto. E sembrò funzionare: Yusei si voltò verso di lei, gli occhi fattisi improvvisamente più vispi. Aki sorrise a sua volta, contenta di aver risvegliato il suo interesse.
    -    Non proprio le stelle!- esclamò lui, alzando perfino un dito indice con fare professionale – Ma sulle galassie nane! O meglio, su un buco nero sviluppatosi all'interno di una di esse!-
    -    Un buco nero dentro una galassia nana?!-
    -    Già! È molto più frequente di quello che pensi, Aki, non pensare. Di buchi neri ne sono stati scoperti a centinaia di migliaia, veri e propri mostri che fagocitano tutto ciò che incontrano, con una massa di oltre dieci miliardi di volte quella del nostro Sole. Nell'ammasso galattico della Chioma, a 300 milioni di anni luce da noi, c'è un buco nero di 21 miliardi di masse solari-
    -    Io non so neanche come si scrive, 21 miliardi...-
    -    Ahahah! Capisci ora cosa abbiamo per le mani? Il fatto è proprio questo! I buchi neri si trovano sempre in zone dell'universo molto affollate, regioni popolate da migliaia e migliaia di galassie: è come entrare in una megalopoli e cercare un bar, ovunque ti giri ne sei circondato. Ma questo che ho per le mani, Aki...questo potrebbe davvero rivoluzionare il concetto di studio applicato fino ad ora-
    -    Cioè? Vuoi parlarmene? Sempre che non sia top secret...-
    -    Lo è più o meno, ma non so quanto ti interessi l'astronomia...-

Le interessava invece. Tanto quanto piaceva a lui: non capiva molto di quello che diceva a volte, usava dei termini tecnici e faceva dei ragionamenti troppo complicati per lei che era un aspirante medico, ma a lei andava bene anche solo sentirlo parlare di questo. Quando discuteva della sua materia di studio sembrava...illuminarsi. Il bambino che era in lui, quello a caccia di stelle col suo telescopio, saltava fuori e raccontava meraviglie di quel cielo stellato su di loro.
    -    Dimmi allora! Cosa si è scoperto?- domandò Aki, sorridente, mentre Yusei si slacciava il grembiule.
    -    Attraverso una serie di lunghe osservazioni e con l'aiuto di di strutture avanzate che ci hanno messo a disposizione gli strumenti, e a caro prezzo aggiungerei, è saltato fuori un buco nero supergigante rinvenuto nel centro di una galassia ellittica- spiegò Yusei, allargando le braccia con enfasi – E questa galassia fa parte di un ammasso di solo venti galassie nella costellazione di Eridano! Capisci? Un buco nero con una massa di 17 miliardi di volte quella del Sole, al centro di una galassia di una regione spaziale che è semivuota!-
    -    ...Non credo di capire- borbottò Aki, grattandosi una guancia incerta. Si stava infilando in un tortuoso budello, stava per pagare cara la sua curiosità... – Quindi c'è questo gigantesco buco nero rinvenuto in una galassia piccola...perdonami, ma la grandezza di un buco nero non sarebbe legata alla grandezza della galassia che lo contiene?-
Per quanto avesse tirato ad indovinare, pareva proprio che ci avesse preso: Yusei le afferrò le mani con impeto, stringendogliele e facendola sobbalzare.
    -    Esatto!- esclamò poi: Aki aveva ragione, gli occhi gli brillavano! - E proprio questa è la scoperta! Finora si era ritenuto che la massa dei buchi neri fosse legata alla grandezza della galassia o degli ammassi di galassie che li ospitano...ma quello che stiamo studiando è talmente grande che da solo supera di gran lunga la massa dell'intera galassia che lo contiene! Molto probabilmente è nato dalla collisione di due o più galassie i cui buchi neri si sono uniti, questo non lo sappiamo con certezza ma è l'ipotesi più plausibile-
    -    E una cosa del genere è possibile?-
    -    Possibilissima! Le galassie viaggiano nello spazio, e quando una di queste passa troppo vicino al centro di una galassia ancora più grande, questa le “strappa” le sue stelle. Un caso del genere è stato osservato da uno studio dell'osservatorio di Mauna Kea nelle Hawaii: quella che è attualmente la più piccola galassia conosciuta è passata accanto ad una immensa nel cui centro si trova un buco nero super massiccio, con il quale finirà poi per fondersi in seguito. Ma la galassia in questione si trova in una regione spaziale super popolata, e le collisioni in questi punti sono molto frequenti...quello che abbiamo per le mani è un evento più unico che raro! Potrebbe rivoluzionare completamente il nostro modo di studiare i buchi neri e le galassie tutt'intorno!-

Ma quanto era bello sentirlo parlare di stelle, pianeti, galassie e buchi neri? Era bello sentirlo parlare a prescindere, con quella bella voce calda e vibrante, ma ascoltarlo mentre discuteva della sua materia di studio era fantastico: sembrava pervaso da un'euforia che aveva visto solo nei bambini quando finivano di vedere un film particolarmente avvincente, il volto disteso e sorridente come mai. In pochi attimi sembrava aver dimenticato la faccenda di Jack e Crow, e per quanto fosse difficile stargli dietro mentre snocciolava nozioni scientifiche non intendeva fermarlo: rimase ad ascoltarlo per interminabili minuti, concentrata unicamente sulla sua voce fattasi allegra e sul volto illuminato di gioia e passione per i suoi studi.
    -    Allora andiamo?-
La domanda la colse alla sprovvista. Aki sbatté rapidamente gli occhi, osservandolo lievemente confusa.
    -    A-andiamo dove?- gli domandò.
    -    A farci un bagno! L'hai portato il costume vero?-
    -    Eh? Ah, certo! Ah, quel bagno! Vado a cambiarmi, ci rivediamo sopra!-
    -    Sopra?-
    -    ...Non credo stiamo parlando della stessa cosa-
    -    No, neanche io! Ehi, indossa i tuoi vestiti che spero siano comodi e raggiungimi al parcheggio!-
Aki annuì senza dire altro, uscendo dal bancone e dirigendosi verso i camerini.

    -    Seriamente, Yusei...- disse la voce di Judai a poca distanza – Sei l'unico capace di far innamorare una ragazza parlando di buchi neri-
    -    ...Che diavolo dici, anche tu!- sbuffò poi il capobar, uscendo a sua volta dal bancone – Mi ha chiesto qualcosa dei miei studi e le ho risposto!-
    -    Aha, e lei ti ha guardato tutto il tempo come se le stessi improvvisando uno spogliarello-
    -    Lo so, me ne sono reso conto-
    -    L'hai cotta davvero bene...-
    -    Non era mia intenzione-
    -    Cosa pensi di fare?-
    -    In che senso?-
    -    Come in che senso? Con lei!-
Yusei si mordicchiò il labbro inferiore, dubbioso, non capendo dove il suo collega volesse arrivare.
    -    Judai, se stai prendendo la palla al balzo per rigirarti il coltello dalla parte del manico...-
    -    Ma che stai dicendo! Voglio solo sapere come va tra voi due! Non eri interessato a lei?-
    -    Certo che lo sono!-
Solo quando si accorse della birbona espressione di Judai si rese conto del madornale errore commesso. Yusei imprecò a mezza bocca, scuotendo il capo e, tuttavia, non riuscendo a reprimere un sorriso.
    -    Tu sei uno stronzo- sibilò poi -  Mi fai anche ammettere le cose ad alta voce-
    -    Lo so! Io lo trovo divertente!-
    -    Io ti ammazzerei volentieri...-
    -    Aaaah, non lo faresti mai! Sono il tuo migliore amico dopotutto!-
    -    Conosci molto bene la tua posizione...-
    -    Ehi, a proposito di amici...Yuya? Che fine ha fatto?-
    -    Se n'è andato poco prima della chiusura. Ha detto di non sentirsi bene-
    -    ...Il suo solito?-
    -    Temo di sì-
Judai annuì, arricciando il naso.



****



Succedeva sempre più di rado, ma quando capitava Yuya si ritrovava sempre senza difese. Completamente inerme in balia dei mostri. Scosse il capo, mise il cavalletto alla motocicletta e si sfilò casco e occhialetti, prendendo l'uscita del garage. Si stropicciò gli occhi, stanco, assonnato e quasi arrabbiato con sé stesso, il cuore stretto e un groppo alla gola che non voleva saperne di scendere giù.
Era tutto iniziato a metà serata, senza un apparente motivo come spesso accadeva: di colpo il suo umore cambiava totalmente, facendogli perdere interesse nella sua attività preferita e proiettandolo in una dimensione quasi a parte, completamente estranea a quella terrazza piena di gente. Aveva provato a convincersi che fosse per l'assenza di Yuma, con scarso risultato: lavorare insieme ad Aki gli piaceva da morire, era una ragazza gentile e sapeva essere anche divertente, e poi vederla mentre si perdeva in voli pindarici su Yusei (perché era palese che provasse attrazione per quel ragazzo...) gli suscitava una tenerezza indescrivibile, forse perché in qualche modo gli ricordava Yuzu. Ecco, Yuzu: aveva provato a ripetersi anche che era per la sua assenza, rimasta a casa quella sera per portarsi un po' avanti con gli studi. Ma no, c'era ben altro sotto, e lo sapeva, lo sentiva eppure si rifiutava di accettarlo.

Non ne poteva più. Era perfettamente cosciente di quegli sbalzi di umore, e sebbene fossero diminuiti col tempo, quando tornavano sembrava sempre più difficile contrastarli. Il mostro diventava sempre più grande e sembrava possederlo con sempre più facilità.

Provava rabbia quando sentiva le persone intorno a sé usare un termine come depressione con invidiabile scioltezza. La gente tendeva a minimizzare, quasi ridicolizzare l'impatto di quel brusco cambiamento emotivo: ogni scusa era buona per proclamarsi tristi o depressi, il più piccolo stress quotidiano faceva scattare vere e proprie reazioni di panico. Essere tristi perché il capo aveva chiesto due ore di straordinari in più e bisognava rinunciare ad una serata, o perché i saldi erano iniziati e non c'era più quella fighissima giacca esposta in vetrina, non aveva nulla a che fare con la depressione.
E quando Yuya sentiva gli altri sminuire un simile stato d'animo diventava furioso.
Sentirsi spossato, privo d'interesse, avaro di desideri capaci di accendere le proprie giornate; sentire l'energia vitale cominciare a mancare e, poco a poco, assistere impotenti al morire di qualsiasi pulsione che l'aveva fatto avanzare fino a quel momento. Ecco, quella era depressione. Quel senso di inadeguatezza a ciò che lo circondava, che lo attanagliava fin da quella terribile perdita.

Yuzu si sarebbe arrabbiata da morire a saperlo, ma Yuya non poteva fare a meno di continuare a mortificarsi per la morte del padre, addossarsene la piena colpa. Aveva sempre sostenuto che, fosse stato più forte e capace di difendersi da solo, suo padre non avrebbe trovato necessità di intervenire e non sarebbe mai uscito di casa; non avrebbe mai preso l'auto, non avrebbe mai attraversato quel dannato incrocio.
Suo padre sarebbe stato ancora vivo. Vivo, e pronto a guidarlo e consigliarlo, con saggezza e amore come l'aveva abituato.
Ritrovarsi senza di lui di punto in bianco aveva avuto effetti catastrofici. C'era voluto del tempo perché uscisse da quel suo guscio, e per quanto si sforzasse non ne era mai stato fuori del tutto. E quei cambi repentini d'umore ne erano la prova.
Aveva bisogno di aiuto. Qualcosa che gli desse quel definitivo calcio per rimettersi a posto.

Schiuse dolcemente la porta di casa, richiudendosela alle spalle. L'appartamento era immerso nel silenzio totale, ma la finestra della camera da letto era rimasta semiaperta, a giudicare dalla luce che entrava. Lasciò il casco e la giacca sull'appendiabiti dietro la porta, sfilandosi gli occhialetti dalla testa mentre varcava la soglia della stanza.
Yuzu era lì. Tutta raggomitolata su un fianco come un gatto, aveva intorno a sé libri, quaderni e penne, e il cellulare stretto nella mano sinistra. Ecco perché non aveva più risposto ai suoi messaggi: aveva immaginato si fosse addormentata di colpo, e ci aveva preso. Con delicatezza e quanto più silenziosamente possibile gli riusciva raggruppò libri, quaderni e dispense e li posò sulla sua scrivania; recuperò penne e matite, riponendole con cura nell'astuccio e mettendolo in cima ai libri impilati sul ripiano. Le sfilò con dolcezza il telefono dalla mano, posandolo sul comodino, prima di sedersi accanto a lei, scalciando per liberarsi delle scarpe ed incrociare i piedi sotto di sé.

Allungò una mano e le sfiorò delicatamente i capelli che le ricadevano sulla fronte, riportandoli dietro l'orecchio sinistro. Era ancora vestita con la sua maglietta dei Bad Religion, i capelli rosa erano lasciati sciolti.
L'unica persona che era stata in grado di sostenerlo. L'unica che avesse visto davvero il vuoto, il buio che portava con sé e l'aveva accettato. Yuya a volte si scervellava, si chiedeva cosa mai avesse fatto per meritarsi una simile ragazza al suo fianco; quand'era così Yuzu era molto lesta a fargli recuperare il senno in mille modi, uno più divertente e piacevole dell'altro. L'ultima volta l'aveva trascinato nell'impresa, a dire del ragazzo assurda, di creare una torta arcobaleno. Impresa definita appunto assurda perché vederla cucinare gli scatenava sempre qualcosa che Yuzu soprannominava scherzosamente come “ben altro tipo di mostro”. Nove su dieci finivano con l'arrangiarsi tra il pianerottolo della cucina e il tavolo su cui stavano cucinando, perché arrivare in stanza era troppo complicato e dispendioso in termini di tempo; restavano digiuni ma sazi e appagati in ben altro modo.
Solo lei sembrava in grado di dissipare quella coltre nera che gli stringeva il cuore.
Le si accovacciò accanto, studiandole il volto disteso e rilassato, prendendole una mano e portandosela alle labbra. Era stanco, sudato, aveva bisogno di una doccia, ma abbandonare il suo fianco era l'ultima cosa che voleva adesso.

Il movimento sembrò ridestarla. Yuya scorse il lieve tremolio delle palpebre e il loro lento dischiudersi: quegli occhi blu che ogni volta facevano capitolare le sue difese si aprirono per osservarlo. Le labbra di Yuzu si curvarono in un dolce sorriso, la mano sinistra si sollevò per accarezzargli il volto.
    -    Yuya- lo chiamò, la voce ridotta ad un soffio – Sei tornato-
Yuya annuì, sorridendo a sua volta. Accorciò le distanze, la strinse in un forte abbraccio e la baciò, prima di nascondere il volto tra i suoi capelli.
Passarono pochi secondi prima che Yuzu sentì la sua schiena scossa dal primo singhiozzo. Gli prese rapidamente il volto tra le mani, lo osservò con sguardo contrito: le lacrime gli stavano già scendendo lungo le guance, un pianto silenzioso e non per questo meno carico di sofferenza. La giovane lo chiamò, pizzicandogli le guance, raccogliendo con le labbra le lacrime salate; Yuya alzò una mano e asciugò una scia luminosa con il gesto di un bambino.
    -    Yuya...-
    -    Mi-mi dispiace...io ci provo a-a non farmi trascinare ma...è più forte di me. Io-io non credo di riuscire a superarlo mai!-
    -    Yuya, vieni qui-
La giovane se lo strinse al petto con forza, soffocando i suoi singhiozzi e ignorando le sue mani aggrappatesi alle sue braccia. Pose un bacio sulla fronte, tra i capelli umidicci; Yuya mollò la presa sulle braccia per incrociarle alla vita di lei.
    -    Scusami- lo sentì mormorare – Mi-mi ritorna ancora tutto, a volte. Non so più cosa fare, Yuzu-
    -    Non scusarti. Non devi. E non devi arrenderti-
    -    Non posso andare avanti ancora a lungo-
    -    Ci sono io con te-

Gli prese di nuovo il volto tra le mani, posandogli un bacio sulle labbra.
    -    Sei sempre dell'idea di non voler andare a vederlo?- gli domandò.
Yuya scosse con forza il capo.
    -    Sai che stai rimandando l'inevitabile, Yuya. Sono sei anni ormai-
    -    Lo so. Ma non riesco. Il solo pensiero mi fa...mi fa...-
    -    Ehi, basta ora-
Lo scrollò lievemente, prima di sfiorargli il naso con il suo.
    -    Non vuoi? Va bene- gli disse – E allora non parliamone più. Facciamo che adesso ci spogliamo e facciamo una doccia insieme? Ne ho bisogno anche io-
Yuya non rispose verbalmente, ma si stropicciò un occhio sempre con quel gesto un po' infantile e annuì con la testa.
Fu lui il primo ad afferrare i lembi della maglietta di lei e ad alzargliela sulla testa, sfilandogliela con un unico gesto. Non aveva altro sotto, il caldo l'aveva portata a coprirsi il minimo indispensabile. Yuya lasciò che lei gli sfilasse la t-shirt replicando il movimento, prima di spingerla sul materasso ed incastrarla su di esso col suo corpo. Yuzu non si tirò indietro, lasciando che le baciasse il volto, le labbra, il collo, ovunque riuscisse a raggiungerla.
    -    Yuya...Yuya la doc--
Quando sentì la sua mano chiudersi sulla coscia sinistra le mancò il fiato di colpo.
    -    Possiamo farla anche dopo. Stammi vicino, ti prego-
    -    Non pregarmi, lo sai che non c'è bisogno-
Certo che lo sapeva, Yuya; lo sapeva eccome, eppure non trovava altro modo per ribadire il suo desiderio, la sua irrefrenabile voglia di starle vicino.
In quei momenti di buio totale, Yuzu era la luce in fondo al tunnel.



****



Quando la Bimota si arrestò accanto al muretto che separava il marciapiede dalla strada, ad Aki fu finalmente chiaro cosa Yusei avesse in mente, per bagno.
Con i costumi da bagno indossati sotto i loro abiti normali, avevano lasciato velocemente il Pharaoh's Kingdom, salutando tutti e montando in sella mentre Judai entrava nell'auto di Alexis. Li avevano superati con un lampeggio di fanali e una mano alzata, Aki già stretta con sicurezza al ragazzo.
Avevano passeggiato tranquillamente per le vie della città, come se avessero avuto tutto il tempo del mondo a disposizione, la moto che borbottava quieta sotto le loro gambe. Aki aveva sorriso, osservando il sole che sorgeva dal mare.
Poi si erano fermati accanto al muretto e Yusei le aveva fatto cenno di scendere. Ed era stato tutto più chiaro.

Scavalcarono agilmente il muretto, i caschi in mano e Yusei che portava con sé lo zaino, sostenendo fosse più pesante del solito. Ne cavò due grossi teli da mare, uno blu e uno rosso, piuttosto vecchi a giudicare dai colori stinti: li stese con cura sulla sabbia, lasciò lo zaino proprio nel mezzo.
    -    Direi che è ora di farsi questo bagno, no?-
Le sue parole suonarono lontane come un eco indistinto; momentaneamente inginocchiata sul telo rosso, a controllare se sul cellulare le fossero arrivate delle chiamate o messaggi, Aki sollevò gli occhi su Yusei, in piedi accanto al telo blu. Lo osservò liberarsi degli stivaletti da moto e armeggiare sulla cintura, sfilandosi i pantaloni con un paio di scalciate.
Non riuscì a distogliere lo sguardo in alcun modo, non che ci avesse seriamente provato...gli occhi osservarono le sue mani tirare lievemente verso l'alto i lembi della maglietta: le cicatrici sul ventre biancheggiarono al sole. Si scoprì con un unico, veloce gesto, il profilo che si stagliava contro il sole nascente e i capelli lievemente scompigliati, prima di stiracchiarsi con le braccia alzate e avere la mirabolante e ammirevole idea di mettere tutti i muscoli in tensione. La rossa trattenne il fiato.
Benissimo Aki, contenta? Ti ha fatto anche lo spogliarello, cosa vuoi di più?!, si disse, deglutendo e mordicchiandosi il labbro inferiore. Direi che sia il caso di recuperare la lingua che ti è indegnamente cascata a terra, eh?

Osservò Yusei accovacciarsi per qualche attimo, il tempo di ripiegare accuratamente i suoi vestiti sotto i suoi occhi sorpresi, prima di rimettersi in piedi e osservarla con sguardo divertito, le mani sui fianchi. Seriamente, ma si rendeva conto dell'effetto che le faceva?!
    -    Allora? Non vieni?- le domandò poi, sorridendole.
Aki prese un respiro, consapevole di avere le guance dello stesso colore dei capelli.
    -    Dopo- si limitò a rispondere poi – Voglio scaldarmi un po', prima-
    -    Come preferisci! Ma non metterci troppo, altrimenti sarà peggio dopo! Io mi tuffo!-
E lo fece davvero. Le rivolse un ultimo sorriso prima di incamminarsi verso l'acqua, regalandole una bella vista della schiena tornita. Aki si lasciò sfuggire un sospiro senza preoccuparsi di essere udita: a quel punto non faceva più alcuna differenza.
Lo seguì con lo sguardo entrare in acqua con fare sicuro, senza mai voltarsi, e tuffarsi di testa sparendo nell'acqua. Riemerse poco più in là, agitando un braccio per richiamare la sua attenzione ed invitarla in acqua.
Aki sorrise: sembrava davvero aver dimenticato tutta la faccenda di Jack e Crow. Per un attimo ne fu orgogliosa.

    -    Dai! Non è così fredda come pensi!- esclamò Yusei, in piedi lì dove l'acqua era più bassa.
    -    E va bene, arrivo!-
Yusei si mise fieramente le mani sui fianchi, osservandola togliersi velocemente le scarpe e svestirsi pezzo dopo pezzo. La maglietta fu la prima cosa ad andare via, lasciata cadere sul telo con una noncuranza che, nella sua mente, fu tutta studiata. Uscì dai pantaloni con un veloce gesto, chinandosi quel che bastava per facilitare l'operazione e lasciarli lì, accanto alla maglietta.
Lo sta facendo apposta?!
Yusei scosse il capo costernato e si sedette nell'acqua, lasciando che spuntasse fuori dalle spalle in su. Fin troppo carina in quel due pezzi arancione, Aki quasi zampettò (sì, gli venne in mente proprio quel termine...!) fino alla riva, lasciando che le onde gentili della risacca le bagnassero i piedi; prevedibile, un gesto così vezzoso e tipico di una ragazza, Aki si lasciò sfuggire un gemito e si ritrasse un poco, stringendosi nelle braccia.
Doveva forse ringraziarla per mettere meglio in evidenza il bel seno così?! La vista di quella pelle candida gli bastava.
    -    Non è fredda dici?!- gli gridò dietro dalla riva – Hai una percezione totalmente sballata delle temperature, caro mio!-
    -    Oh andiamo! Buttati e basta e non tergiversare, sarà peggio altrimenti!-
Aki sembrò accogliere il suggerimento: la giovane si avvicinò risoluta alla riva ed entrò in acqua, raggiungendolo a grandi passi, le braccia lievemente alzate quasi avesse paura di toccare l'acqua per lei fredda. Yusei si alzò dolcemente in piedi, sorridendole contento, osservandola restituire il sorriso.
Poteva uccidere per uno sguardo simile.

    -    Non ti tuffi?- le domandò poi, le mani sui fianchi.
Ebbe l'impressione che Aki fosse più propensa a guardarlo per bene che altro, ma fu solo un'impressione. Yusei reclinò il capo, divertito.
    -    Nnnon subito- rispose lei – La trovo ancora fredda-
    -    Fidati, una volta tuffata sarà meglio, ti ci abitui-
    -    E grazie al...ooooh...-
Il giovane reclinò il capo all'indietro e scoppiò a ridere, come poche volte Aki l'aveva visto.
    -    Giuro Aki, quando ti agiti sei davvero troppo carina!-
La giovane spalancò gli occhi. Carina aveva detto? Perfino quando si agitava?!
Prima che potesse totalizzare ciò che aveva sentito, il giovane allungò una mano su di lei e la spinse all'indietro; colta di sorpresa, Aki perse l'equilibrio e cadde a sedere nell'acqua, tra urla e grandi schizzi. Il freddo la investì di colpo, facendola rimettere immediatamente in piedi, imprecando tra i denti.
Alle orecchie le giunse la risata di Yusei.
Okay, si stava divertendo un po' troppo per i suoi gusti!
Senza perdere tempo, e favorita dall'effetto sorpresa visto che il ragazzo sembrava più preso dal ridere che guardarsi intorno, Aki gli si avventò letteralmente addosso. Non aveva la sua stessa forza e non poteva sperare di scagliarlo in acqua con una spintarella come lui aveva fatto, doveva per forza usare il suo stesso corpo come aiuto.
Ebbe il tempo di registrare la compattezza di braccia e petto, prima che entrambi finissero in acqua.
    -    Eheh, immagino di essermelo meritato!- ridacchiò Yusei, una volta riemerso, mentre si stropicciava gli occhi.
    -    Te lo sei meritato eccome!- sbottò Aki – Non potevi aspettare che mi tuffassi di mia spontanea volontà vero?-
    -    Aaaah insomma quanto borbotti!-
    -    Disse il musone patentato!-

Le risate li scossero nell'acqua, divertiti come ragazzini. Yusei si prese qualche attimo per osservarla, i capelli umidi e il volto gioioso.
Sempre più bella ogni giorno che passava.
    -    Come stai?- le domandò lei, reclinando dolcemente il capo di lato, quasi a volerlo osservare meglio. Per Yusei fu subito chiaro a cosa si riferisse; fece spallucce, lo sguardo lontano.
    -    Meglio- rispose poi – Ancora un po' amareggiato, ma non come prima. Eh...immagino che dovessi prevederlo, che le nostre strade si incrociassero di nuovo-
    -    Ti sono mancati, dì la verità-
    -    Mortalmente. Forse è per questo che non accetto che si siano fatti vivi per questa motivazione-
Lo disse con tono sincero, autentico. Aki si mordicchiò il labbro inferiore: era un gesto che Yusei le vedeva fare spesso e, neanche a dirlo, gli piaceva da morire.
    -    Perché non ne riparlate a mente più fredda?- domandò la giovane – Detta così su due piedi può dare effettivamente fastidio...magari aspetta un paio di giorni e riparlatene no? Non credo ci sia solo quello a spingerli-
    -    E cosa allora? Sono in battaglia per il titolo di campioni e gli manca un pilota, e hanno pensato a me. Dopo sette anni di silenzio-
    -    Ma ti hanno pensato! Già solo questo vuol dire che non ti hanno dimenticato, che ti considerano ancora uno di loro!...Più o meno-
    -    Brava, è quel più o meno che non mi convince-
  -    Ehi, che ne sai? Magari Jack e Crow non hanno potuto mettersi in contatto con te per tanti motivi...sai come funziona con gli ambienti professionisti...devi essere iperconcentrato su quello che fai e non permetterti distrazioni-
    -    E non mostrarti in pubblico con ex galeotti-
    -    Questa è una stronzata-

Yusei si voltò di scatto verso la ragazza, sorpreso. Non la sentiva imprecare spesso.
Il fatto era che riusciva a trovarla carina anche quando scaricava insulti ed improperi...la cosa stava davvero degenerando.
    -    Anche Crow è stato nella Struttura, vero?- domandò la rossa. Yusei annuì.
    -    Quando era più giovane, più di una volta-
    -    Esatto! Eppure lui mostra i suoi segni in mondovisione!-
    -    ...Non so quanto conti ma credo di aver capito cosa intendi. Possiamo non discutere di questo, Aki? Per favore-
Aki schiuse le labbra, quasi a voler dire qualcos'altro, poi annuì.
    -    Come preferisci Yusei- rispose poi – Parliamo di qualcos'altro allora...non so, delle tue galassie magari, ragazzo delle stelle?-
    -    Come mi hai chiamato?!-
    -    Non ti piace?-
    -    Al contrario! È solo che è la prima volta che lo sento-
    -    Mi piace, trovo che ti stia bene! In fondo sei un aspirante astronomo no? E conosci tutte le stelle del firmamento!-
    -    Non tutte, magari...-
    -    Beh, quasi tutte! Ecco, per me sei il ragazzo delle stelle! Che ti piaccia o no-
Il sorriso che le rivolse sarebbe bastato da solo a illuminare l'intera Nuova Domino per le prossime due notti a venire.
    -    Mi piace- le rispose poi – Mi piace davvero, ragazza delle rose-
    -    ...E questa da dove viene?!- domandò Aki, stupita.
    -    Da quando ti ho vista nel giardino di casa tua, accanto al roseto. Penso che come fiore ti rappresenti davvero bene!-
Le sfiorò il volto con una mano bagnata, facendola sobbalzare.
    -    Bella e con un caratterino...- commentò Yusei.
    -    ...Un caratterino eh? E che caratterino avrei io? Ah! Sentiamo un po'!-
Prima che lo decidesse davvero, Aki colmò la distanza tra loro e gli saltò di nuovo addosso, trascinandolo ancora in acqua. Tra onde, schizzi d'acqua e risate, Aki sentì il proprio cuore farsi più leggero ed abbandonare le preoccupazioni quotidiane.





    -    ...Io non ho mai provato istinti omicidi-
Il silenzio li circondò improvvisamente. Seduti tutti quanti allo stesso tavolo, a turno appena ultimato e con il sole che albeggiava, Yugi osservò uno per uno i suoi compagni, sbattendo un paio di volte gli occhi ametista: Honda e Jonouchi sembravano mandarsi saette con gli occhi, mentre Anzu li osservava a metà tra il divertito e il pensieroso, e Bakura studiava con grande attenzione la sua bottiglia di birra.
    -    Che voi sappiate il vetro è commestibile?- domandò poi il ragazzo – Ho una gran voglia di mordere qualcosa...-
    -    Sarebbe preferibile di no!- esclamò Yugi, stropicciandosi gli occhi e ridacchiando insieme agli altri – Honda, tocca a te-
    -    Allora vediamo...io non ho maaaaaai provato attrazione, di qualsiasi tipo, per una persona del mio stesso sesso. Jonouchi?!-
Con la mano ferma e chiusa sulla bottiglia, il biondino sollevò lo sguardo sui suoi amici, deglutendo nervosamente.
    -    Posso spiegare!- esclamò poi, un attimo prima che Bakura scoppiasse a ridere come un'idiota, dondolandosi sulla poltroncina – Posso spiegare e tu smettila di ridere! Non sapevo fosse un uomo!-
    -    MA COSA VUOL DIRE?!- sbottò Yugi, ridendo a sua volta.
    -    Vuol dire che mi ha confuso le idee! Era decisamente troppo effeminato! E le luci del locale non hanno aiutato!-
    -    Uahahah! Yugi, cosa ti sei perso quella volta...!- esclamò Bakura, tenendosi la pancia – La serata più divertente della mia vita, giuro!-
    -    Per te sicuramente! A me son spuntati i capelli bianchi dopo quella!-
    -    Eh, come ti capisco...è un grosso problema!-

Jonouchi sbatté rapidamente gli occhi prima di posarli sulla figura di Bakura, che ghignava dietro il dorso della mano destra; il sole che nasceva gli striava di scie luminose i capelli candidi, da sempre poco inclini a lasciarsi disciplinare da un pettine. Il biondino strinse gli occhi in una smorfia, scuotendo il capo.
Il gioco era, in sé, molto semplice e stupido, ma come tutte le cose semplici e stupide risultava mortalmente divertente, oltre che inesauribile fonte di fesserie dalle più sceme alle più scabrose: quella che Yugi stava bevendo, a differenza dei compagni, era semplice acqua liscia, eppure si sentiva allegro e con il cuore leggero, come quella sera quando Yuma gli aveva allungato il bicchiere di Vodka Lemon a stomaco vuoto. Jonouchi e Honda avevano già vuotato due bottiglie, Bakura era ancora alla prima; Anzu, invece, si era tirata indietro da quel gioco strano e si dilettava a fotografare i suoi compagni.
Atem sembrava sparito, dileguatosi poco dopo la chiusura. Aveva lasciato a Yugi le chiavi del locale, raccomandandosi di non “lasciare casino in giro”; il ragazzo ne aveva approfittato per godersi l'alba con i suoi amici a bordo piscina, prima di tornare tutti quanti a casa.
Il come ci sarebbero tornati, però, stava tutto in quel giochino idiota.
Dei tre, quello che meglio reggeva l'alcol era proprio Jonouchi: un paio di birre non bastavano per mandargli in tilt reattività e cervello. Bakura, invece, possedeva minore resistenza, ed era infatti lui quello che si ritrovava a ridacchiare più spesso per le fesserie. Honda era la perfetta via di mezzo, eppure anche lui stava cominciando a mostrare segni di cedimento.

E poi c'era Yugi che non aveva bisogno di una bottiglia di birra per ridursi il cervello a una pappina molle.
Anzu girava loro intorno come un'ape intorno ad un mazzo di fiori, scattando foto con il cellulare: chissà perché, ma trovava divertente l'idea di vederli tutti quanti riuniti ad un tavolo neanche fosse un consiglio di guerra. Più volte lo scatto fotografico era suonato in direzione di Yugi, facendogli sollevare lo sguardo.
Era troppo chiederle di non ripararsi dietro quel maledetto smartphone?
Era stata una delle serate più lunghe e difficili della sua vita: la visita dei suoi tre amici, e le esibizioni di Anzu ai cerchi, era stata la combo perfetta per fargli perdere compostezza e farlo sentire come un novellino alla sua prima giornata di lavoro. Si era perfino scordato quale scheda aprire sul palmare per segnare gli alcolici! Era stato costretto a chiedere aiuto ad Aki per ricordarsene!
E ovviamente la rossa aveva capito. Il come fosse stato possibile, Yugi non sapeva come spiegarselo: forse era grazie a quell'intuito tipicamente femminile, o probabilmente l'aveva reso lui palese lanciando spesso e volentieri sguardi in direzione di Anzu, chi lo sa. Fatto stava che Aki aveva ridacchiato e aveva fatto un commento che non ricordava benissimo, qualcosa sul come potevano essere una bella coppietta; era stato più preso a fulminare con lo sguardo i suoi tre amici che se la ridevano come idioti, mentre si divertivano ad indirizzargli cuoricini disegnati nell'aria.
E ancora non riusciva a trovare il coraggio necessario per parlarne direttamente con lei.

A volte si ritrovava ad invidiare la sicurezza che Atem infondeva in qualunque sua azione; che fosse stato il preparare una bevanda, scrivere una mail a un rifornitore o avvicinarsi a una donna, sembrava non conoscere timidezza o apprensione. Il maggiore gli ripeteva spesso che si trattava di affrontare le cose un po' come una danza: non poteva certo entrare in una pista da ballo guardandosi le scarpe, nessuno l'avrebbe preso sul serio anzi, probabilmente sarebbe stato ignorato dalla stragrande maggioranza di chi aveva intorno. Allo stesso modo non poteva certo farsi largo a spintoni e gomitate, a meno di volersi creare subito una folta schiera di nemici. Semplicemente si mischiava in mezzo alla folla e lasciava che le cose seguissero il loro corso.
E detta in questo modo sembrava così dannatamente semplice da apparire stupida, come cosa, e Yugi sapeva che c'era ben altro sotto, qualcosa che non riusciva a definire con chiarezza. Non era più il ragazzino impacciato al punto da sembrare quasi imbranato, anzi: crescendo aveva aperto gli occhi e si era dimostrato molto più scaltro di quanto sembrasse in apparenza, pur senza perdere quella gentilezza con cui trattava esseri viventi e non sulla faccia della Terra.
Eppure con Anzu perdeva quel poco di spigliatezza che aveva in un colpo solo.

Erano amici da tanto tempo: la giovane aveva subito simpatizzato per quel ragazzino timido e appassionato di videogiochi e fumetti, assurdamente diligente a scuola e silenzioso al punto da risultare quasi inesistente agli occhi degli altri, se non per chiedere aiuto durante verifiche ed interrogazioni; il come fosse diventato così amico di quei tre scalmanati era un vero mistero. Bakura era il più calmo e riflessivo di loro, quindi l'affinità tra i due era giustificabile, ma Honda e Jonouchi facevano casino come i fuochi d'artificio di Capodanno: entrambi grossi, chiassosi, sempre lì a fare scherzosamente a botte, con Honda che sembrava divertirsi fin troppo a punzecchiare il biondino e scatenare così le sue reazioni fulminee. Anzu aveva provato un'innata simpatia e tenerezza per Yugi, e avvicinarsi a lui l'aveva irrimediabilmente messa a contatto anche con quei fenomeni dei suoi compagni.
La giovane gli sorrise da dietro lo smartphone, attirando la sua attenzione alle spalle di Jonouchi. Yugi sorrise a sua volta, preparandosi per l'ennesima foto mentre il compagno continuava a sacramentare senza freno.
Sapeva che, prima o poi, avrebbe dovuto prendere il coraggio a piene mani e farsi avanti. Almeno per cavarsi quel dente e capire come lei la pensava a riguardo.
Col rischio, ovviamente, di guastare tutto quanto il loro rapporto, perché quante probabilità aveva che Anzu corrispondesse quel sentimento? Forse si stava lasciando trasportare troppo dal lieto fine di Judai con Alexis...
Forse era meglio lasciar stare le cose così com'erano: sicuramente non avrebbe sbagliato e non avrebbe rovinato nulla.
Forse.

I riverberi metallici in lontananza si fecero sempre più forti ed insistenti, fino a diventare assordanti e impossibili da ignorare. Yugi si voltò in direzione del suono, imitato dai suoi compagni; Bakura disse qualcosa con voce colma di stupore, parole che Yugi non si curò di registrare.
La torre sede della Kaiba Corporation svettava su tutti i grattacieli di Nuova Domino: inconfondibile nella sua lucida superficie a specchio, al suo interno celava tutti i segreti del mondo videoludico attualmente conosciuto. Durante la notte era illuminata da fasci luminosi che partivano dal basso, rendendola un gigantesco parallelepipedo infuso di luce. Quel mattino, tuttavia, sembrava essere diventata il polo di attrazione di mille e più oggetti che, in quell'esatto momento, stavano sorvolando la città per convergere tutti sulla sommità della torre: Yugi riconobbe lamiere di ferro, vecchi televisori, piccoli elettrodomestici e beni di ogni tipo sfrecciare tra le costruzioni. La cacofonia di clacson e urla gli confermò che sì, l'intera cittadinanza si era accorta di quello strano fenomeno e si era fermata, come un sol uomo, ad osservare il volo di oggetti inanimati verso la torre, circondandone la cima in decine di cerchi come gli anelli di asteroidi di un pianeta ancora sconosciuto.
Yugi conosceva una sola persona capace di spiegare un simile fenomeno.


    -    Mh, davvero coreografico-
Mokuba alzò i vispi occhi blu sul fratello, osservandolo dubbioso mentre Seto manteneva lo sguardo fisso sulla cima della torre, seguendo il movimento ellittico delle decine di oggetti volanti che ora la circondavano. Le mani strette sulla maniglia della sua valigetta metallica, il ragazzino si lasciò sfuggire un'esclamazione di stupore, affiancando velocemente il fratello maggiore.
    -    Questa è opera del tuo amico mago, vero?- gli chiese poi, con un filo di voce: sapeva che Seto preferiva mantenere il massimo silenzio, su quella faccenda, quando era intorno ai suoi lavoratori.
    -    E chi altri?- lo sentì borbottare – Vedo che stavolta non ha perso tempo a rispondere...credo che l'idea di punzecchiarlo nel suo territorio non gli sia piaciuta molto-
Non gli era piaciuta davvero: Seto aveva notato la scintilla nel suo sguardo, quel lampo che gli aveva attraversato le iridi ametista in uno sguardo sorpreso, divertito e infastidito tutto insieme. Il CEO della Kaiba Corporation aveva iniziato a sfoderare l'artiglieria pesante, e Atem aveva subito risposto mettendo in gioco i suoi pezzi da novanta.
La sfida si faceva sempre più intensa e divertente. Seto non poteva essere più stimolato di così.
Qualche applauso isolato partì dalla folla quando gli oggetti volanti sparirono così com'erano apparsi. Seto si lasciò sfuggire un ghigno divertito, ripercorrendo le scale di accesso della torre, seguito da Mokuba.
    -    E adesso cosa farai?- gli domandò il fratellino, curioso.
    -    Al momento nulla Mokuba, ho del lavoro da fare- rispose lui, con un'alzata di spalle – Risponderò, ma più tardi. Ho delle questioni urgenti da sistemare-

Gli ci volle poco per capire che l'intera torre era precipitata nel caos.
Come uno sciame di api impazzito per la perdita della regina, l'intero personale della Kaiba Corporation sembrava in preda ad una frenesia collettiva. Mokuba si guardò intorno sorpreso da tutta quell'agitazione, Seto strinse gli occhi sospettoso: decine e decine di camici bianchi entravano e uscivano in porte e porticine, qualcuno imprecava a briglia sciolta, altri correvano nei corridoi e davano ordini a destra e a manca. Qualcuno abbatté un pugno decisamente forte sulla scrivania, attirando l'attenzione del CEO che si affacciò nella stanza.
Il motivo di quella follia collettiva fu presto chiaro. Ogni apparecchiatura elettronica al suo interno sembrava impazzita: gli schermi lampeggiavano come luci stroboscopiche di una discoteca al ritmo di una musica inesistente, e qualsiasi comando impartito ai terminali non sortiva alcun effetto.
    -    Signor Kaiba!-
La voce di Ishizu lo fece voltare di scatto: perfino la sua segretaria, ben nota per la sua compostezza e la fredda aura di professionalità che la circondava, sembrava risentire di quell'agitazione collettiva. Il suo fedele tablet mostrava gli stessi sintomi delle altre apparecchiature.
    -    Tutti i nostri terminali sono fuori uso!- esclamò la giovane, sistemandosi velocemente gli occhialetti scivolati sulla punta del naso – E anche le apparecchiature portatili! Non riusciamo a ripristinare i sistemi!-
    -    ...Quando è stata effettuata l'ultima copia di backup?-
    -    Ieri mattina, come ha richiesto-
    -    Mi segua-

Apparentemente indifferente a tutta quella confusione, Seto scattò in avanti per il corridoio, percorrendo a lunghe falcate il liscio pavimento in linoleum che schioccava sotto i tacchi della donna; Mokuba arrancava subito dietro, con la valigetta metallica che sbatteva rumorosamente contro la sua gamba destra.
Il CEO della Kaiba Corporation svoltò per porte e corridoi con la sicurezza navigata di chi viveva le sue giornate in un autentico labirinto; ovunque la situazione sembrava ripetersi, con gli schermi dei terminali che lampeggiavano impazziti. Natale è arrivato in anticipo e non me ne sono accorto, pensò Seto con una smorfia.
Ishizu passò il suo badge personale sul tornello accanto alla porta dell'archivio dati: come prevedibile, il lettore ottico lampeggiò insistentemente in rosso, e lo fece anche una seconda e una terza volta, finché Seto non lo sbloccò manualmente, digitando qualcosa sul tastierino numerico che la donna non comprese e preferì non guardare. Solo Dio sapeva che razza di accordo di segretezza avesse firmato prima di ottenere il posto, roba che avrebbe fatto arrossire i marmittoni di KGB e Area 51 messi insieme: qualsiasi cosa vedeva, Ishizu aveva la sgradevole sensazione di assistere all'esecuzione di qualcosa di proibito e inaccessibile ai comuni mortali.
Quell'azienda era un autentico mistero.
La porta si sbloccò con un sordo clangore e un fischio, scivolando dolcemente di lato. Una corrente di aria fredda li investì di colpo, Ishizu rabbrividì stringendosi nella sua giacchetta: per preservare l'integrità delle apparecchiature elettroniche, la temperatura della stanza era tenuta costantemente sotto i ventidue gradi, giorno e notte, estate e inverno, rendendo lampante lo sbalzo percepito nei corridoi. Le unità olografiche di backup ronzavano apparentemente senza problemi, ognuna racchiusa dal vetro infrangibile di dieci centimetri di spessore dei loro contenitori. Un buon segno, per il momento: se i dati contenuti in duplice copia al loro interno stavano uscendo, come aveva inizialmente temuto, per essere trasferiti su un server a loro sconosciuto, ogni singola torre si sarebbe autonomamente scollegata da ogni tipo di linea, trincerandosi dietro la sua impenetrabile rete di firewall. Seto si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito.

    -    Ci hanno provato- commentò poi, ghignando – Ma non gli è andata molto bene-
    -    Hanno provato a fare quello che penso?- domandò Ishizu – Un attacco hacker?-
    -    Aha. E stavano procedendo anche bene: hai detto che tutte le apparecchiature sono fuori uso, giusto? Che mi dici dei Mainframe?-
    -    Mainframe inutilizzabili. Temo anche i super computer-
    -    Mh. Riporta la situazione a livelli di gestione accettabili. Non siamo sotto attacco informatico-
    -    ...Idea su cosa sia successo?-
   -    Qualcuno ha provato a entrare nei nostri server, è chiaro. Non ha avuto accesso ai dati ma ci sta impedendo il normale svolgimento delle operazioni. E ogni minuto perso è prezioso. La cosa può darci molto fastidio-
    -    Cosa intende fare?-
    -    Risolvere la questione di persona. Mokuba, vuoi vedere qualcosa da grande?-
Il ragazzino annuì con convinzione; a Seto non bastò altro, e gli fece cenno di seguirlo.





Buon cielo, cosa sto facendo? Dove sono finito?
Yusaku Fujiki non aveva mai avuto paura di fare quello che sapeva fare meglio di chiunque altro: infiltrarsi nella gigantesca rete del web e rintracciare server e portali inaccessibili si era trasformata, col tempo, nella sua specialità e principale fonte di sostentamento. Non proprio legale, anzi, ma assai remunerativo, con cifre di ingaggio che contavano tre zeri come minimo. Il rischio che la sua sottile opera di infiltrazione venisse scoperta e che fosse ricondotta direttamente a lui valeva ogni centesimo guadagnato a rubare dati o distruggerli, in base alle richieste fatte.
Eppure si aspettava di tutto fuorché quello.
Terminando il suo hot-dog in pochi morsi, leccando via dalle dita i residui della senape, tornò a digitare freneticamente sulla tastiera del suo laptop: lo schermo gli restituiva immagini su immagini di documenti digitalizzati, stringhe di testo leggibili nascoste da riservatissime bande larghe nere che impedivano la lettura completa dei documenti di fronte a lui, rendendoli di fatto incomprensibili e inutilizzabili da chiunque accedesse da un server esterno. Una prassi molto conosciuta da Yusaku, che molto spesso si era trovato a dover aggirare quella che era una semplice, blanda protezione per evitare violazioni di copyright e furti di dati sensibili.
Violare la sicurezza dei sistemi informatici gli dava una soddisfazione paragonabile solo a quella di un orgasmo creato da mille mani che lo toccavano simultaneamente.

Eppure qualcosa non stava funzionando quella volta, e per quanto non gli creasse virtualmente problema lo insospettiva: non riusciva a risalire all'intera sequenza numerica dell'indirizzo IP, e risalire al nome del dominio sembrava impossibile. Yusaku digitò ancora sulla tastiera, avviando il programma di diagnostica che gli permetteva di individuare la fonte da cui arrivavano tali documenti.
Un'altra finestra si aprì nello schermo alla sua destra, collegato tramite cavo al laptop: in quei casi, quando si ritrovava a lavorare con una grande mole di dati, lavorare su più display era necessario, per evitare di essere tratti in inganno dalla confusione che si creava inevitabilmente con tutte quelle finestre aperte simultaneamente. Inoltre, uno di quegli schermi poteva fungere tranquillamente come lettore musicale, e ascoltare un vecchio live del 2007 dei Daft Punk si rivelava sempre molto stimolante. Il display alla sua destra gli mostrò una lista di dispositivi di rete che si allungava ogni secondo: gli occhi verdi di Yusaku si posarono sulla lista di router.
Il ragazzo si accigliò qualche secondo dopo, schioccando infastidito la lingua sul palato: la traccia si era interrotta prima di arrivare al server da cui erano partiti quei documenti. Il secondo tentativo andò a vuoto, e anche il terzo e il quarto.
Non ha senso, si ritrovò a pensare. È come se questo indirizzo IP non esistesse...possibile che una semplice azienda produttrice di videogiochi abbia bisogno di tutta questa segretezza? Cosa stanno nascondendo?!
Si concesse un ultimo tentativo, ormai divorato dalla curiosità. La ricerca si bloccò nello stesso punto di tutte le altre. Yusaku sbuffò, passandosi le mani sul volto in segno di frustrazione.

Era chiaro che quell'indirizzo IP appartenesse ad un protocollo reso non accessibile al pubblico: tuttavia trovava strano che un'azienda video ludica utilizzasse gli stessi, rigidissimi protocolli di sicurezza di un'agenzia governativa o militare.
La Kaiba Corporation era un'azienda specializzata nella produzione di armamenti bellici prima di darsi ai videogiochi, ragionò Yusaku, accarezzandosi lievemente il mento. Capisco la segretezza aziendale, molte imprese hanno una rete di firewall da fare invidia al Pentagono...ma questa?! Questa è roba che ha davvero del fantascientifico. Mai vista prima d'ora.
Con pochi tasti fece partire un programma di indagine diagnostica.
Devo assolutamente saperne di più.
A lungo andare, la faccenda rischiava sempre di diventare personale: Yusaku non accettava mai di non terminare il suo lavoro, e questa era una di quelle volte; poco importava il reale rischio che si celava dietro l'angolo. Sgranò gli occhi quando il programma di diagnostica gli mostrò le impostazioni del firewall usato come protezione dei dati.
Roba seria, molto seria. Troppo seria, che non giustificava tutti quei soldi che gli avevano offerto. Yusaku si mordicchiò il labbro inferiore, le dita sospese sulla tastiera, incerto se continuare o meno.
Gli avevano offerto una fortuna per un lavoro apparentemente facilissimo, e già questo era bastato per metterlo all'erta; ma quando era stata nominata la Kaiba Corporation era stato tentato dal rifiutare. Troppi soldi tutti insieme per spiare un'azienda video ludica, c'era qualcosa di strano. Ma la metà del compenso pattuito era stata già ripartita equamente su ciascuno dei cinque conti bancari da lui gestiti, ovviamente tutti con nomi diversi per sviare le normali indagini di sicurezza, e la voce sconosciuta al telefono non sembrava accettare tentennamenti o domande.
La posta in gioco sta cambiando, qui.
E stava davvero diventando tutto troppo rischioso anche per lui. Con sgomento si accorse che il programma di diagnostica continuava ad infrangersi contro firewall e protezioni, rimbalzando indietro in nodi sempre diversi, sempre più vicini al punto di partenza delle sue ricerche; Yusaku digrignò i denti, mettendo rapidamente fine alla ricerca: qualcuno gli stava manualmente sbattendo le porte dei server in faccia!
Non ne vale la pena.
Il cellulare squillò accanto alla sua gamba sinistra. Yusaku sbuffò frustrato, osservando lo schermo dell'apparecchio lampeggiare sotto la dicitura di “numero sconosciuto”. Quanta impazienza, e meno male che avevo detto che li avrei ricontattati io. Abbassò il volume della musica e rispose alla chiamata.
    -    Esci immediatamente dai miei server-

La voce dall'altra parte era molto diversa da quella con cui aveva dialogato la sera prima: maschile e profonda, limpida, non distorta da quel lieve riverbero metallico che gli aveva perforato i timpani durante tutta la chiamata. Qualcosa gli fece ugualmente capire che non centrava nulla con la persona messasi in contatto in precedenza.
Chiuse la telefonata nell'esatto momento in cui la porta dell'ingresso si spalancò e un frenetico scalpicciare lo fece voltare in direzione del corridoio.
Oh. Merda.
Affiancato da un paio di guardie in tenuta d'assalto, l'uomo entrò nella stanza mentre allontanava lo smartphone dall'orecchio e lo riponeva in tasca, mentre con la mano destra consegnava un piccolo laptop al ragazzino accanto a lui. Alto abbastanza da svettare sulla folla, vestito di nero come a volersi confondere con le ombre, gli occhi blu erano arpionati su di lui, attirati come due calamite su un gigantesco polo. Il volto contratto in una gelida smorfia contrastava in modo inquietante con quello del ragazzino che lo seguiva, con i suoi stessi occhi blu fattisi grandi alla vista degli schermi e delle torrette, come un bambino dentro un negozio di giocattoli.
    -    Yusaku Fujiki, giusto?- sibilò l'uomo, senza distogliere lo sguardo da lui per un secondo. Il ragazzo non lo vide mai sbattere le palpebre.
    -    Non credo di aver vinto una vacanza alle Barbados, vero?-
Fare lo spiritoso non gli riusciva granché bene.



****


    -    ...Stiamo scherzando?!-
Con gli occhi carichi di sgomento e, in un certo senso, rabbia, Yusei alzò il volume del televisore, continuando ad osservare le immagini al televisore quasi fosse di fronte ad un film dell'orrore: terribile, ma impossibile da non guardare. Seduto al tavolo della cucina a poca distanza da lui, Judai sembrava aver perso ogni traccia di sonno.
Le immagini del notiziario mostravano una grossa colonna di fumo alzarsi da un cantiere posto proprio sul ponte Daedalus. I titoli in sovrimpressione parlavano di danni per decine di migliaia di yen, feriti gravi e due morti: l'ordigno era esploso quella mattina, danneggiando gravemente due dei piloni del ponte e coinvolgendo i lavoratori nella deflagrazione, portando danni anche alla conduttura che, un tempo, faceva da scarico per i rifiuti di Nuova Domino. Il ponte Daedalus era stato reso inaccessibile per motivi di sicurezza.
Il Satellite era di nuovo escluso.
Era stato varato un programma di sostegno per la popolazione del Satellite: la cittadinanza aveva messo a disposizione numerosi elicotteri e aerei cargo per il trasporto di beni di prima necessità. Nessuno aveva idea di quanto quella situazione sarebbe durata: il ponte poteva essere reso accessibile il giorno dopo come settimane o mesi, se non addirittura anni. Era stato attivato un numero telefonico a cui inviare delle donazioni per finanziare il progetto di ristrutturazione del ponte Daedalus, e un altro contatto per chiunque volesse, in qualche modo, contribuire alle spese per le esequie delle vittime.
E dire che Yusei aveva sentito quella detonazione...era in moto con Aki, la stava riaccompagnando a casa dopo il bagno in spiaggia all'alba. Tremò al solo ricordo della gioia e serenità che lo aveva posseduto in quel momento, lontano da sguardi indiscreti e accompagnato solo da quella ragazza che stava, pian piano, diventando una presenza fissa nella sua testa.

Judai trasalì sulla sedia quando sentì il pugno di Yusei schiantarsi sul tavolo, e rabbrividì quando lo sentì imprecare furiosamente al telefono che squillava. Il giovane afferrò lo smartphone con un gesto che sottolineava tutto il suo nervosismo e se lo portò all'orecchio.
    -    Pronto?!...No Jack, che diavolo vuoi adesso?! Chi ti ha dato il mio numero?!...LUI?! Ma porcaputtana!-
Judai alzò lo sguardo e sbatté un paio di volte gli occhi, sorpreso da tutto quel nervosismo. Yusei era conosciuto proprio per l'eccezionale sangue freddo che sapeva mantenere nelle situazioni più tragiche e gravi: perfino nelle serate più affollate non perdeva un briciolo di quella sua compostezza che tanto lo caratterizzava, e tutti sapevano che le sue lavate di capo a Yuma e Yuya erano, per lo più, scenate gonfiate di proposito per riportarli velocemente all'ordine. Vederlo così adirato e roso dalla rabbia era un evento più unico che raro: far innervosire Yusei era davvero difficile, e Jack Atlas era il primo e unico in grado di vantare tale primato.
Era dalla sera prima che il capobar non aveva fatto altro che seguire, con lo sguardo, ogni singolo movimento dei suoi due “amici”, se così potevano ancora essere definiti. Li scrutava con sguardo indecifrabile, l'espressione tipica di chi voleva dire qualcosa ma si stava trattenendo per qualche motivo sconosciuto.
Judai conosceva la storia che legava Yusei Fudo a Jack Atlas e Crow Hogan; tutti, al Pharaoh's Kingdom, la conoscevano. E qualcosa gli diceva che anche Aki ne fosse ormai al corrente.
Vedere Yusei avere a che fare con il passato era un triste spettacolo.

    -    Beh, taglia corto allora, cosa diavolo vuoi?...Jack, ho già spiegato il perché del mio risentimento, non farmi ripetere le cose due volte!...Sì, ho visto il notiziario, brutto affare davvero. No, devo ancora sentire Martha, non ho idea-
Martha, l'unico essere umano che poteva permettersi di rifilare a Yusei una sana tirata di orecchie e vivere per raccontarlo in seguito. La donna che, per Yusei, era stata una madre e una confidente era rimasta al Satellite: il giovane la telefonava spesso, e andava a trovarla di persona almeno una volta al mese, favorito dal collegamento creato proprio da quello stesso ponte che era stato chiuso dalla sera alla mattina.
    -    E con que—no no, levatelo dalla testa! Non abbiamo spazio!-
Judai sbatté gli occhi castani incuriosito, posandoli sul suo amico e coinquilino: che stava succedendo tra quei due?!
    -    Non è affare mio! Hai soldi no?! Sei ricco...anzi no, siete ricchi abbastanza per sistemarvi nella suite imperiale di qualche hotel a cinque stelle nei dintorni! Potreste anche noleggiare un aereo per tornarvene al Satellite no?...NO NON SE NE PARLA NEANCHE! QUESTO è davvero TROP-- vecchia amicizia UN CAZZO!-

La chiamata si concluse con il sonoro schianto dello smartphone sul tavolo, e una rabbiosa bestemmia che fece tremare Judai da capo a piedi.
Yusei arrabbiato era davvero un pessimo spettacolo.
    -    ...Tutto bene?!- domandò poi il castano, la voce sottile quasi avesse paura di rivolgergli la parola. Yusei non si voltò.
  -    ...No- rispose poi, abbandonandosi ad un sospiro e tornando a fare zapping al televisore: neanche a dirlo, ogni notiziario riportava la stessa, tremenda notizia.
    -    Chi era al telefono? Jack?-
    -    E chi altri?! Atem gli ha dato il mio numero-
    -    A-Atem?! Ma perché?!-
    -    E che ne so?! Jack gliel'avrà chiesto e...aaah, che mi incazzo a fare?! In fondo non è da Atem farsi domande sul perché di certe cose. Gliel'avrà dato e basta-
    -    Cosa voleva Jack?-
    -    Beh, col ponte Daedalus chiuso non possono fare ritorno al Satellite, apparentemente. Il campionato motociclistico è momentaneamente sospeso, e né lui né Crow hanno un posto dove stare-
    -    E hanno chiesto a te? Cioè, a noi?!-
    -    A-ha. Non gli ho mentito, insomma Jud dove cavolo li mettiamo quei due? A malapena abbiamo spazio io e te qui dentro. Ma io so il vero motivo per cui Jack ci teneva a stare a stretto contatto con me e non intendo lasciarglielo fare-
    -    Non pensi sia un po' esagerato, ora? Ehi! Dove vai?-
    -    A fare qualche esercizio- Yusei spense il televisore e si alzò dal tavolo – Ho bisogno di sbollire, ma se mi metto sulla moto adesso non sono sicuro di ritornare. Non tutto intero almeno. Maledizione...una giornata iniziata così bene...-
    -    Non credi sia il caso di dormire?-
    -    Mi è passato il sonno-

Si dileguò prima di dargli possibilità di rispondere: Judai sentì la porta che conduceva al garage aprirsi e chiudersi di schianto, facendo dondolare il vecchio lampadario sospeso sul tavolo della cucina. Si passò una mano tra i folti capelli castani, confuso e pensieroso.
Mai Yusei era apparso così turbato come in quel momento: in meno di ventiquattro ore sembrava aver perso tutta la sua compostezza e il proverbiale sangue freddo. Conoscendo tutta la storia che c'era dietro, Judai si era sempre domandato come il ragazzo avesse potuto reagire, se messo di nuovo di fronte agli amici di una vita passata, e doveva ammettere che la risposta non gli piaceva neanche un po'. Tutto si aspettava fuorché quello.
Era pur vero che il risentimento di Yusei era fondato: dopo quasi sette anni di silenzio, in cui avevi letteralmente fatturato miliardi e avevi tagliato i ponti con tutte le tue vecchie amicizie in nome di fama, gloria e successo, non potevi farti avanti come se vi foste lasciati l'altro ieri e chiedere subito un favore, neanche di poco conto.
Si trattava di sostituire un pilota della squadra per una corsa che Yusei aveva definito suicida; tuttavia Judai aveva trovato quella definizione estremamente riduttiva, un eufemismo ridicolo, una volta conosciuta la vera natura di quella competizione.

Jack Atlas, Crow Hogan e il loro team competevano in quella categoria di motociclismo definita Endurance. Le competizioni di quel tipo si svolgevano sulla distanza di più ore e, a differenza delle normali competizioni su due ruote, la motocicletta era condivisa da più di un pilota. I team avevano a disposizione anche un secondo mezzo, con le stesse impostazioni del primo, da utilizzare in caso la prima moto avesse dei problemi di natura tecnica o elettronica o, più frequentemente, fosse coinvolta in qualche incidente.
Altra caratteristica che differenziava l'Endurance da tutte le altre categorie di motociclismo era anche il fatto che durante le gare avvenivano regolari soste ai box, per il rifornimento e il cambio degli pneumatici, oltre che dei piloti.
Suddiviso in più tappe e diversi circuiti, l'Endurance World Cup trovava la sua conclusione proprio nel Satellite. E lì stava il grosso problema.
Il Satellite non possedeva una vera e propria pista: l'isola stessa era la pista su cui si correva. Chilometri e chilometri di strade pubbliche, normalmente aperte alla circolazione, che si snodavano tra case, cantieri e costa, con il manto stradale ridotto a quello che era e nessuna protezione per i piloti in corsa. Settantasette chilometri da percorrere in piena velocità, con il contachilometri che sfiorava tassativamente i trecento all'ora, per dodici ore di corsa in cui i piloti si alternavano alla guida della loro moto.

Un suicidio collettivo. Il campionato precedente la Satellite Tourist Trophy aveva collezionato ben tre decessi in appena ventiquattro ore e tre categorie, eppure nessuno ne aveva fatto un dramma: le corse avevano proseguito normalmente, come se la morte di un  pilota in gara fosse un evento all'ordine del giorno. Nessuno sembrava mai farne troppo una tragedia ed era questa la cosa che metteva Judai in apprensione: quelle curve mietevano vittime annualmente, e prima che il Satellite venisse finalmente incluso tra i collegamenti di Nuova Domino chissà in quanti avevano perso la vita tra quei tornanti.
Chissà quante volte lo stesso Yusei aveva rischiato di venire inghiottito da quella scia di morti inutili, necessarie solo per alimentare spettacolo e turismo.
E Jack Atlas e Crow Hogan rischiavano annualmente la loro vita in quel dedalo di curve. E avevano proposto a Yusei di fare lo stesso. Solo per fare presenza avevano detto, perché avevano iniziato il campionato con tre piloti e dovevano concluderlo allo stesso modo, per scansare una penalizzazione che li avrebbe portati a vedersi sfumare la possibilità di giocarsela per il titolo.
Tuttavia, sembrava tutto davvero troppo rischioso.
E Judai avrebbe mentito, se avesse detto che non riteneva Yusei capace di svegliarsi un mattino, fare armi e bagagli e seguire i suoi ex compagni in quell'assurda avventura.

Conosceva bene il suo inquilino, compagno e collega, e sapeva che il legame che aveva con il Satellite era del tutto particolare. Yusei conosceva a menadito quelle stesse curve su cui, da sette anni, piloti di vari team e nazionalità si sfidavano annualmente: per lui erano la sua vera casa, il suo vero nido.
E Judai sapeva che il richiamo dei motori era davvero forte in lui. Lo sapeva, lo sentiva, lo percepiva in Yusei ogni volta che, insieme sulla moto, ruotava la manopola del gas e faceva balzare la Bimota nel traffico. Per quanto quel ragazzo potesse nasconderlo, il suo cuore si nutriva di quell'adrenalina, quell'eccitazione causata dall'improvvisa spinta del bicilindrico.
Doveva essere una sensazione davvero galvanizzante, a cui Yusei aveva provato a dare una spiegazione anni prima, durante una chiusura del locale: Judai l'aveva guardato stralunato quando l'aveva sentito affermare che fosse un po' come fare del sesso con una bella donna. Ci trovava una certa similitudine nel ricercare i tempi giusti, i momenti in cui poteva lasciarsela sfilare via e quelli in cui era necessario riprenderla con fermezza, quando accelerare, quando rallentare, e tutta quella naturalezza che la faceva dondolare con te fino all'apice. A sentirlo parlare in quel modo, Judai si era automaticamente convinto di un perverso lato nascosto del compagno; e il fatto che Yusei, qualche minuto dopo, fosse corso a vomitare in bagno anche l'anima, grazie all'intruglio alcolico rifilatogli da Yuma, non bastava per farlo desistere dalla sua idea.
L'amore che Yusei provava per i motori era paragonabile solo a quello che lo portava sempre ad osservare le stelle su di loro. E Judai sapeva, quasi temeva che si trattasse solo di questione di tempo, prima che il ragazzo indossasse una tuta integrale.

Quando scese in garage, il castano lo ritrovò sul tappetino in plastica, impegnato in fluide flessioni sulle braccia. Non aveva acceso la musica, forse per concentrarsi meglio: si alzava ed abbassava sulle braccia con ritmo regolare e costante, ma quando si rese conto della sua presenza lo chiamò a sé. Judai si avvicinò quasi timidamente, lo sguardo fisso sulla schiena tornita e i muscoli in tensione.
    -    Siediti- gli ordinò Yusei – Sopra di me- aggiunse poi-
    -    ...Eh?!-
    -    Ho detto...siediti su di me. Come hai fatto...l'altra volta-
    -    ...Okay-
Incapace di dire altro, il castano obbedì. Si accomodò sulla schiena del compagno con insolita delicatezza, appoggiandosi lievemente alle sue spalle. Yusei si voltò appena, osservandolo di traverso.
    -    Non ci siamo capiti- gli disse poi – Siediti davvero. A gambe...incrociate-
    -    Cos...oh-
Judai annuì e obbedì, sfilandosi gli infradito dai piedi e piegando le gambe sotto di sé. Vacillò per un attimo quando sentì Yusei abbassarsi sulle sue braccia, per poi risalire con un movimento fluido e lento.
    -    Posso guardare il cellulare?- gli chiese poi, incerto.
    -    ...Quello che vuoi basta che tu stia zitto-
Il castano annuì e non fiatò più.


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Ho pensato, visto che siamo tutti qui bloccati, perché non tenervi ancora un po' di compagnia?
Visto che la quarantena mi ha messo a disposizione un sacco di tempo libero, ho ripreso in mano questa storia e la sto continuando...insieme alle altre trecentomila cose che mi sono organizzata di fare per tenermi impegnata. Ecco qui un altro aggiornamento per tenervi compagnia! Con una new entry che, in passato, era stata molto richiesta...eccolo qui, Yusaku Fujiki in tutto il suo cibernetico e hackerante splendore!

Come state passando la quarantena? Avete di che tenervi impegnati? Mi raccomando, fate attenzione e limitate le uscite allo stretto necessario: prima usciamo tutti da questa situazione e meglio è! Anche per quelli come me che soffrono a stare chiusi in casa quando fuori ci sono queste belle giornate...ho bisogno di aria fresca, sole e cavalli, chi mi conosce sa xD

Ci sentiamo presto! Teniamoci compagnia in questi giorni così difficili!
92Rosaspina

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Capitolo 17
*** 15. Falle nel sistema- parte due ***


Pharaoh's Kingdom 16 - parte 2


15. Falle nel sistema- parte due








L'ufficio di Seto Kaiba sembrava illuminato di luce propria, quasi divina. Yusaku venne fatto accomodare alla sedia di fronte alla scrivania del CEO della Kaiba Corporation, invitato dal fluido gesto di una donna dall'esotica e penetrante bellezza: i suoi occhi, fregiati di una misteriosa sfumatura di blu e verde, risaltavano magnificamente sulla carnagione mulatta, e i lunghi capelli neri apparivano lisci e setosi già solo allo sguardo. Con quei tratti somatici, e il corpo che intuiva snello e scattante anche sotto il tailleur bianco e nero, Yusaku trovava che quella donna stesse meglio su una passerella o fotografata sulla patinata copertina di una rivista di moda, e non dietro una scrivania...per quanto l'immagine in sé fosse piuttosto attraente. Era professionale e fredda, distaccata quanto bastava per incutere ammirazione e soggezione con un solo sguardo.
Yusaku si sistemò meglio sulla sedia e attese che a entrare fosse Seto Kaiba in persona. Ishizu Ishtar non abbandonò il suo fianco per un solo secondo, tenendo tra le mani quella piccola cartella bianca con su stampato il logo dell'azienda.

Con suo sommo sgomento, l'irruzione in casa di Seto Kaiba e del suo gruppo di sorveglianza non si era conclusa con una sua veloce consegna ad una stazione di polizia: pronto a far valere i suoi diritti e accusarlo di effrazione di domicilio, Yusaku era stato invece invitato a fare visita alla sede della Kaiba Corporation. Era chiaro che stesse per entrare dritto nella tana della tigre o, per avvicinarsi all'impressione data dal giovane CEO, nella bocca dello squalo, ma aveva accettato per qualche mistico motivo che ancora non riusciva a spiegarsi.
Forse perché voleva vedere quanto realmente fosse grande l'impero di quello che, in teoria, doveva essere il suo nemico, l'uomo da neutralizzare? E invece aveva la spiacevole sensazione che il ruolo si fosse insospettabilmente ribaltato: risucchiato all'interno di quella gigantesca torre, senza il suo fedele laptop Yusaku si sentiva...sconfitto, forse? Sì, eppure non prigioniero.

Seto Kaiba fece il suo ingresso nell'ufficio, seguito da quel ragazzino dai capelli neri vestito come un uomo d'affari in miniatura: non fosse stato per la statura bassina e il volto infantile, avrebbe giurato di trovarsi di fronte ad un vicedirettore. Il ragazzino si accomodò sul divano in pelle vicino alla vetrata, aprendo su di esso la sua valigetta metallica ed estraendo una tra le diverse console portatili che possedeva; Seto Kaiba si accomodò alla scrivania e lo scrutò intensamente con i suoi occhi blu, il volto lievemente nascosto dalle mani giunte. Solo in quel momento Ishizu Ishtar si mosse, consegnando al giovane la cartellina.
    -    Ottimo- lo sentì mormorare, aprendola e svelandone diversi fogli stampati all'interno – Vai pure. Ti chiamerò se avrò bisogno-
Ishizu Ishtar non rispose. Fece un lieve inchino con il capo, prima di voltarsi e uscire dall'ufficio, chiudendo la porta alle sue spalle.
    -    Allora, Yusaku Fujiki-

Seto osservò il ragazzo con occhio critico: a un primo sguardo dava un'impressione quasi disturbante. Escludendo le assurde sfumature che gli coloravano i capelli, e quella che sembrava la divisa di un plesso scolastico, appariva come un giovane ragazzo appena entrato in carriera universitaria, stando al dossier che Ishizu gli aveva appena fornito: lo scorse velocemente con gli occhi, voltò un paio di pagine prima di soffermarsi su un quadro clinico molto interessante.
Test cognitivi, test per la funzione psicomotoria, valutazione dello stile di apprendimento e delle competenze nella vita indipendente, tutti condotti da una struttura specialistica, gli avevano evidenziato i chiari segni della sindrome di Asperger all'età di nove anni. Seto alzò lo sguardo sul ragazzo, osservandolo meglio.
Yusaku Fujiki lo osservava con il volto privo di qualsiasi espressione, apparentemente disinteressato a ciò che gli stava intorno. Sapeva che stava ragionando e valutando, lo sentiva, ma il volto inespressivo non gli dava conferma di quella sua teoria, e gli occhi verdi osservavano un punto indefinito alle sue spalle. Seto tornò a leggere il quadro clinico: la diagnosi precedente era stata riconfermata con un secondo esame in età adulta.
Sindrome di Asperger: Seto ricordava di aver letto qualcosa a riguardo, tempo fa, spinto più dalla curiosità di capire perché tante persone erano portate ad auto diagnosticarsi un così strano disturbo autistico ad alto funzionamento. Gli individui portatori di questa sindrome presentavano difficoltà nelle interazioni sociali, schemi di comportamento ripetitivi e stereotipati, attività ed interessi in alcuni casi molto ristretti; tuttavia, a differenza di altre forme di autismo, non portava a significativi ritardi nello sviluppo del linguaggio o nello sviluppo cognitivo. Intelligenza, comprensione e autonomia non erano compromesse dalla sindrome: questo portava alla teoria che la sindrome di Asperger non dovesse essere catalogata come una malattia, piuttosto come uno stile cognitivo diverso, come l'omosessualità. Altre teorie sostenevano che la combinazione tra sindrome di Asperger e abilità avesse prodotto persone geniali, le menti più illustri della storia dell'evoluzione dell'uomo.

Seto posò ancora lo sguardo sul ragazzo, arricciando il naso, dubbioso.
Sicuramente possedeva un cervellino di prim'ordine, per riuscire a entrare nei server della Kaiba Corporation e creare tutto quel caos: non era stato abile abbastanza per aggirare tutte le protezioni e i firewall, ma a suo merito doveva ammettere di aver fatto un lavoro finissimo, costringendolo a rimediare anche con una certa velocità. Chissà cosa sarebbe successo se avesse tardato solo qualche minuto in più.
Cervellino funzionale ma totalmente privo di empatia e socializzazione: quel ragazzo sembrava andare in giro con addosso un cartello con su scritto ASPIE a caratteri cubitali.

    -    In tuo merito, devo ammettere che sei stato davvero bravo- sibilò Seto, gli occhi blu stretti e ridotti a due fessure – Non è da tutti riuscire a entrare nei miei server; l'unico sciocco sprovveduto che ha tentato un attacco hacker alla mia azienda è finito sul lastrico nel tempo di dire “SOLDI”. Tuttavia, ho una domanda da porti al riguardo: per conto di chi?-
Yusaku alzò gli occhi su di lui, e finalmente Seto notò un tremolio, un lieve cedimento della sua impassibile facciata. Non si aspettava davvero quella domanda? Doveva ammettere che sbatterlo subito dietro le sbarre sarebbe stato più sensato: con la velocità con cui aveva ottenuto quel mandato che gli aveva permesso di fargli irruzione in casa, avrebbe impiegato metà del tempo per fargli mettere dei braccialetti di metallo ai polsi e fargli stampare in faccia un bel segnetto dorato. Ishizu stessa, poco prima di uscire dall'ufficio, gli aveva riservato un'occhiata dubbiosa.
Perché permettere al nemico di infiltrarsi in prima persona tra le sue linee?
    -    ...Sono stato pagato per farlo- rispose Yusaku. Aveva una voce corposa, bassa, rischiarata da una lieve nota giovanile che confondeva i pensieri e le domande sulla sua effettiva età.
    -    Mi sembra chiaro- rispose Seto, serrando le dita – In fondo è quello che tu sei, no? Un hacker-
    -    ...Preferisco “consulente informatico”. Dà molto meno nell'occhio-
    -    Come no. Dovrei farti sbattere in una cella della Struttura e far buttare la chiave, razza di ladruncolo. Hai anche una bella faccia tosta, giuro-
Yusaku lo fissò impassibile: sembrava davvero adirato.
    -    Non faccio mai nomi dei miei clienti- disse poi il ragazzo – E questo per tre motivi: numero uno, non è moralmente corretto. Numero due, vengo pagato anche per tenere la bocca chiusa. Numero tre, è nella mia etica assumermi le piene responsabilità di quello che faccio e accettarne le conseguenze. Sono consapevole di non aver scelto un modo pulito per vivere-
    -    Bene. E io ti darò, allora, tre motivi perché tu debba deciderti a vuotare il sacco. Numero uno, posso farti passare dei guai, dei guai molto grossi. Numero due, vedi il punto numero uno. Numero tre, vedi il punto numero due-
    -    Le minacce fanno parte della mia professione-
    -    Non è mio interesse sbatterti dentro-
    -    Ah no?-
    -    A che scopo? È evidente che tu sei una pedina-
    -    E secondo lei è una cosa buona o una cosa cattiva?-
    -    Sei solo una pedina. Il Re è qualcun altro. Parliamoci chiaro, Yusaku: non è mio interesse consegnarti alle autorità, ma non esiterò a farlo a meno che tu non faccia come dico io-
    -    ...Mi sta ricattando, forse?-
    -    Ti sto dando la possibilità di uscire pulito da questa storia e con una professione vera. Hai indubbiamente del talento, e voglio che tu lo metta al mio servizio-
    -    Non posso accettare-
    -    Dammi tre motivi per non farlo-
    -    In realtà, in questo caso ne basta solo uno: sanno chi sono-
    -    Allora lavori per più di uno-
    -    Ho parlato con una sola persona, ma dietro c'è un'intera congrega-
    -    Interessante...-

Lo era davvero: l'arcigno volto di Sakue Izayoi gli si materializzò in testa senza che nemmeno lui volesse dare corpo a quel pensiero. Seto si torse nervosamente le mani; l'idea che quella donna e il suo circolo di pseudo-filantropi confusi fosse dietro a tutto quello che era successo in quelle ventiquattro ore gli dava il voltastomaco dalla rabbia. Non aveva prove che legassero loro le mani, ma la sua concorrenza era stata già sbaragliata da anni, i suoi nemici neutralizzati. Chi altri poteva mettergli i bastoni tra le ruote, se non nuovi avversari palesatesi poco tempo prima?
Non ci si prendeva impunemente gioco di Seto Kaiba.
    -    Mi perdoni, cosa ci trova di così interessante?- domandò Yusaku, aggrottando lievemente la fronte.
    -    Così non funziona, Yusaku. Le domande devo farle io, che c'è ora?!-
Il ragazzo alzò lievemente un sopracciglio, osservando Seto Kaiba voltarsi verso il telefono che squillava incessantemente. La sua mano si posò sulla cornetta dell'apparecchio, gli occhi scrutarono torvi il display per riconoscere l'interno.
    -    Ishizu- soffiò poi nell'apparecchio, trattenendo a stento un ringhio - ...Ah sul serio? Proprio ora?!-
Seguì un attimo di silenzio, in cui il CEO si voltò verso il ragazzo che stava per mettergli a soqquadro i server. Yusaku sostenne il suo sguardo con fermezza, non molto sicuro di cosa stesse succedendo; si voltò ad osservare il ragazzino seduto al divano, anche lui attirato dall'improvvisa pausa di Seto.
    -    E va bene. Fallo salire, parliamo anche con lui. Ehi, Mokuba-
Il ragazzino alzò gli occhi sul maggiore, abbozzando un sorriso.
    -    Perché non fai fare al nostro ospite un giro della struttura?- gli domandò poi – Nel frattempo che io discuto con un amabile signore? Continueremo dopo il nostro piccolo incontro, Yusaku Fujiki-

Qualcosa, negli occhi di Seto Kaiba, gli procurò un lieve brivido lungo la schiena. La mente gli restituì l'immagine di uno squalo bianco che si avvicinava alla preda con pochi colpi di coda: il CEO della Kaiba Corporation sembrava pronto ad uno scontro faccia a faccia con un pezzo grosso, a giudicare da come l'aveva pomposamente definito. Il ragazzino chiamato Mokuba chiuse la console portatile nella sua valigetta metallica e scese dal divano, sorridendogli e facendogli cenno di seguirlo.
Spinto alla curiosità, Yusaku lo seguì, congedandosi con un breve inchino del capo.
Nell'esatto momento in cui il giovane Fujiki lasciò la stanza insieme a Mokuba, Ishizu accompagnò l'ingresso di un ragazzo troppo cresciuto, dalla faccia esageratamente lunga,  vestito con un pesante completo blu scuro e una cravatta giallo canarino che gli fecero serrare gli occhi in uno sguardo carico di disprezzo: ghigno disturbante sul volto da faina e accostamenti cromatici di dubbio gusto, la combo perfetta per fargli rizzare tutti i nervi.
    -    Torno in ufficio- fece Ishizu – Mi chiami se--
    -    Resta qui, Ishizu. Non le dispiace vero, signor...-
    -    Suketsune. Izayoi Suketsune- rispose l'altro, con la voce che traboccava viscidume.
Avesse potuto scoppiare a ridere, Seto l'avrebbe fatto molto volentieri. L'intera storiella era così divertente da dargli quasi ai nervi.
    -    Izayoi eh? Nome non nuovo. Prego, si accomodi pure- lo invitò il giovane, con un cenno della mano – Chiudi la porta, Ishizu-
    -    Desidero anzitutto ringraziarla per la cortesia nel ricevermi- disse Suketsune, mentre la donna chiudeva la porta e si andava ad accomodare al divano scuro, gli occhi fissi sul tablet e il pennino che scorreva veloce a scrivere qualcosa – So che è davvero difficile trovare un momento, per lei, per--
    -    A voi Izayoi piace davvero tanto gonfiare gli altri di belle parole, eh?-

Le sue risposte al vetriolo ottenevano sempre l'effetto sperato di destabilizzare il suo interlocutore, e Seto Kaiba ne traeva un sordido piacere, a mettere in ginocchio le persone con poche parole; Atem era l'unico che sembrava immune al suo stesso potere, con suo sommo rammarico. Tuttavia poteva consolarsi con dei pallidi, eleganti cravattoni vestiti a festa che cercavano di distrarre uno squalo con delle esche succulente, bene al sicuro nella loro gabbia di protezione fornitagli dal loro patrimonio.
Le sue fauci erano forti e grandi abbastanza per fare a pezzi qualsiasi gabbia.
    -    Immagino che mia madre, Sakue Izayoi, sia venuta a farle già visita-
  -   Ah, era sua madre?! Non l'avrei mai detto! Sì, abbiamo amabilmente conversato per un po' l'altro ieri, prima che mi trovassi costretto a far intervenire la sicurezza per intercettarla: non riusciva a trovare l'uscita dalla torre-
    -    Ah, tipico di lei! Con l'età che avanza ha perso molte cose, il senso dell'orientamento in primis!-
E si abbandonò ad una risata molto nervosa e forzata. Seto Kaiba lasciò che un ghigno gli piegasse le labbra, nascondendolo appena dietro le sue mani giunte.
Per quanto gli desse sui nervi, la situazione cominciava ad assumere tratti così grotteschi da apparire divertenti.
    -    Signor Izayoi, perdoni la franchezza ma sono molto occupato- sibilò Seto, gelido come un iceberg – Per cui, se è qui solo per ricalcare le orme di sua madre, allora le ricordo che quella è la porta: non ho tempo da perdere-
    -    Ah, ma neanche io signor Kaiba! Neanche io! E sono qui non certo per rubarle tempo prezioso, ma per proporre un vantaggioso accordo!-
    -    Se sarà vantaggioso lo deciderò io. Sentiamo un po'-

E si mise meglio comodo sulla sua poltrona, senza interrompere il contatto visivo. Giurò di aver visto Ishizu sogghignare divertita.
    -    Beh, so che mia madre ha un modo tutto suo di parlare e fare proposte. Io sono più malleabile e propenso a scendere a patti: in fondo il successo si raggiunge meglio se si collabora in due, no?-
    -    Dopo questa deve darmi tre motivi per non metterla alla porta-
Il pensiero corse, anzi saltò letteralmente a Yusaku Fujiki.
    -    Oh, gliene darò uno solo, signor Kaiba, ed è lo stesso motivo per la quale lei è arrivata a rivestire un così alto ruolo nella società e nell'economia. Potere, signor Kaiba. E soldi, se capita-
    -    Ishizu--
    -    Mi ascolti, signor Kaiba. Sappiamo cos'è successo al suo cantiere sul ponte Daedalus, una vera tragedia. Quei poveri uomini...padri di famiglia che si stavano guadagnando onestamente da vivere, strappati troppo presto alla loro vita-
    -    Concordo, una tragedia assurda. Ma chi si è macchiato di tale crimine pagherà, gliel'assicuro. Sono già partite le indagini-
    -    Ottimo lavoro, signor Kaiba. Ma non credo che basti. Il ponte è stato momentaneamente chiuso, e immagino lei debba riprendere alla svelta i suoi lavori. Il progetto della sua ferrovia è davvero degno di nota, e la mia famiglia vorrebbe contribuire a tale realizzazione. Siamo disposti ad assicurare un ingente capitale a sostegno del suo completamento, e a pagare di nostra tasca dei corpi di sorveglianza che tengano d'occhio i cantieri giorno e notte-
    -    Ma che bravi samaritani. E immagino che la condizione unica per beneficiare di tali favori sia quella di lasciar perdere il Satellite, vero?-
    -    ...Lei è un uomo estremamente intelligente, signor Kaiba--
    -    LO SO-

Di nuovo quella scintilla di disagio illuminò gli occhi spiritati di Suketsune Izayoi. Di nuovo Seto colse il sorriso divertito di Ishizu, malcelato dalla sua mano destra, mentre fingeva di rimettersi a posto gli occhialetti sul naso per la decima volta in quei tre minuti.
    -    E proprio perché lo sono, e sono fermamente convinto che anche lei abbia un po' di sale in zucca...- riprese Seto – Che mi sento in dovere di fermarla qui. Sua madre mi aveva già offerto del denaro, la scorsa volta, per lo stesso motivo-
    -    Già, ma non c'era di mezzo questo increscioso problema della sicurezza! Adesso le cose saranno sicuramente--
   -   I miei piani non cambiano. Ponte aperto o no, i lavori procederanno normalmente, e senza i vostri soldi-
    -    Ci pensi bene. Signor Kaiba, gli attacchi potrebbero intensificarsi! E tutto questo per cosa? Per collegare un'isoletta sperduta ad un simbolo continentale come Nuova Domino? Cosa penseranno i suoi colleghi? I suoi sostenitori?-
    -    Pensassi a loro non sarei qui, ora. Voi Izayoi siete fatti tutti della stessa, identica, molliccia pasta frolla. Molto male-
    -    Siamo semplicemente accorti e desiderosi di vedere le nostre famiglie, e la nostra cittadinanza, al sicuro e lontana dalla feccia del Satellite-
    -    Intende quella chiusa al sicuro dietro le sbarre della Struttura?-
    -    Intendo quella che vaga a piede libero per Nuova Domino. Conosce il Pharaoh's Kingdom, signor Kaiba?-
Dove voleva arrivare?! Seto storse il naso, guardingo.
    -    Sì- rispose comunque, con un'alzata di spalle – Un locale passabile. Idea carina, quella di rievocare un'oasi nel deserto, ma avrei investito meglio il mio capitale-
    -    Mmmmh. E sapeva che il suo proprietario dà lavoro a un ex galeotto?-
    -    Intende forse il capetto del bar? Yusei Fudo, mi pare si chiami. Un tipo a posto, grande lavoratore. Peccato per quel segno in faccia, certo, ma come si dice nessuno è perfetto...-

Non traeva alcun vantaggio nel prendere le difese di Atem e del suo locale, tanto meno dei suoi lavoratori; ma qualcosa lo spinse a cercare di tenerli fuori da quella storia.
    -    Mi sta quindi dicendo che lei è favorevole alla reintegrazione sociale dei criminali?- domandò Suketsune, in tono stupito - ...Sono sorpreso, lo ammetto. Non lo aspettavo da lei-
      -    Ah davvero? E come mai, di grazia?-
   -    Perché come ben saprà, le mele marce vanno tolte dal canestro, prima di impestare tutto il resto-
    -    Ottima osservazione. Lasci che gliene faccia io un'altra-
Ishizu smise di ghignare. Alzò gli occhi verso di loro, gli occhialetti scivolati sulla punta del naso.
Il tono di voce di Seto Kaiba era definibile spietato.
    -    Non si fanno soldi a vivere nel passato- sibilò poi – Quel ragazzo, Yusei, è stato intelligente abbastanza per capirlo e ridimensionare la sua vita nonostante questo. Cos'abbia fatto non lo so, per quel che mi riguarda potrebbe anche aver ammazzato qualcuno, ma sa la cosa divertente? È che a me non importa. Come non mi importa nulla di tutti quelli che, come Yusei Fudo, cercano di ritrovare la propria strada. No, non li ammiro, ma neanche li disprezzo e ostacolo. Ho cose ben più importanti a cui pensare, piuttosto che a un ragazzo con una saetta dorata in faccia o alle paranoie di una famiglia di cialtroni-
Ancora seduta al divano, Ishizu si morse l'angolo destro del labbro inferiore: un gesto che faceva solo quando la tensione, per lei, si faceva evidente e palpabile, e quindi piuttosto raro da vederle.
    -    La ringrazio della visita, signor Izayoi. Porti i miei saluti a sua madre. Ishizu, accompagna il signore verso l'uscita. Ah, e appena possibile rimandami qui Mokuba e il signorino Fujiki-
Qualcosa, nell'espressione di Suketsune, gli fece capire di aver toccato un tasto particolarmente suscettibile. Seto serrò lo sguardo, seguendo con gli occhi i rigidi movimenti del giovane Izayoi mentre Ishizu lo accompagnava alla porta.
Aveva avuto una strana reazione, quando aveva fatto il nome di Yusaku: tutto il volto gli si era contratto, e sembrava aver perso del colorito. Gli occhi, invece, avevano preso a vagare per tutta la stanza, quasi alla ricerca di una via di uscita che lo portasse fuori da lì.
Perché mai quella reazione? Non era il comportamento che ci si aspettava, da una persona che, in teoria, non sapeva neanche di chi stava parlando. Avrebbe capito se avesse reagito a sentire il nome di Mokuba: il fratellino gli era sempre intorno anche durante manifestazioni e meetings internazionali, suo malgrado si era fatto anche lui conoscere...ma Yusaku Fujiki? Un universitario allampanato, totalmente privo di empatia e esperto in hackeraggio di sistemi informatici e furti di dati sensibili?
L'illuminazione lo colse al cervello, colpendoglielo con un calcio. Il suo ghigno si allargò ancora.
Aveva ragione, come sempre.




    -    E questo è il nostro bar! Bello vero? C'è proprio di tutto, dai dolci ai cornetti ai gelati, e qui puoi anche ordinare il pranzo se dimentichi di portartelo da casa! In fondo al corridoio, invece, c'è la nostra palestra! Chi termina il proprio turno lavorativo può entrare lì dentro e tenersi in esercizio! Abbiamo anche una piscina riscaldata, e un centro massaggi!-
Yusaku arrancava dietro quel piccolo uomo d'affari, che aveva appena imparato a riconoscere come il fratellino di Seto Kaiba. Nonostante la differenza di dimensioni, e la zavorra costituita da quella voluminosa valigia metallica, Mokuba attraversava porte e corridoi con passo spedito ed energico, senza tentennamenti o smarrimenti. Sembrava conoscere il posto davvero bene, e per quanto fosse giovane già si comportava come un piccolo uomo d'affari: vestito di tutto punto, educato e formale, con quel tono professionale che il fratello maggiore sembrava aver fin troppo estremizzato.
Aggirandosi per i corridoi della torre della Kaiba Corporation, Yusaku si era fatto un'idea molto più grande di dove era andato a ficcanasare: non solo una casa produttrice di videogiochi, ma un vero e proprio impero monetario di cui Seto Kaiba ne era il re indiscusso, servito e riverito dalla sua fedele servitù.
Ancora non riusciva a spiegarsi il motivo per cui avesse scelto di non denunciarlo.

Forse era troppo presto per dirlo, in fondo avevano interrotto la loro conversazione a riguardo, e in quei minuti poteva scattare di tutto nella sua testa, anche il desiderio di fargli piazzare le manette ai polsi. Yusaku si guardò intorno, individuando diverse uscite d'emergenza e la planimetria della torre stampata sul piano antincendio.
Se le cose si fossero messe male, avrebbe dovuto dare fondo a tutta la sua agilità ed inventiva per scappare da lì.
Non sarebbe stato affatto semplice.
    -    E tu invece cosa fai?- domandò Mokuba, curioso - Quello che dice il fratellone è vero?-
    -    Dipende da cosa dice tuo fratello- si limitò a rispondere il giovane – Lavoro nell'informatica-
    -    Ma fai anche cose illecite, giusto?-
    -    No, mi diverto a passeggiare nei server altrui quando capita-
    -    ...Stai facendo il sarcastico?-
    -    No-
    -    Sul serio?!...Oh, era sarcasmo anche quello!-
Mokuba scoppiò a ridere, prendendo meglio in mano la sua valigetta, osservando Yusaku alzare gli occhi verso il soffitto.
    -    Sei strano!- esclamò poi il ragazzino, con un furbo sorriso sulle labbra.
Yusaku quasi inchiodò in mezzo al corridoio, scoccando un'occhiata in tralice in direzione di Mokuba, scrutando i suoi occhi blu.
Strano, aveva detto. Lui era da considerarsi strano? Cos'aveva di strano? E va bene, i referti clinici parlavano chiaro ma non era così “strano”...non come gli altri sembravano capire. Qualcuno sosteneva lui fosse fin troppo intelligente, Yusaku la vedeva in maniera molto più semplice: erano senza ombra di dubbio gli altri che si comportavano in maniera stupida, lui aveva almeno la briga di mettere il cervello in moto e ragionare sulle cose.
Era vero, la sua empatia cognitiva era totalmente assente: non riusciva a contestualizzare pensieri e intenzioni altrui, e non era in grado di comprendere battute e senso dell'umorismo nei discorsi, tendendo a prendere le cose troppo sul serio e, una volta scoperte le reali intenzioni del suo interlocutore, silurarlo con qualche sarcastica risposta al vetriolo. Semplicemente non era capace di stare allo scherzo, ma era capace di provare e condividere sentimenti, così come il desiderio di aiutare chi gli stava intorno e si trovava in difficoltà...anche senza sapere come, a volte.
Definirlo apatico e senza sentimenti era davvero esagerato. Ma sapeva anche che spiegare simili concetti agli altri era solo una perdita di tempo: in fondo, le persone ci vedevano solo uno stramboide dai capelli colorati.

    -    Te la sei presa?- domandò Mokuba, sgranando gli occhi. Yusaku fece spallucce.
    -    No- rispose poi, la voce incolore – Ci sono abituato-
    -    Uh? In quanti te lo dicono?-
    -    Tutti quelli che hanno a che fare con me-
   -    Mmmmh. Beh, non sanno che si perdono! Insomma, essere normali è tremendamente noioooooso! È fantastico possedere un talento innato e sfruttarlo a tuo vantaggio, non trovi?-
Okay, quello era davvero strano.
    -    Immagino di sì- commentò Yusaku, prima di individuare la figura scattante di Ishizu Ishtar avanzare verso di loro a falcate ampie e decise.
    -    Signorino Kaiba- la sentì chiamare, a distanza sufficientemente ravvicinata per farsi udire dal diretto interessato – Suo fratello ha terminato l'incontro. Può risalire in ufficio. Anche lei, signor Fujiki-
    -    ...Devo proprio?- fu il solo commento di Yusaku, storcendo la bocca.
    -    Temo di sì, signor Fujiki. Questo o le manette-
    -    ...Passiamo ai ricatti ora?-
    -    Forse, ma si ricordi che è stato lei a scagliare la prima pietra-
Tanto bella quanto intelligente, non c'era che dire, con una lingua velenosa come un'aspide. Yusaku annuì e seguì il giovane Mokuba per i corridoi, in direzione dell'ascensore.


****


Aki salì le scale che portavano alla terrazza con passo svelto, infilando velocemente il telefono nella tasca anteriore dei pantaloni. Esageratamente in orario, forse anche in anticipo, la rossa si era precipitata a lavoro, pronta ad una nuova serata in terrazza. Chissà se anche il seguente mattino ci sarebbe scappato un bagno alla luce del sole, usufruendo della piscina.
Piscina che era già occupata da Atem, a quanto poteva vedere: il proprietario del Pharaoh's Kingdom si stava concedendo una serie di bracciate in stile libero, immergendosi di tanto in tanto e risalendo con poche, semplici spinte. Aki rimase ad osservarlo in silenzio, a debita distanza: erano entrambi soli, probabilmente Atem stesso non si aspettava visite o anticipi dei suoi lavoratori.
Tuttavia, quando si rese conto della sua presenza non sembrò affatto turbato, anzi: la salutò con un ampio gesto del braccio sinistro e si issò a bordo vasca, uscendo dall'acqua e recuperando alla svelta un grosso telo che utilizzò per tamponarsi corpo e capelli.
    -    Sei in anticipo- le disse poi – Anche più del tuo solito! A cosa devo tutta questa fretta?-
In un primo momento, Aki non rispose, troppo impegnata ad osservare il Faraone che le si avvicinava.
Che Atem fosse un tipo del tutto singolare le era ormai chiaro, ma alcuni tratti della sua persona erano davvero misteriosi, a tratti inquietanti. L'unica volta che l'aveva visto privo di abiti dalla vita in su era stato nel corso della sua prima serata in terrazza, quando aveva camminato sull'acqua: gli aveva riservato uno sguardo di sfuggita, concentrata più su come i suoi piedi si muovevano sulla superficie della piscina e divertita dall'occhiataccia di fuoco con cui Mana aveva incenerito qualche misteriosa accompagnatrice. Ma ora che lo aveva fisicamente di fronte, era impossibile non notare quel segno.

Atem si mostrava come un uomo giovane e atletico, con un fisico allenato senza apparire troppo pesante o grosso: l'insieme dei muscoli di petto, braccia e ventre, che premevano contro la pelle, dava più l'impressione di un uomo agile piuttosto che forte, una persona che badava al benessere fisico quel che bastava per stare bene e farsi guardare piacevolmente anche dagli altri. Eppure era impossibile che nessuno notasse quel suo gigantesco sfregio.
Se fino a quel momento aveva pensato che la cicatrice che sfregiava il ventre di Yusei fosse grossa, ora cominciava davvero a farsi qualche domanda. Il torso di Atem era vergato da una grande incisione, che partiva dalla parte superiore di ciascuna spalla: i due segni convergevano in un unico punto, nella parte superiore dello sterno, per poi scendere lungo la parte anteriore del torace, deviando a sinistra dell'ombelico.
Una ferita grande, troppo perché se la fosse procurata a causa di un incidente o di una rissa: il segno lasciato era di una precisione letteralmente chirurgica. Aki sbatté gli occhi, incredula: la cosa non dovette passare inosservata ad Atem, perché il Faraone ricambiò lo sguardo stupito, seguì la direzione dei suoi occhi e poi annuì, comprendendo il perché di tanto silenzio e stupore.
Si lasciò perfino sfuggire una lieve risata.
    -    Storia un po' lunga, devo dirtelo...- esordì, con un sorriso sornione – Mettiamola così: tutti sbagliamo qualcosa, prima o poi-

    -    ...Quella è l'incisione di un esame post-mortem- mormorò la ragazza, con un filo di voce – Con quell'incisione si-si...-
    -    Dillo Aki. Si aprono i cadaveri, giusto?-

La terra sembrò mancarle da sotto i piedi per un breve attimo.
    -    Ma tu--
    -    Non sono morto? No, a quanto pare. Ma ho fatto prendere un bello spavento al coroner...-
Aki scosse il capo e si voltò altrove, decisa a non voler approfondire la questione. Quegli argomenti la insospettivano e spaventavano contemporaneamente: aveva capito che Atem non era certo un tipo “normale”, ma un conto era far apparire e sparire le cose...un conto era ingannare la morte.
Scosse il capo: a ben pensarci, anche quello sfregio poteva essere un'illusione. Sarebbe stato sensato.
Sicuramente più realistico di un morto deambulante. Era ancora troppo presto per un'apocalisse zombie.
    -    E allora? Come mai tutta questa fretta?- domandò ancora Atem, ripiegando accuratamente il telo e mettendoselo sotto braccio – Forse preoccupata per Yusei?-
    -    ...Cosa ti rispondo a fare se riesci a leggermi nella mente...-
    -    Ahaha! Sarebbe interessante Aki, ma temo di non poterlo fare. Non ne sono in grado-
Sì come no, pensò la rossa, mal celando un sorriso.
    -    E poi significherebbe violare la tua privacy. E io non sono quel tipo di persona-
    -    Detto da uno che si diverte a fare esperimenti con le persone è strano-
Il sorriso di Atem si affievolì, piegandogli le labbra in una curva gentile; il Faraone scrutò Aki con occhio critico, annuendo con il capo.
    -    Messa così hai perfettamente ragione- rispose poi, spostando il peso da una gamba all'altra – Non ha effettivamente senso. Ma vedi...i miei esperimenti vertono su tutt'altro campo. Mi piace definirmi mentalista, ma non provo alcun interesse a conoscere i pensieri reali degli altri; ciò che è di mio reale interesse è la meccanica secondo cui reagisce la mente umana a determinati stimoli-
    -    Me l'avevi detto. Mettere le persone di fronte a diverse situazioni e studiare le loro reazioni, no?-
    -    Non solo-
    -    Uh?-
    -    Vedi, quando tu fai apparire e sparire delle carte sotto il naso delle persone, o ti diletti in altri giochetti simili, le reazioni sono più o meno le stesse. Incredulità, stupore, divertimento, a volte rifiuto, non accettazione di ciò che è successo, impegno nel cercare di capire, di spiegarsi come e perché. Sempre le stesse, tutte molto prevedibili a lungo andare. Quello che a me interessa è come la mente umana reagisce a degli stimoli a lungo termine-
    -    Stimoli a lungo termine?-

Aki sembrava piuttosto confusa, e la cosa lo fece sorridere.
Anche lei era divertente da osservare, un esperimento che stava riuscendo alla stragrande e che, per quanto ricalcasse la linea d'azione seguita per Yusei Fudo, stava conducendo a risultati...non inaspettati certo, ma molto interessanti.
    -    Sai come Yusei è arrivato qui?-
    -    ...No-
    -    Mh. Strano che non te l'abbia raccontato-
    -    Mi ha narrato del suo passato al Satellite, ma cosa l'abbia portato qui...non ne ho idea-
    -    Capisco. Beh, prendiamoci qualcosa, ti va? Mentre ti spiego-
Senza aspettare la sua risposta, Atem si avviò verso il bancone, a passi grandi e fluidi. Dopo un primo attimo di incertezza, Aki lo seguì, le mani strette sul manico della sua borsetta.
Atem era davvero strano, e sotto mille punti di vista. E fosse stato per l'assurdo colore dei suoi capelli, avrebbe anche potuto passarci sopra: insomma, si vedeva di peggio in giro...ma c'erano tantissimi punti incompresi di quel giovane uomo.
Trattava tutto con il divertito, riservato distacco di un narratore onnisciente che già sapeva come le cose avrebbero raggiunto la loro conclusione: nulla sembrava sorprenderlo o almeno impensierirlo, o almeno così appariva...se davvero esisteva qualcosa capace di mandarlo in agitazione, era dannatamente bravo anche a dissimulare quelle emozioni. Estremamente colto e intelligente, i modi raffinati e le sue capacità di deduzione lo rendevano un abilissimo conversatore, capace di pilotare il discorso e lasciarti privo di difese con poche parole; eppure non ne faceva necessariamente un vanto, di quella dote, e anzi, quando gli capitava di farne uso finiva sempre con lo scusarsi. La sua educazione era esemplare, peraltro riflessa dal fratellino Yugi. Il più piccolo era più timido e apparentemente ingenuo, e questo sicuramente influiva sul suo atteggiamento, ma Atem aveva la malizia di un demonio e le sottili, raffinate arti di un gatto sornione che cercava coccole. Qualità ineccepibili che gli valevano il rispetto e la reverenza di chi gli stava intorno, e a volte anche i timore.
Soprattutto, aveva degli interessi del tutto particolari. Non si parlava solo di Egittologia, quello era anche accettabile: in fondo era un argomento di studi come tanti altri, bastava pensare a Yusei e ai suoi occhi blu perennemente puntati alle stelle (magari evitando di pensare troppo a quegli occhi, a meno di non voler concludere nulla nell'arco della giornata...); il fatto stesso di osservare le persone e le loro reazioni era misterioso ed apparentemente incomprensibile.
Aki non sapeva mai cosa aspettarsi, da lui.

Avvicinatisi al bancone, Atem preparò in pochi, esperti gesti, il suo analcolico preferito, porgendoglielo delicatamente in un bicchiere collins. Cominciò a preparare il suo Martini solo quando la vide prendere il primo sorso.
    -    Come Yusei ti avrà raccontato, ha soggiornato per qualche mese nella Struttura- iniziò Atem, inserendo il ghiaccio nel bicchiere – Per aiutare un suo caro amico. All'epoca la vita nel Satellite era tutt'altro che facile: esclusa dalle normali vie di comunicazione, l'isola era stata trasformata in una discarica galleggiante dagli illustri cittadini di Nuova Domino. Yusei è finito dietro le sbarre proprio mentre le cose stavano lentamente cambiando, e quando si è poi ritrovato libero, ha avuto grossissime difficoltà a ricominciare da capo. Vedi, c'è una cosa che mi affascina particolarmente delle persone, ed è proprio l'affidamento che viene fatto su pregiudizi e apparenze. Incredibile come un segnetto dorato in faccia cambi il modo in cui le persone ti affrontano-
Il pensiero di Aki corse alla linea dorata che segnava la guancia sinistra di Yusei. Era stato doloroso doverla subire?
    -    Il corpo di guardia della Struttura è famoso per applicare metodi non proprio pulitissimi per la gestione dei detenuti, eppure indovina un po'? A nessuno pare importare di quello che succede realmente là dentro: sono tutti considerati delinquenti all'unanimità, e come tali hanno meritato tutte le loro sofferenze. Poco importa che Yusei, per dirtene uno, sia finito in cella per salvare un amico: per la nobiltà di Nuova Domino ha ampiamente meritato tutto. Il marchio in faccia, le botte, le percosse, un paio di quelle cicatrici sulle braccia, elettroshock e colpi sparati con teaser per il solo gusto di farlo-
Istintivamente Aki rabbrividì, alla parola teaser. La devastante utilità di quegli aggeggi era nota a chiunque, e qualche anno prima diversi uomini di giustizia erano stati processati proprio per aver abusato di un simile marchingegno. Il servizio denuncia del notiziario era stato in seguito censurato, per via delle sconvolgenti immagini rivelate in esso, tuttavia era stato trasmesso in onda prima che i filtri mediatici ne applicassero le dovute restrizioni: Aki ricordava con orrore quel ragazzo, un pacifico manifestante armato solo di un cartello di protesta, colpito da tre di quegli apparecchi insieme. Lo shock era stato tale da provocargli un arresto cardiaco.
Yusei aveva passato anche quello?!

    -    E come se non bastasse, la beffa si è aggiunta al danno- riprese Atem, facendo tuffare con grazia un'oliva nel calice - Il segno che ha sul volto è indelebile, e automaticamente lo bolla come carcerato. Chi ha a che fare con lui sa subito, per prima cosa, che ha fatto qualcosa di molto grave che l'ha portato a farsi un bel viaggetto nella Struttura. E come ben saprai, i pregiudizi delle persone ti rendono la vita difficile, soprattutto di fronte a caratteristiche così evidenti. Yusei avrà perso il conto delle porte sbattute in faccia e dei posti di lavoro persi a causa di quel simbolo. Devi sapere che è stato varato un programma di...come si chiama...? Reintegrazione dei galeotti nella società, ma pare che non a tutti piaccia-
    -    E...E Yusei fa parte di quel programma?!-
    -    Ha fatto parte, sì. Ha vissuto per diverso tempo in questa struttura finanziata dal governo, nell'attesa di trovare un lavoro e un posto in cui vivere. E come ti ho detto prima, la gente ha tantissimi pregiudizi-
Aki annuì: non le riusciva difficile immaginare il povero Yusei dover far fronte a occhiate maligne, sussurri sospettosi e porte sbattute in faccia solo per quel segnetto, quello stesso simbolo che lei aveva a malapena notato e non sapeva neanche cosa significasse, all'inizio.
    -    E come penso tu abbia capito, a me di tanti pregiudizi non importa un bel cazzo-
La rossa posò gli occhi nocciola sulla figura di Atem, intento a bere qualche piccolo sorso di Martini.
    -    Mi piace tastare le cose con mano- spiegò Atem, posando il bicchiere sul bancone e dando una rapida occhiata al cellulare – Ho voluto di persona constatare quanto fosse effettivamente cattivo, questo ragazzo che veniva dal Satellite. Sai, è arrivato qui da noi allo stesso tuo modo: un annuncio di lavoro al quale lui ha risposto senza neanche troppo entusiasmo. Ora è il mio capobar. Vedi? Questo intendo, con reazioni dell'animo umano: Yusei ha passato una giovinezza tutto tranne che semplice, ma ha volutamente scelto di non farsi condizionare da essa e di guardare avanti, provare e riprovare senza mai gettare la spugna. E la sua costanza è stata premiata-
    -    ...Toglimi una curiosità- fece Aki, dopo un attimo di pausa – Anche a lui hai letto le carte?-
Atem non rispose direttamente, ma le sorrise. Aki lo prese come un sì.
    -    ...E quelle carte con cui lui ha avuto a che fare...- mormorò poi la ragazza – Erano forse la Persuasione...scusa, la Forza e la Speranza?-
Anche stavolta, il Faraone rimase in silenzio, limitandosi a sostenere il suo sguardo mentre prendeva un altro sorso di Martini.
    -    Trovo che la vostra possa essere una coppia perfetta, sai?-

Fu combattuta tra il desiderio di nascondersi sotto qualche poltroncina e il mandare al diavolo il suo datore di lavoro, insieme a mezza crew del Pharaoh's Kingdom. Insomma, ma cosa prendeva a tutti quanti?!
Tutta quella voglia di vederli accoppiati ad ogni costo, ma perché?!
    -    Trovo che entrambi abbiate caratteri molto simili- spiegò Atem, quasi le avesse letto nei pensieri – Con qualche tratto distintivo, certo, ma con alcune similitudini lampanti. Entrambi poco inclini a fare subito amicizia, per tanti motivi. Entrambi con la testa sulle spalle e propensi a ragionare bene sulle mosse da eseguire prima di giocare le vostre carte. Entrambi due fedeli amici una volta compresa la vostra sfera emotiva, ed entrambi rapidissimi nel mandare le persone al diavolo. C'è chi dice che gli opposti si attraggono, ma io non ho mai creduto molto a questa teoria. E tu?-
    -    ...Non saprei- rispose Aki, con un'alzata di spalle: la conversazione stava diventando davvero strana...- Immagino sia un po' come...come l'oroscopo no? La gente tende a crederci solo quando dà belle notizie. Immagino sia la stessa cosa, dipende da chi hai davanti-
    -    ...Hah. Bel pensiero questo. Dico davvero! Non ci avevo mai pensato-
La rossa sbatté gli occhi un paio di volte, stupita.
Davvero era riuscita a superarlo?!
    -    Come teoria non è affatto male- ammise poi il Faraone – Ma per concludere il nostro discorso iniziato poco fa, intendo questo per “stimoli a lungo termine”. Mettere le persone a confronto con situazioni durevoli, vedere come reagiscono, come si ridimensionano di conseguenza. L'uomo è una creatura meravigliosa, con delle capacità di adattamento tutte sue: gli animali potranno avere una marcia in più, guidati dal loro istinto di sopravvivenza, ma la capacità di ragionamento e razionalizzazione dell'uomo non è seconda a nessuno-
    -    Ma ragionare troppo su alcune azioni potrebbe portare a conseguenze indesiderate...no? Se Yusei non si fosse fatto avanti quella volta, per coprire il suo amico, le cose avrebbero potuto finire diversamente-
    -    Quello che dici è giusto. Bruno, o come si chiamava quel tipo, avrebbe scontato la sua pena, dal primo all'ultimo giorno. E magari Yusei e i suoi amici sarebbero ancora lì, a scannarsi con la feccia del Satellite. E anzi, il Satellite sarebbe stato probabilmente fatto affondare nell'oceano. Chi lo sa-
    -    Tu pensi davvero che il destino di una persona possa cambiare il mondo?-
    -    Non cambiarlo, ma influenzarlo. E non tutto il mondo, ma ciò che le sta più vicino e le è più caro. Prova a pensarci-

E ci provò, davvero, e concluse che sì, le cose avrebbero potuto prendere una piega ben diversa per Yusei e gli altri. Probabilmente avrebbero tutti insieme lasciato il Satellite, oppure sarebbero affondati con esso; forse sarebbero finiti a correre nello stesso team agonistico: il ragazzo delle stelle non avrebbe mai conosciuto né Atem, né Judai, né gli altri.
Tanto meno lei.
O forse le cose avrebbero seguito lo stesso percorso.
    -    Ci stai pensando davvero?!- domandò Atem, curioso. Aki annuì – Heh, era così per dire...ma sono contento di aver suscitato in te una simile reazione. Sei una brava ragazza Aki, mi piace come ragioni-
Aki non seppe cosa rispondere a quel complimento, limitandosi a sorridere e annuire col capo.


****


    -    E adesso come sta?-
    -    Meglio. Abbiamo passato la mattinata insieme, a non fare nulla. Abbiamo cucinato, guardato un po' di televisione, siamo stati tutto il tempo insieme e così continueremo. Ora sta dormendo-
Yuma sbuffò, staccando una mano dal volante e stropicciandosi gli occhi, l'auto che avanzava lentamente.
    -    Come ti è sembrato?- domandò poi; l'impianto bluetooth dell'auto mandò un lieve scricchiolio per l'interferenza con il cellulare di Kotori, seduta accanto a lui, che lo spense velocemente.
    -    Bene, dopo- rispose Yuzu, dall'altra parte, la voce bassa – Stamattina appena tornato è crollato di colpo, mi ha presa di sprovvista...ma ha recuperato velocemente-
    -    Davvero? L'hai fatto ingozzare di cornetti finché non ha iniziato a rotolare?- domandò Kotori, riordinandosi i capelli in una morbida treccia.
    -    Naaah, abbiamo preferito direttamente una doccia-
    -    Cos...ooooooh, caaaaapitoooo...- ghignò Yuma, svoltando a destra – Beh, felice di sapere che non ha perso voglia per quello! Non era così grave dopotutto!-
    -    Già, ma non va bene uguale- Yuzu sembrava davvero preoccupata – Le crisi sono diminuite parecchio, ma restano. Bisogna trovare una soluzione-
    -    Non vuole andarci dallo psicanalista, lo sai-
    -    Per carità, mi rifiuto di sbolognarlo ad uno strizzacervelli che non sa che diavolo è successo. La soluzione ci sarebbe Yuma, è che lui ha un rifiuto fisiologico per quest'eventualità-
    -    Ho capito ragazzi, ma cazzo! Sono passati sei fottutissimi anni, dovrà pur mettersi col cuore in pace no?-
    -    Lo sai come è fatto-

Yuma sbuffò esasperato, scuotendo il capo.
Eccome se sapeva come Yuya fosse fatto. E doveva ammetterlo, quel ragazzo era molto più complicato di quanto sembrava. Era arrivato al Pharaoh's Kingdom carico di energia, inventiva e voglia di fare, avevano praticamente legato subito e stretto una bella amicizia; ma Yuma non poteva negare di aver notato diverse stranezze in quel ragazzo.
La prima volta che si era trovato a dover fronteggiare una sua crisi era stato davvero tragico, anche perché nessuno sembrava realmente in grado di aiutarlo o almeno di capire cosa stava succedendo: in pieno turno lavorativo, Yuya si era lasciato sedere a terra, aveva abbracciato le ginocchia al petto ed era letteralmente scoppiato in un pianto isterico. A volte Yuma credeva di sognarli, quegli occhi diversi spiritati e sbarrati nell'orrore, i denti digrignati quasi volesse frenare le grida di dolore, le nocche sbiancate delle mani e le lacrime che gli scorrevano sul volto, implacabili e quasi dolorose. Più di tutto, ad impressionarlo era stato il continuo, sommesso ringhio che gli aveva fatto vibrare la gola tra i singhiozzi: un cane sperduto che provava ad intimidire qualche creatura minacciosa.
Quella volta, neanche Atem sapeva che pesci pigliare. Yuya aveva chiesto di fare una telefonata urgente col cellulare di qualcuno, poiché era rimasto senza credito sul suo: era così che tutti avevano conosciuto Yuzu.
La ragazza era piombata nel locale prima che riusciva, ed era stata lei a tirare Yuya fuori da quel suo stato pietoso. Si era inginocchiata di fronte a lui, l'aveva stretto con tutte le sue forze e il giovane si era aggrappato a lei come un naufrago alla sua scialuppa di salvataggio. Non ricordava cosa lei gli aveva detto, sapeva solo che, una volta in piedi, Yuya si era asciugato le lacrime con un gesto così infantile da mettere tenerezza e aveva chiesto scusa a tutti, riprendendo a lavorare.
Era stato allora che Yuma e gli altri avevano scoperto delle sue improvvise crisi. La perdita del padre era una ferita ancora fresca e, apparentemente, insanabile. Con il tempo, appena acquistata con tutti una maggiore confidenza, Yuzu aveva raccontato loro che il ragazzo si era rifiutato di presentarsi alla cerimonia funebre del padre, così come di visitare la sua tomba in futuro. Addirittura era scomparso per tutto il tempo in cui la camera ardente era rimasta allestita in casa, non aveva voluto saperne in alcun modo.
Sapeva che suo padre era morto, eppure non voleva accettarlo. E sapeva anche che lui non aveva colpe a riguardo, eppure si addossava tutta la responsabilità dell'accaduto. Quando entrava in crisi lo ripeteva spesso, quel “è colpa mia” che stringeva il cuore da una parte, e faceva incazzare dall'altra.
Yuzu stessa sapeva che c'era un solo modo per risolvere definitivamente la questione, ma perfino lei sembrava riottosa a volerlo applicare, essenzialmente perché nessuno poteva davvero prevedere come lui avrebbe reagito. Poteva sprofondare in un'ennesima crisi, poteva crollare del tutto, poteva infuriarsi con tutti e c'era davvero di che avere paura, quando Yuya si arrabbiava...la situazione avrebbe anche potuto concludersi rapidamente e nel modo più semplice e felice, ma nessuno ne aveva la certezza.
Si continuava a peggiorare. E si restava sempre allo stesso punto.

C'era però da dire che l'arrivo di Yuzu, nella sua vita, era stato provvidenziale; o almeno la sua entrata ufficiale come compagna. Da quando avevano condiviso insieme i sentimenti che provavano uno verso l'altra, Yuya era sensibilmente migliorato: aveva ancora delle ricadute in quel baratro di tristezza e depressione, ma erano molto più sporadiche, e soprattutto la voce e la presenza della ragazza lo aiutavano a venirne fuori molto prima. I margini di miglioramento c'erano, la possibilità di guarirlo anche.
A costo di trascinarlo per le orecchie sulla tomba del padre, l'avrebbe aiutato.
Non sopportava di vedere il suo migliore amico dover ridursi così.
    -    Yuzu scusami, dicevi?-
    -    Dicevo, che stasera contiamo ugualmente di passare! Almeno vi vede, vede te e gli passa completamente-
    -    E noi lo accoglieremo a braccia aperte!-

Kotori sorrise, osservando Yuma alzare trionfalmente entrambe le braccia.
    -    Non esiste tristezza con me intorno!- esclamò il ragazzo, allegro ed energico come il suo solito: affermazione che la ragazza non poté fare a meno di confermare con un cenno del capo – A costo di rifilargli un papagno in testa, gli inculcherò un po' di buonsenso in quella zucca! Tsè! Voglio proprio vedere, poi, come farà a stare di nuovo male! Aaaah, e pensare che si ritrovava la fila fuori casa, questo!-
    -    Yuma?!- Kotori si voltò ad osservarlo, stupita – Che diavolo dici?-
    -    Quello che ho detto! Ahaaaa, perché non lo sapevi?! Quel ragazzaccio lì parla tanto di Atem, ma anche lui si è dato il suo bel da fare!-
    -    ...Stiamo parlando dello stesso Yuya? Quello che gira con i boxer di Adventure Time--
    -    Ma cos'avete contro quei boxer?!- sbuffò Yuzu, ancora al telefono – Glieli ho regalati io!-
    -    Yuzu sul serio?!- domandò Yuma, scioccato – Cosa ti è passato per la testa?!-
    -    Mi piacevano! E piacciono anche a lui!-
    -    Ti rendi conto, Tori?! Parliamo di un tipo che va in giro con dei boxer improponibili e sacramenta contro i videogiochi, perde tempo a rotearsi le bottiglie in testa e SOPRATUTTO è vittima di crisi di depressione! Quello lì aveva LA FILA FUORI DAL PORTONE DI CASA prima che arrivasse Yuzu!-
    -    Lui?! Davvero?! Com'è possibile?!-
    -    Ma che ne so, probabilmente faceva tenerezza con quel faccino che si ritrova...solo Yuzu non si fa scrupoli a rifilargli sganassoni quando serve!-
    -    Ehi, che diavolo dici?!- sbraitò Yuzu, nell'abitacolo – Io non l'ho mai picchiato! Cerco solo di risollevarlo come meglio mi riesce!-
    -    Con modi poco ortodossi!-
    -    Ma che funzionano sempre! E poi, signorino, vorrei ricordarti che la storia delle sbarbine che se la facevano con Yuya è vecchia ormai, e non mi dà neanche più fastidio!-
    -    Aha, si sente infatti...-
    -    Pensa a te e a chi ti sta accanto, piuttosto che alle conquiste del tuo migliore amico!-
    -    ...Non ho capito-
    -    Hah! Hai visto?! Ehi aspetta, ma sei in vivavoce?!-
    -    Lo sono sempre stato fin dall'inizio!-
    -    Merda! Ah ehm ahahah, aaaah Yuya si è appena svegliato! Vado a fargli qualche coccola, ci vediamo tra qualche ora! Ciaoooo!-
    -    NO YUZU ASPE--

Troppo tardi: la comunicazione si spense prima che Yuma potesse gridare dietro Yuzu, cercando di ottenere più spiegazioni. Il ragazzo sbatté gli occhi un paio di volte, scuotendo il capo e sbuffando frustrato.
    -    Giuro, a volte non la capisco quando dice certe cose...- borbottò poi – Tu che dici Kotori? Eh?...Tori?!-

Yuma la osservò preoccupato: la ragazza non si era voltata a guardarlo né gli aveva risposto, mantenendo le iridi arancio fisse sulla strada di fronte a loro. Con le mani strette sulla borsetta posata sulle ginocchia, la giovane deglutì e si lasciò poi andare ad una risatina nervosa. Yuma arricciò il naso, confuso.
Cosa stava succedendo a tutti quanti?
    -    Eheheh...ma tu la capisci Yuzu quando dice queste cose?- gli domandò poi, la voce tremolante. Yuma si strinse nelle spalle.
    -    Non proprio- ammise poi – Più che altro perché non finisce mai di spiegarsi! Aaaah, che devo fare con quella...-
Scalò le marce fino a rallentare vistosamente ed entrò nel parcheggio del personale del Pharaoh's Kingdom. Mentre posteggiava nel primo spazio libero disponibile, Yuma ripassò mentalmente le parole della sua amica.
Pensa a te e a chi ti sta accanto, aveva detto. Beh, lui ci pensava abbondantemente: non aveva mai fatto fin troppo mistero sull'affetto che lo legava ai suoi amici e a Kotori, ed era sempre pronto ad aiutarli e prendere le loro difese, in ogni occasione. Il fatto era che l'aveva detto con un tono che non l'aveva pienamente convinto: era come se sottintendesse qualcos'altro, che sul momento gli sfuggiva.
Avrebbe dovuto chiederle qualche cosetta, appena l'avesse rivista. Scese dall'auto insieme a Kotori, guidandola con sicurezza attraverso il parcheggio.
La volante della polizia era ferma proprio di fronte all'entrata del Pharaoh's Kingdom. Non c'era nessuno al suo interno, l'auto era spenta; tuttavia la sola vista fece scattare qualcosa nella testa di Yuma. Kotori alzò lo sguardo su di lui, poi tornò ad osservare la vettura, curiosa e, allo stesso tempo, preoccupata: cosa stava succedendo? Cosa significava?
    -    Yuma, tutto bene?- gli domandò poi, accarezzandogli un braccio – Sei sbiancato-
    -    Entriamo-
Senza dire altro, Kotori lo seguì per le scale che portavano alla porta d'accesso del Pharaoh's Kingdom: le voci si sentivano già qualche scalino prima. Con un gesto secco, Yuma fece glissare a lato la porta in vetro. C'erano Atem e Yugi: il secondo era al riparo dietro il bancone, ma teneva gli occhi puntati sulla scena che si stava svolgendo di fronte a loro.

Sotto lo sguardo della crew del Pharaoh's Kingdom, Yusei alzò entrambe le braccia e lasciò che l'ispettore Trudge completasse la sua perquisizione. Le grosse mani dell'uomo, prive di guanti per poter sentire meglio se fosse nascosto qualcosa sotto i suoi abiti, lo tastarono su spalle, braccia, gambe, fino alle caviglie; rovesciarono il cappuccio della felpa, rovistarono nelle tasche, estraendone lo smartphone che consegnò al collega, un tizio alto e allampanato, talmente magro da sembrare malaticcio.
    -    Te lo restituiamo, stai tranquillo- borbottò la guardia, notando lo sguardo di Yusei farsi sottile e omicida.
    -    Lo spero- sbuffò Yusei – Per quanto ancora dovrà andare avanti 'sta pagliacciata?-
    -    Si tratta della prassi, Yusei. E lo sai-
    -    Prassi che non stavate più ripetendo da un anno ormai. Cos'è successo ora?-
    -    Fa' silenzio-
Yusei sbuffò ancora, roteando gli occhi al cielo e osservando con sguardo assassino l'apparecchio in mano all'ispettore. Seduta a qualche poltroncina di distanza, Aki osservò la guardia puntare un grosso rilevatore verso il volto del capobar: il segno dorato venne passato sotto l'occhio attento dello scanner.
    -    Vieni qui, non abbiamo finito-
    -    Oh, cosa c'è ancora?!-
Yusei sembrava molto seccato da quell'improvvisa perquisizione. Il ragazzo alzò lo sguardo, incontrando gli occhi castani di Judai: il suo compagno osservava la scena a braccia conserte, gli occhi stretti e l'espressione impietrita, concentrata, seria come mai vista prima d'ora. Anche Atem scrutava il capobar e l'ispettore con sguardo serio ed indecifrabile, perso in chissà quale pensiero ma ben attento ad ogni movimento delle mani dell'uomo.
Seduta poco più in là, Aki si torceva le mani, nervosa. Yusei provò un moto di rabbia e tristezza.
Non meritava di assistere ad una simile scena.
    -    Posa pure l'indice qui-
    -    Nooo, sul serio?! Mi dà fastidio questo!-
    -    E piantala, che sarà mai...! Neanche la punturina di una zanzara!-
Sembrava che tra quei due ci fosse confidenza, molta; Aki li aveva visti e sentiti scambiarsi frecciatine di continuo, ma qualcosa nei loro occhi le aveva fatto intendere che la loro fosse la complicità tipica di due persone che si conoscevano da tempo. In un lampo aveva collegato i racconti di Yusei, riguardo alla sua permanenza nella Struttura, alle due guardie entrate nel Pharaoh's Kingdom: il ragazzo rachitico era rimasto sempre in silenzio, forse era un novellino che aspettava ordini da eseguire, ma Tetsu Trudge si era fatto avanti senza paura né tentennamenti, rassicurando tutti su quello che sosteneva fosse un “semplice controllo di routine”.
Per evitare che qualcuno stesse commettendo cose pericolose o non legali, aveva detto. Ma l'unica persona che aveva voluto perquisire era stata proprio Yusei.

Il giovane frenò a stento un'imprecazione, quando il piccolo ago trapassò la punta dell'indice destro, bucandoglielo. Trudge rimase ad osservare il display per qualche secondo, mentre Yusei si ficcava il dito in bocca, succhiando un poco.
    -    Direi a posto- borbottò la guardia – Per tua fortuna-
    -    Sempre un piacere rivedere la tua brutta faccia sfregiata, Trudge- ghignò Yusei, le mani sui fianchi.
    -    Ah-haaa, indovina chi devo ringraziare di questo ricordino?-
La mano sinistra dell'uomo si indicò la grossa cicatrice che gli sfregiava lo stesso lato del volto, grossa, profonda, e chiusa anche male: Aki riusciva a vedere perfino la sottile traccia lasciata dai punti di sutura.
    -    Andiamo, mi facesti incazzare davvero quella volta!- esclamò Yusei, scrollandosi nelle spalle.
    -    Ancora devo capire da dove cacciasti fuori quel coltello-
    -    Abile gioco di mani. All'epoca ero bravo-
    -    Adesso non più?-
    -    Adesso faccio roteare altro, invece di coltelli e lacci. Ti offro qualcosa?-
    -    Non posso bere in servizio-
    -    Non devi metterlo per forza a rapporto-
    -    Finiscila, cretino-
    -    Posso farti una domanda?-
    -    Spara-
    -    Chi?-
Era una domanda che lo stava rodendo da un po', esattamente da quando aveva visto Trudge fare il suo ingresso nella sala.
Non era nuovo a quelle perquisizioni nel suo posto di lavoro, anzi: si trattava di una prassi contemplata e prevista, richiesta dal governo per tenere traccia delle attività degli ex detenuti inseriti nel programma di riabilitazione. Quando aveva iniziato a lavorare al Pharaoh's Kingdom, le perquisizioni erano quotidiane, a volte in più orari della stessa giornata: qualche volta era capitato che entrassero mentre stava lavorando. Facevano le loro verifiche di routine, lo perquisivano, controllavano borsa, armadietto e cellulare, constatavano che era tutto a posto e poi facevano ritorno alla stazione di polizia, contenti di aver fatto il loro dovere di diligenti tutori della legge. Il teatrino era andato avanti per mesi, prima che le visite diventassero molto più sporadiche fino ad azzerarsi del tutto. Era da ormai un anno che non vedeva più alcun rappresentante della legge varcare l'ingresso del Pharaoh's Kingdom, e quella visita improvvisa l'aveva colto di sorpresa.

Era da tempo che non vedeva più il vecchio Trudge, e doveva ammettere che fosse cambiato davvero poco da come se lo ricordava: sempre statuario e irremovibile come una roccia, il volto duro e lo sguardo diretto come un pugno sul naso. Tuttavia sembrava molto più tranquillo e riflessivo, privo di quella verve provocatoria che tanto lo faceva innervosire quando soggiornava nella Struttura.
Quel tipo era in grado di far saltare il sistema nervoso anche ad un santo, quando si impegnava. Avvezzo alle violenze sui detenuti come quasi tutti i suoi colleghi, considerava la gente del Satellite come “feccia”, “spazzatura”, e questo era quando ci andava piano con gli insulti. Era cresciuto, era maturato professionalmente, era diventato il mentore di tante altre reclute che facevano affidamento su di lui per imparare i segreti del mestiere, e senza apparente motivo si era anche affezionato a quel ragazzo del Satellite, apparentemente così scontroso e burbero, relativamente tranquillo rispetto agli standard a cui era stato abituato: mai aveva causato una rissa, mai aveva sfidato una guardia, mai aveva cercato guai nella Struttura. Solo una volta aveva perso le staffe con Trudge, e l'ispettore aveva assaggiato la lama del coltello con cui Yusei stava affettando lo spezzatino di maiale nella mensa.
L'unica volta in cui aveva visto Yusei Fudo all'opera: veloce, fulmineo come il morso di un serpente che piantava le zanne nella carne. E dovevi essere tale, per sopravvivere nel Satellite di quegli anni.

    -    Chi, cosa?- domandò poi Trudge, corrugando la fronte.
    -    Non cadermi dalle nuvole, non è da te- rispose Yusei, incrociando le braccia al petto e sostenendo il suo sguardo – Ormai è un anno che nessuno della sorveglianza si presenta qui a farmi la perquisizione, quasi mi ero dimenticato la tua brutta faccia non fosse per Facebook. È chiaro che non mi consideravate più un problema, e che la mia fedina penale era ormai pulita. E ora eccoti qui, con un cadetto che sembra travestito da palo della luce. Perché?-
    -    ...Sei sempre stato fin troppo intelligente, Yusei. Questo ti causerà qualche guaio prima o poi. Hai ragione, abbiamo seguito degli ordini. Ordini che sono partiti da una segnalazione-
    -    Quale segnalazione?-
A parlare era stato Atem: il Faraone aveva mosso un passo, frapponendosi tra l'ispettore Trudge e Yusei. La differenza di altezza con i due era lampante, eppure entrambi arretrarono di un passo: l'ispettore sembrò farsi improvvisamente più piccolo.
    -    Ci è giunta voce che il Pharaoh's Kingdom nasconda qualcosa- rispose poi Trudge – O meglio qualcuno. Feccia del Satellite ingiustamente a piede libero, hanno detto. Insieme ad altre cose-
    -    Altre cose del tipo?-
    -    Qualcosa riguardo ad un giro di prostituzione. Ovviamente siamo rimasti tutti piuttosto sorpresi: insomma, conosciamo il locale e chi ci lavora dentro, il nostro Sergente Rhodes ne è cliente affezionata e sa che cosa c'è qui dentro e cosa succede...tuttavia abbiamo dovuto accogliere la segnalazione e farci un giro di ricognizione-
    -    ...Chi era l'uccellino?-
La voce di Atem si era levata alta e cupa, nel silenzio creatosi. Aki si alzò in piedi, avvicinandosi velocemente, il cuore che le batteva forte nel petto.
    -    Temo di non poter fare nomi- rispose Trudge – È anche nell'interesse di chi ci ha dato l' indicazione-
    -    Non mi ripeterò una seconda volta. Chi ha parlato?-
E stavolta Aki ne fu sicura, come il Tempo che scorre inesorabile e la Morte che si avvicina: il Terzo Occhio si aprì sulla fronte di Atem, scrutando il volto impassibile dell'ispettore Trudge: gli occhi ametista del Faraone scintillarono qualche secondo, quasi avessero rubato la luce dalle iridi dell'uomo di fronte a lui.
Ci volle poco perché la ragazza capisse che l'uomo era stato ipnotizzato.
    -    La segnalazione viene da un consiglio che riunisce le famiglie più importanti di Nuova Domino- disse l'ispettore, la voce piatta e incolore – A capo del consiglio c'è il senatore Izayoi-
Il mondo le crollò sulle spalle con la potenza di una valanga.

In una terribile ed inquietante moviola, gli sguardi di tutta la crew del Pharaoh's Kingdom, Yusei compreso, si voltarono verso la rossa: nell'agitazione del momento, Aki non si rese conto dell'espressione di pura sorpresa che animava i loro occhi. Tutto ciò che la sua testa le riproponeva ora, erano le parole del sergente Trudge, ripetute come in un playback mandato a ripetizione.
La segnalazione veniva da un consiglio che riuniva le più importanti famiglie di Nuova Domino, e a capo di tutto c'era il senatore Izayoi. C'era suo padre, maledizione! Suo padre era la mente organizzatrice di quel controllo a sorpresa, suo padre aveva parlato della presenza di delinquenti al Pharaoh's Kingdom, suo padre aveva sostenuto ci fosse un giro di prostituzione!
I ricordi della festa di fidanzamento di Suketsune le sfilarono nella mente con la velocità di una vecchia pellicola: la rossa sibilava tra i denti di lavorare come cameriera, Yusei infilava il biglietto da visita del locale nel taschino della giacca di Suketsune, sfottendolo per il fiore all'occhiello.
Era tutto collegato. Era tutto così palese e ovvio da farle letteralmente schifo: il solo pensiero che suo padre avesse preferito credere alle parole di un piccolo serpente come Suketsune le fecero contrarre la mascella e stringere i pugni dalla rabbia. Prima di rendersene propriamente conto, Aki imboccò la scala che portava ai camerini, scendendoli in tutta fretta.
La voce di Yusei la richiamò dall'alto; Aki lo ignorò, reprimendo a stento un singhiozzo di rabbia.


Costernato e scosso, Yusei si portò le mani tra i capelli, sbuffando esasperato e passeggiando avanti e indietro per la sala. Si voltò solo per un attimo, per scrutare i volti di Trudge e Atem: l'ispettore lo osservava a sua volta con aria indecifrabile, forse scontenta, e il Faraone aveva reso i suoi occhi affilati come stiletti. Il capobar aveva la percezione di vedere gli ingranaggi del suo cervello lavorare freneticamente, riflessi dalle iridi ametista.
Qualcuno aveva insinuato cattiverie infondate sul suo regno. E la cosa non gli era affatto piaciuta. Con una punta di sadica gioia nel cuore, Yusei si ritrovò a ringraziare le stelle di non trovarsi al posto di quei cravattoni.
Era troppo crudele sperare che qualche testa saltasse via?

Non gli servì il cenno che Atem gli fece col capo, invitandolo a seguire Aki nei camerini: Yusei si era già liberato velocemente del grembiule che aveva appena terminato di allacciarsi e si era fiondato verso le scale, scendendole più velocemente che gli riusciva e spalancando la porta degli spogliatoi femminili senza troppo garbo.
I suoi singhiozzi si udivano dalla tromba delle scale. Il ragazzo del Satellite trattenne a stento quella sfilza di imprecazioni che gli stava risalendo lentamente lungo le corde vocali: e meno male che si era ripromesso di non farla mai più piangere...
Poi scosse il capo. La colpa era interamente sua. Sua e della sua lingua lunga e più tagliente di un coltello, quando ci si metteva: se quel giorno non avesse controbattuto alle provocazioni saccenti di quel damerino del cugino di lei, non sarebbe successo nulla di tutto questo. Trudge sarebbe rimasto nel suo ufficio a ingozzarsi di ciambelle, lui avrebbe lavorato come ogni altro giorno e Aki sarebbe rimasta tranquilla.
Ora era di nuovo al punto di partenza.

La ritrovò seduta su una delle poltroncine messe a disposizione nei camerini, curva sulle ginocchia e con entrambe le mani che le coprivano il volto, la schiena scossa da forti singhiozzi. Le si inginocchiò di fronte, posandole le mani sulle ginocchia.
    -    Aki?-
Il suo richiamo frenò sul nascere l'ennesimo singhiozzo, e la rossa fece timidamente spuntare gli occhi dalle sue pallide dita. Mordendosi il labbro inferiore, Yusei le accarezzò lievemente un braccio.
    -    Aki, va tutto bene-
La rossa si strinse ancora di più tra le braccia e scosse vigorosamente il capo. No, non andava per niente bene, e poco importava quello che Yusei poteva dirle in quel momento, nulla avrebbe rimediato a quella tremenda, orripilante sensazione di sporco e lerciume che sentiva circondarla come un mantello.
Tra i nomi che avevano richiesto quell'improvviso controllo c'era quello di Izayoi. C'era il suo nome. E tra le persone che avevano malignato sul Pharaoh's Kingdom e la gente che ci viveva dentro c'era anche suo padre, c'era la sua famiglia. Non aveva più nulla da rendere conto a nessuno, era vero: forse solo a sua madre, che si preoccupava tanto per lei e la sua incolumità e salute...ma il resto dei suoi familiari erano fuori dai giochi: nessuno aveva la minima idea di cosa volesse dire vivere una simile realtà. Nessuno aveva idea di cosa significasse, per lei, varcare la soglia del Pharaoh's Kingdom e trovare ad aspettarla i sorrisi di Yugi, l'allegra ficcanasaggine di Judai e gli sguardi intensi e lontani di Atem; nessuno aveva idea cosa volesse dire essere accolta dalla straboccante energia di Yuma o dai buffi giochi di Yuya.
Nessuno sapeva cosa significasse, per lei, incrociare lo sguardo con gli occhi blu del ragazzo delle stelle.

Nessuno sapeva un accidente di niente, eppure tutti, ma proprio tutti avevano l'ardire di farsi avanti e sputare sentenze, credere alle parole velenose di quello che, alla fine dei conti, era un bamboccio viziato e non solo dargli credito, ma cospirare tutti insieme per metterla nella situazione più critica ed imbarazzante della sua vita.
Perché li sentiva, li percepiva distintamente, gli occhi blu di Yusei scrutarla torvo dal basso verso l'alto. Li sentiva puntarsi sul suo volto nascosto tra le mani, lo sguardo fosco di un implacabile giudice pronto per una sentenza di condanna.
    -    Mi ascolti?!-
La sua voce era carica e tremolante di rabbia. Aki sentì un brivido scuoterle la schiena.
    -    Non è successo assolutamente nulla-
    -    Lo dici tu!-
Finalmente uscì dal suo nascondiglio creato con mani e braccia, svelandosi ai suoi occhi in quell'assurda, terribile persona che lui sperava di non vedere mai più. Con gli occhi scintillanti di lacrime e il volto sfigurato dalla tristezza, Aki gli si presentò con il labbro inferiore reso gonfio a furia di morsi rabbiosi.
E lei, a guardarlo, ad osservare quel suo implacabile sguardo truce e il volto serio, quasi arrabbiato, esplose. Con le mani nascoste tra i capelli rossi, Aki venne scossa da una serie terribile di singhiozzi, incapace di riprendere fiato. Spalancò le labbra, inspirò aria a grandi boccate nel tentativo di riprendere controllo del suo respiro, senza successo.

Yusei sentì il cuore esplodere in mille pezzi. Era anche peggio della volta precedente.
Senza pensarci troppo sopra si alzò in piedi, costringendola a seguirlo con il movimento, prima di spalancare le braccia e accoglierla nel caldo rifugio del suo corpo.
Quello fu l'ultimo colpo alle difese ormai compromesse della rossa: con i pugni stretti sulla sua camicia, Aki affondò il volto nel suo petto e scoppiò in un pianto dirotto.
Era decisamente peggio rispetto alla volta precedente. Impotente, troppo scosso e arrabbiato con sé stesso perfino per parlare, Yusei non poté fare altro che stringerla nel suo abbraccio, e sfiorarle la tempia sinistra in un bacio leggero come un soffio.
Aveva una tale voglia di urlare che sentiva avrebbe tirato giù l'intera volta celeste e le sue amate costellazioni.
    -    Ehi, ascoltami-
Yusei la allontanò da sé quel poco che bastava per prenderle il volto tra le mani ed osservarla con sguardo contrito: la sua espressione addolorata gli fece contorcere le viscere.
Perché?
    -    Non è colpa tua. Levatelo dalla testa-
    -    Aha, certo- sbuffò Aki, ironica, un suono sommesso spezzato da un altro singhiozzo.
    -    E invece no! Cosa diavolo stai pensando?-
    -    Yusei, non hai sentito allora?!- sibilò la rossa – Tra quelle persone che ti hanno fatto questo...tra quelle persone che hanno detto certe cose c'è anche mio padre! C'è anche la mia famiglia!-
    -    Fatto cosa?! Chiesto ad un agente di perquisirmi?! Sai quante volte l'hanno fatto? Ne ho perso il conto! È la prassi, Aki!-
    -    Che non stavano ripetendo da un anno ormai! E-e ora ti hanno trattando come un galeotto appena uscito dalla prigione!-
    -    E tu pensi davvero che per me sia un problema?!-
    -    Dovrebbe esserlo!-
    -    E allora non ci siamo, non hai capito nulla. Con i pensieri di quella gente mi ci pulisco il culo-

Aki trasalì nel sentire quell'inaspettato turpiloquio. Alzò gli occhi nocciola verso di lui, che la osservava tenendole le mani sulle spalle.
Era mortalmente serio.
    -    Senza troppa offesa perché sono comunque i tuoi familiari...anzi sai che ti dico? Fanculo anche questo!- esclamò, scuotendo rabbioso il capo – Proprio non capisco come tu abbia fatto a venire su così...così diversa da loro! Così umana, dannazione! E tu che gli stai ancora dietro! Proprio non vuole entrarti in zucca che a loro non gliene importa nulla di te, eh? Guarda in mezzo a che casino ti hanno piazzato!-
Aki alzò una mano e si asciugò le lacrime che le scorrevano lungo il viso, disegnando lunghe scie luccicanti sulle guance. Le spalle vennero scosse da un altro singhiozzo.
    -    Ci stai male, e ti capisco, in fondo è della tua famiglia, ma ora basta! Passa una volta, passa due, passa tre, ma all'ottantaduesima direi che è il caso di darci un taglio, mh?-
E fu stavolta lui a prenderle il volto tra le mani e raccogliere le lacrime con le dita, costringendola ad alzare lo sguardo e fronteggiare i suoi occhi. Aki era confusa, stravolta dalla tristezza e dalle lacrime, con la punta del naso e le guance rosse e i capelli scarmigliati, e quando lo guardò con quei tristi e acquosi occhi da cerbiatta sperduta, Yusei provò il forte impulso di abbracciarla così stretta da soffocarla.
Si trattenne solo al pensiero di poterle fare fisicamente male, a metterci la forza che intendeva.
    -    E poi pensi davvero che io mi faccia condizionare da quello che pensa la gente? E soprattutto temi che io ti guardi con occhi diversi dopo questa merdata che hanno fatto? Tu non sei loro Aki, ricordatelo. Sei vittima tanto quanto me. Ehi, ascoltami. Guardami-
Stavolta Aki non poté davvero sfuggire al suo sguardo. La rossa prese un profondo respiro, recuperando lentamente controllo di sé e del suo respiro.
Ebbe la percezione di sentire la pelle della sua fronte andare letteralmente a fuoco, quando sentì le labbra di Yusei sfiorarle con un bacio. Lungo, molto lungo, ponderato, desiderato forse da entrambi; il ragazzo si separò dopo un tempo che ad Aki apparve come infinito, tornando ad abbracciarla stretta come aveva fatto poco prima.
    -    Ho promesso che mai ti avrei più vista piangere- le disse, accarezzandole i capelli – E così farò. Adesso ti dai una sistemata, ti asciughi queste lacrimucce, saliamo di sopra e ci mettiamo a lavorare. Chiederò ad Atem di farti stare un po' con me al bancone, vuoi?-
Yusei sorrise quando la vide annuire con la testa. Lo sguardo gli cadde sulle sue labbra tumefatte dai morsi, dove la punta della lingua era passata nervosamente ad inumidirle mentre i denti tornavano ad inciderle lievemente.
Moriva dalla voglia di baciarle. Il desiderio di sentire di nuovo, stavolta per davvero, quelle labbra sulle sue lo stava divorando come un demone interiore: gli occhi non potevano fare a meno di percorrere quella morbida curva disegnata, lievemente più colorita della pelle.
Posò la fronte sulla sua, lo sguardo basso, il respiro di lei, ormai regolarizzato seppure ancora pesante, che si confondeva con il suo. Sentiva un vago odore di pulito, un profumo leggero e delicato gli solleticava le narici, e il solo pensiero di quella bocca...
Datti un contegno, razza di animale.
Poteva farlo no? Era perfettamente in grado. Era grande, maggiorenne, vaccinato e pienamente padrone di sé stesso.
Puoi farcela. Forza, ragazzo del Satellite!...o delle stelle, come ti chiama lei. Come se n'è uscita quell'altra volta, oh dannazione potrei chiedere a tutti di farmi chiamare così...ma no, detto da lei è tutt'altra cosa...
Puoi farcela. Allontanati da lei ora.
    -    Yusei?-

Il suo sussurro lo colpì con l'impatto di una testata. Il ragazzo deglutì nervosamente, inspirò ma non riuscì a separarsi.
Andiamo, allontanati!
    -    Dimmi- le rispose poi, la voce roca e la gola secca.
    -    ...Nulla. Volevo solo dirti grazie-
Va bene, al tre.
    -    Grazie di cosa?-
Uno.
    -    Per tutto-
Due.
    -    Tutto cosa?-
Due e mezzo.
    -    Tutto quello che hai fatto-
Due e tre quarti.
    -    Non ho fatto nulla-
    -    Oh, Yusei...sai bene cos'hai fatto-
...Tre.


Quasi fosse vittima di qualche beffardo scherzo del destino, fu la stessa Aki a decidere di annullare la poca distanza rimasta e catapultarsi ancora tra le sue braccia. La sua bocca si schiantò contro la guancia sinistra attraversata dal segno dorato, lasciandolo interdetto per un breve attimo.
Sulla guancia. Un bacio a stampo, sulla guancia. Come aveva fatto qualche sera prima.
Quelle labbra così belle e delineate, quella bocca che sembrava pronta a parlare d'amore e meraviglie e che troppe volte si ritrovava a sognare durante la notte, si era posata sulla guancia. E gli aveva lasciato un bacio che non aveva nulla a che fare con quelli precedenti: delicato, caldo, lievemente umido di lacrime salate, un petalo di rosa che si posava su dura roccia granitica.
Neil Armstrong, ti ho battuto. Sono finito sulla Luna senza razzo né tuta spaziale.
Aki si allontanò da lui, sorridendogli riconoscente prima di precipitarsi nel piccolo bagno a darsi una rinfrescata. Yusei rimase lì, in piedi in mezzo alla sala, ad osservare imbambolato un punto impreciso del vuoto, in attesa.



Yuya si presentò a inizio serata, con gran sorpresa di tutti eccetto Kotori e Yuma, a conoscenza delle sue intenzioni. La sorpresa fu in qualche modo doppia, capace di cogliere impreparato perfino Atem, quando il ragazzo con gli occhialetti gli chiese la possibilità di lavorare quella sera come straordinario. Sosteneva di aver bisogno di stare con persone a cui voleva bene, e di poter fare quello che gli riusciva meglio, quella giocoleria che aveva fatto diventare il suo mestiere.
Yusei aveva colto diversi sguardi d'intesa tra il ragazzo e Yuzu, seduta al tavolo insieme a Kotori: i due incrociavano spesso i loro occhi, si sorridevano consapevoli di chissà cosa e tornavano a concentrarsi su altro. Un po' come tra lui e Aki, che a cadenze quasi regolari si scambiavano lunghi sguardi prima di voltarsi, le labbra contratte in un lieve sorriso; tutto questo con grande gioia di Judai, che davvero non sapeva più dove girarsi a guardare.
Con sommo sollievo di Yusei, Jack e Crow non si presentarono quella sera.
Con consapevolezza e, a dirla tutta, una punta di rammarico, Atem si arrese all'evidenza: Seto Kaiba non gli avrebbe inviato alcuna risposta.


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La quarantena sembra mollare la presa, ma MI RACCOMANDO: non fate cavolate :) Che questo è il momento perfetto per farsi sfuggire di mano la situazione e finire chiusi in casa altri due mesi.
Non vi nascondo che la situazione tutta mi ha messa non pochi pensieri in testa.  Lezioni universitarie online, esami pure, laboratori annullati, tirocini anche: le ore di attività pratica non si recupereranno tanto presto, SE sarà possibile recuperarle. E questo potrebbe costituire una grossa lacuna nella formazione.
Speriamo in bene ragazzi. Voi come state? <3

Rosaspina

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