From which star have we fallen to meet each other here? di Voglioungufo (/viewuser.php?uid=371823)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** [Tobirama/Kagami] Tatoo ***
Capitolo 2: *** [Sakura/Hinata] Colori ***
Capitolo 3: *** [Obito/Naruto] Conto alla rovescia ***
Capitolo 4: *** [Gaara/Rock Lee] Lacrime ***
Capitolo 5: *** [Sai/Ino] Scriversi sul corpo ***
Capitolo 6: *** [Obito/Naruto] Ricordi ***
Capitolo 7: *** [Shisui/Itachi] Filo rosso ***
Capitolo 1 *** [Tobirama/Kagami] Tatoo ***
Questa
storia partecipa a #TheWritingWeek di
Fanwriter.it.
Lista:
Soulmate.
From which star have we fallen to meet each
other here?
(F.
Nietzsche)
Prompt: Tatoo
– Dolore.
Pairing:
Tobirama/Kagami.
Contesto: Era degli
Stati Combattenti.
Rating: giallo.
Avvertimenti: Canon
divergence.
Descrizione: Dove ti
appare sul polso un tatuaggio con il nome della tua anima gemella.
Note: So che
nel canon da quando Izuna muore c’è solo un altro
scontro tra Madara e
Hashirama, proprio dove Madara si arrende e fanno l’alleanza.
Quindi immagino
possiamo dire ci sia un po’ di canon divergence, visto che
quello scontro viene
interrotto. Anche perché c’è
già Kagami, che in teoria in questo periodo
dovrebbe essere un bambino??? Idk, nel canonverse si sa solo che era
nella
squadra di Tobirama e su Narutopedia inglese ho letto che è
morto a 25 anni. Ma
Narutopedia non è poi così affidabile,
quindi… Insomma, è venuta fuori questa
cosa. Comunque mi piaceva l’idea di ambientarla durante il
periodo della guerra
tra Senju e Uchiha. Ed è questa la mia idea della dinamica
TobiKaga, non quella
cosa pseudodisturbante che sto scrivendo per l’altra
challenge.
Ah,
sappiate
che in questa casa ci piacciono i cliché ^^ e un piccolo
ringraziamento a
Querdenker che ha letto la os in anteprima <3
Ps. Il
titolo viene dalla canzone “Rewrite
the stars” del musical The Gratest Show cantata da
Zendaya e Zac Efron.
What if we rewrite the stars?
Madara
alzò
lo sguardo sul ragazzino nervoso davanti a lui.
“Devi
dirmi
qualcosa, Kagami?” chiese più stanco di quanto
volesse mostrarsi. Ma da quando
Izuna era morto si sentiva così spezzato da faticare a
reggere tutto il peso
del clan. Occuparsi dei morti e della gestione delle razioni non era
piacevole
in quel momento.
Kagami
si
dondolò sui piedi, una mano stretta sul polso fasciato.
Teneva lo sguardo basso
e ancora una volta si chiese che cosa lo rendesse così
recalcitrante a parlare
quando solitamente era un chiacchierone inarrestabile.
“Madara-sama,”
iniziò alla fine, ancora incerto e lo sguardo sui suoi
piedi, “io ho un’anima
gemella”.
Inarcò
un
sopracciglio sorpreso. Non solo perché era un evento
rarissimo, ma solitamente
era qualcosa che portava sempre con sé gioia e festa, non
era qualcosa che si
ammetteva con aria colpevole; il suo comportamento così
nervoso non era
promettente.
“Chi?”
chiese conscio che la risposta non sarebbe stata piacevole.
Kagami
non
rispose, si martoriò il labbro inferiore finché
non decise di sciogliere le
bende al polso. Sulla pelle pallida Madara poté vedere
chiaramente dei kanji
tatuati con il chakra.
Senju
Tobirama.
Un
pesantissimo sospiro gli uscì dalle labbra, quello era
peggio di qualsiasi
previsione. Poteva capire perché lo avesse tenuto nascosto
per tutto quel
tempo. Gli dei avevano legato la sua anima a quella del Fantasma
Bianco, non
poteva esistere punizione peggiore per un Uchiha, chissà
cosa aveva fatto nella
sua vita passata da meritarlo.
“Congratulazioni”
disse lugubre. “Perché me lo stai dicendo
ora?”
Kagami
arrossì sugli zigomi, ma non sembrava in imbarazzo, sembrava
più dispiaciuto e
colpevole.
“Ha
ucciso
Izuna-san…”
Serrò
la
mano a pugno d’istinto, il fiotto di rabbia che sbocciava nel
suo stomaco come
ogni volta che ci pensava.
“Non
è tua
responsabilità” disse fingendo distacco.
Gli
occhi
di Kagami erano tra i più dolci che avesse mai visti,
rotondi e grandi come
quelli dei cerbiatti, nei suoi sedici anni era molto carino e pensare
che fosse
destinato a un Senju era una vera e propria ingiustizia.
“Se
vuoi
puoi uccidermi”.
Rimase
completamente senza parole e lo fissò sconvolto. “Cosa?”
Kagami
continuava a fissare i piedi. “Quando un’anima
gemella muore, l’altro prova un
dolore indicibile” balbettò. “Lo stesso
che hai provato tu quando hai perso
Izuna-san”. Alzò gli occhi a guardarlo con
decisione.
Lo
fissò
sbigottito prima di riprendersi. “No, non ho intenzione di
farlo” disse duro,
infastidito da quella richiesta folle. “Come ho detto, non
è tua
responsabilità”.
Pigramente
si chiese se questa faccenda dell’anima gemella potesse avere
risvolti
positivi. Kagami aveva grandi capacità e in battaglia si era
distinto più di
una volta nonostante la sua giovane età. L’opzione
che fosse in grado di
sviluppare il Mangekyo non era da escludersi totalmente e
un’anima gemella di
quel tipo era già traumatico di suo.
“Mi…
dispiace” mormorò ancora il ragazzino.
Sospirò.
“È
a me che dispiace”.
Tobirama
sapeva di avere un’anima gemella tra gli Uchiha, eppure non
aveva evitato di
trucidarne a decine. Conoscendolo, probabilmente l’odiava.
Non c’era da
stupirsi che Kagami avesse uno sguardo triste, abbattuto, e
provò pena per lui.
“Sei
stato
saggio a non dirlo a nessuno” considerò.
“Manterrò il tuo segreto”.
Ci fu un
piccolo sprazzo di gratitudine nello sguardo mogio di Kagami mentre lo
congedava.
Fissò
la
cartina che aveva davanti, i punti delle ultime battaglie contro i
Senju, e
gliene venne in mente uno in particolare con un folle sogno…
folle quanto
l’idea che il destino avesse voluto unire un Uchiha e un
Senju.
Si
accigliò, chiedendosi se non fosse un segno.
**
Kagami
aveva sei anni quando aveva imparato a leggere i kanji sul suo polso,
che per
qualche motivo oka-san gli copriva sempre con le bende. Aveva sempre
avuto quei
strani segni di chakra sulla pelle da che aveva memoria.
Era
cresciuto ascoltando le storie degli anziani sulle anime gemelle e per
lui era
stato facile capire che gli dei avevano scelto lui, che era una delle
poche e
fortunate persone al mondo a possedere un’anima gemella. Ma
in quel modo si era
reso conto della gravità della discendenza della sua anima
gemella e perché sua
madre lo tenesse nascosto. I loro clan erano in guerra da generazioni.
Ma
Kagami
non si era mai arreso. Lo aveva tenuto nascosto anche dopo la morte
della
mamma, si era sempre cullato nel pensiero che nel mondo esistesse
qualcuno
fatto solo per lui, che gli dei stessi gli avevano destinato. Qualcuno
che si
sarebbe preoccupato di lui, che gli avrebbe voluto bene a prescindere,
che era
suo.
Kagami
aveva sempre amato la sua anima gemella e con il tempo il suo amore era
cresciuto. Aveva rifiutato tante ragazze e tanti ragazzi nella sua
crescita,
tutti dicevano che era carino con i suoi capelli ricci e gli occhi da
cerbiatto, ma a lui non importava. C’era solo una persona che
voleva lo
apprezzasse in quel modo, una sola persona che stava aspettando. Anche
quando
aveva scoperto che il suo Tobirama
era il Fantasma Bianco assassino di così tanti Uchiha, aveva
continuato ad
amarlo e sognare il loro incontro. Era certo che una volta incontrati
tutto si
sarebbe risolto, che avrebbero abbandonato le armi e che semplicemente
si
sarebbero amati, perché erano anime gemelle.
Si era
cullato in sogni infantili di una pace improvvisa tra Uchiha e Senju,
su come
sarebbe stata la loro vita insieme. Era certo che lo avrebbe amato di
ricambio,
come poteva essere il contrario?
Ma ora
il
suo Tobirama aveva ucciso Izuna, la pace non era mai sembrata
così lontana e i
suoi sogni così sciocchi…
**
A soli
sedici anni, Kagami era una delle punte di diamante negli schieramenti
Uchiha.
Era stato proprio Izuna a notare il suo valore e addestrarlo. Erano
molte le
arti in cui eccelleva, oltre i due fratelli con i Mangekyo non aveva
rivali nel
genjutsu.
Per
questo,
quando si era trattato di organizzare un’imboscata a un
contingente di Senju,
era stato messo in prima linea. Quello
che non si aspettava era di percepire quello strattone nella cassa
toracica,
come se il suo cuore fosse stato agganciato da un amo che tirava verso
una
precisa direzione.
Oh no.
Kagami
non
era mai entrato in contatto con Tobirama, nemmeno nelle battaglie.
Nonostante
le sue capacità lo avevano sempre ritenuto troppo giovane
per affrontare i
fratelli Senju. Ma ora, anche se non era un ninja sensoriale, riusciva
a
sentire la sua presenza: la sua anima gemella era lì.
Fu
più
forte di lui, il suo corpo si mosse da solo. Abbandonò la
posizione e superò
l’uomo contro cui stava combattendo malamente.
“Ehi!”
qualcuno lo richiamò, ma ci badò appena.
Il suo battito cardiaco era
simile a un tuono
in grado di zittire il furore dello scontro. Saltò sui
cadaveri, evitò i nemici
e gli alleati. Doveva combattere in quel momento, ma non riusciva a
pensare ad
altro che lui era lì. Si
trascinò
attraverso la carneficina del campo di battaglia fino ad arrivargli
davanti,
gli occhi che guizzavano sulle facce di Senju sconosciuti per cercare
quella
che avrebbe riconosciuto spontaneamente.
Finché,
eccolo, se lo trovò davanti a pochi metri, proprio mentre si
scrollava di dosso
un cadavere. Per un momento, proprio come nelle sue fantasie, tutto
sembrò
fermarsi. Ma non era come nella sua immaginazione, dove tutto era
meraviglioso
e intenso: c’era odore di sangue e carne bruciata
nell’aria che il vento
trasportava tra loro insieme alle grida di dolore e Tobirama aveva
l’armatura
imbrattata di sangue, era tutto così macabro.
Gli
occhi
della sua anima gemella si fermarono su di lui, di un rosso letale e
più scuro
del suo sharingan, e non c’era gioia nel suo sguardo. Il
sentimento con cui lo
stava guardando gli schiacciò il cuore, era puro odio. Ma
non ebbe molto tempo
di pensarci: Tobirama si era distratto nel vederlo e un suo compagno di
clan ne
stava approfittando per colpirlo. Kagami vide chiaramente quanto
sarebbe stato
letale il colpo. Ancora una volta si mosse senza pensare, assecondando
soltanto
gli scossoni che sentiva tra le costole.
Tra le
tante cose in cui eccelleva, una di queste era il shunshin, non
c’era nessuno
nel clan veloce quanto lui nel teletrasporto. Lo spinse con tutto il
suo peso,
evitandogli il colpo, ma non fu altrettanto veloce a spostarsi. La
katana
potenziata dal jutsu di fulmine lo colpì in pieno.
Ottimo, morto
per amore salvando un nemico. Madara-sama
non sarà contento.
L’ultima
cosa che vide furono rami di alberi che crescevano attorno a lui, ma a
quel punto
era già svenuto dal dolore per chiedersi cosa diavolo
fossero.
**
Il
brontolio del fratello gli arrivò indistinto, ma Hashirama
pensò comunque che
meritasse l’occhiataccia.
“Non
ho
detto niente” si difese Tobirama, la testa fasciata e
l’espressione
imbronciata.
“Hai
borbottato”.
“Trovo
solo… controproducente
curare un
nemico” sostenne.
Hashirama
lo guardò esasperato prima di tornare a occuparsi del
ragazzino svenuto sul
lettino dell’infermeria. A quanto pare per il fratello non
significava niente
che tale nemico si era piazzata in mezzo a salvarlo da un colpo
mortale,
prendendolo al suo posto.
Se
ripensava a quella scena gli tremavano ancora le mani, per un momento
aveva temuto
di aver perso anche l’ultimo fratello – proprio
come Madara. Non sapeva chi
fosse questo Uchiha, perché lo avesse fatto o se era tutto
un piano per
penetrare nelle loro difese (possibilità offerta da
Tobirama), ma ora era sua
responsabilità ringraziarlo per quello che aveva fatto.
Salvargli la vita gli
sembrava un buon modo per ripagare, era fortunato che fosse lui il
ninja con il
più potente ninjutsu medico in circolazione. Gli sarebbe
rimasta una cicatrice
mostruosa, ma sarebbe sopravvissuto.
Guardò
il
ragazzino chiedendosi quanti anni avesse, a occhio sembrava sulla
quindicina.
Ed era sul campo
di battaglia…
Sapeva
che
la guerra pretendeva sangue sempre più giovane ormai, ma
aveva dei lineamenti
così gentili ed era così minuto... non sembrava
giusto che appartenesse a un
campo di battaglia.
Se solo
Madara avesse accettato l’alleanza…
“Dovrebbe
essere stabile” considerò alla fine.
Staccò le mani dal suo corpo e il chakra
verde smise di risplendere dai punti di fuga delle dita. “Gli
serve solo del
riposo”.
Tobirama
grugnì qualcosa.
“Posso
lasciarti qui con lui sperando che tu non lo uccida?” chiese
paziente. C’erano
altri feriti che doveva curare insieme al loro reparto medico e doveva
anche
fare il punto della situazione. Senza contare che doveva incontrare una
certa
persona…
Un
leggero
rossore si diffuse sulle guance solitamente pallide del fratellino,
cosa che lo
lasciò perplesso. Ma Tobirama si comportava stranamente da
quando si erano
ritirati, probabilmente era il suo orgoglio leso all’idea di
essere stato
salvato da un Uchiha.
Chissà
perché l’ha fatto… si chiese
un’ultima volta prima di uscire dalla tenda.
Si
assicurò
che suo fratello si fosse davvero allontanato prima di riportare
l’attenzione
sul ragazzo svenuto accanto a lui.
La sua
anima gemella.
Tobirama
aveva scoperto a otto anni di essere stato maledetto dagli dei, quando
sul suo
polso un chakra invisibile ed estraneo aveva tatuato un nome: Uchiha
Kagami.
Ricordava con chiarezza la rabbia e l’umiliazione che aveva
provato all’idea
che fosse segnato da un tale destino, aveva maledetto la sua anima
gemella nel
momento esatto in cui aveva letto il suo nome. Aveva già
deciso che non poteva
amare chi condivideva la genealogia con gli assassini dei suoi fratelli
minori,
li odiava tutti. Non lo avrebbe mai accettato e negli anni aveva
tentato di
cancellare più volte quel segno maledetto, a volte anche con
la lama di un
kunai, ma era tutto inutile. La firma di chakra estranea –
quella della sua
anima gemella, fuoco come la
maggior
parte degli Uchiha – persisteva sempre e per lui, dotato di
una capacità
sensoriale fuori dalla norma, era fonte di pazzia.
Aveva
sempre sperato di non incontrarlo, che morisse prima che fosse
possibile.
Invece… era lì, davanti a lui.
Non era
mai
stato così confuso.
Ovviamente
continuava a provare rabbia e rifiuto verso la sua anima gemella. Non
c’era
stata nessuna epifania, nessuna improvvisa magia che aveva cancellato
in un
solo colpo anni di rancore e odio. Solo che… era la sua
anima gemella.
Non
sapeva
nemmeno lui cosa dovesse significare. Ma in qualche modo sentiva che
quella
persona non era una persona qualsiasi, lui era… suo?
Che
assurdità, si
arrabbiò con se stesso.
Si
chiese
se dovesse ucciderlo. Si era informato, sapeva che era
l’unico modo per
cancellare il segno, ma sapeva anche che perdere la propria anima
gemella
significava patire una sofferenza indicibile, anche se dopo aver
sopportato la
morte dei suoi fratelli Tobirama si sentiva pronto a qualsiasi dolore.
Non poteva
esistere niente di peggio di vedere il fratellino con un kunai nella
pancia e
lo sguardo vacuo. Sì, probabilmente doveva ucciderlo prima
che qualcuno
scoprisse del legame indesiderato che li univa, non avrebbe mai
sopportato una
tale umiliazione. Contava che l’Uchiha avesse mantenuto il
segreto sul segno
proprio come aveva fatto lui, del resto il suo polso era strettamente
fasciato.
Si alzò circospetto e andò dove Hashirama aveva
incautamente lasciato un kunai
e lo prese saldamente per il manico.
“Hai
intenzione
di uccidermi?”
Era raro
prendere un sensore del suo calibro di sorpresa, ma Tobirama si
ritrovò a
sussultare e si voltò verso il ragazzo sul letto. Non era
più svenuto e lo
stava guardando desolato. Si ritrovò a notare che i suoi
occhi erano molto
dolci e che il suo chakra era intriso di tristezza. Quella era una
novità,
tutti gli occhi degli Uchiha con cui si era scontrato grondavano odio e
avevano
il chakra agitato da rabbia e paura di morire.
Perché
era
triste? Perché sapeva che stava per morire? Ma allora
perché non era
spaventato? Perché i suoi occhi ossidiana continuavano a
guardarlo in quel modo
un po’ sorpreso, quasi ammirato?
Tobirama
ricambiò lo sguardo, osservò la forma rotonda e
delicata dei suoi occhi scuri e
dalle ciglia piene e il modo in cui i capelli ricci gli incorniciavano
il viso.
Perfino rovinato dalle ferite il suo volto era gentile. Era…
bello.
Tobirama
inspirò con forza, era come se vedesse un Uchiha per la
prima volta, lo vedesse
davvero. Come i suoi occhi
brillavano, anche se così scuri e grandi, dalla luce delle
poche candele nella
tenda, come le labbra erano socchiuse e piene.
Sentì
un
forte strattone al cuore, una scossa di chakra che partiva direttamente
dal
tatuaggio sul polso. Gli si avvicinò lentamente, come se
fosse un animale pericoloso,
un serpente pronto a scattare, ma Kagami continuava a fissarlo
tranquillo,
ancora esausto dalla ferita. Sussultò solo quando gli
afferrò il polso e cominciò
srotolare le bende strette, con più delicatezza di quanto
volesse, le sfilò via
fino a vedere l’inchiostro scuro scintillante.
Il suo
nome
era inciso nella carne.
Non
poteva
avere più dubbi, era davvero lui. Lasciò andare
il polso e riprese il kunai, la
presa salda sull’elsa, e appoggiò la lama sulla
gola di Kagami.
Provò
un’improvvisa fitta di terrore per quello che stava per fare,
si sentì ferito
dal suo stesso gesto. Ma doveva essere fatto, andava fatto se voleva
essere
libero. Lui era Senju Tobirama, il Fantasma Bianco, non poteva essere
legato a
un Uchiha. Uchiha era il nemico e che razza di shinobi avrebbe lasciato
vivere
il proprio nemico?
Ma un
artiglio scavava nel petto, strisciava una sensazione di profondo
torto, come
se stesse costringendo un fiume a risalire la corrente che seguire il
suo
naturale percorso. Non era giusto, non doveva sentirsi in quel modo,
tremare al
rifiuto, provare la fredda sensazione della perdita imminente, lui non
stava
perdendo niente. Era uno sconosciuto, era un nemico e lui era uno
shinobi: gli
shinobi non provano emozioni.
Senju e
Uchiha? Era una follia. Anche se lo avesse lasciato vivere, non
avrebbero
potuto comunque, poco importava la sensazione che lo supplicava di
fermarsi.
Erano in ogni caso destinati a non poter stare insieme.
“Se
non
fossi stato un Uchiha, avrei potuto amarti”.
Tobirama
non seppe cosa lo fece parlare, perché sentisse il bisogno
di giustificarsi. Aumentò
la presa sulla lama e l’abbassò quando Kagami
mormorò:
“Io
ti amo
anche se sei un Senju”.
Fermò
il
kunai.
**
Hashirama
gettò alcuni ciottoli nel fiume nero mentre aspettava. Dal
bordo della foresta
veniva un profondo silenzio e non si muoveva anima viva,
c’era solo lui.
Ma solo
per
poco.
I suoi
riflessi veloci riuscirono a catturare un sasso lanciato nella sua
direzione
poco prima che colpisse la sua testa.
“Questo
poteva farmi male” si lagnò, ma si
voltò con un ampio sorriso.
Madara
si
confondeva tra le ombre del bosco, i suoi livelli del chakra al minimo
per non
segnalare la sua presenza alle sentinelle del campo Senju vicino.
“Rischioso
lasciare un messaggio del genere” commentò
sprezzante e Hashirama guardò il
sasso che gli aveva lanciato, rotondo e piatto, su cui era stato
scritto: vieni al fiume.
“Eri
l’unico
che avrebbe capito” gli fece notare prima di lanciarlo con un
sapiente colpo
del polso. Il sasso rimbalzò sulla superficie
dell’acqua fino a raggiungere
l’altra riva.
Madara
sospirò alla sua baldanza, ma si sedette comunque sul bordo
del fiume.
“Cosa
vuoi?”
“Il
tuo
compagno” spiegò. “L’ho
curato, sta bene. Puoi riportarlo nel vostro
accampamento”.
Madara
represse una risata di scherno. “Lo restituisci? I tuoi
anziano sono
d’accordo?”
“Ha
salvato
la vita di Tobirama” spiegò imbronciandosi.
“Credi davvero che lo trattenga
come un ostaggio?”
Non
rispose
a quella domanda provocatoria, con le dita cercò un sasso
abbastanza piatto da
essere lanciato. Purtroppo affondò nel fiume dopo pochi
salti, fece una
smorfia.
“È
la sua
anima gemella”.
“Cosa?”
Madara
sospirò. Non sapeva perché gli stesse rivelando
il segreto di Kagami, forse
perché si fidava di Hashirama. Forse perché
sapeva cosa sarebbe successo se
l’avesse fatto.
Infatti
quando si voltò a guardarlo ancora gli occhi
dell’ex-amico di infanzia brillavano.
“Tobirama
è
l’anima gemella di quell’Uchiha?” chiese
eccitato.
“Si
chiama
Kagami” precisò altezzoso. “E
sì, purtroppo gli dei gli hanno appioppato questa
sciagura”.
“Perché
Tobirama non mi ha mai detto niente?” lo ignorò
deprimendosi. “Ha un’anima
gemella e non me l’ha detto!”
Roteò
gli
occhi, conoscendolo era piuttosto ovvio il perché. Anzi era
sorpreso non avesse
fatto seppuku dalla vergogna. Hashirama invece sembrava aver appena
scoperto
come raggiungere la luna e continuava a sorridere gongolante.
“Li
ho
appena lasciati soli… ecco perché era
così nervoso” canticchiò.
Madara
sgranò gli occhi. “Tu li hai lasciati
soli?!” sbraitò incredulo dalla sua
stupidità, come poteva essere il miglior shinobi del loro
tempo?!
“Tranquillo,
Tobirama è rispettoso. Non lo toccherà”
cercò di rassicurarlo.
“Sono
più
preoccupato che lo ammazzi, piuttosto che attenti alla sua
virtù…” ringhiò tra
i denti. Del resto era la cosa più probabile, nessun Uchiha
restava a contatto
con Tobirama per più di dieci minuti e sopravviveva.
Ma
l’altro
non sembrava per nulla condividere la sua preoccupazione.
“Se
gli
anziani dei nostri clan lo sapessero…”
iniziò Hashirama con eccitazione nella
voce.
“Li
esilierebbero” lo tagliò cinico.
“Forse
potremmo davvero creare un’alleanza” non
l’ascoltò nemmeno. “Potremo davvero
creare il nostro Villaggio, quello che sognavamo da bambini”.
Strinse
le
labbra e cacciò in un angolo la stessa speranza, lo stesso
pensiero che lo
aveva colto quando Kagami si era tolto le bende. Ma aveva ancora la
voce chiara
di Izuna nella testa, la sua richiesta di non arrendersi nella guerra
con i
Senju. Erano le ultime volontà del suo ultimo fratello,
poteva ignorarle?
Ma quel
sogno…
“Uchiha
e
Senju non potranno mai stare insieme” proclamò
scuotendo la testa e incrociando
le braccia. “È qualcosa che è scritto
nelle stelle”.
Hashirama
non smise di sorridere e alzò il viso alla volta notturna
con fiducia.
“Ma
se loro
riscrivessero le stelle?”
**
Tobirama
si
sentiva il cuore in tumulto, agitato come lo era stato poche volte in
vita sua.
Eppure la lama del kunai era ferma, sollevata appena sul pomo
d’Adamo. Non
riusciva a muoverla, ad abbassarla e compiere quello che andava fatto.
Che cosa mi hai
fatto, anima gemella?
Gli
occhi
di Kagami lo stavano supplicando ed erano così belli,
ipnotizzanti anche senza
lo sharingan. Non riuscì a mantenere quella posizione,
allontanò il kunai e si
accasciò sconfitto a terra. Si sentì un
fallimento.
“Mi
ami”
ripeté incredulo e per qualche motivo aveva il fiatone, si
sentiva tutto sudato
come se avesse fatto uno sforzo tremendo. “Non mi conosci
nemmeno, che
assurdità”.
“Ma
sei per
me. Da quando so leggere… da quando ho capito che esistevi
ed eri stato scelto
per me. Il solo saperlo mi ha fatto innamorare”.
Tobirama
lo
guardò con gli occhi spalancati alla sua audace
dichiarazione, una confessione
d’amore per uno sconosciuto, per un nemico.
Kagami
si
agitò fino a riuscire a mettersi seduto, più in
alto di lui in una posizione di
dominanza che mise Tobirama in allarme, ma rimase seduto a guardarlo
con un
misto di confusione e stupore.
“Ho
sognato
a occhi aperti per anni il giorno in cui ci saremmo incontrati e
saremmo stati
insieme, anche se siamo Uchiha e Senju! Ti ho tenuto vicino ai miei
pensieri
ogni notte, ti ho amato ogni giorno per anni”.
“Io…
ho
cercato di ucciderti”.
Tobirama
gli
lanciò uno sguardo duro, sprezzante, in realtà
solo per nascondere il disagio
che provava davanti a quel facile perdono.
Kagami
sorrise giocoso. “Ma non l’hai fatto”
annuì soddisfatto e incrociò le braccia
come se lo sfidasse a sostenere il contrario. “Non ci
riusciresti”.
“Sei
troppo
sicuro di te, anima gemella”.
Kagami
gli
rivolse un altro sorriso prima di abbassare lo sguardo e arrossire.
“Mi
chiamo
Kagami”.
Si
trovò a
sbuffare per non ricambiare quel sorriso.
“Lo
so”
disse e la sua mano si mosse a sciogliere le bende strette sul polso
prima che
se ne rendesse conto. Le sfilò lentamente, fino a scoprire
quella porzione di
pelle ancora più pallida, che era stata coperta da quando
aveva otto anni.
Scoprì a qualcuno, dopo ben sedici anni, i kanji che erano
stati tatuati con il
chakra sulla sua carne. Uchiha Kagami
brillava come fuoco.
Kagami
si
illuminò a vederli.
“Puoi
chiamarmi anima gemella,
comunque,”
disse sporgendosi, “mi piace, è
possessivo”.
Tobirama
borbottò qualcosa sul suo avere il cervello bruciato da un
katon e scoppiò in
una piccola e fragorosa risata. Gli occhi del ragazzo scintillavano e
questo lo
confondeva, si ritrovò a fissarlo ancora una volta mentre la
risata sfumava
piano. Non riusciva davvero a staccarsi dalla faccia di Kagami. Il
rossore
adornava ancora le sue guance, accompagnato da quel sorriso sbilenco
sui denti
bianchi. Gli occhi di Tobirama si ammorbidivano sempre di
più mentre lo
fissava, non era solo diverso da qualsiasi Uchiha avesse mai
incontrato, ma
anche da qualsiasi altro essere umano.
Si
allarmò,
però, quando lo vide alzare e allungare una mano verso di
lui. L’afferrò al
polso, coprendo con il palmo il proprio nome inciso e nel farlo
sentì una
scossa.
“Cosa
fai?”
Kagami
si
morse il labbro con gli incisivi e lo guardò con gli
occhioni spalancati.
“Voglio
toccarti” spiegò esitante. “Non
posso?”
Lo tenne
stretto al polso per qualche secondo, valutando; alla fine
mollò la presa.
“Sono
un
sensore, se farai qualcosa con il chakra me ne accorgerò e
agirò di
conseguenza” lo avvisò.
“Sono
troppo ferito anche solo per attivare lo sharingan”
protestò, ma si zittì
quando non fu più trattenuto e poté scivolare
oltre fino a toccare con il
polpastrello lo zigomo pallido e affilato.
Fece
un’espressione di puro stupore mentre vagava con la punta
delle dita sulla
pelle pallida e tesa del suo viso, seguendo i suoi lineamenti
lentamente.
Tobirama si sentì a disagio per tutto il tempo, ma
c’era anche un’altra
sensazione sottopelle… qualcosa che aveva provato solo nella
furia di una battaglia,
ma questa era positiva. Sentiva la pelle scottare dove Kagami passava
con le
dita e dopo l’iniziale diffidenza cominciò a
sciogliersi a quei tocchi, stavano
diventando stranamente piacevoli.
Ma poi
Kagami scese a sfiorare il contorno della sua bocca e
squittì con forza. Smise
di toccarlo e si agitò sul lettino, dondolandosi a destra e
sinistra con le
mani sul volto, un piagnucolio indistinto lasciava le sue labbra.
Cosa.
“Stai
bene?” indagò preoccupato che si fosse riaperta
una ferita.
“Gnnnsdfghjk”.
Forse
era
un tipo di linguaggio in codice degli Uchiha che non conosceva. Ma
prima che
potesse preoccuparsi davvero Kagami si fermò e gli occhi
sbucarono tra le dita
separate delle mani spiaccicate in faccia. Erano due dischi che
brillavano di
felicità ed emozione.
Oh.
Non
stava
male, non si stava lamentando per un dolore. Era solo felice e cretino. Cosa di cui non doveva essere
sorpreso trattandosi di un Uchiha.
“Sognavo
di
toccarti da anni e adesso sei qui” piagnucolò
più comprensibile, rosso in viso
e con un sorriso tremolante. “Non sai quanto sono
felice”.
Il suo
cuore continuava a contrarsi in modo strano, ma non gli faceva male,
gli faceva
solo formicolare le estremità. Assecondò
l’istinto che lo spingeva a sua volta
ad alzare una mano per toccarlo, giusto per curiosità di
sapere che cosa si
provasse nel toccare un’anima gemella.
Sì,
per
puro spirito accademico, ecco.
Cercò
di
allontanare le mani ancora appoggiate al suo viso.
“Che
fai?”
chiese Kagami irrigidendosi.
Inarcò
un
sopracciglio. “Tu puoi toccarmi e io no?”
Si
sciolse
nell’ennesimo sorriso e lasciò cadere le mani che
gli coprivano il viso,
Tobirama fu finalmente libero di sfiorargli lo zigomo pieno. Ma le sue
dita
indugiarono sulla pelle solo brevemente prima di trascinarsi sui
riccioli che
lo incorniciavano. Immerse la mano tra i capelli arruffati e la
contrazione al
cuore s’intensificò.
I suoi
capelli erano così soffici.
Era come
accarezzare la pelliccia di un cucciolo, non riusciva a smettere di
lisciare
quelle ciocche morbide, vezzeggiare la cute. Kagami sembrò
sciogliersi alle
carezza, si spinse ancor di più contro il suo palmo e
inciampò per tentare di
avvicinarsi a lui.
“E…
un
bacio?” borbottò speranzoso.
Tobirama
sgranò gli occhi. “No!”
Sembrò
restarci davvero male e abbassò lo sguardo mogio. Si
sentì un po’ in colpa nel
vederlo perdere di colpo l’entusiasmo, sentì il
bisogno di giustificarsi.
“Siamo
ancora due estranei”.
“Ma
siamo
anime gemelle” si lagnò.
Immaginava
che il ragionamento avesse un sua validità, ma non erano di
certo in quel grado
di conoscenza da giustificare un’azione così
intima. Senza contare che solo
perché erano anime gemelle non era detto che si piacessero.
E poi, ancora,
erano Senju e Uchiha, nemici.
“Per
un
bacio bisogna aspettare del tempo” si trovò a
borbottare invece. Non se ne
pentì, perché gli occhi di Kagami ripreso a
brillare. Gli aveva praticamente
detto che non era un no a lungo termine.
Del
resto,
rifletté Tobirama senza smettere di accarezzargli i capelli
soffici, adesso
Kagami era nel loro accampamento, era un loro ostaggio. Non sarebbe
tornato
dagli Uchiha tanto presto, poteva approfittarne e prendersi il suo
tempo per
familiarizzare con questa faccenda dell’anima gemella.
Sì, non era come se
Kagami stesse per sparire da un momento all’altro, nessuno
glielo stava per
portare via.
Madara
entrò nella tenda.
“Kagami,
prendi le tue cose, sono venuto a…” si
bloccò congelato dalla scena che aveva
davanti, gli occhi che freddavano Tobirama come un gatto che arruffa il
pelo e
mostra gli artigli. Al che si accorse di star ancora coccolando i
capelli di
Kagami e di essere appena stato beccato da Uchiha Madara in persona a
farlo.
La sua
reputazione, costruita duramente e con il sangue nel corso degli anni,
era
finita.
Ritrasse
velocemente la mano, entrando in mentalità di battaglia.
Madara nel loro
accampamento era male, come aveva fatto a entrare eludendo le
sentinelle nel
perimetro e la barriera di chakra? Afferrò il kunai che
aveva lasciato cadere a
terra e istintivamente si frappose tra Kagami e Madara. Quando se ne
rese conto
era già in posizione di difesa, a quanto pare il suo istinto
si era già settato
nella protezione dell’anima gemella.
Madara
lo
guardò con lo stesso disprezzo che avrebbe riservato a una
cimice.
“Spostati,
Senju”.
“Non
ti
lascerò rapire il nostro ostaggio”.
Ecco,
perfetto: ostaggio. Stava solo facendo il suo lavoro di shinobi, non
c’era
nessun motivo personale in mezzo.
Madara
non
sembrò per nulla impressionato, lo guardò solo
come se stesse per azzannarlo
alla gola. Non ebbe occasione di farlo perché
arrivò Hashirama che mise con
troppa confidenza una mano sulla spalla del nemico.
“Abbassa
l’arma” flautò felice come lo aveva
visto poche volte. “Ho detto io a Madara di
venire a riprendersi Kagami. Oh, sei sveglio!”
cinguettò vedendo il ragazzino
seduto e parecchio confuso.
Un
secondo
prima stava vivendo il suo sogno segreto e la sua anima gemella gli
stava
accarezzando la testa, il secondo dopo era entrato il suo capo clan
e… cosa
stava succedendo?
Fu
ancora
più confuso quando Hashirama cominciò a
inchinarsi con rispetto verso di lui un
bel po’ di volte con entusiasmo.
“Piacere
di
conoscerti, Kagami-kun. Sono Hashirama, il fratello maggiore di
Tobirama. È
così bello averti qui” disse con gli occhi che
brillavano e un sorriso enorme.
Tobirama
impallidì e capì perché Madara lo
stesse guardando con più astio del solito e
il fatto che avesse puntato gli occhi sul suo polso con depressione
chiariva
tutto.
Madara
sapeva, suo fratello sapeva: era la fine.
“Come
ti
senti? Ti sei riposato? La ferita ti dà noia?”
continuò a bersagliarlo
Hashirama avvicinandosi sempre di più.
Kagami
lo
fissava sbattendo le palpebre. “Sì, sì,
no. Grazie per avermi…”
“No,
grazie
a te!” lo interruppe Hashirama abbracciandolo.
“Sono davvero felice di averti
qui. Davvero felice. E sei anche
così
carino…”.
Non
stava
succedendo davvero.
Madara
cominciò a spazientirsi. “Kagami, ti ho detto di
andare. Prendi la tua
armatura”.
“È
qui!”
collaborò Hashirama, scodinzolando e con
un’espressione amorevole. “È ancora
sporca di sangue, ma…”
“Va
bene
così” sbottò Madara afferrandola
bruscamente, sembrava esasperato da tutto
quell’entusiasmo. “Andiamo”.
Kagami
si
alzò confuso, un po’ traballante, mentre Hashirama
continuò a fargli le feste
girandogli attorno.
“È
stato un
piacere averti qui. Puoi tornare quando vuoi! Saremo molto felici di
averti qui.
Magari ti mostrerò la mia collezione di baobab!”
“Ehm…”
Cercò
lo
sguardo di Tobirama, ma lo trovò confuso
dall’improvvisa situazione quanto lui.
Provò a rispondere qualcosa ad Hashirama, anche solo per
ringraziarlo di averlo
curato e assicurargli che sarebbe tornato molto volentieri, ma Madara
lo
agguantò per la collottola e lo trascinò via.
“È
abbastanza. Andiamo”. Si voltò verso Hashirama per
fargli un cenno. “Aspetto
tue notizie”.
“Parlerò
con gli anziani!” assicurò sprizzando gioia.
“Troveremo un accordo”.
Madara
fece
per uscire, ma poi parve ripensarci e lanciò
un’occhiata a Tobirama, ancora
molto scombussolato. In un’altra situazione si sarebbe goduto
vedere la sua gelida
compostezza svanita a favore di confusione e imbarazzo. Ma
c’era qualcosa che
doveva mettere in chiaro.
“Kagami
ha
sedici anni” ringhiò, “e sono io il
suo responsabile. Ti terrò d’occhio”.
Tobirama
spalancò la bocca oltraggiato e arrossì
furiosamente per la sua insinuazione
ingiustificata, purtroppo Madara uscì dalla tenda prima che
potesse insultarlo
a dovere ed ebbe solo un veloce flash dell’occhiata
dispiaciuta di Kagami.
La tenda
dell’infermeria tornò vuota mentre i due chakra si
allontanavano veloci.
Tobirama aveva ancora il kunai in mano e non era sicuro di quello che
era
appena successo. Fu la presa decisa di suo fratello sul suo polso che
lo
riscosse, ma non fu comunque abbastanza veloce per impedirgli di
leggere i
kanji.
Hashirama
strillò di gioia e cominciò a saltare per la
tenda.
“Per
il
Buddha! Hai davvero un’anima gemella!”
“Gridalo
più forte, non ti hanno sentito a nord”
borbottò irritato, si portò una mano a
stropicciarsi il viso.
Ovviamente
non scalfì minimamente il suo buon’umore.
“Perché
non
me l’hai detto? Hai un’anima gemella”
continuò ad agitarsi eccitato. “Sono
così
felice per te! Ed è anche così carino, vero? Sei
stato fortunato! Allora, avete
parlato? Adesso gli Uchiha ti sono più simpatici? Non
preoccuparti, credo di
aver raggiunto un accordo con Madara, potrai vivere la tua storia
d’amore!”
Decise
di
chiudersi dentro un dignitoso silenzio. Cercò il suo
equipaggiamento e iniziò a
indossarlo.
“Vado
a
fare un turno di guardia” disse.
Hashirama
gli si incollò a cozza. “Nooo, ti prego. Voglio
sapere tutto!” piagnucolò.
Riuscì
a
liberarsene a fatica. “Non c’è niente da
sapere!” abbaiò prima di poter
finalmente uscire dalla tenda, il volto in fiamme.
Tempo
dopo…
Tobirama
camminava con passo deciso per il villaggio ancora in costruzione.
Grazie
all’arte del legno di Hashirama le case e i distretti erano
stati costruiti a
tempo record, ma c’erano comunque cantieri ancora in corso.
Tobirama aveva
aiutato il fratello nei lavori e per questo era stato molto impegnato,
occupandosi delle noiose questioni diplomatiche – come
l’unione con altri clan
– che il fratello ignorava con leggerezza.
Insomma,
era
stato molto occupato.
Questa
era
la sua giustificazione sul perché si stesse muovendo solo
ora, dopo mesi
dall’alleanza con gli Uchiha, verso il loro maledetto
distretto abitativo. Non
era perché, per esempio del tutto improbabile e ipotetico,
era un po’
spaventato da quello che stava per fare.
No
effettivamente lui era molto
impegnato, non avrebbe dovuto essere lì in quel momento,
doveva osservare le
reclute… no, non aveva tempo per quello.
Fece per
girarsi, ma proprio in quel momento qualcosa cadde dai tetti e gli
atterrò
davanti. Si trovò a fronteggiare uno spettinato ragazzo
Uchiha da un sorriso
smagliante e gli occhi eccitatissimi – il motivo per cui si
era spinto così
vicino al distretto quando solitamente se ne teneva lontano.
“Oh,
ciao.
Anima gemella” borbottò facendo un passo indietro
per stabilire un’opportuna
distanza.
Kagami
allargò il sorriso ed eliminò di nuovo lo spazio.
“Mi
stavi
cercando?” chiese felice.
Come
faceva
a saperlo? Forse era anche quello un potere da anime gemelle. Kagami
non gli
diede nemmeno il tempo di rispondere che continuò.
“Io
ti sono
venuto a cercare un sacco di volte, ma non c’eri
mai!” si avvicinò ancora,
imbronciandosi, ma poi sorrise spensierato. “Tuo fratello
è simpatico, sai?
Credo si sia affezionato a me!”
“Non
dubito” ronzò a disagio, si stava avvicinando
troppo e il suo sorrisetto non
prometteva niente di buono.
“Quindi?
Mi
cercavi?”
Sussultò
quando allargò le braccia attorno al suo busto e
l’abbracciò appoggiando il
mento sul suo petto, il sorriso da mascalzone e gli occhi da cerbiatto.
“Sì”
ammise
altero, cercando di conservare un po’ di dignità.
In
realtà
fremeva dalla voglia di tornare ad accarezzargli i capelli morbidi. Era
un
segreto, ma Tobirama adorava le cose morbide, era il motivo principale
per cui
aveva aggiunto la pelliccia nell’armatura. Ecco, i suoi
capelli erano la cosa
più soffice che avesse mai toccato e voleva toccarli ancora.
“Hashirama
mi ha assegnato l’addestramento delle reclute più
dotate” spiegò cercando di
mantenere tutto molto professionale. “Mi servirebbe un
aiutante”.
“Io?”
esultò Kagami allargando il sorriso con espressione
stupefatta e Tobirama
confermò con un cenno.
Si
staccò
da lui e mise le mani sui fianchi. “Lo sai che non ti serve
una scusa per
passare del tempo con me, vero?”
Nel
farlo
alzò il braccio dove il suo polso era nudo, dove i raggi del
sole colpivano le
incisioni di chakra con il suo nome, mostrati a chiunque appoggiasse
gli occhi.
Si
ritrovò
ad arrossire. “Non è una scusa”.
Ma
Kagami
ridacchiava come uno che la sapeva fin troppo lunga.
“Bene,
quindi mi aspetto di trovarti più spesso adesso”
lo sfidò prendendolo per mano.
Tobirama
per un momento ebbe l’istinto di ritrarre la presa, non
abituato a quel
contatto. Ma poi ricambiò la stretta. Kagami lo
tirò verso di sé con uno
strattone e, prima che potesse bilanciare di nuovo il suo equilibrio,
il
ragazzo ne approfittò per stampargli un bacio.
Cosa?
Kagami
rise
più forte, ma se voleva dire qualcosa non ne ebbe modo
perché dal fondo della
via si sentì un grido di battaglia.
“TOBIRAMAAAAA!”
Quello
era
Madara. Che bella giornata.
Kagami
fece
un’espressione di scuse. “Ops, meglio
scappare”.
Ancora
scombussolato da quello che la sua anima gemella aveva avuto
l’audacia di fare,
si lasciò trascinare per le strade di Konoha, il posto dove
forse avrebbe
potuto anche lui smettere di tenere nascosto il suo segno, mentre un
furioso
Uchiha Madara li inseguiva minacciandolo di non molestare il suo
innocente
cuginetto.
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Capitolo 2 *** [Sakura/Hinata] Colori ***
Prompt: Colori
– Suoni.
Pairing:
Sakura/Hinata, accenni NaruHina, SasuSaku e ObiNaru.
Contesto: post-699.
Rating: giallo.
Avvertimenti: angst, no
happy ending.
Descrizione: Vedere il
mondo in bianco e nero finché non si incontra la propria
anima gemella.
Note: Ugh, io amo le SakuHina e non ci credo di star
scrivendo qualcosa del genere? Con un’unica eccezione, tutte
le mie storie su
di loro hanno un happy ending e sono fluffuose tra loro, mi sento in
colpa!
Comunque
il
contesto della OS è il canonverse proprio come
c’è l’ha fatto Kishimoto, con la
differenza che esistono le anime gemelle, ma per il resto è
tutto uguale.
Il
titolo
viene dalla canzone “Colors”
di Halsey
Spero
vi piaccia <3
You
touched me and suddenly I was lilac sky, but you decided purple just
wasn’t for
you
Viola.
Questo
era
il primo colore che Sakura aveva visto quando il suo mondo in bianco e
nero esplose
in una luce di sfumature che non aveva mai visto prima. La scala
monocromatica
della sua vita si era improvvisamente animata, mostrandole quanto fosse
brillante e meraviglioso il mondo.
Aveva
iniziato
ad amare la sua anima gemella anche solo per questo, perché
le aveva dato la
possibilità di vedere tutti quei colori che altrimenti le
sarebbero stati
preclusi, ed era certa che per lo stesso motivo di essere ricambiata.
Quanto
si
era sentita fortunata! Non solo perché aveva incontrato la
sua anima gemella a
sei anni, ma perché era Uchiha Sasuke, quel bambino che
tutti ammiravano, il
più bello e bravo della sua classe. Era stato vedendo lui
che il mondo era
esploso nei suoi mille colori con tutte le sue sfumature, era lui la
sua anima
gemella! E Sakura era sua, era lei che avrebbe amato perché
era lei la sua
anima gemella, non tutte le sue compagne di classe che credevano
scioccamente
di avere una speranza.
Sasuke
non
le aveva mai detto nulla in merito, non le si era avvicinato e non
aveva
accennato nulla nemmeno quando erano finiti in squadra insieme. A
malincuore
aveva rispettato la sua decisione, tenendo nascosto a tutti che lei
aveva già
trovato la sua anima gemella, che era proprio Sasuke.
Solo
quando
Sasuke aveva abbandonato il villaggio era stata sul punto di gridarlo,
perché
erano anime gemelle e Sasuke non poteva lasciarla indietro, fare finta
che non
lo fossero. Non ne aveva avuto l’occasione, il colpo
l’aveva fatta svenire
prima che potesse farlo.
Ma quel grazie sussurrato… Le aveva
dato un po’
di forza. Sasuke sapeva, era grato, ma a quanto pare non era
abbastanza. La sua
anima gemella non era abbastanza rispetto alla sua sete di potere e
vendetta.
Sasuke
si
comportava come se il mondo fosse ancora in bianco e nero.
**
Si era
allenata per anni, si era spinta al limite e non aveva mai perso la
speranza.
Il suo obiettivo era stato sempre fisso davanti ai suoi occhi da
raggiungere:
la sua anima gemella.
Sakura
non
si era arresa. Era stato Naruto, con la sua fiducia e la sua promessa,
a darle
il coraggio necessario per non lasciare andare quel legame. Sasuke era
la sua
anima gemella, era stato lui a riempire di colori la sua vita. Si era
aggrappata al suo amore, anno dopo anno, aveva lottato con le unghie e
con i
denti perché erano destinati a stare insieme. Gli dei lo
avevano scelto perciò
alla fine sarebbe tornato a casa, da lei.
Eppure,
come da bambini, Sasuke non la considerava ancora. Ignorava il loro
legame,
ignorava che se poteva vedere il mondo colorato era merito di Sakura.
Anche una
volta tornato al villaggio non disse nulla, partì il per il
suo viaggio di
espiazione senza dirle nulla sul loro legame, senza nessuna promessa.
Pensò
fosse perché si sentiva in colpa, perché prima
voleva essersi perdonato a sua
volta.
Così
Sakura
attese.
Attese
nel
suo mondo colorato.
Attese
che
Sasuke riconoscesse il loro destino insieme.
Attese
che
finalmente il suo sogno da bambina si avverasse.
Attese
inutilmente.
Perché
Sasuke
vedeva ancora il mondo in bianco e nero.
Non era
lui.
**
In quel
Marzo i fiori di ciliegio erano caduti presto. I loro petali chiari e
sottili
coprivano le strade come neve primaverile, di un bel color rosa
pastello. Era
stata una stagione molto ventosa e per i piccoli fiori non
c’era stata
possibilità di resistere sui rami. Sakura si sentiva un
po’ come loro.
Era
buio,
l’ora di cena era passata da un pezzo, e si sentiva un
po’ inquietante nel
presentarsi a quell’ora così tarda. Ma aveva
dovuto raccogliere il suo coraggio
e aspettare che lei fosse sola.
In quel
momento si sentiva una mina vagante. Stava per fare esplodere qualcosa
e, dei,
forse sarebbe stata odiata per questo. Ma più di ogni altra
cosa, ora aveva
bisogno di sapere.
Perché
non
le aveva mai detto nulla?
Suonò
al
campanello della casa e attese, le mani in tasca e il labbro tutto
mordicchiato
per il nervosismo. Ma non dovette attendere troppo, le fu aperto dopo
pochi
secondi e la padrona di casa fu sulla soglia.
“Sakura…”
la salutò Hinata con un sorriso confuso, nel tono la domanda
implicita su cosa
ci facesse lì a quell’ora.
Sakura
non
rispose, si fermò solo a fissarla e si sentì
derubata. Hinata crescendo era
diventata davvero bellissima, con il viso dolce e gli occhi gentili, i
capelli
sempre più lunghi e lisci come inchiostro colante. E se si
concentrava riusciva
a percepire il suo chakra… appena percettibile, timido come
la sua proprietaria
ma altrettanto forte, di una bellissima sfumatura lillà.
Il primo
colore che abbia mai visto.
Sentì
le
lacrime premere dietro i suoi occhi, la realizzazione – o
meglio: la conferma –
di essersi sbagliata per tutto quel tempo.
Non era
stato osservando quel bambino imbronciato e altezzoso dai capelli neri
che il
mondo era esploso in mille colori. Ma era successo in quel minuscolo e
dimenticabile secondo in cui i suoi occhi si erano posati sulla bambina
minuta
nello sfondo, dallo sguardo basso e le gote arrossate dalla timidezza.
Era
stata
Hinata.
“Perché
non
me l’hai detto?” bisbigliò fissandola
con dolore.
Per
tutto
quel tempo aveva seguito la persona sbagliata. La sua anima gemella era
sempre
stata lì, al suo fianco e lei non lo sapeva.
L’espressione
gentile di Hinata si frantumò, distolse lo sguardo avvilita
e raccolse le
proprie mani.
“Oh”
commentò solo.
Ci un
piccolo silenzio, dove Hinata si torse le mani tra loro in angoscia e
Sakura si
sentì sul filo del rasoio. La sua anima gemella, la sua vera
anima gemella.
“Perché
tu
ami Sasuke…” sussurrò alla fine.
La sua
espressione si contrasse. “Credevo fosse lui”
ammise. “Non lo aveva capito… Io…
Se me lo avessi detto…”
Hinata
corrucciò lo sguardo confusa. “Come hai fatto a
non capirlo?” domandò e le
guance si tinsero di un tenue rossore, distolse lo sguardo in
imbarazzo.
“V-voglio dire… quando ci siamo viste il mondo si
è colorato… non è qualcosa
che passa inosservato…”
Sakura
sentì il senso di colpa intensificarsi.
“Eri
vicina
a Sasuke” sussurrò e lasciò che capisse
da sola cosa implicasse.
Capì
che
con quella frase l’aveva ferita, ma Hinata le
lanciò solo uno sguardo di
dolorosa rassegnazione.
“Kurenai-sensei
una volta mi ha detto che vediamo solo l’amore che siamo
disposti ad
accettare”. Raccolse una ciocca nera dietro
l’orecchio. “Evidentemente non ero
quello che volevi”.
“Io
ho
sempre e solo voluto la mia anima gemella!” sbottò
in un impeto di audacia e fece
un passo avanti, più vicina all’altra ragazza.
Hinata
arrossì e distolse lo sguardo, una smorfia afflitta a
piegarle le labbra e le
sopracciglia.
“Perché
sei
venuta qui adesso?” domandò angosciata.
“Io mi sto per sposare…”
“Naruto
non
è la tua anima gemella”.
Non sei sua, sei
mia!, si morse
le labbra per non gridarlo. Sapeva di non avere diritto di farlo, non
lei che
sebbene avesse avuto il privilegio di vedere i colori fin dai sei anni
era
sempre stata cieca.
Hinata
la
implorò con lo sguardo. “Ma è la
persona di cui mi sono innamorata”.
Faceva
male, dannatamente male. Sapeva che poteva succedere, aveva letto le
storie
d’amore più tristi sulle anime gemelle separate, o
dalla morte, dal tempo o…
perché già innamorate di qualcuno. Sakura sapeva
che essere anime gemelle non
dava garanzia di amore incondizionato e corrisposto, ma avrebbe dovuto
aiutare.
“E
l’anima
gemella di Naruto? Se non sei tu,
perché…”
Si
sentì
cattiva a fare quella domanda, a premere quel tasto e accusarla
così – stai rubando
Naruto alla sua legittima anima
gemella –, si morse la lingua davanti
all’espressione sempre più triste
negli occhi lattei.
“Naruto
vede il mondo a colori da quando è nato”
bisbigliò e Sakura spalancò gli occhi
sorpresa.
“Ma
questo
è impossibile…”
“Non
se
incontri la tua anima gemella il giorno della tua nascita. Ma questo
l’ha
potuto capire solo il giorno del suo diciassettesimo compleanno, quando
l’ha
persa”.
Socchiuse
la bocca dallo stupore e rimase in silenzio concentrata da quello che
stava
sottintendendo. Non poteva intenderlo davvero, era quasi impossibile,
folle…
Hinata
approfittò del suo silenzio stupefatto per continuare.
“Entrambi
abbiamo perso la nostra anima gemella. Combaciamo
bene…”
Sakura
sentì che le lacrime stavano diventato sempre più
aggressive, premevano quasi
con rabbia per uscire e sapeva di avere tutto il viso rosso per lo
sforzo.
“Non
mi hai
persa” tremò. “Io sono qui”.
Vide la
crepa nel suo viso allargarsi, incrociò le braccia al petto
quasi si sforzasse
di tenere insieme i propri pezzi.
“Non
sai
quanto ho aspettato di sentirtelo dire…”
sussurrò con lo sguardo basso. “Ho
sperato che mi accettassi per anni…”
“Hinata,
non lo avevo capito” ripeté con disperazione
crescente. “Se lo avessi capito…
ti avrei accettata. Ti sto accettando. Io…”
“Sakura”
la
fermò in avviso, “mi sto per sposare”
ripeté, “e amo l’uomo che
sposerò. Ho
aspettato, ma non potevo farlo per sempre”.
Già,
era
solo Sakura quella che aveva pensato di farlo, con la differenza che
aveva
aspettato la persona sbagliata per tutto il tempo. Ma del resto aveva
ragione:
che cosa pensava di fare, andando a casa sua in quel modo? Sapevano
entrambe
che ormai era troppo tardi, non aveva più il tempo di
rimediare.
Aprì
la
bocca per un ultimo patetico tentativo, ma gli occhi di Hinata si
allargarono
in allarme convincendola a mordersi le labbra e ingoiare la
dichiarazione.
Subito dopo una mano grande, calda, si appoggiò sulla sua
spalla seguita da una
familiare risata gioiosa.
“Sakura!”
canticchiò Naruto con gli occhi azzurri che brillavano. Le
diede poca
attenzione però, perché poi spostò lo
sguardo su Hinata e sorrise innamorato.
Sakura
sentì una crepa attraversarle il cuore mentre il migliore
amico di una vita si
sporgeva verso la sua anima gemella
e
le baciava la tempia come se avesse il diritto di farlo. Hinata
abbassò lo
sguardo, il sorriso timido in secondo piano rispetto allo sguardo
colpevole.
Voleva
protestare. Sakura sentiva ogni fibra del suo essere urlare
perché quello non
era giusto, non era quello che avevano scelto gli dei quando dalle
stelle
avevano abbinato le anime gemelle. Provò il pestifero
desiderio di dirlo, di
rivelare a Naruto che in realtà Hinata era la sua
anima gemella e lui doveva restituirgliela. Si chiese come
avrebbe reagito se lo avesse fatto e per un momento fu davvero sul
punto di
farlo. Ma poi vide il modo così bello in cui Naruto guardava
Hinata, l’amore e
la felicità di avere qualcuno al proprio fianco con il quale
costruire una famiglia…
che non aveva mai avuto,
perché era stata proprio la sua anima gemella a
strappargliela via…
Non
poteva
farlo.
Voleva
troppo bene a Naruto per strappargli quella felicità che
cercava disperatamente
da quando era bambino. Gliela avevano già tolta una volta,
non poteva farlo
ancora, non poteva essere lei a condannarlo.
“Vuoi
entrare, Sakura?” la distrasse Naruto. “Comincia a
fare un po’ freddo. E poi tu
e Hinata stavate parlando”. Sembrò davvero
dispiaciuto. “Scusate se vi ho
interrotto…”
“No”
lo
bloccò sperando che il suo tono non tremasse e il sorriso
rimanesse fermo sulle
labbra. “No, non preoccuparti. Anzi… è
meglio che vada”.
Sentiva
lo
sguardo colpevole di Hinata su di sé, ma cercò di
non incrociarlo. Si sentiva
così in bilico da tremare fin dentro le ossa e non voleva
scoppiare davanti a
Naruto. Non voleva che capisse.
“Ah!”
disse
cercando di imitare una risata. “È meglio che ti
avverta: un giorno Ino ti
piomberà in casa per parlare dei fiori… sai, il
matrimonio…”
Ogni
contrazione cardiaca faceva male, ma pensò che ne valesse la
pena perché il
solo accenno aveva allargato il sorriso di Naruto.
Erano
felici, doveva essere giusto, doveva andare bene.
“Allora
ci
rivediamo” garantì Naruto facendo
l’occhiolino e con un ultimo saluto rientrò nella
casa, desideroso di mangiare qualcosa di caldo.
Hinata
rimase sull’uscio un altro secondo, torturandosi il labbro
con gli incisivi.
“Grazie”
sussurrò alla fine.
Ricambiò
con un sorriso triste. “Non romperò la vostra
felicità”.
Hai ragione,
sono arrivata tardi.
“Non
solo
per questo…” mormorò. “Grazie
per avermi permesso di vedere un mondo così colorato,
è molto più bello…”
Abbassò
lo
sguardo e si sentì più dolce, anche se la
malinconia continuava a minacciare di
farla sprofondare nelle lacrime.
“Sì,
è
davvero bello…” uscì fievole dalle sue
labbra.
Nessuna
delle due aggiunse altro, si augurarono solo la buonanotte. Sakura
ricominciò a
camminare, la strada a ritroso e lo sguardo ancora basso sui petali di
ciliegio
a terra.
In quel
Marzo erano caduti davvero presto. Solo lei era arrivata troppo tardi.
(http://mayapng.tumblr.com/)
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Capitolo 3 *** [Obito/Naruto] Conto alla rovescia ***
Prompt: Data
di nascita – Conto alla
rovescia.
Pairing:
Obito/Naruto, accenni SakuLee.
Contesto:
canonverse.
Rating: giallo.
Avvertimenti: //
Descrizione: Dove hai
un tatuaggio che è un conto alla rovescia per
l’incontro con la tua anima
gemella.
Note: Questa
credo che sia stata la seconda che ho deciso e nonostante avessi
un’idea che mi
entusiasmava molto non mi sembra di averla resa bene :c Spero che non
sia
venuta fuori una totale schifezza. Come in quel quella di ieri, anche
qui siamo
nel puro canonverse come ce l’ha presentato Kishimoto, con
l’eccezione
dell’esistenza delle anime gemelle.
Il
titolo
viene dalla canzone “Waiting for Love” di Avicii.
I’ll
be waiting for love
Naruto
aveva da sempre quei numeri sull’avambraccio, anche se non ne
conosceva il
motivo. Erano curiosi, perché scalavano
all’indietro ogni secondo; inoltre non
erano stati disegnati con un pennarello, perché per quanto
strofinasse con il
sapone fino a irritare la pelle restavano sempre. Si era un
po’ rassicurato
quando aveva scoperto che non era l’unico ad avere quei
numeri, osservando le
altre persone aveva potuto costatare che tutti li avevano. Anche se
erano
sempre numeri diversi, più grandi e più piccoli,
mentre alcuni li avevano fermi
allo zero.
Aveva
provato a chiedere a qualcuno cosa fossero, ma nessuno gli aveva mai
risposto e
spesso lo avevano trattato come se fosse stupido. A Naruto non piaceva
quando
lo trattavano da idiota, perciò aveva ingoiato la
curiosità e non aveva più
chiesto.
Per
capire
cosa significassero quei numeri, dovette aspettare i suoi dodici anni e
la
promozione a genin. Anche i suoi compagni di squadra avevano quei
numeri,
quelli di Sakura erano molto piccoli, mentre Sasuke e Kakashi lo
avevano
addirittura settati allo zero!
Era
stata
Sakura a parlargliene, gentile come lo era stata raramente in quei
primi tempi
insieme. Sospettava che fosse perché le aveva fatto
tenerezza.
Erano in
una pausa dall’allenamento, Kakashi leggeva il porno e Sasuke
faceva il
solitario vendicatore da solo. Sakura guardava i numeri sul suo braccio
che
diventavano sempre più piccoli e canticchiava in
apprezzamento.
“Mancano
pochi giorni e la incontrerò” sprizzò
gioia e trepidazione.
Naruto
arrotolò la manica della sua giacca consunta e
guardò i proprio numeri, anche
se andavano all’indietro erano ancora molto più
grandi di quelli di Sakura.
“Chi
incontrerai?” chiese curioso.
Sakura
lo
guardò confuso. “Come faccio a saperlo? Non so chi
sia”.
“Ma
chi?”
insistette.
“La
mia
anima gemella!” rispose esasperata.
Naruto
la
guardò stupefatto, come se avesse rivelato un segreto che
non poteva essere
possibile. Spostò gli occhi sui propri numeri tatuati nel
braccio e sentì una
strana sensazione allo stomaco che lo scaldò piacevolmente,
ma lo riempì anche
di ansia.
“Vuoi
dire
che quando raggiungi lo zero incontri la tua anima gemella?”
mormorò collegando
i puntini.
Sakura
roteò gli occhi. “Ma certo, non te
l’hanno detto i tuoi…”
Si
bloccò
di colpo, mordendosi le labbra, ma era chiaro dalla sua espressione
colpevole
che cosa stesse per dire: non te
l’hanno
detto i tuoi genitori? Naruto non aveva genitori, in
realtà non aveva
nessuno che potesse spiegargli delle anime gemelle e del conto alla
rovescia
sulla sua pelle. All’Accademia non l’avevano
spiegato perché si dava per scontato
che lo avessero già fatto a casa, senza contare che gli
shinobi non devono
avere sentimenti.
Si
sentì un
po’ male per lui, perciò aggiustò la
propria espressione in un sorriso gentile
e si apprestò a ripetere quello che le aveva raccontato i
suoi genitori anni
prima.
“Tutti
abbiamo un’anima gemella nel mondo che gli dei hanno scelto
per noi. È la
persona che siamo destinati ad amare, fatta per noi, la nostra
metà… Qualcuno
che ci amerà incondizionatamente, che sarà solo
nostra” spiegò sognante. “Prima
o poi la incontreremo, siamo destinati a incontrarla. Per questo
abbiamo il
timer sul nostro corpo”. Mostrò il suo,
picchiettando con il dito sui numeri in
discesa. “Dalla nostra nascita conta i secondi fino al nostro
primo incontro”.
“Quindi
più
basso è il numero più vicino è il
momento dell’incontro” riassunse Naruto con
gli occhi che si allargavano.
“Esatto”.
“Quindi
le
anime gemelle esistono davvero…”
Sembrava
scosso, come se per lui fosse ancora difficile realizzare che nel mondo
ci
fosse qualcuno che lo avrebbe amato a prescindere, fatto solo per lui.
Le fece
tenerezza, ma pensò anche che quel tipo di meraviglia fosse
qualcosa di
privato, su cui era meglio che lei non si impicciasse, quindi
cambiò
volontariamente il focus dell’argomento.
“Già,
io la
incontrerò fra cinque giorni” gongolò
Sakura. “Sono fortunata, sai? Qualcuno ha
anche aspettato cinquant’anni prima di incontrare la sua
anima gemella”.
Naruto
agghiacciò e il suo sorriso si trasformò in una
smorfia di orrore.
“Cinquant’anni
sono tantissimi!” commentò e tornò a
guardare i suoi numeri con vera
preoccupazione, perché erano davvero molto alti, con
tantissime cifre. “Sakura…”
mormorò angosciato, “io fra quanto la
incontrerò?”
Per un
momento sul volto di Sakura ci fu una smorfia antipatica, qualcosa che
anticipava un contalo da solo, ma
poi
si ammorbidì e si spostò una ciocca lunga dietro
le orecchie.
“E
va bene”
annuì ricordando quanto fosse pessimo l’amico con
i numeri. “Lo conterò per
te”.
“Dici
davvero, Sakura-chan?”
“Sì,
ma in
cambio tu non mi chiederai più di uscire a pranzo con
te!” Gli puntò contro
l’indice con espressione soddisfatta.
Naruto
la
guardò sbigottito. “Ma Sakura-chaaaan!”
si lagnò.
“Non
pensi
che la tua anima gemella ci resterebbe male se uscissi con
me?”
Rimase
zitto, le rotelle del suo cervello che ingranavano sul quel
ragionamento, ma
poi annuì in accordo, aveva senso. Soddisfatta, Sakura
andò a prendere carta,
inchiostro e un calendario. Ricopiò i numeri, poi
cominciò con una lunga serie
di calcoli che Naruto fissò con curiosità, ai
suoi occhi tutto quel
procedimento era incomprensibile. Ma doveva avere per forza una logica,
perché
Sakura lavorava con attenzione, lo sguardo concentrato e la lingua fra
le
labbra. Alla fine riuscì a ottenere un’altra
sequenza di numeri e iniziò a
cercare nel calendario.
“Oh”
commentò confusa. “Naruto, tu sei nato il 10
Ottobre?”
“Sì,
dattebayo!” scodinzolò incredulo che sapesse la
data del suo compleanno. Non lo
aveva mai festeggiato, pensava che nessuno lo sapesse.
Sakura
si
corrucciò, ma poi si sciolse in una risata.
“È buffo, ma incontrerai la tua
anima gemella poche ore prima del tuo diciassettesimo
compleanno”.
“Oh!”
commentò. Adesso aveva dodici anni, quindi doveva aspettarne
altri cinque…
sembravano tantissimi rispetto a Sakura che avrebbe incontrato la sua
anima
gemella in cinque giorni, ma rispetto i cinquant’anni erano
decisamente meno.
Poteva sopravvivere e avrebbe incontrato questa persona che gli dei
avevano
scelto per lui! Qualcuno che lo avrebbe amato come una
famiglia… forse non era
mai stato poi così solo. C’era la sua anima
gemella.
Naruto
quello stesso giorno scoprì anche un’altra cosa
molto triste sulle anime
gemelle: se muoiono prima dell’incontro, il timer si azzera
automaticamente,
perché non si incontreranno mai. Scoprì che il
motivo per cui il countdown di
Sasuke era terminato, era proprio quello.
Sakura
invece incontrò davvero la sua anima cinque giorni dopo,
mentre portavano le
loro iscrizioni per gli esami chūnin, quando si trovò
davanti un tipo
stravagante dalle sopracciglia folte e una tuta troppo aderente. Naruto
la
prese in giro per ore, almeno finché Sakura non lo
zittì con un pugno e una
minaccia:
“Aspetto
proprio di vedere chi sarà la tua
anima gemella! Poi vedremo chi sarà a ridere!”
Cinque
anni dopo.
Ancora
sbigottito, Naruto atterrò al fianco di Kakashi in
contemporanea a Gai.
“Sensei,
è
come dicevi tu!” esclamò e tornò a
guardare lo shinobi nemico davanti a loro.
La manica destra era stata strappata dall’esplosione del suo
rasengan e il
braccio sembrava rosso di sangue. Finalmente lo avevano davvero
colpito, anche
se non capiva come fosse possibile.
Kakashi
non
rispose, fissando accigliato Tobi. Sembrava essere davvero preoccupato.
“Quindi
è
vero” disse a tono abbastanza alto perché anche
l’avversario potesse sentirlo.
“All’inizio pensavo che quella che ti permette di
renderti incorporeo e quella
con cui assorbi o emetti le cose fossero due tecniche
distinte...”
Fece una
pausa, dove Naruto lo fissò chiedendosi che cosa diavolo
intendesse. Kakashi
alzò una mano indicando l’avversario in
un’accusa.
“Ma
in realtà
sono un’unica tecnica”.
Ah,
sì, un’unica tecnica, ha sen… cosa?
Vedere
che
anche Gai non stava capendo gli fece trovare il coraggio di ammettere
candidamente:
“Non
ti
seguo… Ma finalmente lo abbiamo colpito!”
esultò.
In fondo
non era quella la cosa importante?
Su
suggerimento di Gai, Kakashi cominciò a spiegare il
funzionamento delle due
tecniche dell’Uchiha, analizzando lo scontro appena svolto.
Naruto lo ascoltò
attento, sapendo che quando Kakashi aveva quell’espressione
concentrata
significava che era importante e doveva ascoltare, e con sua sorpresa
riuscì a
seguire il ragionamento, anche se gli sembrava folle.
“Ho
capito”
assicurò quando Kakashi terminò la sua
spiegazione e per una volta lo intendeva
davvero.
Ma non
era
stato abbastanza per capire le implicazioni di quella spiegazione,
fortunatamente ci pensò il Giūky a chiederle:
“Perché
i
vostri dojutsu sono collegati?”
Gai
fissava
il compagno di una vita con angoscia. “Kakashi, chi
è lui?”
Naruto
lo
osservò attento e i suoi occhi scivolarono sul braccio
scoperto, le sue ferite
stavano già svanendo grazie alla sua capacità
rigenerativa. Ma sull’avambraccio
poteva vedere gli zeri di un timer che aveva terminato la sua corsa a
ritroso.
A quel pensiero, abbassò gli occhi sul proprio e si rese
conto che mancavano
davvero pochi minuti.
È
giusto,
considerò ricordando le parole di Sakura, mancavano solo
poche ore alla
mezzanotte del suo diciassettesimo compleanno. Mancavano pochi minuti
perché
incontrasse la sua anima gemella, eppure nel campo di battaglia non
c’era
nessun altro oltre a loro. Forse stava arrivando, forse era una shinobi
dell’alleanza…
qualcuno che avrebbe combattuto al suo fianco contro Tobi.
Si
distrasse dai suoi pensieri ascoltando le fastidiose parole che
l’uomo
mascherato stava dicendo. Per lui non avevano molto significato, ma
c’era
Kakashi che sotto di esse sembrava sbriciolarsi sempre di
più, che sembrava
soffrirle molto. Si infiammò di rabbia, provò un
forte scosso al cuore che lo
fece parlare ancor prima di rendersene conto.
“Bastardo!”
gridò. “Ancora con questa storia?!”
Pochi
discorsi lo facevano incazzare quanto quello che Tobi stava continuando
a
ripetere. Ogni fibra del suo essere ruggiva di orgoglio e
testardaggine, non
avrebbe mai accettato come vere quelle parole prive di speranza, non
importava
quanto gliele ripetesse – come se volesse convincerlo.
Ghignò
fra
sé, lo sguardo acceso di determinazione.
“Anch’io
ti
ho già detto che non rinuncerò al mio sogno di
diventare Hokage! Sono molte le
cose che mi sono state affidate!”
Sentì
alle
spalle i suoi compagni rianimarsi, la stessa volpe ridacchiare di
orgoglio e soddisfazione.
Eppure
Tobi
continuava a restare impassibile, nascosto dietro quella disgustosa
maschera,
pronto a ribattere con cinismo. Naruto si chiese anche solo
perché ci stesse
perdendo tempo a parlare, sentiva che era importante anche se non
capiva il
motivo. Soprattutto non capiva come facessero le sue parole ad
affondare in
lui, sembrava conoscere tutti i suoi dubbi… le sue
esitazioni. Era come se
conoscesse i suoi stessi pensieri più oscuri e non
riuscì a replicare
prontamente, sentendosi senza parole per via della rabbia e della
frustrazione.
Fu la
volpe
a riscuoterlo.
Naruto,
facciamo cambio! Devo dirgli un paio di cosette.
Rimase
confuso da quella richiesta, ma glielo permise di un buon grado e
lasciò che la
sua coscienza sopraffacesse momentaneamente la propria.
“Mi spiace per te,”
sentì la propria
voce uscire più spessa e cavernosa, “ma
non hai capito nulla di questo ragazzo. Non solo è riuscito
a fare amicizia con
me, ma ha anche imparato a usare la mia forza come si deve”.
Naruto
sussultò nella propria coscienza, una sensazione calda
davanti a quel
riconoscimento, e si voltò a guardare la volpe con
meraviglia. Kurama gli
sorrise socchiudendo gli occhi con soddisfazione e ruotò le
orecchie.
“Il Quarto Hokage mi ha sigillato in Naruto
perché potesse sconfiggerti!”
terminò.
La
sensazione
calda aumentò fino a farlo sorridere, grato alla volta di
aver raccolto i suoi
dubbi. Aveva ragione, suo padre aveva creduto in lui e per questo non
poteva
nemmeno pensare di tentennare. Era qualcosa a cui era destinato,
esattamente
come fra pochi minuti avrebbe incontrato la sua anima gemella. Non
poteva
lasciare che si incontrassero mentre si lasciava divorare
dall’incertezza, non
era così che voleva presentarsi!
Naruto
non
vedeva l’ora.
“Avanti, Naruto!” lo
spronò la volpe.
Il
fallimento non era contemplato. Scattò verso il nemico, il
manto dorato del
chakra del Kyūbi che lo ricoprì di potere.
“Agli
ordini!”
Mancava
solo
un minuto.
Ma
Naruto
non stava prestando attenzione all’orologio sul suo braccio,
troppo concentrato
nella battaglia contro il suo nemico. Solo la sensazione di
anticipazione, la
trepidazione inconscia che lo stava avvisando che stava succedendo
qualcosa gli
impediva di scordarsi dell’incontro imminente.
Si
scambiò
solo uno sguardo con Kakashi-sensei e, allenato da anni di
combattimenti
insieme, riuscì a capire da quella sua sola occhiata cosa
doveva fare. Gettò il
suo kage bushin contro Tobi, un rasengan in mano, mentre ancora si
concentrava
sulla bijū dama.
I
secondi
scorrevano.
00:00:10.
Il kage
bushin aveva raggiunto Tobi proprio in quel momento, il rasengan
proteso. Sentì
la forza del kamui di Kakashi trascinarlo nell’altra
dimensione proprio nel
mentre che Tobi lo colpiva.
00:00:09.
Tobi
sembrava soddisfatto, convinto di aver eliminato la minaccia e aver
sprecato
l’ultimo kamui di Kakashi.
00:00:08
Il vero
Naruto uscì dal suo nascondiglio proprio in quel momento,
scagliandogli contro
la sua enorme biju dama.
00:00:07.
Proprio
mentre lo colpiva, Tobi si teletrasportò interamente nella
sua dimensione
rendendosi apparentemente intangibile.
00:00:06.
Tobi
atterrò all’interno del kamui, aspettando il
momento opportuno per poter uscire.
00:00:05
Davanti
si
trovò il kage bushin di Naruto, il rasengan ancora in mano,
è capì di essere
caduto nella loro trappola. Non avrebbe mai fatto in tempo a spostarsi,
il
rasengan lo avrebbe colpito.
00:00:04.
“Non
puoi
scappare!”
00:00:3.
Merda,
imprecò mentalmente.
00:00:02.
“Chi
diavolo sei?!”
00:00:01.
La
maschera
si ruppe in mille schegge dalla forza del rasengan.
00:00:00.
I
ricordi
del kage bushin lo aggredirono nello stesso istante in cui
l’uomo mascherato
tornò visibile.
Il timer
di
Naruto era azzerato.
Tobi non
aveva più la maschera.
Fissò
il
viso della sua anima gemella con il sudore freddo che colava sul suo
viso.
No. Ti prego, no.
La
sensazione che provò fu la stessa che aveva provato tanti
anni fa, quando con i
rookie di Konoha si erano gettati a fare un bagno da una scogliera.
L’impatto e
il ruggito del vento erano stati assordanti – come la
battagli di qualche
secondo prima – ma poi aveva infranto la superficie
dell’acqua e ogni cosa si
era silenziata. Tutto gli sembrava essere in ritardo, nebuloso, pesante
e non
riusciva nemmeno a sentire le parole dei suoi compagni. Erano come
lente, distorte
e rimbombanti.
Ci
doveva
essere qualcosa di sbagliato, Naruto non riuscì a reagire
prontamente mentre
spostava lo sguardo dal suo viso e si guardava attorno. La sua anima
gemella
doveva essere arrivata, doveva essere lì da qualche
parte… forse il suo timer
era solo un po’ in anticipo…
Deglutì
faticosamente prima di rassegnarsi e tornare con gli occhi
sull’uomo poco
distante da lui. Tobi non aveva più la maschera e il suo
viso… a Naruto sembrò
di averlo già visto, come se lo conoscesse da sempre.
“Chi
diavolo è?!” gridò voltandosi verso
Kakashi e Gai, che sembravano davvero
riconoscerlo.
Fu Gai a
rispondergli: “Era un compagno di Konoha della nostra
generazione, un Uchiha.
Ma era morto nell’ultima guerra…”
Obito.
Era
così che lo aveva chiamato Kakashi prima.
Uchiha
Obito.
Ma
era…
impossibile. Perché segnava adesso lo zero? Si erano
già incontrati moltissime
volte nel corso dell’ultimo anno, perché solo ora
segnava il loro incontro come
anime gemelle? Ci doveva essere per forza un errore. Non poteva essere
lui.
Sakura
gli
aveva detto che era qualcuno che lo avrebbe amato incondizionatamente,
non
qualcuno che avrebbe tentato di ucciderlo.
I suoi
occhi si spostarono automaticamente sugli zeri allineati sul braccio
dell’avversario. Tobi – no, Obito
–
colse il suo movimento e fece un sorriso amaro, che grondava sarcasmo e
cinismo.
“Vuoi
sapere quando il mio countdown si è fermato?”
Alzò
gli
occhi e li posò su quel viso rovinato dalle cicatrici che
segnavano tutto il
lato destro del suo viso, eppure continuava a essere bello come lo
erano tutti
gli Uchiha. Si trovò ad annuire, bisognoso di trovare una
spiegazione a tutto
quello.
“Ormai
sono
passati diciassette anni” rispose alzando il braccio, il
timer ormai fermo in
mostra. “Si è fermato quando ho attaccato Konoha,
poco prima che evocassi il
Kyūbi, qualche secondo dopo la tua nascita”.
La
realizzazione gli bloccò il respiro sui polmoni e la
pressione minacciò di
spezzare la sua cassa toracica.
“Tu
lo
sapevi…” sussurrò fievole,
così piano che fu certo di non essere sentito.
Tobi
–
Obito – sapeva che erano anime gemelle e lo aveva attaccato
comunque. Aveva
continuato con il suo folle piano, aveva combattuto i suoi genitori,
ucciso e
scatenato una guerra.
La sua
anima gemella aveva fatto tutto quello.
Provò
un
forte senso di nausea, un rifiuto simile a quello che aveva provato
alla morte
di Ero-sennin, o quando gli aveva detto che Sasuke era entrato
nell’Akatsuki.
Quello… semplicemente non era una cosa che poteva succedere.
Era qualcosa che
non aveva mai pensato fosse anche solo lontanamente possibile.
Obito
gli
rivolse solo un ultimo sguardo.
“Non
preoccuparti, nel sogno potrai scegliere un’altra anima
gemella”.
Alla
menzione dello Tsuki no Me, Naruto si sentì bruciare di
rabbia. Doveva ricordarsi
che era lì per fermare quel piano folle che avrebbe
distrutto il mondo, non
doveva lasciare che quell’incidente lo distrasse.
“Un’altra?”
ripeté ringhiando. “Sei tu
la mia
anima gemella e lo sai da diciassette anni!”
Obito
fece
un sorriso meschino. “Io non posso essere un’anima
gemella. Perché io sono
nessuno, credevo di avertelo già detto”.
Fece per
ribattere fumante di rabbia a quel patetico discorso che odiava, ma poi
si
bloccò realizzando. Tornò a guardare il proprio
timer e poi quello che Obito e
capì perché non fossero sintonizzati come tutti
quelli delle anime gemelle.
Questa
era
la prima volta che incontrava Obito. Prima era sempre stato Tobi o
Madara e la
sua anima gemella non erano né Tobi né Madara, ma
quest’uomo senza maschera
davanti a lui.
Quest’uomo
che aveva rinnegato qualsiasi cosa di se stesso.
Ricordò
la
convinzione di suo padre, che sua madre gli aveva trasmesso nel loro
incontro.
Minato era convinto che si sarebbero rincontrati, Naruto e
l’uomo mascherato, e
che sarebbe stato Naruto l’unico in grado di fermarlo.
Sicuramente non sapeva
che gli dei li avevano scelti come anime gemelle, ma non era la stessa
cosa? Forse
gli dei avevano scelto Naruto perché gli ricordasse chi
fosse, la sua identità che
stava scalciando via per un piano folle.
Naruto
era
l’unico che poteva farlo.
Fece uno
sbuffo. “Quanto mi fai incazzare con questo
discorso…”, lo fissò con un ghigno
pestifero, “anima gemella”.
Obito
contrasse
lo sguardo infastidito e quell’espressione insofferente
riempì Naruto di
determinazione. Se gli dava fastidio essere chiamato in quel modo,
glielo
avrebbe ricordato ogni secondo!
“Credo
proprio che ti prenderò a testate finché non
ricomincerai a ragionare
decentemente” continuò sorridendo strafottente,
“anima gemella!”
E
scattò.
L’attimo
prima che si scontrassero, Naruto ricordò quando Sakura
aveva incontrato la sua
anima gemella e la sua minaccia dopo che l’aveva presa in
giro per ore.
“Vedremo
chi sarà a ridere!”
Oh, Sakura-chan,
non immagini nemmeno…
In
realtà lo
sappiamo tutti che il motivo vero per cui Naruto decide di
“salvare” Obito è
perché percepisce il suo dolore ed entra in contatto con i
suoi ricordi e la
sua interiorità (capitolo 651), ma possiamo sempre fingere
che come altro
motivo sia perché è la sua anima gemella xD
(https://twitter.com/2964_KO?s=09)
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Capitolo 4 *** [Gaara/Rock Lee] Lacrime ***
Prompt: Lacrime
– Telepatia.
Pairing: Gaara/Rock
Lee.
Contesto:
Canonverse.
Rating: giallo.
Avvertimenti: flashfic
Descrizione: quando
l’anima gemella piange, piangi anche tu senza un motivo.
(+questo si “attiva”
solo dal momento in cui tocchi la tua anima gemella)
Note: Ed eccoci
con i GaaLee :c solita cosa come nelle altre due: puro canonverse con
la
differenza che esistono le anime gemelle.
Il
titolo
viene dall’omonima canzone dei Coldplay ^^
Every
teardrop is a waterfall
L’ultima
volta che ricordava di aver pianto, era stato alla morte di Yashamaru.
Da quel
momento i suoi occhi erano restati secchi e asciutti, solo molto gonfi
per via
delle notti insonne. Vedeva molte persone piangere
–specialmente quando stava
per ucciderle – ma lui aveva la sua sabbia che lo proteggeva,
la madre impediva
che qualsiasi cosa lo ferisse e facesse piangere.
Gaara
non
sapeva cosa significasse piangere. Almeno finché non
incontrò lui.
Nell’altra
stanza c’erano i suoi fratelli che litigavano. Kankuro era
impaziente come al
solito, frustrato dall’attesa infinita nel Villaggio di
Konoha. Baki aveva
ordinato il silenzio fino al giorno della prova finale chūnin, ma i
suoi
fratelli sembravano nervosi in quell’attesa nel territorio
nemico. O forse
erano solo nervosi nel vivere al suo fianco.
Gaara
fissò
il profilo della città nella notte. Era addormentata,
ignara, piena di così
tante possibili vittime da sacrificare alla madre. Ma non
assecondò l’istinto
di sangue e carne che sussurrava dentro di lui come una ninnananna, rimase seduto sul letto.
Gaara
non
ricordava più cosa si provasse a piangere, perciò
rimase in un silenzio contemplativo
molto a lungo mentre strisce bagnate colavano sulle sue guance. La
vista era
nebulosa, come se stesse osservando attraverso uno spesso vetro sporco.
Sbatté le
palpebre e per qualche secondo il mondo tornò limpido,
accompagnato da un
calore umido sulle guance. Qualcosa gocciolò sulle sue mani
in grembo. Abbassò
la testa e vide molte gocce d’acqua precipitare a terra dal
suo viso.
Confuso
strofinò
un palmo sugli zigomi, trovandoli bagnati come quando restava sotto la
pioggia.
Perché
stava piangendo? Lui non era stato ferito.
“Gaara,
scusa se ti disturbo, ma…”
Temari
si
bloccò sull’uscio della porta, lo sguardo sorpreso
nel vedere il volto lucido
del fratellino. Gaara si stava ancora asciugando le guance da
quell’improvviso
scoppio di pioggia.
“Stai
bene?”
chiese preoccupata e spaventata insieme.
Annuì.
“Perché
piangi?”
“Non
lo so”.
La
ragazzina lo fissò a lungo, in silenzio, poi una luce di
comprensione brillò
negli occhi salvia. Non disse nulla, rinchiusa la porta e se ne
andò dalla
stanza.
Le
lacrime
non accennavano a fermarsi. Per quanto passasse le dita sulle ciglia e
strofinasse gli occhi continuavano a scendere.
Perché
sto piangendo?
Dall’altra
parte di Konoha, in un letto di ospedale, un bambino tratteneva a
fatica i
singhiozzi davanti al pensiero che non sarebbe mai più
potuto essere uno
shinobi.
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Capitolo 5 *** [Sai/Ino] Scriversi sul corpo ***
Prompt: Diario
– Scriversi sul corpo.
Pairing: Sai/Ino,
accenno ObiNaru.
Contesto:
Canonverse.
Rating: giallo.
Avvertimenti: tanto
fluff?
Descrizione:
Scrivendosi sul corpo, la nostra anima gemella riceverà il
messaggio.
Note: Okay,
questa è molto fluff e scemotta, con un finale che ho
aggiunto a casissimo solo
perché mi faceva troppo ridere l’idea. Spero che
vi piaccia!
Il
titolo
viene dalla canzone “write on me” delle Fifht
Harmony.
Everything
is blank until you draw me
Una
delle
cose che Sai stava imparando a conoscere era il sole e
l’estate. Aveva passato
così tanto tempo nascosto nei sotterranei di Root da non
conoscere la
sensazione del calore estivo sulla pelle, il sudore insopportabile e il
desiderio di spogliarsi per gettarsi nel fiume per un bagno. Durante
l’allenamento
per il lavoro di squadra con il Team 7 succedeva molto spesso.
Solitamente però
lui osservava dall’ombra di un albero, partecipando a
distanza all’allegria dei
suoi nuovi amici. Una cosa che gli piaceva molto fare era dipingere in
quei
momenti di calma, dove dalla sua mente non uscivano paesaggi oscuri e
tenebrosi, ma giornate di sole come quella.
Appena
tirò
fuori la tela, Sakura uscì dal fiume gocciolando con i
capelli per osservarlo. All’inizio
aveva trovato frustrante sentire occhi estranei fissarlo mentre
dipingeva, ma
si era presto abituato anche a quello. A Sakura piace vederlo dipingere
e Sai
aveva letto in qualche libro che per fare amicizia era importante
condividere
certi momenti.
Fu
proprio
mentre spargeva la basa d’acqua sulla tela che
sentì il familiare prurito all’interno
del braccio. In un caso normale non ci avrebbe fatto caso, come era
stato
addestrato, ma in quella calda giornata estiva non indossava la sua
solita
giacca e Sakura poté subito vedere le tracce
d’inchiostro.
Con un
gridolino di gioia che richiamò perfino Naruto gli
afferrò il braccio.
“Sai-kun!
La tua anima gemella ti sta scrivendo”.
Spostò
appena
pigramente gli occhi sulla sua pelle bianchissima, osservando con un
cipiglio
disinteressato il messaggio.
Che giornata
meravigliosa!
Sai
pensò
che avesse ragione, era davvero una bella giornata, ma non
capì cosa avesse di
così speciale rispetto alle altre da spingere qualcuno a
scriverlo sul proprio
braccio. Tornò a concentrarsi sulla sua tela prima che
l’acqua si asciugasse
del tutto.
“Ehi!”
lo
richiamò Sakura aggrottando la fronte. “Non le
rispondi?”
Nel
frattempo anche Naruto era arrivato e stava scrollando i capelli
dall’acqua
come un labrador.
“No”
rispose senza inclinazione.
Non si
aspettò il pugno di Sakura alla testa, né lo
sbraitare di Naruto furioso.
“Cheee?!”
gli puntò contro il dito accusatorio. “Sei una di
quelle anime gemelle stronze
che non risponde?!”
Sai
guardò
risentito Sakura e istintivamente tentò di ritrarsi, non era
mai un buon segno
stare vicino alla ragazza quando aveva quell’espressione
fumante.
“Sono
uno
shinobi” rispose sbattendo le palpebre, confuso di dover
sottolineare l’ovvio.
“E
questo
che c’entra dattebayo!” strepitò Naruto.
Sai
spostò
lo sguardo su Sakura cercando un riscontro, ma anche lei sembrava
perplessa
dalla sua spiegazione e lo guardava come se volesse prenderlo ancora a
pugni.
“Gli
shinobi
non possono provare emozioni” disse quindi, ripetendo quello
che gli aveva
insegnato Danzo-sama. “Non dobbiamo rispondere ai messaggi
delle nostre anime
gemelle perché siamo shinobi, dobbiamo restare concentrati
sulle missioni e
basta. Le anime gemelle non devono distrarci”.
“Questa
è
la spiegazione più stupida che abbia sentito”
Naruto incrociò le braccia. “Se
fosse davvero così perché allora le anime gemelle
esistono?”
Sakura
annuì, stranamente d’accordo con
l’amico. “Se non fossimo destinati a
incontrarla gli dei non ci avrebbero mai permesso di comunicare con
loro in
questo modo” concluse.
Sai ci
pensò su e si accorse che avevano ragione, non
l’aveva mai vista da questa
prospettiva. Era davvero fortunato ad avere incontrato quei due, gli
stavano
facendo davvero il mondo in modi che non aveva mai considerato.
“Quindi
voi
comunicate con la vostra anima gemella?” chiese curioso.
Sakura
mise
su una faccia imbarazzata. “A volte”.
Invece
Naruto si oscurò e accentuò il broncio.
“La mia non mi risponde mai” ringhiò
furioso. “Ho provato a scrivere di tutto ma continua a
ignorarmi! È frustrante!
Per questo dico che sei stronzo, dattebayo” si
lagnò.
Sai non
capì. “Perché?”
La
faccia
di Naruto sembrò voler esplodere da quanto divenne rossa.
“Perché la tua anima
gemella ti scrive e tu non rispondi!”
Tentò
di
giustificarsi, spiegando che era Danzo-sama che aveva proibito a lui e
ogni
membro di Root di comunicare con la propria anima gemella.
Però le parole non
uscirono e fece solo una smorfia pensando che fosse per via del sigillo
sulla
lingua.
Tornò
quindi a concentrarsi sul braccio, dove l’inchiostro di
chakra brillava ancora.
“Dovrei
rispondere?” chiese quindi incerto.
“Assolutamente!”
lo spronò Naruto con un sorrisone.
Allora
prese il proprio pennello e lo intinse nell’inchiostro, fece
per scrivere una
risposta sul proprio braccio, ma Sakura lo afferrò al polso.
“Fermo!”
ordinò.
“Sakura-chan?”
domandò Naruto confuso.
Gli
occhi
verdi della ragazza erano pensosi. “Questo sarà il
tuo primo messaggio all’anima
gemella, vero?”
Sai
confermò
annuendo solo una volta. Nel gesto fece gocciolare un goccia di
inchiostro sul
braccio, ma nessuno sembrò farci davvero caso.
“Allora
deve fare qualcosa di davvero speciale” considerò
alla fine Sakura con un
sorriso romantico. “Il primo messaggio è sempre
quello più importante! Devi
comunicare qualcosa con le parole”.
“Cosa?”
chiese Sai sentendo una strana sensazione sconosciuta che gli pungolava
il
cuore.
“Uhm…”
la
prese molto seriamente Naruto. “Perché non ti
presenti?”
Sakura
lo
colpì. “Ma sei scemo?!” lo
insultò.
“Questo
perché?” piagnucolò.
“Non
bisogna mai presentarsi” spiegò Sakura
solennemente, alzò l’indice come se
stesse per dare un’importante lezione. “Non subito
almeno, bisogna aspettare. L’attesa
e la ricerca fa parte del brivido dell’anima gemella. Se ti
presenti subito che
gusto c’è?”
“Io
mi sono
presentato subito” obiettò Naruto.
“Infatti
non ti risponde!” confermò Sakura con un ghigno.
“Vedi che ho ragione?”
L’amico
fu
costretto ad ammetterlo con un borbottio poco convinto. Sai
continuò a fissare
il proprio braccio, chiedendosi quindi cosa dovesse scriverci. Non era
mai
stato molto bravo con le parole e non capiva cosa intendesse Sakura con
qualcosa di speciale.
L’amica
sembrò rendersi conto della sua confusione,
perché gli venne incontro un
sorriso rassicurante.
“Lei
ti ha
scritto spesso?” chiese.
Corrucciò
la fronte. “Credo… di sì?”
strinse gli occhi davvero confuso. “Sì, ma non so
cosa mi scriveva. Non guardavo mai”.
“Che
stronzo” borbottò Naruto, ma non aggiunse altro
quando Sakura lo minacciò con
lo sguardo.
“Allora
devi farti perdonare” risolse.
“Ma
come?”
Sakura
ci pensò
un po’ su prima di trovare una soluzione.
“Dipingi!”
“Cosa?”
l’esclamazione
arrivò gemella sia da parte di Sai che di Naruto,
l’uno più pacato l’altro più
esuberante, e la ragazza scoppiò in una piccola risata
serena.
“Tu
sei
molto più bravo a esprimere le tue emozioni con i tuoi
quadri” spiegò. “Perché
non lo fai anche ora? Dipingi sul tuo braccio, così le
trasmetterai qualcosa di
te stesso”.
Sai ci
pensò su ragionando. Se avesse dipinto sul proprio braccio
non avrebbe potuto
tenere il disegno, perché dopo lavandosi se lo sarebbe
sciacquato via. Però
questa cosa dell’anima gemella stava assumendo le sfumature
di una missione
importante, perciò non poteva tirarsi indietro.
Prese
quindi la scatola di colori, pulì le setole del pennello
dall’inchiostro nero e
poi lo sporcò con l’azzurro. Guardò con
gli occhi socchiusi il paesaggio che
aveva di fronte a sé, la scena estiva che aveva deciso in
primo luogo di
imprimere sulla tela, e poi cominciò a lavorare sulla
propria pelle.
Si
accorse
presto che dipingere sul braccio era molto più complicato
che sulla tela. La
pelle aveva una consistenza strana e si muoveva a ogni spennellata.
L’acqua e
il colore non venivano ben assorbiti, per questo rischiava di sbavare
se non
stava attento. Il suo stile di disegno era molto impressionista, non
puntava
mai sull’eccessivo realismo, ma alla fine sul suo braccio le
figure gli parvero
ancora più indefinite del solito. Tutto sommato
però si ritrovò a essere
soddisfatto e attese insieme ai compagni di team una risposta.
Nei
secondi
di attesa si sentì il palmo delle mani sudare, ma era certo
non c’entrasse per
nulla la calura estiva, visto che si trovava all’ombra ed era
senza maglietta.
Per qualche motivo anche il suo cuore sembrava andare più
veloce, come se
avesse appena finito di correre.
Un verso
di
gioia uscì dalle labbra di Sakura quando sulla pelle si
tracciò la prima
risposta.
È
meraviglioso! L’hai fatto tu?
“No,
mi
madre” borbottò Naruto alzando gli occhi al cielo.
Sakura
lo
colpì in testa e fu abbastanza veloce da impedire a Sai di
rispondere in quel
modo, visto che credeva fosse un suggerimento. Quindi scrisse un
semplice:
Sì.
“Dai,
aggiungi qualcosa” lo spronò Sakura.
Ti piace?
Lo adoro! Quindi
sei un pittore?
Sai
guardò
Sakura in cerca di aiuto. “Io sono uno shinobi”.
“Sì,
ma sei
anche un pittore!”
Rispose
quindi affermativamente, aggiungendo:
Cosa ti
piace?
“Che
domanda è?” sbottò Naruto.
“Ho
letto
in un libro che un buon modo per avviare una conversazione è
spingere l’interlocutore
a parlare dei propri interessi e di quello che lo appassiona”.
“Shhh,
sta
rispondendo!”
Adoro i fiori!
Sai
questa
volta non ebbe bisogno del suggerimento di Sakura e riprese il proprio
pennello, cominciando a dipingere nuovamente tanti fiori diversi sulla
pelle.
Ormai stava però esaurendo lo spazio e per questo fu
costretto e capovolgerlo
per leggere la risposta.
Sono bellissimi!
Posso
dipingere quello che vuoi.
Sakura
ghignò e alzò al pollice in apprezzamento per
l’ultima risposta di Sai. Ricambiò
il sorriso un po’ incerto, ma la sua attenzione
tornò subito sulle nuove parole
sul braccio.
Potresti
dipingere me… ;)
Sakura
strillò portandosi le mani alla bocca, mentre Naruto
saltò sul posto per l’emozione.
A giudicare dalle loro reazioni doveva essere una cosa buona, ma lui si
accigliò.
“Come
faccio a dipingerla se non so chi sia?” domandò
giustamente.
Un
sorriso
sibillino si disegnò sulle labbra della sua amica.
“È arrivato il momento di
indagare sulla sua identità!”
Ma
quando
provò a chiederle qualcosa, la sua anima gemella rimase sul
misterioso senza
sbilanciarsi. Forse voleva ripagarlo per gli anni in cui non le aveva
mai
risposto.
“Non
ci
resta che cercarla” meditò Sakura.
“Chiedile
se è di Konoha” propose Naruto.
Annuì
pensando
che aveva ragione. Le anime gemelle erano sparse per tutte il
continente,
poteva perfino far parte di un villaggio nemico. Questo era uno degli
altri
motivi per cui Danzo-sama non aveva mai voluto che comunicassero.
Fortunatamente,
però, gli dei dovevano essere stati magnanimi nella scelta
perché la risposta
che arrivò era positiva.
“Andiamo
al
Villaggio!” propose Naruto alzandosi in piedi.
“Ma
come
facciamo a trovarla?” obiettò tranquillo Sai,
calmo come in ogni missione.
“Be’,
sarà
la persona con un intero braccio pasticciato”
spiegò Naruto indicandolo.
“E
se ha
delle maniche lunghe?”
“Fa
troppo
caldo per delle maniche lunghe!”
Sakura
però
prese seriamente quell’obiezione e cominciò a
pensare a una soluzione
reggendosi il mento con una mano. Una piccola luce di vittoria
animò i suoi occhi
ma non gli piacque per nulla il modo in cui lo stava guardando.
“Sai-kun”
flautò candidamente, “avvicinati”.
Sai non
voleva affatto avvicinarsi, ma immaginava di non avere molta scelta,
quindi
fece come voleva sforzandosi per mantenere un sorriso sulle labbra.
Chiuse gli
occhi quando lei con un pennarello cominciò a disegnargli
qualcosa sulla pelle.
“Sakura-chan?”
chiese accigliato e preoccupato, ma il sorriso ancora costretto sulle
labbra.
“Potrà
anche indossare la maschera di Kakashi-sensei, ma così non
ci sarà verso per
non riconoscerla!” garantì Sakura tenendosi la
lingua tra le labbra.
Sai
capì di
aver ragione a essere preoccupato quando, dopo avergli lanciato una
rapida
occhiata, Naruto scoppiò a ridere senza freno.
Non
osò
guardarsi allo specchio per capire cosa avesse disegnato sulla sua
faccia.
**
Una
volta
al Villaggio, tutti i passanti cominciarono a fissarli perplessi e con
disapprovazione. Sai aveva fatto del suo meglio per tenere fisso il suo
collaudato sorriso sereno, anche se cominciava ad agitarsi un poco.
Immaginava che
l’incontro con l’anima gemella richiedesse anche
un’interazione con essa, ma
lui non era ancora molto bravo in quel genere di dinamiche. Purtroppo
quando
aveva chiesto a Sakura di lasciarlo prima passare in libreria per
trovare un
libro che lo informasse sull’argomento lei lo aveva liquidato
senza nemmeno
rispondergli.
Invece
della biblioteca, lo portò al negozio di fiori degli
Yamanaka.
“Perché
siamo qui?” chiese Naruto osservando i fiori esposti e
aggrottando le
sopracciglia.
“La
sua
anima gemella ha detto di amare i fiori. Sicuramente guadagnerebbe
punti se si
presentasse con un bel mazzo di rose!” spiegò
Sakura elettrizzata.
Naruto
approvò in apprezzamento e cominciò a spingere
Sai perché entrasse nel negozio
di fiori. Sakura li aveva già preceduti.
“Yamanaka-san!”
la sentirono gridare. “C’è Ino? Ci serve
il suo aiuto”.
“Ciao,
Sakura” salutò la signora. “Mi dispiace,
ma Ino in questo momento…”
La donna
al
balcone si bloccò proprio nel momento esatto in cui
entrarono, gli occhi
sbarrati su Sai. Tentò un sorriso affabile e ancora una
volta si chiese che
cosa diamine gli avesse scritto sopra Sakura da far avere a tutti
quella
reazione.
“Tu…”
commentò la signora Yamanaka con le guance che si
chiazzavano di rosso. Poi però
si riscosse e, senza dare spiegazioni, fuggì nel retro
bottega chiamando a gran
voce la figlia.
Sakura e
Naruto si scambiarono uno sguardo perplesso, mentre Sai non
prestò attenzione a
quell’atteggiamento strambo e si mise a osservare i fiori
curioso. Sapeva che
era una pratica molto diffusa regalarli, ma ancora gli sfuggiva il
senso di
farlo visto che, recisi com’erano, in poco tempo sarebbero
morti. Perché a
qualcuno avrebbe dovuto far piacere riceverli? Doveva informarsi a
riguardo.
“Si
può sapere
il perché di questo baccano?!” sbraitò
una forte voce femminile che lo
distrasse dalla contemplazione di un mazzo di girasoli.
Aveva
già
incontrato Ino una volta, dove aveva malamente tentato i suoi approcci
amichevoli, ed era sicura che quella volta non avesse fiorellini e
immagini
stilizzate di conigli per tutta la faccia. Si chiese perché
se le fosse
disegnate con il pennarello, era una cosa molto curiosa. Sicuramente
avrebbe
catturato l’attenzione delle persone conciata in quel modo,
proprio come stava
capitando a lui.
Si
bloccò.
Oh.
Abbassò
gli
occhi sulle sua braccia scoperte e vide la sinistra piena di
scarabocchi.
OH.
Alzò
di
nuovo lo sguardo sul suo viso e scoprì che dalla sorpresa
non stava più
sorridendo. Si apprestò a rimediare e socchiuse anche gli
occhi, in una
imitazione di Kakashi.
“Ciao,
anima gemella”.
Non
sapeva
cosa aspettarsi. Davvero, Sakura non gli aveva permesso di leggere un
libro che
parlasse del primo incontro con la propria anima gemella, non aveva
proprio
idea di cosa sarebbe successo. Quindi costatò curioso quando
Ino lo raggiunse a
grandi falcate e lo afferrò per il colletto iniziando a
strapazzarlo.
“Che
cosa
ti salta in mente di disegnarci sulla faccia questa
obbrobri?!” gli strillò
contro furiosa.
Non
abbandonò il sorriso sereno. “Oh, ma è
stata Sakura-san. Io disegno meglio”.
“FRONTE
SPAZIOSA!” sbraitò lasciandolo andare di colpo.
Ma
Sakura
non riusciva a smettere di ridere e non valsero a nulla le minacce
dell’amica
riguardo la sua faccia che era un disastro completo. Sai
continuò a osservarle
pacifico, dubbioso su cosa dovesse fare. Si voltò verso
Naruto, che aveva uno
sguardo molto concentrato.
“Be’,
però
ha funzionato” osò e bastarono quelle parole ad
attirare Ino verso di lui.
“Ho
la
faccia che è un disastro!” tentò di
picchiarlo. “Che cosa avrebbe funzionato?!”
Naruto
sbiancò ed evitò i colpi facendo cadere un paio
di vasi.
“L’anima
gemella!” strepitò spaventato dalla furia
femminile. “L’anima gemella. Hai
trovato la tua anima gemella!”
Ino
bloccò
il pugno a pochi centimetri del suo naso, ma Naruto non osò
tirare il sospiro
di sollievo. La guardò sudando mentre la ragazza poco alla
volta realizzava
quelle parole.
In tutto
questo Sakura continuava a ridere incapace di fermarsi, trovando troppo
comico
che l’anima gemella di Ino-pig fosse proprio un incapace
sociale alla stregua
di Sai. Quando gli dei avevano scelto le coppie dovevano essersi
sentiti molto
burloni nel farlo.
Ino
guardò
attenta Sai, valutandolo. “Tu
sei la
mia anima gemella…?”
Annuì,
non
sapendo cosa fare. Subito dopo si trovò le braccia della
ragazza al collo ma
non per ucciderlo, stava compiendo quell’azione che i suoi
libri descrivevano
come abbraccio. Sorrise, più genuino del solito,
perché quella era sempre
indicata come una cosa positiva. Ricambiò
l’abbraccio, mentre Sakura gli
strizzava l’occhio in segno di vittoria.
Naruto
osservò i due abbracciarsi stretti e ragionò
sulle sue stesse parole. Aveva
funzionato. Scriversi sulla faccia
aveva funzionato.
“Yamanaka-san”
chiamò distratto, “mi può prestare un
pennarello?”
La donna
lo
accontentò senza domande, immaginando che volesse comunicare
qualcosa alla
propria anima gemella dopo quel ritrovo così toccate, ma
rimase sorpresa quando
lo vide specchiarsi sul vetro e segnarsi qualcosa sul viso.
“Prendi
questa, anima gemella stronza ‘tebayo”
borbottò fra sé.
Nello
stesso momento, ad Ame…
Obito
rientrò
di umore nero nel nascondiglio dell’Akatsuki, era
completamente sporco di
sangue dopo che aveva trucidato un gruppo di mercenari che aveva
tentato di attaccare
la loro base.
“Brutta
giornata?” domandò Zetsu divertito mentre lasciava
cadere la pesante cappa
sporca.
Non
rispose
e si tolse la maschera per ripulirla dal sangue viscido, scoprendo per
una rara
volta il suo viso. Tanto nella stanza c’era solo Zetsu, che
conosceva la sua
reale identità, quindi poteva permetterlo.
Ma, per
qualche motivo, il clone di Hashirama cominciò a ridere a
crepapelle non appena
gli occhi gialli si posarono su di lui.
Che
diavolo…
Cercò
velocemente
uno specchio per capire che cosa ci fosse di così divertente
sul suo viso e
quando si specchiò lasciò quasi cadere
l’arnese con un gemito esasperato. Su tutta
la sua faccia era stato scritto con un indelebile arancione: Sono Uzumaki Naruto e ti troverò ovunque
tu
sia brutta anima gemella stronza, credici!
Lanciò
un’occhiata
di fuoco a Zetsu mentre si accasciava esasperato a terra, meditando
l’imminente
distruzione di Konoha e di un suo abitante in particolare…
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Capitolo 6 *** [Obito/Naruto] Ricordi ***
Prompt:
Eterocromia – Ricordi.
Pairing:
Obito/Naruto, again yep.
Contesto: AU.
Rating: giallo.
Avvertimenti:
Reincarnatio!AU.
Descrizione: Conservare
i ricordi da una vita passata della nostra anima gemella.
Note: I piani
iniziali erano che questa fosse una KakaObiRin con
l’eterocromia dove sia
Kakashi che Rin possedevano un occhio sharingan, mentre Obito un occhio
nero e
uno nocciola. Tutti e tre tornavano ad avere entrambi gli occhi
coordinati solo
quando Obito risvegliava lo sharingan a Kannabi, dove anche moriva rip,
perché
era in quel momento che tutti e tre potevano riconoscersi come anime
gemelle.
Uhm, mi
spiace per aver aggiunto un OC in questa storia, ma non potevo usare
nessun
altro personaggio comparisse nel manga per un motivo di trama. Il
titolo del
capitolo viene dalla canzone “Chase” degli Sleeping
with sirens.
A
future right in front of us, our head up in the stars
Diventa
Hokage a ogni costo.
Naruto
seppellì la testa tra le coperte nel tentativo di sfuggire
al suono persistente
della sveglia, ma sembrava che qualcuno stesse improvvisando
un’orchestra
proprio nel suo cervello. Con i rimasugli del sogno che sfuggivano alla
sua
coscienza, la sua mente che diventava sempre più reattiva a
quello che lo
circondava e la vescica piena che reclamava di essere svuotata, Naruto
dovette
ammettere la sconfitta e rotolò fuori dal letto.
Sbloccò
il
telefono rimandando la sveglia invece di spegnerla, poi come uno zombie
si
spostò nel bagno per la prima pipì della
giornata.
Si
stropicciò il viso mentre le ultime parole che aveva sentito
prima che la
sveglia rompesse il suo sogno continuavano a ripetersi nella sua mente.
Che diavolo
è un Hokage …
Era una
domanda che si poneva da quando era bambino e cominciava a temere che
non
avrebbe mai trovato risposta. Anche l’internet non aveva
saputo spiegargli
nulla, l’unica cosa che aveva fatto era stato consigliargli
un ristorante
orientale.
Tirò
lo
sciacquone e passò al lavandino, dove si gettò in
viso una generosa manciata d’acqua
gelata per risvegliarsi del tutto. Incontrò i propri occhi
azzurri sul riflesso
dello specchio e si prese qualche minuto per osservarsi: pelle
abbronzata, viso
rotondo, labbra carnose, occhi rotondi e indomabili capelli biondi. Si
paragonò
a come si era visto nel sogno, con spessi marchi neri sulle guance, uno
strano
coprifronte a tenergli la frangia e gli occhi dorati, anche se forse la
cosa
più strana era il fatto che brillasse.
Naruto
non
era davvero spaventato da quel sogno rincorrente, anzi ne era
così tanto
incuriosito che ogni volta tentava di tutto per trattenere dettegli che
lo
aiutassero a capire a chi
appartenesse quel ricordo.
Nel suo
mondo cose del genere erano normali, come era normale avere
un’anima gemella.
Anzi, le due cose erano strettamente collegate. Naruto ricordava ancora
con
estrema chiarezza il giorno in cui aveva avuto il primo sogno e i suoi
genitori
gli avevano spiegato che quello era il ricordo di una vita passata
della sua
anima gemella. Nel
loro mondo ogni
persona possedeva almeno un ricordo della sua anima gemella ed era
proprio quel
ricordo che avrebbe permesso loro di rincontrarsi. La prima volta che
aveva
sognato quel ricordo Naruto aveva sei anni e ne era rimasto entusiasta,
con il
tempo a quel primo ricordo se n’erano aggiunti altri
–alcuni davvero tristi e
dolorosi – e a ogni nuovo sogno si sentiva sempre
più vicino alla meta. Ma
ormai aveva ventidue anni e non c’era stato nessun segnale da
parte della sua
anima gemella, cominciava un po’ a scoraggiarsi.
La
sveglia
del telefono vibrò di nuovo a piena potenza e questa volta
Naruto osservò lo
schermo, sbiancò nel vedere la notifica comparsa che gli
ricordava che era il
primo giorno di lavoro alla piscina.
“Merda,
sono in ritardo!” si lamentò prendendo lo
spazzolino.
**
Naruto
si
era immaginato come aitante bagnino quando aveva inviato la domanda di
assunzione alla piscina pubblica di Konoha. Ma in realtà in
quel momento si
sentì più come una babysitter e un raccatta
gommoni mentre correva da un angolo
all’altro dello stabili dietro ai bambini che non
rispettavano le regole.
Alla
fine
del suo primo turno si sentì perfettamente giustificato ad
afflosciarsi davanti
al bancone del bar per una granatina.
“Sei
il
novellino?” chiese la ragazza che lo servì
osservando la sua canottiera rossa.
Annuì,
troppo impegnato a gustarsi la bevanda rinfrescante che aggiungere
altro.
Fortunatamente la ragazza comprese il suo bisogno e non se la prese per
il
silenzio.
“Io
sono
Cathleen, lavoro qui da cinque anni. Vedrai che ti abituerai ai
bambini”.
Lo
sperò
con tutto se stesso.
“Io
sono
Uzumaki Naruto, molto piacere!” si presentò
finalmente e appena disse il
proprio nome gli occhi della ragazza si illuminarono divertiti.
“E
per caso
vuoi diventare Hokage?”
Quasi
rovesciò la granatina e sgranò gli occhi
stupefatto.
“C-cosa?”
balbettò con il cuore che dopo essere precipitato nello
stomaco balzò
nella sua gola dove cominciò a battere
furiosamente.
Cathleen
arrossì
interpretando la sua sorpresa come fastidio.
“Scusami,
è
che hai lo stesso nome del protagonista di una saga per ragazzi che
sogna di
diventare Hokage. È tipo il capo dei ninja, una cosa che non
esiste”. Abbozzò
un sorriso imbarazzato. “Scusami per la battuta, non ho
resistito”.
“Mi
stai
dicendo che esiste un libro con un tizio con il mio nome che vuole
diventare
Hokage?”
Sentì
gli
arti formicolare come se stesse perdendo sensibilità e gli
girò paurosamente la
testa. Quante possibilità c’erano che fosse solo
una coincidenza?
Lei
annuì
ancora preoccupata di aver fatto una figuraccia.
“Cioè,
in
realtà è una piccola saga di libri…
fra qualche giorno uscirà il terzo della
serie. È una storiella leggera, sai… ninja,
fantasy, cose magiche…”
“E
il protagonista
ha il mio nome” ripeté Naruto. “Per caso
c’è anche un tizio con i capelli
argenti che porta una maschera a coprirgli il viso?”
indagò pensando ad altri
ricordi che possedeva.
Cathleen
lo
guardò meravigliata. “Sì, è
il maestro Kakashi!” confermò. “Ma
quindi conosci
la saga?”
“Credo…
di
sì” borbottò ancora frastornato, al che
la ragazza si rilassò visibilmente.
Cominciò pure a chiacchierare su quei libri, a quanto pare
ne era una grande
fan, e gli rivelò che l’autore si chiamava Uchiha
Obito e stava organizzando
una firma copie.
“Io
mi sono
fatta mettere il giorno libero per andarci” sorrise
raggiante. “Potresti venire
con me se non devi venire qui. Che ne dici?”
Ricambiò
il
sorriso. “È una bellissima idea”
confermò.
Era
proprio
curioso di conoscere questo fantomatico autore.
**
Una
settimana dopo Naruto stava sopportando il sole asfissiante di Giugno
in coda
per gli autografi. Lui e Cathleen erano giusto fuori la libreria
indipendente
più grande di Konoha con le loro nuovissime copie della saga
La volontà del fuoco.
Naruto l’aveva
recuperata nel giro di quattro notti insonni e si sentiva ancora
frastornato da
quella lettura ininterrotta.
Riuscì
a
sopportare meglio la felicità di Cathleen quando entrarono
nella libreria e l’aria
condizionata gli asciugò il sudore dal collo.
Provò a sbirciare in fondo alla
fila la scrivania dove si firmavano le copie, ma c’era
proprio una pila di libri
che gli bloccava la visuale.
Cathleen
fu
la prima ad andare davanti, chiedendo anche qualche spoiler sul
prossimo libro,
mentre Naruto attese a qualche passo di distanza per dare privacy.
Osservò curioso
quello che riusciva a intravedere di Uchiha Obito sentendo uno strano
senso di
familiarità che bussava nel suo cuore. Non aveva mai visto
l’aspetto della sua
anima gemella vivendo i suoi ricordi in prima persona, ma in qualche
modo pensò
che quei capelli neri, quel viso ovale… fossero giusti.
Finalmente
toccò il suo turno e tese il libro, Obito lo prese senza
guardarlo.
“A
chi lo
dedico?”
“Naruto…”
tentò
ma si trovò ad avere la gola secca, quindi
ripeté: “Uzumaki Naruto”.
La penna
si
fermò sulla prima pagina. L’autore alzò
lo sguardo e Naruto finalmente si
specchiò negli occhi neri, poté osservare
apertamente il viso della sua anima
gemella. Rimasero a fissarsi per quelle che gli parvero ore, in cui si
sentì
arrossire sempre di più mentre l’espressione
dell’uomo si apriva nel
riconoscimento.
Sei tu.
La
proprietaria della libreria tossicchiò e Obito
sussultò sulla sedia. Senza dire
niente riprese a scrivere la dedica, come se non fosse successo nulla,
ma
quando fu il momento di riconsegnare il libro si alzò dalla
sedia.
“Aspettami
dopo il firma copie” gli sussurrò piano.
Scombussolato
Naruto riprese il libro e uscì dal negozio.
**
Con una
scusa qualsiasi era riuscito a separarsi da Cathleen. Per qualche
motivo non
voleva dirle i suoi sospetti, forse perché aveva ancora
paura di sbagliarsi nonostante
Obito stesso avesse praticamente confermato.
Si
sedette
sul bordo del marciapiede, dove per passare il tempo
cominciò a leggere i primi
capitoli del terzo libro. Come con i primi due provò una
strana sensazione di
déjà-vu nel leggere le avventura di quel ninja
dalla tuta arancione.
“Naruto”.
Quando
alzò
gli occhi si accorse che dovevano essere passate alcune ore, il sole
stava per
tramontare e il marciapiede era percorso da parecchie persone che
tornavano a
casa dalla spiaggia. Obito era in piedi al suo fianco e lo stava
fissando
incerto.
Si
alzò a
sua volta, chiedendosi cosa dire. Aveva sognato moltissime volte quel
momento,
ma ora qualsiasi pensiero coerente era svanito dalla sua mente.
Obito
distolse lo sguardo, arrossendo sugli zigomi.
“Senti,
è
quasi ora di cena e qui vicino c’è un Ramen Shop,
ti va?”
“Adoro
il
ramen” rispose senza nemmeno accorgersi, con gli occhi si
stava aggrappando a
ogni più piccolo particolare del suo volto.
Obito
accennò un sorriso. “Lo so”.
Cominciarono
a camminare, ma poi Naruto gli mostrò il libro.
“Questa
è
stata la mia vita passata?” chiese conferma, ancora timoroso
di star sbagliando
tutto.
Il
rossore
su Obito si accentuò. “Sì, ti
dà fastidio li abbia scritti?” chiese
preoccupato. “Mi è sembrato il modo più
semplice per trovarti”.
“Mi
stavi
cercando?” chiese stupidamente.
“Tu
no?”
Si
fermò in
mezzo al marciapiede, perché in quel momento gli risultava
troppo difficile
pensare, parlare e camminare allo stesso tempo. Stava andando tutto
troppo
velocemente, non era così che si aspettava il suo primo
incontro con la sua anima
gemella. Obito sembrava averla presa con così tanta calma,
come se stesse
semplicemente constatando la situazione, mentre lui si sentiva tutto in
tumulto. Obito lo stava trattando come se si conoscessero da anni,
mentre per
lui era la prima volta che lo incontrava. Voleva parlarne, anche se non
sapeva
lui stesso cosa dire.
“Io…
Io non
ho così tanti ricordi della tua vita passata” si
trovò a balbettare.
“Io
mi
ricordo tutta la tua vita” ammise Obito. “Ci sono
persone che nascono solo con
un ricordo, io sono nato con tutti”.
Naruto
lo
indicò e poi si indicò ripetutamente.
“Quindi
puoi confermare che noi due siamo…?”
“Siamo”
sorrise.
“Siamo”
ripeté
e rimase senza fiato. “Wow”.
Strappò
una
risata a Obito, anche se per un momento sembrò davvero
preoccupato.
“Sei
deluso? Ti aspettavi qualcuno di diverso?”
Naruto
lo
guardò con gli occhi spalancati.
“Cosa?
No!”
si agitò sul marciapiede e cominciò a
gesticolare. “È solo che non mi aspettavo
di trovarti così! E io
ho pochissimi
ricordi della tua vita passata, mentre tu a quanto pare ricordi tutto
della mia
e… non lo so, è strano? Io non so niente di te.
Sei un estraneo che
improvvisamente, sbham,
è la mia
anima gemella” blaterò sconclusionato, inseguendo
tutti i pensieri che gli
avevano corso nella mente mentre lo aspettava, senza preoccuparsi di
metterli
insieme coerentemente.
Obito
inclinò la testa. “Anch’io non so niente
di te”.
Quasi
gli
lanciò addosso il libro, fu però abbastanza
veloce da afferrarlo prima che lo
colpisse alla testa.
“E
come l’avresti
scritto questo?!”
“Mi
stai
dicendo che sei un ninja che sa evocare rospi, salta sugli alberi e che
ha
sigillato dentro di sé un demone?”
ridacchiò.
Naruto
arrossì di colpo, capendo quello che intendeva.
“No,
io…”
abbassò lo sguardo. “È che mi sento
come se dovessi
conoscerti, ma non è così!”
“Anch’io”
ammise addolcendo lo sguardo. “In un certo senso è
come vedere qualcuno che
conosco da tutta la vita. Ma allo stesso tempo… sei
diverso”.
Naruto
lo
spiò di sottecchi. “Quindi come si fa?”
Si
strinse
nelle spalle. “Immagino che dobbiamo scoprirlo
insieme”. Il suo sguardo si
oscurò di colpo e smise di guardarlo.
“Io… nella vita prima di questa non sono
stato una brava persona. Non con te. Per un sacco di tempo ho pensato
che la
cosa migliore sarebbe stata non cercarti…”
“Ma
siamo
anime gemelle!” protestò indignato.
Annuì
rassegnato. “Forse chi sta lassù ha voluto farmi
rimediare in questo modo,
rendendomi la tua anima gemella così che questa volta mi
prendessi cura di te
invece che… Be’”
scrollò le spalle
triste.
“Non
capisco cosa stai dicendo” lo avvisò Naruto e
guardò il libro. “Immagino siano spoiler
di questa storia. Comunque,”
risolse alzo gli occhi di nuovo sul suo viso, “Non
comportarti come se fossimo
amici di vecchia data, dobbiamo ancora conoscersi. Io voglio
conoscerti”.
Obito
sorrise alla sua espressione decisa, quasi fosse rassicurato di
vederla.
“Anch’io
voglio conoscerti” assicurò. “Voglio
conoscere la persona che sei adesso”
specificò, “e vorrei far parte della tua
vita”.
Quelle
parole gli agitarono lo stomaco, come se fossero spuntate delle
farfalle.
Nessuno gli aveva mai detto di voler far parte della sua vita e quella
confessione lo rese felice, lo fece sentire speciale.
“Allora
innanzitutto ho ventidue anni e adoro andare sullo skate e ho sempre
vissuto
qui a Konoha, adesso sto facendo un lavoro part-time come bagnino, ma
ho
intenzione di diventare un astronauta e…”
partì in quarta pronto a riassumergli
tutti i suoi ventidue anni di vita, ma Obito lo interruppe prima che
potesse
farlo.
“Magari
davanti
a una tazza di ramen?” propose divertito.
“Andata”
rendendosi conto di essere stato troppo entusiasta.
Ripresero
a
camminare, ma fecero solo qualche passo prima che Obito si voltasse a
guardarlo
stralunato.
“Astronauta?”
ripeté esterrefatto ed esasperato insieme.
“Perché in ogni tua dannata vita
devi avere un sogno megalomane?!”
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Capitolo 7 *** [Shisui/Itachi] Filo rosso ***
Prompt: Microchip
– Filo Rosso.
Pairing:
Shisui/Itachi.
Contesto:
Canonverse.
Rating: arancione.
Avvertimenti: No happy
ending, lime.
Descrizione: Si
possiede filo rosso, legato solitamente al mignolo, che è
legato all’anima
gemella (mito giapponese/asiatico)
Note: Omg siamo
arrivati all’ultima. Le considerazioni generale sulla
raccolta le rimando a
fine capitolo, per ora mi limito a parlare di questo. Gli ShiIta :c non
ne ho
mai scritto tanto e soprattutto mai come principali, cosa che voglio
rimediare
ultimamente visto che mi è ristoppiato l’amore per
loro! Questa, come quasi
tutte le altre, è strettamente legata al
canonverse… quindi è una tragedia
>.<
Il
titolo
viene dalla canzone “Hunger” dei Florence + The
Machine.
You make a
fool of death with your beauty
Era
stata
sua nonna a dirglielo, quando aveva quattro anni e aveva sviluppato lo
sharingan. Insieme all’iride cremisi aveva visto comparire un
sottile filo
rosso legato al suo mignolo, con un nodo così stretto che
non era riuscito in nessun
modo a slegarlo. Per un folle momento aveva pensato perfino di provare
a tagliarlo
con un kunai, giusto per vedere cosa succedeva. Sua nonna lo aveva
fermato
prima che compiesse l’irreparabile. Facendolo sedere sulle
sue ginocchia, gli
aveva preso la mano e gli aveva parlato seriamente, come se fosse un
adulto.
“Shisui,
tesoro mio, quello è il filo del tuo destino”.
“Il
mio
destino?”
“Ogni
essere umano è legato a un altro essere umano dal destino,
così hanno deciso
gli dei. Questo filo rosso ci collega a chi siamo destinati, seguendolo
saremo
in grado di trovarlo”.
“Ma
perché
lo vedo solo ora? Perché non vedo il tuo?”
Gli
aveva
lisciato canticchiando i capelli ribelli in un tentativo di ordine
prima di
rispondere.
“Normalmente
gli uomini non sono in grado di vederlo, ma noi Uchiha possiamo farlo
nel
momento in cui manifestiamo il nostro sharingan. I nostri occhi rossi
ci
permettono di vedere quello che altri non possono, compreso il nostro
destino.
Ma possiamo vedere solo il nostro filo, non quello delle altre persone.
Siamo autorizzati
a conoscere solo il nostro destino”. Fece una smorfia seria e
piena di
rimprovero. “È un modo carino degli dei di dirci
di tenere il naso nei nostri
affari”.
Shisui
sapeva che stava rimproverando lui, perché era sempre stato
troppo curioso e
per questo si era sempre messo nei guai.
“Quindi,
nonna, il tuo filo era collegato al nonno?”
Appunto:
troppo curioso.
Sua
nonna
non rispose, si limitò a lanciare un’occhiata
sulla foto sbiadita di Uchiha
Kagami al fianco del Nindame, poi lo mandò a giocare.
Shisui
avrebbe capito solo molti anni dopo quello che intendeva con quel
silenzio: non
sempre incontri il tuo destino.
**
Shisui
aveva provato a lungo a cercare la propria anima gemella, ma qualsiasi
suo
tentativo terminava in un fallimento. Aveva provato a seguire il filo
come se
si trovasse all’interno di un labirinto, ma non ne trovava
mai il capo. La maggior
parte delle volte finiva per incastrarsi nello stesso e inciampare nei
suoi
stessi passi. Percorrere la strada a ritroso non era la soluzione.
Poi
erano
arrivate le missioni. Avevano iniziato a salutarlo come
l’Uchiha più dotato dei
suoi tempi e il filo rosso del suo destino si era confuso con il rosso
del
sangue del suo migliore amico che gli imbrattava le mani, morto per
colpa sua. Il
risveglio del Mangekyo sharingan aveva portato gioia nella sua
famiglia,
convinti che sarebbe diventato così forte da superare
perfino suo nonno Kagami,
e vergogna nel cuore di Shisui. Non aveva mai avuto il coraggio di
rivelare
come avesse risvegliato quell’occhio maledetto.
Ero
così geloso di lui che ho lasciato morisse.
La
guerra
era finita da un anno e Shisui aveva solo otto anni.
**
Il filo
cominciò a tirare, a esercitare una piccola pressione che lo
tendeva tra i
dedalo di Konoha. Shisui lo osservò curioso e
sperimentò. Provò ad allontanarsi
verso la direzione opposta e scoprì che poteva farlo: il
filo sembrava tentare
di trattenerlo, ma poi si allungava magicamente permettendogli di
allontanarsi.
Shisui
ci
pensò attentamente, ma poi decise di assecondare chiunque
stesse tirando dall’altro
capo.
Camminò
per
tutto il distretto Uchiha mentre il filo si accorciava, uscì
nel Villaggio e
arrivò all’Accademia, entrò e
uscì da una classe e poi si diresse verso il
bosco dei campi di allenamento Uchiha. Si spostò fra gli
alberi fino ad
arrivare a una piccola radura.
Sul
tronco
di un albero caduto c’era un altro bambino.
Shisui
continuò a seguire il filo che si accorciava
finché non gli fu davanti. Il bambino
aveva un gomitolo di filo rosso in grembo, dove continuava ad
arrotolare meticoloso.
Si fermò solo quando all’ultimo giro
sentì una forte resistenza e alzò il viso,
trovandosi davanti a Shisui.
Era
molto
carino, anche se i suoi occhi erano molto stanchi. Sembravano gli occhi
di un
adulto, anche se doveva essere più piccolo di lui.
Fissò
il
gomitolo e fece un piccolo sorriso per
l’ingegnosità. Nemmeno
lui aveva pensato di provare a
trovarlo tirando il filo invece che seguirlo, come aveva fatto fallendo.
“Sei
molto
intelligente” considerò. “Sei il figlio
di Fugaku-sama?”
“Itachi”
si
presentò, la voce ancora molto infantile. “Tu sei
Shisui del teletrasporto?”
Annuì
e poi
si sentì in impaccio. Sua nonna gli aveva raccontato delle
anime gemella, ma
non gli aveva spiegato come fare se si incontravano.
Shisui
era
uno shinobi, c’era solo una cosa in cui era addestrato e
sapeva fare bene.
“Potrei
vedere il tuo Mangekyo, per favore?” chiese con tono educato
Itachi.
Gli
sorrise
ancora e scoprì che gli veniva semplice sorridergli. Non
erano quegli
stiramenti di labbra formali, senza sentimento e mai troppo
sbilanciati. Era un
vero sorriso.
Alzò
la
mano con l’indice e il medio uniti al mento.
“Se
riesci
a mettermi in difficoltà, te lo mostro” promette e
gli occhi onice di Itachi si
illuminano al riconoscimento.
Sono
shinobi, c’è solo un modo che conoscono per
esprimere il proprio cuore: con la
guerra.
**
Atterrò
acquattato sull’erba, un movimento silenzioso e fluido mentre
afferrava la
manciata di shuriken dal borsello. Ruotò sulle punte dei
piedi, le ginocchia
ancora piegate e la coda lunga che disegnava un cerchio attorno a lui.
Teso e
pronto allo scattò vago con gli occhi rossi tra gli alberi
che lo circondavano.
I tre tomoe roteavano come impazziti, cogliendo ogni più
piccolo dettaglio
della foresta che lo circondava. Scattò con il braccio e gli
shuriken volarono
nell’aria, dando l’impressione di seguire il
bersaglio.
Itachi
percepiva Shisui saltare sui rami, nascondersi fra le fronde. Vedeva il
sottile
rosso arrampicarsi sugli alberi, srotolarsi tutto attorno a lui.
Gli
shuriken si conficcarono sulle cortecce e tagliarono foglie senza
nemmeno
sfiorare il loro bersaglio. Maledetto
shunshin. Ma non importava, il suo
sharingan gli aveva mostrato abbastanza.
Tese i
muscoli pronto al balzo, gli occhi che continuavano a seguire i
velocissimi
movimenti sugli alberi. Afferrò l’ultimo kunai
rimasto e concentrò la giusta
quantità di chakra sui piedi. Saltò in aria
più in alto di quanto avrebbe
potuto normalmente e intercettò Shisui nella metà
di un balzo, prevedendo lo
spostamento.
Shisui
era
stato veloce a reagire, usò le piastre
dell’avambraccio per frenare il colpo di
kunai e ne approfittò allo stesso tempo per calciarlo via.
Ancora a
mezz’aria si separarono, atterrando ai lati opposti dello
spiazzo erboso.
Itachi scattò nel momento esatto in cui i piedi toccarono
terra, consapevole di
non poter dare nemmeno un secondo di vantaggio a Shisui. Ma a quanto
pare il
cugino si era stancato di scappare e nascondersi dai suoi attacchi,
perché
fronteggiò l’attacco a sua volta.
Sharingan
contro sharingan era sempre uno scontro basato sulla previsione e la
sorpresa. I
tomoi ruotavano nell’iridi vedendo con chiarezza ogni
più piccola mossa, se
solo Itachi si fosse permesso di distrarsi avrebbe potuto contare le
ciglia di
Shisui.
Il
sospiro
affrettato dalla fatica dei muscoli era coperto dallo scontrarsi del
metallo e
dall’impatto dei corpi. Danzavano in cerchio, i piedi che si
muovevano veloci a
ogni passo studiato. I filo rosso si muoveva con loro, stringendoli di
più a
ogni piroetta. Non era una vero intralcio, sapevano entrambi che era
puro
chakra intangibile, ma entrambi cominciarono istintivamente a muoversi
come se
rischiassero di inciampare sulla corda tesa. Fu l’errore
fatale di Itachi, che
nel tentativo di non aggrovigliarsi, abbassò momentaneamente
la guardia.
Così
non si
trovò a ruzzolare per via di un inciampo al filo del
destino, ma per uno
sgambetto furtivo della sua anima gemella.
Soffiò
fuori l’aria dei polmoni mentre atterrava di schiena e
Shisui, fulmineo
ovviamente, lo cullava alla nuca con il palmo per impedirgli di
sbattere sul
terreno e farsi male. La gentilezza non gli impedì
però di appoggiare il
ginocchio sulla sua cassa toracica, in posizione di dominanza.
“Vittoria”.
Itachi
accennò un piccolo sorriso mentre lo pungolò al
fianco scoperto con il kunai
che non aveva mai lasciato andare.
“Parità”
corresse.
Shisui
dovette
ammetterlo con una risata esasperata. Abbandonò la
rigidità dei muscoli e
rilassò gli arti, scivolando dolcemente al lato di Itachi
sul terreno. Il
minore però non permise che si allontanasse troppo da lui,
continuò a premere
contro di lui e intrecciò le loro gambe mentre si spostava
di lato a sua volta.
Aveva ancora lo sharingan attivo, ora poteva contare le sue ciglia,
soffermarsi
sull’arrossamento della pelle e distinguere ogni ciocca di
capelli sudati e
ribelli. Si avvicinò ancora provando sollievo nel toccarlo,
nel sentire l’odore
del sudore sulla pelle.
Shisui
lo
assecondò socchiudendo gli occhi, alzò una mano
ad afferrare l’inizio della
coda sulla nuca, un gesto ormai così abituale fra loro che
spinse Itachi a far
sfiorare il suo viso fino all’incontro delle labbra
socchiuse.
Avevano
sperimentato i baci fin da subito, anche se quando erano bambini era
solo
contatti innocenti sulle guance e la fronte. Era stato solo nei dieci
anni di
Itachi, quando un tredicenne Shisui aveva avuto l’impulso di
premere per
qualche secondo le loro labbra insieme. Da quel momento era stato un
processo
graduale che aveva portato entrambi a essere a loro agio con quel
gesto, a
sentirlo familiare e semplice come respirare.
Ma
quella
volta, probabilmente complice l’adrenalina che il cuore
ancora pompava nelle
vene come una droga che amplificava ogni percezione, si
sentì pronto a osare –desiderare
– di più.
Circospetto
alzò le mani sul viso di Shisui, sfiorandogli con i
polpastrelli i lineamenti
più marcati degli zigomi, fino a immergersi le punta sui
ciuffi ribelli delle
basette corte. Shisui continuò ad assecondare i movimenti
della bocca socchiusa
e ciò diede la spinta a Itachi di continuare.
Avvicinò maggiormente i loro
visi, esercitando più pressione con la bocca e allungando la
lingua a leccare
il bordo delle labbra dell’altro.
Quel
gesto
fece irrigidire brevemente Shisui, ma non si spostò
né tentò di allontanarlo. Aprì
solo gli occhi osservandolo curioso mentre faceva i suoi tentativi ed
esplorava
attento. Si scostò solo quando Itachi provò a
spingere la lingua a incontrare
la sua.
“Aspetta,
‘Tachi…”
mormorò ansante.
Ma lui
sembrò
non ascoltarlo, la sua mente concentrata nel sentire il corpo caldo
vicino. Voleva
esplorare ancora, sperimentare ancora. Assecondò il
desiderio che lo spingeva a
premere con il viso sulla gola di Shisui, baciò il collo
incuriosito dal
trovare piacevole quel calore, dal sentire le sue viscere agitarsi nel
saggiare
con la lingua il sapore salato della pelle morbida. Il gemito che
uscì
strozzato da Shisui e che fece rabbrividire tutto il suo corpo gli
provocò una
fitta al basso ventre, spingendolo a cercare maggiore contatto.
Ma a
quel
punto Shisui si fece più incisivo e sgusciò via
dalla sua presa mettendo delle
distanza fra loro. Aveva il viso acceso di rosso, come gli occhi che
sembravano
ribollire lava da quanto erano liquidi.
“Che
stai
facendo?” domandò ansioso, il fiatone che non
aveva più nulla a che fare con lo
sforzo fisico del loro piccolo sparring.
Itachi
non
rispose subito verbalmente, alzò solo la coscia incastrata
fra le sue gambe fino
a spingere contro una durezza all’inguine.
“Sei
eccitato” gli disse con il cuore che si agitava di
aspettativa e desiderio di
spingersi oltre a quello che erano soliti fare.
“Anch’io lo sono”.
Shisui
lo
fermò dallo strofinarsi contro di lui.
“È
ovvio”
borbottò in imbarazzo. “Abbiamo appena combattuto,
l’adrenalina ha circolato e
tu mi hai toccato”.
“Voglio
toccarti ancora”.
“Itachi”
lo
richiamò come se volesse riportarlo alla ragione.
“Abbiamo detto che aspettiamo
i tuoi sedici anni per quello”
gli
ricordò.
In quel
momento due anni di attesa gli sembravano infiniti. Voleva di
più e lo voleva
ora.
“Ci
sono
altre cose che possiamo fare nel frattempo” osò
facendo resistenza al suo
tentativo di allontanarlo ancora.
Shisui
lo
fissò con il fiato bloccato in gola e si sentì
estremamente debole davanti allo
sguardo di Itachi. Se quello era un suo tentativo di volgere gli esiti
dello
scontro a suo favore… ci stava riuscendo egregiamente.
Itachi
approfittò del suo momento di esitazione per spingere ancora
a strofinare il
viso sul collo, che si trovò a esporre ancor di
più con un sospiro soddisfatto.
Non aveva mai immaginato che un gesto del genere potesse riempirlo di
così
tanti brividi, agitargli lo stomaco e indebolirgli le gambe. La forma
delle
labbra sulla pelle sensibile, che solitamente tendeva a proteggere e
non
offrire, gli stava facendo vedere le stelle.
Usò
le
briciole della sua forza di volontà per afferrarlo alle
spalle e allontanarlo
ancora. Ormai erano entrambi seduti contro un albero.
“Ma
tu vuoi
farlo?” fu l’unica cosa che riuscì a
dire. “Ti senti pronto?”
Ricevette
un’occhiata seria e meditabonda, come se Itachi stesse
valutando le proprie
capacità per la riuscita di una specifica missione, ma poi
annuì.
“Tu?”
rigirò la domanda.
Shisui
desiderava intimamente Itachi da quando era entrato ufficialmente
nell’adolescenza
e si sentì un po’ spaesato nel ricevere quella
domanda a sua volta. Nella sua
mente si era sempre considerato lui il maggiore da dover tirare un
freno per
lasciare spazio e tempo a Itachi. Non si aspettava che la situazione
potesse
volgersi al contrario, con lui che spingeva Itachi a trattenersi.
“Sì”
disse
con un piccolo sorriso emozionato, le dita che formicolavano.
Itachi
ricambiò il sorriso sereno e gli tornò vicino,
questa volta senza trovare
resistenza. Continuò la sua esplorazione afferrando il
colletto alto della
classica uniforme Uchiha per tornare a concentrarsi sul suo collo.
Shisui
canticchiò in apprezzamento, rilassandosi nonostante i
continui brividi per
quell’attenzione, e allungò le mani sulla sua
testa per accarezzargli i
capelli. Pettinarlo era un gesto che lo rasserenava sempre.
Tornò ad agitarsi
di nuovo, però, quando Itachi spinse i fianchi contro i suoi
e dondolo,
mandandogli una fitta inequivocabile. Non sapeva perché si
sentisse così
preoccupato, ma gli dava la sensazione che tutto stesse andando troppo
veloce e
gli sfuggisse dalle mani. Quando quella mattina era uscito di casa non
si
aspettava che giornata finisse in quel modo. Non sapeva se era
più spaventato o
eccitato all’idea che Itachi continuasse.
“Aspetta…”
mormorò fioco, ma Itachi riuscì a sentirlo e
quindi si allontanò con un broncio
infastidito.
Itachi
aveva sempre un aspetto serio che lo faceva sembrare molto
più vecchio della
sua vera età, complici i segni di stanchezza che lo
segnavano sotto gli occhi,
l’espressione meditabonda e il portamento calmo, controllato;
perfino i suoi
genitori spesso lo trattavano come se fosse un adulto, dimenticando la
sua vera
età. A Shisui provocava il batticuore pensare che solo con
lui Itachi perdeva
quella sua tipica compostezza, assomigliando molto di più
all’adolescente impaziente
che sarebbe dovuto essere. Perciò ingoiò la
protesta che gli era affiorata alle
labbra e si spinse a baciarlo, osando approfondirlo come poco prima
aveva
tentato di fare lui. Scivolò con le mani dalle sue spalle ad
afferragli i
fianchi e lo sentì sospirare direttamente nella sua bocca.
Nonostante
la frenesia l’audacia iniziale di Itachi, continuarono a
toccarsi e baciarsi
senza osare mai troppo, ancora incerti su quello che stavano facendo.
Shisui
aveva un po’ la sensazione di camminare su un campo minato e
più si approfondiva
in esso più rischiava di far scoppiare la mine sotterrate.
Baciarlo così a
lungo, mordendo le labbra e inseguendo la lingua, e toccarlo con le
mani
ovunque arrivasse era più di quanto avesse sempre osato fare
ed era davvero
bello.
Sentiva
la
pressione dell’eccitazione e l’agitarsi dei suoi
ormoni, ma allo stesso tempo
era tutto così meraviglioso da farlo crogiolare in quel
limbo.
In ogni
caso, quando Itachi si fece così audace da tentare di
infilare una mano nei
suoi pantaloni, pensò fosse il momento di fermarsi
lì.
“Sta
tramontando, dobbiamo tornare” offrì come
spiegazione all’espressione contrita
di Itachi.
Molte
ciocche corvine era scappate dall’elastico, che pendeva ormai
alla base della
coda pronto a sciogliersi del tutto, e numerosi fili d’erba
di erano incastrati
tra i capelli. Shisui sapeva di avere un altrettanto aspetto arruffato.
Gli
andò
alle spalle sistemando i capelli di nuovo nell’ordinata coda
e dividendo nodi.
“La
prossima volta” promise e nel farlo si sentì le
mani sudare e il cuore battere
impazzito. Il che era davvero ridicolo, riusciva a stare tranquillo
davanti
alla più pericolosa missione omicida, ma si agitava
all’idea di quel passo in
avanti con la sua anima gemella.
“Mhh”
canticchiò Itachi prendendo seriamente la promessa.
“I prossimi giorni sono
impegnato con la squadra Ro” aggiunse.
“Il
Sandaime mi ha convocato” disse a sua volta senza
sbilanciarsi troppo.
Aveva
promesso a Itachi che si sarebbe occupato lui del colpo di stato,
quindi non
voleva dirgli del suo piano. Temeva che non l’avrebbe presa
bene dal momento
che si trattava di manipolare mentalmente suo padre.
“Ci
vediamo
fra quattro giorni, prima della riunione del clan?” propose
alzandosi per
recuperare la loro attrezzatura.
Itachi
lo
seguì. “Solito posto”
confermò. Probabilmente suo padre avrebbe voluto
partecipasse alla riunione, ma gli avrebbe detto di essere impegnato in
missione. Il suo sguardo si oscurò al pensiero della sua
famiglia e di quello
in cui si stavano invischiando.
Shisui
lo
afferrò per il codino, tirandolo leggermente come a voler
ricatturare la sua
attenzione, e gli sorrise rassicurante. Ricambiò il sorriso
sereno.
Finché
ci
sarebbe stato il filo rosso a unirli non doveva temere niente.
**
Shisui
era
molto in ritardo, cosa insolita.
Non si
rassicurò
quando finalmente avvertì la sua presenza fra gli alberi,
perché non si mostrò
e l’unica cosa che disse fu di seguirlo. Fece come gli
diceva, seguendo il filo
rosso finché non arrivò alla scogliera del fiume
Naka. Shisui era sul bordo,
che guardava nel baratro con le spalle piegate.
C’era
odore
di sangue nel vento e proveniva da Shisui. Il suo istinto allenato da
shinobi
lo fece subito preparare al peggio.
Shisui
non
si voltò quando iniziò a parlare.
“Ormai
sembra che il colpo di stato degli Uchiha sia inarrestabile. E se
Konoha
iniziasse una guerra intestina, di sicuro gli altri paesi ne
approfitterebbero
per aggredirci, si scatenerebbe un conflitto globale”.
Itachi
si
mosse inquieto, chiedendosi perché tirasse fuori quel
discorso. Ne avevano già
parlato spesso da quando il Sandaime aveva affidato a Shisui il compito
di
appianare i contrasti, spesso gli aveva chiesto il suo parere in
merito. Ma mai
il suo tono era stato così inevitabile, come se la
catastrofe fosse pronta a
scatenarsi nell’immediato.
Provò
a
dire qualcosa, ma Shisui scelse proprio quel momento per girarsi e
tutto, ogni
parola e pensiero, soffocarono davanti un orrore gelido. Sangue colava
dall’occhio
destro di Shisui, chiuso su un’orbita che poteva indovinare
vuota.
“Quando
ho
provato a fermare il complotto usando kotoamatsukami Danzo mi ha rubato
l’occhio
destro. Lui non si fida di me, preferisce proteggere il villaggio alla
sua
maniera, senza preoccuparsi delle conseguenze”
spiegò.
La mente
di
Itachi lavorò veloce, raggiungendo subito la veloce
conclusione e la
comprensione che Shisui voleva usare la tecnica del suo Mangekyo su
Fugaku. Era
una mossa rischiosa, che avrebbe funzionato solo se anche il Villaggio
avesse
cambiato modo di approcciarsi agli Uchiha. Non era stupito che Danzo
non l’avesse
approvata.
“Scommetto
che tornerà per impadronirsi dell’altro
occhio” aggiunse fronteggiandolo e alzò
un mano al viso. Itachi capì cosa aveva intenzione di fare e
provò un senso di
inquietudine nel vederlo scavarsi l’orbita con le dita,
trasppandosi l’occhio
rimasto. “Prima che ciò accada lo darò
a te”.
La prima
sensazione che provò fu un fiotto di disperazione e rifiuto,
ma poi si ricordò
del suo dovere. Quell’incontro si era appena trasformato in
una missione e si
fidava della decisione di Shisui.
Avrebbe
nascosto il mangekyo di Shisui, perciò lo prese. Il sangue
colava su entrambi i
suoi zigomi, ma la sua anima gemella stava sorridendo fiducioso.
“Sei
il mio
unico vero amico e l’unico a cui posso chiederlo”
disse. “Proteggi il villaggio
e il nome degli Uchiha”.
“Lo
custodirò io” promise serio. “Tu ora
cosa farai?”
Per
Shisui
la cosa migliore era nasconderlo dalla scena e trovare un luogo sicuro
dove
potesse nascondersi. Probabilmente avrebbe dovuto uscire dal Villaggio,
trovare
una copertura e qualcosa che lo facesse uscire dai radar. Anche se in
quel modo
c’era il rischio che Konoha lo avrebbe considerato un
traditore e con il suo
nome nel bingo book molti mercenari lo avrebbero cercato.
Shisui
rispose mentre valutava ancora tutte le sue opzioni.
“La
mia
morte cambierà parecchie cose. Ho lasciato una
lettera…”
L’espressione
pensosa di Itachi si infranse immediatamente, distorcendosi
nell’orrore che
fino a quel momento aveva domato dentro di sì.
Sgranò gli occhi e si protese
verso di lui mentre notava che aveva iniziato a fare passi verso il
bordo.
“No,
Shisui!” supplicò indovinando la sua intenzione.
“Non
fermami, Itachi!” gli ordinò autorevole, i piedi
che sfioravano il bordo del
precipizio elle sue spalle.
Un solo
passo…
Shisui
gli
sorrise, dolce, come aveva fatto milioni di volte, quel sorriso che era
solo loro.
E si
sbilanciò all’indietro, offrendosi alla
gravità.
Itachi
scattò,
lo sharingan attivo come se potesse permettergli di afferrare prima che
scivolasse oltre. Afferrò il vuoto, le sua dita strinsero il
filo rosso che
veniva teso.
E in
quel
momento si spezzò.
E
così la #Thewritingweek
si è conclusa! È la
prima volta che partecipo a un’iniziativa di Fanwriter.it, a meno che non
consideriamo il p0rnfest.
Comunque sia è stato bello, permettendomi di cimentarmi nel
Soulmate!AU che volevo
provare da molto con più coppie che amo. Purtroppo devo dire
di non essere
molto soddisfatta del risultato. Paradossalmente, le uniche due OS che
mi hanno
convinta almeno al 60% sono state la prima e l’ultima
>.< Va be’, colpa
anche mia che tendo sempre a procrastinare e mi sono trovata a scrivere
anche
per il giorno stesso!!
In ogni
caso, spero che a voi siano piaciute tutte comunque nel loro insieme.
Vi
ringrazio per avermi seguito in questa challenge, soprattutto ringrazio
Maryromanziere che ha recensito
ogni
capitolo della raccolta ^^
Vi
lascio
un bacio, un abbraccio e un augurio e rivederci per nuove storie!
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