Perchè la birra sta meglio con la pizza invece che con la pasta.

di Apulia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


“Eh allora Lovi ti dicevo, Ludwig mi ha portato a prendere un gelato anche se beh non era molto buono, anzi a dire il vero sapeva di latte avariato ma l’ho mangiato comunque perché me l’aveva offerto lui...oh! E poi siamo andati al luna park e mi ha comprato lo zucchero filato...”
 
“Oh buon dio! Ma quanto cazzo parla?” Lovino disse a se stesso. 
 
Sbuffò rotando gli occhi, mentre seduto al tavolo della pizzeria guardava con fare assente suo fratello che gesticolava parlando come una mitraglietta.
Si vedeva che era molto eccitato, il suo tono di voce era frizzante e squillante.
Lovino notava come Il bastardo tedesco lo aveva reso felice seppur offrendogli un gelato schifoso. Forse una cagata sarebbe stata sicuramente più gustosa, ma Feliciano aveva apprezzato quel gesto.
 
Con la testa poggiata sulla mano, e il suo viso accompagnato come sempre dal suo classico cipiglio, annuiva meccanicamente in modo da dare a suo fratello l’impressione che lo stesse ascoltando.
 
Si, era ufficiale. Quel tale di nome Ludwig sembrava aver reso DAVVERO felice suo fratello. Sospettava che ci fosse qualcosa fra i due, ma che Feliciano non avesse avuto ancora il coraggio di rivelargli.
Cominciò a ripassare il bordo del bicchiere di vino con il dito, e con occhi stanchi e palpebre che si abbassavano in preda alla noia, continuava ad ascoltare la tiritera di suo fratello che non gli nascondeva nemmeno il più piccolo dei dettagli sulla sua giornata da favola con il tedesco.
 
“Signori, le vostre pizze” Lovino benedì il cameriere, che era arrivato esattamente al momento giusto interrompendo quel logorroico di Feliciano.
Lo sguardo annoiato di Lovino mutò: le sue pupille si dilatarono in preda allo stupore. Si sentiva congelato, come se qualcuno gli avesse appena puntato una pistola in fronte, incapace di reagire a quanto stava vedendo.
 
“Oh dannazione Feliciano! Ora quel tedesco ha contagiato pure il tuo modo di mangiare!” L’espressione nauseata di Lovino cadde sulla pizza di Feliciano. Sarebbe stata una normale Margherita come la sua, ma invece ritrovava quel ben di dio rovinato da schifosi pezzi di würstel su di essa.
 
Lovino pensò che fosse troppo. Mangiandosi le unghie con gli occhi sgranati in preda all’ansia, immaginava come sarebbe stato convivere assieme a un Feliciano che beveva quintali di birra, che mangiava pasta con il ketchup o würstel. 
Suo fratello prima o poi si sarebbe dimenticato del sapore elegante e piacevole del vino, in grado solo di riconoscere il gusto acido e di piscio che caratterizzava quella schifosa birra.
 
“Ma dai Lovi! Sono solo dei würstel! E poi, è la pizza preferita di Ludwig...” 
 
“Non dirmi che ti piace quel mangiapatate cazzone!” 
 
le guance di Feliciano, rotonde come il suo viso, vennero ricoperte da un velo di rossore. I suoi occhi brillavano e il campo di papaveri rossi che aveva sul viso si estendeva fino alla punta delle orecchie. Lovino notava come le gambe di suoi fratello fossero diventati molli come spaghetti, gli indici di entrambi le mani si sfregavano l’un l’altro e il tutto era accompagnato da una leggera risatina imbarazzata, che nascose posando una mano sulla labbra che parevano petali di rosa.
 
Lovino sgranò gli occhi, e una forza misteriosa prese la sua mano come ostaggio, facendola tremare nervosamente a ritmo del piede che sbatteva a terra. 
dannazione, lo sapeva! Quello stupido bastardo aveva fatto il lavaggio del cervello a suo fratello, lo aveva capito persino vedendo cosa si era ridotto a mangiare.
Il suo cipiglio naturale si addolcì, quasi svanendo e lasciando il posto ad una espressione di miele ma confusa, i suoi occhi color oliva che si muovevano guardando sempre soggetti diversi, come se stessero cercando una soluzione nell’ambiente circostante.
 
“Lovi, cos’è quella faccia? Guarda che se vuoi che non esca con lui, posso sempre rifiutar-“
 
“Ma cosa cazzo mi importa di con chi esci, con chi scopi o con chi ti fidanzi!” Fece una pausa e prese un respiro profondo “Se sei felice...lo sono anche io”
 
incrociò le braccia distogliendo immediatamente lo sguardo dal fratello, cercando di nascondergli la sua espressione visibilmente imbarazzata, a causa della frase un po’ troppo dolce e comprensiva per i suoi standard.
 
“Aw Fratello! Che cosa carina da parte tua!” Feliciano era ad occhi aperti, e il suo viso radioso. Sapeva di quanto suo fratello lo amava, di quanto avrebbe dato la vita per lui, ma non si sarebbe mai aspettato un’approvazione così precipitosa e sincera.
 
“Naturalmente se osa solo toccarti con un dito, io gli spacco il dito e anche la faccia” ed eccolo.
era ritornato quello di sempre in meno di un minuto. 
Sbattè un pugno sul tavolo facendo tremare l’ammasso di legno e tutto ciò che vi era posato sopra;  dopo aver assunto l’espressione di un leone pronto a sbranare chiunque gli fosse capitato sotto tiro in quel momento, si ricompose aggiustandosi la cravatta e schiarendo la voce con qualche colpo di tosse, tornando al cipiglio di sempre. 
 
la sua voce minacciosa però turbò leggermente Feliciano, che pensando ad un eventuale lite fra suo fratello e Ludwig, non potè fare a meno di rivelare una risata sguaiata che attirò gli sguardi incuriositi e le parole serpentine di tutto il locale.
 
“Ma ti giuro che se comincerai a preferire i crauti alla pasta io ucciderò anche te, a mani nude!” Si girò di scatto di nuovo di fronte a Feliciano, pallido e visibilmente innervosito, mordendosi la lingua che in quel momento era una spugna pregna dei peggiori insulti, in caso di necessità.
 
“Ma Lovi! Come potresti mai pensare una cosa del genere?” Feliciano mise le mani avanti, rassicurando il fratello.
 
Lovino scrollò le spalle. Non che effettivamente gli importasse qualcosa di cosa potesse mangiare suo fratello, ma dal momento che vive ancora in casa con lui doveva mangiare quello che decideva e preparava amorevolmente senza alternative tedesche o altri mezzi termini.
 
Si rimise la giacca, lasciò sul tavolo la mancia per il cameriere e pagò il conto, per poi educatamente congedarsi e lasciare il locale seguito da un Feliciano saltellante che prima o poi sarebbe scoppiato come una bomba ad orologeria.
 
Lovino salì in macchina roteando gli occhi e grattandosi il capo, per poi mettersi al volante e cominciare a guidare in modo spericolato, causando un’attacco di nausea e vomito al suo povero fratello. 
 
“Fratello, non mi sento tanto be-“ Feliciano si coprì la bocca con la mano, gonfiando la guancia e assumendo un colorito spento sul viso.
 
“Dannazione, non vomitare nella mia macchina o ti faccio rimangiare tutto quello che sputi!” 
 
Beh, non che le parole aggressive e rudi di Lovino avrebbero spaventato il signor vomito, pronto al lancio fuori dallo stomaco di suo fratello per poi riversarsi elegantemente sui suoi tappetini neri appena lavati e nuovi di zecca.
Non era la prima volta che i suoi passeggeri accusavano un imminente bisogno di rigurgitare, puntando il dito contro l’italiano dagli occhi che sembravano pozze di olio, ripetendogli fino allo sfinimento di quanto la sua guida fosse folle.
 
“Siamo quasi arrivati! Trattieni il colpaccio!” 
 
E appena si bloccò davanti all’immensa porta di ingresso di casa Vargas, Feliciano saltò fuori dall’auto correndo verso il bagno riversando tutto.
Lovino rimase sulla soglia della porta a braccia conserte, mentre con un sopracciglio inarcato, prestava talmente tanta attenzione a suo fratello che qualcuno che lo avesse visto avrebbe potuto pensare stesse contando le gocce di rigurgito di suo fratello.
 
“Tsk. Esagerato!” Esclamò, contrariato.
 
“È perché guidi come se fossi nella giungla!” 
 
“No, quello è perchè il gelato del bastardo ti è rimasto sullo stomaco!” 
 
“Ma lo dicono tutti che guidi male!”
 
“Tutti chi? Sono anni che non faccio salire nessuno apparte te in macchina!” 
 
fu un duro colpo per Lovino ammetterlo, e anche se pronunciando tali parole aggressivamente poteva dare l’impressione che non gli importasse nulla, non era proprio così.
Gli mancava socializzare, giocare a calcio con gli amici e bere un bel vino rosso Italiano in compagnia di qualcuno di diverso.
Aveva ridotto quasi a 0 ogni rapporto di amicizia fuori dall’Italia, evitando di socializzare, da quando un bastardo spagnolo si era preso gioco di lui facendolo soffrire come un cane per anni. per questo è lentamente diventato più aggressivo del solito in modo da tenere a debita distanza nuovi possibili amici, ma anche possibili traditori.
 
Prese un respiro profondo, sbuffando leggermente. Da quando aveva lasciato l’Italia per trasferirsi in Germania, sopravviveva invece di vivere, vivendo una vita di sufficienza senza alcun agio.
Gli mancavano le corse spericolate assieme ai suoi compaesani, o quando nelle caldi nottate estive, la musica della radio di qualche vicino risuonava per tutto il paese, portando per strada gente che voleva passare una notte insonne pur divertendosi.
 
Un sorriso nostalgico si formò sul suo viso. I suoi compaesani per lui erano fratelli, insieme avevano vissuto da generazioni e generazioni, la povertà e la miseria.
 
Suo fratello non era così. Amava socializzare, e in Germania aveva avuto l’occasione di farlo ancora più spesso, attirando l’attenzione di qualche tedesco curioso sullo stile di vita italiano. Feliciano era il loro cantastorie, che parlava fino allo sfinimento.
 
Lo scrosciare dell’acqua del rubinetto riempì il silenzio. Lovino notò lo sguardo di suo fratello, dove la tristezza aveva preso pieno possesso del suo viso.
 
“Perché mi guardi così?”
 
“Non posso guardarti?”
 
“Se non ti pulisci in fretta, farai tardi al corso pomeridiano a scuola” l’eleganza in cui Lovino usando semplici parole fece entrare in panico suo fratello, era a dir poco stupefacente e a tratti esilarante. 
 
La bocca si spalancò così come i suoi occhi, e Feliciano cominciò a darsi pugnetti alla testa maledicendosi per aver dimenticato. In fretta e furia prese tutto il necessario, per poi precipitarsi fuori dalla porta agitando la mano per salutare suo fratello.
 
“Vuoi che ti accompagni con la macchina?”
 
“No no! Vado a piedi non è lontano” Feliciano liquidò totalmente l’offerta di suo fratello, per poi dirigersi verso la destinazione.
 
Le labbra di Lovino si piegarono in un timido e affrettato sorriso. Guardò l’orologio: le 3 del pomeriggio. Era ancora presto per mettersi a contare i soldi per vedere quanto aveva prima di arrivare a fine mese. Le spese d’istruzione per Feliciano che frequentava l’ultimo anno di liceo, erano quelle che più spolpavano il suo stipendio, e nonostante gli aiuti economici dello stato, riusciva a stento a non rimanere al verde.
 
Si sedette sulla sdraio nell’enorme balcone, accendendo una sigaretta per rilassarsi contemplando il frastuono del silenzio, che sarebbe stato in breve sostituito dal fruscio del fogli, il ticchettare dell’orologio e il suono dei tasti della calcolatrice.
 
///
 
“Quindi, com’è andata con il piccolo Italiano?” Gilbert notò un bagliore provenire dal viso sempre serio e apparentemente inespressivo di Ludwig.
 
Gilbert sapeva della sua uscita con Feliciano, e nonostante sapesse di dover essere felice per la conquista di suo fratello, si vergognava e si sentiva sporco nel provare enorme gelosia nei suoi confronti.
Erano mesi che provava in ogni modo, anche in quello più banale e irritante, di attirare l’attenzione di Feliciano. 
Se proprio vogliamo essere precisi, le aveva ottenute, ma non nel modo in cui avrebbe sperato: semplicemente, Feliciano non nutriva un interesse romantico nei suoi confronti ma lo considerava un buon amico.
 
Ludwig in un certo senso, glielo aveva rubato. Gilbert aveva invitato Feliciano a casa loro, cercando di renderlo parte della sua quotidianità e presentargli suo fratello. Ma tutto non andò secondo i suoi piani: riusciva a leggere negli occhi di suo fratello l’interesse per l’italiano, e quando le guance di entrambi si tinteggiarono di una lieve sfumatura di rosso, Gilbert capì che Feliciano preferiva l’altro tedesco.
 
E osservandoli dalla cucina mentre coccolava il suo uccellino, capì come gli sarebbe piaciuto andare a bere una bella birra tutti e tre assieme.
ma diversamente dalla sua immaginazione, se una cosa del genere si sarebbe mai potuta avverare, non sarebbe stato lui quello in coppia, ma si sarebbe semplicemente identificato come l’ubriacone invadente di turno a cui non importava mettere i bastoni fra le ruote a suo fratello per pura soddisfazione personale.
 
“Ehm, Bene grazie.” Ludwig si schiarì la voce, cercando di gestire l’imbarazzo. Non aveva mai parlato a suo fratello della sua vita amorosa. “L’ho portato da Hans Eiscafé a prendere un gela-“
 
“Oh, Ludwig! Non è fantastico o intelligente portare un italiano da Hans!” Gilbert lo guardò a bocca aperta. Quello di suo fratello era stato un’errore clamoroso! Portare un Italiano da Hans equivaleva alla morte. Il loro gelato era buono per i tedeschi, che raramente avevano assaggiato il vero gelato artigianale italiano.
 
La regola numero 8 della frequentazione con italiani era: se vuoi fare colpo su un italiano facendogli mangiare cibo italiano, assicurati che sia davvero italiano.
Gilbert aveva imparato molte cose grazie alle sue numerose esperienze con ragazze italiane ancora prima di conoscere Feliciano, e sapeva che quel posto significava la fine della tua frequentazione ancor prima che cominciasse e per questo andava evitato come la peste.
 
Notava come suo fratello fosse inesperto, e se una voce nella sua testa gli diceva che la loro relazione sarebbe finita subito e che lui a differenza di suo fratello, avrebbe reso Feliciano felice essendo il re del sesso e del romanticismo, la voce della sua coscienza gli diceva che voler male a suo fratello e augurargli qualcosa di fallimentare non era magnifico.
Nè tantomeno una cosa da persone magnifiche.
 
“Beh, l’ho capito tardi...ho notato l’espressione disgustata sul suo volto anche se aveva cercato di nasconderla, quindi per farmi perdonare l’ho portato al luna park e penso si sia divertito?” Ludwig guardò il fratello con aria interrogativa, sperando in un suo parere, ma quest’ultimo fece spallucce evitando categoricamente di aiutare il fratello.
 
“Lo spero per te!” Alzò le dita in aria, incrociandole, per poi fiondarsi sul divano e afferrare il telecomando per cominciare un intenso e noioso zapping continuo fra i canali.
 
“Dovresti smetterla di comportarti come un bambino, perché hai 20 anni. Non è di certo colpa mia se lui non ricambia i tuoi sentimenti.”
 
Gilbert si bloccò, girandosi verso suo fratello e rivolgendogli una smorfia che mirava a infastidirlo.
 
“Beh, avrei avuto sicuramente una reazione diversa se a rubarmelo non fosse stato mio fratello” Ludwig si sentì abbastanza ferito dalle quelle parole, ma non trasmise un singolo segno di debolezza. Sapeva che in queste situazioni Gilbert tirava il peggio di se, perché non era abituato al rifiuto. Era lui quello che sfoderava i due di picche, ed era la prima volta che si trovava dalla parte di chi faceva soffrire.
Non era cattivo, non lo faceva apposta. Semplicemente, non aveva mai provato vero interesse per qualcun’altro che non fosse Feliciano, ma per passare una bella serata fra birra e flirt, sembrava quasi illudesse le persone.
 
A dire il vero, pensava che fossero tutti alla ricerca di divertimento. Ludwig sapeva che Gilbert un giorno avrebbe amato talmente tanto da non essere capace di distinguere i colori, sapeva che avrebbe amato talmente tanto da dimenticarsi i giorni e le ore, sapeva che avrebbe amato tanto.
 
E gli piangeva il cuore a vederlo così. Voleva fare qualcosa, ma non sapeva bene cosa. Aveva bisogno di qualcuno con cui avrebbe potuto esprimere se stesso al meglio senza temere giudizi, qualcuno che lo avrebbe fatto ridere anche fra le lacrime, qualcuno che gli avrebbe donato il suo cuore fidandosi di lui.
 
Era sempre più solo. Aveva allontanato ed era stato allontanato da quando gli era stata attribuita la fama di “player”.
Ogni giorno era più triste, ma cercava di farsi forza da solo e di tirare avanti. Passava giornate intere fra videogiochi, palestra e ubriacate con gli amici, e forse anche qualcosa di più.
 
Con il viso serio e un filo di compassione su di esso, sapeva che l’unico a poter svegliare suo fratello era proprio lui. Probabilmente avrebbe dovuto non frequentarsi con Feliciano per non turbarlo, ma allo stesso tempo sapeva che anche se immerso nel dolore più profondo, gli avrebbe fatto bene e lo avrebbe spronato a diventare la migliore versione di se stesso, qualcuno di più...fantastico.
 
“Invece di stare spaparanzato sul divano a pancia all’aria, potresti dedicarti a qualcosa di più produttivo no?”
 
“Piantala Ludwig! Tu sei stato solo fortunato, non crederti migliore di me!”
 
“Non mi credo migliore di te, Gilbert. Voglio solo tu sia felice, il mare è pieno di pesci e sono sicuro troverai qualcun’altro.”
 
“Facile a dirsi quando fra quei pesci si è già preso il migliore!” Il tono rabbioso ma composto di Gilbert era in perfetto contrasto con quello rigido di Ludwig.
 
“Non è così come la pensi, Gilbert. Se non cerchi non trovi.”
 
“Sai Ludwig, le tue frasi filosofiche e scalda cuore mi hanno rotto veramente le palle” Mimò un’ espressione commossa, per prendere in giro suo fratello  “Non sono io che cerco gli altri, sono gli altri che vengono da me.”
 
“E allora perché sei solo?”
 
“Ludwig, oggi c’è l’hai proprio con me eh?” Grugnì, sbattendo a terra il telecomando della televisione e alzandosi di scatto dal divano per poi guardare suo fratello.
Strinse i denti e li rosicchiò, mentre le sue labbra si ritrassero in un ringhio e le sue sopracciglia si unirono, ritraendosi.
 
“Non devi sempre rinfacciarmi tutto! Io sono fottutamente fantastico e non hai il diritto di farmi sentire una merda.” Cominciò a puntare l’indice contro il petto di Ludwig, ma lo sguardo impassibile del giovane fece saltare i nervi a Gilbert, che prese la sua giacca e sbattè la porta dopo essere uscito di casa.
 
Ludwig rimase lì, immobile. Guardò la porta e sentì di sottofondo le imprecazioni del fratello.
Si stava comportando come un bambino. 
si pentiva di essere stato così duro e insensibile con suo fratello, nonostante in cuor suo sapesse di aver fatto la cosa giusta.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


“Lovi, sono a casa!” 

Lovino rispose con un cenno, immerso in un mondo di calcoli e fogli di carta che profumavano di nuovo. Lui amava l’odore della carta e dell’inchiostro fresco.

Avrebbe preferito però che quella carta e quell’inchiostro fossero utilizzati in modo migliore, ad esempio per costituire pagine dei migliori ricettari di cucina italiana o dei più strappalacrime romanzi d’amore.

Amava leggere, era una delle sue più grandi passioni. Andava letteralmente pazzo per le storie d’amore e i polpettoni rosa, nonostante tendesse a nascondere i suoi romanzi sotto il materasso per evitare che suo fratello li trovasse per caso in una delle sue maniacali sessioni di pulizia, che però erano destinate solo alla stanza del povero Lovino.

Feliciano non aveva mai pulito in vita sua, quindi non è che ci volesse molto a capire che l’unico suo scopo fosse quello di ficcanasare nella vita privata del fratello, tentando di scoprire qualche succulento segreto sul suo conto, dato che secondo lui Lovino si teneva troppo riservato sulla sua vita e avrebbe dovuto condividere con lui qualche aspetto più piccante o personale.

Dalla bocca di Lovino in questi casi, uscivano più insulti del solito e il giovane si chiedeva assiduamente da dove suo fratello avesse imparato a non farsi mai gli affari suoi. Poi si ricordò di suo nonno e capì da dove proveniva la sua infallibile dote. 

Pur se venuto a mancare più di un anno fa, Lovino ricorda ancora di quando il bastardo lesse il suo diario segreto delle medie, scoprendo tutto sull’appuntamento con una ragazzina della sua stessa classe. 

Ogni parola era una frecciatina, e ogni volta che si guardava allo specchio vedeva guance rosso fuoco, così rosse che pensava che se le avesse toccate anche con la sola punta del dito, si sarebbe bruciato. 

Glielo fece pesare per giorni, ma quei giorni diventarono settimane e poi mesi. 

E da lì, niente più diari o cazzate varie. Ma non perché si portasse dietro il trauma dell’infanzia, semplicemente perché non c’era più nulla di così interessante da raccontare.

Oh dio, Lovino in quel momento avrebbe voluto sostituire quell’ammasso di inutile carta in un bel libro da leggere, che lo allontanasse per un momento dall’incubo della realtà e gli facesse vivere una qualsiasi avventura a sua scelta.

Un libro storico? Che palle, troppo noioso. Un libro di fantascienza? No cazzo, troppo irrealistico.

Forse un bel libro d’orrore avrebbe stato perfetto. Uno di quelli che ti fa gelare tutto il sangue in corpo e ti fa accapponare la pelle.

Le carte che attestavano l’assenza di denaro, il mancato pagamento dell’affitto, i mancati contributi da versare, le bollette da pagare che ormai si trascinava dietro da mesi, potevano diventare al pari del più pauroso dei libri d’orrore che lui avesse mai letto e con lui come protagonista.

Il sudore che grondava dalla fronte e la disperazione che assaliva l’anima erano i suoi, non di un qualunque personaggio che si ritrovava in una casa infestata da fantasmi o spiriti ed entità del genere.

“Hai fame?” Domando innocentemente suo fratello, che pur senza aver ricevuto risposta, era già ai posti di partenza per correre a preparare una buona pasta al sugo.

Lovino scosse le spalle per poi spegnere la sigaretta sfregandola nel posacenere, dimenticando per un istante quanto lo avesse rilassato.

Si tolse gli occhiali, che gli avevano fatto venire già una forte emicrania, e posò le mani sudate sulle meningi, massaggiandosele delicatamente.

“No. Penso prenderò una aspirina e andrò a letto, sono stanco e ho un brutto mal di testa del cazzo. Oh, e non poggiare le mani sulla mia merda, stanne alla larga” avvertì, fulminando suo fratello con lo sguardo, che già guardava con curiosità a quel cumulo di carta bianca sparso sul tavolo da cucina. 

“Va bene Lovi! Posso metterlo a posto in modo più ordinato almeno?”

“Fa come ti pare.” 

E in un baleno, Feliciano si avventò sulle scartoffie nel preciso istante in cui suo fratello sparì nel secondo piano della casa.

Resistette alla tentazione di cominciare a spulciare e leggere ogni singola parola stampata. Aveva promesso a suo fratello che non avrebbe guardato e quindi non lo avrebbe fatto. 

Neanche se la tentazione era forte e il diavolo gli diceva di prendere uno ad uno quei maledetti ammassi di carta e di cimentarsi nella migliore lettura che avesse fatto in tutta la sua vita.

Anche perché, l’unico libro che Feliciano avesse mai letto risaliva alle scuole elementari. 

Preferiva di gran lunga i film, perché gli sembrava potessero immergerlo a pieno in quanto stava succedendo, e poi non doveva stancarsi troppo a leggere e a perdere il segno delle pagine, o peggio ancora a cercare di tradurre quelle troppo difficili.

Prese delicatamente le scartoffie, formò una pila e la poggiò sul tavolo in modo sorprendentemente ordinato.

Sbuffò un po’, e addentò una forchetta di pasta. Suo fratello era sempre così impegnato ultimamente, che aveva cominciato a trascurare se stesso e quello che gli piaceva fare.

Era tempo che non lo vedevo spruzzarsi il suo profumo preferito, farsi un lungo bagno con dei sali che rendessero l’acqua profumata, arricciarsi i capelli, vestirti elegante.

Guardò il piatto di pasta in modo inespressivo, non tipico del suo modo di fare. Piegò leggermente la testa verso sinistra, e con un live broncio contrariato allontanato il piatto di spaghetti che era stato solo oggetto di qualche piccola forchettata.

Non gli andava più di mangiare. Gli sembrava di vivere sulle spalle di suo fratello. Aveva 18 anni e 0 autonomia, non aveva un lavoro ne un posto dove vivere.

Gli sarebbe piaciuto essere come Ludwig, Indipendente a una giovane età, e tutti erano orgogliosi di lui.

Sembrava che la Germania lo avesse cambiato, facendolo diventare sempre più simile al tipico stereotipo tedesco. Era diventato schiavo del suo lavoro, e Feliciano sapeva quanto suo fratello stesse faticando per permettere a quel piatto di pasta che stava mangiando, di essere lì in quel momento.

 

                                                                                               ///

 

“Dai amigo, non fare il depresso! Hai meglio a cui pensare, no?” Antonio esclamò, dando un pugno leggero e amichevole alla spalla di Gilbert, cercando di rallegrare il suo viso spento e segnato dalla tristezza.

Gilbert si rivolse verso Antonio, fulminandolo con lo sguardo e minacciandolo con i suoi occhi cremisi. 

“Tu...” lo guardò, abbassando lievemente il capo mentre si rivolgeva a lui “tu...sai come ci si sente ad essere rifiutati?” Lo stuzzicò fastidiosamente, toccandogli il petto con il dito, in modo quasi doloroso.

“E sai cosa è peggio? Essere rifiutati per tuo fratello, che ha una seria faccia da culo e che non sa nemmeno come scop-“ 

“Basta mon cher, penso tu stia esagerando” Francis schiaffeggiò la sua mano sulla bocca dell’amico, tappandola e impedendo che le peggiori volgarità venissero pronunciate dalle sue labbra.

“Non mi interessa, voglio solo bere adesso!” Strappò la mano di Francis dal suo volto, avventandosi su una altra birra posata sul bancone, stappandola velocemente e assaporando ogni singolo luppolo.

Stava bevendo tanta, troppa birra, così tanta che immediatamente si rese conto di come pian piano diventava sempre più disgustosa alle sue papille gustative e al suo stomaco, ma sempre più piacevole ai suoi occhi e alla sua anima.

Il suo stomaco stava bruciando letteralmente, così come il suo cuore. Non gli importava più nulla, voleva solo essere in grado di svenire, perdere i sensi o qualcosa del genere, almeno per non sentire più quel dolore lancinante penetrargli nelle ossa.
Si sentiva rilassato, anche ingurgitando quello che stava ormai per lui era puro veleno. La sensazione di spossatezza, la nausea che prendeva lentamente possesso del suo corpo, erano passate in secondo piano.

Era incredibile, ritrovarsi a odiare quella cosa che avevi amato terribilmente per anni, ma sapere di non riuscire a farne a meno.

“Mom ami, dacci un taglio adesso,stai bevendo troppo” Francis lanciò uno sguardo ad Antonio, per cogliere in tempo le sue sopracciglia corrugate in uno sguardo di disapprovazione, per poi tornare a guardare il tedesco che con gli occhi semi chiusi, conservava l’alito amaro e il viso tinteggiato di un rosso focoso.

“Dai, non fare il noioso! Lasciami bere!” La sua voce fece rabbrividire i suoi amici. Riuscivano a cogliere la disperazione nel suo tono, benché fosse visibilmente penalizzato dalla disidratazione a cui l’alcol lo aveva portato.

Francis non aspettò sta volta. Prese Gilbert con forza dalla schiena, facendo cadere per terra il bicchiere di birra e rompendo le bottiglie in mille pezzi, attirando gli sguardi e gli insulti del locale.

“Tieni i tuoi soldi e non lamentarti!” Gettò una manciata di monete sul bancone, con fare meschino e sbrigativo, non guardando nemmeno in faccia il cameriere esasperato.

“Che posto di ubriaconi! Gilbert, veramente te la fai in questo posto così squallido e poco elegante? Sarete anche ubriachi fradici, ma non penso che l’alcol possa rendervi così poco lucidi da farvi sostare in un posto del genere!” Domandò, ma non si aspettava una vera risposta da Gilbert. 

Guardò come era conciato il suo amico. “Beh, forse tu saresti capace di scegliere un posto del genere anche da perfettamente lucido...”
Soffiò sul suo ciuffo scostandosi elegantemente i capelli dal viso con un lieve tocco, trascinando il tedesco fuori dal locale.

C’erano un tedesco ubriaco, uno spagnolo arrabbiato e un francese infastidito. Sembrava l’inizio di una barzelletta, che però non faceva così tanto ridere.
Gilbert si gettò sugli scalini, e Antonio e Francis presero posto accanto a lui cercando di confortarlo.

“Gil, sei forte. Troverai qualcuno di migliore e che ti sappia apprezzare.” Antonio sfregava la mano sulla spalla fredda del suo amico, donandogli un po’ del suo calore. 

“Dite tutti le stesse cose! Ma è così difficile per me, voi non potete capire quanto!” Si strinse i capelli fra le mani, per cercare di trattenere la rabbia che lo avrebbe portato a compiere qualche crimine nel giro di poche ore.

“Amigo, ma è la verità. Anche io pensavo non avrei mai trovato nessuno, ma poi invece ho trovato Belle e-“

“Non è la stessa cosa! Non sei stato rifiutato!”

“Mon ami, smettila di essere così tragico. Le cose devono andare male per poi migliorare. Non ti manca nulla, solo un po’ di...autocontrollo, ma del resto sei un bravo ragazzo.”

“Francis...tu...vorresti essere il mio ragazzo?” Gilbert disse con voce ovattata, guardando Francis in attesa di una risposta, che gli rivolse uno sguardo sconvolto e furioso.

“Ma che cosa stai dicendo, Gilbert!” Francis urlò, sgranò gli occhiCavolo! La birra gli aveva dato proprio alla testa più di quanto avesse pensato.

Non avrebbe mai voluto stare con Gilbert, a dire il vero. Preferiva qualcuno di più gestibile e non così ribelle.

“Ecco, lo sapevo, nemmeno il mio migliore amico vorre-“

“Chiudi quella cazzo di bocca! Sono le cinque del mattino, c’è chi dorme e lavora e tu vieni a romperci il cazzo urlando come una merda isterica! Non frega un cazzo a nessuno dei tuoi dannati affari!” Gilbert e la sua voce squillante, vennero interrotti dal tono aspro e maleducato dal fioraio che gestiva il negozio affianco al bar frequentato da Gilbert.

“Non osare parlarmi così tu! Io sono fottutamente fantastico, sono il migliore e-“ 

“Non frega un cazzo a nessuno! Mi hai sentito?”

“Lovino, per favore...”

“E tu osi ancora parlarmi?”

Ecco. Alla barzelletta, si era aggiunto anche uno scorbutico italiano che aveva cominciato una lotta verbale esplicita con Gilbert, che però zittì anche Antonio con delle parole accompagnate da una voce sibillina, degna delle peggiori vipere.

Antonio. Il suo primo grande amore, nonché la sua prima grande delusione. Pensava di essere l’unico nel suo cuore, pensava di essere l’unico a cui tenesse, e invece? Scopre di essere un passatempo per lui quando la sua ragazza, ormai ex, era via per lavoro.

“Lovino, ti prego...” 

“Francis, Bastardo francese, potresti dire ad entrambi i tuoi amici che devono stare zitti e chiudere quelle bocche infernali? Grazie.” lanciò uno sguardo pregno di odio freddo ad Antonio, e un espressione interrogativa a Gilbert.

Francis fece un cennò allo spagnolo, che annuì e chinò il capo.

“Francis, hai visto? Guardalo” indicò Lovino con un braccio tremante “assomiglia a quello che mi ha rifiutato”

“Oh no Gilbert, ti prego...” troppo tardi. Gilbert si era avventato su Lovino, ripetendo cose del tipo “perché non mi ami? Perché lui e non io? Perché, dimmi perché!”

L’italiano era inorridito. Pensava solo che fosse un pazzo maniaco, anche se avrebbe dovuto immaginarlo dai suoi occhi indemoniati e iniettati di sangue e dalla sua pelle candida, come se gli avessero dato fuoco. 

Una smorfia di disgusto prese possesso del suo viso, e spinse Gilbert lontano da lui, che venne preso per le spalle da Antonio.

“Lovino...potresti...potresti tenere Gilbert qui? Chiameremo suo fratello che lo verrà a prendere il prima possibile.”

“Sei forse pazzo? Non esiste! Portatelo con voi, io non lo voglio!” Lovino rifiutò in men che non si dica, la proposta di Francis. Perché lasciare lui ad occuparsi di quel depravato maniaco inferocito? Non esiste minimamente! Gli avrebbe distrutto il negozio, causandogli migliaia di euro di danni che proprio con poteva permettersi di usare in quel momento.

“Lovino, ti prego-“

“Dammi quel fottuto telefono! Chiamo suo fratello e lo faccio venire a prendere, ma voi non vi muoverete da qui e non mi lascerete badare a questo pazzo da manicomio!” Strappò il telefono dalle mani di Francis, in modo violento.

“Come si chiama il fratello del pazzo?”

“È memorizzato come Ludwig.”

Ludwig? Lo stesso Ludwig? No, non poteva essere vero. Questo malato psichiatrico era il fratello dell’orsacchiotto coccoloso e amorevole di cui suoi fratello era innamorato perso?

Cazzo. Sarebbe stato imparentato con un pazzo se quei due si fossero sposati. Scosse il capo, in quel momento era imperativo far portare a casa il tedesco e non pensare ad un eventuale nuovo albero genealogico.

“Pronto? Ciao, vieni a prendere tuo fratello Gilbert qui al fioraio dei Vargas, e fai in fretta, perché si sta mangiando i miei fiori!” Non attese per una riposta, buttando velocemente giù la cornetta, per poi strappare dalla bocca di Gilbert una delle sue rose più pregiate.

“Volevo ballare il tango con Antonio-“

Il tango con Antonio. Lovino si bloccò per un istante, ricordando quanto gli piaceva danzare assieme al suo amato nel salotto, stringendo forte la sua mano e coordinando i loro corpi in un ballo sensuale ed elegante. I loro petti che si sfregavano, pregni di sudore, i loro occhi che si incrociavano e le loro bocche che si avvicinavano sempre di più fino a schiudersi in teneri baci.

La rosa. La rosa che Antonio, dalla sua bocca, passava delicatamente a quella di Lovino proteggendo con le sue labbra qualsiasi danno della spina su quelle carnose e delicate dell’italiano.

“Lo balli a casa tua, e non con le mie rose in bocca!” Si riprese e agitò un pugno digrignando i denti, entrando nel suo negozio e lasciandosi alle spalle i tre uomini che urlavano e gli spaccavano i timpani in una fresca e tranquilla mattinata di inizio settembre. Era il primo giorno che tornava a lavorare dopo le ferie estive, e si sentiva ancora la brezza marina e la salsedine sulla pelle abbronzata e nei capelli.

E in breve volò un ora, forse anche due. E quando guardò fuori dalla porta, vide che la città aveva ripreso vita, e più il tempo passava, più il via vai di gente aumentava. 

Era così preso dal clima dell’ordinata confusione, che non si accorse che Gilbert e i suoi amici erano andati via da un bel po’.

Notò una sola cosa. La sua rosa, quella che Gilbert aveva in bocca, era stata gettata per terra davanti al suo negozio.
La raccolse delicatamente, guardando i petali guastati e schiacciati. Gilbert e non aveva avuto nemmeno la decenza di riporla al suo posto, ma proprio mentre pensava a come avrebbe potuto donarle una nuova vita, si punse con una spina.

“Dannazione! Rosa di merda!” 

A dimostrazione, che le cose più belle possono farti del male, e a volte era meglio lasciarle andare e gettarle nel pattume più totale.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


“Gilbert, ma guardati...” la voce ovattata e calma di Ludwig si rivolse a suo fratello, che bianco come il latte, sembrava infinitamente occupato a muoversi continuamente sul divano alla ricerca di una posizione piacevole per sopprimere il suo mal di testa causato dalla sbornia. 
Lo sguardo di Ludwig era pregno di delusione, tristezza. Era un dolore lancinante vedere suo fratello così distrutto dalla sofferenza, tanto da renderlo così scialbo e pezzente.
 
Il ragazzo non ascoltò, per lui la voce di suo fratello in quel momento era paragonabile a un fastidioso ronzio.
Lo guardava, stringendo gli occhi rossi come se stesse cercando di scrutare l’anima di suo fratello, ma poi storceva il naso e piegava il capo, scoppiando in una disgustosa e disturbante risata, accompagnata da colpi di tosse pieni zeppi di catarro, che riecheggiava potentemente nella stanza dalle pareti rosse.
 
“Gilbert, che hai fatto ancora? Quanto hai bevuto?” Erano domande sciocche da fare, Ludwig lo sapeva bene. Ma in realtà, non considerava tutto ciò una completa perdita di tempo. Avrebbe voluto avere una conversazione con suo fratello, che seppur ubriaco, era sicuro gli avrebbe detto qualcosa.
Da sobrio non lo avrebbe mai fatto, per ora. Era così arrabbiato con lui che era sicuro non gli avrebbe rivolto la parola per giorni, o settimane, a via del suo enorme orgoglio e la sua abitudine nel non essere mai quello che doveva scusarsi.
 
Era un lato negativo di Gilbert, quello di pensare di avere sempre ragione e di non essere mai quello in difetto. Ludwig ammirava la sua grande autostima a e la sua innata sicurezza, ma a volte capiva come fosse eccessiva e potenzialmente dannosa per lui in alcune situazioni.
 
quando erano piccoli, era così: Gilbert era sempre stato abbastanza permaloso, anche se dopo la pubertà aveva cominciato a cambiare radicalmente dal punto di vista della permalosità, sostituendo il tutto con una grossa risata. Era evidente però non sopportasse ancora che qualcuno gli andasse contro o che qualcuno lo offendesse per scherzare.
Ed era qui, dove lui non riusciva a gestire la rabbia e il disprezzo e agiva in modo impulsivo, alzano le mani o offendendo a sua volta la persona in questione, e anche se si sentiva offeso non dimenticava di rimarcare all’infinito quanto fosse fantastico.
 
Nonostante fosse un uomo tranquillo, pacato e che si teneva a debita distanza da eventuali rischi di litigio, anche lui aveva avuto l’onore e la sfortuna di litigare con Gilbert. 
quando litigavano, si sentiva perso nel mezzo di un buio vicolo cieco, nonostante fosse lui quello che illuminava la strada a suo fratello.
Sentiva che non ce l’avrebbe mai fatta senza di lui perché avevano bisogno l’uno dell’altro.
Pensava che una volta cresciuto, non avrebbe mai più provato quella situazione di vuoto interiore, ma invece si rese conto che con Gilbert non c’era situazione spiacevole destinata di essere l’ultima.
 
“Ho bevuto giusto un pochino, dai! Non tanto, solo un pochino pochino” accompagnò le parole nauseanti con un gesto della mano, avvicinando pollice e indice senza farli unire ma per indicare la quantità di birra che aveva assunto.
 
Ludwig roteò gli occhi, prendendo la mano di suo fratello mostrandogli la sua vicinanza, ma dall’espressione contrariata dell’albino, Ludwig con rammarico notò che seppur ubriaco non aveva dimenticato del litigio fresco di mattinata di settembre.
 
“Gilbert...”
 
“Chiudi il becco e lasciami stare per un attimo! Vai dal tuo fidanzato!” Mosse la mano, scacciando Ludwig come se fosse una mosca, sbuffando maleducatamente.
 
“Gilbert, dovrai pure darci un taglio. Ti stai comportando come un bambino.”
 
“Dici sempre le stesse cose, e va bene sono un bambino allora! ma non rubo i quasi-fidanzati agli altri!” 
 
“Basta con questa storia! Inoltre questo non ti giustifica nel molestare persone che gli assomigliano!” Ludwig aveva letteralmente perso la pazienza, e si stupì di ciò. Aveva mantenuto il sangue freddo nelle situazioni più stressanti e peggiori, ma aveva capito che per lui era impossibile restare tranquillo e pacato quando si veniva accusato di crimini che si riflettevano nella sua vita amorosa che per anni era stata inesistente.
 
Stringeva il pugno cercando di tenere i nervi saldi, ma il nervoso che lo teneva come ostaggio era impossibile da fermare.
Il suo viso angelico e scolpito, ora era spigoloso, caratterizzato da sopracciglia corrugate e occhi che bruciavano come il fuoco.
Si mordeva il labbro aggressivamente, cercando di trattenere una eventuale reazione violenta.
 
Gilbert si bloccò un attimo, distogliendo la sua attenzione dalle escandescenze del fratello e  riportandola su quanto aveva appena detto. Sapeva dello spiacevole episodio con il fioraio nella sera precedente.
 
Oh, cavolo. Come faceva a saperlo? Era impossibile, non era lì in quel momento. Non conosceva quel bar ne tantomeno quel fioraio. Non conosceva la zona, non era molto frequentata a causa dei vari club notturni che disturbavano la gente anche in mattinata, e Gilbert aveva sempre cercato di andare in posti non frequentati da suo fratello proprio per evitare avvenimenti come questi.
 
Non c’era modo che suo fratello avesse scoperto tutto. E poi, non lo aveva mica molestato quel ragazzo, giusto?
 
Oh. Francis. Probabilmente aveva chiamato Ludwig per farlo venire a prendere, come succedeva sempre quando finiva nel bel mezzo di qualche rissa violenta o di quando precedentemente era stato così ubriaco da non ricordare nemmeno la strada di casa.
Avrebbe dovuto immaginarlo, e si domandava come mai non gli venisse mai subito in mente dell’enorme influenza di suo fratello all’interno delle sue azioni quotidiane, come se non fosse in grado di gestire perfettamente la sua vita.
 
“Non l’ho molestato! Era solo la versione più figa di Feliciano ed ero sbalordito!”
 
“Ah, e quindi hai deciso di assalirlo per poi intrufolarti nel suo negozio rubandogli dei fiori?”
 
“Non gli ho rubati! Ho solo preso un fiore e l’ho rimesso a posto!” Il tono rabbioso e aggressivo di Ludwig fece sobbalzare Gilbert, con il cuore che gli batteva a mille e il fiato corto, come se avesse avuto paura di avere un confronto con suo fratello, che probabilmente non sarebbe riuscito a reggere nonostante il suo fare provocatorio e la sua tremenda astuzia.
 
Nessun poteva battere Ludwig quando era amareggiato o deluso. Ma soprattutto, nemmeno una magnifica bugia del più grande dei bugiardi avrebbe potuto battere l’austera verità dalla bocca del giustiziere.
 
Suo fratello aveva polso. Non era solito a mostrare questo suo fare aggressivo, perché faceva male soprattutto a se stesso. Gli ricordava del loro padre alcolizzato, che tornava a notte fonda sbattendo le bottiglie vuote di birra per terra e urlando come un matto.
Quei ricordi facevano accapponare la pelle persino a un forte come lui. La violenza psicologica e a tratti fisica, subita in casa da un uomo che avrebbe dovuto amarli all’infinito, lo aveva reso spaventato.
 
Ludwig ricordava i suoi occhi: inespressivi, erano vetri appannati. Se eri fortunato, potevi scorgere la rabbia repressa di un uomo che aveva mandato la sua vita allo sbaraglio e trovava conforto solo nell’ammazzarsi di alcol e qualunque bevanda che lo avrebbe tenuto distante dalla realtà per un po’.
Era quello che suo padre voleva. Non voleva più vivere nella realtà, che gli aveva fatto male e lo aveva reso la caricatura di se stesso, ma allo stesso tempo non aveva il coraggio di porre fine ad essa una volta per tutte.
 
Aveva paura che sarebbe potuto diventare come lui, e quando una nuova persona entrava nella sua vita, egli aveva sempre paura di farle del male. Per questo, non era riuscito a trattenere una relazione duratura dai tempi della scuola media. 
 
Ecco perché Gilbert avrebbe dovuto essere contento di lui e infelice di se stesso. Suo fratello sulla strada per diventare uomo, un ottimo padre di famiglia, e invece lui sulla strada dell’alcolismo.
 
Ludwig Cercava di reprimere la rabbia che lo stava mangiando come un verme dall’interno del corpo, ma strinse la faccia e il pugno, cercando di non perdere le staffe sotto lo sguardo compassionevole di Gilbert.
 
“Ti lascio solo. Riposati e vedi di essere decente stasera. Feliciano ci ha invitato a cenare con lui.” Emise un respiro profondo, e con voce tranquilla si congedò. 
 
Oh, merda. Gilbert sbattè la mano sul suo viso in un facepalm clamoroso facendo ben attaccare le dita, come se stesse cercando di avere la forma della mano sul viso.
Dannazione, sempre nei momenti meno opportuni e in stati pietosi, doveva ritrovarsi a incontrare una persona che gli piaceva.
 
E puzzava di birra e frittura.
 
Gilbert sgranò gli occhi, sbattendo le palpebre in modo frettoloso, come se stesse cercando di svegliarsi da quello che era convinto fosse un sogno.
Si girò rapidamente cercando di incrociare lo sguardo di suo fratello, ma con sua sorpresa non era più li.
 
“Sono proprio una merda” la sua testa girava come una giostra, la mano posata sulla fronte che strisciava sul suo viso cercando di non perdere il senso del tatto far risvegliare il cervello addormentato.
 
Ludwig non lo vide. Dopo aver avvertito Gilbert, si lasciò tutto alle spalle e corse in cucina, chiudendo la porta e cercando di porre una distanza abbastanza significativa fra lui e suo fratello.
 
Accese la radio, mettendo della buona musica classica che lo avrebbe rilassato e avrebbe liberato la sua testa da tutti i pensieri.
 
///
 
“Sono veramente sfinito! Guarda, i miei capelli sono ricchi di umidità e puzzano di birra!” Francis arrotolò una ciocca dei suoi capelli intorno al suo dito affusolato, sfregando il cuoio capelluto in modo delicato con la sua mano curata e pulita.
 
Uno sguardo amareggiato caratterizzava il suo viso, facendo alzare un sopracciglio in senso di disappunto all’uomo inglese che aveva di fronte a lui.
 
“Basta toccare quei capelli, diventeranno paglia! Sono già gialli, quindi metà dell’opera è completa”
 
“Mon amour, non fare il difficile-“
 
“Non chiamarmi così, rana francese!”
 
Afferrò Francis per il colletto mettendolo con le spalle al muro, ma Francis inaspettatamente invece di controbattere e sventare un calcio alle palle dell’inglese, gli posò un bacio delicato e soffice sulla punta del naso, facendo arrossire l’uomo che successivamente allentò la presa.
 
“Che è successo ieri sera? Sei tornato tardi.” Arthur domandò. Era lievemente preoccupato, dato che Francis non era solito ritirarsi così tardi quando usciva con gli amici.
Aveva paura avesse fatto qualche incontro spiacevole o che si fosse immischiato in una lotta tra ubriachi.
 
Lasciò totalmente la presa a Francis, aggiustandosi la cravatta, e passandosi una mano fra i capelli scompigliandoli leggermente, per poi sedersi sul divano seguito dall’elegante uomo francese.
 
“Ieri, Gilbert si è ubriacato di nuovo. Non so che fare con quel ragazzo!” Fece un respiro profondo, per poi sbuffare e far finta di asciugarsi una lacrima dall’occhio.
 
“Non credo sia la prima volta che lo fa”
 
“Lo so mon Cher, però questa volta è diverso. È stato rifiutato da Feliciano, e non riesce ad accettarlo. La cosa peggiore, che credo gli abbia fatto più male, è che è stato rifiutato per Ludwig!”
 
Arthur sfoderò un viso sorpreso. Non tanto per il fatto che sia stato rifiutato per Ludwig, ma per il semplice fatto che qualcuno aveva avuto il coraggio di rifiutarlo.
D’altronde, Ludwig era un uomo stabile che donava serenità e dava un punto fermo alla sua vita, e certo, nonostante gli adolescenti desiderassero più qualcuno come Gilbert perché era il momento della vita in cui non si cerca stabilità ma avventura, cosa che Gilbert avrebbe potuto donare benissimo, non era difficile da comprendere che quell’avventura sarebbe durata ben poco perché sostituita dalla voglia di crescere e di avere una famiglia.
 
Annuì mentre ascoltava Francis raccontare il tutto, e si stupì di come uno come Feliciano, leggermente pauroso e codardo, abbia avuto il coraggio di rifiutarlo.
Non bisogna fraintendere. Non è che Gilbert fosse capace di commettere violenza dopo il rifiuto, ma semplicemente non era un tipo che i ragazzi, ma soprattutto le ragazze, si lasciavano scappare anche solo per un’avventura.
Costituiva pur sempre un’esperienza di vita, che non sarebbe dispiaciuto a molti di fare. Lui era così, ed Arthur sapeva bene che lo sarebbe rimasto per sempre, anche con la dentiera e il bastone in mano.
 
“Le parole del rifiuto di Feliciano gli hanno fatto male così tanto?”
 
“Diciamo che a Feliciano non ha detto nulla. La cosa che ha ferito Gilbert, che lui ha trovato peggiore di un rifiuto, è stato come Feliciano lo ignorasse quando Ludwig era nei dintorni”
 
“Capisco. Deve essere stato un duro colpo per il ribelle tedesco.”
 
“Ovviamente, mon Cher”
 
“Ti ho detto che non devi chiamarmi così!”
 
“Oh capisco, vuoi del te inglese del mio cuore?”
 
“Yes, and fuck you.”
 
///
 
“Hey Lovi, ci sei?” 
 
Lovino sentì suonare il campanello del suo negozio all’apertura frettolosa della porta. Feliciano entrò con un sorriso smagliante, e nascondeva qualcosa dietro la spalla, ma non gli importava troppo di capire cosa fosse.
 
Era occupato a cambiare l’acqua ai fiori e a rimuovere delicatamente con un taglio deciso di pinza le spine di troppo delle rose che davano fastidio a lui e a i clienti, o ad accorciare qualche stelo che se troppo lungo rendeva il fiore poco elegante per i suoi gusti, e soprattutto era difficile da trovare una carta galante e molto curata.
 
“Sei venuto a rompermi le palle anche nel negozio?” Alzò gli occhi al cielo e gli donò un breve sorriso che però sembrava quasi una smorfia annoiata, però anche se Lovino non lo avrebbe mai ammesso, era contento che Feliciano si rendesse parte della sua quotidianità donandogli un po’ di divertimento sul posto di lavoro grazie alla sua goffaggine e al suo essere imbranato e spensierato, e ciò lo rilassava enormemente: Lo considerava un tocco di colore nella sua vita tedesca grigia e spenta.
 
“Dai Fratello! Volevo solo stare con te, mi piacciono tanto i tuoi fiori” Lovino notò la destrezza e la non curanza con le quali Feliciano nascose dietro le spalle quello che aveva in mano, mettendolo nelle tasche posteriori dei pantaloni in modo da cercare di sottrarre il misterioso oggetto dagli occhi di suo fratello.
 
Feliciano si precipitò su un paio di girasoli appena portati in negozio da un uomo russo amico di Lovino, cominciando a giocare con i petali del fiore e costantemente tirando su con il naso fino a quando non esplose in uno starnuto che fece volare tutti i petali in giro.
 
Era rimasta una crocchia spelacchiata, un italiano con il broncio e uno con gli occhi arrossati e il naso che gocciolava.
 
“Ma sei scemo, cazzo! Tieniti alla larga dai miei fiori, villano!”
 
“Ok ok, scusa, non volevo! Mi dispiace!”
 
Ma nonostante l’azione da vecchia volpe di Feliciano inaspettatamente furba e non da lui, l’italiano più vecchio notò ancora una volta cosa nascondeva, e ne fu doppiamente incuriosito.
Nemmeno il lamento snervante del più giovane era riuscito a farlo arrabbiare in quel caso, perché c’era qualcosa di molto più interessante stavolta della sua voglia di usare suo fratello come un sacco da boxe.
 
Se qualcuno l’avesse visto avrebbe pensato fosse un maniaco a guardare in quella maniera il culo di Feliciano, che pur se carino e benfatto, non era l’oggetto della sua attenzione in quel momento.
I suoi occhi verdi si chiudevano sempre di più, diventando più piccoli man mano che le palpebre ricadevano su di loro come gocce di rugiada su una foglia al tentativo di Lovino di aguzzare la vista, mentre le sue labbra si rinchiusero come se stesse cercando di mettersi perfettamente un bel rossetto rosso che avrebbe mandato allo sbaraglio anche il più duro degli uomini.
 
“Feliciano, tu sei allergico ai fiori”
 
“No, no! Non è vero Lovi, cosa dici!”
 
“Ti conosco da quando ti mangiavi le caccole, inoltre è da quando sei entrato qui che ti stai spruzzando quel fottuto spray antiallergico nel naso e soprattutto ti ripeto che hai distrutto il mio fiore!”
 
“Ma mi piace stare con te, non ho mai visitato il tuo negozio” Feliciano si soffiò il naso, cercando anche di liberarsi della sua voce nasale.
 
“Questo perché sei allergico ai dannati fiori!”
 
Lovino abbassò gli occhiali che portava solo quando lavorava, cercando di beccare lo sguardo spaesato di suo fratello e guardarlo negli occhi.
Beccati. Si muovevano da una direzione all’altra, dimostrando che aveva Feliciano in pugno e che era appena stato messo nel sacco.
 
“Qui qualcosa puzza”
 
“Oh, non so, non sento, ho il naso ottura-“
 
“Cretino! Intendo dire, che tu mi stai nascondendo qualcosa! Non pensare che non abbia visto come ti giostravi alle spalle quella cosa che ti ostini a nascondere da quando sei entrato!”
 
Feliciano sudava freddo, e tremava di ansia sotto il tocco del dito di Lovino, che picchettava sul suo petto con fare fastidioso e leggermente aggressivo per i suoi gusti.
 
Ingoiò la saliva, cercando di liberarsi dal nodo che aveva in gola, e si aggiustò il colletto per donare aria al viso che si sentiva stava prendendo fuoco.
 
“Feliciano, non farmi perdere tempo! Devo lavorare, non posso stare dietro ai tuoi problemi adolescenziali!”
 
Sapeva che pressare suo fratello sarebbe stato controproducente, ma era l’unica cosa da fare per fargli sputare il rospo una volte per tutte, anche se poi era sicuro sarebbe svenuto in preda all’ansia e allo stress accumulato.
 
“Ecco...ti ricordi di Ludwig? Ti avevo parlato di lui, no?” Ecco qua, la conferma di ciò che Lovino si aspettava da quando Feliciano era entrato nel negozio rischiando una crisi respiratoria per via del polline, ma probabilmente lui sarebbe andato in contro a una crisi di nervi se suo fratello avesse fatto di nuovo quel nome, che portava il suo cervello sempre a pensare a quanto successo la mattina presto.
 
“Sì, vai avanti. Che ha fatto il bastardo? Giuro che io-“
 
“No, Ecco tieni!” Disse tutto di un fiato, porgendo prontamente a suo fratello un grazioso bigliettino di carta decorato con petali di rosa.
 
“Ho pensato fosse carino presentartelo e invitarlo a mangiare da noi a pranzo...”
 
“-Ciao, ti invito a mangiare a casa Vargas questa domenica. - Ma scusa, non c’è bisogno di tutta questa formalità, non dobbiamo mica andare a un fottuto matrimonio arabo!”
 
“Ma aspetta Feliciano, cosa hai detto? Ludwig viene a pranzo da noi?” Pensava che i suoi bulbi oculari da un momento all’altro sarebbero rotolati fuori per poi finire sul pavimento.
Seriamente, quel mangia patate a casa loro? No, no! Non c’era modo! Lovino non voleva vederlo, voleva risparmiarsi le smancerie dei due piccioncini a tavola mentre lui voleva solo godersi in pace il suo piatto di lasagne.
Voleva risparmiarsi scende del tipo “oh, amore! Hai la bocca sporca, lascia che ti pulisca!” 
“Ja Ja, Liebe, danke...”
 
“Ti prego Lovi! Posso confidare nel tuo senso di ospitalità ed educazione?”
 
“Ma Feliciano, cioè-“
 
“Dai, ti prego!”
 
“E va bene! Il tuo tedesco può venire, ma se osate comportarvi da fidanzatini vi sbatto entrambi fuori dalla porta così potrete continuare a mangiare sul pianerottolo!”
 
“Ve! Grazie Fratello!” Si avventò al collo di suo fratello, stritolandolo in un abbraccio caloroso anche se sembrava più un polpo che cercava di stritolare la sua preda per poi mangiarla in un boccone.
 
“Di nulla ma- ehi! Hai usato le mie rose per fare questo?” Sventolò il biglietto in aria, stropicciandolo con la forza delle dita con cui teneva saldamente l’invito. Il suo viso si stava lentamente contorcendo dalla rabbia, e i suoi denti sfregavano l’uno contro l’altro vibrando, e i suoi occhi vennero letteralmente oscurati dalle sopracciglia scure.
 
“Beh, ecco...”
 
“Feliciano Vargas! Queste rose costano più di te!” Arrotolò il giornale che comprava che comprava ogni giorno e cominciò a picchiare con esso suo fratello sul sedere, in modo abbastanza violento, spingendolo fuori dal negozio e sbattendo la porta di vetro che temeva si sarebbe rotta.
 
Guardò suo fratello correre via, ma poteva scorgere un sorriso sornione sul suo volto. Infondo, meritava di essere felice, era un bravo ragazzo anche se un po’ irresponsabile e ingenuo.
 
Lovino scosse il capo, sorridendo compiaciuto e sbuffando leggermente in modo allegro. Doveva calmarsi e godersi questi istanti di pace, dove tutto era come decideva lui e nessuno gli era fra i piedi. Era tutto come un dolce suono flautato, della più elegante delle musiche suonate all’arpa o al violino.
Doveva rilassarsi, bere qualche goccia di vino e pensare ai suoi bellissimi fiori, perché molto presto tutto sarebbe finito, e lui si sarebbe trovato a tavola con birra, crauti e disgustose patate crude maleodoranti.
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Il resto della giornata era passato in modo abbastanza normale. Aveva pulito il negozio, innaffiato i fiori, pulito l’insegna e regalato qualche fiore profumato a qualche anziano.
Poi era andato a casa, aveva mangiato, urlato contro suo fratello, fatto i calcoli e dormito per poi ricominciare tutto da capo.
 
Stava accadendo tutto così in fretta. Prima suo fratello gli parlava di quello che era sicuro fosse il suo ragazzo, poi si imbatteva in un tedesco ubriaco che lo molestava sul posto di lavoro e infine per contornare quel bel piatto di merda, Feliciano aveva deciso di invitare quel tale Ludwig a cena da loro proprio oggi.

Era una atmosfera strana quella che lo circondava ultimamente. Non riusciva a capire nemmeno se stesso, figuriamoci gli altri.
Voleva semplicemente rimanere tranquillo nel suo negozio, prendendosi cura dei suoi bellissimi fiori e mangiare solo e in pace un bel piatto di spaghetti con pomodorini freschi del suo orto che curava minuziosamente.
Certo, il lavoro gli aveva rubato tempo da dedicare all’agricoltura, ma faceva di tutto per donare almeno un paio di ore al giorno al suo orto. Sia per controllarlo che per eventuali aggiustamenti e un bel check-up generale delle sue deliziose piantine.
 
E invece non avrebbe fatto nulla di tutto questo. L’ora di chiusura del negozio si faceva vicina e da lì a poco si sarebbe ritrovato seduto a tavola con i due piccioncini.
 
Aveva tenuto il suo locale aperto di domenica solo perché aspettava una consegna da Ivan, il ragazzo russo abbastanza spaventoso ma che portava quei famosi e bellissimi girasoli. 
Ne aveva richiesti alcuni extra proprio perché suo fratello ieri aveva distrutto quei pochi rimanenti, ed era rimasto sorpreso dalla gentilezza del ragazzo nel recapitargli i fiori in un giorno non proprio lavorativo.
 
Arrivò in negozio circa alle 6 del pomeriggio stringendo il cartone fra le mani, con un sorriso smagliante a 32 denti così perfetto che avrebbe fatto rabbrividire anche il più coraggioso dei soldati dell’antica Roma.
Era un semplice sorriso a faccia tirata che Lovino trovava particolarmente inquietante, anche se tutto passava in secondo piano quando guardò i fiori stupendi e disse a se stesso che quel brivido e quelle perline di sudore che gli scivolavano sulla fronte, erano stati il giusto prezzo da pagare per un bottino del genere che inoltre non era neanche particolarmente costoso.
 
Aveva impilato le scatole una sull’altra pronto a portarle fuori nel bidone della carta, ma proprio quando mise piede fuori dalla porta scorse da lontano una figura snella e abbronzata che correva verso di lui sbracciandosi.
 
Oh mamma mia. No.
 
Era quel bastardo di Antonio. Lovino si affrettò a rientrare dopo aver gettato le scatole frettolosamente e si precipitò nel negozio, sbattendo la porta di vetro.
 
Seriamente, quella porta prima o poi si sarebbe sicuramente rotta!
 
“Dove cazzo è quel fottuto telecomando!” Le sue mani sudate e sporche di terreno scivolavano sul tavolo tastandolo rapidamente, tentando di trovare il telecomando che sarebbe servito ad abbassare la saracinesca.
Dopo aver gettato qualunque cosa si trovasse il tavolo, facendo volare pinze, forbici e persino chiavi, trovò il famigerato oggetto che gli avrebbe salvato la pelle. 
Dopo averlo fatto cadere a terra un paio di volte a causa delle sue mani di burro, cominciò a premere con forza sul bottone auto-convincendosi che sarebbe servito ad aumentare la velocità della chiusura della serranda.
 
“Hey Lovino! Sono ancora in tempo per comprare dei fiori?”
 
“No! Vai via, non è giorno di lavoro!”
 
“Ma sei aperto...”
 
“Non più ora! Vai via cazzo, è giorno di chiusura e non puoi comprare nulla!”
 
“Dai, per favore! È urgente, sono per Belle!”
 
“Non me ne frega un cazzo di per chi sono, il mio fottuto negozio è chiuso e tu devi andare da un altra parte!”
 
Nonostante la serranda fosse ben chiusa, la voce squillante e lamentosa di Antonio era ben udibile e ciò irritava Lovino.
Antonio in quel momento era come un acquazzone in una bella e calda giornata di fine primavera, oppure come un temporale in una giornata che fa già schifo, considerando che oggi avrebbe buttato il suo cibo per saziare lo stomaco di una patata che di cucina non capiva probabilmente un emerito cazzo.

Non voleva più avere a che fare con quello sporco traditore spagnolo, che era la perfetta ciliegina sulla torta a ogni sua giornata già cominciata di merda, ma si era rassegnato al fatto che lo avrebbe avuto fra le palle fino alla sua permanenza in Germania, che per la pietà del signore divino, non sarebbe stata a lungo.
 
Antonio, Francis e il suo ragazzo erano lì per questioni di lavoro, il che implicava avrebbero dovuto sloggiare dopo gennaio quando i 6 mesi di prova all’estero sarebbero terminati. A differenza di Lovino quindi, non si erano trasferiti per volere personale ma erano stati mandati dalla loro azienda al fine di abituare i dipendenti a un eventuale soggiorno all’estero nel futuro lavorativo.
Lavoravano in settori diversi, ma comunque avevano deciso di scegliere di stare nella stessa nazione per sentirsi meno soli e continuare a fare i coglioni assieme.
 
Lovino emise un sospiro pesante di rassegnazione, sbattendo le palpebre velocemente come per svegliarsi da un sonno profondo, per poi stropicciarsi gli occhi frettolosamente e far cadere qualcuna delle sue lunghe ciglia. 
E proprio quando pensò di aver scacciato la fastidiosa mosca spagnola, ecco che lo sentì sbattere i pugni contro la saracinesca.
 
“Ti ho detto che devi andartene, non lavoro anche di Domenica!” La voce di Lovino era un ringhio spaventoso, si potevano addirittura sentire i denti che raschiavano gli uni contro gli altri così ferocemente che pensava avessero generato fuoco a furia di andare a quella velocità. Non era abituato a tanta insistenza, e ciò gli dava ai nervi in modo pressante.
 
“Ma ti prego, Non so più da che altra parte andare, è tutto chiuso!”
 
“Cazzo, vattene via ho detto! Sono in ritardo per colpa tua!”
 
“Oh? Per cosa?”
 
“Non sono fottuti cazzi tuoi e ora vattene prima che tagli ogni tuo arto con la mia pinza!”
 
Lovino rimase chiuso nel negozio fino a quando non sentì cessare i pugni di battere sulla sua serranda e sentì i passi pesanti e abbattuti di un uomo che si allontanava, sentendosi sconfitto.
Si sentiva bene a dire il vero, con questi gesti riusciva a prendersi quella piccola rivincita per quanto successo con lui.
A dire il vero gli dispiaceva che Belle non avrebbe potuto ricevere i suoi fiori, ma poi ricordava che sarebbero andati in mano ad Antonio prima di essere regalati alla ragazza, e quando pensava alle sue viscide mani toccare i suoi meravigliosi fiori, sentiva un brivido di disgusto pervadergli la schiena e un senso di vomito che gli dava alla testa.
 
Il ticchettio dal ritmo scandito dell’orologio a parete riempiva la stanza, che in quel momento era animata solo da Lovino che cercava di schiarirsi la voce e che respirava affannosamente per riprendere fiato dopo aver urlato come un matto a quello stupido spagnolo che gli stava causando letteralmente un attacco di cuore.
 
Guardò l’imponente orologio con i numeri romani. Lo aveva ritrovato fra alcuni oggetti di suo nonno quando stava sgomberando la sua vecchia casa per liberarsi dalle sue cianfrusaglie.
Il vecchio aveva indubbiamente buon gusto. Amava i negozi di antiquariato, così tanto che vi si recava ogni fine settimana e aveva trasformato la sua villa in un vero e proprio museo di storia.
 
Lovino aveva messo piede nella casa di suo nonno solo un anno dopo la sua morte perché sentiva a disagio a farlo prima, e si ripeteva avrebbe aspettato fino a quando avrebbe superato la cosa psicologicamente.
E poi invece, aveva cominciato ad entrare nella casa da solo quasi ogni giorno dopo il turno di notte che faceva quando lavorava ancora come cameriere in una disgustosa pizzeria tedesca, che di pizzeria aveva solo il nome.

Ogni passo, ogni volta che il piede toccava il suolo, il suo corpo veniva scosso da un senso di tristezza e i suoi occhi diventavano lucidi solcando il suo viso da sottili lacrime.
Quando la sue mani tremavano, lui si tranquillizzava sentendo ancora la sensazione di suo nonno che lo prendeva per mano e lo stringeva. 
Quando era ancora un bambino e non sapeva ancora nuotare, Romolo era solito a prenderlo per mano e a trascinarlo assieme a lui in acqua, ripetendogli che sarebbe andato tutto bene e che si sarebbe trasformato in un pesciolino una volta imparato a nuotare così bene.
 
Era sicuro di poter sentire ancora l’odore dell’anziano e del suo profumo di Colonia preferito, che si spruzzava quotidianamente sul collo e sui grandi polsi quando usciva di casa anche solo per fare la spesa al supermercato.
I suoi vestiti nell’armadio erano tutti estremamente sobri ed eleganti, ma anche lui faceva spesso uno strappo alla regola e indossava delle collane d’oro molto pacchiane e antiche ma che significavano tanto per lui. Lovino quindi lasciava correre e non lo sommergeva con i suoi consigli di stile quando lo vedeva indossare una camicia bianca spiegazzata e quelle collane d’oro odiose, in quanto aveva capito che erano un segno che distingueva suo nonno dagli altri.
 
Aveva deciso di tenere lui l’orologio, era forse il pezzo di antiquariato più bello che avesse mai avuto. Nonostante il tempo lo avesse fatto ingiallire e avesse causato qualche danno al suo meccanismo, Lovino non smetteva di ammirarlo.
Sapeva che un giorno quell’orologio si sarebbe rotto, e con lui anche la sensazione che nonno Romolo fosse ancora con lui, vivo in quell’orologio.
Ma allo stesso tempo, non sarebbe svanito. Si sarebbe solo rotto, il che implicava che anche se non sarebbe stato in grado di funzionare più sarebbe comunque rimasto lì, rotto ma lì, vivo nella sua morte, come suo nonno.
 
Lovino, seduto sulla sedia di vimini con le gambe che penzolavano, guardò un ultima volta passivamente quell’orologio prima che il suo suono solenne ripiombò nella piccolo locale.
 
“Cazzo, cazzo! Sono le 8 di sera, devo muovermi ad arrivare a casa, non ho nemmeno preparato un cazzo da mangiare!” Certo, non che gli dispiacesse se il tedesco fosse morto di fame ma in un certo senso tutto questo stress aveva causato anche a lui un bel buco allo stomaco, che difficilmente si sarebbe riempito senza una bella mangiata.
 
Aveva realizzato di essersi chiuso nel negozio, e anche se temeva di trovarsi nuovamente Antonio fuori, decise di uscire senza aspettare ulteriore tempo.
Alzò la serranda e notò con piacere che era solo, mentre il cielo si era colorato delle più belle tonalità di arancione.
Era appena il tramonto, e quel pizzico di tipiche giornate estive era ancora vivo nei primi giorni di settembre. Le giornate erano ancora lunghe, e il vento secco e caldo.
 
Chiuse con un movimento preciso la porta con le chiavi, e aspettò che la serranda si abbassasse nuovamente al ritmo del telecomando. Questa volta era fuori dal negozio, e mentre aspettava che la serranda si abbassasse, alzò lo sguardo:  i suoi occhi verdi fissarono il mosaico colorato che componeva l’insegna del suo negozio, e lui non poté fare a meno di sorridere alla visione del suo riflesso deformato nei piccoli frammenti di vetro.
 
///
 
“Gilbert, siamo in ritardo per colpa tua. Ancora una volta” beh, non che fosse una novità, ormai si era rassegnato. 
Ludwig alzò il sopracciglio sottile e biondo, dando a Gilbert uno sguardo di sufficienza mentre le sue labbra sottili e la sua piccola bocca erano corrugate in un lieve broncio, donando al tedesco un’espressione abbastanza divertente anche se la sua intenzione non era proprio quella di far ridere in quell’occasione.
 
“Non fa niente se siamo in ritardo, gli italiani lo fanno sempre. Perché non possiamo essere noi quelli in ritardo per una volta?”
 
“Siamo ospiti e dobbiamo essere puntuali. È il nostro dovere.”
 
“Dovere, dovere, dovere, bla bla bla Lud!” Gilbert girò il capo verso suo fratello, sbuffando e scuotendo la testa per levarsi i capelli bagnati dal viso, che gli impedivano di vedere. “Sei così non-fantastico ultimamente. O meglio, non lo sei mai stato, ma ultimamente sei peggiorato talmente tanto che persino la mia personalità di ferro sta avendo dei problemi a sopportarti.”

“Fatti una doccia e sbrigati” Ludwig sapeva che quello era semplicemente un tentativo di Gilbert di provocare e causare una reazione spiacevole da parte del giovane, ma non sapeva che questa volta aveva giocato d’astuzia e avrebbe predetto le sue mosse.
Non voleva assolutamente rovinarsi la cena con Feliciano per colpa di uno stupido capriccio da bambino troppo cresciuto.
 
“Attento che il mio magnifico culo non riconquisti di nuovo la tua preda! Sarò scintillante come un diamante e tu solo la mia ombra! Sono fottutamente bellissimo” Ludwig girò gli occhi, emettendo un sospiro sibilante per poi guardarsi allo specchio.

Afferrò il pettine fatto di osso e se lo passò sui capelli, pettinando e aggiustando ulteriormente i suoi capelli portati all’indietro, che erano stati riempiti da vagoni di gel per far in modo che non si muovessero dalla loro posizione. Lo facevano apparire sfrontato ma ehi, era pur sempre elegante.
 
Alzò il sopracciglio destro e abbassò quello opposto, corrugando leggermente la bocca e immaginando un eventuale discorso con Feliciano, mentre si aggiustava con insistenza il fiocchetto dello smoking con entrambe le mani muovendolo a zig-zag.
 
“Hey, smettila di improvvisarti modello e pettinare ancora quei capelli a leccata di mucca! Portami i vestiti che ho sul letto!” Gilbert uscì dal bagno tenendosi stretto l’asciugamano legato attorno alla vita, mentre con uno più piccolo si asciugava i capelli biondo platino con un deciso movimento della mano.
 
Ludwig annuì portando a suo fratello quanto richiesto, anche se leggermente imbarazzato al pensiero di essere stato appena beccato a fare mossine e facce flirtanti davanti allo specchio del soggiorno, che avrebbero dovuto essere provocanti ma in realtà erano solo abbastanza ridicole.
 
“Non ti sembra troppo poco elegante?” Guardò gli abiti di Gilbert e un’espressione perplessa si levò sul suo viso, storcendo il capo. Erano dei semplici pantaloni di pelle con giacca abbinata e una maglia bianca quasi trasparente. Sì, sembrava proprio ci tenesse davvero tanto a sfoggiare il suo bel pacco di addominali frutto di anni di palestra intensa.
 
“Mmh, hai ragione. Forse tolgo la giacca? Sì, decisamente. Stile da bad boy che non è molto fantastico o in voga adesso”

“Intendo dire, non penso sia adatto ad una cena”
 
“Oh, andiamo bruder! Sei tu quello che si è messo in tiro per mangiare a casa sua! Sei tu quello che si è vestito come quell’ austriaco tuo amico! Si vede che ha proprio contagiato il tuo sviluppo da vero uomo tedesco”
 
“Ma i tedeschi si vestono così come lo faccio io”
 
“Chiacchiere! Ora zitto e fammi preparare, devo depilare questo bel faccino.” Si accarezzò in modo deciso la guancia destra, per poi farsi un pizzicotto su quella opposta. 
Sbattè la porta del bagno in faccia a suo fratello, perplesso e ancora leggermente imbarazzato.
 
Si girò pronto a tornare in salotto e a sedersi sul divano per aspettare, cercando però di non aggrinzire i pantaloni, ma mentre si avviava venne attirato da un cumulo di sporcizia e rifiuti e numerosi vestiti gettati brutalmente su una sedia nella camera di Gilbert.
 
“Ah Gilbert, sempre il solito” aprì la finestra per far cambiare l’aria che era decisamente viziata, e poi cominciò a rimuovere ad una ad una le carte di merendine buttandole nel cestino appena svuotato, assieme a pezzi di carta di alluminio che avevano fatto da carta ad alcuni panini con la salsiccia che risalivano a qualche settimana fa. 
 
“Che cosa- oh, ha ancora questo? Sembra che sia stato utilizzato di recente...” l’occhio esaminatore di Ludwig tornò a funzionare a dovere dopo un periodo di inattività. Dopo aver tolto una maglia pregna di sudore che giaceva sulla scrivania coprendo la tastiera del computer, vide con sua grande sorpresa il famoso diario rosso che Gilbert custodiva come se fosse una reliquia di qualche santo.
 
Gilbert ne aveva avuti diversi di diari, e questo doveva essere sicuramente il più recente. Poteva dirlo semplicemente tastando la copertina del diario, che non era rovinata e non presentava polvere o pagine ingiallite. Mentre si rigirava il diario fra le mani, lo guardò fra le sue corte ciglia, socchiudendo leggermente le palpebre per mettere a fuoco l’oggetto, avvicinando sempre di più il viso alla copertina.
 
Eh beh, decise di aprirlo e dare un’occhiata. Non era solito a sbirciare nelle cose private di suo fratello, ma nemmeno il suo atteggiamento ferreo, stabile e serio poteva nascondere la sua dose di curiosità pari a quella di una scimmia.
 
“Caro mio fantastico diario, oggi Gilbird mi ha vomitato addosso dopo aver mangiato una dose extra di cibo. Che schifo! Il suo vomito mi ha sporcato la maglietta, ma ehi, anche quando vomita è magnifico come il suo padrone.”
 
“Caro mio fantastico diario, oggi Roderich è caduto per le scale davanti a tutti! HAHA! Potrei aver messo dell’olio per farlo scivolare...potrei.”

 
“Ma che diamine?” Ludwig sgranò gli occhi con sorpresa. Povero Roderich, pensò. Ecco il motivo per cui aveva portato il gesso alla gamba destra per più di due mesi.

Doveva ammettere che Gilbert era abbastanza esilarante, e immaginando la scena dell’austriaco impegnato a ruzzolare giù per le scale, un lieve sorriso cominciò a prendere posto sul suo volto che però svanì velocemente quando si accorse di quanto stava facendo, troncando in seduta stante quel sorriso nascente e scuotendo il capo per liberarsi da quel buffo pensiero.
 
Era l’unico episodio che ricordava solo perché suo fratello glielo aveva raccontato. Rideva così tanto, ma così tanto che lo stomaco gli faceva male e che aveva cominciato a piangere dalle risate.
Andando indietro con le pagine però, Ludwig sembrò non capire a che anno appartenesse il diario; pensò che probabilmente risalisse agli ultimi anni del liceo, ma non poteva dirlo per certo dato che Gilbert era così pigro da perfino evitare di scrivere almeno una data.
Continuò a leggere.
 
“Caro mio fantastico diario, io ed Elizaveta ci siamo fidanzati! È il giorno più magnifico della mia vita! Anche lei è magnifica, anche se non quanto me. Sono così felice che ho addirittura dimenticato di dar da mangiare a Gilbird”

“Caro mio fantastico diario, sono passati tre mesi dal fidanzamento con Elizaveta. La vedo distante, non mi bacia più e non vuole nemmeno fare l’amore. Sono molto triste a dire il vero. Non avrei mai pensato di potermi trovare in questo stato pietoso. Il magnifico Gilbert depresso che mangia quantità industriali di gelato con il cucchiaio. Lo avresti mai detto? Beh, io no.”
 
“Caro mio fantastico diario, io ed Elizaveta abbiamo rotto. Ho pianto per giorni, specie quando mi ha detto che il motivo della rottura era Roderich. Ha capito di amare lui e di voler bene a me, non il contrario come ammetteva i primi giorni. Incredibile, quel damerino austriaco dal culo merdoso è meglio di me, wow.”

“Caro mio fantastico diario, io ed Elizaveta non siamo più amici. Non me la sentivo di continuare. credo di essermi innamorato di Feliciano, è così carino! Mi è stato vicino mentre affrontavo lo stato post-rottura.”

“Caro mio fantastico diario, tutto è andato perduto. Ludwig ama Feliciano, e viceversa. Penso che lascerò loro due insieme senza nemmeno lottare. Sono destinato a essere insoddisfatto, ma ehi! Almeno ho il mio magnifico culo. Mi basto, non ho bisogno di altri. 
P.s dopo 2 giorni. Mi sento solo. Essere soli fa veramente schifo.”

 
“Oh, Gilbert...” fu tutto quello riuscì a dire. Addolcì il suo viso sempre rigido, e una lacrima gli percorse la guancia.
Non si sarebbe mai aspettato di leggere delle fragilità di suo fratello, di come si sentiva davvero. Non aveva mai voluto troppo spingerlo a confidarsi, ma leggere quei piccoli frammenti della sua vita lo avevano reso agli occhi di Ludwig più umano. Aveva esternato le sue debolezze su un piccolo diario.
Suo fratello si sentiva così solo. Certo, lo sapeva, ma non immaginava così tanto solo. E non per il fatto di avere un diario, ma per il fatto di ammettere a se stesso di esserlo e da addirittura scrivere del suo stato d’animo. 
 
“Ehi Lud, che stai facendo in camera mia?” Ludwig si spaventò rabbrividendo, facendo volare dalle mani il diario che però prese in tempo e nascose sotto la giacca.
Si girò con un sorriso forzato e imbarazzato, mentre sfregava la mano dietro alla nuca.
 
“Cos’è cazzo è quella faccia? Oh, stavi pulendo! Grazie Bruder!” Gilbert sorrise energicamente, dando una pacca sulla spalla del fratello che guardando al cielo potè emettere un sospiro di sollievo rilassando i muscoli irrigiditi e lasciando che il fuoco sul suo volto acceso dall’imbarazzo, si spegnesse lentamente e senza l’intervento dei pompieri.

“Allora, andiamo? Sono le 20:30 e siamo in ritardo.”
 
“Oh, si Gil. Ehm, a proposito...” 
 
Ludwig si avvicinò a Gilbert, circondandolo con le sue possenti braccia e stringendolo in un timido abbraccio, e posando la sua testa sulla sua clavicola sinistra.
Gilbert sgranò gli occhi, perplesso. Rimase immobile senza reagire di fronte a quell’azione inaspettata, ma non ci mise troppo a ricambiare l’abbraccio stringendo a sua volta il fratello e sfregandogli la mano sulla spalla. 
Le loro braccia si strinsero l'una attorno all'altra e strinsero i loro petti insieme, mentre un’altra lacrima calda scese sulla guancia di Ludwig, che però si asciugò con un movimento veloce dell’indice per non farsi notare da suo fratello.
 
“per cos’era?”
 
“Oh? Nulla, nulla” il viso imbarazzato di Ludwig che evitava il contatto visivo e si copriva di un telo rosato, era la prima cosa che Gilbert video dopo essersi staccato dall’abbraccio fraterno. Erano anni che non riceveva un’abbraccio, e ciò lo aveva fatto sentire bene per un’istante.
 
“Va bene Bruder. Ti voglio bene anche io, ma ora dovremmo proprio andare” indicò con il pollice la porta, accompagnando il gesto da un cenno del capo e poi sghignazzò ad occhi chiusi, sostituendoil tutto da un timido sorriso di gioia che venne ovviamente nascosto da Ludwig.
 
“Ehi, mi dispiace, mi sono comportato in modo non fantastico durante questi giorni.” Fu quello che l’albino non esitò a dire quando prese posto sul sedile dell’auto e suo fratello si mise al volante. Non si scusava spesso, a dire il vero non lo faceva mai. Ma con suo fratello sapeva avrebbe potuto farlo senza sentirsi giudicato o ridicolizzato.
 
“Va bene Gil”
 
“Danke! Sei il migliore!”
 
“Anche tu lo sei.”
 
“Aw Luddy, non c’è bisogno che tu lo dica, lo so già! Infatti, tu sei il secondo migliore”
 
“Sei sempre il solito” sbuffò, dando uno sguardo dolce e tranquillo a suo fratello, sempre attento a non farsi notare da quest’ultimo “ma ti voglio bene anche per questo.”
 
///
 
“Feli sono a casa!”
 
“Finalmente Lovi! Pensavo non saresti più venuto!” Feliciano sprizzava felicità da tutti i pori, e saltellò verso di lui con indosso il grembiule con i pomodori. 
 
“Hai già cominciato a cucinare?”
 
“Sì! Temevo fossi arrivato in ritardo, quindi ho già quasi tutto pronto”

“Perfetto. Ehi, il bastardo di patate dov’è?” Per lui era naturale fare quella domanda. Erano le 20:30 e dell’odore nauseante delle patate non vi era traccia, il che rese Lovino dubbioso. Ma ehi, buon per lui. Le sue narici e le sue papille gustative sarebbero rimaste intatte per un po’.
 
“Forse è In ritardo. Un po’ strano per un tedesco, no?” Feliciano ridacchiò, stringendo gli occhi e coprendosi la bocca con la fragile mano, mentre con l’altra teneva in mano ancora il mestolo con qualche goccia di sugo fresco di cucina.
 
Lovino non poté fare a meno di notare suo fratello nella sua interezza e complessità. Il viso tinteggiato da un color pesca, donava giovinezza e infantilità al suo volto già giovane e puro. I suoi capelli ramati e spettinati avevano puntine di sudore, ed erano tirati all’indietro da un cerchietto, in modo da spostare i ciuffi ribelli dal contatto con gli occhi, che altrimenti avrebbero reso difficile per Feliciano cucinare. Inoltre, i capelli sarebbero potuti finire nella pentola mentre preparava, e ciò sarebbe stato veramente poco elegante.

Aveva cambiato idea: prima pensava che non sarebbe stato importante se il tedesco avesse gradito o meno, ma in realtà adesso voleva che trovasse il suo cibo così buono da addirittura piangere pensando a quanto fosse disgustoso il suo cibo a paragone con le prelibatezze paradisiache italiane fatte in casa.
 
“Andiamo Feli, questo cibo dovrà essere fottutamente buono” Feliciano sgranò gli occhi e un grande e luminoso sorriso si disegnò sul suo volto già radioso, a seguito dell’8 citazione di Lovino.
 
Il ragazzo si precipitò in cucina, guardando e analizzando il contenuto delle pentole. Era incantato dal suono della carne sfrigolante nella padella, del suo odore genuino e di come poteva già sentire il suo sapore semplicemente guardandola.

Sentì il gorgogliare del sugo nella grande pentola, e scostò il coperchio velocemente per prendere una generosa cucchiaiata di sugo. Il suo sapore era meraviglioso, qualcosa di astrale. Sentiva i pezzettini di carne messi nel sugo sciogliersi in bocca, e il sapore del sugo fare da contorno perfetto.
Aggiunse solo qualche pizzico di sale e del rosmarino per poi passare immediatamente a dare una veloce occhiata alla lasagna che si cucinava in forno, e il solo vedere della mozzarella sciogliersi lentamente sopraffatta dal calore, fece brontolare lo stomaco di Lovino, che si leccò le labbra al solo pensiero di gustarsi quel ben di dio.
Era una benedizione per l’olfatto, per gli occhi, per il palato, per tutto! Era la fottuta perfezione.

“Bravo Feli. È stato veramente perfetto, mi chiedo come un imbranato cazzone e scansafatiche come te abbia potuto realizzare questa cazzo di meraviglia” Lovino si complimentò sinceramente, incrociando lo sguardo limpido di suo fratello.

“Beh Lovi, a dire la verità ho letto le ricette che tu e il nonno scrivevate nel libro. Sono perfette!” Sorrise in tutta risposta, risvegliando in Lovino un senso di fierezza verso se stesso che gli era mancato.
 
“Devo cucinare il dolce?” Domandò.
 
“Se proprio vuoi, sì! A Ludwig farebbe piacere!”
 
“Ehi! Io lo faccio per te, non per quella patata marcia!” Il volto del ragazzo tornò ad essere formato da sopracciglia corrugate imbronciando la bocca e digrignando i denti, mentre sventolava la mano piegata come un carciofo sotto il viso innocente di suo fratello.
 
“Ok, ok scusa! Non farlo se vuoi!”
 
“Lo faccio, ma lo mangeremo solo noi! Chiaro?” È vero, voleva che al tedesco piacesse il loro cibo (ma per puro scopo vendicativo, eh!) ma non voleva di certo addirittura fargli assaggiare il dolce. No, quello era troppo. Sarebbe bastato anche mettere sulla punta della sua lingua disgustosa una goccia di sugo, che già si sarebbe crogiolato sul pavimento esplodendo in un fragoroso cordoglio

Il suono squillante del campanello non tardò ad arrivare, facendo saltare Feliciano in cucina, che lanciò il grembiule in un attimo e si aggiustò frettolosamente i capelli con una spazzola di legno. Era vestito molto elegantemente. Una camicia bianca con quattro bottoni sbottonati che lasciavano intravedere il petto, e dei pantaloni a palazzo neri  fatti di cotone, stretti alla vita con una cintura di cuoio molto scuro.
Tutto si adattava perfettamente alla sua magra figura, e il modo in cui i vestiti ricadevano perfettamente su di essa rendevano il ragazzo un perfetto modello di Armani. Gli occhi ambrato luminosi, la lieve spruzzata di lentiggini e il viso contornato dalla chioma ramata assieme al suo ricciolo ribelle, facevano di Feliciano un perfetto quadro. Era bellissimo, di una bellezza surreale e abbagliante.
 
“Oh Lovi apri pure! Eh, una cosa...potresti essere gentile con Ludwig? Ti prego, fallo per me!” Feliciano diede i suoi occhi da cucciolo indifeso, mettendo le mani giunte davanti a Lovino che fece un passo indietro perché colto di sorpresa.
 
Lo guardò passivamente, alzando un angolo della bocca “non ti prometto nulla” e andò ad aprire la porta.

Eccolo, Ludwig. Un ammasso di muscoli, peli biondi e occhi azzurri penetranti. Chissà se era pure simpatico? Haha, assolutamente no. Era tedesco, esistono davvero i tedeschi simpatici? No, erano solo un mito e la meno credibile delle leggende mia esistite.
 
“oh ciao, io sono Lud-“
 
“È in sala da pranzo, vai bastardo crucco” Lovino disse con tono sorprendentemente calmo, però si rifiutò di guardarlo o di stringergli la mano, infatti ignorò completamente di stringerla al tedesco, addirittura spostandogliela da vicino a lui con uno schiaffetto leggero.
 
Ludwig rimase sorpreso e stupito in un modo che non sapeva definire, ma scosse il capo per poi annuire all’uomo dagli occhi verdi mentre andava dove lui gli aveva ordinato di recarsi.
 
“Ludwig! Ciao, come va? Sei bellissimo!” Feliciano sorrise, saltando al collo dell’imbarazzo tedesco che continuava a grattarsi la nuca come se avesse una puntura di zanzara, stringendolo in uno stretto abbraccio che pensava lo avrebbe soffocato.

Chiuse la porta, seguendo i due in sala da pranzo.
 
“Allora Ludwig, lui è mio fratello maggiore Lovino. Ha 22 anni, è nato a Napoli nel 199-“ 
 
“Si certo Feliciano, per pietà del fottuto Dio! Ora vuoi dargli anche il mio codice fiscale?” Abbaiò sporgendosi sul tavolo e sbattendo un pugno su di esso, che fece saltare tutte le posate e i piatti ancora in attesa di essere riempiti, per poi fulminare il tedesco con lo sguardo perché secondo il suo parere aveva un’espressione che mirava a prendersi gioco di lui.
 
Il tedesco si schiarì di nuovo la voce, allentandosi il fiocco e cercando di sfiammare il suo viso.
Era in un evidente stato di imbarazzo, e non sapeva totalmente cosa fare. Guardava Lovino urlare addosso a Feliciano dandogli dello scostumato, alternando le feroci parole a gesti spropositati. Muoveva le braccia in modo continuo, come a cacciare un fastidioso sciame di api che lo circondava.
E poi guardava Feliciano, che non sapeva bene come reagire a quella che poteva essere l’ennesima sfuriata del maggiore.

Erano sempre così quando avevano ospiti? Pensò fosse un’abitudine italiana. Capiva ben poco di loro.
 
“Allora Ludwig, qui abbiamo-“ Feliciano rilassò la sua voce e riprese tranquillamente a parlare sotto lo sguardo di approvazione del fratello, ma venne interrotto nuovamente dal suono del campanello.
 
“Che diavolo? Bastardo di patate, ti sei portato assieme tutta la banda dei sette nani con cui lavori in miniera?” Lovino si alzò fumante senza nemmeno guardare in faccia nessuno, alzandosi dalla tavola premendo le mani sul tavolo per farsi forza, scocciato.
si sentiva turbato nella sua quotidianità, e quando cercava di magari di sentirsi a suo agio con quello che sperava NON sarebbe stato suo cognato in un lontano futuro, veniva puntualmente disturbato da suoni, rumori, o da frasi che non gli piacevano e che suo fratello aveva l’abitudine di pronunciare. 
Tuttavia, non che quel povero ragazzo gli avesse gatto qualcosa. ma solo a guardarlo negli occhi, Lovino poteva sentire una sensazione di viscido e disgustoso pervadergli il corpo, indicando che quel tale non era per niente un tipo affidabile e che era solo un brutto ceffo dai peli corti e biondi, un ammasso di muscoli con il cervello spappolato come una patata.
 
“Hey, Feliciano haha ti sei scordato del fant-“ il sorriso raggiante e divertito del ragazzo alla porta svanì gradualmente, facendo abbassare entrambi gli angoli della bocca e sollevando le sopracciglia a causa dello stupore.
 
“Tu che cazzo ci fai qui? Allora avevo ragione, sei il fratello del bastardo!” Le parole rudi e colme di ira di Lovino, non allietarono per nulla Gilbert, che rimase abbastanza a disagio a guardare i suoi occhi di un luminoso verde oliva che erano iniettati di sangue e morte.
 
“Un’altra sfuriata” pensò Ludwig sbuffando e tenendo Feliciano fermo al suo posto, intimandogli di non immischiarsi nella situazione che sarebbe presto precipitata, considerando l’imminente possibilità di affronto tra due elementi potenzialmente pericolosi.

“Ehi amico, calmati. Senti, mi dispiace” Gilbert mise le mani avanti, allontanandosi un po’ da Lovino e dai suoi denti che stavano cominciando a sfregiarsi l’un l’altro cercando di non dare spettacolo e tenere le mani apposto.
 
“Non me ne frega un cazzo delle tue scuse mercose, ora leva i tuoi piedi sudici dal mio fottuto pianerottolo!” Ruggì, e con il braccio ben teso così come l’indice, indicavano il portone al tedesco che aveva di fronte.
 
“Ehi! Volevo scusarmi con tuo fratello, e poi ho fame e-“
 
“Non me ne frega un cazzo di quello che devi o non devi fare, non mi importa tantomeno se hai fame. Usa i tuoi fottuti soldi per comprarti da mangiare. E poi, perché vorresti scusarti con mio fratello?” La domanda di Lovino era lecita. Ma Gilbert non sapeva se avesse dovuto rispondere.
 
“Già Gil, è vero. Perché devi scusarti?” Feliciano si alzò liberandosi dal braccio di Ludwig e avvicinandosi a lui a passo svelto ma esitante, guardando curiosamente negli occhi cremisi dell’altro, che arrossì e scosse il capo come simbolo di negazione.

“Niente, Feli. Te ne parlerò dopo.”
 
“E io invece temo proprio di no. Esci cazzo!” Non attese una risposta, e sbattè la porta in faccia a Gilbert, che prontamente mise le mani sul naso che stava per urtare all’enorme porta di legno di ciliegio, mentre il pomello di acciaio si conficcò nel suo rene destro.
 
“Sei una persona orribile! Come osi trattarmi così? Come ti permetti, cazzo! Io sono il più magnifico di tutti voi e-“
 
“NON ME NE FREGA UN CAZZO! io non darò rispetto a chi è entrato ubriaco nel mio negozio a rubarmi i fiori e a molestarmi saltandomi addosso!”
 
“Ma non ti ho rubato i fiori, solo una rosa! E poi l’ho rimessa a posto!”
 
“Certo, e l’ho dovuta buttare perché era secca come i tuoi capelli”
 
“Ma aspetta!” Si passò una mano fra i capelli arricciando il naso, e notando che Lovino aveva ragione sulla secchezza dei suoi capelli, fece spallucce domandandosi come avesse fatto a capirlo semplicemente guardandoli e nemmeno toccandoli.
 
“Scommetto che da quanto sei cretino, ti sei persino toccato i capelli!” Gilbert poteva immaginare Lovino a braccia conserte con un lieve broncio sul viso, pur avendo una porta a e un muro che lo separavano e pur conoscendolo da meno di 10 minuti.
 
“Hey! Non puoi prevedere le mie fantastiche mosse, bel moro” e Lovino a sua volta, poteva immaginare Gilbert ridere come un’ebete, sentendosi realizzato per averlo messo leggermente in imbarazzo. Si lasciò scappare una risatina, che soffocò subito rimettendo il broncio e inarcando le sopracciglia in simbolo di disprezzo. Quel lurido bastardo! Era una fortuna non potesse vederlo in quel momento.
 
Gilbert scivolò con la schiena sulla porta, poggiando il sedere sul freddo pavimenti di marmo del pianerottolo e portando le ginocchi al petto, poggiandovi il mento.
 
“Dai, ora che ti ho fatto ridere puoi farmi entrare?” Disse, piagnucolando e bussando debolmente.
 
“Nei tuoi sogni! E poi non mi hai fatto ridere per niente! Vattene dal pianerottolo!”
 
“No! Io rimango qui”
 
“Va bene, Casper! Divertiti a sentire l’odore del mio buon cibo mentre ti mangi le unghie per non morire di fame!” E dopo che Lovino sparò l’ultimo colpo, Gilbert capì che aveva perso quella piccola battaglia.
 
Sbuffò annoiato, e sbattè la testa lievemente sulla porta. Aveva preso questo battibecco davvero seriamente, e pensava di averlo potuto vincere con armi diverse: pensava di usare le sue battutine, le sue armi di seduzione, che ahimè l’italiano aveva spezzato in un millesimo di secondo.
Quel moccioso lo aveva persino chiamato Casper! Era offeso, e incrociò le braccia pensando a come gli fosse stato attribuito un personaggio così poco fantastico, ma con cui apparentemente aveva in comune il colore della pelle.
 
Lovino si schiarì la voce è aggiustò il colletto della sua maglia dolcevita, ma anche se faceva caldo non voleva mostrarsi sciatto, e il dolcevita bianco si mostrava un’alternativa elegante a una stupida maglia rosso pomodoro con qualche stampa strampalata.
 
“Lovino! Ma non hai fatto venire Gilbert? Poverino! Morirà di fame!” Feliciano domandò, mostrandosi veramente preoccupato.
 
“Sei serio? Non si muore mica di fame senza mangiare un giorno!" In risposta, il giovane italiano ricevette un giramento di occhi e un facepalm di suo fratello abbastanza scocciato e infastidito.
 
Lovino non si sedette a tavola, ma camminò verso la cucina a passo spedito e ondeggiando lievemente i fianchi, mentre faceva rumore con le sue ciabatte.
 
“Ma Lovino! Non mangi?”
 
“Mangiate voi due, io non ho fame” rispose senza nemmeno voltarsi, afferrando la ciotola, della farina, delle uova, lievito, del burro, zucchero e un mestolo.
Pensava che cucinando avrebbe scaricato un po’ dello stress e non avrebbe dovuto sorbirsi i due piccioncini a tavola che mangiavano gli spaghetti dallo stesso piatto beccandone uno in comune che gli avrebbe portati a baciarsi con la bocca sporca di sugo, proprio come in quel film di cani di cui Feliciano era ossessionato.
 
Imburrò accuratamente la teglia, per poi mescolare energicamente l’impasto nella ciotola e aggiungere quando necessario, un po’ di latte fresco della mucca del suo vicino.
 
Sì. Cucinare lo aveva definitivamente rilassato, anche se non riusciva a levarsi il pensiero del tedesco che giaceva fuori inzozzando il suo pianerottolo e strusciando il suo corpo sudicio contro la sua bellissima e pulitissima porta.
Si sentiva come se stesse disonorando una tradizione di famiglia. Era sacro in Italia che tutti gli ospiti andassero via dalle case a cui avevano mangiato, a stomaco pieno. Era buona educazione da parte degli ospiti quindi mangiare tutto e comportarsi bene.
 
Certo, quel bastardo sicuramente si era comportato male, ma Lovino sentiva il bisogno di rendere onore a suo nonno che probabilmente gli avrebbe tirato uno scappellotto se si fosse rifiutato anche di dar da mangiare al più squallido e disgustoso dei ladri.
 
Soprappensiero sbuffò un po’,poi fece colare l’impatto all’interno della teglia, aggiungendo qualche grammo di cacao e infilando la torta nel forno già precedentemente riscaldato a dovere.
 
Si girò, guardando i ripiani della vecchia cucina, notando che Feliciano aveva già portato tutto a tavola tranne che il suo piatto di lasagna.
Lo aveva messo a riscaldare nel sul fuoco del gas per evitare che si fosse raffreddato nel caso ci avesse messo troppo tempo a litigare con il tedesco.
 
Lovino scosse il capo, e dalle sue labbra corrugate si levò uno sbuffo soddisfatto e leggermente allegro.
Raccolse la lasagna appena riscaldata in una piccola teglia di alluminio. Emise un sospiro profondo.
 
“Nonno, bastardo! sto vedendo il mio orgoglio per onorare una tradizione del cazzo!” Ringhiò allargando le narici e sbattendo un piede per terra.
 
Con la teglia calda fra le mani che bruciava leggermente le dita, aprì la porta della cucina e andò in salotto.
Intravide Feliciano pulire il viso di Ludwig da una chiazza di olio, e dopo aver tirato fuori la lingua esprimendo tutto il suo disgusto, aprì la porta della casa.
 
“Ouch! Hey tu! hai fatto male al mio fantastico culo!” Il tedesco sputò, pizzicandosi il sedere nella zona ferita.
 
“Ohhh, scusa” alzò le mani agitandole, aprendo la bocca e sgranando gli occhi per prendere in giro il tedesco pallido che ingigantiva quello che probabilmente sarebbe stato il dolore paragonabile a un graffio con la carta.
 
“Ti ho portato da mangiare”
 
“Oh, alla fine sei rimasto incantato da questi eh? Beh, non ti biasimo” Fece scorrere il suo dito sulla sua maglia nel punto dove si potevano intravedere i suoi addominali, per poi fare l’occhiolino e ammiccare ironicamente all’italiano che era un misto di incazzatura e puro imbarazzo.
 
“No, Bastardo! È solo che non volevo vederti morire di fame sul mio fottuto pianerottolo” gli allungò la teglia di lasagna “e poi, immagino tu ti sia stancato di mangiare le unghie”
 
“Uhm, sì abbastanza. Beh, grazie mille!” Si avventò sulla teglia, facendo sprofondare la forchetta attraverso ogni strato ancora fumante della lasagna, ammirando la mozzarella che strabordava e si scioglieva ancora.
 
“Cazzo, mangia in modo decente!” Urlò, sporgendosi in avanti “tieni, usa questo per pulire quando sporchi il mio fottuto pianerottolo” 
 
Gilbert raccolse con una presa niente male lo strofinaccio che Lovino gli lanciò aggressivamente. “Cavolo, seI proprio fissato con questo pianerottolo!”
 
“Sì, e vedi di pulirlo o ti faccio leccare lo sporco con la lingua” 
 
“Non lo faresti”
 
“Sì cazzo!”
 
“Ti ritroveresti il pianerottolo sporco della mia bava fantastico, fantastica ma pur sempre tedesca” fece un sorrisetto che sperava venisse colto come un segno di sfida.
 
“No, beh...cioè... vaffanculo!” Ecco, non ottenne una nuova sfida. Solo un vaffanculo e una porta sbattuta nuovamente in faccia che per poco non fece ribaltare la teglia di lasagna.
 
“Aw, Lovi! Hai portato da mangiare a Gilbert? Come sei tenero!”
 
“Tenero un cazzo! L’ho fatto solo per non disonorare la tradizione del nonno, tutto qui. Per me poteva anche morire di fame!” Rispose, lanciando un’occhiata alla porta e alzando il tono di voce, sperando che Gilbert fuori dalla porta potesse sentire quanto appena detto.
 
“Ho preparato una torta per voi coglioni, aspettate” corse in cucina. Era passata più di mezz’ora e aveva paura che la torta si fosse bruciata visto che non era stata analizzata sotto il suo sguardo esaminatore per tutta la durata della cottura, permettendo a Lovino di accertarsi che la torta non presentasse alcun segno di bruciatura o addirittura parti crude.
 
Si infilò i guanti da cucina, aprendo il forno con un movimento svelto, scacciando il fumo che usciva intensamente da quell’affare infernale e tirando fuori la torta.
Aveva notato che il cacao si era mischiato bene, forse meglio di quanto avesse pensato, il che donava alla torta un colorito nocciola.
 
Sorrise soddisfatto, poggiando la torta a tavola e asciugandosi il capo con un fazzoletto per rimuovere le gocce di sudore che copiose scivolavano sulla suo volto.
 
“Oh, che pensiero gentile Lovi! È bellissima e sono sicuro sarà buonissima!”
 
“Certo che lo sarà!” Rispose di getto. Cosa stava insinuando suo fratello? Che non fosse buona?

“Grazie del pensiero Lovino.” 
 
“Zitto e mangia bastardo! Come ho già detto, l’ho cucinata per mio fratello e non ho bisogno dei tuoi ringraziamenti!” Mise le braccia conserte, lanciando al biondo uno sguardo che avrebbe dovuto essere minaccioso e spaventoso.
 
Lovino prese un coltello tagliando attentamente una generosa fetta di torta, posando la fetta su un piatto di vetro per poi coprirlo con un tovagliolo a quadretti rossi e bianchi.
 
“Lovi, tu non mangi?” 
 
Ignorò totalmente la domanda di suo fratello, aprendo di nuovi bruscamente la porta dell’appartamento. Sorprendentemente, nessuno si era ferito.
 
“HAHA! lo sapevo avresti riaperto, perciò mi sono spostato. Dio, quando sono intelligente!” Puntò glorioso il dito contro Lovino, mentre aveva l’altra mano in basso e stretta in un pugno.
 
La grinta con cui il tedesco aveva affrontato quello che Lovino era consapevole fosse un comportamento di merda, lo stupì. Il suo viso era luminoso, e non sembrava per nulla intimidito da lui.
 
“Zitto, o mi mangio la fetta di torta che ti ho portato!” Tuonò, stringendo le palpebre e porgendo il piatto a Gilbert, strappando da terra la teglia ormai vuota e ben ripulita di lasagna.
 
“Era buona. Anche si poteva fare meglio” ha scherzato.
 
“Certo, come no!” L’italiano disse, girando gli occhi.
 
Quando vide Gilbert sedersi e addentare famelicamente la fetta di torta, masticandola in un modo che avrebbe reputato maleducato e infantile, si sentì meglio anche se fece fatica a trattenere nascente sorriso sbocciò sul suo volto come un fiore in primavera, non passando inosservato all’uomo dai capelli platino che ricambiò il sorriso alzando solo l’angolo destro della bocca, sogghignando.
 
“Che cazzo ti ridi tu!” Cancellò il timido sorriso, imbarazzato, e fu sorpreso quando Gilbert gli porse la parte restante della torta.
 
“Perché non la mangiamo insieme?”
 
“Tsk, come se non avessi dell’altra!”

“Ma le mie labbra l’hanno toccata, non sarà mai buona come quella che hai in casa” oh sì. Era decisamente troppo bravo a mettere in imbarazzo l’italiano.

“Senti, vaffanculo!” Sbattè la porta per la terza volta in una giornata, e pensò che quella del fioraio non sarebbe stata l’unica a rompersi dopo un po’.
 
Gilbert sbattè le palpebre velocemente, arricciando la sua bocca piena di cibo un una piccola smorfia.  Beh, non era stata malissimo come giornata. Certo, non aveva visto Feliciano o non aveva mangiato in comodità, e non aveva nemmeno ricevuto l’accoglienza epica che si sarebbe aspettato ma questo forse era stato meglio.
Aveva avuto un battibecco divertente con quello che era suo fratello, di cui però non sapeva nemmeno il nome, ma era sicuro che i suoi occhi verdi e la sua pelle olivastra sarebbero stati difficili da dimenticare, così come il suo caratterino speziato.
 
Pensava che forse, alla fine, le sue armi di seduzione non avevano totalmente fallito.
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


“Oh Gilbert, sono sicuro ti carierai tutti i denti continuando in questo modo.” Ludwig disse quasi sotto forma di rimprovero mentre guardava suo fratello ingurgitare l’ennesimo e generoso cucchiaio di gelato dall’enorme barattolo.
Gilbert era steso sul divano, con la pancia all’aria come sempre e dei pantaloni della tuta vecchi che aveva preferito rattoppare pur di non gettarli.
 
Dopo aver cenato a casa di Feliciano, i due si erano ritirati abbastanza stanchi e con i talloni che facevano male mentre Gilbert lamentava specialmente un forte dolore al sedere, chissà per quale bizzarro motivo.
A Ludwig però, non era sembrato troppo triste o abbattuto per l’accaduto: contrariamente, aveva notato con curiosità che suo fratello ne era abbastanza divertito, e quando si domandava il motivo di trovare spiritoso l’essere sbattuto fuori di casa (o meglio, il non essere proprio fatti lasciati entrare) la sua mente somigliava a un grande buco nero e i suoi pensieri vi vagavano senza una risposta. 
 
“Ma che dici! Questi denti sono fantastici e fottutamente dritti e bianchi come il quarzo. Non cadranno mai, nemmeno quando sarò vecchio!” Afferrò un altro cucchiaio di gelato, leccando per bene la spatola dai bordi e assaporando il gusto dolce della fragola.
 
“Non parlare con la bocca piena, è da maleducati”
 
“Come sei noioso! Guarda Lud!” Gilbert si sporse dal bracciolo del divano e guardò suo fratello negli occhi, per poi fare la linguaccia mostrando il cibo che aveva nella bocca.
 
“dai su, Gil!” visibilmente scocciato, Ludwig si limitò solo a rotare gli occhi e incrociare le braccia, emettendo un leggero sbuffo che mosse, seppur di poco, il ciuffo platino dell’albino che giaceva sul suo viso.
 
“Dai, non fa ridere! Non sai proprio scherzare, ti comporti sempre come una mezza calzetta! E poi-“ 
 
“Fammi indovinare, dirai che sono noioso e che ti ricordo tanto Roderich in quesì momenti?” Ludwig scandì le ultime parole finali, schioccando con fare saccente la lingua sul palato.
 
“Wow, Lud! Ci hai azzeccato in pieno! Come hai fatto?” Gilbert sgranò gli occhi e spalancò la bocca visibilmente sorpreso, ma Ludwig non riuscì bene a capire se il suo fosse sarcasmo o se fosse serio. Dannazione, Gilbert era davvero un grande attore.
 
“Beh, lo dici sempre.”
 
“Vero. Merda, dovrei trovare qualcosa di nuovo da dire” disse, mentre si sfregava con il pollice e l’indice il mento, facendo finta di pensare.
 
Ludwig era al 100% sicuro avrebbe menzionato Roderich. Erano molto amici, ma Gilbert sembrava nutrire una grande antipatia nei suoi confronti che risaliva da prima che venisse mollato da Elizaveta.
Anche se a dire il vero, Ludwig e Roderich andavano molto d’accordo e si stimavano a vicenda.
 
“Comunque, volevo dirti che sono felice di vedere che stai meglio” Ludwig si avvicinò accanto a suo fratello, donandogli uno dei suoi sorrisi più timidi e dolci.
 
Erano passate già tre settimane dall’incontro con Feliciano. Ludwig non poteva far a meno di notare quanto suo fratello si fosse rilassato ultimamente, e anche se le cattive e non sane abitudini e l’enorme pigrizia rimanevano ancora ben salde nella sua personalità, Gilbert era visibilmente più tranquillo. 
per quanto a volte gli sembrasse di non conoscere suo fratello e pensare a lui come un libro scritto in qualche lingua arcaica e impossibile da leggere, stavolta poteva dire she stava davvero meglio. Lo leggeva nei suoi occhi, nei suoi movimenti e notò come le sue abitudini tornarono ad essere quelle di prima, inclusi i brutti vizi che doveva ammettere gli erano mancati.
 
“Sì Lud. Sto meglio, sono più fantastico di prima!” Gilbert lo guardò sorridendo sornione, facendo accennare a sua volta a Ludwig un altro piccolo sorriso.
 
 er poi sporgersi di nuovo dal bracciolo del divano e gettare le braccia davanti ad esso dando tocchi al bracciolo. Posò il cucchiaio dentro la confezione ormai vuota di gelato, per poi mettere il suo viso di fronte a quello di suo fratello.
 
“Sono contento, davvero. Inoltre ho pensato che ti farebbe bene stare un po’ in compagnia. Io e Feliciano andremo in giro durante l’Oktoberfest, se vuoi puoi unirti a noi” offrì il giovane.
 
“Nah, Lud. Lascio I piccioncini soli, no?” Sorrise con gli angoli della bocca, dando un piccolo occhiolino.
 
“Sei Sicuro?”
 
“Sì! Cosa pensi, che non sappia stare da solo?” Alzò un sopracciglio con fare interrogativo, guardando suo fratello.
 
“Scusami, Gilbert. È che sono solo preoccupato”
 
“Di cosa? Sto bene, guardami: sono fantastico. Ci sono passato sopra, Lud. Vivi la vita con il tuo italiano è non pensare sempre che qualcuno voglia sottrarti qualcosa”
 
“Va bene. Hai programmi per stasera?” Domando il biondo.
 
“Ah, sì! Vado in giro per preparami all’ambiente della festa, oggi è il primo giorno! Vado al bar, bevo qualcosa, cose così insomma, no?” Rispose, alzandosi di scatto dal divano mettendo il cucchiaio sporco nel lavandino e gettando la scatola di gelato, seguito dallo sguardo comprensivo e a tratti dolce, seppur ancora serio e impassibile, di suo fratello.
 
“Non tornare tardi”
 
“Hey, non sei mica mia madre!” 
 
///
 
“Siamo qui per festeggiare sta volta, vero Beilschmidt?” La voce allegra e squillante del barista si abbinava perfettamente al suono dei bicchieri di vetro che si scontravano delicatamente per fare dei brindisi, a volte facendo cadere qualche goccia di bevanda sopra le tovaglie che allestivano i tavolini di legno di quercia che venivano puliti minuziosamente ogni giorno per affrontare la nuova ondata di clientela.
Il barista posò prontamente il boccale davanti a Gilbert, che con un movimento scattante di mani, venne riempito generosamente con una deliziosa birra alla spina schiumeggiante, che il tedesco ingurgitò in un solo sorso per poi pulirsi velocemente facendo strisciare il palmo della pallida mano sulla sua bocca, facendo arrossire e irritando le sue sottili labbra a causa dell’attrito.
 
“Non è molto educato pulirsi così” rimproverò il barista in modo quasi severo, ma Gilbert rispose arricciando il naso e avvicinando le sue sopracciglia in una specie di cipiglio, mentre sbatteva le palpebre velocemente. 
Uhm? Lo aveva detto davvero?
 
“Sai che non sono un guru dell’educazione” lanciò un’occhiata languida, guardando dritto il barista negli occhi causando un sorriso spontaneo da parte di quest’ultimo, ma Gilbert proseguì nel suo intento facendogli cenno con lo sguardo di riempire di nuovo il boccale che aveva sbattuto sul bancone mentre si teneva saldamente il capo con la mano.
 
“Mi chiedo come farai a trovare una ragazza se sei sempre così maleducato e rozzo” sbuffò l’altro socchiudendo gli occhi, esaudendo la richiesta del tedesco e versando con un sorriso sul volto altro liquido biondo dal sapore paradisiaco all’interno del boccale di vetro cristallino.
 
“Oh, andiamo! Certo che posso trovare una ragazza, con il fisico che mi ritrovo” disse determinato e indicò velocemente con entrambe le mani il suo corpo, per poi bagnarsi le punte delle dita con la saliva e toccare i suoi capelli aggiustandoseli mentre se li portava all’indietro, per poi pettinare le lunghe sopracciglia con le punte degli indici facendo rotolare gli occhi al barista che sbuffò pesantemente.
 
Si sentiva estremamente bello e sicuro di se, più del solito a dire il vero. Erano nel pieno dell’Oktoberfest, e ciò significava che la birra era più buona del solito ma che soprattutto tutti dovevano profumare di vanità e splendore.
Gilbert ogni anno, aveva fatto in modo di risultare perfetto. Aveva acquistato qualche tempo prima uno smoking che si era promesso di utilizzare solo durante le feste in paese, perciò doveva essere perfetto, senza un graffio o una scucitura. 
Su queste cose, si sentiva un po’ come Ludwig: estremamente preciso e inflessibile. Naturalmente, spesso andava in giro con magliette e abiti dai gusti discutibili così come le loro stampe, ma almeno durante la festa voleva che il suo look fosse una ragione in più che avrebbe spinto la gente a farsi venire il torcicollo per girarsi a guardarlo.
 
Non vedeva l’ora di indossare l’abito nero che si adattava alle sua figura in modo perfetto e che gli donava un’aspetto ancora più snello, facendo risaltare la sua alta statura.
Beh, alcuni direbbero che un uomo di 178cm non sia poi così alto, ma ehi! I 2 centimetri che gli mancavano per raggiungere il metro e ottanta, gli aveva per aumentare qualcos’altro.
 
Si sentiva avvolgere del calore del locale mentre i suoi pensieri divagavano su quanto si sarebbe divertito (e perché no, anche fatto sesso), e continuava a mandare giù tonnellate di birra senza accorgersene, impregnando la lingua con il sapore dei luppoli e perdendo la cognizione del tempo e della decenza.
 
“Come se contasse solo quello. Basta adesso a bere, Beilschmidt. Finirai per ubriacarti di nuovo” la voce del barista lo scosse ma ancora una volta, era troppo tardi. 
Al quinto boccale di birra versato, Gilbert sentiva le parole del barista bombardargli nella mente come un forte eco, facendogli provare un dolore immenso alla testa, come se si stesse congelando dall’interno.
Provò a tenersela con entrambe le mani posando i gomiti sul bancone, passandosi avidamente le mani fra i capelli e quasi facendo affondare le dita nella cute pur di provocare un dolore che sperava avrebbe saputo tener testa a quello principale.
 
“Aaaah, che mal di testa orribile! Sembra che il mio cervello stia per esplodere” si lamentò, fino a quando non cadde con la testa sul bancone, emettendo un tonfo fastidioso e facendo cadere il boccale semivuoto che tuttavia si rovesciò.
Il barista sospirò con gli occhi al cielo, pulendo delicatamente con il panno umido di disinfettante ciò che Gilbert aveva fatto cadere.
 
“Vedo che sei ubriaco. Di nuovo.” 
 
“No, ti stai sbagliando! Il magnifico me non è ubriaco” disse con voce roca agitando velocemente l’indice davanti al volto esterrefatto del barista, che mettendo le mani avanti allontanava gradualmente il viso dal dito di Gilbert per paura potesse ferirlo. Roba da ubriachi, no?
 
La camicia bianca emanava un maleodorante odore di birra che caratterizzava Gilbert come tutti gli altri che erano nel locale.
La testa dell’albino stava letteralmente per scoppiare: il frastuono delle voci grosse degli altri tedeschi, rumori di boccali e bicchieri che si toccavano per un brindisi, pugni che facevano rabbrividire i deboli tavoli di legno e odori corporei nauseanti.
La sua vista si era sdoppiata e il giovane sembrava in stato quasi vegetativo, appoggiato al palmo della sua mano mentre socchiudeva gradualmente le palpebre per cercare di focalizzare un punto a caso pur di sentirsi sicuro di aver ancora possesso del suo corpo.
 
“Tutto puzza qui! Che schifo, io esco. Puzzate tutti, tutti! Non è magnifico!” Con fare spocchioso arrogante le velenose parole di Gilbert al gusto di birra, vennero strillate velocemente e disperatamente come uno schiocco di dita, attirando l’attenzione di pezzi grossi del locale.
 
“Hey tu ragazzino! Fatti gli affari tuoi se vuoi vedere ancora l’alba domani” Gilbert era di spalle, ma sentì un brivido di eccitazione e sfida percorrergli lentamente la spina dorsale.
Aveva cominciato a sudare freddo, non sapeva bene se a causa dell’alcol o a causa della voce della sua coscienza che aveva congelato ogni muscolo del suo corpo, intimandogli di non reagire e stare in silenzio.
Cercò di sopprimerla. Si girò fingendo calma, incrociando con occhi assetati lo sguardo dell’uomo che aveva parlato.
I suoi occhi erano grandi e scuri, la grande quantità di capelli bianchi e la barba scura spettinata e non curata suggerivano fosse anziano, ma la sua pelle era radiosa e fresca seppur coperta da gocce di sudore che vi scivolavano sopra come se fosse un tessuto impermeabile, indicavano che in realtà l’uomo non avesse più di una trentina d’anni.
 
Sentiva la gola secca e non riusciva a parlare, la lingua pregna di alcol e molta saliva. Si sentiva come se gli mancasse l’ossigeno e mentre il suo cuore era in testa per la grande maratona, poteva sentire un leggero pizzico di paura misto ad adrenalina che faceva tremare le sue magre mani. Aveva paura di tante cose: di perdere il controllo, di ferirsi. Il dolore fisico, se non seguito da piacere, era una delle sue peggiori paure aveva sempre saputo di non poterlo mai sopportare.
 
“Come se io avessi paura di te, palla di lardo! Haha!” La bocca rossa, fine e cattiva ora curvata in un sorriso finto, con i denti scintillanti e dai canini pronunciati perfettamente allineati mentre la risata fredda di Gilbert risuonò nel locale stranamente silenzioso, da cui dopo poco tempo si levarono cori che incitavano a una rissa e che prendevano parte di uno dei due.
 
Gilbert strinse i pugni portando il piede davanti seppur barcollando, mentre la testa si era chiaramente arresa e dava segnale di non poter mantenere tanta lucidità, mentre il suo corpo lo pregava in ginocchio di non commettere uno sforzo così grande.
non ebbe nemmeno il tempo di realizzare, che vide una grossa mano dalle nocche bianche corrergli vero il viso, sferrando un pugno potente che anche se durò poco non rinunciò a farsi sentire. 
Sgranò gli occhi cremisi che lacrimavano, incredulo. Era come se avesse visto la sua mascella spostarsi anche se poteva solo sentire il crescere graduale del dolore sull’osso, sicuro che avrebbe presentato un bel livido fresco e violaceo.
 
Perse l’equilibrio quando il suo viso si girò nettamente verso destra, riuscendo a mantenersi a malapena sulla gamba sinistra che tuttavia tremava ed era debole, come tutto il suo corpo.
Stava sudando di nuovo, le braccia gli tremavano così come il labbro inferiore che ora era pallido e a contrasto con il suo viso che portava il colore della guerra, spingendo i suoi denti a sfregarsi gli uni contro gli altri e le sue narici dilatarsi pur di donare del calore a quel corpo congelato.
Istintivamente, posò lentamente una mano sulla zona colpita, causando una risata disgustosa da parte dell’intero locale: Vedeva la gente grattarsi la pancia dal ridere ed elogiare l’uomo che lo aveva colpito.
Non perse un istante, l’umiliazione era troppo forte per riuscire a stare fermo senza reagire.  Non ci penso e reagì di istinto per poi pentirsi poco dopo, sferrando un pugno di risposta all’occhio grande dell’uomo che sembrava stesse per urlare dal dolore. 
 
Sentiva il cuore battergli, il locale che spingeva a una rissa, e poteva giurare di aver visto le vene dell’uomo farsi grosse e di un rosso brillante, contornando la sua fronte alta.
Proprio quando si stava preparando per un secondo attacco, il barista intervenne stringendo saldamente i polsi dei due uomini quasi provocando dei segni, urlando parole di rimprovero all’uomo nemico che a Gilbert risultavano ormai incomprensibili.
Aveva la testa che gli girava come una giostra, la stanchezza che gli circondava il corpo e inoltre aveva sete. Si sentiva debole, schifosamente debole, asciutto. Dio, che sensazione di merda.
 
“Tu Beilschmidt, esci dal mio locale. Hai già causato troppi danni sta sera” gli disse tutto fra i denti, e Gilbert scosse il capo in confusione, ma accogliendo a malincuore il comando del suo amico.
 
“Non ti ho paga-“ 
 
“Lo farai quando tornerai, ora esci per favore.” Indicò la porta con la mano.
 
Prese un respiro profondo di rassegnazione, e sotto lo sguardo severo del barista, Gilbert capì che si sarebbe dovuto allontanare dal posto al più presto.
E così fece. Uscì, barcollando e con le gambe che parevano spaghetti troppo cotti. Molleggiando, inciampò su una bottiglia di vetro facendo un ruzzolone e finendo a far domande al pavimento.
Debolmente alzò la sua mano, notando un graffio che univa il mignolo al polso ed era colorato da un rosso brillante.
 
Posò la testa a terra. Non aveva la forza di alzarsi, e chiuse gli occhi quando sentì cadere sulla spalla e sui suoi capelli delle gocce di acqua sporca e doppia.
Sarebbe morto lì? Solo, senza nemmeno aver dato a tutti un ultimo saluto? Come poteva qualcuno di fantastico come lui, morire un un modo così stupido e vergognoso. No, non era possibile, ma stava avvenendo.
Sentiva il cuore rallentare il battito, e le unghie diventare viola dal freddo. La mano era congelata, non riusciva a sentirsi la faccia.
 
Nessuno poteva salvare l’eroe. Era finita lì?
 
///
 
“Fottuto bastardo, ti sei svegliato finalmente!” La voce squillante dell’italiano fece fischiare le orecchie di Gilbert, che si sentiva ancora un po’ spaesato e con la testa pesante.
La visione era annebbiata, ma in breve mise a fuoco notando che si trovava di fronte al fratello di Feliciano.
 
“Fratello di Feliciano? Che diavolo ci fai qui?” Scosse il capo confuso, guardando come l’italiano cominciava ad infuriarsi gradualmente pur cercando di mantenere la calma incrociando le braccia.
 
“Si da il caso che io abbia un nome! E poi, non è colpa mia se svieni di fronte al mio negozio! Penso tu ti sia innamorato di questo posto, cazzo, combini sempre qui la tua merda!” Ha infuriato con il viso che diventava rosso, e Gilbert poteva vederlo nonostante la fioca e debole luce che emanava il lampione quasi rotto con la luce che si accendeva o spegneva ad alternanza.
 
“Non so il tuo nome, e non è colpa mia se il tuo negozio è vicino al bar dei miei amici!” Rispose quasi offeso, mettendo una smorfia sul suo volto e corrucciando le labbra. Questo ragazzo era veramente uno sfacciato, insolente e maleducato. Ma poteva dire che poteva trattarsi di una brava persona, forse.
 
“I tuoi amici? Oh, sì! Quelli che ti hanno lasciato fuori steso per terra, coglione! Pensavo fossi morto, e probabilmente se non fossi arrivato in tempo avresti fatto una brutta fine!” Gli urlò in faccia. Era visibilmente preoccupato, il viso arrossato e il tedesco poteva sentire il battito accelerato del suo cuore.
Se si fosse trovato nella sua situazione, probabilmente avrebbe avuto la stessa reazione. Il respiro affannato dell’italiano si confondeva assieme al suono della pioggia battente e delle gocce d’acqua che si infrangevano sull’asfalto, quasi saltando. Dio, pioveva fortissimo. Poteva vederlo grazie alla luce del lampione.
Sentiva un lieve torpore rigenerante sulle spalle, per poi notare con sorpresa che una giacca dal colore scuro, forse marrone, era stata posata dolcemente su di lui.
 
“Scusami. Tieni la tua giacca”
 
“No. Adesso serve a te, coglione” gentile. Si, davvero gentile. Non riuscì a trattenere un piccolo sorriso a bocca chiusa che spuntò sul suo volto come un fiore in primavera, mentre le sua mani ancora fredde stringevano la giacca sulle sue spalle affondando le dita nel caldo tessuto.
 
“Cosa cazzo hai da ridere? Sii serio! Non fai nulla se non ubriacarti?” Domandò, pur sempre con tono di voce alto ma abbastanza moderato, visto la tarda ora. Lovino guardava il tedesco con occhi che brillavano di curiosità.
 
“Uhm? Oh, vediamo...bevo quando sono triste, quando sono felice, quando voglio festeggiare, quando sono in lutto...” Gilbert continuò dal elencare, guardando verso l’alto con la bocca semi 
aperta mentre contava con le dita ogni ragione che dava.
 
La faccia esterrefatta di Lovino con la bocca spalancata e gli occhi sgranatore non aveva prezzo in quell’istante, Gilbert la trovò quasi spiritosa e quindi di conseguenza rise rumorosamente.
 
“Cosa diavolo hai da ridere? Bevi sempre, sei un fottuto ubriaco del cazzo!” Diede uno schiaffo più o meno doloroso alla spalla di Gilbert, e il tedesco cominciò a massaggiarsi la zona colpita.
 
“Ouch! Per cos’era? Comunque oggi avevo una ragione speciale per ubriacarmi” fece l’occhiolino, facendo innervosire Lovino che incrociò le braccia e increspò le labbra.
 
“Oh, e sentiamo? Non c’è una mai una fottuta buona e ragione per ubriacarsi” Tuonò l’altro, liberando le braccia e cominciando ad agitarle per aria da buon italiano, esprimendo tramite bizzarri gesti il suo disapprovo con quanto appena detto.
 
“Cavolo, quelle tua mano mi hanno distratto” Gilbert afferrò le braccia di Lovino, abbassandole.
 
“oh, ecco! Finalmente sono riuscito a perdere sentimenti per il ragazzo che piace a una persona molto cara” donò uno dei suoi sorrisi più smaglianti a Lovino che in risposta distolse lo sguardo dal viso di Gilbert, che però poté scorgere un lieve arrossamento sulle sue guance paffute e labbra che si contorcevano avidamente, ricordandogli se stesso mentre cercava una posizione adeguata per rilassarsi sul divano.
 
Lovino non aveva una vera motivazione per sentirsi in imbarazzo, ma il modo amichevole e confidenziale con cui Gilbert si stava confidando, lo presero alla sprovvista causando una reazione inaspettata: lo spolverare di petali di papaveri sulle sue guance. Non sapeva come agire, e l’imbarazzo quindi prese il sopravvento.
Ovviamente, nulla a che fare con il sorriso puro e innocente di Gilbert, e nulla riguardava il modo in cui i denti scintillanti e perfetti dell’albino si specchiavano negli occhi color oliva.
No, no! Non perdeva tempo per questa merda, pff. Quel sorriso non lo aveva messo in imbarazzo, assolutamente.
 
“Ok, ascolta qui-“
 
“Perché dovrei?” Gilbert venne interrotto dal tono scontroso di Lovino, che gli sembrò quasi divertente. Poteva notare che l’italiano non si sentiva a suo agio.
 
“Sei in imbarazzo? Beh, lo capisco di fronte a così tanta roba fantastica, ma sembra che tu stia un tantino esagerando” avvicinò le dita per mostrare a Lovino l’ipotetica quantità di imbarazzo che lo attanagliava, ma lui sbuffò solo in modo timido spostando gli occhi e lo sguardo sui capelli di Gilbert.
 
“Sono ancora secchi dopo quasi un mese” disse Lovino tranquillamente, masticando si le labbra mentre annuiva lentamente grattandosi il mento.
 
“Hey! Non cambiare argomento! Dai, ascoltami! Voglio avere degli amici quando sono ubriaco!” Piagnucolò.
 
“Chi ti dice che io sia tuo amico, bastardo?” L’italiano spostò il braccio frettolosamente, liberandosi dalla leggera presa di Gilbert bisognosa di supporto e affetto.
 
“Mi stia ascoltando”
 
“No, non lo sto facendo!”
 
“Ma stai rispondendo alle mie domande”
 
“Non è vero, bastardo, tu sei pazzo” sputo innervosito ha cominciato a cliccare con l’indice all’angolo della sua testa, con la bocca semi aperta e sopracciglia abbassate.
 
“Uffa! Non hai pietà per un uomo ubriaco? Ascoltami, per favore!” Quanto cazzo poteva essere irritante il suo modo di lamentarsi come un bambino dell’asilo? Troppo, secondo Lovino. Ma era ovviamente disposto ad ascoltarlo anche se non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura.
 
“Ok, dimmi bastardo! Ma falla breve, sono le 4 del mattino e non voglio ascoltare le tu cazzate!”
 
Non vi era ancora traccia dell’alba, il sole sembrava stesse perdendo una battaglia contro l’oscurità dato che era ancora nascosto sotto le braccia di sua madre.
La debole luce arancione era quasi assente e Gilbert notò con sorpresa che aveva smesso di piovere. Poteva scorgere delle brillanti stelle nel cielo, che completavano quel bellissimo quadro di colori.
Era seduto lì con chi meno si aspettava di incontrare. Erano in tono confidenziale, e anche se l’italiano era un po’ riluttante nel volerlo ascoltare, Gilbert si sentiva comunque preso in considerazione.
Le loro spalle erano poggiate l’una contro l’altra, e i loro tocco donava calore fisico ad entrambi. Lovino portava una giacca arancione molto sottile, con dei bottoni trasparenti che lasciavano il collo sbottonato e coprivano a malapena il suo petto.
Il suo colore caldo, la sua pelle calda e rassicurante, e l’albo o poteva sentire l’odore della salsedine provenire dalla sua pelle e dai suoi capelli scompigliati e di un intenso color cioccolato.
 
“Mi ci è voluto quasi un mese, ma c’è l’ho fatta! Non provo più nulla per questa persona. Ho pensato che per rendere chi mi sta a cuore felice, avrei dovuto fare uno sforzo e abbandonare la mia preda. Non si vince sempre, anche se non è fantastico ammetterlo” guardò verso la stella più luminosa del cielo, poggiando dolcemente il capo sulla spalla di Lovino.
 
E a sua sorpresa, non venne respinto.
 
“Wow, bastardo di patate. È davvero un gesto molto nobile da parte tua.” Lovino affermò, con tono stranamente tranquillo e pacato. Era davvero rimasto colpito da un’azione del genere da parte di quello che sembrava un fastidioso pezzo di merda ubriaco.
 
“Io non credo sarei stato capace di farlo” continuò Lovino, alzando lo sguardo sulle stelle.
Sentiva la chioma di Gilbert solleticargli il collo, ma non lo infastidiva. Si sentiva in compagnia e non più solo.
 
“Lo so. Sono fantastico, sai? Ovvio che solo quelli come me farebbero una cosa del genere!” Rise ancora, e Lovino sbuffò rassegnato.
Ahimè, gli sembrava strano fosse serio. Anche se non lo conosceva affatto, aveva già capito di che persona si trattava.
 
“Vorresti mai avere dei figli?” 
 
“Ma che razza di domanda è, coglione di un albino?” Scostò la testa di Gilbert dalla spalla, in modo rude.
 
“Ouch! Dai! Non siamo in modo confidenziale adesso?” Rispose lui, guardando Lovino negli occhi in segno di sfida.
 
“Si ma non- comunque sì, se proprio vuoi saperlo!” Mosse la mano in aria fingendo disperazione, mentre il suo viso brillava. Nessuno gli aveva mai chiesto una cosa del genere, e il primo a farlo doveva essere un tedesco ubriaco? Che vergogna! Pochi si importavano davvero della sua vita.
 
“Fantastico, Anche io! Già me li vedo, i miei piccoli bambini dagli occhi di rubino correre per la vasca gettando per aria le polpette preparate dalla mamma, haha!” Sghignazzò. Cavolo, sembrava proprio un bambino.
 
“Certo, continua a sognare! Chi farebbe mai dei figli con te?” Oh cavolo. Forse questo non doveva dirlo.
 
“Eh, mi dispiace non intendevo dire che-“
 
“Oh, va bene. Li adotterò allora!” Rispose eccitato, ma Lovino guardando il suo viso poteva notare come il sorriso ebete che era stampato sul suo volto emanava un non so che di tristezza. Questa volta Lovino pensò di essere stato cattivo, un po’ troppo.
 
Lovino appoggiò la sua testa sulla spalla di Gilbert, anche se un po’ imbarazzato. L’albino sorpreso, accolse il gesto e sorrise incuriosito da quel buffo ricciolo che spuntava selvaggio dalla chioma dell’italiano e che era vicino al suo viso.
 
“Non mi hai detto come ti chiami”
 
“Bastardo, sono Lovino”
 
“Oh, principessa. È un nome terribilmente sexy” ammiccò all’italiano, che fece finta di non vedere per evitare di innervosirsi e mandarlo a fare in culo.
 
Il silenzio che si era creato era quasi rilassante. Sentivano solo una manciata di grilli cantare, un leggero vento caldo che muoveva i capelli e gli uccellini che cinguettavano, mentre dei deboli raggi di sole si posavano sui loro volti e vedevamo le prime macchine correre per le strade per nulla affollate.
 
“Sei stato fantastico ad ascoltarmi” diede un ampio ma stupido sorriso.
 
“Tsk! L’ho fatto solo perché mio nonno diceva di ascoltare gli ubriachi e non trattarli male!” Mosse la mano, spostando il viso che lievemente arrossiva e cliccando con la lunga lingua sul palato.
 
“Tuo nonno detta le tue leggi di vita? E poi, non sono ubriaco!”
 
“Sì e sì” si limitò a rispondere, per poi alzarsi e aprire le porte del locale.
 
“Dove stai andando?” Chiese.
 
“A lavorare?” Rispose sarcasticamente, fulminando con lo sguardo L’albino curioso. “Chiamerò tuo fratello per farti venire a prendere, così tu possa alzare quel tuo brutto culo peloso dai miei scalini”
 
“Hey! Il mio culo non è peloso! Vuoi vederlo per caso?” Diede un sorrisetto, alzando l’angolo destro della bocca e piegando il sopracciglio destro.
 
“Cazzo no! Dio, neanche se mi pagassero vedrei il tuo culo! Ora aspetta tuo fratello e non rompermi il cazzo” 
 
“Ma non sono ubriaco! Non ho bisogno di Luddy!”
 
“E allora vai a casa da solo e non farmi impazzire” stava per chiudere la porta di vetro, sbattendola ovviamente, quando venne bloccato dal braccio di Gilbert.
 
“Hey principessa, fino ad adesso ti comportavi bene e ora mi tratti male? Non è fantastico!”
 
“Ti ho detto che mi sono comportato bene solo perché mio nonno avrebbe voluto questo. Essendo lui un ubriaco di prima cat- non importa, ora vai” sospirò, stropicciandosi la fronte con la mano destra e socchiudendo gli occhi.
 
“Ma-“
 
“Vaffanculo nonno! Me li mandi tutti tu questi tipi strani che sembrano vampiri usciti da Twilight?” Lovino sbuffò, afferrando la scopa e spolverando a colpi incerti il pavimento, per ripulirlo da alcune macchie di suole di scarpe.
 
Porta chiusa, sbattuta in faccia per la seconda volta. Cavolo, doveva davvero amare sbattere le porte! Mentre camminava, Gilbert sentiva la testa girare e faceva fatica a reggersi in piedi. Sì, era decisamente ancora ubriaco, e ha deciso che avrebbe chiamato lui suo fratello sta volta, senza scomodare il povero ed esasperato Lovino.
 
Il secondo incontro con Lovino sembrava fosse come il primo. Trattato male, poi bene, poi di nuovo male, ma tutto ciò gli lasciava un segno. Sembrava stesse diventando dipendente da quel ragazzo. Era sicuro che anche vederlo una volta al giorno, gli avrebbe cambiato la giornata. Era divertente anche con il suo essere aggressivo e leggermente maleducato.
 
Sorrise ancora, ripensandoci. Sì, quello era decisamente l’inizio di una bella amicizia.
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Un caldo raggio di debole luce si posò sul viso di Gilbert, facendogli aprire gli occhi. Si sentiva stanco e ancora assonnato, ma decise comunque di buttare un’occhio alla sveglia sul comodino alla sua destra; la luce rossa dei numeri rettangolari segnava un’orario ben preciso, le 5:50.

Cazzo, era prima mattina, e lui si era svegliato così presto solo perché Ludwig aveva dimenticato come al solito di chiudere le tendine dell’enorme finestra che l’albino aveva in camera. 

Beh, diciamo che suo fratello aveva dimenticato di chiuderle solo nel suo caso, perché per quanto lo riguardava, era solito a utilizzare la luce del sole come sveglia naturale, perciò saltava giù dal letto già alle prime luci dell’alba.
Gilbert era ancora avvolto nella sua calda coperta di lana, mentre teneva le braccia piegate sotto la testa come se fosse steso in spiaggia su un telo da mare.

Gli uccellini cinguettavano e lui pensò che Gilbird avrebbe potuto farsi degli amici fantastici (anche se non quanto lui), ma i suoi pensieri vennero scacciati via come una nube di fumo da una folata di vento fresco che mosse le tende e le foglie delle piante che erano vicino alla finestra.

Ricordava poco e nulla della notte precedente, ma era abbastanza sicuro di essere stato ubriaco ancora una volta, dato che non ricordava affatto di essere tornato a casa, ma ne ebbe la conferma quando realizzò di indossare degli orribili pantaloni di pigiama a scacchi, mentre lui era solito a dormire con dei classici boxer.

Merda, Ludwig lo aveva cambiato di nuovo! Seriamente, quella merda faceva veramente schifo, si sentiva come un poppante che succhiava ancora il latte dalla tetta della madre, ma era allo stesso tempo abbastanza convinto che tutti gli ubriachi fossero un po’ poppanti in fondo.

Si alzò dal letto mentre gradualmente la stanza veniva illuminata dal sole, e posò i piedi candidi sul pavimento gelido di marmo. Afferrò un paio di calze bianche di cotone e le indossò velocemente, ancora con un senso di spossatezza.
Barcollando leggermente, nonostante non quanto la sera prima, si diresse in bagno e si guardò allo specchio avvicinando il viso allo specchio arricciando il naso e avvicinando le sopracciglia, facendo spuntare delle piccole rughe di espressione sulla fronte.

“Ouch, è veramente poco fantastico” sputò quasi disgustato, realizzando a malincuore che la sua voce era andata via così come il suo essere magnifico.

Capelli spettinati e annodati, viso più pallido del solito e reso con qualche forma di profondità grazie a delle terribili occhiaie che gli contornavano gli occhi, labbro superiore con del sangue grumito all’angolo sinistro e per finire in bellezza un bel livido dalle mille sfumature situato proprio nel bel mezzo della sua mascella.

“La mia mascella! Dai, era la parte preferita del mio corpo e adesso è rovinata!” Piagnucolò, toccandosi il livido incredulo. “beh, non solo la mia parte preferita, mi piacciono anche i miei capelli, i miei occhi, il mio viso in generale, il mio fisico, il mio ca - beh, non importa” scosse di nuovo il viso chiudendo gli occhi, allontanandosi dallo specchio.

Cavolo, ieri sera ci aveva dato dentro con la birra. Probabilmente aveva fatto a botte con qualcuno e non ricordandosi di chi fosse magari lo avrebbe incontrato di nuovo e pure salutato, lui si sarebbe ricordato sicuramente della lotta e gli avrebbe dato un cazzotto anche da un’altra parte.
Si sciaquò il viso, concentrandosi sul suono dell’acqua fredda scorrere dal rubinetto, e poi sentire una sensazione di freschezza una volta che l’acqua viene a contatto con la sua faccia, per poi bagnarsi anche le punte dei capelli.

“Mi farò una doccia più tardi, ora non ho voglia” pigramente, tornò nella sua camera sedendosi sul letto. Con la testa che guardava verso un punto in alto non identificato, cerco di spremere le meningi e sforzarsi nel ricordare qualcosa.

Tutto ciò che ricordava però, non aveva la certezza fosse avvenuto. Poteva essere semplicemente un sogno, o qualche pensiero bizzarro che gli correva su e giù per la testa.

“Allora, vediamo un po’” sussurrò a voce bassa, con la bocca semi-aperta come causa di un noto livello di concentrazione che in lui si limitava solo a casi del genere “ricordo di essere andato al bar, poi ho ovviamente bevuto...”

“Oh! Lovino? Perché ricordo di Lovino? Aspetta, come so il suo nome?” Un’espressione perplessa si levò sul volto di Gilbert, facendogli realizzare che effettivamente qualcosa era accaduto tra i due.

“Merda! E se l’ho molestato di nuovo? Me lo rinfaccerà per tutta la vita quel piccoletto!” Diede un pugno all’aria, e il suo sguardo venne catturato dal suo diario che giaceva glorioso sulla scrivania.

“Quel coso è ancora lì? Pensavo di averlo messo via” si alzò, prendendo il diario e afferrando una matita per poi scrivere alcune frasi con la sua calligrafia incasinata sulla nuova pagina bianco latte.

“Caro fantastico diario, so che si chiama Lovino! Non è un nome fantastico? Ovviamente non all’altezza del mio, ma è abbastanza fantastico. Ieri sera da ubriaco sono stato sicuramente con lui per sapere il suo nome, spero di non averlo molestato. Oh! E se per caso questo livido che mi ritrovo non è altro che un segno inflittomi dal nemico mentre salvavo la principessa italiana? Beh, sicuramente molto più nobile e fantastico di aver fatto a botte in un sudicio locale squattrinato!”

Mise velocemente via il diario e la matita, buttandoli nel piccolo cassetto di legno che chiuse con movimento deciso della mano.

Si passò una mano fra i capelli, dando di nuovo un’occhiata all’orario: le 7:00. Beh, solitamente dormiva fino alle 11, ma era sicuro non sarebbe riuscito ad addormentarsi e dormire per poche ore, tanto valeva rendere la giornata più produttiva del solito.
Uscì dalla stanza, con lo stomaco che brontolava. C’era da aspettarselo, visto che sicuramente era andato a dormire digiuno.

Corse in cucina, attirato dall’odore del caffè, il che indicava che Ludwig ovviamente era già sveglio.

“Buongiorno Ludwig! Oggi sarà una giornata magnificamente produttiva visto che mi sono svegliato presto!” Rise sonoramente, guardando suo fratello che stringeva nelle sue grandi mani una piccola tazzina di caffè.

“Oh, buongiorno Gil. Spero tu abbia dormito bene, visto il trambusto di ieri sera” avvicinò la tazzina alla bocca gustando il sapore del caffè, mentre sfogliava le pagine della gazzetta.

“Trambusto? Di che parli?”

“Mi hai chiamato per farti venire a prendere. Hai detto che non volevi far arrabbiare ulteriormente Lovino” i suoi occhi azzurri sembrava stessero scansionando Gilbert, che più confuso che mai, rimaneva in piedi e scalzo sulla soglia della porta della cucina.

“Oh, non ricordo nulla” disse, grattandosi il capo.

“Lo immagino.”

“Non sei arrabbiato?”

Alla domanda di Gilbert, Ludwig scosse le spalle continuando a leggere il giornale e aggiustandosi gli occhiali da vista che utilizzava appositamente per leggere.

“No. La vita è tua, fai quel che ti pare. Certo, mi piacerebbe che tu imparassi ad essere più indipendente e a pensare alle conseguenze, ma sono sicuro che un giorno imparerai. Bere va bene, ma ubriacarsi così è troppo. Sappiamo cosa significa” alzò lo sguardo attraverso gli occhiali, guardando Gilbert negli occhi per poco meno di un minuto, per poi tornare a ciò che stava facendo.

Gilbert storse il labbro, versandosi una tazza di caffè.

“Ehi! Ma dove sono le tazze grandi? Cosa sono queste tazzine stile Barbie?” Chiese.

“Feli mi ha portato del caffè italiano. Non bisogna berne tanto perché non fa dormire la notte, per questo lo si beve in tazzine piccole” il tono saggio e calmo di Ludwig però, non accontentò Gilbert, che prese il suo tazzone da latte versando in esso tutto ciò che c’era nella caffettiera sotto lo sguardo sconvolto di suo fratello

“Haha! E credi a queste cazzate? È Business, lo dicono solo per farti comprare queste micro-tazzine” parlò con fare saccente, dando un generoso sorso alla tazza.

“Come vuoi tu, Gil."

“Andiamo! Oggi comunque non si dorme, siamo in pieno Oktoberfest e stasera si festeggia” posò la tazza vuota sul tavolo sotto lo sguardo stupito di Ludwig, per poi pulirsi la bocca con il palmo della mano, sorpreso dal buon sapore del caffè che non sapeva di acqua e caffè come quello che era solito bere tutte le mattine.

“Oh, proprio di questo volevo parlarti. Stasera non ci sono, porto Feli in giro”

“Anche voi? Cavolo, questo è l’oktoberfest delle coppiette!” Sbuffò, lanciando uno sguardo quasi disperato al fratello.

“che vuoi dire? E I tuoi amici?

“Tu vai con il piccolo Feli, Antonio va con Belle e Francis con Arthur. vanno tutti assieme, un’appuntamento a 4 insomma” spiegò, quasi deluso. “Stanno diventando dei rammolliti da quando sono fidanzati, ringrazio Dio di non essere fidanzato”

Ludwig rotolò gli occhi, pensando al modo spudorato in cui stava mentendo nell’ultima frase detta. Sapeva benissimo che era tutto ciò che Gilbert voleva, e che era stanco di essere solo come un cane in ogni festività.

Ciò che aveva letto nel suo diario, gli aveva fatto capire il motivo per cui ogni volta a San Valentino rimaneva rintanato in casa con musica rock sparata al massimo o il motivo per cui a Natale si allontanava quando arrivava il momento del bacio sotto il vischio.

“Puoi venire con me e Feli se ti va”

“Ti ho appena detto che non voglio essere il terzo incomodo! Aspetta, posso invitare Lovino!”

“Stai dicendo sul serio?” Ludwig alzò un sopracciglio, per poi schiaffeggiarsi la fronte. Oh no, stava commettendo sicuramente un grande errore.

“Sì, perché no? Posso portarlo con Francis e Antonio! Aspetta, ma loro sono ex...vabbè, non importa! Ci divertiremo comunque un sacco!” Abbassò il pugno in segno di vittoria, sorridendo con fare di sfida.

Stava ragionando da solo e per di più ad alta voce, ma non aveva importanza! Aveva finalmente trovato una soluzione e sarebbe riuscito a divertirsi senza problemi assieme ai suoi amici.

Prese il cellulare, mandando un messaggio a Francis:

“Vengo con Lovino, count me in!”

Poi, poggiò il telefono.

Oh, ma aspetta un secondo. Aveva letteralmente organizzato un piano con una persona che non ne sapeva nulla. Beh, sicuramente avrebbe accettato, ma non lo sapeva ancora!

“Hey Lud! Diresti al piccolo Feli di avvisare Lovino che voglio uscire con lui?”

“Oh, Gilbert. Quindi sei serio.”

 

///

“Lovino, per favore ascoltami!”

“Col cazzo! Non vedrà la mia faccia quel brutto ceffo!” Lovino si staccò dalla presa del fratello, che con occhi spalancati e luminosi, lo pregava con lo sguardo di ascoltarlo e star fermo per almeno un minuto.
Lovino si sentì in colpa per un secondo, e decise di accontentare suo fratello, prendendo posto sulla sedia e sedendosi con il bacino contro la spalliera.

“Perché cazzo vuoi che vada con quello?” Ha infuriato, quasi digrignando i denti. 

Il suo volto era in fiamme, misto di imbarazzo per paura che l’albino si ricordasse della serata e del suo modo insolitamente gentile, ma anche rosso a causa del nervoso che lo teneva legato attorno al suo dito, perché arrabbiato con il tedesco per aver organizzato da solo un piano imbarazzante.

“Lovino, Gil ci tiene tanto! Ha detto che gli piaci come amico e che vuole divertirsi assieme a te perché sei simpatico! Non è una cosa dolce?” Feliciano sorrise timidamente, mentre i suoi occhi potevano esprimere tutto l’amore del mondo.

“È una brava persona! Lo prometto!”

“Non devi promettermi un cazzo, stupido! Non sei tu il problema, ma quel maledetto coglione! Sta entrando nella mia vita come un missile e io non posso fare nulla per fermarlo!” Sbattè un piede per terra, facendo spaventare suo fratello che sembrava quasi intimidito dal suo tono di voce dal fare rissoso. 

Pensava che da un momento all’altro avrebbe potuto scaraventargli un pugno in faccia, ma sapeva che Lovino non sarebbe mai stato pace di commettere violenza, specialmente nei confronti di suo fratello.

Feliciano non riusciva a capire come mai Lovino ponesse così tanta resistenza. Quando lo costrinse ad uscire con Antonio, non fece così tanti capricci e non si lamentò così tanto. Oh, e l’uscita con lo spagnolo aveva un fine amoroso e per nulla amichevole.

“Ed è un problema? Intendo dire, hai bisogno di nuovi amici!” Suggerì, sorridendo amorevolmente come una mamma al suo bambino.

“Ho amici in Italia, mi bastano quelli. E non riesco a capire perché quel tedesco bianco cadaverico e bastardo, che sembra uscito da una tomba, mi chieda di uscire assieme a lui!” 

“È molto gentile! Chissà, potreste anche innamorarvi e-” 

“Mi stai fottutamente prendendo in giro?”

 Oh oh. Feliciano poteva vedere suo fratello scaldarsi come una piastra da cucina, o una piastra per capelli, o un bel pezzo di pizza- insomma, qualunque cosa si possa riscaldare e che possa diventare così tanto bollente dal farti male e dal farti carbonizzare anche solo guardandola.

Lovino cercava invano di mantenere la calma respirando profondamente, ma le escandescenze stavano mandando letteralmente a fuoco il suo giardino zen. Seriamente? Quell’idiota era serio? Invitare una persona che vuoi diventi tua amica (senza sperarci troppo) a una stupida festa da cui sicuramente ne saresti uscito ancora ubriaco per poi farti trascinare a casa. Bella mossa del cazzo, Beilschmidt.

“No. Non ci andrò, e il discorso si chiude qui.” Con sorprendentemente calma, Lovino si limitò a grattarsi la punta del naso e a rispondere a suo fratello in modo quasi distratto.

“Ma fratello-“

“Ho detto di no, un no è un no!” Si alzò. cavolo, Feliciano poteva sentirsi bruciare solo guardando suo fratello, che scaraventò a terra la sedia di legno.

“Era la sedia del nonno.” Lo sguardo del piccolo italiano si intristì gradualmente.

“Non pensiamo a quel bastardo adesso. La aggiusterò io” raccolse la sedia che aveva la spalliera spaccata, e la appoggiò contro il muro bianco.

“Per favore Lovino, vai con Gilbert! Ti prego, ti scongiuro!” Feliciano giunse le mani in segno di preghiera, avvicinandosi a suo fratello e scuotendo le mani davanti al suo viso fumante.

“Ho detto no! Basta!”

“Ti prego, ti prego ti prego!” 

Aveva cominciato a piagnucolare insistentemente, aggrappandosi alla gamba di suo fratello impedendogli di camminare. 

“E va bene, andrò! Ora levati dalla mia cazzo di gamba e smettila di piangere come un fottuto bambino dell’asilo!” Lovino agitò la gamba, e Feliciano vi si staccò velocemente.

Girandosi dal lato opposto, cominciò a ridacchiare. Non c’era voluto molto per costringere Lovino. Che in realtà, nel profondo del suo cuore, avesse voluto andarci già dall’inizio?

Beh, non credo lo sapremo mai.

///

Gilbert si guardava di nuovo allo specchio, ma questa volta era lui a fare mille pose diverse spacciandosi per un modello di costumi da bagno. 

Passò lentamente le mani sul petto, tastando gli addominali e pettorali scolpiti che erano ben visibili anche da sotto la camicia bianca.

Indossava il bellissimo smoking di cui tanto aveva parlato, e il modo leggiadro in cui la giacca nero pece si posava sulle sue spalle larghe e magre era estremamente di alta classe.

Si aggiustava Il papillon piccolo e nero con entrambe le mani, mentre ogni tanto passava una mano sui pantaloni per aggiustarli, dato che erano leggermente spiegazzati.

“Damn. Sono più elegante di quanto ricordassi” esclamò, continuando a specchiarsi. La cornice dorata dello specchio, contornava in modo preciso la sua immagine perfetta, e le scarpe nere appena lucidate conferivano al giovane un’aria ancora più regale.

“Gilbert, basta specchiarti” Ludwig spuntò dal corridoio, mentre si aggiustava la cravatta per l’ultima volta.

“Oh, sta volta sei tu che becchi me, vero?” Rise ancora rumorosamente alzando un’angolo del labbro come era solito fare, mentre Ludwig distolse lo sguardo da lui a causa del leggero imbarazzo che provava nel ricordare quando era stato beccato a fare pose spudoratamente provocanti. 

Se quello specchio fosse stato vivo, avrebbe avuto così tante cose da raccontare.

“Penso sia ora di andare, non credi?” 

“Puoi scommetterci, Lud. Non posso far aspettare la principessa”

Lasciò qualche seme di girasole in più per Gilbird per poi dirgli di fare il bravo, e immediatamente chiuse a chiave la porta dell’appartamento seguendo suo fratello nella grande Mercedes nera.

“Guido io!”

Gilbert si precipitò al volante senza nemmeno aspettare per una reazione di Ludwig, ma fu altrettanto rapido a rovinare con le sue scarpe i preziosi tappetini di finta pelle che suo fratello aveva aggiustato e pulito con cura già da settimane prima.

Direzione: centro di Monaco.

Non vivevano molto lontani dal centro, abitavano in una casa abbastanza piccola ma piuttosto accogliente situata in una zona periferica della città.

Le strade erano perfettamente lisce, i buchi nell’asfalto erano rari e ciò permetteva anche ai più spericolati italiani di guidare in modo perfettamente regolare senza cominciare a compiere corse automobilistiche degne di Vettel.

Gilbert aveva sempre pensato fosse stato fortunato ad essere nato e cresciuto in Germania. Era già molto disordinato di suo, e un paese altrettanto disordinato lo avrebbe fatto letteralmente sprofondare in uno stato di sciattaggine aberrante. La sua stanza era già molto poco curata e la casa si manteneva in stati di decenza solo grazie alle cure spropositate che Ludwig le dava.

Ed eccola finalmente, Monaco bardata a festa che aveva sostituito il suo ordine grigio con un leggero caos colorato.

Vi era chiasso, risate, birra che volava e immensi tendoni ricchi di luci colorate e riempiti da musica tedesca assordante che lo rendeva fiero della sua nazione e di essere tedesco, nonostante il terribile magone che ogni tedesco si sentiva di portare sulle spalle a causa di terribili eventi della storia passata.

Immagina a come può essere fantastico: tutte le cattiverie che si spezzano e tutti che ballano assieme a braccetto come se non ci fosse un domani, tutti con lo stesso odore di birra, tutti davvero uguali per un solo giorno. 

Prese un respiro con tutti i polmoni, quasi assaporando l’aria di festa che avvolgeva la città come un sottile velo da sposa. Non sarebbe durato per sempre, e Gilbert questa volta più degli altri anni, era determinato a godersi ogni singolo istante della grande e grassa festa.

“Ci siamo! Dove sono i piccoletti?” Gilbert scese dall’auto, sbattendo la portiera in modo potente ma distratto. 

“Saranno in ritardo...come al solito” rispose, respirando profondamente e ad occhi chiusi cercando di non pensare a come la portiera della sua auto era vittima quotidianamente del braccio violento di Gilbert.

“Come diavolo fai a tollerare un altro ritardo? Io avrei già dato di matto” rispose con fare quasi aggressivo, letteralmente incapace di capire come suo fratello potesse non innervosirsi.

“Quando ami davvero una persona ami anche i suoi difetti”

“Stronzate. Se ami una persona la ami perché fa davvero per te e ha comportamenti che riesci a tollerare” 

“Pensala come vuoi, Gilbert” Scosse le spalle, e i due rimasero in silenzio per un’abbondante mezz’ora prima di scorgere da lontano due figure di media altezza di fenotipo mediterraneo di cui uno piagnucolava e sembrava stesse sull’orlo del pianto mentre l’altro si cimentava in quella che Gilbert chiamava affettuosamente “la danza degli italiani”, che consisteva nel muovere le braccia in gesti strani e veloci.

“Mi chiedo ancora perché cazzo ho deciso di venire! Ho perso più di due ore cercando di capire la fottuta strada, e ho finito pure tutta la benzina! Sai che non avrò soldi fra meno di due settimane per fare il pieno!” 

“Ve, scusa fratellone! Però io non ricordavo bene la strada, non è colpa mia!”

“So che non è colpa tua, stupido! Sono queste fottute strade tedesche che sono maledettamente tutte uguali, non c’è un segno che le distingue!”

“Uhm, ci sono i cartelli stradali” Gilbert suggerì.

“Stai zitto, nessuno ti ha interpellato” rispose Lovino, gettando uno sguardo assassino all’albino, che però lo trovò tutto tranne che intimidatorio, pensando a quanto fosse divertente e a tratti anche abbastanza carino.

“Ciao Lud! Sei stupendo!” Feliciano disse con voce armoniosa per poi gettargli le braccia al collo reggendosi sulle punte dei piedi, mentre il tedesco biondo lentamente arrossiva e si grattava la nuca con la mano destra cercando di diminuire l’imbarazzo dettato dall’abbraccio affettuoso, mentre con l’altra mano dava delle pacche amichevoli sulla spalla dell’italiano.

“Non fate troppe smancerie in pubblico, voi due! Io e Lovino adesso raggiungiamo gli altri!” Gilbert era eccitato, ed afferrò velocemente la mano dell’uomo dal perenne cipiglio in volto che sgranò gli occhi stupito dall’azione frettolosa e inaspettata.

“Di chi altri stai parlando?”

“Come, Feliciano non ti ha detto? Ci sono anche Francis, Arthur, Belle e Antonio!” 

Oh. Mio. Dio. A quel nome, Lovino si incazzò nuovamente, stringendo con fare violento la mano di Gilbert e affondandogli le unghie nella carne. Quel bastardo doveva provare dolore, molto fottuto dolore.

“Eh vacci piano! Per cosa è questo?” Gilbert si liberò velocemente dalla stretta di mano di Lovino, per poi baciare la sua stessa mano come se le sue labbra contenessero una specie di qualche cura per il dolore lancinante che stava provando.

“Guarda che hai fatto! Ora la mia mano ha i segni delle tue unghie!” Si lamentò 

“Dannazione, e ciò che ti meriti per non avermi detto che c’era il mio ex e che si tratta di una sorta di uscita a 6, bastardo, ma cosa credevi di fare?” Abbaiò, stringendo i pugni e lanciando schiaffi potenti alla schiena di Gilbert, che cercava di correre via da quel molestatore.

Simpatico eh? I ruoli si erano invertiti!

“Io non credevo di fare un bel nulla! Ti ho solo invitato perché-“

“Perché ti sentivi solo a stare assieme a coppie fidanzate e quindi hai deciso di usarmi come ruota di scorta per aumentare il tuo fottuto ego di merda?” Gilbert poteva sentire il suono dei denti di Lovino sfregarsi uno contro l’altro, e il suo respiro bollente e affannato colmo di rabbia che si posava sul suo collo. 

Diavolo, era un fottuto dragone cinese! 

Gilbert cercava di coprirsi con le braccia da Lovino che continuava a tirargli schiaffi sulla schiena, ma poteva fare poco e nulla nonostante aveva notato con sollievo che erano più deboli e quindi meno dolorosi.

Non ci aveva pensato però che Lovino avrebbe potuto percepire questa versione. No,no! era tutto sbagliato! Lo aveva solo invitato per farci amicizia e ora lui lo stava picchiando perché si sentiva usato.

Era tutto così poco fantastico, e loro due erano apparentemente diventati l’attrazione principale della festa dato che catturavano sguardi dei tedeschi che solitamente rimanevano impassibili anche di fronte a un cartellone con una donna nuda.

“Che cazzo, questi fottuti tedeschi amano posare i loro occhi di merda su qualunque cosa si muova o sbaglio?” Lovino cessò di cercare di uccidere Gilbert, facendo fare un bel respiro di sollievo a quest’ultimo.

“È davvero un problema se c’è il tuo ex?” Gilbert chiese, ignorando la domanda precedente di Lovino.

“Tu cosa faresti se io invitassi la tua ex?”

“Oh, verrei più figo e fantastico del solito per farla rosicare, facendole vedere il bel pezzo di culo tedesco che si è persa!” Diede una pacca sul suo sedere, ridacchiano e notando come Lovino aveva incrociato le braccia e alzato il sopracciglio con fare perplesso ma innervosito allo stesso tempo.

“Sii il mio fantastico amico stasera! Non mentirò, sei abbastanza figo anche se non quanto me, ma potrai dire tipo -hey bastardo spagnolo, guarda! Sono con il magnifico Gilbert e tu poi solo esserne tremendamente geloso-“ il tono narcisistico con cui Gilbert parlò, fece alzare gli occhi al cielo a Lovino, che pensava di aver appena fatto la scelta più sbagliata della sua vita nel decidere di uscire assieme a lui, anche se era sollevato dal fatto che non fossero soli.

“A parte per le prime tre parole, non suona per nulla come qualcosa che potrei fottutamente dire”

“Imparerai, imparerai”

Ora non li guardava più nessuno, ognuno aveva preso la sua strada e continuato a festeggiare senza curarsi dei due uomini chiassosi. Niente sguardi assassini e niente tedeschi curiosi, fantastico.

“Quindi verrai con me?”

“Va bene bastardo, non aspettarti troppo da me”

“Grazie Lovi! Ci divertiremo un sacco!” Abbracciò Lovino con fare fraterno, e l’italiano sembrò quasi ricambiare l’abbraccio seppur non ne avesse alcuna voglia.

///

Sta volta i suoi amici erano già li, seduti a un tavolo sotto un tendone che offriva specialità di birra e alcuni formaggi svizzeri.

“Quindi Gilbert sta portando Lovino?” Arthur domandò, dando un morso al pezzo di formaggio.

“Oui. Sono abbastanza sorpreso a dire il vero, ma sono sicuro che quei due hanno grande potenziale come amici”

“Non credo proprio, amigo. Sono troppo diversi”

“Mon cher, stai facendo il geloso? Pensa a non trascurare la bella donna che hai al tuo fianco” Francis sorrise ammiccando a Belle, che ridacchiò imbarazzata a causa del complimento, con la mano davanti alla bocca.

“Non sono geloso e non trascuro mi amor” posò un bacio sulla guancia di Belle non distogliendo lo sguardo da Francis, facendo sentire Belle in quel momento come il centro d’attenzione generale.

“Ew, basta voi due! Keep your bloody business at home!” Arthur fece una smorfia di disgusto, per poi incontrare lo sguardo di Francis intento a lanciargli occhiate amorose, per poi sentirsi salire dallo stomaco una forte sensazione di vomito.

“Siamo qui! Scusate se vi abbiamo fatto aspettare, ma gli italiani fanno ritardo!” Gilbert entrò, atteggiandosi da re della festa e tenendo saldamente il braccio di Lovino che sembrava stesse per eruttare come un vulcano. 

“Oh, va bene. Il tempo è passato così velocemente che non ci siamo accorti del vostro ritardo!” Francis Rise imbarazzato grattandosi la nuca, sapendo che in realtà loro erano arrivati esattamente 5 minuti prima dei due.

“Ora puoi fottutamente lasciarmi il braccio?” Lovino non aspettò una risposta, e mosse velocemente il braccio per poi fare il baciamano a Belle, che arrossì.

“Oh Lovino, mon ami! Attento, farai ingelosire Antonio!” Francis disse con fare provocatorio, guardando Antonio che nonostante sembrasse calmo e pacato, era sicuro nascondesse dentro di lui un grande senso di colpa.

“Non me ne frega un cazzo, Belle è una mia amica” tuonò l’italiano.

“Bene! Ora, alziamoci da questo posto noioso e andiamo da qualche altra parte più divertente” 

Il gruppo ascoltò Gilbert, e tutti si mossero all’unisono. Il gruppo faticava a rimanere compatto dato che il più delle volte Arthur e Francis si fermavano litigando come una coppia sposata da 10 anni, a causa delle frasi poco convenzionali e adatte al pubblico che Francis gli sussurrava all’orecchio. Il resto delle volte si fermavano perché Antonio incontrava qualche conoscente e si fermava a salutarlo.

“Ora è il mio turno di fermarmi! Vi raggiungiamo dopo!” Gilbert fece cenno agli altri, che in breve continuarono a camminare mentre lui e Lovino si fermarono di fronte all’ingresso del luna park.

“Ho un’idea! Se faccio cadere tutti i barattoli, vinco il tuo numero di telefono” l’albino afferrò la pistola giocattolo e si cimentò nel suo compito, senza nemmeno aspettare una risposta di Lovino.

“Tanto non ci riuscirai mai!”

E in effetti, non ci riuscì con sua grande delusione. Di solito ci riusciva sempre, ma sta volta aveva fallito miseramente come un perdente.

“Guarda come si fa, bastardo!” Lovino gli strappò la pistola dalle mani, premendo il grilletto e facendo segno e facendo cascare con un solo colpo tutti i barattoli al primo tentativo senza usare gli altri due tentativi. Poi, soffiò sulla (nome apertura pistola) come se fosse fumante.

“Come hai fatto? È perché voi italiani-“

“Se te ne vieni con una battuta sulla mafia, ti ficco questa pistola in bocca” posò il giocattolo, ritirando il premio. Scelse un pupazzetto piccolo e poco ingombrante perché non aveva intenzione di portare un orsetto di peluche enorme per tutta la serata.

Il peluche era bianco con gli occhi viola, e Lovino lo diede a Gilbert senza neanche guardarlo in faccia perché si sentiva un po’ imbarazzato nel farlo.

“È per me? Si, ti piaccio proprio”

“No bastardo, è solo che è brutto come te quindi penso possiate formare una coppia perfetta” spostò lentamente gli occhi nella direzione di Gilbert, e quando si imbattè nel suo sorriso stranamente gioioso e non finto o intento a flirtare, sentì il viso riscaldarsi lentamente.

Era bello. Il modo in cui la sua bocca si curvò in un sorriso felice e ricco di imperfezioni ma che in quel momento era perfetto, accese una piccola luce di gioia nel suo cuore, e lui non poté far altro che sorridere a bocca chiusa sorprendendo anche Gilbert, che portò a casa una piccola vittoria.

“Dammi il tuo numero”

“No, hai perso!”

“Uffa! Va bene, allora andiamo a mangiare!” 

Al cibo non si rifiuta, e Lovino difficilmente lo avrebbe fatto. E soprattutto, avrebbe mentito se avesse detto di non avere nemmeno un po’ di fame. 

Gilbert lo prese di nuovo per il braccio, portandolo a un piccolo fast food all’aperto, che serviva dei crauti cucinati al momento e dell’ottima birra tedesca.

“Bastardo, non mangio merda tedesca!” Lovino allontanò da lui il piatto di crauti e la birra, che però Gilbert gli avvicinò in un battibaleno. 

“Provali! Sono buoni!”

“Scordatelo”

Il tedesco fece spallucce, cominciando a mangiare dal piatto di Lovino. Dio, era proprio un ingordo.

“Chi ti ha autorizzato a mangiare dal mio piatto?” Gli urlò l’italiano.

“Hey, principessa! Hai detto che non lo volevi, quindi ora lo mangio io” fece una smorfia e rise in modo fastidioso, e Lovino poggiò la testa sul braccio con fare pensieroso.

Non stava andando poi così tanto male. Aveva a malapena visto Antonio in faccia e non lo aveva nemmeno salutato, quindi alla fine lui e Gilbert erano stati davvero soli. 

Guardò distrattamente Gilbert che mangiava e stappava la birra. Più lo guardava, più sperava non si ricordasse della sera precedente. Non voleva incappare in situazioni imbarazzanti o tanto meno dare spiegazioni e riguardanti la sua insolita gentilezza con un bastardo come lui.

“Hai già finito? È impossibile! Sei pure magro come un chiodo!” Sorpreso, Lovino afferrò il braccio di Gilbert tracciando il suo diametro unendo intorno ad esso il pollice e il dito medio. 

“C’è chi può e chi non può, e io posso”

“Ritieniti fortunato!”

“Oh, puoi scommetterci. Ora dammi i soldi, vado a pagare.”

“Che cazzo dici? Perché dovrei darti i soldi?”

“Beh, perché tu hai ordinato del cibo, no?”

“Stai scherzando? Te ne sei appropriato tu!”  Alle parole di Lovino, Gilbert abbassò lo sguardo guardando le due bottiglie di birra vuote così come i due piatti di cibo.

“Ohhhh, scuuusa. Hai ragione, mi sono distratto” Rise imbarazzato, grattandosi la nuca.

“Beh, è stata una bella serata...grazie suppongo” 

“Stai scherzando? Non è nemmeno finita, bellezza” Gilbert rispose prontamente, trascinando Lovino di fronte alle montagne russe del luna park.

“Sei fottutamente serio? Vomiterai qui sopra dopo tutto quello che hai mangiato!” L’albino ignorò l’avvertimento di Lovino, e si precipitò ad acquistare due biglietti per le giostra.

“Cosa ti fa pensare che io voglia salire?”

“Beh, non che tu abbia scelta” Gilbert scrollò le spalle in risposta.

i due presero posto sugli ultimi posti della giostra, dato che il tedesco continuava ad assillare Lovino dicendogli quanto i posti all’ultima fila fossero fantastici perché nessuno ti guardava e perché sentivi tutta l’adrenalina.

“Prinzessin, spero tu non abbia paura” scherzò Gilbert.

“Ovvio che non ho paura! E non chiamarmi così!” 

“Certo, certo”

A dire il vero, un po’ di paura ce l’aveva. Non era di certo la prima volta che si trovava in un luna park , ma era la prima volta che si trovava difronte a delle montagne russe così alte e spaventose.

La giostra partì. Il primo girò si rivelò tranquillo, ma arrivati al famoso punto più alto, Lovino si sentì soffocare.

Lentamente, il vagonetto saliva per poi fermarsi sulla punta per un minuto che sembrava non finire mai. Aveva leggermente paura e quindi cominciò a stringere forte le mani alla cintura. Aveva le dita viola, le nocche bianche e stava letteralmente sudando freddo.

Al contrario, Gilbert sembrava a suo agio e molto emozionato mentre chiamava a gran voce la discesa adrenalinica.

“Hey, devo dirti una cosa”

“Cosa bastardo?” Lovino disse in fretta, cercando di nascondere il tono spaventato nella sua voce. Pregava tutti i santi che non fosse una specie di momento romantico come quelli dei film americani.

“Ti ho sfilato il telefono dalla tasca e quindi adesso ho il tuo numero”

“TU HAI FATTO COSA?” 

Le parole che urlò si persero nel vento, mentre il vagonetto traballante scendeva con una velocità inaudita, mentre Lovino con le mani sudate stringeva ancora la cintura e spingeva le spalle contro al spalliera, in modo da evitare in tutti i modi di ribaltarsi.

Quando il vagone di fermò di scatto, Lovino scese dalla giostra con le gambe molli e la testa che gli girava, sostenuto da Gilbert che rideva in modo sguaiato.

“Menomale che non avevi paura, eh!”

“Stai zitto! Mi ha solo sorpreso il fatto che hai rubato il mio telefono senza che io me ne accorgessi!”

“Beh, non che ci sia voluto molto visto che eri congelato dalla paura”

“Stai zitto o ti stacco la testa, bastardo!”

“Francis, dannata rana francese, what the bloody hell are you looking at?” Francis e Arthur erano seduti a un tavolo situato molto vicino all’ingresso del parco. L’inglese era pronto a strattonarlo, quando notò che Francis stava guardando  un corto italiano e un tedesco snello che litigavano rumorosamente, si rilassò.

“Shh, Arthur. Sto guardando loro.” Indicò lentamente i due, senza distoglierne l’attenzione.

“E quindi? Stanno litigando, non vedo cosa ci sia di speciale” Arthur si alzò dal tavolo su cui era seduto, stiracchiando le braccia e poi mettendosi le mani in tasca.

“Come? Non lo vedi?”

“Di che dannato inferno parli? Cosa non vedo?”

“L’amour”.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


“È il fantastico GIlbert qui. Sì, essersi guadagnati con l’astuzia il tuo numero è ancora più soddisfacente”

Premette il tasto invio senza esitazione come era solito fare. Fissava lo schermo luminoso del piccolo cellulare che impugnava con entrambe le mani, in attesa di una risposta. Non gli passò minimamente per la mente di abbandonare il telefono in un punto come era solito fare, per poi rispondere quando ne aveva voglia o non rispondere affatto, ma rimase semplicemente ad aspettare fedelmente come un cane che aspetta il cibo dal padrone. Di solito era lui quello che si faceva aspettare, ma essere dall’altra parte era abbastanza divertente per lui.

“Bastardo, sono l’una di notte. Come cazzo ti viene in mente di scrivermi? Vai a dormire, o quelle brutte occhiaie che ti ritrovi rimarranno per sempre sulla tua ridicola faccia di cazzo”

Nonostante il tono poco gentile del messaggio ricevuto in risposta, il viso di GIlbert si illuminò più dello schermo del suo cellulare.

“Non riesco a dormire :( ho bevuto una tazza intera di caffè italiano, e ora il mio magnifico sonno sembra non voler arrivare” fu veloce a scrivere sulla tastiera.

“Sei veramente più stupido di quanto pensassi”

“Ma questo mi rende unico ai tuoi occhi, vero? ;D”

“Certo, in un’altra vita. E non la mia”

“Kesesese, so che morivi dalla voglia di ricevere un mio messaggio ;)”

“Ma che cazzo di risata è quella? E comunque no. Vado a dormire, addio”

“Aspetta! Pensavo mi saresti stato di compagnia sta notte D:”

“La tua povera mano destra ti terrà compagnia. Percepisco il suo dolore nel stare attaccata al corpo di uno come te. Addio ho detto”

Lovino abbassò la luminosità del cellulare e si rintanò sotto le coperte perfino con la testa, per evitare che la luce del telefono svegliasse suo fratello che dormiva al suo fianco. Non attese una risposta di Gilbert, ma spense immediatamente il cellulare per poi abbandonarlo sul comodino di legno con la gamba storta.

Diede un’occhiata alla finestra aperta, le cui tende bianche e sottili si muovevano guidate dal vento leggero ma fresco che si posava sulla pelle olivastra di Lovino, spettinando anche i suoi capelli sudati alle punte. Il viso pensieroso, le palpebre che sbattevano a ritmo sempre più lento.

Lovino aveva la testa sulla sua mano sul cuscino. Ripensò rapidamente alla serata, realizzando che si era davvero divertito e ciò gli aveva lasciato un’aura positiva a circondarlo. In particolare I sorrisi veri gli avevano riscaldato il cuore, e quel ragazzo non sembrava essere così male nonostante fosse abbastanza irritante nel 90% dei suoi atteggiamenti. A volte parlava come un narcisista e un so-tutto-io, ma a dire il vero aveva sentimenti contrastanti su di lui e uno strano desiderio di conoscerlo meglio. Chissà, in realtà era umano anche lui.

Gilbert Invece aspettava ancora una risposta al suo messaggio. In un momento, pensò addirittura di eliminarlo pensando di aver sbagliato qualcosa, e con un lieve sussulto al cuore si girò sul fianco destro cambiando posizione nel letto.

“Ehi fantastico, che ti prende? è solo un messaggio a un amico.” Disse a se stesso, pur continuando a tenere gli occhi fissi sul piccolo schermo che lo accecava. 

Si stese con il volto rivolto verso l’alto, cambiando posizione ancora una volta. Stringeva il telefono con la mano destra, lasciando libera l’altra mano sporca fin fuori dal letto. Ogni volta che il cellulare si illuminava a causa di una nuova notifica, sperava fosse lui e i suoi occhi si spalancavano ricchi di speranza. Ma puntualmente, era solo la notifica di qualche video su YouTube o la più temuta, quella che l’abbonamento su PornHub era scaduto.

Ma sapeva che in un modo o in un altro, avrebbe ricevuto la sua risposta.

///

“Oh, chi si rivede! Buongiorno Beilschmidt, alla buon ora. Cosa ti porta qui? Non è un po’ presto per la birra?” 

Gilbert fece ingresso nel locale, con un sorriso smagliante che si alternava a profondi sbadigli assonnati. Si avvicinò al bancone, posando una banconota da 5 euro e alcuni spiccioli.

“Buongiorno a te. Non devo bere, ma il fantastico uomo qui presente aveva dei soldi da restituirti.”

“Seriamente? Oh, in effetti mancano ancora un centinaio di euro però. Dove sono gli altri soldi?” Il barista scrutò la poca somma di denaro, spostando le monete con il dito in modo giocoso, avvicinandosi con uno sguardo piuttosto divertito. Anche se mancavano ancora tanti soldi per compensare tutti quelli che Gilbert doveva dargli ancora a causa di drink non pagati o pagati a metà, era comunque sorpreso dal fatto che avesse portato persino quella umile somma di denaro. 

“Ehi, Sadik! Non ho tutti quei soldi al momento, ho portato solo quello che dovevo ieri sera!” Gilbert lo fulminò con lo sguardo, ma si sentì leggermente umiliato quando vide che tutto ciò che il suo sguardo fece fu quello di provocare una risata chiassosa e calda all’altro uomo, che stava lacrimando dal ridere.

“Dai, non ridere! Ho altri soldi in realtà, ma devo ripagare alcuni danni al negozio del fioraio qui a fianco” disse contorcendo il labbro e indicando con il pollice alla sua sinistra, dove si trovava il negozio di Lovino.

“Oh, e quali danni? Anche psicologici suppongo” Sadik passò un panno all’interno di alcuni bicchieri per lucidarli, mentre si lasciava scappare una piccola risatina cristallina.

“Ehi!” Gli diede una pacca amichevole sulla spalla “anche, di regola. Pensavo fosse suo fratello e gli sono letteralmente saltato addosso. Che cosa poco fantastica! Oh, e poi ho maltrattato anche alcune sue rose, sempre se ricordo bene”

“Le rose di quel piccoletto sono abbastanza costose, ma sono le migliori della zona. Sono profumate al punto giusto, il colore rosso scintillante e la cura che ci mette nel rimuovere le spine e rendere perfetto lo stelo sono veramente stupefacenti e soddisfacenti. Mi chiedo quanto tempo ci impieghi” Sadik rispose e poi posò i bicchieri in fila in una composizione elegante per un bar che sembrava una topaia.

“Amico, sei serio? Non dirmi che sei andato mai da lui!”

“Naturalmente. Una volta condividevo la casa con uno studente greco, credo si chiamasse Herakles.” Si sforzò di ricordare, guardando verso l’alto e grattandosi il mento “Decisi di fargli un regalo al suo 18esimo compleanno. Cosa feci? Mi feci aiutare da Lovino e rendemmo le rose di un odore piuttosto sgradevole. Cercammo di far apparire alcune rose da buttare abbastanza nuove, ma spruzzammo una fragranza di uovo marcio e altra roba di cui non ricordo. È stato geniale!”

“Oh, questo è il Sadik che conosco! Non quello che mi caccia dai locali! Com’è andata a finire? Non me lo avevi mai raccontato questo fatto” Gilbert domandò leggermente stupito, per poi accomodarsi sullo sgabello traballante di fronte al bancone, poggiando i gomiti su di esso. Era davvero interessato alla storia, ed era curioso su come l’italiano avesse reagito.

“Sai che la notte devo apparire diversante per fronteggiare la folla e farmi rispettare, e sopratutto perché il capo è sempre in giro. Comunque, il ragazzo appariva sempre come uno zombie e sembrava perennemente addormentato. Quell’odorino sembrava averlo svegliato però! Alla fine si gettò in bagno vomitando e cambiò casa ospitante, ma sono dei ricordi che conservo con amore nel mio cuore” ridacchiò, facendo finta di asciugarsi una presunta lacrima.

“E Lovino ti ha seriamente lasciato usare le sue rose per questo scherzo? Cioè è sicuramente fantastico, ma non ti ha tipo dato la caccia per tutto il quartiere per aver sprecato i suoi prodotti?” GIlbert davvero non riusciva a spiegarselo. Era veramente interessato, ma più che nella storia di Sadik era interessato su come avesse convinto Lovino a fare qualcosa del genere. Era sicuro che se li avesse fatto lui, probabilmente l’italiano lo avrebbe privato dei suoi cinque metri.

“Come mai tutte queste domande, Beilschmidt? Comunque, credo mi disse che erano rose che un certo ragazzo spagnolo gli aveva regalato e a lui facevano schifo. Certo che però ci vuole davvero una spiccata intelligenza nel regalare dei fiori a un fioraio! si lamentava per tutta la preparazione dello scherzo ricordandomi di quanto fosse stupido e indecente, ma credo che alla fin fine anche lui si sia divertito nel prepararlo” Sadik sorrise alla memoria del piacevole ricordo, per poi allontanare il suo sguardo da GIlbert e rivolgerlo a un cliente appena entrato nel locale, salutando con un cenno.

Gilbert era divertito, ed emise un piccolo sbuffo felice mentre pensava alla scena. Non di Sadik che reggeva i capelli al greco che vomitava, ma di Lovino che lo aiutava con passione ma apparentemente riluttanza a realizzare quello scherzo infernale e stupido, ma abbastanza divertente. Rise ancora, per poi alzarsi e mettere al posto la sedia.

“Già via, giovanotto? Se vai dal nostro piccolo fioraio, salutamelo! A volte dovrei tornare a trovarlo, mi piace chiacchierarci”

“Sì, vado dal fantastico fioraio italiano! Devo proprio pagargli quella rosa”

“Come mai oggi tutto in vena di pagamenti? Io penso ci sia un secondo fine...” il ragazzo turco gli rivolse un mezzo sorriso e chiuse leggermente gli occhi, alzando e abbassando le sopracciglia a ritmo. Oh, quello sguardo! Erano anni che GIlbert non lo vedeva.

“Sì beh, voglio fare amicizia con lui! Sembrerà strano, ma credo di aver bisogno davvero di qualcuno come lui adesso e voglio conoscerlo meglio” GIlbert confessò, grattandosi la nuca. 

“Beh, vai allora! Buona fortuna, è davvero un bravo ragazzo anche se un po’ scontroso e brontolone”

“Non credo continuerà a comportarsi male sotto la mia presenza fantastica! Non resisterà e cederà sicuramente. Vediamo se riesco a fare una bella chiacchierata con la principessa” GIlbert si fregò le mani, in segno di determinazione, attestando quanto fosse pronto a quella sfida che nel profondo della sua anima sapeva fosse certamente quasi impossibile, ma non si dava per vinto.
Era sicuro che d’ora in poi, sarebbe stato lui quello a cui veniva chiesto di uscire o parlare e non viceversa. Era il momento di tornare alle vecchie abitudini! Era il tempo di giocare ancora, e questa volta avrebbe vinto sicuramente l’amicizia di Lovino.

Lasciò il bar, e gettò uno sguardo al negozio dell’italiano. Sorrise a bocca chiusa quando vide che il ragazzo era seduto sugli scalini del locale impegnato in qualche curiosa attività che fece storcere il naso a GIlbert, dato che non riusciva a veder bene in cosa si stava cimentando Lovino in modo così concentrato.

Si avvicinò lentamente, cercando di non farsi notare; più si avvicinava, più la sua vista metteva a fuoco il suo soggetto. Aveva un bizzarro giornale posato sulle ginocchia e stringeva una penna fra le mani, accompagnato da un’espressione concentrata, labbra corrugate e sopracciglia vicine. 

Gilbert sbuffò rassegnato ma divertito realizzando che nemmeno la concentrazione aveva potuto cancellare totalmente il cipiglio dalla sua faccia, ma ciò lo incuriosiva a conoscerlo meglio e lo rendeva speciale.

“Boo! Principessa, che stai facendo? Cosa scarabocchi, fumetti erotici?” 

Gilbert spuntò alle spalle di Lovino, scuotendolo in modo non violento ma facendolo sussultare dalla paura. Cavolo! Poteva sentire il suo cuore battere all’impazzata, eppure non lo aveva nemmeno spaventato così tanto.
Gli strappò dalle mani il giornale, eccitato nel pensare che avrebbe scoperto un suo oscuro segreto. Chissà, forse anche lui era un’appassionato di fumetti o libri erotici! Solo che gli sembrava un po’ strano gli piacesse scarabocchiarli, GIlbert li teneva come se fossero oro preziosissimo.

“Fumetti erotici un corno! È un fottuto cruciverba che stavo cercando di risolvere da giorni!” Lovino si riprese il giornale, strappandolo a sua volta dalle mani del tedesco che sembrava quasi scioccato.

“Quindi niente fumetti porno? Un cruciverba? Non è fantastico!” Incrociò le braccia, sbuffando deluso.

“Ma chi leggerebbe quella roba sul posto di lavoro? Sì, un cruciverba. Che c’è, non sai cos’è?” Lovino ruggì, dilatando le narici e cercando di mantenere la calma. Era contento però di vedere GIlbert: lo avrebbe fatto innervosire, però almeno avrebbe risollevato una noiosa giornata lavorativa.

“Certo che so cos’è un cruciverba, ma non ne ho mai fatto uno. E i fumetti porno sono fantastici! Ne hai tanti? Dove li leggi? Dai, prestamene qualcuno!” Cominciò a scuotere Lovino delicatamente, mentre rideva ad occhi chiusi perché i raggi del sole lo colpivano proprio in faccia.

“Non ne ho, e non li leggo!”

“Ti ripeto che sono fantastici, piccoletto”

“Sì, per i segaioli come te. Ora lasciami risolvere L’enigma in pace”

“Il fantastico ti aiuterà! Sono estremamente intelligente e capisco che per chi non parla tedesco deve essere difficile completare questo tipo di giochi” Gilbert sfoderò un paio di occhiali rettangolari rosso brillante dalla sua tasca, che avevano lenti arancioni. Gli indossò, ma  dovette aggiustarli parecchie volte prima di trovare la posizione esatta perché una stecca era leggermente storta.

“Ma io parlo tedesco, coglione! In che lingua stiamo comunicando adesso, in quella dei marziani?”

“Beh, ma il tuo accento è poco fantastico” Gilbert si stiracchiò, sbadigliando “Bene! Allora dimmi cosa ti serve, principessa” gli fece un occhiolino e un sorriso.

“Mi serve che tu te ne vada” rispose frettolosamente Lovino, ruggendo, alzando fiero il suo bel dito medio.

“Non fare il difficile, su! Allora, vediamo la prima domanda...” si sedette accanto a Lovino sugli scalini avvicinandosi sempre di più per leggere. afferrò il cruciverba con le mani, avvicinandolo frettolosamente al suo volto, per poi abbassare leggermente le palpebre cominciando a studiare l’enigma e a rileggersi in mente la domanda per cercare di macchinare la risposta corretta.

“Dunque dunque... -il confine naturale fra Francia e Germania- mmh...oh, è semplice, si tratta del fiume reno!” Afferrò la penna dalla mano di Lovino la cui presa si era leggermente allentata, e scrisse in modo abbastanza disordinato e traballante la parola mancante.

“Oh, allora non sei così stupido” Lovino si riprese il giornale, confrontando la risposta con la soluzione notando che coincideva perfettamente. “Anche se la tua scrittura lascia pensare che ti abbiano messo sulla sedia elettrica” 

alzò un sopracciglio e guardò Gilbert attraverso le ciglia, notando come giocava con i suoi capelli scompigliandoli furiosamente. 

“Da quanto sono secchi quei peli di gatto che ti ritrovi in testa, sono sicuro che ti cadranno uno ad uno. Dovresti smetterla con le decolorazioni” disse Lovino, distogliendo l’attenzione dall’albino e riportandola sul cruciverba. Prese indietro la sua penna, e con un bianchetto che teneva nell’altra mano, cancellò accuratamente la risposta scritta con la calligrafia confusa e storta del tedesco per poi riscrivere la parola con la sua scrittura più ordinata e meno spigolosa.

“Non faccio decolorazioni! Questo che i tuoi bei occhi vedono, è il mio fantastico e naturale colore di capelli! Puro e bianco come la mia anima” Gilbert si portò i capelli indietro, cercando di aggiustare l’aggiustabile. Lovino ignorò il complimento che gli fu rivolto, ma rimase sorpreso nello scoprire che quello era il suo colore naturale. 

Si avvicinò alla sua capigliatura, cominciando ad esplorare le radici con le punte delle sue dita abbronzate, cercando però di non irritare la cute delicata dell’altro uomo. In effetti, era vero: non c’era la minima traccia di ricrescita, e il colore dei suoi capelli sembrava quasi per certo dato dall’assenza di alcun pigmento. Sapeva che i tedeschi, o i nordici più precisamente, avevano a volte capelli molto chiari, ma non aveva mai visto nessuno con una quasi certa assenza totale di melanina.
Al tatto i suoi capelli risultavano secchi, ma era una secchezza data dall’eccesso di gelatina per capelli e non una secchezza propria e naturale del capello.

Rimosse la mani dal capo di Gilbert, e si imbatté nella sua faccia su cui era stampata un’espressione dal fare seducente. 

Gilbert Abbassò gli occhiali, facendo in modo che i suoi occhi cremisi e dal taglio a mandorla caratterizzati da ciglia corte e bianche ma folte, incrociassero quelli verdi, sensuali ed espressivi di Lovino.

“Che cavolo mi guardi così?”

“Io? Oh, sembra che io abbia già fatto colpo. E pensare che volevo solo essere tuo amico, ma se vuoi invece-“

“Ma cosa cazzo stai dicendo, ritardato?” Lovino spiaccicò la mano destra sul volto di Gilbert che si era sostanzialmente avvicinato al suo, allontanandolo.  

“Ehi, basta farne un dramma! Esageri così tanto perché fai questi giochi da vecchi! Divertiamoci un po’!” Il tedesco si alzò di scatto, sbadigliando ancora.

“La finirai di sbadigliare, per l’amore del cristo redentore? E divertirci cosa, sto lavorando!” Anche Lovino si alzò, e con delle leggere pacche sul sedere si scostò di dosso quel poco sporco che si era accumulato sui suoi pantaloni marroni.

“A me non sembra tu stia lavorando, e poi è una così fantastica giornata! Mostrami il tuo negozio, dato che Sadik mi ha detto che sei il re delle rose!” Gilbert non attese una risposta, ma si gettò a capofitto nel locale guardando attentamente prima a destra e poi a sinistra, alla ricerca di qualche attività interessante da svolgere.
Con la mano che grattava il suo mento, la sua attenzione venne attirata da una piccola cassa di fiori che sembravano appena arrivati. Gilbert potè sentire Il loro odore inebriante bene dirgli le narici e avvolgerlo in un abbraccio profumato.

“Io non ti ho dato il permesso di entrare!” Lovino lo seguì sbattendo passi pesanti sul pavimento di legno, per poi bloccarsi vedendo il tedesco studiare ad uno ad uno i fiori.

“Hey, lasciali stare!” Gli spostò la mano, afferrando il fiore dalla stretta presa di Gilbert “non rovinare altri fiori! Fra te e mio fratello non so chi sia peggio” emise un sospiro pensieroso, incrociando le braccia e guardando al cielo.

“A dire il vero, sono un esperto del giardinaggio! E chissà, sarò quasi sicuramente migliore di te nel prendermi cura di questi fantastici fiori colorati” disse, lanciando a Lovino uno sguardo di sfida. I suoi occhi taglienti incrociarono quelli di Lovino che sembravano non voler dargli pietà.

“Si come no, e io sono una principessa! Ora sposta il tuo brutto culo dalla mia sedia e lasciami lavorare in pace, puoi solo guardare ma sarebbe meglio te ne andassi!” Prese Gilbert per le spalle, quasi accartocciando con le mani la sua maglietta nera, cercando di spostarlo dalla sedia; ma l’uomo oltre a essere più alto di lui era anche più pesante, e ciò rendeva impossibile per Lovino riuscire a spostarlo da quel posto.

“Ti stai dicendo da solo che sei una principessa senza che te lo dica io? Woah, grazie tesorino! Mi risparmi il fiato. Ora chiudi gli occhi e lasciami fare!” 

“No, scordatelo!” Lovino si sporse in avanti, regalando a Gilbert uno sguardo minaccioso ma che lo fece solo ridere.

“Non sai fare facce minacciose, sei troppo carino. Ora chiudi i tuoi bei occhi e preparati a quando gli riaprirai, perché vedrai il fiore più bello della tua vita”

“Ti ho già detto che non chiuderò i miei occhi!”

“Vuoi che lo faccia io, posando la mia bella mano tedesca sul tuo dolce viso?” 

“E va bene, ma fai in fretta! Non sopporto il buio” dopo aver pronunciato tali parole, piazzò le sue mani su entrambi gli occhi, dolcemente e facendo in modo che la sua vista non fosse completamente penalizzata. Voleva ovviamente vedere cosa stava facendo quel buono a nulla, ma sapeva che avrebbe dovuto fingere di vedere le tenebre per evitare di scoppiare a ridere ‘senza un apparente motivo’. Magari quel bastardo presuntuoso si sarebbe persino tagliato un dito ma avrebbe detto con fermezza di star bene pur di mantenere saldo il suo orgoglio.

Un ampio sorriso comparve sul volto di Gilbert, che guardò il grande tavolo allungando il braccio sulla parte più lontana per riuscire a prendere un paio di pinze verdi.
Toccò con delicatezza lo stelo, prendendolo fra le mani e tagliando con un colpo netto e deciso alcune foglie di troppo e accorciando lo stelo del fiore, rendendolo leggermente appuntito alla fine per un semplice fattore estetico.

Lovino, con le dita leggermente aperte, vide che evidentemente il ragazzo doveva avere già esperienza con i fiori. I suoi movimenti erano precisi, degni di qualcuno che sapeva assolutamente cosa stava facendo e non era sicuramente alle prime armi. Questa volta stava semplicemente dimostrando a Lovino che era bravo in fare qualcosa di diverso dal farlo impazzire o innervosire.

“Principessa, avevo detto che avresti dovuto tenere gli occhi chiusi e non sbirciare attraverso gli spazi delle dita” Lovino sussultò sentendosi beccato in pieno da Gilbert, che alzò lo sguardo lentamente guardando l’italiano negli occhi, che in breve si coprì con entrambe le mani.

“Era ovvio guardassi, bastardo! E se ti fossi tagliato?” 

“Oh, sei preoccupato per me? Adorabile!” Gli diede un leggero pizzicotto alla guancia, tirandogliela.

“Non mi toccare con quelle mani sporche di terra! E no, non sono preoccupato! Ma se tu avessi rischiato ancora una volta di morire sul mio posto di lavoro, sarei stato io a subirne le conseguenze!” Lovino spostò ancora una volta la mano di Gilbert dalla sua guancia, per poi sporgersi in avanti e picchiettare insistentemente sul petto del ragazzo, che rideva divertito.

“Cosa diavolo hai da ridere, stupido! Quel brutto livido che hai ancora sulla tua faccia di cazzo non ti basta a capire?” indicò il livido, e Gilbert storse il naso toccandosi il punto indicato.

“Intendi questo magnifico livido? Oh! Me lo sono fatto per salvarti, principessa. E così che mi ringrazi?” fece finta di piagnucolare, Incrociando le braccia e girandosi dal lato opposto con un passo deciso, fingendo di essere offeso.

“Non chiamarmi così! E poi, quel livido te lo sei fatto perché ti sei fatto tirare quattro cazzotti nel bar di Sadik! Non hai salvato nessuno, idiota” Lovino passò dall’essere arrabbiato all’essere rassegnato, trasformando il suo ringhio rabbioso in un’espressione apparentemente docile e frustrata.

“Oh, capisco...” un’ombra di delusione prese possesso del viso del tedesco “ma ora che ne dici di continuare ad aggiustare le rose? Possiamo divertirci!” Il suo sorriso ebete tornò più forte che mai quando porse a Lovino la rosa bianca a cui aveva appena tagliato lo stelo.

Il colore candido dei petali morbidi del fiore, formava un contrasto bellissimo con il volto di Lovino abbronzato e arrossato per un motivo non preciso, caratterizzato da piccole gocce di sudore che scivolavano elegantemente dalla sua fronte. Se solo anche il cipiglio fosse stato cancellato via dal sudore!
Lovino non rispose, ma prese gli occhiali che aveva sul tavolo per poi indossarli e accomodarsi vicino a Gilbert, concentrando tutta la sua forza e la sua attenzione nel lavorare.

Gilbert notava che Lovino, a differenza sua, non prendeva il tutto come una sfida. Stava semplicemente svolgendo il suo lavoro senza preoccuparsi di lui o di cosa avrebbe detto: era semplicemente lì, con la testa chinata sui suoi fiori e gli occhiali leggermente abbassati e le sopracciglia corrugate e le labbra increspate, mentre con destrezza donava ai fiori un’aspetto più fine.

Il silenzio riempiva la stanza. Gilbert continuava il suo lavoro con cura, ogni tanto veniva distratto da quanto lo circondava. Il locale non era molto grande, ma molto accogliente e luminoso, caratterizzato da pareti chiare e un bizzarro orologio ingiallito che glorioso giaceva su di esse, e che inoltre catturò la completa attenzione del tedesco.

“Cosa diavolo stai guardando così attentamente?” Lovino guardò Gilbert attraverso gli occhiali, incrociando il suo sguardo imbambolato con la bocca semi-aperta.

“Oh? Nulla! Stavo guardando quell’orologio li. Mi sembra di averlo già visto da qualche parte” il ragazzo indicò l’orologio, e la testa di Lovino si mosse nella direzione indicata. Poi, tornò a guardare Gilbert e alzò un sopracciglio con fare perplesso.

“È impossibile. Lo comprò anni fa mio nonno quando era ancora vivo. È un pezzo di antiquariato piuttosto vecchio” la voce di Lovino si era addolcita, ma in poco tempo tornò alla sua mansione.

“Oh, mi dispiace”

“Va bene. Il vecchio è morto quasi due anni fa”

“Sai, anche io padre è morto. Forse però, un po’ prima di tuo nonno” un sorriso triste e nostalgico apparse sul suo viso, catturando l’attenzione di Lovino, che vide gli occhi del ragazzo diventare lucidi.

“Non parlare di questo tipo di merda se ti rende triste, hai gli occhi che sembrano pronti ad esplodere” 

“Oh? No, non sto per piangere! Noi albini abbiamo la vista molto sensibile, e la luce del sole ci penalizza. Per questo indosso questi magnifici occhiali che hanno lenti speciali!” Forzò un sorriso, indicando con il pollice gli occhiali da vista.

“Certo, come no.”

“Possiamo cambiare argomento? Questo mi fa sentire così poco fantastico.” 

“Va bene, anche se sei stato tu a tirar fuori il discorso” Lovino scrollò le spalle, rispettando la decisione di Gilbert.

“Cavolo, il tempo è volato! Devo andare, principessa!” Sorrise scompigliando i capelli a Lovino, luminosi e mossi, che apparivano morbidi al tatto.

“Cosa c’è, hai appena potuto constatare quanto facciano schifo i tuoi capelli al mio confronto?” 

“Ehi! Mi offendi così, sai!”

“È proprio la mia intenzione, sai com’è”

“Comunque, che ne dici dei fiori?” Gilbert gli indicò. Erano posati sul tavolo in fila, e gli aveva ordinati in base al colore, i più chiari cominciavano a sinistra e man mano che si andava verso destra si potavano trovare colori più scuri e vivaci.

“Questo è buono. Penso mi pagheranno bene per questi” Lovino gettò un’occhiata generale ai fiori, che erano stati tagliati tutti in modo perfetto. “Non fai così schifo, bastardo”

“Aw, principessa! Mi imbarazzi così!” Rispose l’altro, posando indice e medio sulle labbra e lanciando un bacio volante a Lovino, accompagnandolo ad un occhiolino affrettato. L’italiano rispose con l’ennesimo dito medio, che fece ridere ancora una volta il tedesco.

“Oh, parlando di pagare! Devo pagarti quella rosa che ti ho fatto buttare...eheh, che gesto poco fantastico” avvicinò alcune monete davanti al viso stupito di Lovino, che mutò gradualmente in un’ espressione incazzata.

“Hey! Cosa fai quella faccia?”

“Pensi che abbia bisogno dei tuoi fottuti soldi per una fottuta rosa? Vai via prima che ti sgozzi!” Disse, indicando la porta del locale.

“Vacci piano! Cosa è successo al Lovino tranquillo di prima?”

“L’ho mandato a fanculo”

“Oh, mi spiace per lui. Allora dammi quella rosa bianca, quella lì. Tieni i soldi” 

Lovino confuso diede quanto richiesto, e titubante prese la somma di denaro che gli era stata ceduta: Il viso di Gilbert si illuminò e lui sorrise sornione.

“Tieni, è per te. Visto che non va lui denaro, ti regalo un fiore. Quello che ho aggiustato io con il mio tocco fantastico come il petalo di questa rosa” emise uno sbuffo allegro, passando il dito indice su tutta la corolla del fiore. Il profumo di quel fiore era sensazionale e delicato, come l’abbraccio di un bambino.

Gilbert poggiò la mano stretta in un pugno sul suo petto, abbassando leggermente il busto e avvicinando il braccio con la rosa a Lovino, porgendogliela.

“Accetterai questo dono, se te lo porgo così?” Gilbert sorrise quasi dolcemente, e il viso di lovino si coprì di chiazze rosate. Tuttavia, poteva sentire che l’albino stava tramando qualcosa.

“Oh, Gilbert...ti ringrazio. Sei dolcissimo.” Gli occhi di Lovino scintillarono, e corse dietro il tavolo frugando dentro un cassetto.

Gilbert alzò la testa e lo sguardo, mettendosi in punta di piedi cercando di guardare dietro il tavolo per capire cosa stava succedendo li dietro.

“Eccomi, Gilbert...sai, sei un ragazzo così dolce...credo proprio di essermi innamorato di te” Lovino si avvicinò considerevolmente al ragazzo, che sussultò sorpreso. Era proprio il suo giorno fortunato! Si sarebbe divertito, e pensare che voleva solo un’amico! 

Lovino si mosse ancora con fare seducente, incantando Gilbert con la sua camminata femminile. Posava in modo aggraziato un piede davanti all’altro, muovendo il bacino dolcemente e passandosi una mano fra i capelli per poi emettere una piccola risatina imbarazzata, posando un indice sulle labbra per nasconderla.

“Oh Lovi, beh non immaginavo di piacerti...in quel senso...” Gilbert si grattò la nuca e arricciò il naso.

“Beh, vieni, voglio dirti un segreto...” Lovino mosse l’indice, indicando a Gilbert di avvicinarsi. Lui annuì anche se un po’ titubante, cercando di dare aria al suo viso candido ora rosso fiammante, allargandosi continuamente il colletto della maglia e schiarendosi la voce.
Lovino posò una mano sulla clavicola del ragazzo, avvicinandosi al suo orecchio che sfiorò con le labbra soffici e delicate, che fecero per un’attimo al ragazzo che si trattasse di un fiore.

Si faceva sempre più vicino, e alcune parole vennero sussurrate al suo interno.

“FUORI DAL MIO FOTTUTO LOCALE, ADESSO! TI HO DETTO CHE NON VOGLIO I TUOI CAZZO DI SOLDI!” Gilbert si sentì stordito, il suo orecchio fischiava e per un momento temeva sarebbe morto di infarto. Le parole dolci che si immaginava, vennero sostituite da un urlo barbarico colmo di rabbia che mandò alcune gocce di saliva sul suo orecchio. 

“Ehi, ho capito!” Istintivamente, si coprì l’orecchio con entrambe le mani, allontanandosi da Lovino e temendo di diventare sordo. 

“E che razza di idiota poi regala un fottuto fiore a un fottuto fioraio?” Lovino disse, sentendo una forte sensazione di deja-vu.

“Perché questa frase mi risulta familiare?”

“Perché scommetto che da quanto sei rincoglionito, lo avrai fatto anche altre volte!” L’italiano tuonò, dando un potente schiaffo alla chiappa sinistra del tedesco, spingendolo e facendolo balzare fuori dal locale.

“Ahia! Dai, mi hai fregato...però principessa, sei furbo” ridacchiò scuotendo il capo, girandosi per notare la porta chiusa. “Che strano, questa volta non l’ha sbattuta...” pensò. Forse lo aveva irritato meno del solito?

Rimase qualche minuto a fissare il locale, notando Lovino che lo guardava minaccioso attraverso la porta di vetro. Occhi che sembravano iniettati di sangue, e il suo cipiglio aveva un tocco più incazzato del solito. Oh, quello era il re dei cipigli.
Fece segno a Lovino di chiamarlo, ma rimase abbastanza deluso e si sentì sconfitto quando l’altro non si limitò nemmeno rispondergli ma semplicemente ad abbassare la saracinesca a metà.

Con le mani in tasca, Gilbert cambiò rotta prendendo la via per tornare a casa. Era un po’ faticoso camminare, il sedere sembrava gli andasse a fuoco.
Guardava a terra, preoccupandosi di calciare ogni sasso che incontrava nella sua strada. Era stata una mattinata abbastanza piacevole, e con Lovino le ore sembravano volare. Gli sembrava di non poter far a meno di lui.
Mentre camminava a passo svelto, si accorse di sentire un rumore strano proveniente dalle sua tasche.

“Da quando faccio così tanto rumore quando cammino?” Aveva un viso perplesso, cominciando a grattarsi il mento per poi frugare nelle tasche con l’altra mano. Si ritrovò con le stesse monete che aveva dato a Lovino, accompagnate da un biglietto curioso:

“Non pensare di essere l’unico che usa la seduzione come arma o che è in grado di sfilare le cose dalle tasche degli altri, bastardo” 
Oh, sì. Quel piccoletto ci sapeva davvero fare, e ciò dichiarava ufficialmente aperte le danze. Questa volta ci sarebbe riuscito ad uscire con lui. Prese il telefono per scrivere un messaggio:

“Lovi, non crederai a osa ho scoperto! 0-0 Ludwig e Feliciano hanno organizzato un appuntamento in un posto molto particolare, e in camera di Ludwig ho trovato dei giochi molto strani. Dobbiamo scoprire di cosa si tratta!”  

Premette invio, e la risposta non attese ad arrivare. Cavolo, tirare in ballo suo fratello e Feliciano aveva funzionato!

“Bastardo, sei serio?! Quel coglione non toccherà mio fratello con i suoi aggeggi da pervertito, se sai altri dettagli fammelo sapere e correrò a spaccargli il culo”

Oh. Lovino ci aveva creduto. Gilbert era sbigottito, ma un sorriso di sfida si levò sul suo volto. C’è l’aveva fatta! Aveva la scusa perfetta per organizzare un’altra uscita.

“Ok, fantastico Gilbert...ora devi solo fare una cosa: rendere l’incontro fra Ludwig e Feliciano reale”.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Autore: beh, per la prima volta ho qualcosa da dire. Innanzitutto, mi scuso enormemente per il mio imperdonabile ritardo,ma ero letteralmente immersa nello studio e ho tenuto questo capitolo abbandonato per settimane (seppur fosse completo, non avevo tempo di ricontrollarlo)
Quindi, è possibile ci siano errori grammaticali. Nel caso ne trovaste qualcuno, mi farebbe piacere me lo facciate notare! :) 
in questo capitolo (e in generale per tutta la storia) Sadik avrà un ruolo importante. Penso sia un personaggio estremamente sottovalutato ed è uno dei miei preferiti, perciò volevo renderlo partecipe. Oh, si farà utilizzo di alcune parole turche, ecco la traduzione:
Mükemmel​: perfetto
Alman: tedesco

buona lettura!


Era una notte tranquilla, stranamente fresca e silenziosa. Ciò era abbastanza raro, considerando la zona trafficata e chiassosa in cui GIlbert viveva, dove la maggior parte della giornata tutto ciò che quella vista regalava era solo il nauseante odore del disinfettante che veniva spruzzato regolarmente per pulire le strade.
Lui era steso sul suo letto con le mani dietro alla testa, mentre il suo sguardo era rivolto verso l’alto, guardando il soffitto bianco.
La finestra era chiusa, ma i cardini cominciarono leggermente a stridulare e la maniglia a battere continuamente sul legno che contornava il sottile vetro, e ciò innervosì GIlbert, pronto a godersi quella bizzarra e insolita calma.

Il ragazzo alzò lo sguardo con fare interrogativo e con pigrizia si trascinò difronte alla finestra bianca, scompigliandosi i capelli.
Con un movimento secco e veloce aprì la finestra, e le ante sbatterono sul muro facendole rimbalzare, tutto a causa di un enorme folata di vento.

GIlbert rimbalzò all’indietro per evitare di beccarsi il vetro in faccia “Ehi, fai silenzio! È tardi!” Disse come se stesse parlando con qualcuno, serrando le labbra e aggrottando la fronte, perfino piazzando l’indice sulla bocca mentre dava ordini alla finestra.
Mosse dei passi lenti e pesanti quasi inciampando nei pantaloni del pigiama perché troppo lunghi andavano a finire sotto i talloni, per poi buttare a peso morto il busto sul davanzale, quasi sdraiandosi su di esso.
Il freddo marmo andava a contatto con il suo petto nudo, contrastando il calore del suo corpo creando un punto freddo fra la zona dei pettorali.

La luce della luna, non coperta da alcuna nuvola, illuminava la stanza.

Gilbert si sentiva stranamente rilassato, e una melodia allegra risuonava nella sua testa. Allungò il braccio per afferrare un a sigaretta, pur non distogliendo lo sguardo da quanto vi era fuori alla finestra.

Posò la sigaretta fra le sottili labbra, tenendola fra le due dita e succhiando il fumo per poi rigettarlo in aria.

Voleva gettarsi sul letto e scrivere un messaggio a Lovino, ma una forza maggiore gli diceva di non farlo. Non sapeva bene perché: a volte temeva di infastidirlo troppo. Quel ragazzo era diverso da chiunque avesse precedentemente incontrato, aveva la sensazione che con lui non si sarebbe mai annoiato.
Si sentiva bene. Si sentiva preso in considerazione, aveva un forte spirito di iniziativa e soprattutto non ricordava di essersi mai sentito così fantastico come adesso.

Fece un mezzo sorriso, tenendo ben stretta la sigaretta fra le dita evitando che il vento la strappasse via dalla leggera presa. Si sedette sulla parte interna del davanzale, poggiando la spalla sul muro su cui era stata costruita la finestra per poi avvicinare a se il suo diario, prendendo la penna e picchiettandola sul mento pensando a come potesse scrivere in poche parole, come si sentiva.

I piedi stavano diventando sempre più freddi e Gilbert il suo corpo aveva cominciato a raffreddarsi, anche se in qualche modo non si sarebbe voluto liberare della vista pulita della città; avrebbe voluto continuare a sentire il fruscio del vento che muoveva le foglie, voleva sentire puntata su se stesso la luce forte e calda del lampione grigio.

Saltò via dal davanzale a piedi uniti poggiando la mano alla sua destra, per poi tuffarsi di pancia sul letto ancora stringendo saldamente il diario.

Il suo telefono si illuminò poco dopo, probabilmente aveva ricevuto un messaggio, ma Gilbert ormai era quasi addormentato e le palpebre avevano cominciato a cedere, rendendo il ragazzo troppo stanco per rialzarsi. Alzò leggermente il capo attirato dalla luce, ma lo riabbassò subito dopo affondandolo nel cuscino, sperando si trattasse di Lovino.

“Caro fantastico diario, sono più felice.”

///

“Sei serio? Che situazione, quel ragazzo davvero non si smentisce mai” Sadik rotolò gli occhi e scosse il capo ridendo, per poi porgere a Lovino un bicchiere di vetro riempito di acqua gassata.

“Devi avere davvero due palle d’acciaio per aver sopportato quel bastardo per anni” sibilò Lovino, portando il bicchiere alle labbra per poi chinare la testa all’indietro e berlo tutto d’un sorso, asciugandosi le labbra umide con un tovagliolo di carta.

“Ma no dai! Non è così male”

“Non capisco cosa sia venuto a fare, da quanto mi dici era venuto per portarmi i tuoi saluti ma si è pure dimenticato!”

“Ho sempre ragione. È incredibile!” Sadik annuì a se stesso, fiero, e il tono disperato di Lovino lo divertì. Gilbert non era molto difficile da capire, secondo lui. 

Bastava prestare minuziosa attenzione ai piccoli atteggiamenti del ragazzo per capire le sue intenzioni. Gli aveva parlato di quanto si fosse divertito con Lovino durante l’Oktoberfest, aveva cambiato i suoi ritmi e visitava il locale di notte sempre più raramente. Gilbert gli aveva confidato che a volte non sapeva come fare per spingere Lovino a stare con lui senza che lo forzasse, in maniera naturale.
Lui gli aveva suggerito di ubriacarsi leggermente per usare l’alcol come scusa per avvicinarsi al ragazzo, ma non così tanto da perdere il controllo. Beh, l’albino aveva esagerato, e ora il turco custodiva fiero un bel filmato registrato con il cellulare, di due ragazzi vicini seduti sugli scalini illuminati dalla luce del lampione. Ovviamente, non ne avrebbe fatto parola con nessuno. 

Solo Dio sa cosa potrebbe succedere se quel filmato fosse finito tra le mani di qualcuno come Francis.

“Ma di che diavolo parli?” Lovino arricciò il labbro e unì le sopracciglia in un cipiglio, dando a Sadik uno dei suoi migliori sguardi confusi. 

Quell’uomo era davvero incredibile, e Lovino si fidava ciecamente di lui, era un ottimo confidente. Non sapeva bene perché, ma aveva la sensazione che in alcuni atteggiamenti il turco gli ricordasse suo nonno. Lo aveva conosciuto alcuni mesi dopo la morte dell’anziano, e per lui è stato come se non fosse mai andato via.

“Nulla, nulla! Bocca cucita” il turco rispose precipitosamente, unendo pollice e indice per poi passarseli sulle labbra serrate. Ridacchiò, con ancora le labbra chiuse strofinando distrattamente le mani sul grembiule.

“Vabbè, lasciamo stare.” alzò gli occhi al cielo, sbuffando “Comunque, tornerai in Turchia per le vacanze di Natale?” domando curioso, e Sadik annuì deciso grattandosi il naso con la mano con cui teneva il panno di stoffa.

“Sì, certo! Come ogni anno. Mi tratterrò un po’ più del previsto, anche se mi sarebbe piaciuto tornar prima in Germania. Quest’anno sarebbe stato particolarmente interessante qui.” Riposò il mento sul palmo della mano, guardando verso l’alto con fare sognante. Alzò il tono di voce pronunciando l’ultima frase, lanciando poi un’occhiata alle spalle di Lovino in direzione della porta, alzando il capo: il suo sguardo era caratterizzato da occhi semi-chiusi e un sorrisetto malizioso che sembrava nascondesse qualcosa.

Lovino si voltò frettolosamente, ma presto si ritrovò a guardare di nuovo Sadik che continuava a guardare a destra e sinistra muovendo solo gli occhi. 

“Ma a chi diavolo stavi ammiccando?” Ruggì l’italiano, indicando con il pollice l’entrata alle sue spalle.

“Nulla, nulla! Avevo visto una ragazza” 

“Potevi dirmelo prima, dai!”

“Va bene, la prossima volta lo farò” Sadik emise un sospiro di sollievo, asciugandosi il sudore dalla fronte tamponando con il panno.

“Ma ti sei appena asciugato la fronte con il panno che usi per pulire?”

“Oh cavolo! Che schifo!” il turco lanciò via il panno frettolosamente con fare disgustato, premendo le labbra serrate una contro l’altra e chiudendo gli occhi, cercando di dimenticare che lo stesso panno finito sul viso era stato utilizzato precedentemente per pulire i resti di cibo dalla lavastoviglie.

“Secondo me dovresti prendere una pausa” Lovino si rivolse a lui abbassando la testa, guardandolo attraverso le lunghe ciglia. “Sei veramente più rincoglionito del solito” 

“Pausa dici? No, non posso di certo!” Sgranò gli occhi alla proposta dell’italiano, che gli sembrava incredibile detta da lui “Mi servono i soldi. A proposito, parlando di soldi...”

“La situazione non è terribilmente grave. Feliciano riesce ad andare avanti con la scuola, abbiamo un pasto caldo a tavola ogni giorno, anche se potrebbe andare meglio.” Prese di nuovo il bicchiere e lo porse a Sadik, volendo che venisse riempito ancora d’acqua gassata. Era la preferita di Lovino, pensava fosse dissetante più dell’acqua normale. E soprattutto adorava sentirne il sapore frizzantino, e la sensazione delle bollicine scoppiettanti sulla lingua lo rendeva allegro.

“Hai sete oggi, eh?” Ridacchiò, versando l’acqua nel bicchiere attento a non farne uscire nemmeno una goccia.

“Però, Lovino” continuò “hai un bel negozio, vendi bene, possibile tu abbia queste grandi difficoltà?” Il turco si allontanò un’attimo da Lovino, avvicinandosi alla macchinetta del caffè per esaudire l’ordinazione di un cliente appena arrivato. 

L’italiano annuì distrattamente con il capo, alzando le sopracciglia e premendo le labbra in segno di consapevolezza. 

“Utilizzo gran parte dei soldi per la manutenzione della casa del nonno” sospirò, portandosi il colletto del dolcevita bianco fin sopra alle labbra con un movimento timido della mano, cercando di nascondere almeno metà del suo viso che era sicuro da lì a poco avrebbe reso visibili alcuni segni di tristezza.

“Lovino. Devi smetterla di rimanere aggrappato al passato” Sadik posò gli avambracci sul bancone, stringendo le mani in due stretti pugni e portandoseli sotto le guance, quasi come se volesse alzarle. Aveva la bocca leggermente aperta mentre guardava Lovino con fare comprensivo, e ciò significava anche che era estremamente concentrato, ipotesi affermata dagli occhi luminosi che erano fissi sulla figura dell’Italiano, che muoveva le iridi verdi cercando di non incontrare lo sguardo del turco, forse per timidezza.

Parlare di suo nonno o dei suoi problemi, lo faceva sentire debole e gracile. Poche volte si era sentito così. Non voleva convincersi di non avere problemi e di essere apposto anche solo per darsi forza: preferiva avere una visione oggettiva della realtà della sua vita, anche se a volte si trattava di una percezione un po’ più pessimistica che reale. L’autocommiserazione non era di certo una buona aspettativa, ma era sempre meglio che convincersi di un qualcosa di non reale.

Lovino cominciò a passare delicatamente l’indice su tutto il bordo del bicchiere, percorrendo ne la circonferenza. Lo utilizzava come mezzo per scaricare lo stress e distrarsi un po’ dall’argomento delicato che stava affrontando.
Nonostante sapeva di potersi fidare di Sadik, continuava a stare attento a non far abbassare il colletto del dolcevita dalle sue labbra, giocando con il tessuto liscio mentre con l’altra mano continuava ancora a toccare il bicchiere, sempre più velocemente.

“Cretino, pensi che non lo sappia? È solo così dannatamente difficile che penso non ce la farò mai. Spendo un fracco di soldi ogni mese per pulire quella catapecchia, e non ci abita nemmeno nessuno.” Lovino disse tutto d’un fiato mettendosi le mani fra i capelli guardando verso il basso,  ma il turco poteva sentire il tono di disperazione nella sua voce. 

“Hai mai pensato di venderla?” Sadik domandò ingenuamente senza pensarci.

“Sì” rispose l’altro di gettò, alzando velocemente il capo e incrociando il suo sguardo curioso dell’altro uomo, che si era avvicinato notevolmente al viso di Lovino. 

Questo lo tranquillizzò: il turco era davvero interessato a quanto stava dicendo e lo stava ascoltando davvero senza fingere solo per educazione, e ciò fece spuntare sul viso dell’italiano un piccolo sorriso affrettato.
Certo, certo che aveva pensato di venderla. Ma era così difficile per lui. Suo nonno non era più lì con loro, ma voleva mantenere vivo il suo ricordo, anche se significava spendere soldi su soldi per mantenere decente una casa disabitata.

Il ragazzo poi smise di torturare il bicchiere e di aggrinzire il colletto della maglia, che portò giù levandoselo dal viso.

“Quanti soldi spendi per la manutenzione?”

“pago il giardiniere, chi fa le pulizie, bollette e le tasse da pagare non aiutano di certo” comincio a contare sulle dita, concentrandosi “ora moltiplica tutto questo per tre, con le spese del negozio e di casa mia. Naturalmente ci sono delle variazioni, ma almeno hai un’idea di base. Guadagno bene con il negozio ma non è sufficiente a coprire il costo di altre due case” Lovino spiegò, cominciando a tamburellare con le dita sudate sul bancone lucido, lasciando le impronte dei polpastrelli.

Sapeva di doversi fermare perché Sadik si sarebbe incazzato, ma il turco non sembrò darci molta importanza e ciò tranquillizzò Lovino che aveva bisogno ancora una volta di scaricare lo stress.
Sadik guardò Lovino con sguardo materno. Voleva davvero aiutarlo, ma non sapeva come fare. Però, conosceva qualcuno che sarebbe stato in grado di aiutarlo certamente meglio di lui.

L’italiano diede un’occhiata al suo orologio di finta pelle nera, notando l’orario “Scusami, ora devo proprio tornare in negozio” L’italiano disse, e Sadik gli diede una leggera pacca amichevole sulla palla. 

“Deve essere difficile, posso capirlo. Parlamene quanto e quando vuoi, non mi disturbi di certo” offrì lui, dandogli un sorriso rassicurante e guardandolo allontanarsi.

“Lovino, un momento!”

“Cosa vuoi ancora?” L’italiano si voltò con sguardo curioso, sentendosi chiamato a gran voce da Sadik.

“Cosa pensi di Gilbert?”

“Penso di averti già detto che è un coglione”

“Andiamo, intendo cosa pensi davvero di lui”

L’insistenza di Sadik e la domanda, spiazzarono Lovino. Lo spiazzarono semplicemente perché non sapeva come rispondergli, nemmeno lui sapeva cosa pensava davvero di Gilbert.
Il momento in cui si erano conosciuti era stato bizzarro ed imbarazzante, ma a lui non era dispiaciuto, e nemmeno a Gilbert.
Era convinto che quel ragazzo nascondesse qualcosa, era incuriosito da lui ma allo stesso tempo aveva paura di provare a conoscerlo, e di rovinare tutto con il suo essere leggermente burbero. Nella sua esperienza, aveva imparato che le persone che si comportavano come l’albino e che elogiavano troppo se stesse, erano le più insicure.

“Non ne sono sicuro. Però, pensò non faccia così schifo stare con lui. È dannatamente fastidioso ma credo sia una brava persona” questa fu la sua risposta, che fece sorridere Sadik. Non cercò di sbilanciarsi troppo, non voleva dire cos’è troppo intime o che non era sicuro di pensare. Conosceva poco Gilbert e non aveva abbastanza elementi per trarre una conclusione.

“Posso andare ora?” L’italiano indicò l’uscita.

“Certo. Oh, hey, buona fortuna” 

“Grazie, suppongo” Lovino annuì, facendo cenno con il capo indicando che stesse per andar via, e l’altro arricciò le labbra, sventolando la mano e studiando con lo sguardo ogni movimento dell’italiano, attendendo che si allontanasse del tutto.

“Hey, tu!” Sadik urlò sbattendo poi la mano sul bancone facendo saltare i bicchieri, e indicò un uomo che tranquillamente prendeva il caffè seduto ad un tavolino vicino l’entrata.

“Dice a me?” L’uomo rispose intimidito, indicando il suo stesso petto con l’indice e guardandosi attorno cercando di capire se fosse quello a cui il barista si era rivolto.

“Si, proprio a te! Quel ragazzo che era qui, è andato via?” Domandò Sadik. Dare del lei a uno sconosciuto? No, non faceva parte dei suoi modi di interagire.

Osservò l’uomo impaurito che stringeva al collo la cravatta, trovando qualcosa con cui impiegare le mani sudate. Era pelato, sulla cinquantina. Per Sadik era paradossale come un uomo di quell’età ed esperienza si fosse sentito intimorito.

“Di chi parla?”

“Come, non l’hai visto?” Il turco posò le mani sui fianchi, ancora trattenendo lo straccio con la mano destra “il piccoletto che era qui!” Con la mano aperta posta orizzontalmente, indicò l’altezza di Lovino. Mentre l’uomo, perplesso, non sapeva a chi si stesse rivolgendo e soprattutto non riusciva a capacitarsi di come tale indicazione potesse tornare utile.

“Non so di chi stia parlando, ragazzo”

“Allah, aiutami tu!” Sadik alzò il capo, e sbuffò agitando le braccia verso l’alto “controlla almeno se c’è qualcuno fuori, allora” propose.

L’uomo annuì incerto, e sporse la testa fuori dalla porta. 

“Non vedo nessuno” si limitò a rispondere con voce sempre più bassa e insicura, intimidito dalla voce grossa e melodiosa del barista.

“Mükemmel!” Sadik sorrise sornione, alzando il pollice dandogli l’ok.

“L’AQUILA PRUSSIANA PUÒ USCIRE DAL  SUO FANTASTICO NIDO, RIPETO, L’AQUILA PRUSSIANA PUÒ USCIRE DAL SUO FANTASTICO NIDO” mise le mani ai lati della bocca amplificando la voce già energica, che sembrava fosse stata urlata usando un megafono.

Un uomo entrò a passo svelto sulle punte dei piedi attirando sguardi e risatine dai clienti, che si scambiavano occhiate per interrogarsi sull’identità di quel bizzarro uomo dalla carnagione bianco latte coperto da un cappotto nero lunghissimo e che indossava occhiali da sole poco sobri, entrato nel locale come se fosse un delinquente.

Mentre camminava, inciampò sui suoi stessi piedi cadendo goffamente e rialzandosi come nulla fosse, lanciando occhiate frettolose a sinistra e destra notando di essere oggetto di interesse.

“Merda! per una volta che non voglio essere al centro dell’attenzione, mi trovo tutti gli occhi puntati addosso. ma d’altronde, come si fa ad ignorare questo fantastico pezzo di figo?” Pensò divertito e sentendosi lusingato.

Mosse passi decisi e veloci trascinandosi sull’orribile sgabello traballante che aveva sempre evitato, ma questa volta era l’unico posto a sedere libero in prossimità del bancone.

Abbassò lentamente gli occhiali, gettando poi uno sguardo feroce alla clientela, che a presa visione dei suoi occhi che sembravano iniettati di sangue, distolsero l’attenzione dai due ragazzi e ripresero a fare ciò che stava facendo ignorando forzatamente i due.
Posò velocemente il gomito sul bancone, e mise una mano davanti alla bocca impedendo che altri ad accezione di Sadik, potessero leggergli il labiale o sentire quanto stava dicendo.

“Allora, è andato via?” Domandò sussurrando con voce beffarda, avvicinandosi a Sadik che alzò un sopracciglio e increspò le labbra, rivolgendo a Gilbert uno sguardo interrogativo ad occhi chiusi.

“Si, si! È andato via! Non credo comunque che tutta questa sceneggiata fosse necessaria” il turco cercò di trattenersi dallo scoppiare dal ridere, gonfiando le guance come un pesce palla e premendo nuovamente le labbra l’una contro l’altra.

“Come hai fatto a farlo venire qui?” Bisbigliò l’albino.

“È un segreto” l’altro scandì la parola finale, schioccando la lingua sul palato.

“Uffa! È stato solo 5 minuti qui”

“Sì, aveva messo il cartello sulla porta del negozio con scritto che sarebbe tornato fra 5 minuti, perciò andava di fretta”

“No! Aspetta, io l’avevo cambiato con il pennarello e avevo scritto 15 minuti” Gilbert disse, mimando una mano intenta a scrivere.

“L’hai seriamente fatto? Pensavi che lui potesse tornare e vedere che aveva scritto 15 e quindi dire -oh, che bello! Ora torno da Sadik-?” Sadik mise una mano davanti alla bocca. Stava per scoppiare dalle risate. 

“Beh, si a dire il vero”

“Sei sempre il solito!” Sadik sbattè una mano sul bancone, sbellicandosi dalle risate e attirando gli sguardi dei clienti. Non riusciva a smettere, gli facevano male le guance per quanto stava ridendo e gli occhi avevano persino cominciato a lacrimare.

“Hey, basta ridere dai, è una questione di vita e di morte! Non essere così poco fantastico!” Gilbert sventolò la sua mano davanti al volto di Sadik e si levò la giacca, piegandola frettolosamente e posandola sulle sue ginocchia, per poi togliersi gli occhiali e metterli nella tasca della giacca.

“Ok ok, scusa. andrò subito al punto. Ho avuto la conferma alla mia ipotesi”  Sadik aprì la bocca e fece un occhiolino al tedesco, che lo guardò con fare confuso, anche se sentiva di saper a cosa si riferisse.

“Ehi amico, ma di che parli? Mi fai paura quando fai così” Gilbert alzò un sopracciglio e poi cominciò a giocare con la croce di ferro che portava al collo, che cadeva perfettamente al centro della sua camicia gialla leggermente sbottonata.

“Te lo dirò dopo, Beilschmidt” sorrise ancora rivelando le fossette, per poi tirare da sotto al bancone un foglio abbastanza grande scarabocchiato con del pennarello nero.

“Ma cosa diamine c’è scritto?” Gilbert prese il foglio in mano, alzandolo e portandolo all’altezza del viso, per poi affondarlo in esso cercando di vederci più chiaro e di decifrare quelle strane parole.

“Hey hey, Alman! Ridammi qua!” Sadik riprese quanto gli apparteneva “e comunque, è scritto in turco” continuò, mollando uno scappellotto sulla nuca di Gilbert, che cominciava ad arrossarsi gradualmente.

“Ahia!” GIlbert posò la mano sulla zona colpita, sfregandosela cercando di attenuare il dolore. “Non mi hai ancora detto cosa c’è su questa mappa”

“Ti spiego, ho segna-“

“Ho capito! Vecchia volpe turca, hai segnato tutti i sexy shop della zona che vendono roba a prezzi ragionevoli, vero?” Sorrise malizioso socchiudendo gli occhi, dando alcuni colpetti con il suo gomito al braccio di Sadik.

“No, Beilschmidt. Non perdo il mio tempo prezioso con queste cose” alzò un sopracciglio, e l’espressione dubbiosa del tedesco fece ritorno.

“Beh, in effetti potevo immaginarlo” Disse facendo spallucce e grattandosi il mento “io li conosco tutti quelli negozi”“Se solo mi ascoltassi!” Ribattè esasperato “ho segnato tutti i posti in cui potresti organizzare l’appuntamento a 4!” 

“Fantastico!” Gilbert sorrise sornione “e chi ci sarà?”

“Come chi ci sarà?” Sadik replicò, sbattendo velocemente le palpebre.

“Beh, appuntamento a 4! Vuol dire che ci saranno altre 3 persone oltre me” disse, alzando tre dita e guardando verso l’alto cercando di capire di chi si potesse trattare.

“Oh Beilschmidt! Ci sarete tu, tuo fratello, Feliciano e Lovino!” 

“Eh? Ma perché stai cercando di combinare un’appuntamento fra mio fratello e Lovino?” Gilbert alzò le sopracciglia e corrugò la fronte, cominciando quasi a masticare il suo labbro inferiore “così mi offendi! Ti ho detto che non mi piace Feliciano. E soprattutto, il piano è che sarei uscito io con Lovino” ammise a bassa voce, non guardando più Sadik negli occhi.

“Lo so” rispose l’altro, borbottando “infatti tu dovevi stare con lui, ma te l’avrei detto prima se solo mi avessi lasciato finire!” Alzò gli occhi al cielo, per poi scuotere il capo.

“Oh! Capisco. Ma io non ricordo di aver mai parlato di un’appuntamento a 4” Cominciò a grattarsi il viso sbarbato, perplesso “in realtà il vero piano era quello di far uscire mio fratello e Feliciano e poi pedinarli assieme a Lovino” spiegò concentrato, muovendo le braccia coordinatamente alle sue parole.

“Pedinare? Sei serio? E come pensi di riuscire a conquistare Lovino se pedini suo fratello?” 

Sadik lo guardò incredulo con gli occhi spalancati, interrompendo qualunque azione stesse facendo. Gilbert in tutta risposta, preferì rimanere in silenzio con le mani giunte messe sulla bocca guardando il bancone lucido.

Era tutto così difficile! Si sentiva come l’unico a non capire nulla. Non voleva conquistare Lovino, voleva solo passare del tempo con lui, così come aveva ribadito più volte. 

“Non voglio conquistare Lovino! Non è fantastico farmi ripetere sempre le stesse cose, sai?” Si mise a braccia conserte, guardando dall’alto verso il basso Sadik, che riprese la mappa fra le mani e la mise via a malincuore.

“Peccato. Ci avevo messo tanto a farla” 

“Hey amico, si può sapere che ti prende?”

“Si può sapere che prende a te invece?”

“Sai, non è fantastico nemmeno rispondere ad una domanda con un’altra domanda” rispose lui con una smorfia irritata sul viso, borbottando le ultime parole. 

“Scusa GIlbert. Dici che non ti piace Lovino, però i fatti dicono il contrario” Sadik chiuse gli occhi, strinse le labbra e alzò le spalle. Gilbert capì che il suo amico parlava seriamente. Non solo grazie al cambio del tono di voce, ma soprattutto perché lo aveva chiamato per nome, cosa che non faceva spesso.

“Di quali fatti stai parlando?” Domandò l’albino incuriosito, che in breve trovò il viso di Sadik a pochi centimetri di distanza dal suo, che gli dava uno sguardo austero e mentre si grattava il mento e la corta barba scura su di esso.

“Hai dimenticato di porgergli i miei saluti”

“Mi sarò dimenticato, a volte anche i più fantastici dimenticano le cose” si stiracchiò sbadigliando, unendo le mani e portando le braccia dietro la schiena.

“Non è quello il punto. Te ne sei dimenticato perché eri troppo preso di vederlo” replicò, allontanandosi da lui e stringendo meglio il lacciò del grembiule bianco.

“Hey, so dove vuoi arrivare con il discorso. Ma ti giuro, che lo voglio solo come amico. Sì, ero preso di vederlo perché è un ragazzetto divertente e mi rallegra, ma questo non vuol dire che il fantastico me debba necessariamente provare dei sentimenti. E poi, lo conosco da poco tempo!” 

Rimarcò le parole finali, con espressione rigida e occhi seri. Sadik non lo aveva mai visto così, e ciò lo preoccupò non poco.

“Lovino ha detto che sei una brava persona infondo, anche se un po’ fastidioso. Non gli dispiace la tua presenza” 

GIlbert afferrò un chupa-chups alla fragola dalla piramide di cartone che giaceva gloriosa al lato del bancone, vicino alla cassa.

Cominciò a scartarlo lentamente con mano attenta e dita abili e veloci, concentrandosi su quanto stava facendo e ignorando Sadik, che sospirò rassegnato per poi allontanarsi a servire la clientela.

Il tedesco rivolse uno sguardo distratto al suo amico che si era appena allontanato, per poi corrugare le labbra e cominciare a mordicchiare il chupa-chups, e intrattenendosi guardando la clientela.

Prese una moneta da 50 centesimi, lasciandola sul bancone e assicurandosi che Sadik l’avesse vista, per poi allontanarsi leggermente abbattuto, trascinandosi via dal locale.

Mise le mani nelle tasche dei pantaloni neri, mentre portava sulla spalla il cappotto lungo. Guardava l’asfalto mentre camminava, la testa bassa che contava ogni sasso si imbattesse nel suo percorso e il piede sinistro che meccanicamente li calciava via, lasciando che il suo percorso fosse libero da ogni ostacolo.

Stava bene con Lovino. Si sentiva a suo agio, si divertiva, e le ore passavano in fretta quando era assieme a lui. Era sicuramente una persona molto interessante, ricca di valori e che gli sarebbe piaciuto conoscere meglio.

Era contento che a lui facesse piacere la sua presenza. Ma d’altronde, a chi non sarebbe piaciuto stare con uno come Gilbert?

“Mi chiedo se pensa lo stesso di me” pensò.

“Ecco, ora si è arrabbiato con me!” Sadik sbuffò, poggiando le mani sui fianchi e guardando l’amico allontanarsi.

“Pensi che lo sto forzando? Pensi che devo farmi i fatti miei? Io volevo solo aiutarlo! Pensi che dovresti lasciare che le cose si sviluppino normalmente o che dovrei spingerli? L’ho pressato troppo? E se stessi solo fraintendendo e in realtà a GIlbert non piace Lovino? Santo cielo! Io devo solo fare il mio dovere!” Disse ad alta voce, tutto d’un fiato, non accorgendosi che non stava parlando da solo ma che un collega lo aveva sentito.

“io penso che dovresti continuare a lavorare” L’uomo biondo si avvicinò porgendogli un vassoio di pasticcini da consegnare, e Sadik lo prese prontamente, ma ancora con la te#ta fra i suoi pensieri.

“E per la mappa con i posti per gli appuntamenti? Che me ne faccio?”

“Tienila. Potrebbe servirti” l’uomo si allontanò, dopo aver risposto in modo marziale al turco.

“Già, hai ragione.”

///

Gilbert Alzò lo sguardo guardando il negozio di Lovino e un dolce sorriso spuntò sul suo volto, tanto che si sentì in dovere di entrare.

Si mosse a passo attento e svelto, cercando di non fare il minimo rumore. Doveva immaginare di camminare su una nuvola o di avere delle piume al posto dei piedi. Sì, l’auto convinzione lo aiutava decisamente a raggiungere il suo obiettivo in modo soddisfacente.

Salendo sui tre gradini di marmo, si ritrovò davanti alla porta di vetro. Pensò che per uscire a guadagnare un’entrata da effetto, sarebbe servito solo poggiare la mano sulla maniglia e abbassarla lentamente per poi fiondarsi ancora alle spalle di Lovino e farlo tremare della paura.

Ancora sulle punte dei piedi, si abbassò cercando di dar meno nell’occhio, chiuse poi gli occhi per concentrarsi e abbassò la maniglia di scatto, non realizzando che vi era attaccata una campanellina che suonava ogni volta la porta venisse aperta per indicare che qualcuno aveva fatto ingresso.
GIlbert si ritrovò lì, in piedi e ancora in posizione accovacciata. Era troppo basso per essere visto da dietro il bancone, e in un certo senso pensò fosse un vero peccato non riuscire a guardare l’espressione di Lovino.

Ma ora era carico, carico più che mai: i piedi carichi come delle molle, energia ed eccitazione che scorrevano nelle sue vene. Era pronto a saltare e spaventare Lovino ancora una volta. C’era mancato un pelo e il suo piano sarebbe andato in fumo per colpa di uno stupido campanello che non sapeva bene a cosa potesse servire, dato che Lovino era sempre lì e avrebbe visto quasi per certo il cliente.

“Boo! Buongiorno, prinzessin!” Saltò aggrappandosi al bancone, e il suo viso sorridente venne spezzato da un colpo di tazza dritto in fronte.

“Coglione! Mi hai fatto prendere un colpo!” Lovino era letteralmente saltato dalla paura “mi avresti fatto prendere un infarto! Tuonò ancora, posandosi una mano sul cuore e respirando affannosamente.

“È bollente, è bollente! Sfigurerai il mio bellissimo viso!” Continuò a strisciare le mani sulla sua faccia, quasi disperato e con occhi tristi e impanicati. Lovino era stato preso di sorpresa, e d’istinto aveva gettato il caffè addosso a quello che pensava fosse un maniaco. Era convinto che la porta di fosse aperta per una folata di vento, e aveva continuato a leggere il suo giornale senza preoccuparsene troppo. Di certo non si aspettava l’ingresso dell’albino.

“Non era mia intenzione versarti il caffè addosso, ma pensò tu te lo sia meritato con tutta questa pagliacciata!” Rimproverò l’italiano, alzandosi e raggiungendo Gilbert davanti al bancone, per poi afferrare uno strofinaccio e passarlo fra i capelli del tedesco, scompigliandoglieli ma asciugandoli distrattamente dal caffè.

“Ma quel coso è sporco di terreno!” Gilbert afferrò il polso di Lovino, bloccandolo, per poi toglierlo dalla prossimità della sua testa e lanciando via lo strofinaccio “ora la mia fantastica chioma è ancora più sporca di prima” piagnucolò, e incredulo cominciò a passarsi le mani fra i capelli, portando le ciocche platino davanti al viso cercando di capire se fossero malmesse terribilmente.

“Certo che è lo stesso che ho usato per pulire il terreno! Pensi che ne avrei preso uno pulito solo per te e quei peli di gatto?” Beh, da un lato GIlbert doveva aspettarselo. Notò il modo in cui Lovino ribatté rabbioso, ma il suo volto era luminoso e nascondeva un piccolo sorriso che stava tentando con tutte le sue forze di reprimere, e ciò fece sorridere Gilbert, che per un attimo dimenticò del caffè e delle ustioni che da lì a poco avrebbero decorato il suo bellissimo volto.

Lovino si accorse della reazione del ragazzo, e distolse lo sguardo da lui per un’attimo per poi chinarsi e cominciare a frugare avidamente in un piccolo cassetto al lato opposto della stanza.

“Tieni. Usalo per pulirti la faccia” lo porse a Gilbert con braccio teso, sempre con sguardo lontano dal suo e labbra corrucciate leggermente.

“Grazie prinzessin!” Afferrò lo strofinaccio con entrambe le mani, per poi asciugarsi il volto con veloce movimento delle mani.

“Allora, come ti sembro adesso?” Continuò GIlbert, prendendo il mento Lovino avvicinandolo al suo volto, per poi cominciare ad incorniciare il suo viso con le mani, prima posizionate orizzontalmente e poi verticalmente.

“Penso che il caffè bollente non abbia in alcun modo penalizzato la tua faccia di cazzo” Gilbert gonfiò il petto notando il fare seducente di Lovino, ma Il suo sorriso fiducioso cadde quando l’italiano terminò la frase e si rese conto che lo stava solo prendendo in giro, seppur amichevolmente. Sperava terminasse in un complimento, ma ahimè, forse da lui non lo avrebbe mai ricevuto.

Lovino gli fece un occhiolino sarcastico fingendo di essere onorato dalla sua presenza, per poi tornare dietro al bancone, sedendosi come se nulla fosse e ignorando completamente la reazione confusa del tedesco. 

“Perché sei venuto?” Domandò, riempiendosi di nuovo una tazza di caffè, dato che la prima era andata perduta.

“Oh ecco, ieri mi ero dimenticato di portarti i saluti di Sadik” cominciò a grattarsi la nuca, sorridendo imbarazzato alzando solo un angolo della bocca.

“Non c’è da stupirsi. E comunque stamattina sono andato a trovarlo, me ne ha parlato già lui”

“Hey! Ma com’è che andiamo allo stesso bar e non ci siamo mai incontrati?” In effetti era vero: Lovino aveva avuto il negozio lì per poco più di un anno, e lui era anni che frequentava quel bar. Come era possibile non si fossero mai incontrati prima d’ora? Non aveva veri motivi per recarsi da un fioraio, ma si chiedeva come mai non ne fosse stato comunque incuriosito.

“Forse perché tu vai a farci l’ubriacone di notte?” Ribattè, brontolando.

Un punto per Lovino. In effetti aveva ragione. Ultimamente si recava lì solo per bere, ma adesso stava facendo entrare Sadik nelle grazie del proprietario del bar, meravigliato dal fatto che il ragazzo fosse dei 3 baristi, quello che attirava più clienti. Il suo bell’aspetto era un vantaggio, così come il suo accento affascinante, ma era ben chiaro GIlbert si recasse li sempre più spesso per avere la scusa di visitare Lovino, anche solo per farsi dare un calcio negli stinchi e per beccarsi qualche dolce e amorevole insulto.

“Hai ragione, sai? Per questo ora vado via” si girò, facendo finta di uscire dalla porta seppur muovendosi a passo lento dato che non aveva alcuna intenzione di andar via, aspettava solo che Lovino lo fermasse. Ma beh, non accadde, e Lovino fece solo spallucce.

“Hey!” Si girò nuovamente di scatto, puntando il dito contro Lovino “non mi fermi?” 

L’italiano si limitò a rotare gli occhi ed a emettere un leggero sbuffò divertito “perché dovrei fermarti?” Alzò un sopracciglio e distolse poi lo sguardo da Gilbert, riprendendo a infilarsi i guanti di gomma.

“Pensavo volessi chiedermi dell’appuntamento...sai, i nostri fratelli...” si avvicinò a Lovino, facendogli l’occhiolino, mentre una smorfia dal fare seducente prese possesso del suo viso.

Lovino lo guardò con aria confusa, ma poi ricordò di quanto gli aveva detto e sentì ogni muscolo del suo corpo congelarsi, perfino il suo ricciolo aveva smesso di rimbalzare.

Il solo pensiero di suo fratello che faceva le fusa a Ludwig, o di Ludwig che provava a toccarlo con quei suoi aggeggi disgustosi di plastica, lo fece letteralmente sobbalzare dal disgusto.

“Dimmi cosa cazzo hai scoperto su quel posto” sussurrò con voce lenta e minacciosa, e Gilbert non poté fare altro che sorridere soddisfatto. L’italiano lo aveva afferrato per il colletto della camicia e aveva portato le loro fronti vicine, e tutto ciò che occupava la traiettoria visiva del tedesco erano le sopracciglia dalla forma perfetta dell’italiano, aggrottate pericolosamente e abbinate ai denti quasi digrignati.

“Ehi, calmo. Cosa è questo brusco modo di fare? Sembri un mafioso” Gilbert mise le mani avanti, staccandosi dalla presa del ragazzo e allontanandosi leggermente camminando all’indietro.

“E tu cosa cavolo mantieni quell’espressione di cazzo? Sii serio! Se mi vuoi dare un informazione precisa, fallo seriamente. È mio fratello la vittima, il tuo il carnefice” Il tedesco si vide il dito puntato contro, e rimase un po’ sorpreso nel vedere come Lovino stesse rendendo troppo seriamente la cosa. Come se Ludwig avesse intenzione di uccidere Feliciano o di abusarne.

“Amico, quei due sono fidanzati. Sanno il fatto loro” la sua risposta non tardò ad arrivare, ed era perfettamente in linea con il suo pensiero.

“E allora cosa vuoi? Sei stato tu a dirmi che avremmo dovuto investigare su di loro!” Il tono rabbioso del ragazzo, gli fece capire che In effetti aveva ragione. Gilbert era stato quello che aveva preparato tutto, addirittura pensato a spacciare per reale qualcosa che non esisteva solo per puro gusto personale, per fare il proprio interesse.

E ancora una volta, si era immischiato nella vita del fratello mettendogli i bastoni fra le ruote, seppur indirettamente.

Cosa doveva fare adesso? Andare avanti con la sceneggiata o rivelare tutto? No, non lo avrebbe mai fatto. Sarebbe stato controproducente e sarebbe andato contro la sua morale. Se comincia qualcosa deve portarla a termine, brutta o bella che sia.

“Sono fidanzati, è normale facciano sesso. Devi fartene una ragione” 

“Ma cosa cazzo dici? È ovvio! Sarebbe stato un problema se fosse accaduto il contrario” strinse i pugni, mantenendo la calma “sto cercando di farmene una ragione, è solo che da un lato ho paura per lui” Il cipiglio si addolcì, e GIlbert rimase sorpreso nel vedere Lovino rivelare una sua piccola paura. Fu felice nel vedere che il ragazzo si stava aprendo con lui, seppur lentamente e con approccio rude.

“Di cosa hai paura?” Sapeva già la risposta, ma voleva che fosse comunque Lovino a dargliela.

“Penso tu sappia meglio di me che Feliciano è ingenuo, si lascia trasportare e ho paura che qualcuno possa approfittarne. Tutto qui” scosse le spalle, guardando il pavimento di legno. Gilbert lo guardò con occhi differenti. Quel ragazzo, che sembrava essere estremamente scontroso, forse un po’ menefreghista, nutriva un grande amore per suo fratello e aveva il solo unico desiderio di proteggerlo, come lui con Ludwig. Si sentì per un’attimo compreso, e appoggiò una mano sulla spalla di Lovino per confrontarlo, facendo spalancare gli occhi dallo stupore al ragazzo vicino, che rimase sorpreso da quell’improvviso contatto così amichevole.

“Oh, allora ti importa anche dei sentimenti degli altri!” Sorrise teneramente, cercando di mettere Lovino a proprio agio “pensavo fossi un menefreghista poco fantastico ma invece sei solo un fratello e premuroso, come me”

“Io menefreghista? Pff!” Sbuffò, rotolando gli occhi e incrociando le braccia “bastardo, è buffo da dire ma pensavo la stessa cosa di te. Ma dopo quelle cose che mi hai detto da ubriaco, ti odio un po’ meno” ammise, un piccolo sorriso sbocciò sul suo volto e ciò rallegrò Gilbert, che sentì di aver fatto centro.
Per un’attimo, mise da parte l’istinto di scervellarsi e impazzire domandandosi a cosa avrebbe potuto aver detto a Lovino in precedenza, ma a giudicare dalla sua reazione non era stato nulla di male. Anzi, era riuscito perfino a farsi odiar meno. Cavolo! Anche da ubriaco sapeva essere un fantastico rimorchiatore.

“Beh! Allora visto che mi odi un po’ meno, che ne dici di uscire con me? Come amici!” Mise subito le mani avanti, per rassicurare Lovino in ogni modo che l’uscita non avesse avuto alcun secondo fine.

“No” fu secca la risposta, e abbastanza inaspettata.

“Ma come! Mi hai detto che mi odi meno”

“Questo non significa che io voglia uscire con te”

“Allora facciamo un patto” Lovino affinò l’udito “usciamo assieme a Lud e Feli, un uscita da amici! Così ti convincerai che mio fratello non farà mai del male al tuo”

“Ripeto che non voglio uscire con te”

“Dai! Se non accontento le tue aspettative, puoi farmi fuori” la proposta di Gilbert era allettante, e Lovino era davvero incuriosito a passare del tempo con lui. Però allo stesso tempo, provava sentimenti contrastanti che non era capace di comprendere.

“Farti fuori nel senso che posso ammazzarti? Non mi macchierei mai di un crimine così, soprattutto se per far fuori te” Lo guardò dall’alto verso il basso, con sguardo esaminatore a tratti disgustato, seppur era ovvio non lo fosse.

“No! Puoi farmi fuori nel senso che puoi cacciarmi e intimarmi di non farmi più vedere” sorrise, stando al gioco dell’italiano.

“E va bene! Ma lo faccio davvero! E non pensare che io esca con te per effettivamente stare con te, lo faccio solo per controllare quei due!” Incrociò le braccia, e il tedesco rise rumorosamente.

“Certo, come no. Allora usciremo? È una promessa?” Lo guardò con fare sognante, occhi che brillavano, e Lovino ne rimase quasi incantato. Avrebbe voluto sapere di più du quel ragazzo che sembrava così tanto interessato a stare assieme a lui. 

Gilbert agitò davanti al suo volto il suo mignolo, che Lovino afferrò e strinse delicatamente.

“Si bastardo, è una promessa”

 

 

 

 

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