Arachnophilia - L'amore del ragno di Ylpeis (/viewuser.php?uid=1032653)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un momento da soli con l'ignoto, azzera il mondo, immagina casa. ***
Capitolo 2: *** Perdersi per scoprire chi sei, segui la tua storia, ricorda il tuo nome. ***
Capitolo 3: *** Diventa il tipo che ride ancora alle farfalle, dammi una casa dentro te fino all'ultimo grazie. ***
Capitolo 1 *** Un momento da soli con l'ignoto, azzera il mondo, immagina casa. ***
Capitolo primo. Un momento da soli con l'ignoto, azzera il mondo, immagina casa.
«Ti
hanno dato tutto ciò di cui
disponevano, hanno votato la loro vita per la tua causa, ora ti
chiedo, anzi, pretendo, che li ripaghi del loro sacrificio!
Permettigli di essere artefici del loro destino e di ritrovarsi
ancora» –
Da che ha memoria,
sente una voce familiare ripetere questa frase all'infinito nella sua
mente, facendogli intuire che c'è una soluzione a quella
sensazione
di vuoto che lo logora da dentro.
Le
giornate sono tutte uguali, buie,
umide, la routine si ripete all'infinito: svegliarsi, lottare,
sfamarsi, dormire e ripetere.
Ha come la sensazione di essere sempre
stato un combattente, oggi come ieri – uno Ieri
a cui non
riesce a dare una forma, ma sa esserci
stato – continua a lottare per scacciare il peso della
solitudine:
sa
che se non continua
a reagire finirebbe col rinunciare alla ricerca di quel qualcosa
che potrebbe liberarlo dal buio della sua esistenza.
Sente di essere allo stremo, la corazza
dura inizia a cedere, i troppi scontri l'hanno segnato in maniera
indelebile, innumerevoli cicatrici serpeggiano sul suo corpo che
sente indebolirsi giorno dopo giorno, la vista è parziale e
gli
permette di distinguere solo alcune ombre nel buio che lo circonda.
Però, nonostante tutte queste
aggravanti, sa che
quando si
troverà di fronte quel qualcosa
riuscirà a distinguerlo.
Nei
rari momenti in
cui il buio non lo circonda si ritrova a volare con la mente in
luoghi sconosciuti, alberi che si stagliano infiniti nel cielo,
praterie senza fine, al fianco una presenza costante che lo stimola
ad andare più avanti, ad osare di più del giorno
precedente.
In altri momenti
quella presenza lo conforta alla luce della candela che rischiara un
ambiente dalle pareti di pietra, umido e un po' angusto, ma che
comunque ha il sapore di casa: in quei momenti c'è aroma di
tè
nell'aria, parole sussurrate e altre non dette, tocchi fugaci, quasi
rubati a qualcosa di più grande.
È quella presenza
che sa di dover cercare, oggi come allora gli da la forza di tirare
avanti.
Purtroppo questi
fugaci attimi di libertà sono sempre troppo brevi ed
è sempre più
doloroso tornare all'ombra che lo circonda e lo inghiotte ogni volta
sempre un po' di più.
Tutto
sembra
proseguire in un ciclo infinito fino a quando, inaspettatamente, un
giorno come un altro, tutto cambia.
Il mondo attorno a
lui inizia a tremare, rumori assordanti gli annebbiano i sensi, cerca
di rintanarsi in quella oscurità che l'ha accolto fino a
quel
momento e che non era poi tanto inospitale se confrontata con quel
baccano infernale.
Quel trambusto dura
per ore, forse giorni, non ha il coraggio di abbandonare il suo
rifugio, poi così come è iniziato, tutto tace:
rimane solo con un
leggero calpestio ovattato di passi e un leggero fascio luce che
filtra da una fessura di fronte a lui.
Raggiunge quello spiraglio e con una
curiosità che non gli appartiene guarda oltre:
è così che il buio della sua
esistenza viene rischiarato per
sempre e la realtà acquisisce una nuova dimensione,
tutto è
grande,
molto più grande di
quello che aveva sempre creduto.
L'ambiente è familiare e sconosciuto
al tempo stesso.
Lui conosce quel posto, le pareti
stuccate non dovrebbero essere così chiare, c'era della
pietra– la
finestra non avrebbe dovuto avere un vetro– c'è
troppa luce–
scuote il capo cercando di ridare ordine a quelle strane immagini che
iniziano a sovrapporsi e torna a focalizzarsi sul presente.
Quando
una porta
viene chiusa sente il pavimento vibrare per dei passi che gli
permettono di rivalutare la sua prospettiva: non è il mondo
attorno
ad essere grande ma lui ad essere basso ed insignificante, la
superficie lucida accanto a lui riflette impietosa un essere
grottesco dalle molte zampe, scuro e informe.
D'istinto
corre a nascondersi, non ha mai visto una cosa così
ripugnante– o
forse sì.
Quando si accorge
che quell'essere sembra sparito nel nulla esce dal nascondiglio ed
è
allora che lo rivede e capisce: quell'essere distorto e
raccapricciante è lui.
Alza
un arto sottile e allungato davanti al suo raggio visivo, ne alza un
altro e il suo equilibrio viene meno – “Non
è
possibile”
– Eppure è la
verità.
Lancia un'occhiata
fugace all'altra persona nella stanza, che ignara del suo tormento
pulisce un tavolo canticchiando, prima di rintanarsi in un buco buio
e cercare di capire qualcosa di più.
Ha capito di essere
un ragno, eppure non ha mai avuto la sensazione di esserlo, ma come
avrebbe potuto capirlo quando viveva nell'oscurità? E poi
quelle
immagini, quei sogni così vividi da sembrare
reali…
La risata del
coinquilino lo distoglie dai suoi pensieri e lo attira, lo ammalia.
È
una risata sincera, squillante, familiare.
«No mamma, tranquilla, sì lo
so–
no, non c'è nessuno– no… MAMMA! NO! Non
c'è bisogno che tu
venga! Mamma! Se vuoi venire in visita, e sottolineo visita, sei la
benvenuta, ma non pensare di trasferirti qui! È casa mia!
–Beh non
proprio ma hai capito» La voce
è profonda e calorosa.
Come una falena
verso la fiamma viene attirato verso l'estraneo, si arrampica fino a
raggiungere un piano più elevato e studia la figura del
giovane che
è ancora impegnato a parlare al telefono, appoggiato al
tavolo con
un fianco e una mano tra i capelli castani.
È
lui.
Sta
ridendo per
qualcosa che ha detto l'altra persona, quella risata che lo attira e
lo chiama fuori dall'oblio, si gratta il capo– forse in
imbarazzo,
le ciocche castane gli cadono scomposte e ribelli attorno al viso
dall'incarnato ambrato. Una leggera peluria gli adombra la parte
inferiore del viso, come a leggergli nel pensiero accarezza il
leggero accenno di barba contropelo per poi grattarsi in maniera
distratta, annuisce col capo affrettandosi a replicare verbalmente
quando si ricorda che l'interlocutore non può vederlo.
Lo
sguardo è assorto, sa che la mente è lontana da
quella
conversazione, quante volte l'ha visto perdersi nei suoi
pensieri–
Eren. Non riesce a
chiamarlo, quello che crede un bofonchio è solo uno sfregare
di
zannette e niente più.
L'oggetto della sua
ricerca è di fronte a lui e non potrebbe essere
più lontano di
così.
*
Stanno condividendo il
loro rituale serale, la debole luce della candela riscalda
l'ambiente, nell'aria il distintivo aroma di agrumi e tè. La
giornata è passata tranquilla, gli allenamenti non troppo
pressanti
e non c'è nessuna spedizione in programma, possono godersi
un po' di
meritato riposo fisico e mentale.
Si perde ogni tanto a
guardare la figura vicino a lui, i gomiti si accarezzano in maniera
casuale, sotto al tavolo le gambe fanno altrettanto in quella
conversazione fatta di gesti e occhiate fugaci.
Distratto com'è non si
accorge di niente e l'urlo decisamente poco virile del
ragazzo– «Capitano attento! La sua
mano–».
I riflessi allenati gli
permettono di fermare l'altro prima che commetta l'irreparabile
«È
solo un ragnetto Eren». Lo ammonisce rilasciandone la mano
calda.
«Ma Capitano, è pericoloso!» L'occhiata
traversa che gli
riserva riesce a farlo tacere.
«I ragni sono esseri
superiori Eren, mia madre mi raccontava sempre che anche le
più
grandi divinità fanno affidamento ai ragni per tessere il
destino
degli umani, pensaci, così piccoli eppure così
efficienti e letali»
Il ragnetto incriminato è
lontano dalla loro conversazione, ma lo sguardo di entrambi
è sul
punto in cui stava per essere ucciso. «E le ragnatele? Lei
odia lo
sporco»
«È un compromesso
accettabile, le mosche sono molto più ripugnanti,
mangia-merda a
tradimento … zzzh–
bzz–
bzz– un fastidioso rumore lo ridesta dal torpore dei suoi
sogni.
Proprio un esemplare di quella sudicia
razza è arrivata nella sua ragnatela, è
così che capisce che il
suo odio per le mosche non solo viene rinnovato, ma anche fomentato.
Un ricordo così piacevole interrotto da quella bestia
immonda è
più per frustrazione che per fame che se ne ciba.
Nonostante abbia provato ad isolarsi
da
tutto, il suo udito finissimo è sempre stato sintonizzato
sulla voce
del coinquilino, in quei giorni ha imparato alcune cose sul suo
conto: è all'ultimo anno di università e quella
è la prima
esperienza di vita in solitaria; è riuscito a raggiungere un
compromesso con la madre iperprotettiva – o morbosamente
curiosa,
parole sue – e a ritagliarsi un suo primo spazio nel mondo.
Il ragazzo odia gli spazi rumorosi,
gli innescano spiacevoli attacchi d'ansia, e preferisce non stare a
contatto con troppe persone per lo stesso motivo, è per
questo che
ha optato per una sistemazione non convenzionale.
La
proprietà in cui risiedono è un vecchio castello,
proprietà estiva
di un amico di famiglia, in cui gli è stato proposto vitto e
alloggio insieme ad un modesto compenso mensile per dei piccoli
lavori di ristrutturazione e manutenzione.
Tutto
ciò l'ha estrapolato dalle chiacchierate che gli sente
quotidianamente fare con i suoi conoscenti.
Rimuginando
su questi pensieri torna in cima al mobilio per osservare il
protagonista dei suoi pensieri.
Sta
asciugando dei piatti, l'attenzione e la cura con cui controlla se
sono rimaste macchie o aloni è ammirevole. Bofonchia tra
sé e sé
quando ne trova una e procede a lavarla di nuovo: acqua calda
– che
gli brucia le mani visto il movimento repentino con cui ritira la
mancina dopo aver controllato la temperatura – insapona e
risciacqua.
Solo se
il risultato è soddisfacente e appoggia la stoviglia insieme
alle
altre nel mobile.
Il
fischio del bollitore richiama la sua attenzione e subito lo spegne
preparando la teiera, l'aroma di agrumi riempie l'aria quasi
all'istante e si trova nuovamente trascinato in quel torpore di
sensazioni che hanno il sapore di casa. La luce che filtra dalla
finestra si sta affievolendo, la notte prossima e il ragazzo accende
solo una lampada che scalda l'ambiente proprio come nelle sue
memorie.
Senza
rendersene conto si è spinto più avanti,
abbandonando il suo porto
sicuro e avvicinandosi all'oggetto dei suoi desideri, è
seduto al
tavolo e soffia sul tè per raffreddarlo mentre tiene le mani
salde
attorno alla tazza per scaldarsi. Alcune ciocche di capelli scivolano
dal codino in cui sono raccolti e gli ciondolano attorno al viso, la
zampa che alza a mezz'aria gli ricorda la reale distanza fra loro, la
ritrae, pur desiderando di poter spostare anche solo una ciocca
dietro l'orecchio e lasciare libere le gemme preziose che sono i suoi
occhi.
Sospirando
si sistema i capelli da solo, si alza e torna con un libro colmo di
segnalibri, lo appoggia sul tavolo con un tonfo aprendolo e
affondandoci il naso estraniandosi dal mondo.
Decide
di osare di più – ormai il nascondiglio
è lontano –, non
sopporta di vivere un'esistenza nel buio e soprattutto, un'esistenza
lontana da Eren. Forse sono essere gli ultimi giorni che passano
insieme e vuole raggiungere tutto ciò che gli è
concesso.
Il
calore della teiera lo pietrifica, si accorge solo in quel momento di
essere arrivato più vicino di quello che si era prefissato,
davanti
a sé si trova lo schienale della sedia su cui è
seduto Eren.
La
schiena è larga, il ragazzo è sempre stato
dannatamente alto, nota
che ha mantenuto il
vizio di sfregarsi la nuca per poi affondare la mano fra i capelli
massaggiandosi il capo– ricorda
come gli piacesse quando si prendeva la
libertà di farlo…
«Ahia
scotta–» La sedia
stride e si trova faccia a faccia col ragazzo.
Deglutisce,
o crede di farlo– si porta le zampette davanti per paura, il
sogno
ancora vivido nella sua mente, forse non aveva messo in conto tutti i
rischi, ma la botta non arriva e riapre gli occhi: il ragazzo lo sta
studiando incuriosito.
Il viso
è molto vicino e ne sente il fiato caldo contro il muso.
«Hey,
credevo di aver pulito tutto per bene, devo averti distrutto la
ragnatela– eppure…». È
rilassato mentre parla, non resiste e
alza una zampetta, vorrebbe tanto accarezzarlo, il ragazzo sorride
maggiormente e “batte il cinque” con una penna.
“Comprensibile”
«Piacere
sono Eren, e tu dovresti essere un Eremita– anche se un po'
malconcio»
È
basito, non ha cercato di ucciderlo, ritrae la zampa e rimane fermo a
guardarlo armeggiare con qualcosa e troppo distratto dal contatto
insperato si trova imprigionato da un bicchiere e un pezzo di carta.
«Ora
scusami ma è meglio se tu stai in un posto che ti si addice
di più»
“No!
Non allontanarmi” Può solo sbattere le zampette
contro la
superficie fredda, il calore della mano si irradia attraverso carta,
non fa in tempo ad apprezzarlo che si ritrova al freddo e al buio
fuori dalla finestra.
La luce
della lampada rimane accesa per poco dopo il suo sfratto, Eren lancia
un'occhiata nella sua direzione prima di spegnere tutto e dirigersi
verso la camera da letto.
Dopo un
primo smarrimento iniziale decide di non arrendersi, non si
lascerà
lasciare indietro così, ha superato ostacoli più
grandi di una
finestra chiusa. Il calore della memoria si fonde col calore che ha
sentito irradiarsi dal palmo e capisce che non vuole rinunciarci. La
vita è troppo breve e ignora quanto possa restargli in
quella forma,
di certo non sprecherà quei momenti al freddo e lontano da
Eren.
*
Viene
ri-sbattuto fuori casa altre tre volte e riesce a rientrare quattro
prima di ottenere il riconoscimento reciproco di coinquilino.
«Hai
vinto, dopotutto eri qui prima di me»– è
tutto ciò che gli dice
quando – sempre col sorriso – gli permette di
restare, il suo
rifugio è stato pulito, ma il ragazzo non gli impedisce di
tornare
nei suoi anfratti preferiti.
La
convivenza prosegue senza problemi, si instaura un rapporto strano
tra loro due, lui sa che
c'è qualcosa di più che li unisce, Eren al
contrario ignora questo
dettaglio, ma lo tratta comunque con tutto il rispetto che si darebbe
ad un coinquilino.
Le
cose procedono tranquille, tranne quando dei piccoli cambiamenti
vengono apportati alla loro routine. Come il giorno del
quasi–incidente–
come l'ha definito il ragazzo.
Eren
aveva passato una nottataccia a rigirarsi nel letto in preda ad
incubi, e lui ad inseguire una dannata zanzara che osava disturbare
il sonno già abbastanza agitato dell'umano.
La
mattina seguente non si era mosso dalla tana per la preda un po'
indigesta ed Eren aveva iniziato il suo solito giro settimanale di
pulizie.
Intontito
dal sonno e un po' spossato dall'ansia che continuava ad
attanagliarlo da dentro non si era accorto, se non troppo tardi, di
una ragnatela che aveva risucchiato con l'aspirapolvere e della
mancanza del ragno.
L'attacco
d'ansia era peggiorato irrimediabilmente e aveva iniziato a ribaltare
i mobili alla ricerca del compagno, che spuntò dopo un po'
sentendosi chiamare a gran voce.
Da quel
giorno ogni volta si assicura di averlo sottocchio quando fa le
pulizie e lui di rimando gli va incontro ogni volta che rientra a
casa e alla sera quando è ora di coricarsi si dirigono in
camera
insieme, dove ha provveduto a costruire una tana dietro al comodino.
A lui
sta bene questa nuova routine che si è instaurata, non si
sente né
animale di compagnia, né una presenza scomoda, si sente a
casa;
questo è quello che continua a raccontarsi per cercare di
ignorare
la sensazione scomoda che gli attanaglia le viscere.
Se c'è
una cosa che ha imparato, è che quando qualcosa sembra
andare bene,
è destinata a cambiare per evolvere in qualcos'altro di
inaspettato.
Non sempre in negativo, però lui non è pronto per
cambiare nulla.
Si
attarda sul comodino quando Eren è già
addormentato, ne osserva il
profilo illuminato dalla luna, i capelli sciolti gli circondano il
viso rilassato, la fronte alta, il naso dritto e leggermente a punta
che poi scende verso le labbra piene.
Quanto
vorrebbe poterlo sfiorare– e allora decide di farlo.
Cammina
fin sul cuscino e con delicatezza si avvicina al viso e finalmente
con una zampetta riesce a sfiorare l'incarnato caldo, purtroppo non
riesce a saggiarne la morbidezza – maledette zampe di ragno.
“Eren”
In un
attimo la quiete e la calma vengono turbate e il viso del ragazzo si
contorce in un'espressione di dolore, la bocca si apre e si chiude, i
denti digrignano e poi inizia a rigirarsi nel letto in preda al
tormento.
Cos'ha
combinato?! È di sicuro colpa sua! Si sente impotente come
mai in
vita sua, vorrebbe poterlo chiamare, dirgli che va tutto bene, che
è
al sicuro, ma non può.
Si
maledice all'infinito per non essersi saputo accontentare, per non
essersi fatto bastare la vicinanza del giovane.
Maledice
la sua curiosità e la sua disperazione. Eren ora sta male
per colpa
sua!
Si
arrovella nella ricerca di una soluzione, ignora quell'impulso
viscerale che gli dice di tessere, di fare ciò che ogni
ragno fa per
vivere – tessi la tela e sciogli i nodi.
Tessi la tela e sciogli i
nodi, tessi la tela– Scuote la
testa, è la cosa più stupida che potesse venirgli
in mente, gli
basta uno sguardo al tormento del giovane per convincersi di tentare
– non è che possa fare nient'altro.
Rapido
raggiunge la testata del letto e qui inizia a tessere, si lancia da
destra a sinistra, avanti e indietro, cerca di tessere una delle
più
belle e intricare ragnatele della sua breve vita aracnoide,
è
impegnato nel lavoro quando sente la bava sotto le zampe iniziare a
vibrare, come quando rimangono impigliati degli insetti.
La
vibrazione si fa sempre più intensa obbligandolo a fermarsi
per
cercare l'insolente che ha il coraggio di distrarlo in un momento
così importante, sotto di lui Eren sembra in un tormento
anche
maggiore.
Osserva
attento la ragnatela e poi li vede, dei piccoli grumi di tela, eppure
è stato attentissimo!
Torna
sui suoi passi a sciogliere l'errore, con movimenti rapidi e precisi
scioglie il filo ingarbugliato, ogni volta che gli sembra di esserci
riuscito il maledetto si aggroviglia maggiormente come per magia.
Frustrato
prova a morderlo per romperlo, gli occhi di Eren si spalancano e si
richiudono, il respiro si fa sempre più rapido. Morde e tira
ed è
allora che qualcosa si spezza.
È caldo, un
caldo
insopportabile, vorrebbe togliersi la pelle se possibile, tutto
attorno sangue e fetore di carne arrostita.
La testa pulsa, fa male,
chiude gli occhi ma il dolore è sempre presente e aumenta
inesorabile, prova ad afferrare la testa tra le mani, vorrebbe
poterla sbattere contro qualcosa, spaccarla, pur di avere un po' di
tregua.
Urla, chiama, nessuno
risponde.
Si sente tremendamente
solo, abbandonato, più sprofonda nell'oblio e più
l'agonia si fa
insopportabile, prova di nuovo a chiamare quel nome, lo urla con
tutto se stesso ed è allora che vede un raggio di luce.
«Va tutto bene moccioso»
Il tono scherzoso con cui lo chiama non riesce a mascherarne la
preoccupazione, non riesce a vederlo, ma sente il proprio corpo
venire prelevato da quella trappola infernale e finalmente riesce a
respirare.
Quando riapre gli occhi
si trova nella solita cella, si alza di scatto facendo cadere la
pezza umida che aveva appoggiata sulla fronte, sente un po' di
movimento accanto a lui e una mano fresca gli sfiora la fronte per
poi accarezzargli una guancia. «Come stai?» Non
riesce a
identificare il volto dello sconosciuto, ma la sua preoccupazione
è
balsamo per il suo animo tormentato.
La bocca impastata gli
impedisce di rispondere e la testa gli gira un po'.
Accetta il bicchiere
d'acqua che gli viene offerto, la mano dell'altro lo aiuta nel
sorreggerlo, le dita si intrecciano e non si mollano nemmeno quando
il bicchiere viene rimosso.
«Meglio» Riesce a
rispondere a nemmeno lui sa chi.
«Mi fa piacere» – lo
sente sussurrare, vede un sorriso distendere le labbra severe di quel
viso nell'ombra e poi le sente appoggiarsi morbide sulla sua fronte.
«Dormi tranquillo» Gli sussurrano ad un soffio
dalla sua pelle e
fin dentro l'anima al tempo stesso.
Il sonno
di Eren finalmente si rilassa, il nodo che teneva tra le zanne
è
sparito e gli è rimasta solo una sensazione dolciastra in
bocca,
pulisce le zanne e cerca di memorizzarla nella mente.
Non ha
capito cos'è successo, però il viso non
più solo rilassato ma
anche sorridente di Eren è la ricompensa più
grande che potesse
ricevere.
La
ragnatela si scioglie e cade bagnando il viso, una lacrima leggera
scivola tra le ciglia lunghe fino a bagnare il cuscino, un nome
scappa inconsapevolmente dalle labbra del ragazzo ma le sue orecchie
sempre attente lo sentono. “Sono qui” prova
comunque a
rispondere.
Con la
testa pesante e il cuore più leggero si ritira nella sua
tana, se
questo è il cambiamento può farci l'abitudine.
Note di un'autrice pigra e
incocludente.
Diciamo che la situazione che
stiamo vivendo mi ha portato a viaggiare altrove con la testa e
così ho deciso di rimettermi davanti ad una tastiera e di
alleggerire un po' il carico mentale.
Ho il computer pieno di storie
già scritte a cui manca solo un finale, però
questa ha preso il sopravvento, è conclusa e in fase di
revisione., la fic si comporrà di tre capitoli in totale.
La considero una fiaba anomala, si può considerare
conseguente ad un eventuale finale del manga. Ci tengo a precisare che
non ci sono spoiler sul finale canonico, ciò a cui si
farà riferimento sono episodi fittizi ambientati nel canon.
Ringrazio infinitamente tutte quelle
buonanime che continuano a sopportarmi nonostante gli altri e bassi.
(DropOfJupyter parlo di te!)
|
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Capitolo 2 *** Perdersi per scoprire chi sei, segui la tua storia, ricorda il tuo nome. ***
Capitolo secondo. Perdersi per
scoprire chi sei, segui la tua storia, ricorda il tuo nome.
Quello
a cui non avrebbe mai potuto fare l'abitudine è la visita
che
subiscono il giorno
seguente.
Il sogno
sembra aver lasciato più segni del previsto su di Eren, che
continua
a grattarsi il capo, rovesciare oggetti e sbattere ovunque da appena
sveglio.
È distratto, anche uno stupido lo vedrebbe. Mormora tra
sé e sé frasi sconnesse, si gira a guardarlo, la
bocca socchiusa,
pronta per dire qualcosa che però si rimangia ancor prima di
pronunciare.
Quando
si rovescia la tazza di tè caldo sulla mano si decide a
chiedere
aiuto a qualcuno, ed è così che lui si ritrova
relegato alla camera
da letto su gentile richiesta di Eren– è
incredibile la
considerazione che ha delle sue capacità cognitive, non che
sia mal
riposta, però è stupito dalla fiducia che riserva
in lui, e
cascasse il cielo se si dimostrerà degno, dopotutto lui non
è solo
un ragno!
«Scusami
Eremita, però sta per arrivare mia mamma e lei–
come dire– è un
po' aracnofobica, puoi farmi il favore di stare in camera
finché non
andrà via?».
Acconsente
senza indugio.
Col
senno di poi era la cosa più saggia per tutti. L'urlo di
donna che
squarcia il silenzio lo mette sull'attenti per un momento, poi
collega il tutto e si tranquillizza, anche se rimane comunque vicino
allo spiffero della porta. Se ci fosse bisogno vuole essere pronto
–
il pensiero di quanto possa sembrare ridicolo il suo intervento
è
opportunamente accantonato: dopotutto la sera precedente il suo aiuto
è stato importante per Eren – o per lo meno
è arrivato a questa
conclusione.
Segue a
strascichi la conversazione dall'altra stanza.
Eren riassume a
grandi linee il sogno e realizza che in qualche modo ne è
stato
spettatore anche lui, tramite le sue parole ripercorre tutti i
momenti, il caldo, il dolore e poi ricorda la propria voce parlare al
ragazzo– quanto vorrebbe essergli vicino come ha potuto farlo
durante la notte.
«È uguale ai sogni
brutti che facevo da bambino– però
diverso» Gli
sembra di vederlo, finire la frase mordendosi il labbro per poi
alzare quei suoi occhioni brillanti.
«In che modo?» E
allora lo sente iniziare a raccontare la parte dopo,
il conforto, la presenza accanto a lui, i tocchi leggeri e
rassicuranti. «È lui mamma,
ne sono sicuro!»
Spalanca
gli occhi a quella confessione, allora qualcosa ricorda anche lui!
«Oh tesoro mio»
«Mi manca mamma» La
voce si rompe alla fine e ne sente i malcelati singhiozzi, non riesce
a sopportare oltre e decide di raggiunge Eren.
Non
ci mette molto a percorrere la breve distanza, fa appena in tempo a
scorgere la figura abbracciata su se stessa del ragazzo prima del
delirio: tutto succede in un attimo, un urlo, un'imprecazione, una
scusa ed infine una scatola.
«Eremita!
Cosa ti avevo detto!? Mamma scusa lui–» Non riesce
a vedere la
donna, dalla scatola vede solo il viso preoccupato di Eren che
alterna lo sguardo da lui alla persona davanti a sé.
La sente
buttare giù a gran sorsi dell'acqua e cercare di riprendere
il
controllo sul respiro. «Eren, che cos'è quella
cosa!?» Il tono è
sottile, col fiato corto riesce a dire solo una parola tremolante per
volta.
Un altro
sospiro e un leggero sorriso incurva le labbra del ragazzo.
«È
Eremita, il mio amico ragno» Lo sguardo è di nuovo
sulla donna,
forse a cercarne una reazione.
«Eren,
amore mio, ti ho sempre lasciato fare ciò che credevi,
però non
credo che–» La scatola si incrina un po' quando la
afferra e la
stringe con entrambe le mani.
«NO! No
mamma, fidati di me! È tranquillo, lui, è mio
amico!»
La donna
sospira nuovamente. «È pericoloso Eren, ragiona,
è un ragno!
Potrebbe morderti un giorno! Devi liberartene» Vorrebbe
saltare
fuori dalla scatola per mostrarle con chi ha a che fare,
però il
modo in cui lo sguardo di Eren sembra accarezzarlo lo fa desistere,
è
già venuto meno alla richiesta – assolutamente
sensata – di
poche ore prima. Non deve peggiorare ulteriormente la situazione.
Allora
si fa più piccolo e ripone tutta la sua fiducia nel ragazzo
che
riprende a parlare senza mai distogliere lo sguardo da lui.
«No
mamma, mi dispiace ma questa è casa mia e del mio amico, so
che non è una scelta di cui mi pentirò–»
A quella frase una fitta gli trapassa il cervello ed è lo
stesso per
Eren che si tiene le tempie allo stesso modo.
«Eren–?» Scuote la
testa e allunga la mano verso la madre, forse afferrandone la mano.
«Ti
prego mamma, fidati di me».
Lei
sospira mormorando un «Cosa non si fa per i figli»
– che suscita
una risata in entrambi. «Va bene! Non farmi quegli occhioni
da
cerbiatto! Dai, raccontami di Eremita».
Capiscono
entrambi dal tono che preferirebbe parlare di altre cose.
«L'hai
chiesto tu!».
Il
bicchiere viene riempito di nuovo e segue un altro sospiro.
«So che
muori dalla voglia di parlarne, te lo si legge in faccia»
Eren
ride e inizia a raccontare della loro convivenza, racconta di
dettagli che non credeva nemmeno che avesse notato, snocciolando
aneddoti ed episodi che lui stesso aveva considerato normali, e
invece Eren aveva osservato e memorizzato con vorace
curiosità.
«–Uno scarafaggio mamma! Dovevi vederlo, era il
doppio di lui, e
non ha avuto nemmeno bisogno che fosse nella ragnatela, è
riuscito
ad inseguirlo e a catturarlo prima che potesse scappare sotto un
mobile! È incredibile! È il ragno più
forte che abbia mai visto!»–
e poi – «L'ho visto lavarsi un giorno in una
ciotola con un po'
d'acqua nel lavandino» – si ricorda quell'episodio,
aveva
catturato una sudicia mosca e si era accorto troppo tardi che
ovviamente venendo
dall'esterno era di ritorno da un banchetto “Cosa
avrei dovuto fare!? Le mie zampe puzzavano!” Vorrebbe
replicare, e
si limita ad agitare le zampette frustrato.
Davvero,
a lui non sembra nulla di così eccezionale, ma a quanto pare
lo è
per un ragno.
«Non
credi di esserti affezionato troppo? Non è normale–»
Perde il contatto visivo con Eren quando alza il viso di scatto.
«Ma
se sei tu che mi hai insegnato a non farmi limitare dalle convenzioni
sociali».
La
risposta sembra bastare per darle da pensare «Hai ragione,
è che
sei così prezioso per me, non vorrei ti succedesse nulla di
male,
solo solo preoccupata».
«Beh
non esserlo, ho qui il ragno eremita più forte a farmi
compagnia»
«Non
credi che Eremita sia un nome sbagliato per lui?»
Il
ragazzo sembra soppesare le parole della madre, lo sguardo intenso e
attento. «Beh, ha tenuto testa a quello scarafaggio enorme da
solo,
e con tre zampe in meno e forse pure qualche occhio in meno visto il
graffio sul musetto–»
«È
ridotto tanto male?! Fa' vede– no, meglio di no, mi
fido» Ridono
entrambi e lui stesso si stupisce della descrizione, sentiva qualcosa
di sbagliato, ma non credeva di essere tanto distrutto fisicamente.
«Strongest, è un nome adatto al più
forte dei ragni».
Il
discorso poi torna sul sogno, la madre non manca di fargli notare
come la sola presenza dell'amico l'abbia distratto dallo spiacevole
ricordo, Eren replica che non è affatto uno spiacevole
ricordo, la
prima parte è tollerabile vista l'evoluzione del sogno.
Quei
sogni erano una ricorrenza puntuale nell'adolescenza, ma mai erano
evoluti in quel modo, mai aveva provato sollievo al risveglio, la
presenza che l'aveva rassicurato nel sogno arrivava di rado in
precedenza e anche quando succedeva, non era riuscito a rassicurarlo
a quel modo.
Ne
sentiva la mancanza, ma mai come dopo il risveglio di quella
mattinata.
E lui
avrebbe voluto rassicurarlo che ora era lì, che non se ne
andrà
via. Vorrebbe un modo per comunicarglielo, riesce solo ad alzare una
zampetta, l'azione attira il ragazzo che con delicatezza avvicina il
dito indice fino a toccarlo. “Sono qui e non me ne
andrò” Eren
sorride, il calore del polpastrello fa in tempo ad entrargli entra
dentro che il contatto viene interrotto, sempre troppo presto per i
suoi gusti.
La madre
del ragazzo resta fino a prima di cena, continuano chiacchierando del
lavoro di Eren, del suo capo molto soddisfatto del suo operato, degli
studi e degli esami incombenti.
«Bene,
è ora che vada, ah Eren, un'ultima cosa, hai presente quel
detective
con cui ho iniziato a vedermi?» Il ragazzo si limita ad
annuire.
«Ecco sta diventando seria e mi piacerebbe fartelo conoscere,
per te
va bene? So che è improvviso e non voglio che pensi che ti
voglia
rimpiazzare–»
Eren
sorride e abbraccia la donna. «Sono felice per te, capisco i
tuoi
bisogni e quando vorrai siete entrambi i benvenuti».
La donna
è felice per la comprensione del figlio e non smette di
ringraziarlo, Eren ride per la reazione esagerata. «Spero di
essere
tanto comprensiva quando mi porterai a casa una ragazza».
«Per
questo non c'è pericolo» Il suo tono carico di
sarcasmo, gli occhi
di tristezza – «Goditi la tua relazione e mi
raccomando usa le
protezioni!» La rimprovera il figlio facendola ridere di
rimando.
«Sì
mamma». Si fanno la linguaccia a vicenda e si salutano, deve
ammettere che ha davvero una madre particolare.
*
Cerca
di far fede alla promessa fatta e continua a proteggere Eren a modo
suo, non è molto, ma l'umano sembra apprezzarlo comunque. La
madre è
passata in visita altre volte, e lui è sempre stato nella
scatolina
attrezzata apposta, gli ha messo a disposizione dell'acqua e una
decorazione da acquario come
tana.
Eren
notò il suo disappunto quando gliela portò
– in qualche modo
devono hanno sviluppato una sorta di telepatia, altrimenti non si
spiega la semplicità con cui riesce a percepire
ciò che vorrebbe
comunicargli ogni volta. «Non fare così!
È fighissimo questo
teschio col tesoro! – ecco bravo mettiti lì,
proprio lì! Sei
perfetto!» .
Non sa
di preciso perché asseconda le sue richieste– non
è vero, lo sa
eccome, è l'entusiasmo con cui viene ripagato ogni volta.
L'ormai
familiare flash lo acceca come al solito quando immortala il momento
e gli gira il telefono per mostrargli con orgoglio lo scatto.
«Guardati! Sei così cazzuto!».
Ed è
vero, ma che disdetta, non può dirglielo. «Lo so
che sei d'accordo
con me!»
“Mannaggia”
È una
sera come un'altra quando un incubo di Eren lo sveglia, questa volta
è pronto e subito esce dalla sua tana con teschio per
raggiungere la
testata del letto dove inizia a tessere, il suo istinto si è
rivelato eccellente la volta precedente, e lo asseconda senza
pensarci due volte.
Eren
è meno agitato della volta scorsa, ha la fronte è
aggrottata,
afferra le lenzuola con entrambe le mani e chiama, supplica piangendo
mamma, Mikasa, Armin, Le–
Torna a
prestare attenzione alla ragnatela cercando i familiari nodi e li
nota formarsi qua e là per tutta l'estensione della
ragnatela,
ignora i più piccoli e si fionda sul più grosso,
è quella la
chiave dell'incubo: non perde tempo cercando di sciogliere il nodo e
lo prende tra le zanne mordendo e invece del caldo della volta
precedente, ad accoglierlo c'è il nulla.
Una voce si perde nel
vuoto che lo circonda – «Armin, Armin dove
sei?»
«Mikasa, Mikasa dai
vieni fuori ti prego!»
«Mamma! Mamma ho freddo»
I singhiozzi sempre più
violenti gli impediscono anche di parlare, il freddo gli entra fin
dentro le viscere, non riesce a scaldarsi, sfrega le braccia in cerca
di un conforto che non merita.
Una voce profonda che lo
raggiunge lo fa rabbrividire ancor di più «Li hai
traditi tutti,
hai scelto morte invece della vita, sei un mostro–»
«Hai fatto la
scelta sbagliata» – scaccia la mano che gli
accarezza i capelli
«Ma non preoccuparti, ora ci sono io» Quella frase
è sbagliata,
non dovrebbe essere lui
a dirla, non è lui
che ha promesso di proteggerlo. «Le–» Uno
schiaffo in pieno viso
lo fa tentennare – «NON NOMINARLO»
Riprova a dire quel nome ma le
lettere gli muoiono in bocca, tenta e ritenta inutilmente.
«Hai
deluso anche lui, sei inutile, hanno sbagliato a riporre la fiducia
dell'umanità in te»
Non cerca nemmeno di
difendersi, perché in cuor suo sa che non sono accuse,
bensì la
verità.
Prova a richiamare quel
nome ma una presa ferrea gli stringe la gola impedendogli di
respirare. «Sono io la tua unica speranza fratellino, lui non
ve–»
Il sibilo di una lama interrompe la frase, la mano sparisce ma non
è
solo. «Sono qui Eren»
Il buio si dirada e
davanti a lui c'è una mano tesa, la afferra e tutto inizia a
rischiararsi.
Sono nuovamente al sicuro
nella loro cella, il buio che lo circonda non lo disturba
più, ora
non è solo, è al sicuro.
Contro la sua schiena
nuda sente un petto muscoloso, il peso di una testa sulla spalla, la
sua appoggiata ad un pettorale caldo, delle braccia lo circondano
protettive e si chiudono attorno al suo addome.
«Va tutto bene»
Eren
si accoccola meglio in quel calore confortevole. «Nessuno ti
ha
abbandonato, non hai sbagliato, hai fatto ciò che ritenevi
giusto»
Vuole crederci, in cuor
suo sa che quelle parole sono sincere e decide di godersi quel
momento di tranquillità. Le labbra del compagno tempestano
il suo
capo con baci leggeri e rassicurazioni. Va tutto bene– Ci
sono io–
Sei al sicuro.
Prova a chiamarlo, ma il
nome gli viene imprigionato in un bacio ancor prima che possa
pronunciarlo.
Molla
anche l'ultimo nodo, la ragnatela inizia a sciogliersi come la volta
precedente e la osserva cadere sul viso del ragazzo in una cascata di
stille di luce, Eren ora è rilassato, nel sonno si volta
verso di
lui, i tratti rilassati e un leggero sorriso ad increspargli le
labbra. Quando sta per rientrare nella sua tana gli dedica un'ultima
occhiata e poi torna a far la guardia dalla sua adorata tana con
teschio.
*
La
mattina seguente Eren è più rilassato, al
contrario del sogno
precedente, e si prepara ad affrontare la giornata con un sorriso
nostalgico sul viso; lui si ritrova ad osservarlo per il piacere che
gli da quella vista.
«Questa
notte ho sognato una persona che non incontro da un
po'–» Si ferma
inghiottendo un nodo alla gola poi prosegue– «Mi
manca tanto, l'ho
incontrato tanto tempo fa, ha fatto così tanto per
me–» Si morde
un labbro, la voce rotta, i brillanti occhi lucidi.
Vorrebbe
raggiungerlo come nel sogno, ma è un lusso che non gli
è concesso
in quel momento, alza la zampetta e riesce a rubargli un sorriso,
Eren scaccia una lacrima e poi avvicina l'indice in quel contatto che
riesce ad avvicinarli anche se tanto lontani.
Sospira
un «Grazie» chiudendo gli occhi, quando li riapre
sono animati da
una strana luce e lui si sente spogliato della sua pelle di ragno,
sente che lo sta guardando oltre, cercando
qualcosa che sa essere celata di fronte a sé.
«Strongest sai che mi
ricordi–» Dlin–Dlon
Il
campanello frantuma il momento creatosi dopo tanto cercarsi senza
raggiungersi, riportandoli alla realtà.
Quando
Eren ritorna l'individuo che si trova di fronte avrebbe preferito non
incontrarlo mai più, né in questa vita
né nelle prossime.
«Zeke!
non mi aspettavo una tua visita» La voce di Eren lo distrae
dal suo
odio verso l'estraneo appena entrato. «Passavo da queste
parti e–
Attento Eren!» Si guarda attorno non capendo a quale minaccia
si
stia riferendo il gorilla, quando nota l'ombra della mano è
troppo
tardi e la tana troppo lontana.
«FERMO!
Giuro su Ymir che te ne pentirai se ti azzardi a fargli
qualcosa»
Apre gli occhi e si trova di fronte Zeke, il braccio intrappolato
nella presa ferrea di Eren, lo sguardo mortalmente serio e
minaccioso.
«Lo
dicevano i tuoi amici che ti sentivano diverso, ma ti sei
completamente rincoglionito fratello»
«Finché
non ti allontani dal tavolo sono Eren per te» Quella frase
riesce a
farlo indietreggiare e a fargli alzare le braccia in segno di resa.
«Siediti là» Ordina indicando la sedia
dalla parte opposta del
tavolo.
Osserva
tutto lo scambio con il cuore colmo di gratitudine e affetto.
«Strongest per favore entra nella scatola» Fa come
detto, e appena
si rifugia nella tana il sorriso torna sul viso di Eren, si passa una
mano tra i capelli lunghi legandoli con un elastico. Rilascia un
profondo sospiro dopo essersi sfregato il viso per scacciare la
tensione.
«Tu hai
messo un ragno prima di me? La tua famiglia?»
Eren fa
una smorfia «L'ho messo prima anche di mia madre se
è per questo»
Dalla sua visuale può vedere solo il viso di Eren, ma il
silenzio
che segue quell'ammissione è denso di sconcerto.
«Sicuro
di stare bene?»
Eren
si limita a scrollare le spalle deviando il discorso.
«Zeke
ti ricordi quei sogni di cui ti parlavo? Quelli di quand'ero bambino,
di quell'altra vita, di quel senso di disperazione e di paura che mi
lasciavano ogni volta?– si ferma per controllare che lo stia
seguendo, quando ottiene una conferma riprende a parlare– Da
quando sono venuto ad abitare qui, circa sei mesi fa “sono
già passati tanti mesi?” tutto
ha acquisito un nuovo senso. Anche gli incubi peggiori che avrei
sempre voluto dimenticare ora sono sogni preziosi che mi aiutano a
capire meglio quell'altro vissuto». Non interrompe per un
momento il
contatto visivo, per tutto il tempo lo sguardo è fisso su di
lui,
non lo aveva mai sentito parlare del prima,
ignorava che anche lui fosse tanto segnato da quel passato
così
lontano e distorto.
«E
adesso mi dirai che è merito di quell'essere»
Quella frase lo fa
scattare «È un ragno eremita, e sì,
è merito soprattutto suo»
«Eren,
ti rendi conto che da quando vivi e lavori qui sei diventato
irraggiungibile? Anche a lezione i tuoi amici dicono di averti visto
sempre meno e che ora segui per lo più da online».
Ignorava
tutti questi retroscena, è sempre stato felice di poter
condividere
più tempo possibile con Eren, ma non pensava che fosse a
discapito
della sua vita. «Tranquillo, non è colpa
tua» Ci crede poco.
«Ci
parli pure»
«Se mi
avessi lasciato finire, ti stavo spiegando– da quando vivo
qui
quella presenza rassicurante che da più piccolo sentivo
raramente, è
diventata una costante, peggiore il sogno, e più vicino lo
sento. So
che eravamo amanti e mi manca come nessun altro» –
«Ma era un
uomo»
Quella
replica fuori luogo lo fa esplodere del tutto.
«Ero
amato, tu non capisci quella sensazione che sto inseguendo da tutta
una vita… tu non puoi capire perché l'hai
ritrovata– hai
ritrovato Pieck ancor prima di sentirne la mancanza Zeke, io ho
trovato pace al tormento grazie a questa casa e a–
Strongest» Si
ferma solo per asciugarsi gli occhi «Non so se lo
ritroverò mai,
per ora questo ragnetto è tutto ciò che ho, se
non sei interessato
a capirmi– ignorami, non ho bisogno di qualcuno che cerca di
insegnarmi cose che non sa».
Lo
stridere della sedia sul pavimento fa capire ad entrambi che la
discussione è finita.
«Eren
sei l'unica famiglia che mi è rimasta, ti prego».
«Non
puoi forzare qualcosa come l'affetto, senza dare comprensione Zeke, e
ora ho bisogno di comprensione non che tu accetti la
situazione».
«Sei
sempre stato testardo, se ti metti in testa qualcosa non c'è
modo di
farti capire, resta col tuo ragno, quando vorrai capire sai dove
trovarmi».
«Lo
stesso vale per te, alla prossima Zeke»
Solo
quando la porta si chiude ha il coraggio di uscire dalla tana, Eren
esausto si butta sulla sedia, i gomiti sul tavolo e la testa tra le
mani.
Ha
scelto per ben due volte lui alla sua famiglia, si avvicina incerto e
viene ripagato da un sorriso stanco. «Forse sto diventando
davvero
pazzo, ma non mi interessa, dopo tanto patire finalmente ho trovato
un po' di pace e se nessuno è disposto a capirlo non mi
interessa,
mi basti tu finché ci sarai»
“Sei
sempre stato un pazzo suicida”
«Sai,
ci sarebbe un altro nome che ti starebbe molto bene,
però– nessun
altro ne è degno, Strongest è tutto
ciò che posso concederci. Non
sei tu, ma per me esisterà per sempre solo lui con quel
nome»
il ragazzo ride amaramente asciugando una lacrima solitaria
«Sono
patetico, non riesco nemmeno a nominarlo».
Quella
dichiarazione lo fa correre verso il ragazzo, vorrebbe potergli dire
che è lì, che è lui, che non
è solo.
Non sa
per quale assurdo motivo abbiano graziato Zeke, e non Eren,
è
un'ingiustizia, ha dato tutto e comunque non merita un po' di pace.
«Ricordo
di aver fatto una scelta importante, forse è per quella
ragione che
non merito di essere felice, eppure oggi l'umanità
è libera, quella
decisione non è stata del tutto sbagliata»
Vorrebbe
dirgli che di sbagliato c'è solo il destino che li ha
ridotti a quel
modo, vorrebbe dirgli tante cose, vorrebbe stringerlo come ha potuto
fare nel sogno, vorrebbe ma non può.
«Dai è
meglio se mi faccio un tè, la discussione con Zeke mi ha
prosciugato»
|
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Capitolo 3 *** Diventa il tipo che ride ancora alle farfalle, dammi una casa dentro te fino all'ultimo grazie. ***
Capitolo terzo. Diventa il tipo che ride ancora alle farfalle, dammi
una casa dentro te fino all'ultimo grazie.
“Un
ruggito graffia l'aria, c'è odore di morte e distruzione
ovunque, le
mura sono in frantumi.
Dovunque si guardi c'è
desolazione e macerie. L'unica figura che ancora si erge fiera
è un
titano dai capelli neri e dagli occhi smeraldini, sovrasta tutto e
tutti. Urla, le mani si muovono frenetiche fra le ciocche corvine e
graffiano la carne che continua a rigenerarsi, –cerca di
scalfire
la nuca, di aprire la carne.
«NON RIESCE A
LIBERARSI!» Urla qualcuno.
«VADO IO!» Risponde
senza esitazione una voce profonda, il peso della sua promessa si
concretizza solo in quel momento.
I rampini si impiantano
nella carne delle spalle, ma prima che possa atterrare viene
afferrato a mezz'aria dalla mano del titano.
“STUPIDO! FERMATI, COSA
FAI!?” Un'altra voce risuona nell'aria fetida, un grido
straziante
e disperato.
«Eren, sono io!» Il
tono calmo dell'uomo è tradito dallo sguardo allarmato, le
lame sono
piantate nella mano che comunque lo stringe senza pietà.
“Perché
sei venuto Capitano!? Devi lasciarmi morire, non
merito–”
«Stupido gigante,
mollami! EREN SO CHE SEI LÌ!» La folla attorno
guarda la scena
impotente, c'è chi si tappa le orecchie, chi gli occhi, solo
un'altra figura dai capelli corvini cerca di avvicinarsi, troppo
tardi.
Il titano osserva l'umano
nelle sue mani spalanca le fauci e le serra sulla testa strappandola
dal corpo, un urlo squarcia l'aria–
L'incubo
è più violento dei
precedenti, se ne rende conto quando la sua tana viene lanciata via
da una manata del ragazzo, corre verso la testata del letto a tessere
e subito diversi grumi rimangono intrappolati qua e là, ma a
lui non
interessano, deve cercare quello più grande.
Non fa in tempo ad individuarlo che
qualcosa di più pericoloso attira la sua attenzione.
La porta della camera viene aperta e un
uomo entra nella stanza, la debole luce della luna illumina il
coltello che tiene in mano.
Decide di ignorare l'incubo e corre
verso l'aggressore – Eren al sogno può
sopravvivere.
Percorre
i pochi metri che li separano
con tutta la velocità che quel corpo malconcio di ragno gli
permette, riesce a raggiungere l'estraneo e lasciandosi guidare
dall'istinto affonda le zanne nella tenera carne del collo.
L'aggressore non tarda a reagire e
urla, svegliando Eren di soprassalto, la distrazione però
gli è
fatale e non si accorge della mano che si avvicina pericolosa e che
lo lancia via maledicendolo.
*
Quando
riprende conoscenza è spaesato
e si trova in un angolo impolverato, esausto.
Il corpo dolorante non risponde come
dovrebbe: alcuni arti torti in angolazioni sbagliate e le zanne non
si muovono, sente dolore dappertutto, persino respirare fa male, non
riesce nemmeno a sospirare – avrebbe voluto passare
più tempo con
Eren, ma non gli è concesso, l'unica consolazione
è il pensiero di
saperlo sano e salvo.
La stanchezza prende il sopravvento: è
arrivato il momento di smettere di combattere, ma non vuole. Non
vuole arrendersi dopo aver lottato tanto, è egoista e vuole
solo
Eren. «Strongest?» Il suo nome lo raggiunge da
lontano distraendolo
dal suo dolore, il tono preoccupato, affannato. Non merita tutta
quella premura.
Prova
inutilmente ad alzarsi. “È
davvero arrivata la fine” – augura tutto il bene di
questo e dei
prossimi mondi ad Eren, non gli importa di aver perso di nuovo la
vita per lui, se dovesse succedere di nuovo lo rifarebbe con orgoglio
– «STRONGEST!? DAI VIENI FUORI» La voce
di Eren si fa più
vicina, lo sente rovistare ovunque, ribaltare mobili poi ad un certo
punto ne intravede il viso, anche se sfocato.
Cerca di stropicciarsi gli occhi, ma
non riesce comunque a metterlo a fuoco, impreca e maledice quel ladro
maledetto, non può nemmeno andarsene col viso di Eren
impresso nella
mente.
«Non lasciarmi ti prego»
“Non
voglio lasciarti” Prova ad alzare una zampetta, prega almeno
per
quella consolazione e ci riesce, non può vederlo ma ne sente
il
calore. «Non andartene ti prego, ti ho appena
ritrovato». Delle
stille salate gli bagnano il corpo malconcio, quell'idiota sta
piangendo per lui, il pensiero lo riempie di gioia e gli strazia il
cuore al tempo stesso.
“Non piangere,
non valgo le tue
lacrime” Il ragazzo lo sorregge come il più
prezioso dei tesori,
almeno può andarsene avvolto dal suo calore.
«Sai,
quel nome che avevo in mente– ero io a non volerlo
pronunciare» Si
asciuga una lacrima, ma molte altre gli bagnano il viso quando
riprende a parlare «– non volevo chiamarti
per paura di rendere concreta la tua
mancanza, quando in realtà sei sempre stato al mio
fianco».
Raccoglie
tutte le forze che gli sono rimaste: vuole sentire il suo nome uscire
almeno una volta dalle sue labbra.
«Sei
uno stupido Levi, la mia esistenza non è mai valsa la
tua» Ora può
andarsene in pace, spera solo che gli venga concessa un'altra
possibilità. “Arrivederci Eren”
«Levi»
Gli sente mormorare un'ultima volta prima ti ripiombare nel buio
più
totale.
Non è
più buio intorno a lui, la debole luce dell'aurora illumina
il
paesaggio desolato attorno a lui, una figura gli si avvicina,
è una
donna.
La
osserva mentre gli si accuccia di fronte, raccoglie della sabbia e
gliela passa sugli occhi e poi sul corpo, dopo essersi spolverata i
granelli da dosso si rialza. Gli porge la mano e poi tutto sparisce.
Per un
momento gli sembra di essere più leggero dell'aria e poi
sente il
proprio peso amplificato milioni di volte, sente freddo e una
presenza calda accanto.
Prova
ad aprire gli occhi mentre si appropria di quel corpo,
la testa sembra scoppiargli e un leggero senso di nausea lo obbligano
a fermarsi e a respirare.
Allunga
un arto verso quel calore invitante, sente delle dita alla sua
estremità – una mano
– ed
è in quel momento che ne afferra un'altra, grande, calda,
dalle dita
forti e risponde con quanta forza ha in corpo.
«Levi–» Sentendo di nuovo il suo nome
gira la testa intorpidita,
riesce ad aprire gli occhi e incontra quello sguardo che
riconoscerebbe tra mille: due brillanti oceani incastonati su di un
viso baciato dal sole, contornato da soffici capelli castani.
Schiarisce
la gola secca e chiama quel nome che tanto gli è mancato
poter
pronunciare. «E– ren».
Il
ragazzo lo tocca incerto, deglutisce rumorosamente e boccheggia
incredulo quando con una mano riesce ad accarezzargli il petto e con
l'altro braccio gli cinge il busto. Continua a mormorare una serie
infinita di «Sei vivo» «Sei tu»
e il suo nome ancora e ancora;
affonda la testa nell'incavo del suo collo per annusare pelle,
capelli, tutto ciò che fa di Levi di nuovo umano.
«Sono
qui» Replica ricambiando l'abbraccio. «Sono qui e
non andrò via»
Si aggrappa alle spalle del compagno, ricambiando con quanta forza ha
in corpo, vuole sentirlo più vicino, ha bisogno di saperlo
al sicuro
fra le sue braccia. «Sono vivo» Conferma certo
più che mai
A quelle
parole il ragazzo scoppia in lacrime, l'abbraccio è
disordinato e
violento, si afferrano con tutto ciò che hanno a
disposizione.
«Non
lasciarmi mai più» – Gli chiede fra un
singulto e l'altro, la
mano risale dalla schiena e lo afferra per la testa avvicinandolo
maggiormente. «Mai più» Risponde con
sicurezza.
«Prometti»
Ordina, la voce di Eren rotta dai singhiozzi.
Lo
allontana quel tanto che basta per permettere ai loro sguardi di
incrociarsi «Eren prometto di non abbandonarti mai
più» Cerca di
rassicurarlo.
«E di
non sacrificarti mai più» Sgrana gli occhi a
questa richiesta –
«Promettilo».
Eren
potrebbe chiedergli qualunque cosa, ma non questo. «Non
posso»
Esala rifuggendo lo sguardo.
«Levi»
Lo supplica, gli accarezza il viso con una mano per attirarne
l'attenzione. «Ti scongiuro Levi, non posso perderti
ancora»
Afferra
la mano accarezzandola con le labbra – «Ed
è proprio per questo
che lo farò altre mille volte se necessario».
Non è
il tipo da fare promesse che non ha intenzione di mantenere e non si
aspetta niente di diverso dell'occhiata traversa con cui lo fulmina
di rimando, ora è Eren a rimanere senza parole, prova a
replicare ma
riesce solo a digrignare i denti. Vorrebbe sorridere e baciare quella
smorfia così tanto da Eren.
Ciò che
non si aspetta però sono le dita che affondano nei capelli
fino a
graffiargli la cute, si sente tirare verso il minore con forza e le
fronti si scontrano. «Ti odio» – gli
esala a fior di labbra prima
di appropriarsene con un bacio profondo e doloroso.
Levi
alza il busto riprendendo in parte il controllo della situazione
senza mai interrompere il contatto, la furia di Eren si placa per un
momento e prendono fiato, approfitta della calma del minore e ne
morde le labbra piene – il contatto si fa di nuovo violento e
scoordinato, ci sono troppi denti e troppa saliva e troppa poca aria,
ma non importa,
Geme il
nome del compagno ancora e ancora, se ne è privato per
troppo tempo
e ora non riesce a farne più a meno – e lo stesso
fa Eren abusando
del suo fra un bacio e l'altro.
Non
sa
di preciso quando hanno abbandonato il pavimento e sono finiti fra le
lenzuola del letto, i ricordi di alcune ore prima completamente
svaniti nel nulla, problemi per un altro momento e luogo.
Ora ci
sono lui ed Eren che si cercano febbrilmente a vicenda, le mani non
riescono a stare ferme in un solo punto, ha bisogno di sentirlo sotto
le sue mani, di sentirne le carni vive e pulsanti ed Eren ha lo
stesso bisogno, per tanto sono stati così vicini eppure
così
lontani.
Un gemito più alto di Eren segna il
punto di non ritorno, Levi lascia affondare le dita nel corpo
voluttuoso del compagno, non ha bisogno di altre conferme quando
sente il minore inseguire quel contatto con tutto se stesso.
Con
una spinta fluida e per niente gentile torna a respirare nel
compagno, il suo calore lo avvolge lo fa tornare a vivere, vorrebbe
assaporare quel momento, ma il suo corpo umano non riesce a stare
fermo, le gambe si muovono frenetiche cercando un contatto maggiore
con Eren che geme e
pretende di più, ordina, supplica e reclama e lui asseconda
quelle
richieste dandogli tutto se stesso.
Affonda
con movimenti sempre più rapidi, le mani ovunque sulla pelle
olivastra e calda, la bocca si appropria di tutto ciò che ha
di
fronte, prima con un bacio su di un pettorale, poi con un morso su un
capezzolo e continuando così facendo cantare il corpo sopra
di sé.
Le ossa del bacino del minore sbattono con forza contro le sue, quel
rapporto è intenso e fa male ma è l'unico modo
che hanno per
saziarsi, schiocchi umidi di carne contro carne si uniscono ai gemiti
rumorosi in una sinfonia fatta amore e passione.
Non
riesce ad avvisarlo quando viene, e il compagno lo segue cercandone
le labbra, aggrappandosi a spalle e capo per un altro bacio doloroso,
bagnato, necessario – liberandosi contro il suo corpo.
Rimangono
così l'uno dentro l'altro, Levi non smette di accarezzare il
compagno nemmeno un momento tracciando sentieri infiniti su quel
corpo che gli è mancato più di ogni altra cosa.
Eren non
si sposta e si accoccola contro il suo petto, le mani di Levi
appoggiate alle sue cosce allenate, è fastidiosa la
sensazione di
umido che sente contemporaneamente sul petto e fra le natiche di Eren
contro le sue cosce, ma non gli importa, non adesso che si sono
ritrovati.
Senza
mai allontanarlo afferra le lenzuola portandole sopra al corpo del
compagno, abbracciandolo.
«Non ti
odio» – gli mormora il ragazzo contro il collo
riprendendo a
tempestarlo di baci leggeri. «Mi sei mancato»
«Anche
tu moccioso» Il ragazzo si ferma leccando il collo prima di
afferrarne la tenera carne tra i denti per poi dare un morso non
proprio delicato. «Ahia».
«Non
sono un moccioso».
«Lo so,
sei il mio moccioso» La risposta sembra piacergli di
più e lo
premia con altri baci e carezze, ogni tanto lo sente inghiottire uno
sbadiglio.
«Dormi,
è stata una nottata difficile» Le ciocche morbide
gli solleticano
una guancia quando nega con la testa «No». Mormora
testardo. «Non
voglio perderti ancora».
Prende
ad accarezzargli i capelli con le dita e a mormorargli rassicurazioni
per accompagnarlo nel sonno «Non me ne
andrò» – «Ti
proteggerò
io» Il ragazzo prova a farlo smettere ma dopo un po' soccombe
alla
stanchezza, i respiri si fanno più lunghi e i muscoli si
rilassano.
Lui
comunque non smette di coccolarselo, è altrettanto stanco,
ma ha
sofferto troppo nell'averlo così vicino ed irraggiungibile
in quei
mesi, poterne saggiare il calore sulla propria pelle, respirarne
l'odore a pieni polmoni, sentirlo vivo e al sicuro.
Le dita
percorrono i muscoli e tutti gli angoli di quel corpo che conosce a
memoria dalla vita precedente e che non ha mai dimenticato, non
riesce a trattenersi nonostante la paura di svegliarlo.
La bocca
continua a mormorare promesse d'amore cullando il ragazzo in un sonno
ancor più profondo, il viso disteso, felice e rilassato.
*
La
mattina arriva troppo presto, un fastidioso raggio di sole si fa
strada oltre le persiane e lo colpisce sulle palpebre obbligandolo a
svegliarsi, si guarda attorno spaesato prima di ricordare tutto.
È di
nuovo umano, ha un'altra possibilità.
«Buongiorno»
Fa appena in tempo a vedere l'ombra del compagno che con bacio gli
toglie il fiato, Eren prende posto sul suo bacino allacciandogli le
braccia al collo e tempestandogli il viso di baci.
«Buongiorno»
Replica divertito col fiato corto.
Un
leggero aroma di menta gli stuzzica il naso, l'occhiata incuriosita
strappa una risata al minore. «Ricordo la tua passione per
l'igiene
orale e mi sono già lavato i denti».
A
quell'ammissione si fionda sulle labbra fresche. «Se non
è amore
questo» Mormora portando una ciocca di capelli dietro
l'orecchio e
perdendosi negli oceani di fronte a sé, un leggero rossore
scalda il
viso del ragazzo che boccheggia, forse sorpreso dalla leggerezza di
quella frase. Certo prima non
si è mai lasciato andare a certe smancerie, ma dopo una vita
passata
a cercarlo sotto forma di ragno non gli importa più, ed
è meglio
che Eren ci si abitui.
Il
ragazzo seduto a cavalcioni preme su tutti i punti più
sensibili,
ricordandogli tutti i bisogni fisici di un essere umano, e per quanto
vorrebbe godersi il momento il suo corpo ha la precedenza.
«Uhm
Eren, devo pisciare» Una risata, un bacio e finalmente
raggiunge il
bagno.
«Ti ho
messo un cambio sul letto, se vuoi farti una doccia– sai
già dove
trovare il resto, intanto preparo la colazione».
Quando
esce dal bagno per vestirsi una moltitudine di aromi gli annebbiano i
sensi, si veste velocemente e raggiunge la cucina dove trova la
tavola apparecchiata con un pasto degno di un re, il ragazzo
è di
spalle e sta finendo di tostare alcune fette di pane. «Non so
cosa
preferivi così ho fatto un po' di–» Non
gli lascia finire la
frase, lo raggiunge ed Eren si lascia maneggiare senza opporre
resistenza sempre col sorriso sulle labbra, sorriso che divora con
l'ennesimo bacio. «C'è abbastanza cibo per un
reggimento, ci
pensiamo dopo al resto del pane».
Quando
si siedono sul lato opposto del tavolo vede appoggiata la sua ex
tana. «So che è sporca, ma devo fare l'abitudine a
non avere più
il mio amico nei paraggi, porta pazienza per un po'». Si
limita a
scrollare le spalle e ad iniziare a mangiare, se fa piacere ad Eren
lui non ha nulla da replicare.
Da un
morso ad una fetta di pane con marmellata, un'ondata di sapori gli
annebbiano i sensi, la dolcezza della confettura mista alla
croccantezza del pane lo fanno mugugnare di piacere
«È
buonissima!».
La sua
reazione esagerata suscita una risata nel ragazzo «Fragole,
non
credo che tu le abbia mai assaggiate prima, era un frutto per i
nobili» – non gli interessa la storia del frutto,
avvicina la
fetta di pane al viso del ragazzo «Assaggia».
«Ma so
già com'è–».
«Non mi
interessa, mangia» – Non sa nemmeno lui da dove gli
venga quella
richiesta, però quando Eren ride e addenta comunque la fetta
di pane
si sente meglio. «Hai ragione–» Concorda
senza smettere di
masticare, lui e il suo maledetto vizio di parlare a bocca piena
«–è
molto più buona del solito! Oh quasi dimenticavo!»
Con un bacio
zuccherino sulla guancia si alza per prendere il loro tè e
porgergli
una tazza.
L'aria
profumata di tè e agrumi, il calore di Eren al suo fianco, i
suoi
vestiti addosso, le mani intrecciate, sono tutte cose che con gli
anni finiranno col dare per scontate, come è già
successo nella
vita precedente, ma si ripromette di celebrarle ogni giorno
finché
avrà vita.
Eren è
ignaro di quei pensieri, ma il modo in cui si appoggia alla sua
spalla, in cui cerca di approfondire il contatto gli fa capire che
sta provando la stessa cosa.
*
La
mattinata prosegue tranquilla quando il telefono di Eren prende a
suonare con insistenza: è la centrale di polizia per la
denuncia
dell'aggressione della notte precedente, il suo ritorno alla forma
umana e il ritrovarsi dopo tanto tempo li hanno completamente
distratti dal fattaccio della notte precedente.
Viene
dato un appuntamento al ragazzo con l'ora e il giorno in cui
dovrà
presentarsi in centrale per riconoscere l'aggressore, gli confermano
che è salvo grazie ad un ragno, senza il suo intervento
sarebbe
stato di sicuro ucciso nel sonno. «Le consiglio comunque di
disinfestare l'appartamento, quella razza è piuttosto
pericolosa, è
stato molto fortunato visto come sono evolute le cose, fossi in lei
non tenterei di nuovo la sorte».
Quella
raccomandazione gli fa storcere il naso, Eren riesce a zittirlo prima
che replichi seccato che non avrebbe mai potuto fare un errore
simile. Quando chiude la chiamata il minore scoppia a ridere.
«Sei
impossibile Levi! Non possono sapere che avevo il mio ragno da
guardia personale!»
«Tsk».
Sono
accoccolati l'uno tra le braccia dell'altro sul divano quando vengono
disturbati nuovamente, il campanello dell'appartamento suona in
maniera isterica, e ancor prima che Eren possa avere il tempo di
alzarsi dei colpi frenetici violentano la porta. «Arrivo!
Arrivo!–
Aspetta qui» Gli mormora a fior di labbra rubandogli un altro
bacio
«Così non andrò in astinenza»
Commenta poi senza mai smettere di
sorridere per poi tornare ad imprecare contro gli ospiti
indesiderati. «Se sei tu Zeke puoi anche andare a
fanculo».
«EREN!?»
La voce squillante della madre li raggiunge da oltre la porta, il
ragazzo si pietrifica e lo guarda – preoccupato?
«Forza apri prima che butti giù la
porta» Eren si morde un labbro,
sembra combattuto per qualcosa «Scusami Levi» e fa
come detto.
Non
capisce quelle scuse finché non la vede.
«ODDIO
EREN SEI VIVO!! Quando Erwin mi ha chiamato per dirmi
dell'aggressione stavo per morire, perché non mi hai
chiamato? Come
stai? Oh tesoro mio» Non riesce a muovere un muscolo per
paura di
essere notato, la quattrocchi è
sua madre!?
La madre
aracnofobica è lei?! Non ha dubbi, la donna è
inconfondibile,
stessi capelli castani raccolti in una disordinata coda alta
–
forse li ha tormentati per la preoccupazione. Non ha gli occhiali da
vista, ma è in tutto e per tutto lei, la voce squillante, le
mille
parole al minuto, le reazioni esagerate.
«Mamma
sto bene vieni, accomodati prima che ti venga un infarto».
Eren
cerca di smorzare la tensione ma la donna non demorde e gli afferra
le spalle e appoggiando la fronte sulla spalla del giovane.
«Prima
il ragno, ora l'aggressione, ti prego torna a casa, ti prego fallo
per me, il mondo non è–» –
«MAMMA! Vieni siediti, sono vivo,
sto bene, stai tranquilla, e mmh–» Eren si gira
nella sua
direzione cercando le parole per presentarlo, la madre
è ancora in stato di shock e non ha occhi se non per il
figlio. «A
proposito del ragno –» Inizia incerto, a quella
frase la castana
scatta sull'attenti.
«Che
c'è? Il ragno ti ha fatto male!? Se è
così–».
Basta,
non ne può più di vedere quella pazza sbraitare,
prima la
tranquillizzano e prima possono tornare a recuperare tutto il tempo
perso. «Oh ma taci un po' quattrocchi» La sua voce
fa piombare la
stanza nel silenzio più assoluto, Hanji alza lo sguardo di
scatto
incredula, per poi cercare conferma nel figlio –
suona malissimo come titolo – che si limita ad annuire.
«Mamma,
guarda chi mi ha salvato ieri sera».
Hanji
si alza dalla sedia e gli va incontro, è più
adulta di prima,
ma di certo non più matura.
«Levi»
È un sussurro, gli occhi le si inondano di lacrime e in un
attimo se
la trova avvinghiata al collo a piangere come una fontana, chiamando
il suo nome all'infinito. «Non ci posso credere, ma guardati!
Oh
Levi! Ma che fai qui? Come ti ha trovato Eren? Oh ma aspetta che ti
veda Erwin! Ti abbiamo cercato così tanto!».
Ricambia l'abbraccio –
dopo tanto tempo glielo deve –, anche se non può
competere con
quello della vecchia amica. «Hey se allenti un po' la presa
forse
riesco a vivere ancora un paio di giorno».
A quella
frase si allontana un po', piange e ride, si asciuga gli occhi con
una mano per poi imprecare per le lenti a contatto. «Sei
davvero
tu».
Lui si
limita ad annuire di nuovo. «Sono davvero io»
Eren si
assenta per fare un po' di lavori in giardino, è una banale
scusa
per lasciargli un po' di tempo da soli e gliene è grato, la
stretta
di mano e l'occhiata affettuosa che si scambiano quando si salutano
non sfugge all'occhio attento della donna e Levi sa che le deve delle
spiegazioni.
«Inizio
io, ho meno cose da dire» Decide di prendere la parola, Hanji
lo
guarda perplessa «Tu–madre di Eren!? Io ho solo
alcuni anni da
ragno da raccontarti».
In
poco tempo le spiega della sua vita come ragno, spiegandole che era
lui il mostro che l'ha
quasi assalita quel famoso giorno e che non avrebbe mai fatto del
male ad Eren, sottolinea quel dettaglio con un'occhiata traversa che
fa scoppiare a ridere la donna. «Donna di malafede»
Infine
le racconta della notte precedente, dell'aggressore e del suo
desiderio di proteggere Eren – prova, inutilmente, a tenere
un tono
neutro e disinteressato, per non far trapelare troppo del suo reale
rapporto con Eren – «– ed è
così che alla fine mi ha
riconosciuto, l'ultima cosa che ricordo è di aver sentito il
mio
nome e poi di essermi risvegliato umano»
Quando
conclude il racconto Hanji si sta asciugando altre lacrime mentre si
tormenta un labbro. «Oh Levi, grazie! Ti sarò
eternamente
debitrice!» Questa era una risposta che non si aspettava di
certo.
«Hai protetto e salvato Eren, grazie di cuore».
«Lo
rifarei ancora, ma il moccioso non vuole».
Suscita
una debole risata nella donna, che comunque non riesce a smettere di
piangere. «E puoi biasimarlo? Ti ha già perso una
volta, ha
rischiato di perderti di nuovo, Levi, sei importante per lui,
più di
quello che potrò mai essere io– non guardarmi in
quel modo, ci
credevate degli stupidi?» Ignora in commento bevendo un sorso
d'acqua e lascia cadere il discorso deviandolo su un altro argomento
che gli preme.
«Chi è
il fortunato? Eren dovrà pur avere un padre»
Inaspettatamente la
vede avvampare, boccheggiare per un momento e poi riprendere il
controllo. «Non è come credi»
Inizia a
raccontargli della sua carriera come psichiatra infantile, e di come
durante il suo appuntamento settimanale presso l'orfanotrofio
cittadino fosse incappata in Eren, aveva cinque anni all'epoca
– i
suoi occhioni brillanti, la sua mente fantasiosa – quando ha
incontrato per la prima volta era rimasto orfano in seguito ad un
incidente stradale.
Il
bambino se ne stava isolato, ci mise un po' di tempo ad ottenere dei
risultati, solo quando un giorno le confidò di sentirsi meno
solo in
sua compagnia prese la decisione di portarselo a casa –
«Volevo
dargli quell'infanzia che gli sarebbe stata negata anche in questa
vita» Lo sguardo raggiunge la porta. «È
diventato come un figlio
per me, non avrei potuto avere più fortuna come
madre!». L'orgoglio
e le emozioni che prova si riflettono nei suoi occhi, sospira un
momento prima di continuare il racconto.
La
pratica è stata lunga, lei era considerata troppo giovane e
come
aggravante era anche single, infatti, in parte – è
merito di Erwin
se alla fine le hanno concesso l'adozione, a quanto pare il bastardo
manipolatore si è fatto un nome anche in questo tempo, ed
è
riuscito ad agevolarle tutta l'adozione: aveva sette anni quando Eren
Jaeger–Zoe è diventato legalmente suo figlio, ha
cercato di dargli
tutto ciò che poteva desiderare.
Piano
piano i ricordi riaffiorarono e solo durante l'adolescenza la
riconobbe, c'erano molte persone ancora in ombra, a cui non riusciva
a dare un volto, ma non lui.
«Ti
ha cercato in ogni momento, hai sempre abitato nei suoi sogni, ti
chiamava eroe e amico,
crescendo poi la tua presenza ha assunto un altro peso e dai suoi
racconti ho capito tutto».
Levi cerca di mantenere un'espressione
neutra, ma quei dettagli gli scaldando il cuore, si schiarisce la
voce e devia il discorso di nuovo – suscitanto l'ennesima
risata.
“Non
sono pronto per parlare della mia relazione – con te
soprattutto!”
– tutta la storia gli fa venire in mente un dettaglio non
indifferente. «E Zeke? L'ha chiamato
fratello–»
«Si
sono ritrovati al college, Zeke è suo fratello biologico
anche in
questa vita – Eren è frutto del secondo matrimonio
di suo padre –
non c'è mai stato rancore fra i due fratelli e hanno deciso
di
tenersi in contatto, personalmente credo che sia stata una buona idea
da parte di entrambi– hai altre domande?».
«Erwin?».
«Erwin
ha fatto carriera come avvocato, è il più
influente della città, è
lui che ha dato la possibilità ad Eren di vivere in questa
proprietà
in cambio di manutenzione e lavori vari, è la sua residenza
estiva–
quando Eren ti farà fare il giro turistico
capirai».
Sta per
fare un'altra domanda quando lo sguardo di Hanji si fa serio.
«Levi
ora ascoltami, per ora farò finta di niente con Eren, gli
lascerò
credere di non aver notato» – Con un gesto indica
verso il suo
collo e solo in quel momento nota i vari morsi testimoni della notte
precedente. «Sei il mio migliore amico, sei altrettanto
importante
per lui e lo rispetto, ma se ti azzardi a mancargli di rispetto, a
ferirlo, o a fargli del male, anche solo senza prendere le dovute
precauzioni prima del sesso, giuro su Ymir e tutto ciò che
le è
caro che te la farò pagare, quanto è vero che a
suo tempo l'ho
pregata di farvi avere la vostra giustizia».
E in
quel momento il cerchio si chiude, quella frase che l'ha accompagnato
nel buio – «Tu?»
Hanji
sospira grattandosi il capo «Diciamo che non presi molto bene
la
vostra morte, e col senno di poi minacciare una divinità era
una
scelta un po' azzardata, però eccoci qua in un modo o
nell'altro».
Il
leggero bussare alla porta li distrae dal discorso.
«Mamma?»
«Vieni
pure Eren, grazie per la pazienza» Il ragazzo entra con
un'espressione combattuta in viso, si schiarisce la voce prima di
parlare. «Chi è il signore alla
macchina?»
A quella
domanda Hanji donna avvampa. «Uhm Eren, siediti, accidenti,
Levi non
avermene».
Senza
ribattere Eren prende una sedia e gli si siede vicino, subito le mani
si trovano, entrambi la guardano curiosi.
«Eren
ricordi che ti ho raccontato di quell'uomo con cui mi frequento da un
po'? Il detective–»
Gli
occhi di Eren si illuminano «È lui!? Mamma sono
così felice per
te!».
Quando
le si addolcisce lo sguardo e il viso le si imporpora, Levi capisce
di non essere ancora pronto per questa nuova Hanji.
«Mi
farebbe piacere presentartelo visto che la nostra storia sta
diventando seria, sei stato molto rispettoso della mia vita privata
ma mi sembra arrivato il momento di farvi conoscere» Mormora
un
altro scusa nella sua direzione ed esce a chiamare l'uomo.
«Sono
contento che si stia sistemando, ha fatto tanti sacrifici per me! Se
lo merita!» Esala Eren appoggiando la testa alla sua spalla,
lui
inizia ad accarezzargli la schiena con movimenti circolari. Inizia a
pensare che per Hanji possa essere stato uguale vederlo infatuato
nella vita precedente, ha Eren al suo fianco, qualunque cosa voglia
fare la quattrocchi avrà tutto il suo appoggio.
Fa in
tempo a depositare un bacio leggero sulla testa castana che la porta
viene aperta di nuovo.
«Eren –
Levi, vi presento Kenny, il mio fidanzato» Gira la testa di
colpo
verso la porta, le mani raggiungono la cintura in maniera inconscia
alla ricerca delle spade. «Kenny!?»
Eppure è
davvero lui, il volto un po' più pulito, un po' meno
ghignante, in
generale un po' più presentabile, però
è lui.
«Hey
nipote, continui ad assomigliare ad una quindicenne».
No,
questo proprio non potrà mai accettarlo, Hanji suocera
è ok, Kenny
suocero? Nemmeno un po'.
«Scusatemi
vado a cagare» Proclama alzandosi e dirigendosi verso il
bagno della
camera da letto.
Dietro
di sé sente le leggere risate della sua nuova famiglia,
quella di
Eren le sovrasta tutte, ci vorrà del tempo, ma per il suo
moccioso è
disposto a sopportare anche questo.
«Levi?»
La voce di Eren lo raggiunge, apre la porta per farlo entrare, rimane
colpito dalla brillantezza dei suoi occhi, i capelli sciolti e
disordinati, non resiste e lo bacia di nuovo.
«E poi
mi chiedi di non sacrificarmi più» Gli mormora ad
un soffio.
Le mani
di Eren tremano per le risate che cerca di trattenere.
«Affronteremo
quei due insieme» Gli risponde col sorriso sulle labbra.
“Insieme”
– Perché quel ragazzo è sempre
così perfetto? «Ti amo Eren».
La
sua risposta è un bacio dal sapore di zucchero e menta,
seguito
dalle urla di sua
suocera che li
supplica di aspettare che vadano via e lo sbuffo divertito di suo
suocero
– «L'ho detto che
sembra ancora un'adolescente in crisi ormonale» Registra il
commento
da lontano, lo manderà a fanculo dopo, l'importante
è che abbia
Eren, tutto il resto non conta.
Note
dell'autrice.
I
titoli dei tre capitoli sono tratti dalle canzoni "Pan" e "Music" dei
Nightwish, se non le conoscete vi consiglio caldamente di ascoltarle.
Grazie a chi ha seguito la storia, alla prossima.
Ylpeis.
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