From which star have we fallen to meet each other here?

di Voglioungufo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** [Tobirama/Kagami] Tatoo ***
Capitolo 2: *** [Sakura/Hinata] Colori ***
Capitolo 3: *** [Obito/Naruto] Conto alla rovescia ***
Capitolo 4: *** [Gaara/Rock Lee] Lacrime ***
Capitolo 5: *** [Sai/Ino] Scriversi sul corpo ***
Capitolo 6: *** [Obito/Naruto] Ricordi ***
Capitolo 7: *** [Shisui/Itachi] Filo rosso ***



Capitolo 1
*** [Tobirama/Kagami] Tatoo ***


Questa storia partecipa a #TheWritingWeek di Fanwriter.it.
Lista: Soulmate.
 
 
 



From which star have we fallen to meet each other here?
(F. Nietzsche)
 
 
 
Prompt: TatooDolore.
Pairing: Tobirama/Kagami.
Contesto: Era degli Stati Combattenti.
Rating: giallo.
Avvertimenti: Canon divergence.
Descrizione: Dove ti appare sul polso un tatuaggio con il nome della tua anima gemella.
Note: So che nel canon da quando Izuna muore c’è solo un altro scontro tra Madara e Hashirama, proprio dove Madara si arrende e fanno l’alleanza. Quindi immagino possiamo dire ci sia un po’ di canon divergence, visto che quello scontro viene interrotto. Anche perché c’è già Kagami, che in teoria in questo periodo dovrebbe essere un bambino??? Idk, nel canonverse si sa solo che era nella squadra di Tobirama e su Narutopedia inglese ho letto che è morto a 25 anni. Ma Narutopedia non è poi così affidabile, quindi… Insomma, è venuta fuori questa cosa. Comunque mi piaceva l’idea di ambientarla durante il periodo della guerra tra Senju e Uchiha. Ed è questa la mia idea della dinamica TobiKaga, non quella cosa pseudodisturbante che sto scrivendo per l’altra challenge.
Ah, sappiate che in questa casa ci piacciono i cliché ^^ e un piccolo ringraziamento a Querdenker che ha letto la os in anteprima <3
 
Ps. Il titolo viene dalla canzone “Rewrite the stars” del musical The Gratest Show cantata da Zendaya e Zac Efron.
 
 
 
What if we rewrite the stars?
 
 
Madara alzò lo sguardo sul ragazzino nervoso davanti a lui.
“Devi dirmi qualcosa, Kagami?” chiese più stanco di quanto volesse mostrarsi. Ma da quando Izuna era morto si sentiva così spezzato da faticare a reggere tutto il peso del clan. Occuparsi dei morti e della gestione delle razioni non era piacevole in quel momento.
Kagami si dondolò sui piedi, una mano stretta sul polso fasciato. Teneva lo sguardo basso e ancora una volta si chiese che cosa lo rendesse così recalcitrante a parlare quando solitamente era un chiacchierone inarrestabile.
“Madara-sama,” iniziò alla fine, ancora incerto e lo sguardo sui suoi piedi, “io ho un’anima gemella”.
Inarcò un sopracciglio sorpreso. Non solo perché era un evento rarissimo, ma solitamente era qualcosa che portava sempre con sé gioia e festa, non era qualcosa che si ammetteva con aria colpevole; il suo comportamento così nervoso non era promettente.
“Chi?” chiese conscio che la risposta non sarebbe stata piacevole.
Kagami non rispose, si martoriò il labbro inferiore finché non decise di sciogliere le bende al polso. Sulla pelle pallida Madara poté vedere chiaramente dei kanji tatuati con il chakra.
Senju Tobirama.
Un pesantissimo sospiro gli uscì dalle labbra, quello era peggio di qualsiasi previsione. Poteva capire perché lo avesse tenuto nascosto per tutto quel tempo. Gli dei avevano legato la sua anima a quella del Fantasma Bianco, non poteva esistere punizione peggiore per un Uchiha, chissà cosa aveva fatto nella sua vita passata da meritarlo.
“Congratulazioni” disse lugubre. “Perché me lo stai dicendo ora?”
Kagami arrossì sugli zigomi, ma non sembrava in imbarazzo, sembrava più dispiaciuto e colpevole.
“Ha ucciso Izuna-san…”
Serrò la mano a pugno d’istinto, il fiotto di rabbia che sbocciava nel suo stomaco come ogni volta che ci pensava.
“Non è tua responsabilità” disse fingendo distacco.
Gli occhi di Kagami erano tra i più dolci che avesse mai visti, rotondi e grandi come quelli dei cerbiatti, nei suoi sedici anni era molto carino e pensare che fosse destinato a un Senju era una vera e propria ingiustizia.
“Se vuoi puoi uccidermi”.
Rimase completamente senza parole e lo fissò sconvolto. “Cosa?”
Kagami continuava a fissare i piedi. “Quando un’anima gemella muore, l’altro prova un dolore indicibile” balbettò. “Lo stesso che hai provato tu quando hai perso Izuna-san”. Alzò gli occhi a guardarlo con decisione.
Lo fissò sbigottito prima di riprendersi. “No, non ho intenzione di farlo” disse duro, infastidito da quella richiesta folle. “Come ho detto, non è tua responsabilità”.
Pigramente si chiese se questa faccenda dell’anima gemella potesse avere risvolti positivi. Kagami aveva grandi capacità e in battaglia si era distinto più di una volta nonostante la sua giovane età. L’opzione che fosse in grado di sviluppare il Mangekyo non era da escludersi totalmente e un’anima gemella di quel tipo era già traumatico di suo.
“Mi… dispiace” mormorò ancora il ragazzino.
Sospirò. “È a me che dispiace”.
Tobirama sapeva di avere un’anima gemella tra gli Uchiha, eppure non aveva evitato di trucidarne a decine. Conoscendolo, probabilmente l’odiava. Non c’era da stupirsi che Kagami avesse uno sguardo triste, abbattuto, e provò pena per lui.
“Sei stato saggio a non dirlo a nessuno” considerò. “Manterrò il tuo segreto”.
Ci fu un piccolo sprazzo di gratitudine nello sguardo mogio di Kagami mentre lo congedava.
Fissò la cartina che aveva davanti, i punti delle ultime battaglie contro i Senju, e gliene venne in mente uno in particolare con un folle sogno… folle quanto l’idea che il destino avesse voluto unire un Uchiha e un Senju.
Si accigliò, chiedendosi se non fosse un segno.
 
**
 
Kagami aveva sei anni quando aveva imparato a leggere i kanji sul suo polso, che per qualche motivo oka-san gli copriva sempre con le bende. Aveva sempre avuto quei strani segni di chakra sulla pelle da che aveva memoria.
Era cresciuto ascoltando le storie degli anziani sulle anime gemelle e per lui era stato facile capire che gli dei avevano scelto lui, che era una delle poche e fortunate persone al mondo a possedere un’anima gemella. Ma in quel modo si era reso conto della gravità della discendenza della sua anima gemella e perché sua madre lo tenesse nascosto. I loro clan erano in guerra da generazioni.
Ma Kagami non si era mai arreso. Lo aveva tenuto nascosto anche dopo la morte della mamma, si era sempre cullato nel pensiero che nel mondo esistesse qualcuno fatto solo per lui, che gli dei stessi gli avevano destinato. Qualcuno che si sarebbe preoccupato di lui, che gli avrebbe voluto bene a prescindere, che era suo.
Kagami aveva sempre amato la sua anima gemella e con il tempo il suo amore era cresciuto. Aveva rifiutato tante ragazze e tanti ragazzi nella sua crescita, tutti dicevano che era carino con i suoi capelli ricci e gli occhi da cerbiatto, ma a lui non importava. C’era solo una persona che voleva lo apprezzasse in quel modo, una sola persona che stava aspettando. Anche quando aveva scoperto che il suo Tobirama era il Fantasma Bianco assassino di così tanti Uchiha, aveva continuato ad amarlo e sognare il loro incontro. Era certo che una volta incontrati tutto si sarebbe risolto, che avrebbero abbandonato le armi e che semplicemente si sarebbero amati, perché erano anime gemelle.
Si era cullato in sogni infantili di una pace improvvisa tra Uchiha e Senju, su come sarebbe stata la loro vita insieme. Era certo che lo avrebbe amato di ricambio, come poteva essere il contrario?
Ma ora il suo Tobirama aveva ucciso Izuna, la pace non era mai sembrata così lontana e i suoi sogni così sciocchi…
 
**
 
A soli sedici anni, Kagami era una delle punte di diamante negli schieramenti Uchiha. Era stato proprio Izuna a notare il suo valore e addestrarlo. Erano molte le arti in cui eccelleva, oltre i due fratelli con i Mangekyo non aveva rivali nel genjutsu.
Per questo, quando si era trattato di organizzare un’imboscata a un contingente di Senju, era stato messo in prima linea.  Quello che non si aspettava era di percepire quello strattone nella cassa toracica, come se il suo cuore fosse stato agganciato da un amo che tirava verso una precisa direzione.
Oh no.
Kagami non era mai entrato in contatto con Tobirama, nemmeno nelle battaglie. Nonostante le sue capacità lo avevano sempre ritenuto troppo giovane per affrontare i fratelli Senju. Ma ora, anche se non era un ninja sensoriale, riusciva a sentire la sua presenza: la sua anima gemella era lì.
Fu più forte di lui, il suo corpo si mosse da solo. Abbandonò la posizione e superò l’uomo contro cui stava combattendo malamente.
“Ehi!” qualcuno lo richiamò, ma ci badò appena.
 Il suo battito cardiaco era simile a un tuono in grado di zittire il furore dello scontro. Saltò sui cadaveri, evitò i nemici e gli alleati. Doveva combattere in quel momento, ma non riusciva a pensare ad altro che lui era lì. Si trascinò attraverso la carneficina del campo di battaglia fino ad arrivargli davanti, gli occhi che guizzavano sulle facce di Senju sconosciuti per cercare quella che avrebbe riconosciuto spontaneamente.
Finché, eccolo, se lo trovò davanti a pochi metri, proprio mentre si scrollava di dosso un cadavere. Per un momento, proprio come nelle sue fantasie, tutto sembrò fermarsi. Ma non era come nella sua immaginazione, dove tutto era meraviglioso e intenso: c’era odore di sangue e carne bruciata nell’aria che il vento trasportava tra loro insieme alle grida di dolore e Tobirama aveva l’armatura imbrattata di sangue, era tutto così macabro.
Gli occhi della sua anima gemella si fermarono su di lui, di un rosso letale e più scuro del suo sharingan, e non c’era gioia nel suo sguardo. Il sentimento con cui lo stava guardando gli schiacciò il cuore, era puro odio. Ma non ebbe molto tempo di pensarci: Tobirama si era distratto nel vederlo e un suo compagno di clan ne stava approfittando per colpirlo. Kagami vide chiaramente quanto sarebbe stato letale il colpo. Ancora una volta si mosse senza pensare, assecondando soltanto gli scossoni che sentiva tra le costole.
Tra le tante cose in cui eccelleva, una di queste era il shunshin, non c’era nessuno nel clan veloce quanto lui nel teletrasporto. Lo spinse con tutto il suo peso, evitandogli il colpo, ma non fu altrettanto veloce a spostarsi. La katana potenziata dal jutsu di fulmine lo colpì in pieno.
Ottimo, morto per amore salvando un nemico. Madara-sama non sarà contento.
L’ultima cosa che vide furono rami di alberi che crescevano attorno a lui, ma a quel punto era già svenuto dal dolore per chiedersi cosa diavolo fossero.
 
**
 
Il brontolio del fratello gli arrivò indistinto, ma Hashirama pensò comunque che meritasse l’occhiataccia.
“Non ho detto niente” si difese Tobirama, la testa fasciata e l’espressione imbronciata.
“Hai borbottato”.
“Trovo solo… controproducente curare un nemico” sostenne.
Hashirama lo guardò esasperato prima di tornare a occuparsi del ragazzino svenuto sul lettino dell’infermeria. A quanto pare per il fratello non significava niente che tale nemico si era piazzata in mezzo a salvarlo da un colpo mortale, prendendolo al suo posto.
Se ripensava a quella scena gli tremavano ancora le mani, per un momento aveva temuto di aver perso anche l’ultimo fratello – proprio come Madara. Non sapeva chi fosse questo Uchiha, perché lo avesse fatto o se era tutto un piano per penetrare nelle loro difese (possibilità offerta da Tobirama), ma ora era sua responsabilità ringraziarlo per quello che aveva fatto. Salvargli la vita gli sembrava un buon modo per ripagare, era fortunato che fosse lui il ninja con il più potente ninjutsu medico in circolazione. Gli sarebbe rimasta una cicatrice mostruosa, ma sarebbe sopravvissuto.
Guardò il ragazzino chiedendosi quanti anni avesse, a occhio sembrava sulla quindicina.
Ed era sul campo di battaglia…
Sapeva che la guerra pretendeva sangue sempre più giovane ormai, ma aveva dei lineamenti così gentili ed era così minuto... non sembrava giusto che appartenesse a un campo di battaglia.
Se solo Madara avesse accettato l’alleanza…
“Dovrebbe essere stabile” considerò alla fine. Staccò le mani dal suo corpo e il chakra verde smise di risplendere dai punti di fuga delle dita. “Gli serve solo del riposo”.
Tobirama grugnì qualcosa.
“Posso lasciarti qui con lui sperando che tu non lo uccida?” chiese paziente. C’erano altri feriti che doveva curare insieme al loro reparto medico e doveva anche fare il punto della situazione. Senza contare che doveva incontrare una certa persona…
Un leggero rossore si diffuse sulle guance solitamente pallide del fratellino, cosa che lo lasciò perplesso. Ma Tobirama si comportava stranamente da quando si erano ritirati, probabilmente era il suo orgoglio leso all’idea di essere stato salvato da un Uchiha.
Chissà perché l’ha fatto… si chiese un’ultima volta prima di uscire dalla tenda.
 
Si assicurò che suo fratello si fosse davvero allontanato prima di riportare l’attenzione sul ragazzo svenuto accanto a lui.
La sua anima gemella.
Tobirama aveva scoperto a otto anni di essere stato maledetto dagli dei, quando sul suo polso un chakra invisibile ed estraneo aveva tatuato un nome: Uchiha Kagami. Ricordava con chiarezza la rabbia e l’umiliazione che aveva provato all’idea che fosse segnato da un tale destino, aveva maledetto la sua anima gemella nel momento esatto in cui aveva letto il suo nome. Aveva già deciso che non poteva amare chi condivideva la genealogia con gli assassini dei suoi fratelli minori, li odiava tutti. Non lo avrebbe mai accettato e negli anni aveva tentato di cancellare più volte quel segno maledetto, a volte anche con la lama di un kunai, ma era tutto inutile. La firma di chakra estranea – quella della sua anima gemella, fuoco come la maggior parte degli Uchiha – persisteva sempre e per lui, dotato di una capacità sensoriale fuori dalla norma, era fonte di pazzia.
Aveva sempre sperato di non incontrarlo, che morisse prima che fosse possibile. Invece… era lì, davanti a lui.
Non era mai stato così confuso.
Ovviamente continuava a provare rabbia e rifiuto verso la sua anima gemella. Non c’era stata nessuna epifania, nessuna improvvisa magia che aveva cancellato in un solo colpo anni di rancore e odio. Solo che… era la sua anima gemella.
Non sapeva nemmeno lui cosa dovesse significare. Ma in qualche modo sentiva che quella persona non era una persona qualsiasi, lui era… suo?
Che assurdità, si arrabbiò con se stesso.
Si chiese se dovesse ucciderlo. Si era informato, sapeva che era l’unico modo per cancellare il segno, ma sapeva anche che perdere la propria anima gemella significava patire una sofferenza indicibile, anche se dopo aver sopportato la morte dei suoi fratelli Tobirama si sentiva pronto a qualsiasi dolore. Non poteva esistere niente di peggio di vedere il fratellino con un kunai nella pancia e lo sguardo vacuo. Sì, probabilmente doveva ucciderlo prima che qualcuno scoprisse del legame indesiderato che li univa, non avrebbe mai sopportato una tale umiliazione. Contava che l’Uchiha avesse mantenuto il segreto sul segno proprio come aveva fatto lui, del resto il suo polso era strettamente fasciato. Si alzò circospetto e andò dove Hashirama aveva incautamente lasciato un kunai e lo prese saldamente per il manico.
“Hai intenzione di uccidermi?”
Era raro prendere un sensore del suo calibro di sorpresa, ma Tobirama si ritrovò a sussultare e si voltò verso il ragazzo sul letto. Non era più svenuto e lo stava guardando desolato. Si ritrovò a notare che i suoi occhi erano molto dolci e che il suo chakra era intriso di tristezza. Quella era una novità, tutti gli occhi degli Uchiha con cui si era scontrato grondavano odio e avevano il chakra agitato da rabbia e paura di morire.
Perché era triste? Perché sapeva che stava per morire? Ma allora perché non era spaventato? Perché i suoi occhi ossidiana continuavano a guardarlo in quel modo un po’ sorpreso, quasi ammirato?
Tobirama ricambiò lo sguardo, osservò la forma rotonda e delicata dei suoi occhi scuri e dalle ciglia piene e il modo in cui i capelli ricci gli incorniciavano il viso. Perfino rovinato dalle ferite il suo volto era gentile. Era… bello.
Tobirama inspirò con forza, era come se vedesse un Uchiha per la prima volta, lo vedesse davvero. Come i suoi occhi brillavano, anche se così scuri e grandi, dalla luce delle poche candele nella tenda, come le labbra erano socchiuse e piene.
Sentì un forte strattone al cuore, una scossa di chakra che partiva direttamente dal tatuaggio sul polso. Gli si avvicinò lentamente, come se fosse un animale pericoloso, un serpente pronto a scattare, ma Kagami continuava a fissarlo tranquillo, ancora esausto dalla ferita. Sussultò solo quando gli afferrò il polso e cominciò srotolare le bende strette, con più delicatezza di quanto volesse, le sfilò via fino a vedere l’inchiostro scuro scintillante.
Il suo nome era inciso nella carne.
Non poteva avere più dubbi, era davvero lui. Lasciò andare il polso e riprese il kunai, la presa salda sull’elsa, e appoggiò la lama sulla gola di Kagami.
Provò un’improvvisa fitta di terrore per quello che stava per fare, si sentì ferito dal suo stesso gesto. Ma doveva essere fatto, andava fatto se voleva essere libero. Lui era Senju Tobirama, il Fantasma Bianco, non poteva essere legato a un Uchiha. Uchiha era il nemico e che razza di shinobi avrebbe lasciato vivere il proprio nemico?
Ma un artiglio scavava nel petto, strisciava una sensazione di profondo torto, come se stesse costringendo un fiume a risalire la corrente che seguire il suo naturale percorso. Non era giusto, non doveva sentirsi in quel modo, tremare al rifiuto, provare la fredda sensazione della perdita imminente, lui non stava perdendo niente. Era uno sconosciuto, era un nemico e lui era uno shinobi: gli shinobi non provano emozioni.
Senju e Uchiha? Era una follia. Anche se lo avesse lasciato vivere, non avrebbero potuto comunque, poco importava la sensazione che lo supplicava di fermarsi. Erano in ogni caso destinati a non poter stare insieme.
“Se non fossi stato un Uchiha, avrei potuto amarti”.
Tobirama non seppe cosa lo fece parlare, perché sentisse il bisogno di giustificarsi. Aumentò la presa sulla lama e l’abbassò quando Kagami mormorò:
“Io ti amo anche se sei un Senju”.
Fermò il kunai.
 
**
 
Hashirama gettò alcuni ciottoli nel fiume nero mentre aspettava. Dal bordo della foresta veniva un profondo silenzio e non si muoveva anima viva, c’era solo lui.
Ma solo per poco.
I suoi riflessi veloci riuscirono a catturare un sasso lanciato nella sua direzione poco prima che colpisse la sua testa.
“Questo poteva farmi male” si lagnò, ma si voltò con un ampio sorriso.
Madara si confondeva tra le ombre del bosco, i suoi livelli del chakra al minimo per non segnalare la sua presenza alle sentinelle del campo Senju vicino.
“Rischioso lasciare un messaggio del genere” commentò sprezzante e Hashirama guardò il sasso che gli aveva lanciato, rotondo e piatto, su cui era stato scritto: vieni al fiume.
“Eri l’unico che avrebbe capito” gli fece notare prima di lanciarlo con un sapiente colpo del polso. Il sasso rimbalzò sulla superficie dell’acqua fino a raggiungere l’altra riva.
Madara sospirò alla sua baldanza, ma si sedette comunque sul bordo del fiume.
“Cosa vuoi?”
“Il tuo compagno” spiegò. “L’ho curato, sta bene. Puoi riportarlo nel vostro accampamento”.
Madara represse una risata di scherno. “Lo restituisci? I tuoi anziano sono d’accordo?”
“Ha salvato la vita di Tobirama” spiegò imbronciandosi. “Credi davvero che lo trattenga come un ostaggio?”
Non rispose a quella domanda provocatoria, con le dita cercò un sasso abbastanza piatto da essere lanciato. Purtroppo affondò nel fiume dopo pochi salti, fece una smorfia.
“È la sua anima gemella”.
Cosa?”
Madara sospirò. Non sapeva perché gli stesse rivelando il segreto di Kagami, forse perché si fidava di Hashirama. Forse perché sapeva cosa sarebbe successo se l’avesse fatto.
Infatti quando si voltò a guardarlo ancora gli occhi dell’ex-amico di infanzia brillavano.
“Tobirama è l’anima gemella di quell’Uchiha?” chiese eccitato.
“Si chiama Kagami” precisò altezzoso. “E sì, purtroppo gli dei gli hanno appioppato questa sciagura”.
“Perché Tobirama non mi ha mai detto niente?” lo ignorò deprimendosi. “Ha un’anima gemella e non me l’ha detto!”
Roteò gli occhi, conoscendolo era piuttosto ovvio il perché. Anzi era sorpreso non avesse fatto seppuku dalla vergogna. Hashirama invece sembrava aver appena scoperto come raggiungere la luna e continuava a sorridere gongolante.
“Li ho appena lasciati soli… ecco perché era così nervoso” canticchiò.
Madara sgranò gli occhi. “Tu li hai lasciati soli?!” sbraitò incredulo dalla sua stupidità, come poteva essere il miglior shinobi del loro tempo?!
“Tranquillo, Tobirama è rispettoso. Non lo toccherà” cercò di rassicurarlo.
“Sono più preoccupato che lo ammazzi, piuttosto che attenti alla sua virtù…” ringhiò tra i denti. Del resto era la cosa più probabile, nessun Uchiha restava a contatto con Tobirama per più di dieci minuti e sopravviveva.
Ma l’altro non sembrava per nulla condividere la sua preoccupazione.
“Se gli anziani dei nostri clan lo sapessero…” iniziò Hashirama con eccitazione nella voce.
“Li esilierebbero” lo tagliò cinico.
“Forse potremmo davvero creare un’alleanza” non l’ascoltò nemmeno. “Potremo davvero creare il nostro Villaggio, quello che sognavamo da bambini”.
Strinse le labbra e cacciò in un angolo la stessa speranza, lo stesso pensiero che lo aveva colto quando Kagami si era tolto le bende. Ma aveva ancora la voce chiara di Izuna nella testa, la sua richiesta di non arrendersi nella guerra con i Senju. Erano le ultime volontà del suo ultimo fratello, poteva ignorarle?
Ma quel sogno…
“Uchiha e Senju non potranno mai stare insieme” proclamò scuotendo la testa e incrociando le braccia. “È qualcosa che è scritto nelle stelle”.
Hashirama non smise di sorridere e alzò il viso alla volta notturna con fiducia.
“Ma se loro riscrivessero le stelle?”
 
**
 
Tobirama si sentiva il cuore in tumulto, agitato come lo era stato poche volte in vita sua. Eppure la lama del kunai era ferma, sollevata appena sul pomo d’Adamo. Non riusciva a muoverla, ad abbassarla e compiere quello che andava fatto.
Che cosa mi hai fatto, anima gemella?
Gli occhi di Kagami lo stavano supplicando ed erano così belli, ipnotizzanti anche senza lo sharingan. Non riuscì a mantenere quella posizione, allontanò il kunai e si accasciò sconfitto a terra. Si sentì un fallimento.
“Mi ami” ripeté incredulo e per qualche motivo aveva il fiatone, si sentiva tutto sudato come se avesse fatto uno sforzo tremendo. “Non mi conosci nemmeno, che assurdità”.
“Ma sei per me. Da quando so leggere… da quando ho capito che esistevi ed eri stato scelto per me. Il solo saperlo mi ha fatto innamorare”.
Tobirama lo guardò con gli occhi spalancati alla sua audace dichiarazione, una confessione d’amore per uno sconosciuto, per un nemico.
Kagami si agitò fino a riuscire a mettersi seduto, più in alto di lui in una posizione di dominanza che mise Tobirama in allarme, ma rimase seduto a guardarlo con un misto di confusione e stupore.
“Ho sognato a occhi aperti per anni il giorno in cui ci saremmo incontrati e saremmo stati insieme, anche se siamo Uchiha e Senju! Ti ho tenuto vicino ai miei pensieri ogni notte, ti ho amato ogni giorno per anni”.
“Io… ho cercato di ucciderti”.
Tobirama gli lanciò uno sguardo duro, sprezzante, in realtà solo per nascondere il disagio che provava davanti a quel facile perdono.
Kagami sorrise giocoso. “Ma non l’hai fatto” annuì soddisfatto e incrociò le braccia come se lo sfidasse a sostenere il contrario. “Non ci riusciresti”.
“Sei troppo sicuro di te, anima gemella”.
Kagami gli rivolse un altro sorriso prima di abbassare lo sguardo e arrossire.
“Mi chiamo Kagami”.
Si trovò a sbuffare per non ricambiare quel sorriso.
“Lo so” disse e la sua mano si mosse a sciogliere le bende strette sul polso prima che se ne rendesse conto. Le sfilò lentamente, fino a scoprire quella porzione di pelle ancora più pallida, che era stata coperta da quando aveva otto anni. Scoprì a qualcuno, dopo ben sedici anni, i kanji che erano stati tatuati con il chakra sulla sua carne. Uchiha Kagami brillava come fuoco.
Kagami si illuminò a vederli.
“Puoi chiamarmi anima gemella, comunque,” disse sporgendosi, “mi piace, è possessivo”.
Tobirama borbottò qualcosa sul suo avere il cervello bruciato da un katon e scoppiò in una piccola e fragorosa risata. Gli occhi del ragazzo scintillavano e questo lo confondeva, si ritrovò a fissarlo ancora una volta mentre la risata sfumava piano. Non riusciva davvero a staccarsi dalla faccia di Kagami. Il rossore adornava ancora le sue guance, accompagnato da quel sorriso sbilenco sui denti bianchi. Gli occhi di Tobirama si ammorbidivano sempre di più mentre lo fissava, non era solo diverso da qualsiasi Uchiha avesse mai incontrato, ma anche da qualsiasi altro essere umano.
Si allarmò, però, quando lo vide alzare e allungare una mano verso di lui. L’afferrò al polso, coprendo con il palmo il proprio nome inciso e nel farlo sentì una scossa.
“Cosa fai?”
Kagami si morse il labbro con gli incisivi e lo guardò con gli occhioni spalancati.
“Voglio toccarti” spiegò esitante. “Non posso?”
Lo tenne stretto al polso per qualche secondo, valutando; alla fine mollò la presa.
“Sono un sensore, se farai qualcosa con il chakra me ne accorgerò e agirò di conseguenza” lo avvisò.
“Sono troppo ferito anche solo per attivare lo sharingan” protestò, ma si zittì quando non fu più trattenuto e poté scivolare oltre fino a toccare con il polpastrello lo zigomo pallido e affilato.
Fece un’espressione di puro stupore mentre vagava con la punta delle dita sulla pelle pallida e tesa del suo viso, seguendo i suoi lineamenti lentamente. Tobirama si sentì a disagio per tutto il tempo, ma c’era anche un’altra sensazione sottopelle… qualcosa che aveva provato solo nella furia di una battaglia, ma questa era positiva. Sentiva la pelle scottare dove Kagami passava con le dita e dopo l’iniziale diffidenza cominciò a sciogliersi a quei tocchi, stavano diventando stranamente piacevoli.
Ma poi Kagami scese a sfiorare il contorno della sua bocca e squittì con forza. Smise di toccarlo e si agitò sul lettino, dondolandosi a destra e sinistra con le mani sul volto, un piagnucolio indistinto lasciava le sue labbra.
Cosa.
“Stai bene?” indagò preoccupato che si fosse riaperta una ferita.
“Gnnnsdfghjk”.
Forse era un tipo di linguaggio in codice degli Uchiha che non conosceva. Ma prima che potesse preoccuparsi davvero Kagami si fermò e gli occhi sbucarono tra le dita separate delle mani spiaccicate in faccia. Erano due dischi che brillavano di felicità ed emozione.
Oh.
Non stava male, non si stava lamentando per un dolore. Era solo felice e cretino. Cosa di cui non doveva essere sorpreso trattandosi di un Uchiha.
“Sognavo di toccarti da anni e adesso sei qui” piagnucolò più comprensibile, rosso in viso e con un sorriso tremolante. “Non sai quanto sono felice”.
Il suo cuore continuava a contrarsi in modo strano, ma non gli faceva male, gli faceva solo formicolare le estremità. Assecondò l’istinto che lo spingeva a sua volta ad alzare una mano per toccarlo, giusto per curiosità di sapere che cosa si provasse nel toccare un’anima gemella.
Sì, per puro spirito accademico, ecco.
Cercò di allontanare le mani ancora appoggiate al suo viso.
“Che fai?” chiese Kagami irrigidendosi.
Inarcò un sopracciglio. “Tu puoi toccarmi e io no?”
Si sciolse nell’ennesimo sorriso e lasciò cadere le mani che gli coprivano il viso, Tobirama fu finalmente libero di sfiorargli lo zigomo pieno. Ma le sue dita indugiarono sulla pelle solo brevemente prima di trascinarsi sui riccioli che lo incorniciavano. Immerse la mano tra i capelli arruffati e la contrazione al cuore s’intensificò.
I suoi capelli erano così soffici. Era come accarezzare la pelliccia di un cucciolo, non riusciva a smettere di lisciare quelle ciocche morbide, vezzeggiare la cute. Kagami sembrò sciogliersi alle carezza, si spinse ancor di più contro il suo palmo e inciampò per tentare di avvicinarsi a lui.
“E… un bacio?” borbottò speranzoso.
Tobirama sgranò gli occhi. “No!”
Sembrò restarci davvero male e abbassò lo sguardo mogio. Si sentì un po’ in colpa nel vederlo perdere di colpo l’entusiasmo, sentì il bisogno di giustificarsi.
“Siamo ancora due estranei”.
“Ma siamo anime gemelle” si lagnò.
Immaginava che il ragionamento avesse un sua validità, ma non erano di certo in quel grado di conoscenza da giustificare un’azione così intima. Senza contare che solo perché erano anime gemelle non era detto che si piacessero. E poi, ancora, erano Senju e Uchiha, nemici.
“Per un bacio bisogna aspettare del tempo” si trovò a borbottare invece. Non se ne pentì, perché gli occhi di Kagami ripreso a brillare. Gli aveva praticamente detto che non era un no a lungo termine.
Del resto, rifletté Tobirama senza smettere di accarezzargli i capelli soffici, adesso Kagami era nel loro accampamento, era un loro ostaggio. Non sarebbe tornato dagli Uchiha tanto presto, poteva approfittarne e prendersi il suo tempo per familiarizzare con questa faccenda dell’anima gemella. Sì, non era come se Kagami stesse per sparire da un momento all’altro, nessuno glielo stava per portare via.
Madara entrò nella tenda.
“Kagami, prendi le tue cose, sono venuto a…” si bloccò congelato dalla scena che aveva davanti, gli occhi che freddavano Tobirama come un gatto che arruffa il pelo e mostra gli artigli. Al che si accorse di star ancora coccolando i capelli di Kagami e di essere appena stato beccato da Uchiha Madara in persona a farlo.
La sua reputazione, costruita duramente e con il sangue nel corso degli anni, era finita.
Ritrasse velocemente la mano, entrando in mentalità di battaglia. Madara nel loro accampamento era male, come aveva fatto a entrare eludendo le sentinelle nel perimetro e la barriera di chakra? Afferrò il kunai che aveva lasciato cadere a terra e istintivamente si frappose tra Kagami e Madara. Quando se ne rese conto era già in posizione di difesa, a quanto pare il suo istinto si era già settato nella protezione dell’anima gemella.
Madara lo guardò con lo stesso disprezzo che avrebbe riservato a una cimice.
“Spostati, Senju”.
“Non ti lascerò rapire il nostro ostaggio”.
Ecco, perfetto: ostaggio. Stava solo facendo il suo lavoro di shinobi, non c’era nessun motivo personale in mezzo.
Madara non sembrò per nulla impressionato, lo guardò solo come se stesse per azzannarlo alla gola. Non ebbe occasione di farlo perché arrivò Hashirama che mise con troppa confidenza una mano sulla spalla del nemico.
“Abbassa l’arma” flautò felice come lo aveva visto poche volte. “Ho detto io a Madara di venire a riprendersi Kagami. Oh, sei sveglio!” cinguettò vedendo il ragazzino seduto e parecchio confuso.
Un secondo prima stava vivendo il suo sogno segreto e la sua anima gemella gli stava accarezzando la testa, il secondo dopo era entrato il suo capo clan e… cosa stava succedendo?
Fu ancora più confuso quando Hashirama cominciò a inchinarsi con rispetto verso di lui un bel po’ di volte con entusiasmo.
“Piacere di conoscerti, Kagami-kun. Sono Hashirama, il fratello maggiore di Tobirama. È così bello averti qui” disse con gli occhi che brillavano e un sorriso enorme.
Tobirama impallidì e capì perché Madara lo stesse guardando con più astio del solito e il fatto che avesse puntato gli occhi sul suo polso con depressione chiariva tutto.
Madara sapeva, suo fratello sapeva: era la fine.
“Come ti senti? Ti sei riposato? La ferita ti dà noia?” continuò a bersagliarlo Hashirama avvicinandosi sempre di più.
Kagami lo fissava sbattendo le palpebre. “Sì, sì, no. Grazie per avermi…”
“No, grazie a te!” lo interruppe Hashirama abbracciandolo. “Sono davvero felice di averti qui. Davvero felice. E sei anche così carino…”.
Non stava succedendo davvero.
Madara cominciò a spazientirsi. “Kagami, ti ho detto di andare. Prendi la tua armatura”.
“È qui!” collaborò Hashirama, scodinzolando e con un’espressione amorevole. “È ancora sporca di sangue, ma…”
“Va bene così” sbottò Madara afferrandola bruscamente, sembrava esasperato da tutto quell’entusiasmo. “Andiamo”.
Kagami si alzò confuso, un po’ traballante, mentre Hashirama continuò a fargli le feste girandogli attorno.
“È stato un piacere averti qui. Puoi tornare quando vuoi! Saremo molto felici di averti qui. Magari ti mostrerò la mia collezione di baobab!”
“Ehm…”
Cercò lo sguardo di Tobirama, ma lo trovò confuso dall’improvvisa situazione quanto lui. Provò a rispondere qualcosa ad Hashirama, anche solo per ringraziarlo di averlo curato e assicurargli che sarebbe tornato molto volentieri, ma Madara lo agguantò per la collottola e lo trascinò via.
“È abbastanza. Andiamo”. Si voltò verso Hashirama per fargli un cenno. “Aspetto tue notizie”.
“Parlerò con gli anziani!” assicurò sprizzando gioia. “Troveremo un accordo”.
Madara fece per uscire, ma poi parve ripensarci e lanciò un’occhiata a Tobirama, ancora molto scombussolato. In un’altra situazione si sarebbe goduto vedere la sua gelida compostezza svanita a favore di confusione e imbarazzo. Ma c’era qualcosa che doveva mettere in chiaro.
“Kagami ha sedici anni” ringhiò, “e sono io il suo responsabile. Ti terrò d’occhio”.
Tobirama spalancò la bocca oltraggiato e arrossì furiosamente per la sua insinuazione ingiustificata, purtroppo Madara uscì dalla tenda prima che potesse insultarlo a dovere ed ebbe solo un veloce flash dell’occhiata dispiaciuta di Kagami.
La tenda dell’infermeria tornò vuota mentre i due chakra si allontanavano veloci. Tobirama aveva ancora il kunai in mano e non era sicuro di quello che era appena successo. Fu la presa decisa di suo fratello sul suo polso che lo riscosse, ma non fu comunque abbastanza veloce per impedirgli di leggere i kanji.
Hashirama strillò di gioia e cominciò a saltare per la tenda.
“Per il Buddha! Hai davvero un’anima gemella!”
“Gridalo più forte, non ti hanno sentito a nord” borbottò irritato, si portò una mano a stropicciarsi il viso.
Ovviamente non scalfì minimamente il suo buon’umore.
“Perché non me l’hai detto? Hai un’anima gemella” continuò ad agitarsi eccitato. “Sono così felice per te! Ed è anche così carino, vero? Sei stato fortunato! Allora, avete parlato? Adesso gli Uchiha ti sono più simpatici? Non preoccuparti, credo di aver raggiunto un accordo con Madara, potrai vivere la tua storia d’amore!”
Decise di chiudersi dentro un dignitoso silenzio. Cercò il suo equipaggiamento e iniziò a indossarlo.
“Vado a fare un turno di guardia” disse.
Hashirama gli si incollò a cozza. “Nooo, ti prego. Voglio sapere tutto!” piagnucolò.
Riuscì a liberarsene a fatica. “Non c’è niente da sapere!” abbaiò prima di poter finalmente uscire dalla tenda, il volto in fiamme.
 
 
 
 
Tempo dopo…
 
Tobirama camminava con passo deciso per il villaggio ancora in costruzione. Grazie all’arte del legno di Hashirama le case e i distretti erano stati costruiti a tempo record, ma c’erano comunque cantieri ancora in corso. Tobirama aveva aiutato il fratello nei lavori e per questo era stato molto impegnato, occupandosi delle noiose questioni diplomatiche – come l’unione con altri clan – che il fratello ignorava con leggerezza.
Insomma, era stato molto occupato.
Questa era la sua giustificazione sul perché si stesse muovendo solo ora, dopo mesi dall’alleanza con gli Uchiha, verso il loro maledetto distretto abitativo. Non era perché, per esempio del tutto improbabile e ipotetico, era un po’ spaventato da quello che stava per fare.
No effettivamente lui era molto impegnato, non avrebbe dovuto essere lì in quel momento, doveva osservare le reclute… no, non aveva tempo per quello.
Fece per girarsi, ma proprio in quel momento qualcosa cadde dai tetti e gli atterrò davanti. Si trovò a fronteggiare uno spettinato ragazzo Uchiha da un sorriso smagliante e gli occhi eccitatissimi – il motivo per cui si era spinto così vicino al distretto quando solitamente se ne teneva lontano.
“Oh, ciao. Anima gemella” borbottò facendo un passo indietro per stabilire un’opportuna distanza.
Kagami allargò il sorriso ed eliminò di nuovo lo spazio.
“Mi stavi cercando?” chiese felice.
Come faceva a saperlo? Forse era anche quello un potere da anime gemelle. Kagami non gli diede nemmeno il tempo di rispondere che continuò.
“Io ti sono venuto a cercare un sacco di volte, ma non c’eri mai!” si avvicinò ancora, imbronciandosi, ma poi sorrise spensierato. “Tuo fratello è simpatico, sai? Credo si sia affezionato a me!”
“Non dubito” ronzò a disagio, si stava avvicinando troppo e il suo sorrisetto non prometteva niente di buono.
“Quindi? Mi cercavi?”
Sussultò quando allargò le braccia attorno al suo busto e l’abbracciò appoggiando il mento sul suo petto, il sorriso da mascalzone e gli occhi da cerbiatto.
“Sì” ammise altero, cercando di conservare un po’ di dignità.
In realtà fremeva dalla voglia di tornare ad accarezzargli i capelli morbidi. Era un segreto, ma Tobirama adorava le cose morbide, era il motivo principale per cui aveva aggiunto la pelliccia nell’armatura. Ecco, i suoi capelli erano la cosa più soffice che avesse mai toccato e voleva toccarli ancora.
“Hashirama mi ha assegnato l’addestramento delle reclute più dotate” spiegò cercando di mantenere tutto molto professionale. “Mi servirebbe un aiutante”.
“Io?” esultò Kagami allargando il sorriso con espressione stupefatta e Tobirama confermò con un cenno.
Si staccò da lui e mise le mani sui fianchi. “Lo sai che non ti serve una scusa per passare del tempo con me, vero?”
Nel farlo alzò il braccio dove il suo polso era nudo, dove i raggi del sole colpivano le incisioni di chakra con il suo nome, mostrati a chiunque appoggiasse gli occhi.
Si ritrovò ad arrossire. “Non è una scusa”.
Ma Kagami ridacchiava come uno che la sapeva fin troppo lunga.
“Bene, quindi mi aspetto di trovarti più spesso adesso” lo sfidò prendendolo per mano.
Tobirama per un momento ebbe l’istinto di ritrarre la presa, non abituato a quel contatto. Ma poi ricambiò la stretta. Kagami lo tirò verso di sé con uno strattone e, prima che potesse bilanciare di nuovo il suo equilibrio, il ragazzo ne approfittò per stampargli un bacio.
Cosa?
Kagami rise più forte, ma se voleva dire qualcosa non ne ebbe modo perché dal fondo della via si sentì un grido di battaglia.
“TOBIRAMAAAAA!”
Quello era Madara. Che bella giornata.
Kagami fece un’espressione di scuse. “Ops, meglio scappare”.
Ancora scombussolato da quello che la sua anima gemella aveva avuto l’audacia di fare, si lasciò trascinare per le strade di Konoha, il posto dove forse avrebbe potuto anche lui smettere di tenere nascosto il suo segno, mentre un furioso Uchiha Madara li inseguiva minacciandolo di non molestare il suo innocente cuginetto.

 

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Capitolo 2
*** [Sakura/Hinata] Colori ***


 

Prompt: ColoriSuoni.
Pairing: Sakura/Hinata, accenni NaruHina, SasuSaku e ObiNaru.
Contesto: post-699.
Rating: giallo.
Avvertimenti: angst, no happy ending.
Descrizione: Vedere il mondo in bianco e nero finché non si incontra la propria anima gemella.
Note: Ugh, io amo le SakuHina e non ci credo di star scrivendo qualcosa del genere? Con un’unica eccezione, tutte le mie storie su di loro hanno un happy ending e sono fluffuose tra loro, mi sento in colpa!
Comunque il contesto della OS è il canonverse proprio come c’è l’ha fatto Kishimoto, con la differenza che esistono le anime gemelle, ma per il resto è tutto uguale.
Il titolo viene dalla canzone “Colors” di Halsey
Spero vi piaccia <3
 
 
 You touched me and suddenly I was lilac sky, but you decided purple just wasn’t for you
 
 
Viola.
Questo era il primo colore che Sakura aveva visto quando il suo mondo in bianco e nero esplose in una luce di sfumature che non aveva mai visto prima. La scala monocromatica della sua vita si era improvvisamente animata, mostrandole quanto fosse brillante e meraviglioso il mondo.
Aveva iniziato ad amare la sua anima gemella anche solo per questo, perché le aveva dato la possibilità di vedere tutti quei colori che altrimenti le sarebbero stati preclusi, ed era certa che per lo stesso motivo di essere ricambiata.
Quanto si era sentita fortunata! Non solo perché aveva incontrato la sua anima gemella a sei anni, ma perché era Uchiha Sasuke, quel bambino che tutti ammiravano, il più bello e bravo della sua classe. Era stato vedendo lui che il mondo era esploso nei suoi mille colori con tutte le sue sfumature, era lui la sua anima gemella! E Sakura era sua, era lei che avrebbe amato perché era lei la sua anima gemella, non tutte le sue compagne di classe che credevano scioccamente di avere una speranza.
Sasuke non le aveva mai detto nulla in merito, non le si era avvicinato e non aveva accennato nulla nemmeno quando erano finiti in squadra insieme. A malincuore aveva rispettato la sua decisione, tenendo nascosto a tutti che lei aveva già trovato la sua anima gemella, che era proprio Sasuke.
Solo quando Sasuke aveva abbandonato il villaggio era stata sul punto di gridarlo, perché erano anime gemelle e Sasuke non poteva lasciarla indietro, fare finta che non lo fossero. Non ne aveva avuto l’occasione, il colpo l’aveva fatta svenire prima che potesse farlo.
Ma quel grazie sussurrato… Le aveva dato un po’ di forza. Sasuke sapeva, era grato, ma a quanto pare non era abbastanza. La sua anima gemella non era abbastanza rispetto alla sua sete di potere e vendetta.
Sasuke si comportava come se il mondo fosse ancora in bianco e nero.
 
**
 
Si era allenata per anni, si era spinta al limite e non aveva mai perso la speranza. Il suo obiettivo era stato sempre fisso davanti ai suoi occhi da raggiungere: la sua anima gemella.
Sakura non si era arresa. Era stato Naruto, con la sua fiducia e la sua promessa, a darle il coraggio necessario per non lasciare andare quel legame. Sasuke era la sua anima gemella, era stato lui a riempire di colori la sua vita. Si era aggrappata al suo amore, anno dopo anno, aveva lottato con le unghie e con i denti perché erano destinati a stare insieme. Gli dei lo avevano scelto perciò alla fine sarebbe tornato a casa, da lei.
Eppure, come da bambini, Sasuke non la considerava ancora. Ignorava il loro legame, ignorava che se poteva vedere il mondo colorato era merito di Sakura. Anche una volta tornato al villaggio non disse nulla, partì il per il suo viaggio di espiazione senza dirle nulla sul loro legame, senza nessuna promessa. Pensò fosse perché si sentiva in colpa, perché prima voleva essersi perdonato a sua volta.
Così Sakura attese.
Attese nel suo mondo colorato.
Attese che Sasuke riconoscesse il loro destino insieme.
Attese che finalmente il suo sogno da bambina si avverasse.
Attese inutilmente.
Perché Sasuke vedeva ancora il mondo in bianco e nero.
Non era lui.
 
**
 
In quel Marzo i fiori di ciliegio erano caduti presto. I loro petali chiari e sottili coprivano le strade come neve primaverile, di un bel color rosa pastello. Era stata una stagione molto ventosa e per i piccoli fiori non c’era stata possibilità di resistere sui rami. Sakura si sentiva un po’ come loro.
Era buio, l’ora di cena era passata da un pezzo, e si sentiva un po’ inquietante nel presentarsi a quell’ora così tarda. Ma aveva dovuto raccogliere il suo coraggio e aspettare che lei fosse sola.
In quel momento si sentiva una mina vagante. Stava per fare esplodere qualcosa e, dei, forse sarebbe stata odiata per questo. Ma più di ogni altra cosa, ora aveva bisogno di sapere.
Perché non le aveva mai detto nulla?
Suonò al campanello della casa e attese, le mani in tasca e il labbro tutto mordicchiato per il nervosismo. Ma non dovette attendere troppo, le fu aperto dopo pochi secondi e la padrona di casa fu sulla soglia.
“Sakura…” la salutò Hinata con un sorriso confuso, nel tono la domanda implicita su cosa ci facesse lì a quell’ora.
Sakura non rispose, si fermò solo a fissarla e si sentì derubata. Hinata crescendo era diventata davvero bellissima, con il viso dolce e gli occhi gentili, i capelli sempre più lunghi e lisci come inchiostro colante. E se si concentrava riusciva a percepire il suo chakra… appena percettibile, timido come la sua proprietaria ma altrettanto forte, di una bellissima sfumatura lillà.
Il primo colore che abbia mai visto.
Sentì le lacrime premere dietro i suoi occhi, la realizzazione – o meglio: la conferma – di essersi sbagliata per tutto quel tempo.
Non era stato osservando quel bambino imbronciato e altezzoso dai capelli neri che il mondo era esploso in mille colori. Ma era successo in quel minuscolo e dimenticabile secondo in cui i suoi occhi si erano posati sulla bambina minuta nello sfondo, dallo sguardo basso e le gote arrossate dalla timidezza.
Era stata Hinata.
“Perché non me l’hai detto?” bisbigliò fissandola con dolore.
Per tutto quel tempo aveva seguito la persona sbagliata. La sua anima gemella era sempre stata lì, al suo fianco e lei non lo sapeva.
L’espressione gentile di Hinata si frantumò, distolse lo sguardo avvilita e raccolse le proprie mani.
“Oh” commentò solo.
Ci un piccolo silenzio, dove Hinata si torse le mani tra loro in angoscia e Sakura si sentì sul filo del rasoio. La sua anima gemella, la sua vera anima gemella.
“Perché tu ami Sasuke…” sussurrò alla fine.
La sua espressione si contrasse. “Credevo fosse lui” ammise. “Non lo aveva capito… Io… Se me lo avessi detto…”
Hinata corrucciò lo sguardo confusa. “Come hai fatto a non capirlo?” domandò e le guance si tinsero di un tenue rossore, distolse lo sguardo in imbarazzo. “V-voglio dire… quando ci siamo viste il mondo si è colorato… non è qualcosa che passa inosservato…”
Sakura sentì il senso di colpa intensificarsi.
“Eri vicina a Sasuke” sussurrò e lasciò che capisse da sola cosa implicasse.
Capì che con quella frase l’aveva ferita, ma Hinata le lanciò solo uno sguardo di dolorosa rassegnazione.
“Kurenai-sensei una volta mi ha detto che vediamo solo l’amore che siamo disposti ad accettare”. Raccolse una ciocca nera dietro l’orecchio. “Evidentemente non ero quello che volevi”.
“Io ho sempre e solo voluto la mia anima gemella!” sbottò in un impeto di audacia e fece un passo avanti, più vicina all’altra ragazza.
Hinata arrossì e distolse lo sguardo, una smorfia afflitta a piegarle le labbra e le sopracciglia.
“Perché sei venuta qui adesso?” domandò angosciata. “Io mi sto per sposare…”
“Naruto non è la tua anima gemella”.
Non sei sua, sei mia!, si morse le labbra per non gridarlo. Sapeva di non avere diritto di farlo, non lei che sebbene avesse avuto il privilegio di vedere i colori fin dai sei anni era sempre stata cieca.
Hinata la implorò con lo sguardo. “Ma è la persona di cui mi sono innamorata”.
Faceva male, dannatamente male. Sapeva che poteva succedere, aveva letto le storie d’amore più tristi sulle anime gemelle separate, o dalla morte, dal tempo o… perché già innamorate di qualcuno. Sakura sapeva che essere anime gemelle non dava garanzia di amore incondizionato e corrisposto, ma avrebbe dovuto aiutare.
“E l’anima gemella di Naruto? Se non sei tu, perché…”
Si sentì cattiva a fare quella domanda, a premere quel tasto e accusarla così – stai rubando Naruto alla sua legittima anima gemella –, si morse la lingua davanti all’espressione sempre più triste negli occhi lattei.
“Naruto vede il mondo a colori da quando è nato” bisbigliò e Sakura spalancò gli occhi sorpresa.
“Ma questo è impossibile…”
“Non se incontri la tua anima gemella il giorno della tua nascita. Ma questo l’ha potuto capire solo il giorno del suo diciassettesimo compleanno, quando l’ha persa”.
Socchiuse la bocca dallo stupore e rimase in silenzio concentrata da quello che stava sottintendendo. Non poteva intenderlo davvero, era quasi impossibile, folle…
Hinata approfittò del suo silenzio stupefatto per continuare.
“Entrambi abbiamo perso la nostra anima gemella. Combaciamo bene…”
Sakura sentì che le lacrime stavano diventato sempre più aggressive, premevano quasi con rabbia per uscire e sapeva di avere tutto il viso rosso per lo sforzo.
“Non mi hai persa” tremò. “Io sono qui”.
Vide la crepa nel suo viso allargarsi, incrociò le braccia al petto quasi si sforzasse di tenere insieme i propri pezzi.
“Non sai quanto ho aspettato di sentirtelo dire…” sussurrò con lo sguardo basso. “Ho sperato che mi accettassi per anni…”
“Hinata, non lo avevo capito” ripeté con disperazione crescente. “Se lo avessi capito… ti avrei accettata. Ti sto accettando. Io…”
“Sakura” la fermò in avviso, “mi sto per sposare” ripeté, “e amo l’uomo che sposerò. Ho aspettato, ma non potevo farlo per sempre”.
Già, era solo Sakura quella che aveva pensato di farlo, con la differenza che aveva aspettato la persona sbagliata per tutto il tempo. Ma del resto aveva ragione: che cosa pensava di fare, andando a casa sua in quel modo? Sapevano entrambe che ormai era troppo tardi, non aveva più il tempo di rimediare.
Aprì la bocca per un ultimo patetico tentativo, ma gli occhi di Hinata si allargarono in allarme convincendola a mordersi le labbra e ingoiare la dichiarazione. Subito dopo una mano grande, calda, si appoggiò sulla sua spalla seguita da una familiare risata gioiosa.
“Sakura!” canticchiò Naruto con gli occhi azzurri che brillavano. Le diede poca attenzione però, perché poi spostò lo sguardo su Hinata e sorrise innamorato.
Sakura sentì una crepa attraversarle il cuore mentre il migliore amico di una vita si sporgeva verso la sua anima gemella e le baciava la tempia come se avesse il diritto di farlo. Hinata abbassò lo sguardo, il sorriso timido in secondo piano rispetto allo sguardo colpevole.
Voleva protestare. Sakura sentiva ogni fibra del suo essere urlare perché quello non era giusto, non era quello che avevano scelto gli dei quando dalle stelle avevano abbinato le anime gemelle. Provò il pestifero desiderio di dirlo, di rivelare a Naruto che in realtà Hinata era la sua anima gemella e lui doveva restituirgliela. Si chiese come avrebbe reagito se lo avesse fatto e per un momento fu davvero sul punto di farlo. Ma poi vide il modo così bello in cui Naruto guardava Hinata, l’amore e la felicità di avere qualcuno al proprio fianco con il quale costruire una famiglia… che non aveva mai avuto, perché era stata proprio la sua anima gemella a strappargliela via…
Non poteva farlo.
Voleva troppo bene a Naruto per strappargli quella felicità che cercava disperatamente da quando era bambino. Gliela avevano già tolta una volta, non poteva farlo ancora, non poteva essere lei a condannarlo.
“Vuoi entrare, Sakura?” la distrasse Naruto. “Comincia a fare un po’ freddo. E poi tu e Hinata stavate parlando”. Sembrò davvero dispiaciuto. “Scusate se vi ho interrotto…”
“No” lo bloccò sperando che il suo tono non tremasse e il sorriso rimanesse fermo sulle labbra. “No, non preoccuparti. Anzi… è meglio che vada”.
Sentiva lo sguardo colpevole di Hinata su di sé, ma cercò di non incrociarlo. Si sentiva così in bilico da tremare fin dentro le ossa e non voleva scoppiare davanti a Naruto. Non voleva che capisse.
“Ah!” disse cercando di imitare una risata. “È meglio che ti avverta: un giorno Ino ti piomberà in casa per parlare dei fiori… sai, il matrimonio…”
Ogni contrazione cardiaca faceva male, ma pensò che ne valesse la pena perché il solo accenno aveva allargato il sorriso di Naruto.
Erano felici, doveva essere giusto, doveva andare bene.
“Allora ci rivediamo” garantì Naruto facendo l’occhiolino e con un ultimo saluto rientrò nella casa, desideroso di mangiare qualcosa di caldo.
Hinata rimase sull’uscio un altro secondo, torturandosi il labbro con gli incisivi.
“Grazie” sussurrò alla fine.
Ricambiò con un sorriso triste. “Non romperò la vostra felicità”.
Hai ragione, sono arrivata tardi.
“Non solo per questo…” mormorò. “Grazie per avermi permesso di vedere un mondo così colorato, è molto più bello…”
Abbassò lo sguardo e si sentì più dolce, anche se la malinconia continuava a minacciare di farla sprofondare nelle lacrime.
“Sì, è davvero bello…” uscì fievole dalle sue labbra.
Nessuna delle due aggiunse altro, si augurarono solo la buonanotte. Sakura ricominciò a camminare, la strada a ritroso e lo sguardo ancora basso sui petali di ciliegio a terra.
In quel Marzo erano caduti davvero presto. Solo lei era arrivata troppo tardi.

 


(http://mayapng.tumblr.com/)

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Capitolo 3
*** [Obito/Naruto] Conto alla rovescia ***


Prompt: Data di nascitaConto alla rovescia.
Pairing: Obito/Naruto, accenni SakuLee.
Contesto: canonverse.
Rating: giallo.
Avvertimenti: //
Descrizione: Dove hai un tatuaggio che è un conto alla rovescia per l’incontro con la tua anima gemella.
Note: Questa credo che sia stata la seconda che ho deciso e nonostante avessi un’idea che mi entusiasmava molto non mi sembra di averla resa bene :c Spero che non sia venuta fuori una totale schifezza. Come in quel quella di ieri, anche qui siamo nel puro canonverse come ce l’ha presentato Kishimoto, con l’eccezione dell’esistenza delle anime gemelle.
Il titolo viene dalla canzone “Waiting for Love” di Avicii.
 
 
I’ll be waiting for love
 
Naruto aveva da sempre quei numeri sull’avambraccio, anche se non ne conosceva il motivo. Erano curiosi, perché scalavano all’indietro ogni secondo; inoltre non erano stati disegnati con un pennarello, perché per quanto strofinasse con il sapone fino a irritare la pelle restavano sempre. Si era un po’ rassicurato quando aveva scoperto che non era l’unico ad avere quei numeri, osservando le altre persone aveva potuto costatare che tutti li avevano. Anche se erano sempre numeri diversi, più grandi e più piccoli, mentre alcuni li avevano fermi allo zero.
Aveva provato a chiedere a qualcuno cosa fossero, ma nessuno gli aveva mai risposto e spesso lo avevano trattato come se fosse stupido. A Naruto non piaceva quando lo trattavano da idiota, perciò aveva ingoiato la curiosità e non aveva più chiesto.
Per capire cosa significassero quei numeri, dovette aspettare i suoi dodici anni e la promozione a genin. Anche i suoi compagni di squadra avevano quei numeri, quelli di Sakura erano molto piccoli, mentre Sasuke e Kakashi lo avevano addirittura settati allo zero!
Era stata Sakura a parlargliene, gentile come lo era stata raramente in quei primi tempi insieme. Sospettava che fosse perché le aveva fatto tenerezza.
Erano in una pausa dall’allenamento, Kakashi leggeva il porno e Sasuke faceva il solitario vendicatore da solo. Sakura guardava i numeri sul suo braccio che diventavano sempre più piccoli e canticchiava in apprezzamento.
“Mancano pochi giorni e la incontrerò” sprizzò gioia e trepidazione.
Naruto arrotolò la manica della sua giacca consunta e guardò i proprio numeri, anche se andavano all’indietro erano ancora molto più grandi di quelli di Sakura.
“Chi incontrerai?” chiese curioso.
Sakura lo guardò confuso. “Come faccio a saperlo? Non so chi sia”.
“Ma chi?” insistette.
“La mia anima gemella!” rispose esasperata.
Naruto la guardò stupefatto, come se avesse rivelato un segreto che non poteva essere possibile. Spostò gli occhi sui propri numeri tatuati nel braccio e sentì una strana sensazione allo stomaco che lo scaldò piacevolmente, ma lo riempì anche di ansia.
“Vuoi dire che quando raggiungi lo zero incontri la tua anima gemella?” mormorò collegando i puntini.
Sakura roteò gli occhi. “Ma certo, non te l’hanno detto i tuoi…”
Si bloccò di colpo, mordendosi le labbra, ma era chiaro dalla sua espressione colpevole che cosa stesse per dire: non te l’hanno detto i tuoi genitori? Naruto non aveva genitori, in realtà non aveva nessuno che potesse spiegargli delle anime gemelle e del conto alla rovescia sulla sua pelle. All’Accademia non l’avevano spiegato perché si dava per scontato che lo avessero già fatto a casa, senza contare che gli shinobi non devono avere sentimenti.
Si sentì un po’ male per lui, perciò aggiustò la propria espressione in un sorriso gentile e si apprestò a ripetere quello che le aveva raccontato i suoi genitori anni prima.
“Tutti abbiamo un’anima gemella nel mondo che gli dei hanno scelto per noi. È la persona che siamo destinati ad amare, fatta per noi, la nostra metà… Qualcuno che ci amerà incondizionatamente, che sarà solo nostra” spiegò sognante. “Prima o poi la incontreremo, siamo destinati a incontrarla. Per questo abbiamo il timer sul nostro corpo”. Mostrò il suo, picchiettando con il dito sui numeri in discesa. “Dalla nostra nascita conta i secondi fino al nostro primo incontro”.
“Quindi più basso è il numero più vicino è il momento dell’incontro” riassunse Naruto con gli occhi che si allargavano.
“Esatto”.
“Quindi le anime gemelle esistono davvero…”
Sembrava scosso, come se per lui fosse ancora difficile realizzare che nel mondo ci fosse qualcuno che lo avrebbe amato a prescindere, fatto solo per lui. Le fece tenerezza, ma pensò anche che quel tipo di meraviglia fosse qualcosa di privato, su cui era meglio che lei non si impicciasse, quindi cambiò volontariamente il focus dell’argomento.
“Già, io la incontrerò fra cinque giorni” gongolò Sakura. “Sono fortunata, sai? Qualcuno ha anche aspettato cinquant’anni prima di incontrare la sua anima gemella”.
Naruto agghiacciò e il suo sorriso si trasformò in una smorfia di orrore.
“Cinquant’anni sono tantissimi!” commentò e tornò a guardare i suoi numeri con vera preoccupazione, perché erano davvero molto alti, con tantissime cifre. “Sakura…” mormorò angosciato, “io fra quanto la incontrerò?”
Per un momento sul volto di Sakura ci fu una smorfia antipatica, qualcosa che anticipava un contalo da solo, ma poi si ammorbidì e si spostò una ciocca lunga dietro le orecchie.
“E va bene” annuì ricordando quanto fosse pessimo l’amico con i numeri. “Lo conterò per te”.
“Dici davvero, Sakura-chan?”
“Sì, ma in cambio tu non mi chiederai più di uscire a pranzo con te!” Gli puntò contro l’indice con espressione soddisfatta.
Naruto la guardò sbigottito. “Ma Sakura-chaaaan!” si lagnò.
“Non pensi che la tua anima gemella ci resterebbe male se uscissi con me?”
Rimase zitto, le rotelle del suo cervello che ingranavano sul quel ragionamento, ma poi annuì in accordo, aveva senso. Soddisfatta, Sakura andò a prendere carta, inchiostro e un calendario. Ricopiò i numeri, poi cominciò con una lunga serie di calcoli che Naruto fissò con curiosità, ai suoi occhi tutto quel procedimento era incomprensibile. Ma doveva avere per forza una logica, perché Sakura lavorava con attenzione, lo sguardo concentrato e la lingua fra le labbra. Alla fine riuscì a ottenere un’altra sequenza di numeri e iniziò a cercare nel calendario.
“Oh” commentò confusa. “Naruto, tu sei nato il 10 Ottobre?”
“Sì, dattebayo!” scodinzolò incredulo che sapesse la data del suo compleanno. Non lo aveva mai festeggiato, pensava che nessuno lo sapesse.
Sakura si corrucciò, ma poi si sciolse in una risata. “È buffo, ma incontrerai la tua anima gemella poche ore prima del tuo diciassettesimo compleanno”.
“Oh!” commentò. Adesso aveva dodici anni, quindi doveva aspettarne altri cinque… sembravano tantissimi rispetto a Sakura che avrebbe incontrato la sua anima gemella in cinque giorni, ma rispetto i cinquant’anni erano decisamente meno. Poteva sopravvivere e avrebbe incontrato questa persona che gli dei avevano scelto per lui! Qualcuno che lo avrebbe amato come una famiglia… forse non era mai stato poi così solo. C’era la sua anima gemella.
 
Naruto quello stesso giorno scoprì anche un’altra cosa molto triste sulle anime gemelle: se muoiono prima dell’incontro, il timer si azzera automaticamente, perché non si incontreranno mai. Scoprì che il motivo per cui il countdown di Sasuke era terminato, era proprio quello.
Sakura invece incontrò davvero la sua anima cinque giorni dopo, mentre portavano le loro iscrizioni per gli esami chūnin, quando si trovò davanti un tipo stravagante dalle sopracciglia folte e una tuta troppo aderente. Naruto la prese in giro per ore, almeno finché Sakura non lo zittì con un pugno e una minaccia:
“Aspetto proprio di vedere chi sarà la tua anima gemella! Poi vedremo chi sarà a ridere!”
 
 
Cinque anni dopo.
 
Ancora sbigottito, Naruto atterrò al fianco di Kakashi in contemporanea a Gai.
“Sensei, è come dicevi tu!” esclamò e tornò a guardare lo shinobi nemico davanti a loro. La manica destra era stata strappata dall’esplosione del suo rasengan e il braccio sembrava rosso di sangue. Finalmente lo avevano davvero colpito, anche se non capiva come fosse possibile.
Kakashi non rispose, fissando accigliato Tobi. Sembrava essere davvero preoccupato.
“Quindi è vero” disse a tono abbastanza alto perché anche l’avversario potesse sentirlo. “All’inizio pensavo che quella che ti permette di renderti incorporeo e quella con cui assorbi o emetti le cose fossero due tecniche distinte...”
Fece una pausa, dove Naruto lo fissò chiedendosi che cosa diavolo intendesse. Kakashi alzò una mano indicando l’avversario in un’accusa.
“Ma in realtà sono un’unica tecnica”.
Ah, sì, un’unica tecnica, ha sen… cosa?
Vedere che anche Gai non stava capendo gli fece trovare il coraggio di ammettere candidamente:
“Non ti seguo… Ma finalmente lo abbiamo colpito!” esultò.
In fondo non era quella la cosa importante?
Su suggerimento di Gai, Kakashi cominciò a spiegare il funzionamento delle due tecniche dell’Uchiha, analizzando lo scontro appena svolto. Naruto lo ascoltò attento, sapendo che quando Kakashi aveva quell’espressione concentrata significava che era importante e doveva ascoltare, e con sua sorpresa riuscì a seguire il ragionamento, anche se gli sembrava folle.
“Ho capito” assicurò quando Kakashi terminò la sua spiegazione e per una volta lo intendeva davvero.
Ma non era stato abbastanza per capire le implicazioni di quella spiegazione, fortunatamente ci pensò il Giūky a chiederle:
“Perché i vostri dojutsu sono collegati?”
Gai fissava il compagno di una vita con angoscia. “Kakashi, chi è lui?”
Naruto lo osservò attento e i suoi occhi scivolarono sul braccio scoperto, le sue ferite stavano già svanendo grazie alla sua capacità rigenerativa. Ma sull’avambraccio poteva vedere gli zeri di un timer che aveva terminato la sua corsa a ritroso. A quel pensiero, abbassò gli occhi sul proprio e si rese conto che mancavano davvero pochi minuti.
È giusto, considerò ricordando le parole di Sakura, mancavano solo poche ore alla mezzanotte del suo diciassettesimo compleanno. Mancavano pochi minuti perché incontrasse la sua anima gemella, eppure nel campo di battaglia non c’era nessun altro oltre a loro. Forse stava arrivando, forse era una shinobi dell’alleanza… qualcuno che avrebbe combattuto al suo fianco contro Tobi.
Si distrasse dai suoi pensieri ascoltando le fastidiose parole che l’uomo mascherato stava dicendo. Per lui non avevano molto significato, ma c’era Kakashi che sotto di esse sembrava sbriciolarsi sempre di più, che sembrava soffrirle molto. Si infiammò di rabbia, provò un forte scosso al cuore che lo fece parlare ancor prima di rendersene conto.
“Bastardo!” gridò. “Ancora con questa storia?!”
Pochi discorsi lo facevano incazzare quanto quello che Tobi stava continuando a ripetere. Ogni fibra del suo essere ruggiva di orgoglio e testardaggine, non avrebbe mai accettato come vere quelle parole prive di speranza, non importava quanto gliele ripetesse – come se volesse convincerlo.
Ghignò fra sé, lo sguardo acceso di determinazione.
“Anch’io ti ho già detto che non rinuncerò al mio sogno di diventare Hokage! Sono molte le cose che mi sono state affidate!”
Sentì alle spalle i suoi compagni rianimarsi, la stessa volpe ridacchiare di orgoglio e soddisfazione.
Eppure Tobi continuava a restare impassibile, nascosto dietro quella disgustosa maschera, pronto a ribattere con cinismo. Naruto si chiese anche solo perché ci stesse perdendo tempo a parlare, sentiva che era importante anche se non capiva il motivo. Soprattutto non capiva come facessero le sue parole ad affondare in lui, sembrava conoscere tutti i suoi dubbi… le sue esitazioni. Era come se conoscesse i suoi stessi pensieri più oscuri e non riuscì a replicare prontamente, sentendosi senza parole per via della rabbia e della frustrazione.
Fu la volpe a riscuoterlo.
Naruto, facciamo cambio! Devo dirgli un paio di cosette.
Rimase confuso da quella richiesta, ma glielo permise di un buon grado e lasciò che la sua coscienza sopraffacesse momentaneamente la propria.
Mi spiace per te,” sentì la propria voce uscire più spessa e cavernosa, “ma non hai capito nulla di questo ragazzo. Non solo è riuscito a fare amicizia con me, ma ha anche imparato a usare la mia forza come si deve”.
Naruto sussultò nella propria coscienza, una sensazione calda davanti a quel riconoscimento, e si voltò a guardare la volpe con meraviglia. Kurama gli sorrise socchiudendo gli occhi con soddisfazione e ruotò le orecchie.
Il Quarto Hokage mi ha sigillato in Naruto perché potesse sconfiggerti!” terminò.
La sensazione calda aumentò fino a farlo sorridere, grato alla volta di aver raccolto i suoi dubbi. Aveva ragione, suo padre aveva creduto in lui e per questo non poteva nemmeno pensare di tentennare. Era qualcosa a cui era destinato, esattamente come fra pochi minuti avrebbe incontrato la sua anima gemella. Non poteva lasciare che si incontrassero mentre si lasciava divorare dall’incertezza, non era così che voleva presentarsi!
Naruto non vedeva l’ora.
Avanti, Naruto!” lo spronò la volpe.
Il fallimento non era contemplato. Scattò verso il nemico, il manto dorato del chakra del Kyūbi che lo ricoprì di potere.
“Agli ordini!”
 
Mancava solo un minuto.
Ma Naruto non stava prestando attenzione all’orologio sul suo braccio, troppo concentrato nella battaglia contro il suo nemico. Solo la sensazione di anticipazione, la trepidazione inconscia che lo stava avvisando che stava succedendo qualcosa gli impediva di scordarsi dell’incontro imminente.
Si scambiò solo uno sguardo con Kakashi-sensei e, allenato da anni di combattimenti insieme, riuscì a capire da quella sua sola occhiata cosa doveva fare. Gettò il suo kage bushin contro Tobi, un rasengan in mano, mentre ancora si concentrava sulla bijū dama.
I secondi scorrevano.
00:00:10.
Il kage bushin aveva raggiunto Tobi proprio in quel momento, il rasengan proteso. Sentì la forza del kamui di Kakashi trascinarlo nell’altra dimensione proprio nel mentre che Tobi lo colpiva.
00:00:09.
Tobi sembrava soddisfatto, convinto di aver eliminato la minaccia e aver sprecato l’ultimo kamui di Kakashi.
00:00:08
Il vero Naruto uscì dal suo nascondiglio proprio in quel momento, scagliandogli contro la sua enorme biju dama.
00:00:07.
Proprio mentre lo colpiva, Tobi si teletrasportò interamente nella sua dimensione rendendosi apparentemente intangibile.
00:00:06.
Tobi atterrò all’interno del kamui, aspettando il momento opportuno per poter uscire.
00:00:05
Davanti si trovò il kage bushin di Naruto, il rasengan ancora in mano, è capì di essere caduto nella loro trappola. Non avrebbe mai fatto in tempo a spostarsi, il rasengan lo avrebbe colpito.
00:00:04.
“Non puoi scappare!”
00:00:3.
Merda, imprecò mentalmente.
00:00:02.
“Chi diavolo sei?!”
00:00:01.
La maschera si ruppe in mille schegge dalla forza del rasengan.
 
 
00:00:00.
 
 
 
I ricordi del kage bushin lo aggredirono nello stesso istante in cui l’uomo mascherato tornò visibile.
Il timer di Naruto era azzerato.
Tobi non aveva più la maschera.
Fissò il viso della sua anima gemella con il sudore freddo che colava sul suo viso.
No. Ti prego, no.
La sensazione che provò fu la stessa che aveva provato tanti anni fa, quando con i rookie di Konoha si erano gettati a fare un bagno da una scogliera. L’impatto e il ruggito del vento erano stati assordanti – come la battagli di qualche secondo prima – ma poi aveva infranto la superficie dell’acqua e ogni cosa si era silenziata. Tutto gli sembrava essere in ritardo, nebuloso, pesante e non riusciva nemmeno a sentire le parole dei suoi compagni. Erano come lente, distorte e rimbombanti.
Ci doveva essere qualcosa di sbagliato, Naruto non riuscì a reagire prontamente mentre spostava lo sguardo dal suo viso e si guardava attorno. La sua anima gemella doveva essere arrivata, doveva essere lì da qualche parte… forse il suo timer era solo un po’ in anticipo…
Deglutì faticosamente prima di rassegnarsi e tornare con gli occhi sull’uomo poco distante da lui. Tobi non aveva più la maschera e il suo viso… a Naruto sembrò di averlo già visto, come se lo conoscesse da sempre.
“Chi diavolo è?!” gridò voltandosi verso Kakashi e Gai, che sembravano davvero riconoscerlo.
Fu Gai a rispondergli: “Era un compagno di Konoha della nostra generazione, un Uchiha. Ma era morto nell’ultima guerra…”
Obito. Era così che lo aveva chiamato Kakashi prima.
Uchiha Obito.
Ma era… impossibile. Perché segnava adesso lo zero? Si erano già incontrati moltissime volte nel corso dell’ultimo anno, perché solo ora segnava il loro incontro come anime gemelle? Ci doveva essere per forza un errore. Non poteva essere lui.
Sakura gli aveva detto che era qualcuno che lo avrebbe amato incondizionatamente, non qualcuno che avrebbe tentato di ucciderlo.
I suoi occhi si spostarono automaticamente sugli zeri allineati sul braccio dell’avversario. Tobi – no, Obito – colse il suo movimento e fece un sorriso amaro, che grondava sarcasmo e cinismo.
“Vuoi sapere quando il mio countdown si è fermato?”
Alzò gli occhi e li posò su quel viso rovinato dalle cicatrici che segnavano tutto il lato destro del suo viso, eppure continuava a essere bello come lo erano tutti gli Uchiha. Si trovò ad annuire, bisognoso di trovare una spiegazione a tutto quello.
“Ormai sono passati diciassette anni” rispose alzando il braccio, il timer ormai fermo in mostra. “Si è fermato quando ho attaccato Konoha, poco prima che evocassi il Kyūbi, qualche secondo dopo la tua nascita”.
La realizzazione gli bloccò il respiro sui polmoni e la pressione minacciò di spezzare la sua cassa toracica.
“Tu lo sapevi…” sussurrò fievole, così piano che fu certo di non essere sentito.
Tobi – Obito – sapeva che erano anime gemelle e lo aveva attaccato comunque. Aveva continuato con il suo folle piano, aveva combattuto i suoi genitori, ucciso e scatenato una guerra.
La sua anima gemella aveva fatto tutto quello.
Provò un forte senso di nausea, un rifiuto simile a quello che aveva provato alla morte di Ero-sennin, o quando gli aveva detto che Sasuke era entrato nell’Akatsuki. Quello… semplicemente non era una cosa che poteva succedere. Era qualcosa che non aveva mai pensato fosse anche solo lontanamente possibile.
Obito gli rivolse solo un ultimo sguardo.
“Non preoccuparti, nel sogno potrai scegliere un’altra anima gemella”.
Alla menzione dello Tsuki no Me, Naruto si sentì bruciare di rabbia. Doveva ricordarsi che era lì per fermare quel piano folle che avrebbe distrutto il mondo, non doveva lasciare che quell’incidente lo distrasse.
“Un’altra?” ripeté ringhiando. “Sei tu la mia anima gemella e lo sai da diciassette anni!”
Obito fece un sorriso meschino. “Io non posso essere un’anima gemella. Perché io sono nessuno, credevo di avertelo già detto”.
Fece per ribattere fumante di rabbia a quel patetico discorso che odiava, ma poi si bloccò realizzando. Tornò a guardare il proprio timer e poi quello che Obito e capì perché non fossero sintonizzati come tutti quelli delle anime gemelle.
Questa era la prima volta che incontrava Obito. Prima era sempre stato Tobi o Madara e la sua anima gemella non erano né Tobi né Madara, ma quest’uomo senza maschera davanti a lui.
Quest’uomo che aveva rinnegato qualsiasi cosa di se stesso.
Ricordò la convinzione di suo padre, che sua madre gli aveva trasmesso nel loro incontro. Minato era convinto che si sarebbero rincontrati, Naruto e l’uomo mascherato, e che sarebbe stato Naruto l’unico in grado di fermarlo. Sicuramente non sapeva che gli dei li avevano scelti come anime gemelle, ma non era la stessa cosa? Forse gli dei avevano scelto Naruto perché gli ricordasse chi fosse, la sua identità che stava scalciando via per un piano folle.
Naruto era l’unico che poteva farlo.
Fece uno sbuffo. “Quanto mi fai incazzare con questo discorso…”, lo fissò con un ghigno pestifero, “anima gemella”.
Obito contrasse lo sguardo infastidito e quell’espressione insofferente riempì Naruto di determinazione. Se gli dava fastidio essere chiamato in quel modo, glielo avrebbe ricordato ogni secondo!
“Credo proprio che ti prenderò a testate finché non ricomincerai a ragionare decentemente” continuò sorridendo strafottente, “anima gemella!”
E scattò.
L’attimo prima che si scontrassero, Naruto ricordò quando Sakura aveva incontrato la sua anima gemella e la sua minaccia dopo che l’aveva presa in giro per ore.
“Vedremo chi sarà a ridere!”
Oh, Sakura-chan, non immagini nemmeno…
 

 

 

 

 

In realtà lo sappiamo tutti che il motivo vero per cui Naruto decide di “salvare” Obito è perché percepisce il suo dolore ed entra in contatto con i suoi ricordi e la sua interiorità (capitolo 651), ma possiamo sempre fingere che come altro motivo sia perché è la sua anima gemella xD


(https://twitter.com/2964_KO?s=09)

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Capitolo 4
*** [Gaara/Rock Lee] Lacrime ***


Prompt: LacrimeTelepatia.
Pairing: Gaara/Rock Lee.
Contesto: Canonverse.
Rating: giallo.
Avvertimenti: flashfic
Descrizione: quando l’anima gemella piange, piangi anche tu senza un motivo. (+questo si “attiva” solo dal momento in cui tocchi la tua anima gemella)
Note: Ed eccoci con i GaaLee :c solita cosa come nelle altre due: puro canonverse con la differenza che esistono le anime gemelle.
Il titolo viene dall’omonima canzone dei Coldplay ^^
 
 
Every teardrop is a waterfall
 
L’ultima volta che ricordava di aver pianto, era stato alla morte di Yashamaru. Da quel momento i suoi occhi erano restati secchi e asciutti, solo molto gonfi per via delle notti insonne. Vedeva molte persone piangere –specialmente quando stava per ucciderle – ma lui aveva la sua sabbia che lo proteggeva, la madre impediva che qualsiasi cosa lo ferisse e facesse piangere.
Gaara non sapeva cosa significasse piangere. Almeno finché non incontrò lui.
 
Nell’altra stanza c’erano i suoi fratelli che litigavano. Kankuro era impaziente come al solito, frustrato dall’attesa infinita nel Villaggio di Konoha. Baki aveva ordinato il silenzio fino al giorno della prova finale chūnin, ma i suoi fratelli sembravano nervosi in quell’attesa nel territorio nemico. O forse erano solo nervosi nel vivere al suo fianco.
Gaara fissò il profilo della città nella notte. Era addormentata, ignara, piena di così tante possibili vittime da sacrificare alla madre. Ma non assecondò l’istinto di sangue e carne che sussurrava dentro di lui come una ninnananna,  rimase seduto sul letto.
Gaara non ricordava più cosa si provasse a piangere, perciò rimase in un silenzio contemplativo molto a lungo mentre strisce bagnate colavano sulle sue guance. La vista era nebulosa, come se stesse osservando attraverso uno spesso vetro sporco. Sbatté le palpebre e per qualche secondo il mondo tornò limpido, accompagnato da un calore umido sulle guance. Qualcosa gocciolò sulle sue mani in grembo. Abbassò la testa e vide molte gocce d’acqua precipitare a terra dal suo viso.
Confuso strofinò un palmo sugli zigomi, trovandoli bagnati come quando restava sotto la pioggia.
Perché stava piangendo? Lui non era stato ferito.
“Gaara, scusa se ti disturbo, ma…”
Temari si bloccò sull’uscio della porta, lo sguardo sorpreso nel vedere il volto lucido del fratellino. Gaara si stava ancora asciugando le guance da quell’improvviso scoppio di pioggia.
“Stai bene?” chiese preoccupata e spaventata insieme.
Annuì.
“Perché piangi?”
“Non lo so”.
La ragazzina lo fissò a lungo, in silenzio, poi una luce di comprensione brillò negli occhi salvia. Non disse nulla, rinchiusa la porta e se ne andò dalla stanza.
Le lacrime non accennavano a fermarsi. Per quanto passasse le dita sulle ciglia e strofinasse gli occhi continuavano a scendere.
Perché sto piangendo?
 
Dall’altra parte di Konoha, in un letto di ospedale, un bambino tratteneva a fatica i singhiozzi davanti al pensiero che non sarebbe mai più potuto essere uno shinobi.

 

 

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Capitolo 5
*** [Sai/Ino] Scriversi sul corpo ***


Prompt: Diario Scriversi sul corpo.
Pairing: Sai/Ino, accenno ObiNaru.
Contesto: Canonverse.
Rating: giallo.
Avvertimenti: tanto fluff?
Descrizione: Scrivendosi sul corpo, la nostra anima gemella riceverà il messaggio.
Note: Okay, questa è molto fluff e scemotta, con un finale che ho aggiunto a casissimo solo perché mi faceva troppo ridere l’idea. Spero che vi piaccia!
Il titolo viene dalla canzone “write on me” delle Fifht Harmony.
 
 
 
Everything is blank until you draw me
 
Una delle cose che Sai stava imparando a conoscere era il sole e l’estate. Aveva passato così tanto tempo nascosto nei sotterranei di Root da non conoscere la sensazione del calore estivo sulla pelle, il sudore insopportabile e il desiderio di spogliarsi per gettarsi nel fiume per un bagno. Durante l’allenamento per il lavoro di squadra con il Team 7 succedeva molto spesso. Solitamente però lui osservava dall’ombra di un albero, partecipando a distanza all’allegria dei suoi nuovi amici. Una cosa che gli piaceva molto fare era dipingere in quei momenti di calma, dove dalla sua mente non uscivano paesaggi oscuri e tenebrosi, ma giornate di sole come quella.
Appena tirò fuori la tela, Sakura uscì dal fiume gocciolando con i capelli per osservarlo. All’inizio aveva trovato frustrante sentire occhi estranei fissarlo mentre dipingeva, ma si era presto abituato anche a quello. A Sakura piace vederlo dipingere e Sai aveva letto in qualche libro che per fare amicizia era importante condividere certi momenti.
Fu proprio mentre spargeva la basa d’acqua sulla tela che sentì il familiare prurito all’interno del braccio. In un caso normale non ci avrebbe fatto caso, come era stato addestrato, ma in quella calda giornata estiva non indossava la sua solita giacca e Sakura poté subito vedere le tracce d’inchiostro.
Con un gridolino di gioia che richiamò perfino Naruto gli afferrò il braccio.
“Sai-kun! La tua anima gemella ti sta scrivendo”.
Spostò appena pigramente gli occhi sulla sua pelle bianchissima, osservando con un cipiglio disinteressato il messaggio.
Che giornata meravigliosa!
Sai pensò che avesse ragione, era davvero una bella giornata, ma non capì cosa avesse di così speciale rispetto alle altre da spingere qualcuno a scriverlo sul proprio braccio. Tornò a concentrarsi sulla sua tela prima che l’acqua si asciugasse del tutto.
“Ehi!” lo richiamò Sakura aggrottando la fronte. “Non le rispondi?”
Nel frattempo anche Naruto era arrivato e stava scrollando i capelli dall’acqua come un labrador.
“No” rispose senza inclinazione.
Non si aspettò il pugno di Sakura alla testa, né lo sbraitare di Naruto furioso.
“Cheee?!” gli puntò contro il dito accusatorio. “Sei una di quelle anime gemelle stronze che non risponde?!”
Sai guardò risentito Sakura e istintivamente tentò di ritrarsi, non era mai un buon segno stare vicino alla ragazza quando aveva quell’espressione fumante.
“Sono uno shinobi” rispose sbattendo le palpebre, confuso di dover sottolineare l’ovvio.
“E questo che c’entra dattebayo!” strepitò Naruto.
Sai spostò lo sguardo su Sakura cercando un riscontro, ma anche lei sembrava perplessa dalla sua spiegazione e lo guardava come se volesse prenderlo ancora a pugni.
“Gli shinobi non possono provare emozioni” disse quindi, ripetendo quello che gli aveva insegnato Danzo-sama. “Non dobbiamo rispondere ai messaggi delle nostre anime gemelle perché siamo shinobi, dobbiamo restare concentrati sulle missioni e basta. Le anime gemelle non devono distrarci”.
“Questa è la spiegazione più stupida che abbia sentito” Naruto incrociò le braccia. “Se fosse davvero così perché allora le anime gemelle esistono?”
Sakura annuì, stranamente d’accordo con l’amico. “Se non fossimo destinati a incontrarla gli dei non ci avrebbero mai permesso di comunicare con loro in questo modo” concluse.
Sai ci pensò su e si accorse che avevano ragione, non l’aveva mai vista da questa prospettiva. Era davvero fortunato ad avere incontrato quei due, gli stavano facendo davvero il mondo in modi che non aveva mai considerato.
“Quindi voi comunicate con la vostra anima gemella?” chiese curioso.
Sakura mise su una faccia imbarazzata. “A volte”.
Invece Naruto si oscurò e accentuò il broncio. “La mia non mi risponde mai” ringhiò furioso. “Ho provato a scrivere di tutto ma continua a ignorarmi! È frustrante! Per questo dico che sei stronzo, dattebayo” si lagnò.
Sai non capì. “Perché?”
La faccia di Naruto sembrò voler esplodere da quanto divenne rossa. “Perché la tua anima gemella ti scrive e tu non rispondi!”
Tentò di giustificarsi, spiegando che era Danzo-sama che aveva proibito a lui e ogni membro di Root di comunicare con la propria anima gemella. Però le parole non uscirono e fece solo una smorfia pensando che fosse per via del sigillo sulla lingua.
Tornò quindi a concentrarsi sul braccio, dove l’inchiostro di chakra brillava ancora.
“Dovrei rispondere?” chiese quindi incerto.
“Assolutamente!” lo spronò Naruto con un sorrisone.
Allora prese il proprio pennello e lo intinse nell’inchiostro, fece per scrivere una risposta sul proprio braccio, ma Sakura lo afferrò al polso.
“Fermo!” ordinò.
“Sakura-chan?” domandò Naruto confuso.
Gli occhi verdi della ragazza erano pensosi. “Questo sarà il tuo primo messaggio all’anima gemella, vero?”
Sai confermò annuendo solo una volta. Nel gesto fece gocciolare un goccia di inchiostro sul braccio, ma nessuno sembrò farci davvero caso.
“Allora deve fare qualcosa di davvero speciale” considerò alla fine Sakura con un sorriso romantico. “Il primo messaggio è sempre quello più importante! Devi comunicare qualcosa con le parole”.
“Cosa?” chiese Sai sentendo una strana sensazione sconosciuta che gli pungolava il cuore.
“Uhm…” la prese molto seriamente Naruto. “Perché non ti presenti?”
Sakura lo colpì. “Ma sei scemo?!” lo insultò.
“Questo perché?” piagnucolò.
“Non bisogna mai presentarsi” spiegò Sakura solennemente, alzò l’indice come se stesse per dare un’importante lezione. “Non subito almeno, bisogna aspettare. L’attesa e la ricerca fa parte del brivido dell’anima gemella. Se ti presenti subito che gusto c’è?”
“Io mi sono presentato subito” obiettò Naruto.
“Infatti non ti risponde!” confermò Sakura con un ghigno. “Vedi che ho ragione?”
L’amico fu costretto ad ammetterlo con un borbottio poco convinto. Sai continuò a fissare il proprio braccio, chiedendosi quindi cosa dovesse scriverci. Non era mai stato molto bravo con le parole e non capiva cosa intendesse Sakura con qualcosa di speciale.
L’amica sembrò rendersi conto della sua confusione, perché gli venne incontro un sorriso rassicurante.
“Lei ti ha scritto spesso?” chiese.
Corrucciò la fronte. “Credo… di sì?” strinse gli occhi davvero confuso. “Sì, ma non so cosa mi scriveva. Non guardavo mai”.
“Che stronzo” borbottò Naruto, ma non aggiunse altro quando Sakura lo minacciò con lo sguardo.
“Allora devi farti perdonare” risolse.
“Ma come?”
Sakura ci pensò un po’ su prima di trovare una soluzione. “Dipingi!”
“Cosa?” l’esclamazione arrivò gemella sia da parte di Sai che di Naruto, l’uno più pacato l’altro più esuberante, e la ragazza scoppiò in una piccola risata serena.
“Tu sei molto più bravo a esprimere le tue emozioni con i tuoi quadri” spiegò. “Perché non lo fai anche ora? Dipingi sul tuo braccio, così le trasmetterai qualcosa di te stesso”.
Sai ci pensò su ragionando. Se avesse dipinto sul proprio braccio non avrebbe potuto tenere il disegno, perché dopo lavandosi se lo sarebbe sciacquato via. Però questa cosa dell’anima gemella stava assumendo le sfumature di una missione importante, perciò non poteva tirarsi indietro.
Prese quindi la scatola di colori, pulì le setole del pennello dall’inchiostro nero e poi lo sporcò con l’azzurro. Guardò con gli occhi socchiusi il paesaggio che aveva di fronte a sé, la scena estiva che aveva deciso in primo luogo di imprimere sulla tela, e poi cominciò a lavorare sulla propria pelle.
Si accorse presto che dipingere sul braccio era molto più complicato che sulla tela. La pelle aveva una consistenza strana e si muoveva a ogni spennellata. L’acqua e il colore non venivano ben assorbiti, per questo rischiava di sbavare se non stava attento. Il suo stile di disegno era molto impressionista, non puntava mai sull’eccessivo realismo, ma alla fine sul suo braccio le figure gli parvero ancora più indefinite del solito. Tutto sommato però si ritrovò a essere soddisfatto e attese insieme ai compagni di team una risposta.
Nei secondi di attesa si sentì il palmo delle mani sudare, ma era certo non c’entrasse per nulla la calura estiva, visto che si trovava all’ombra ed era senza maglietta. Per qualche motivo anche il suo cuore sembrava andare più veloce, come se avesse appena finito di correre.
Un verso di gioia uscì dalle labbra di Sakura quando sulla pelle si tracciò la prima risposta.
È meraviglioso! L’hai fatto tu?
“No, mi madre” borbottò Naruto alzando gli occhi al cielo.
Sakura lo colpì in testa e fu abbastanza veloce da impedire a Sai di rispondere in quel modo, visto che credeva fosse un suggerimento. Quindi scrisse un semplice:
Sì.
“Dai, aggiungi qualcosa” lo spronò Sakura.
Ti piace?
Lo adoro! Quindi sei un pittore?
Sai guardò Sakura in cerca di aiuto. “Io sono uno shinobi”.
“Sì, ma sei anche un pittore!”
Rispose quindi affermativamente, aggiungendo:
Cosa ti piace?
“Che domanda è?” sbottò Naruto.
“Ho letto in un libro che un buon modo per avviare una conversazione è spingere l’interlocutore a parlare dei propri interessi e di quello che lo appassiona”.
“Shhh, sta rispondendo!”
Adoro i fiori!
Sai questa volta non ebbe bisogno del suggerimento di Sakura e riprese il proprio pennello, cominciando a dipingere nuovamente tanti fiori diversi sulla pelle. Ormai stava però esaurendo lo spazio e per questo fu costretto e capovolgerlo per leggere la risposta.
Sono bellissimi!
Posso dipingere quello che vuoi.
Sakura ghignò e alzò al pollice in apprezzamento per l’ultima risposta di Sai. Ricambiò il sorriso un po’ incerto, ma la sua attenzione tornò subito sulle nuove parole sul braccio.
Potresti dipingere me… ;)
Sakura strillò portandosi le mani alla bocca, mentre Naruto saltò sul posto per l’emozione. A giudicare dalle loro reazioni doveva essere una cosa buona, ma lui si accigliò.
“Come faccio a dipingerla se non so chi sia?” domandò giustamente.
Un sorriso sibillino si disegnò sulle labbra della sua amica. “È arrivato il momento di indagare sulla sua identità!”
Ma quando provò a chiederle qualcosa, la sua anima gemella rimase sul misterioso senza sbilanciarsi. Forse voleva ripagarlo per gli anni in cui non le aveva mai risposto.
“Non ci resta che cercarla” meditò Sakura.
“Chiedile se è di Konoha” propose Naruto.
Annuì pensando che aveva ragione. Le anime gemelle erano sparse per tutte il continente, poteva perfino far parte di un villaggio nemico. Questo era uno degli altri motivi per cui Danzo-sama non aveva mai voluto che comunicassero.
Fortunatamente, però, gli dei dovevano essere stati magnanimi nella scelta perché la risposta che arrivò era positiva.
“Andiamo al Villaggio!” propose Naruto alzandosi in piedi.
“Ma come facciamo a trovarla?” obiettò tranquillo Sai, calmo come in ogni missione.
“Be’, sarà la persona con un intero braccio pasticciato” spiegò Naruto indicandolo.
“E se ha delle maniche lunghe?”
“Fa troppo caldo per delle maniche lunghe!”
Sakura però prese seriamente quell’obiezione e cominciò a pensare a una soluzione reggendosi il mento con una mano. Una piccola luce di vittoria animò i suoi occhi ma non gli piacque per nulla il modo in cui lo stava guardando.
“Sai-kun” flautò candidamente, “avvicinati”.
Sai non voleva affatto avvicinarsi, ma immaginava di non avere molta scelta, quindi fece come voleva sforzandosi per mantenere un sorriso sulle labbra. Chiuse gli occhi quando lei con un pennarello cominciò a disegnargli qualcosa sulla pelle.
“Sakura-chan?” chiese accigliato e preoccupato, ma il sorriso ancora costretto sulle labbra.
“Potrà anche indossare la maschera di Kakashi-sensei, ma così non ci sarà verso per non riconoscerla!” garantì Sakura tenendosi la lingua tra le labbra.
Sai capì di aver ragione a essere preoccupato quando, dopo avergli lanciato una rapida occhiata, Naruto scoppiò a ridere senza freno.
Non osò guardarsi allo specchio per capire cosa avesse disegnato sulla sua faccia.
 
**
 
Una volta al Villaggio, tutti i passanti cominciarono a fissarli perplessi e con disapprovazione. Sai aveva fatto del suo meglio per tenere fisso il suo collaudato sorriso sereno, anche se cominciava ad agitarsi un poco. Immaginava che l’incontro con l’anima gemella richiedesse anche un’interazione con essa, ma lui non era ancora molto bravo in quel genere di dinamiche. Purtroppo quando aveva chiesto a Sakura di lasciarlo prima passare in libreria per trovare un libro che lo informasse sull’argomento lei lo aveva liquidato senza nemmeno rispondergli.
Invece della biblioteca, lo portò al negozio di fiori degli Yamanaka.
“Perché siamo qui?” chiese Naruto osservando i fiori esposti e aggrottando le sopracciglia.
“La sua anima gemella ha detto di amare i fiori. Sicuramente guadagnerebbe punti se si presentasse con un bel mazzo di rose!” spiegò Sakura elettrizzata.
Naruto approvò in apprezzamento e cominciò a spingere Sai perché entrasse nel negozio di fiori. Sakura li aveva già preceduti.
“Yamanaka-san!” la sentirono gridare. “C’è Ino? Ci serve il suo aiuto”.
“Ciao, Sakura” salutò la signora. “Mi dispiace, ma Ino in questo momento…”
La donna al balcone si bloccò proprio nel momento esatto in cui entrarono, gli occhi sbarrati su Sai. Tentò un sorriso affabile e ancora una volta si chiese che cosa diamine gli avesse scritto sopra Sakura da far avere a tutti quella reazione.
“Tu…” commentò la signora Yamanaka con le guance che si chiazzavano di rosso. Poi però si riscosse e, senza dare spiegazioni, fuggì nel retro bottega chiamando a gran voce la figlia.
Sakura e Naruto si scambiarono uno sguardo perplesso, mentre Sai non prestò attenzione a quell’atteggiamento strambo e si mise a osservare i fiori curioso. Sapeva che era una pratica molto diffusa regalarli, ma ancora gli sfuggiva il senso di farlo visto che, recisi com’erano, in poco tempo sarebbero morti. Perché a qualcuno avrebbe dovuto far piacere riceverli? Doveva informarsi a riguardo.
“Si può sapere il perché di questo baccano?!” sbraitò una forte voce femminile che lo distrasse dalla contemplazione di un mazzo di girasoli.
Aveva già incontrato Ino una volta, dove aveva malamente tentato i suoi approcci amichevoli, ed era sicura che quella volta non avesse fiorellini e immagini stilizzate di conigli per tutta la faccia. Si chiese perché se le fosse disegnate con il pennarello, era una cosa molto curiosa. Sicuramente avrebbe catturato l’attenzione delle persone conciata in quel modo, proprio come stava capitando a lui.
Si bloccò.
Oh.
Abbassò gli occhi sulle sua braccia scoperte e vide la sinistra piena di scarabocchi.
OH.
Alzò di nuovo lo sguardo sul suo viso e scoprì che dalla sorpresa non stava più sorridendo. Si apprestò a rimediare e socchiuse anche gli occhi, in una imitazione di Kakashi.
“Ciao, anima gemella”.
Non sapeva cosa aspettarsi. Davvero, Sakura non gli aveva permesso di leggere un libro che parlasse del primo incontro con la propria anima gemella, non aveva proprio idea di cosa sarebbe successo. Quindi costatò curioso quando Ino lo raggiunse a grandi falcate e lo afferrò per il colletto iniziando a strapazzarlo.
“Che cosa ti salta in mente di disegnarci sulla faccia questa obbrobri?!” gli strillò contro furiosa.
Non abbandonò il sorriso sereno. “Oh, ma è stata Sakura-san. Io disegno meglio”.
“FRONTE SPAZIOSA!” sbraitò lasciandolo andare di colpo.
Ma Sakura non riusciva a smettere di ridere e non valsero a nulla le minacce dell’amica riguardo la sua faccia che era un disastro completo. Sai continuò a osservarle pacifico, dubbioso su cosa dovesse fare. Si voltò verso Naruto, che aveva uno sguardo molto concentrato.
“Be’, però ha funzionato” osò e bastarono quelle parole ad attirare Ino verso di lui.
“Ho la faccia che è un disastro!” tentò di picchiarlo. “Che cosa avrebbe funzionato?!”
Naruto sbiancò ed evitò i colpi facendo cadere un paio di vasi.
“L’anima gemella!” strepitò spaventato dalla furia femminile. “L’anima gemella. Hai trovato la tua anima gemella!”
Ino bloccò il pugno a pochi centimetri del suo naso, ma Naruto non osò tirare il sospiro di sollievo. La guardò sudando mentre la ragazza poco alla volta realizzava quelle parole.
In tutto questo Sakura continuava a ridere incapace di fermarsi, trovando troppo comico che l’anima gemella di Ino-pig fosse proprio un incapace sociale alla stregua di Sai. Quando gli dei avevano scelto le coppie dovevano essersi sentiti molto burloni nel farlo.
Ino guardò attenta Sai, valutandolo. “Tu sei la mia anima gemella…?”
Annuì, non sapendo cosa fare. Subito dopo si trovò le braccia della ragazza al collo ma non per ucciderlo, stava compiendo quell’azione che i suoi libri descrivevano come abbraccio. Sorrise, più genuino del solito, perché quella era sempre indicata come una cosa positiva. Ricambiò l’abbraccio, mentre Sakura gli strizzava l’occhio in segno di vittoria.
 
Naruto osservò i due abbracciarsi stretti e ragionò sulle sue stesse parole. Aveva funzionato. Scriversi sulla faccia aveva funzionato.
“Yamanaka-san” chiamò distratto, “mi può prestare un pennarello?”
La donna lo accontentò senza domande, immaginando che volesse comunicare qualcosa alla propria anima gemella dopo quel ritrovo così toccate, ma rimase sorpresa quando lo vide specchiarsi sul vetro e segnarsi qualcosa sul viso.
“Prendi questa, anima gemella stronza ‘tebayo” borbottò fra sé.
 
 
Nello stesso momento, ad Ame…
 
Obito rientrò di umore nero nel nascondiglio dell’Akatsuki, era completamente sporco di sangue dopo che aveva trucidato un gruppo di mercenari che aveva tentato di attaccare la loro base.
“Brutta giornata?” domandò Zetsu divertito mentre lasciava cadere la pesante cappa sporca.
Non rispose e si tolse la maschera per ripulirla dal sangue viscido, scoprendo per una rara volta il suo viso. Tanto nella stanza c’era solo Zetsu, che conosceva la sua reale identità, quindi poteva permetterlo.
Ma, per qualche motivo, il clone di Hashirama cominciò a ridere a crepapelle non appena gli occhi gialli si posarono su di lui.
Che diavolo…
Cercò velocemente uno specchio per capire che cosa ci fosse di così divertente sul suo viso e quando si specchiò lasciò quasi cadere l’arnese con un gemito esasperato. Su tutta la sua faccia era stato scritto con un indelebile arancione: Sono Uzumaki Naruto e ti troverò ovunque tu sia brutta anima gemella stronza, credici!
Lanciò un’occhiata di fuoco a Zetsu mentre si accasciava esasperato a terra, meditando l’imminente distruzione di Konoha e di un suo abitante in particolare…

 

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Capitolo 6
*** [Obito/Naruto] Ricordi ***


Prompt: EterocromiaRicordi.
Pairing: Obito/Naruto, again yep.
Contesto: AU.
Rating: giallo.
Avvertimenti: Reincarnatio!AU.
Descrizione: Conservare i ricordi da una vita passata della nostra anima gemella.
Note: I piani iniziali erano che questa fosse una KakaObiRin con l’eterocromia dove sia Kakashi che Rin possedevano un occhio sharingan, mentre Obito un occhio nero e uno nocciola. Tutti e tre tornavano ad avere entrambi gli occhi coordinati solo quando Obito risvegliava lo sharingan a Kannabi, dove anche moriva rip, perché era in quel momento che tutti e tre potevano riconoscersi come anime gemelle.
Uhm, mi spiace per aver aggiunto un OC in questa storia, ma non potevo usare nessun altro personaggio comparisse nel manga per un motivo di trama. Il titolo del capitolo viene dalla canzone “Chase” degli Sleeping with sirens.

 

A future right in front of us, our head up in the stars

 

Diventa Hokage a ogni costo.
Naruto seppellì la testa tra le coperte nel tentativo di sfuggire al suono persistente della sveglia, ma sembrava che qualcuno stesse improvvisando un’orchestra proprio nel suo cervello. Con i rimasugli del sogno che sfuggivano alla sua coscienza, la sua mente che diventava sempre più reattiva a quello che lo circondava e la vescica piena che reclamava di essere svuotata, Naruto dovette ammettere la sconfitta e rotolò fuori dal letto.
Sbloccò il telefono rimandando la sveglia invece di spegnerla, poi come uno zombie si spostò nel bagno per la prima pipì della giornata.
Si stropicciò il viso mentre le ultime parole che aveva sentito prima che la sveglia rompesse il suo sogno continuavano a ripetersi nella sua mente.
Che diavolo è un Hokage …
Era una domanda che si poneva da quando era bambino e cominciava a temere che non avrebbe mai trovato risposta. Anche l’internet non aveva saputo spiegargli nulla, l’unica cosa che aveva fatto era stato consigliargli un ristorante orientale.
Tirò lo sciacquone e passò al lavandino, dove si gettò in viso una generosa manciata d’acqua gelata per risvegliarsi del tutto. Incontrò i propri occhi azzurri sul riflesso dello specchio e si prese qualche minuto per osservarsi: pelle abbronzata, viso rotondo, labbra carnose, occhi rotondi e indomabili capelli biondi. Si paragonò a come si era visto nel sogno, con spessi marchi neri sulle guance, uno strano coprifronte a tenergli la frangia e gli occhi dorati, anche se forse la cosa più strana era il fatto che brillasse.
Naruto non era davvero spaventato da quel sogno rincorrente, anzi ne era così tanto incuriosito che ogni volta tentava di tutto per trattenere dettegli che lo aiutassero a capire a chi appartenesse quel ricordo.
Nel suo mondo cose del genere erano normali, come era normale avere un’anima gemella. Anzi, le due cose erano strettamente collegate. Naruto ricordava ancora con estrema chiarezza il giorno in cui aveva avuto il primo sogno e i suoi genitori gli avevano spiegato che quello era il ricordo di una vita passata della sua anima gemella.  Nel loro mondo ogni persona possedeva almeno un ricordo della sua anima gemella ed era proprio quel ricordo che avrebbe permesso loro di rincontrarsi. La prima volta che aveva sognato quel ricordo Naruto aveva sei anni e ne era rimasto entusiasta, con il tempo a quel primo ricordo se n’erano aggiunti altri –alcuni davvero tristi e dolorosi – e a ogni nuovo sogno si sentiva sempre più vicino alla meta. Ma ormai aveva ventidue anni e non c’era stato nessun segnale da parte della sua anima gemella, cominciava un po’ a scoraggiarsi.
La sveglia del telefono vibrò di nuovo a piena potenza e questa volta Naruto osservò lo schermo, sbiancò nel vedere la notifica comparsa che gli ricordava che era il primo giorno di lavoro alla piscina.
“Merda, sono in ritardo!” si lamentò prendendo lo spazzolino.
 
**

Naruto si era immaginato come aitante bagnino quando aveva inviato la domanda di assunzione alla piscina pubblica di Konoha. Ma in realtà in quel momento si sentì più come una babysitter e un raccatta gommoni mentre correva da un angolo all’altro dello stabili dietro ai bambini che non rispettavano le regole.
Alla fine del suo primo turno si sentì perfettamente giustificato ad afflosciarsi davanti al bancone del bar per una granatina.
“Sei il novellino?” chiese la ragazza che lo servì osservando la sua canottiera rossa.
Annuì, troppo impegnato a gustarsi la bevanda rinfrescante che aggiungere altro. Fortunatamente la ragazza comprese il suo bisogno e non se la prese per il silenzio.
“Io sono Cathleen, lavoro qui da cinque anni. Vedrai che ti abituerai ai bambini”.
Lo sperò con tutto se stesso.
“Io sono Uzumaki Naruto, molto piacere!” si presentò finalmente e appena disse il proprio nome gli occhi della ragazza si illuminarono divertiti.
“E per caso vuoi diventare Hokage?”
Quasi rovesciò la granatina e sgranò gli occhi stupefatto.
“C-cosa?” balbettò con il cuore che dopo essere precipitato nello stomaco  balzò nella sua gola dove cominciò a battere furiosamente.
Cathleen arrossì interpretando la sua sorpresa come fastidio.
“Scusami, è che hai lo stesso nome del protagonista di una saga per ragazzi che sogna di diventare Hokage. È tipo il capo dei ninja, una cosa che non esiste”. Abbozzò un sorriso imbarazzato. “Scusami per la battuta, non ho resistito”.
“Mi stai dicendo che esiste un libro con un tizio con il mio nome che vuole diventare Hokage?”
Sentì gli arti formicolare come se stesse perdendo sensibilità e gli girò paurosamente la testa. Quante possibilità c’erano che fosse solo una coincidenza?
Lei annuì ancora preoccupata di aver fatto una figuraccia.
“Cioè, in realtà è una piccola saga di libri… fra qualche giorno uscirà il terzo della serie. È una storiella leggera, sai… ninja, fantasy, cose magiche…”
“E il protagonista ha il mio nome” ripeté Naruto. “Per caso c’è anche un tizio con i capelli argenti che porta una maschera a coprirgli il viso?” indagò pensando ad altri ricordi che possedeva.
Cathleen lo guardò meravigliata. “Sì, è il maestro Kakashi!” confermò. “Ma quindi conosci la saga?”
“Credo… di sì” borbottò ancora frastornato, al che la ragazza si rilassò visibilmente. Cominciò pure a chiacchierare su quei libri, a quanto pare ne era una grande fan, e gli rivelò che l’autore si chiamava Uchiha Obito e stava organizzando una firma copie.
“Io mi sono fatta mettere il giorno libero per andarci” sorrise raggiante. “Potresti venire con me se non devi venire qui. Che ne dici?”
Ricambiò il sorriso. “È una bellissima idea” confermò.
Era proprio curioso di conoscere questo fantomatico autore.
 
**
 
Una settimana dopo Naruto stava sopportando il sole asfissiante di Giugno in coda per gli autografi. Lui e Cathleen erano giusto fuori la libreria indipendente più grande di Konoha con le loro nuovissime copie della saga La volontà del fuoco. Naruto l’aveva recuperata nel giro di quattro notti insonni e si sentiva ancora frastornato da quella lettura ininterrotta.
Riuscì a sopportare meglio la felicità di Cathleen quando entrarono nella libreria e l’aria condizionata gli asciugò il sudore dal collo. Provò a sbirciare in fondo alla fila la scrivania dove si firmavano le copie, ma c’era proprio una pila di libri che gli bloccava la visuale.
Cathleen fu la prima ad andare davanti, chiedendo anche qualche spoiler sul prossimo libro, mentre Naruto attese a qualche passo di distanza per dare privacy. Osservò curioso quello che riusciva a intravedere di Uchiha Obito sentendo uno strano senso di familiarità che bussava nel suo cuore. Non aveva mai visto l’aspetto della sua anima gemella vivendo i suoi ricordi in prima persona, ma in qualche modo pensò che quei capelli neri, quel viso ovale… fossero giusti.
Finalmente toccò il suo turno e tese il libro, Obito lo prese senza guardarlo.
“A chi lo dedico?”
“Naruto…” tentò ma si trovò ad avere la gola secca, quindi ripeté: “Uzumaki Naruto”.
La penna si fermò sulla prima pagina. L’autore alzò lo sguardo e Naruto finalmente si specchiò negli occhi neri, poté osservare apertamente il viso della sua anima gemella. Rimasero a fissarsi per quelle che gli parvero ore, in cui si sentì arrossire sempre di più mentre l’espressione dell’uomo si apriva nel riconoscimento.
Sei tu.
La proprietaria della libreria tossicchiò e Obito sussultò sulla sedia. Senza dire niente riprese a scrivere la dedica, come se non fosse successo nulla, ma quando fu il momento di riconsegnare il libro si alzò dalla sedia.
“Aspettami dopo il firma copie” gli sussurrò piano.
Scombussolato Naruto riprese il libro e uscì dal negozio.
 
**
 
Con una scusa qualsiasi era riuscito a separarsi da Cathleen. Per qualche motivo non voleva dirle i suoi sospetti, forse perché aveva ancora paura di sbagliarsi nonostante Obito stesso avesse praticamente confermato.
Si sedette sul bordo del marciapiede, dove per passare il tempo cominciò a leggere i primi capitoli del terzo libro. Come con i primi due provò una strana sensazione di déjà-vu nel leggere le avventura di quel ninja dalla tuta arancione.
“Naruto”.
Quando alzò gli occhi si accorse che dovevano essere passate alcune ore, il sole stava per tramontare e il marciapiede era percorso da parecchie persone che tornavano a casa dalla spiaggia. Obito era in piedi al suo fianco e lo stava fissando incerto.
Si alzò a sua volta, chiedendosi cosa dire. Aveva sognato moltissime volte quel momento, ma ora qualsiasi pensiero coerente era svanito dalla sua mente.
Obito distolse lo sguardo, arrossendo sugli zigomi.
“Senti, è quasi ora di cena e qui vicino c’è un Ramen Shop, ti va?”
“Adoro il ramen” rispose senza nemmeno accorgersi, con gli occhi si stava aggrappando a ogni più piccolo particolare del suo volto.
Obito accennò un sorriso. “Lo so”.
Cominciarono a camminare, ma poi Naruto gli mostrò il libro.
“Questa è stata la mia vita passata?” chiese conferma, ancora timoroso di star sbagliando tutto.
Il rossore su Obito si accentuò. “Sì, ti dà fastidio li abbia scritti?” chiese preoccupato. “Mi è sembrato il modo più semplice per trovarti”.
“Mi stavi cercando?” chiese stupidamente.
“Tu no?”
Si fermò in mezzo al marciapiede, perché in quel momento gli risultava troppo difficile pensare, parlare e camminare allo stesso tempo. Stava andando tutto troppo velocemente, non era così che si aspettava il suo primo incontro con la sua anima gemella. Obito sembrava averla presa con così tanta calma, come se stesse semplicemente constatando la situazione, mentre lui si sentiva tutto in tumulto. Obito lo stava trattando come se si conoscessero da anni, mentre per lui era la prima volta che lo incontrava. Voleva parlarne, anche se non sapeva lui stesso cosa dire.
“Io… Io non ho così tanti ricordi della tua vita passata” si trovò a balbettare.
“Io mi ricordo tutta la tua vita” ammise Obito. “Ci sono persone che nascono solo con un ricordo, io sono nato con tutti”.
Naruto lo indicò e poi si indicò ripetutamente.
“Quindi puoi confermare che noi due siamo…?”
“Siamo” sorrise.
“Siamo” ripeté e rimase senza fiato. “Wow”.
Strappò una risata a Obito, anche se per un momento sembrò davvero preoccupato.
“Sei deluso? Ti aspettavi qualcuno di diverso?”
Naruto lo guardò con gli occhi spalancati.
“Cosa? No!” si agitò sul marciapiede e cominciò a gesticolare. “È solo che non mi aspettavo di trovarti così! E io ho pochissimi ricordi della tua vita passata, mentre tu a quanto pare ricordi tutto della mia e… non lo so, è strano? Io non so niente di te. Sei un estraneo che improvvisamente, sbham, è la mia anima gemella” blaterò sconclusionato, inseguendo tutti i pensieri che gli avevano corso nella mente mentre lo aspettava, senza preoccuparsi di metterli insieme coerentemente.
Obito inclinò la testa. “Anch’io non so niente di te”.
Quasi gli lanciò addosso il libro, fu però abbastanza veloce da afferrarlo prima che lo colpisse alla testa.
“E come l’avresti scritto questo?!”
“Mi stai dicendo che sei un ninja che sa evocare rospi, salta sugli alberi e che ha sigillato dentro di sé un demone?” ridacchiò.
Naruto arrossì di colpo, capendo quello che intendeva.
“No, io…” abbassò lo sguardo. “È che mi sento come se dovessi conoscerti, ma non è così!”
“Anch’io” ammise addolcendo lo sguardo. “In un certo senso è come vedere qualcuno che conosco da tutta la vita. Ma allo stesso tempo… sei diverso”.
Naruto lo spiò di sottecchi. “Quindi come si fa?”
Si strinse nelle spalle. “Immagino che dobbiamo scoprirlo insieme”. Il suo sguardo si oscurò di colpo e smise di guardarlo. “Io… nella vita prima di questa non sono stato una brava persona. Non con te. Per un sacco di tempo ho pensato che la cosa migliore sarebbe stata non cercarti…”
“Ma siamo anime gemelle!” protestò indignato.
Annuì rassegnato. “Forse chi sta lassù ha voluto farmi rimediare in questo modo, rendendomi la tua anima gemella così che questa volta mi prendessi cura di te invece che… Be’” scrollò le spalle triste.
“Non capisco cosa stai dicendo” lo avvisò Naruto e guardò il libro. “Immagino siano spoiler di questa storia. Comunque,” risolse alzo gli occhi di nuovo sul suo viso, “Non comportarti come se fossimo amici di vecchia data, dobbiamo ancora conoscersi. Io voglio conoscerti”.
Obito sorrise alla sua espressione decisa, quasi fosse rassicurato di vederla.
“Anch’io voglio conoscerti” assicurò. “Voglio conoscere la persona che sei adesso” specificò, “e vorrei far parte della tua vita”.
Quelle parole gli agitarono lo stomaco, come se fossero spuntate delle farfalle. Nessuno gli aveva mai detto di voler far parte della sua vita e quella confessione lo rese felice, lo fece sentire speciale.
“Allora innanzitutto ho ventidue anni e adoro andare sullo skate e ho sempre vissuto qui a Konoha, adesso sto facendo un lavoro part-time come bagnino, ma ho intenzione di diventare un astronauta e…” partì in quarta pronto a riassumergli tutti i suoi ventidue anni di vita, ma Obito lo interruppe prima che potesse farlo.
“Magari davanti a una tazza di ramen?” propose divertito.
“Andata” rendendosi conto di essere stato troppo entusiasta.
Ripresero a camminare, ma fecero solo qualche passo prima che Obito si voltasse a guardarlo stralunato.
“Astronauta?” ripeté esterrefatto ed esasperato insieme. “Perché in ogni tua dannata vita devi avere un sogno megalomane?!”

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Capitolo 7
*** [Shisui/Itachi] Filo rosso ***


Prompt: Microchip Filo Rosso.
Pairing: Shisui/Itachi.
Contesto: Canonverse.
Rating: arancione.
Avvertimenti: No happy ending, lime.
Descrizione: Si possiede filo rosso, legato solitamente al mignolo, che è legato all’anima gemella (mito giapponese/asiatico)
Note: Omg siamo arrivati all’ultima. Le considerazioni generale sulla raccolta le rimando a fine capitolo, per ora mi limito a parlare di questo. Gli ShiIta :c non ne ho mai scritto tanto e soprattutto mai come principali, cosa che voglio rimediare ultimamente visto che mi è ristoppiato l’amore per loro! Questa, come quasi tutte le altre, è strettamente legata al canonverse… quindi è una tragedia >.<
Il titolo viene dalla canzone “Hunger” dei Florence + The Machine.
 
You make a fool of death with your beauty


 
Era stata sua nonna a dirglielo, quando aveva quattro anni e aveva sviluppato lo sharingan. Insieme all’iride cremisi aveva visto comparire un sottile filo rosso legato al suo mignolo, con un nodo così stretto che non era riuscito in nessun modo a slegarlo. Per un folle momento aveva pensato perfino di provare a tagliarlo con un kunai, giusto per vedere cosa succedeva. Sua nonna lo aveva fermato prima che compiesse l’irreparabile. Facendolo sedere sulle sue ginocchia, gli aveva preso la mano e gli aveva parlato seriamente, come se fosse un adulto.
“Shisui, tesoro mio, quello è il filo del tuo destino”.
“Il mio destino?”
“Ogni essere umano è legato a un altro essere umano dal destino, così hanno deciso gli dei. Questo filo rosso ci collega a chi siamo destinati, seguendolo saremo in grado di trovarlo”.
“Ma perché lo vedo solo ora? Perché non vedo il tuo?”
Gli aveva lisciato canticchiando i capelli ribelli in un tentativo di ordine prima di rispondere.
“Normalmente gli uomini non sono in grado di vederlo, ma noi Uchiha possiamo farlo nel momento in cui manifestiamo il nostro sharingan. I nostri occhi rossi ci permettono di vedere quello che altri non possono, compreso il nostro destino. Ma possiamo vedere solo il nostro filo, non quello delle altre persone. Siamo autorizzati a conoscere solo il nostro destino”. Fece una smorfia seria e piena di rimprovero. “È un modo carino degli dei di dirci di tenere il naso nei nostri affari”.
Shisui sapeva che stava rimproverando lui, perché era sempre stato troppo curioso e per questo si era sempre messo nei guai.
“Quindi, nonna, il tuo filo era collegato al nonno?”
Appunto: troppo curioso.
Sua nonna non rispose, si limitò a lanciare un’occhiata sulla foto sbiadita di Uchiha Kagami al fianco del Nindame, poi lo mandò a giocare.
Shisui avrebbe capito solo molti anni dopo quello che intendeva con quel silenzio: non sempre incontri il tuo destino.
 
**

Shisui aveva provato a lungo a cercare la propria anima gemella, ma qualsiasi suo tentativo terminava in un fallimento. Aveva provato a seguire il filo come se si trovasse all’interno di un labirinto, ma non ne trovava mai il capo. La maggior parte delle volte finiva per incastrarsi nello stesso e inciampare nei suoi stessi passi. Percorrere la strada a ritroso non era la soluzione.
Poi erano arrivate le missioni. Avevano iniziato a salutarlo come l’Uchiha più dotato dei suoi tempi e il filo rosso del suo destino si era confuso con il rosso del sangue del suo migliore amico che gli imbrattava le mani, morto per colpa sua. Il risveglio del Mangekyo sharingan aveva portato gioia nella sua famiglia, convinti che sarebbe diventato così forte da superare perfino suo nonno Kagami, e vergogna nel cuore di Shisui. Non aveva mai avuto il coraggio di rivelare come avesse risvegliato quell’occhio maledetto.
Ero così geloso di lui che ho lasciato morisse.
La guerra era finita da un anno e Shisui aveva solo otto anni.
 
**
 
Il filo cominciò a tirare, a esercitare una piccola pressione che lo tendeva tra i dedalo di Konoha. Shisui lo osservò curioso e sperimentò. Provò ad allontanarsi verso la direzione opposta e scoprì che poteva farlo: il filo sembrava tentare di trattenerlo, ma poi si allungava magicamente permettendogli di allontanarsi.
Shisui ci pensò attentamente, ma poi decise di assecondare chiunque stesse tirando dall’altro capo.
Camminò per tutto il distretto Uchiha mentre il filo si accorciava, uscì nel Villaggio e arrivò all’Accademia, entrò e uscì da una classe e poi si diresse verso il bosco dei campi di allenamento Uchiha. Si spostò fra gli alberi fino ad arrivare a una piccola radura.
Sul tronco di un albero caduto c’era un altro bambino.
Shisui continuò a seguire il filo che si accorciava finché non gli fu davanti. Il bambino aveva un gomitolo di filo rosso in grembo, dove continuava ad arrotolare meticoloso. Si fermò solo quando all’ultimo giro sentì una forte resistenza e alzò il viso, trovandosi davanti a Shisui.
Era molto carino, anche se i suoi occhi erano molto stanchi. Sembravano gli occhi di un adulto, anche se doveva essere più piccolo di lui.
Fissò il gomitolo e fece un piccolo sorriso per l’ingegnosità.  Nemmeno lui aveva pensato di provare a trovarlo tirando il filo invece che seguirlo, come aveva fatto fallendo.
“Sei molto intelligente” considerò. “Sei il figlio di Fugaku-sama?”
“Itachi” si presentò, la voce ancora molto infantile. “Tu sei Shisui del teletrasporto?”
Annuì e poi si sentì in impaccio. Sua nonna gli aveva raccontato delle anime gemella, ma non gli aveva spiegato come fare se si incontravano.
Shisui era uno shinobi, c’era solo una cosa in cui era addestrato e sapeva fare bene.
“Potrei vedere il tuo Mangekyo, per favore?” chiese con tono educato Itachi.
Gli sorrise ancora e scoprì che gli veniva semplice sorridergli. Non erano quegli stiramenti di labbra formali, senza sentimento e mai troppo sbilanciati. Era un vero sorriso.
Alzò la mano con l’indice e il medio uniti al mento.
“Se riesci a mettermi in difficoltà, te lo mostro” promette e gli occhi onice di Itachi si illuminano al riconoscimento.
Sono shinobi, c’è solo un modo che conoscono per esprimere il proprio cuore: con la guerra.
 
 
**
 
Atterrò acquattato sull’erba, un movimento silenzioso e fluido mentre afferrava la manciata di shuriken dal borsello. Ruotò sulle punte dei piedi, le ginocchia ancora piegate e la coda lunga che disegnava un cerchio attorno a lui. Teso e pronto allo scattò vago con gli occhi rossi tra gli alberi che lo circondavano. I tre tomoe roteavano come impazziti, cogliendo ogni più piccolo dettaglio della foresta che lo circondava. Scattò con il braccio e gli shuriken volarono nell’aria, dando l’impressione di seguire il bersaglio.
Itachi percepiva Shisui saltare sui rami, nascondersi fra le fronde. Vedeva il sottile rosso arrampicarsi sugli alberi, srotolarsi tutto attorno a lui.
Gli shuriken si conficcarono sulle cortecce e tagliarono foglie senza nemmeno sfiorare il loro bersaglio. Maledetto shunshin. Ma non importava, il suo sharingan gli aveva mostrato abbastanza.
Tese i muscoli pronto al balzo, gli occhi che continuavano a seguire i velocissimi movimenti sugli alberi. Afferrò l’ultimo kunai rimasto e concentrò la giusta quantità di chakra sui piedi. Saltò in aria più in alto di quanto avrebbe potuto normalmente e intercettò Shisui nella metà di un balzo, prevedendo lo spostamento.
Shisui era stato veloce a reagire, usò le piastre dell’avambraccio per frenare il colpo di kunai e ne approfittò allo stesso tempo per calciarlo via.
Ancora a mezz’aria si separarono, atterrando ai lati opposti dello spiazzo erboso. Itachi scattò nel momento esatto in cui i piedi toccarono terra, consapevole di non poter dare nemmeno un secondo di vantaggio a Shisui. Ma a quanto pare il cugino si era stancato di scappare e nascondersi dai suoi attacchi, perché fronteggiò l’attacco a sua volta.
Sharingan contro sharingan era sempre uno scontro basato sulla previsione e la sorpresa. I tomoi ruotavano nell’iridi vedendo con chiarezza ogni più piccola mossa, se solo Itachi si fosse permesso di distrarsi avrebbe potuto contare le ciglia di Shisui.
Il sospiro affrettato dalla fatica dei muscoli era coperto dallo scontrarsi del metallo e dall’impatto dei corpi. Danzavano in cerchio, i piedi che si muovevano veloci a ogni passo studiato. I filo rosso si muoveva con loro, stringendoli di più a ogni piroetta. Non era una vero intralcio, sapevano entrambi che era puro chakra intangibile, ma entrambi cominciarono istintivamente a muoversi come se rischiassero di inciampare sulla corda tesa. Fu l’errore fatale di Itachi, che nel tentativo di non aggrovigliarsi, abbassò momentaneamente la guardia.
Così non si trovò a ruzzolare per via di un inciampo al filo del destino, ma per uno sgambetto furtivo della sua anima gemella.
Soffiò fuori l’aria dei polmoni mentre atterrava di schiena e Shisui, fulmineo ovviamente, lo cullava alla nuca con il palmo per impedirgli di sbattere sul terreno e farsi male. La gentilezza non gli impedì però di appoggiare il ginocchio sulla sua cassa toracica, in posizione di dominanza.
“Vittoria”.
Itachi accennò un piccolo sorriso mentre lo pungolò al fianco scoperto con il kunai che non aveva mai lasciato andare.
“Parità” corresse.
Shisui dovette ammetterlo con una risata esasperata. Abbandonò la rigidità dei muscoli e rilassò gli arti, scivolando dolcemente al lato di Itachi sul terreno. Il minore però non permise che si allontanasse troppo da lui, continuò a premere contro di lui e intrecciò le loro gambe mentre si spostava di lato a sua volta. Aveva ancora lo sharingan attivo, ora poteva contare le sue ciglia, soffermarsi sull’arrossamento della pelle e distinguere ogni ciocca di capelli sudati e ribelli. Si avvicinò ancora provando sollievo nel toccarlo, nel sentire l’odore del sudore sulla pelle.
Shisui lo assecondò socchiudendo gli occhi, alzò una mano ad afferrare l’inizio della coda sulla nuca, un gesto ormai così abituale fra loro che spinse Itachi a far sfiorare il suo viso fino all’incontro delle labbra socchiuse.
Avevano sperimentato i baci fin da subito, anche se quando erano bambini era solo contatti innocenti sulle guance e la fronte. Era stato solo nei dieci anni di Itachi, quando un tredicenne Shisui aveva avuto l’impulso di premere per qualche secondo le loro labbra insieme. Da quel momento era stato un processo graduale che aveva portato entrambi a essere a loro agio con quel gesto, a sentirlo familiare e semplice come respirare.
Ma quella volta, probabilmente complice l’adrenalina che il cuore ancora pompava nelle vene come una droga che amplificava ogni percezione, si sentì pronto a osare –desiderare – di più.
Circospetto alzò le mani sul viso di Shisui, sfiorandogli con i polpastrelli i lineamenti più marcati degli zigomi, fino a immergersi le punta sui ciuffi ribelli delle basette corte. Shisui continuò ad assecondare i movimenti della bocca socchiusa e ciò diede la spinta a Itachi di continuare. Avvicinò maggiormente i loro visi, esercitando più pressione con la bocca e allungando la lingua a leccare il bordo delle labbra dell’altro.
Quel gesto fece irrigidire brevemente Shisui, ma non si spostò né tentò di allontanarlo. Aprì solo gli occhi osservandolo curioso mentre faceva i suoi tentativi ed esplorava attento. Si scostò solo quando Itachi provò a spingere la lingua a incontrare la sua.
“Aspetta, ‘Tachi…” mormorò ansante.
Ma lui sembrò non ascoltarlo, la sua mente concentrata nel sentire il corpo caldo vicino. Voleva esplorare ancora, sperimentare ancora. Assecondò il desiderio che lo spingeva a premere con il viso sulla gola di Shisui, baciò il collo incuriosito dal trovare piacevole quel calore, dal sentire le sue viscere agitarsi nel saggiare con la lingua il sapore salato della pelle morbida. Il gemito che uscì strozzato da Shisui e che fece rabbrividire tutto il suo corpo gli provocò una fitta al basso ventre, spingendolo a cercare maggiore contatto.
Ma a quel punto Shisui si fece più incisivo e sgusciò via dalla sua presa mettendo delle distanza fra loro. Aveva il viso acceso di rosso, come gli occhi che sembravano ribollire lava da quanto erano liquidi.
“Che stai facendo?” domandò ansioso, il fiatone che non aveva più nulla a che fare con lo sforzo fisico del loro piccolo sparring.
Itachi non rispose subito verbalmente, alzò solo la coscia incastrata fra le sue gambe fino a spingere contro una durezza all’inguine.
“Sei eccitato” gli disse con il cuore che si agitava di aspettativa e desiderio di spingersi oltre a quello che erano soliti fare. “Anch’io lo sono”.
Shisui lo fermò dallo strofinarsi contro di lui.
“È ovvio” borbottò in imbarazzo. “Abbiamo appena combattuto, l’adrenalina ha circolato e tu mi hai toccato”.
“Voglio toccarti ancora”.
“Itachi” lo richiamò come se volesse riportarlo alla ragione. “Abbiamo detto che aspettiamo i tuoi sedici anni per quello” gli ricordò.
In quel momento due anni di attesa gli sembravano infiniti. Voleva di più e lo voleva ora.
“Ci sono altre cose che possiamo fare nel frattempo” osò facendo resistenza al suo tentativo di allontanarlo ancora.
Shisui lo fissò con il fiato bloccato in gola e si sentì estremamente debole davanti allo sguardo di Itachi. Se quello era un suo tentativo di volgere gli esiti dello scontro a suo favore… ci stava riuscendo egregiamente.
Itachi approfittò del suo momento di esitazione per spingere ancora a strofinare il viso sul collo, che si trovò a esporre ancor di più con un sospiro soddisfatto. Non aveva mai immaginato che un gesto del genere potesse riempirlo di così tanti brividi, agitargli lo stomaco e indebolirgli le gambe. La forma delle labbra sulla pelle sensibile, che solitamente tendeva a proteggere e non offrire, gli stava facendo vedere le stelle.
Usò le briciole della sua forza di volontà per afferrarlo alle spalle e allontanarlo ancora. Ormai erano entrambi seduti contro un albero.
“Ma tu vuoi farlo?” fu l’unica cosa che riuscì a dire. “Ti senti pronto?”
Ricevette un’occhiata seria e meditabonda, come se Itachi stesse valutando le proprie capacità per la riuscita di una specifica missione, ma poi annuì.
“Tu?” rigirò la domanda.
Shisui desiderava intimamente Itachi da quando era entrato ufficialmente nell’adolescenza e si sentì un po’ spaesato nel ricevere quella domanda a sua volta. Nella sua mente si era sempre considerato lui il maggiore da dover tirare un freno per lasciare spazio e tempo a Itachi. Non si aspettava che la situazione potesse volgersi al contrario, con lui che spingeva Itachi a trattenersi.
“Sì” disse con un piccolo sorriso emozionato, le dita che formicolavano.
Itachi ricambiò il sorriso sereno e gli tornò vicino, questa volta senza trovare resistenza. Continuò la sua esplorazione afferrando il colletto alto della classica uniforme Uchiha per tornare a concentrarsi sul suo collo.
Shisui canticchiò in apprezzamento, rilassandosi nonostante i continui brividi per quell’attenzione, e allungò le mani sulla sua testa per accarezzargli i capelli. Pettinarlo era un gesto che lo rasserenava sempre. Tornò ad agitarsi di nuovo, però, quando Itachi spinse i fianchi contro i suoi e dondolo, mandandogli una fitta inequivocabile. Non sapeva perché si sentisse così preoccupato, ma gli dava la sensazione che tutto stesse andando troppo veloce e gli sfuggisse dalle mani. Quando quella mattina era uscito di casa non si aspettava che giornata finisse in quel modo. Non sapeva se era più spaventato o eccitato all’idea che Itachi continuasse.
“Aspetta…” mormorò fioco, ma Itachi riuscì a sentirlo e quindi si allontanò con un broncio infastidito.
Itachi aveva sempre un aspetto serio che lo faceva sembrare molto più vecchio della sua vera età, complici i segni di stanchezza che lo segnavano sotto gli occhi, l’espressione meditabonda e il portamento calmo, controllato; perfino i suoi genitori spesso lo trattavano come se fosse un adulto, dimenticando la sua vera età. A Shisui provocava il batticuore pensare che solo con lui Itachi perdeva quella sua tipica compostezza, assomigliando molto di più all’adolescente impaziente che sarebbe dovuto essere. Perciò ingoiò la protesta che gli era affiorata alle labbra e si spinse a baciarlo, osando approfondirlo come poco prima aveva tentato di fare lui. Scivolò con le mani dalle sue spalle ad afferragli i fianchi e lo sentì sospirare direttamente nella sua bocca.  
Nonostante la frenesia l’audacia iniziale di Itachi, continuarono a toccarsi e baciarsi senza osare mai troppo, ancora incerti su quello che stavano facendo. Shisui aveva un po’ la sensazione di camminare su un campo minato e più si approfondiva in esso più rischiava di far scoppiare la mine sotterrate. Baciarlo così a lungo, mordendo le labbra e inseguendo la lingua, e toccarlo con le mani ovunque arrivasse era più di quanto avesse sempre osato fare ed era davvero bello.
Sentiva la pressione dell’eccitazione e l’agitarsi dei suoi ormoni, ma allo stesso tempo era tutto così meraviglioso da farlo crogiolare in quel limbo.
In ogni caso, quando Itachi si fece così audace da tentare di infilare una mano nei suoi pantaloni, pensò fosse il momento di fermarsi lì.
“Sta tramontando, dobbiamo tornare” offrì come spiegazione all’espressione contrita di Itachi.
Molte ciocche corvine era scappate dall’elastico, che pendeva ormai alla base della coda pronto a sciogliersi del tutto, e numerosi fili d’erba di erano incastrati tra i capelli. Shisui sapeva di avere un altrettanto aspetto arruffato.
Gli andò alle spalle sistemando i capelli di nuovo nell’ordinata coda e dividendo nodi.
“La prossima volta” promise e nel farlo si sentì le mani sudare e il cuore battere impazzito. Il che era davvero ridicolo, riusciva a stare tranquillo davanti alla più pericolosa missione omicida, ma si agitava all’idea di quel passo in avanti con la sua anima gemella.
“Mhh” canticchiò Itachi prendendo seriamente la promessa. “I prossimi giorni sono impegnato con la squadra Ro” aggiunse.
“Il Sandaime mi ha convocato” disse a sua volta senza sbilanciarsi troppo.
Aveva promesso a Itachi che si sarebbe occupato lui del colpo di stato, quindi non voleva dirgli del suo piano. Temeva che non l’avrebbe presa bene dal momento che si trattava di manipolare mentalmente suo padre.
“Ci vediamo fra quattro giorni, prima della riunione del clan?” propose alzandosi per recuperare la loro attrezzatura.
Itachi lo seguì. “Solito posto” confermò. Probabilmente suo padre avrebbe voluto partecipasse alla riunione, ma gli avrebbe detto di essere impegnato in missione. Il suo sguardo si oscurò al pensiero della sua famiglia e di quello in cui si stavano invischiando.
Shisui lo afferrò per il codino, tirandolo leggermente come a voler ricatturare la sua attenzione, e gli sorrise rassicurante. Ricambiò il sorriso sereno.
Finché ci sarebbe stato il filo rosso a unirli non doveva temere niente.
 
**

Shisui era molto in ritardo, cosa insolita.
Non si rassicurò quando finalmente avvertì la sua presenza fra gli alberi, perché non si mostrò e l’unica cosa che disse fu di seguirlo. Fece come gli diceva, seguendo il filo rosso finché non arrivò alla scogliera del fiume Naka. Shisui era sul bordo, che guardava nel baratro con le spalle piegate.
C’era odore di sangue nel vento e proveniva da Shisui. Il suo istinto allenato da shinobi lo fece subito preparare al peggio.
Shisui non si voltò quando iniziò a parlare.
“Ormai sembra che il colpo di stato degli Uchiha sia inarrestabile. E se Konoha iniziasse una guerra intestina, di sicuro gli altri paesi ne approfitterebbero per aggredirci, si scatenerebbe un conflitto globale”.
Itachi si mosse inquieto, chiedendosi perché tirasse fuori quel discorso. Ne avevano già parlato spesso da quando il Sandaime aveva affidato a Shisui il compito di appianare i contrasti, spesso gli aveva chiesto il suo parere in merito. Ma mai il suo tono era stato così inevitabile, come se la catastrofe fosse pronta a scatenarsi nell’immediato.
Provò a dire qualcosa, ma Shisui scelse proprio quel momento per girarsi e tutto, ogni parola e pensiero, soffocarono davanti un orrore gelido. Sangue colava dall’occhio destro di Shisui, chiuso su un’orbita che poteva indovinare vuota.
“Quando ho provato a fermare il complotto usando kotoamatsukami Danzo mi ha rubato l’occhio destro. Lui non si fida di me, preferisce proteggere il villaggio alla sua maniera, senza preoccuparsi delle conseguenze” spiegò.
La mente di Itachi lavorò veloce, raggiungendo subito la veloce conclusione e la comprensione che Shisui voleva usare la tecnica del suo Mangekyo su Fugaku. Era una mossa rischiosa, che avrebbe funzionato solo se anche il Villaggio avesse cambiato modo di approcciarsi agli Uchiha. Non era stupito che Danzo non l’avesse approvata.
“Scommetto che tornerà per impadronirsi dell’altro occhio” aggiunse fronteggiandolo e alzò un mano al viso. Itachi capì cosa aveva intenzione di fare e provò un senso di inquietudine nel vederlo scavarsi l’orbita con le dita, trasppandosi l’occhio rimasto. “Prima che ciò accada lo darò a te”.
La prima sensazione che provò fu un fiotto di disperazione e rifiuto, ma poi si ricordò del suo dovere. Quell’incontro si era appena trasformato in una missione e si fidava della decisione di Shisui.
Avrebbe nascosto il mangekyo di Shisui, perciò lo prese. Il sangue colava su entrambi i suoi zigomi, ma la sua anima gemella stava sorridendo fiducioso.
“Sei il mio unico vero amico e l’unico a cui posso chiederlo” disse. “Proteggi il villaggio e il nome degli Uchiha”.
“Lo custodirò io” promise serio. “Tu ora cosa farai?”
Per Shisui la cosa migliore era nasconderlo dalla scena e trovare un luogo sicuro dove potesse nascondersi. Probabilmente avrebbe dovuto uscire dal Villaggio, trovare una copertura e qualcosa che lo facesse uscire dai radar. Anche se in quel modo c’era il rischio che Konoha lo avrebbe considerato un traditore e con il suo nome nel bingo book molti mercenari lo avrebbero cercato.
Shisui rispose mentre valutava ancora tutte le sue opzioni.
“La mia morte cambierà parecchie cose. Ho lasciato una lettera…”
L’espressione pensosa di Itachi si infranse immediatamente, distorcendosi nell’orrore che fino a quel momento aveva domato dentro di sì. Sgranò gli occhi e si protese verso di lui mentre notava che aveva iniziato a fare passi verso il bordo.
“No, Shisui!” supplicò indovinando la sua intenzione.
“Non fermami, Itachi!” gli ordinò autorevole, i piedi che sfioravano il bordo del precipizio elle sue spalle.
Un solo passo…
Shisui gli sorrise, dolce, come aveva fatto milioni di volte, quel sorriso che era solo loro.
E si sbilanciò all’indietro, offrendosi alla gravità.
Itachi scattò, lo sharingan attivo come se potesse permettergli di afferrare prima che scivolasse oltre. Afferrò il vuoto, le sua dita strinsero il filo rosso che veniva teso.
E in quel momento si spezzò.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
E così la #Thewritingweek si è conclusa! È la prima volta che partecipo a un’iniziativa di Fanwriter.it,  a meno che non consideriamo il p0rnfest. Comunque sia è stato bello, permettendomi di cimentarmi nel Soulmate!AU che volevo provare da molto con più coppie che amo. Purtroppo devo dire di non essere molto soddisfatta del risultato. Paradossalmente, le uniche due OS che mi hanno convinta almeno al 60% sono state la prima e l’ultima >.< Va be’, colpa anche mia che tendo sempre a procrastinare e mi sono trovata a scrivere anche per il giorno stesso!!
In ogni caso, spero che a voi siano piaciute tutte comunque nel loro insieme. Vi ringrazio per avermi seguito in questa challenge, soprattutto ringrazio Maryromanziere che ha recensito ogni capitolo della raccolta ^^
 
Vi lascio un bacio, un abbraccio e un augurio e rivederci per nuove storie!
 

 

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