Il peso del coraggio

di audry_ enne
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo I ***
Capitolo 2: *** capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***



Capitolo 1
*** capitolo I ***


Capitolo 1
 
Patetica … Hermione aveva iniziato a sentirsi patetica mentre, fremente, osservava il rientro dei compagni dalle vacanze di Natale. Quei ragazzini, con le loro divise listate di rosso, verde, giallo e blu, non sapevano, forse, cosa avevano veramente rischiato di perdersi … Ora, però, erano altri i pensieri che la perseguitavano. Uno in particolare.
In quei giorni la Mc Grannit l’aveva resa partecipe di un progetto, di un’idea che Hermione aveva in un primo tempo sottovalutato: Voleva organizzare una commemorazione di Silente e Piton. Niente di particolare, una breve cerimonia a cui avrebbero partecipato anche gli studenti sopravvissuti alla guerra e che sarebbe servita a mantenere la memoria, affinché quel che era accaduto non si ripetesse …
Lì per lì la ragazza aveva pensato che fosse una cosa buona e anche ora lo pensava. Quello a cui non aveva pensato era cosa tutto ciò gli avrebbe causato, come si sarebbe sentito, E ora aspettava, nascosta nell’ombra che le candele creavano nel grande salone d’ingresso della scuola, torcendosi le mani.
Entrarono due ragazzi di Serpeverde, avvolti negli ampi mantelli neri su cui aleggiava una spolverata di neve, lo sguardo truce e una smorfia per nulla rassicurante. Erano gli ultimi arrivati, il portone si chiuse alle loro spalle.
Lui non era tornato con gli altri. La ragazza ritornò sui suoi passi: sarebbe tornato per le lezioni. Sicuramente … o no?
La Preside in quei giorni non le dava respiro, voleva a tutti i costi che lei contattasse Harry e Ron per le celebrazioni. Lei, invece, cercava di rinviare il momento. Voleva prima vederlo, parlargli ma lui (era il più bravo, in questo, non c’erano dubbi!) era letteralmente sparito: quando si riusciva, si intravvedeva una macchia sparire dalle porte dell’aula alla fine delle lezioni (a cui arrivava sempre un attimo prima che il professore iniziasse)… Per le lezioni era tornato, ma incontrarlo e parlargli era impossibile!
C’era sempre il loro posto, però.
A notte fonda, la ragazza si avviò verso le cucine. Facendo attenzione a non attirare Gazza e la sua petulante gatta, attraversò i corridoi e si infilò dietro il quadro che ne nascondeva l’entrata. Accese il fuoco, mise a scaldare il latte, preparò la miscela di cacao e zucchero (“certe cose è meglio farle “alla babbana”, vengono decisamente meglio!” “Dici, Granger?” “Assaggia!” “Non è che mi avveleni?... Non male, Granger … un altro po’?”) e  si preparò ad aspettare.
Cinque minuti. Dieci minuti. Mezz’ora. Il cioccolato era freddo ormai. Ancora un altro po’…
“Signorina Granger?”
Hermione si girò e si trovò davanti i grandi occhi stanchi e lucenti di un piccolo elfo.
“Dimmi”
“E’ sicura che verrà? Lo sta aspettando da tanto ormai.”
La ragazza si guardò intorno. Non sarebbe venuto.
“Hai ragione. Non verrà. Rimettiamo tutto a posto.” La delusione era evidente nel suono delle sue parole ma, ragionevolmente, non poteva attendersi un comportamento molto diverso da quello, non da lui che sapeva essere il re dei codardi. Sospirò mentre l’elfo con uno schiocco di dita rimetteva tutto in ordine e si riavviò verso la torre. Fuori s’intravvedeva il lento schiarirsi dell’alba.
 
I giorni passavano, la Mc Grannit diventava sempre più insistente, lui sempre più invisibile ed Hermione sempre più nervosa. Una rabbia sottile si stava sostituendo al sentimento di compassione ed empatia che l’aveva accompagnata finora, riducendo al lumicino la sua proverbiale e ormai leggendaria pazienza.
Con un’espressione truce, la ragazza camminava (marciava) per i corridoi della scuola: stavolta non gli sarebbe scappato, lo avrebbe atteso davanti alla porta dell’aula di pozioni e, a costo di perdere la lezione, gli avrebbe parlato. E pace per i punti che Lumacorno avrebbe cacciato ai Grifondoro!
Si appoggiò al muro di fronte all’aula con un’aria che diventava sempre più funesta e contrariata; nessuno osò chiederle alcunché, sapevano che quando la ragazza era “nervosa” era meglio girarle alla larga e negli ultimi tempi lo era in maniera particolare. Neppure il professore, arrivato peraltro con qualche minuto di ritardo, trovandola lì fuori, disse nulla: entrò e, per sicurezza, fece finta di non notare la sua assenza/presenza e non tolse neppure un punto alla casa avversa, con grande sollievo degli studenti grifondoro.
Fuori, la ragazza stava per esplodere! Non era venuto neppure a lezione! Ma chi credeva di essere? E cosa pensava di fare?
Batté forte i piedi a terra e, come un treno, si diresse furibonda verso la sua stanza: nessuno poteva permettersi di trattarla così e credere di farla franca!
La sua furia aumentò quando si rese conto di non conoscere la parola d’ordine per entrare e che non c’era nessuno da costringere a dirgliela…
“Tanto non c’è!” Una vocina nella sua testa, insistente, sembrava pure prenderla in giro. “Nessuno, e sottolineo nessuno, può osare prendersi gioco di Hermione Jane Granger! Nessuno, neppure e soprattutto Draco Malfoy!”.
La ragazza, ormai furibonda e fuori da ogni grazia divina o magica che fosse, si diresse come una furia verso la torre di Grifondoro. Gli studenti si scansavano al suo passaggio; la Preside, che non l’aveva scorta, per poco non finì contro un muro spinta da una spallata degna di un battitore; perfino le preziosissime boccette di Lumacorno rischiarono di fracassarsi sul pavimento, salvate solo da un istintivo quanto fortunoso spostamento del malcapitato professore dal tracciato della “locomotiva Granger” (così l’aveva definita scherzosamente Ron qualche tempo prima!).
Stava per dare l’assalto alle scale che portavano alla Torre di Grifondoro quando il suo orecchio captò lo sfogo di una ridicolmente sdegnata Calì che si lamentava dell’esser stata malamente spinta in giardino da quell’arrogante serpeverde che, non pago dell’esser stato graziato, continuava imperterrito a comportarsi come se tutto gli fosse dovuto!
Hermione cambiò immediatamente percorso e meta. Infilò il portone , attraversò il portico e si ritrovò in giardino. Ma era deserto: dove poteva essere andato? Verso le serre? La torre di astronomia? Il campo di quidditch? La testa ruotava tutt’intorno ma nessuna traccia. Lo aveva perso ancora una volta.
Sospirò: non poteva continuare a rinviare ancora quanto la preside le chiedeva fino a quando Draco non avesse deciso di farsi trovare.
Erano già scorse un paio di settimane e organizzare la manifestazione, prevista per altro per fine anno, richiedeva tempo. Un altro sospiro e allungò la mano nella tasca della divisa dove aveva messo le pergamene con gli inviti da mandare ad Harry e Ron. Si diresse dunque verso la guferia. L’aria fredda pungeva le gote e la neve ghiacciata scrocchiava sotto il peso dei suoi passi. Hermione si sentiva stanca. Aveva il gelo nella mente e andava neppure lei sapeva dove. Si era persa in questa specie di rapporto con Draco, in cui non c’era nulla se non poche parole, pochi gesti, tanti sottintesi che riportavano a frammenti di memorie il più delle volte per nulla piacevoli. E non era neppure detto che i pensieri coincidessero. Ogni volta che provava ad andare oltre si ritrovava a fare i conti con un’assenza indefinibile ed incancellabile, era come se il vuoto si stesse espandendo nell’anima di quel ragazzo e lei non riusciva a capire come riempirlo. Odiava non capire! A volte si sentiva così uguale a lui, così fragile ma anche così lontana, condannata a vivere una sorte in qualche modo comune verso la quale stavano correndo. Forse.
 
Guardare il mondo dall’alto, attraverso una lacrima, dava decisamente un’altra prospettiva. Forse se avesse imparato a farlo prima, quando ancora aveva una speranza, quando ancora non era tutto segnato, forse le cose sarebbero andate diversamente. O forse non c’era mai stata veramente la possibilità di scegliere, forse non c’era neppure ora e star lì era solo pateticamente inutile …
Da quando la notizia della “rimpatriata” organizzata dalla Preside lo aveva raggiunto si era dato alla fuga. Aveva quasi rimpianto di non essersene rimasto a casa se non fosse che il senso di claustrofobia che gli davano gli immensi saloni del Manor sembrava toglierli l’aria anche solo a ricordarli.
E poi c’era la Granger… Hermione…
Lui era una serpe, gli difettava il coraggio mica l’intelligenza! E così la sua fuga era stata resa ancora più difficile dal fatto di dover scappare anche da un tanto abile cacciatore. Era stato stupido a concederle di avvicinarglisi tanto: lei e le sue maledettamente dolci cioccolate, lei e i suoi silenzi carichi di verità, di cose mai dette e di giorni vili e traditori…
Dicevano che la preside le avesse chiesto di convocare il resto del Trio per la “simpatica” riunione post bellum. E ora lei lo tampinava in ogni dove… Che voleva? La sua benedizione? Il suo permesso? Il suo perdono per il tradimento, l’ennesimo, che stavano perpetrando alle sue spalle? Non era aria…
La rabbia e i sensi di colpa lo laceravano dentro, il peso del suo passato lo stava schiacciando, gli toglievano l’aria…
Si era lasciato tutto indietro, cercava di far finta di nulla e di farsi invisibile nell’ombra e nel silenzio; ma portava ancora i segni delle mille cicatrici, sulla pelle e nell’animo. Non ce la poteva fare a sopportare tutto quello, la riunione, il ricordo dei due presidi ed eroi, il ricordo di quella sera che gli aveva stravolto l’esistenza. Quella sera aveva capito che lui non era capace di fare quel che gli era stato chiesto, che non poteva uccidere Silente, che se qualcuno lo aveva protetto da sé stesso e da chi lo circondava quel qualcuno non era suo padre ma Severus Piton. E lui non lo aveva capito, non lo aveva mai ringraziato né gli aveva mai dato un motivo d’orgoglio o un cenno d’affetto preso com’era a cercare l’approvazione di un uomo che l’aveva venduto alla prima occasione.
Sapere, poi, che Piton era una spia dell’Ordine, che lo era sempre stato, e che aveva sempre fatto in modo di proteggere Potter, era stato per lui un altro tradimento! Maledetto Potter e la sua cicatrice: non gli lasciava nulla che fosse solo suo, neppure il ricordo dell’unico uomo che forse gli aveva voluto bene. Doveva per forza mettersi sempre in mezzo!
Certo, Piton odiava l’Harry- figlio di James Potter, il suo aguzzino; ma Harry aveva “i suoi occhi”, gli occhi verdi e profondi di Lily, l’unica donna che Piton avesse mai amato, la sola, per sempre…
 Era stato un borioso buono a nulla, non aveva capito niente del gioco in cui era stato gettato e si era fatto manovrare come una marionetta. Ma neppure questo era vero fino in fondo, perché lui voleva far parte di quel gioco, lui credeva in quelle fandonie, voleva quelle nefandezze e aveva accumulato sbagli su sbagli prima di capire quel che era diventato,  il mostro in cui si stava trasformando.
La verità – amara - era che Potter e, perfino, quel pezzente di Weasley erano migliori di lui.
Si era nascosto in cima alla torre di astronomia, laddove tutto era iniziato. Il vento soffiava forte, il sole calava all’orizzonte e il pensiero che la fine non fosse poi una così brutta cosa cominciava a far capolino tra le nebbie dei pensieri di Draco. Lacrime salate correvano sulle sue guance infreddolite e arrossate lasciando sentieri coperti di spine mentre l’aria sembrava passare a fatica tra le spire di mille serpenti che gli stringevano il petto. Ma non un solo singhiozzo usciva dalla sua bocca. Sentiva di non avere più tempo, di non avere più spazi ne possibilità. Nel buio della sua mente vedeva solo case le cui porte gli erano precluse, giorni che non gli era dato di vivere, aria che non gli era più respirabile. In fin dei conti, si disse, non ci vuole poi molto ad essere liberi… basta un piccolo passo avanti, un po’ di coraggio come quello che aveva dimostrato Silente quella sera quando, ormai prossimo alla fine, aveva cercato di salvarlo da sé stesso e da Voldemort: non lo aveva supplicato di risparmiare la propria vita ma di salvare la sua.
 Ma lui era Draco Malfoy, quintessenza serpeverde, coraggio non ne aveva certo da vendere come quegli incoscienti Grifoni. Si lasciò cadere a terra, sperando invano che questa si decidesse una volta buona ad aprirsi e ad ingoiarlo.
Era ormai calata la notte. Dalla guferia arrivavano i versi irrequieti degli uccelli pronti a sgranchirsi le ali. La paura, il freddo, il dolore e la rabbia si erano mescolati nell’animo di Draco trasformandosi in un peso che lo stava schiacciando, senza più un solo pensiero nella testa. In lui regnava un grande buco nero che assorbiva ogni forma di energia razionale o istintiva, lasciandolo steso al suolo come uno straccio. Non gli era rimasta che la resa, anche di fronte a sé stesso.
Draco fissava stravolto le sue mani, le lacrime che bagnavano le tavole polverose del pavimento e vedeva scorrere davanti a sé le immagini di tutta una vita; sentiva bruciare vecchie e nuove ferite che si era illuso il tempo potesse cancellare; assaporava antiche solitudini che aveva voluto affogare circondandosi di gente, nomi, risate e serate condite da alcool e donnine compiacenti che alla fine lo avevano lasciato più solo di com’era, sparendo nello stesso nulla da cui erano giunti: dove erano ora i suoi amici, quelli “veri” che avevano giurato e spergiurato che sarebbero rimasti con lui sempre, fino alla fine? O morti – Piton, Goyle- o spariti nel nulla. Alcuni non erano neppure rientrati a scuola. Sulla punta delle sue dita poteva contare le persone che ora popolavano il suo universo e, fra queste, ce ne erano alcune che non avrebbe mai creduto ci sarebbero mai state: sua madre, Blaise , la Preside e la Granger… Merlino, com’era caduto in basso!
“Beh, più in basso di così non puoi, Draco! Ora puoi solo risalire!”
Appena quella vocina sottile e subdola gli si era infilata tra i pensieri, un senso di insana ilarità aveva preso ad invadergli le membra, un sorriso folle gli aveva deformato il viso e una risata, tanto simile ad un pianto, isterica gli era salita dalla gola. Draco rideva e piangeva contemporaneamente, gridava quasi, incurante che qualcuno potesse sentirlo. Stava venendo a patti con la sua realtà e lo faceva nell’unico modo che conosceva: da solo e con paura.
 
Affacciata dalla guferia, Hermione seguiva con gli occhi il volo dei gufi che  andavano da Harry e Ron; la mente invece vagava nei soliti pensieri. Nel cielo che con la luce strana del tramonto invernale diventava quasi trasparente, rivedeva la limpidità dello sguardo di Draco, quelle rare volte che abbassava la guardia e permetteva ai suoi demoni di venire a galla… Ancora non capiva perché si era fidata di lui, aveva creduto (doveva farlo, se voleva continuare a sperare) che il mondo poteva essere diverso per loro e aveva guardato dritto nel suo inferno. Sordi ad ogni maldicenza o cattiveria, sembravano, a volte, vivere un universo parallelo. Alice e il Cappellaio Matto in viaggio nel mondo delle meraviglie: peccato che nessuno dei due sapesse quale personaggio stesse interpretando e che le meraviglie non erano sempre poi così incantevoli!
Il vento le portò un urlo, un pianto o una risata… avrebbe riconosciuto quel suono in mezzo a mille!
Stupida, stupida… non faceva che ripeterselo mentre le sue gambe correvano verso la torre di astronomia.
Presto, presto, più veloce… gli scalini sparivano sotto le suole dei suoi stivaletti, il gelo investiva il suo petto ansante mentre il mantello volava via dalle sue spalle.
Doveva arrivare in tempo. Prima…
Si scagliò sulla porta dell’aula con forza, credendola chiusa, pronta anche a farla saltare in aria, ma non fu necessario. Essa si spalancò rumorosamente sotto il suo gracile peso, rivelando una scena inverosimile, a suo modo spaventosa: il corpo di Draco sembrava in preda a crisi epilettiche, il ragazzo rideva con le lacrime che cadevano copiose dai suoi occhi, le mani immerse nei capelli stringevano così forte da sembrare quasi  volerli strappare.
Lo sguardo folle…
Merlino… la paura, il terrore invasero le membra di Hermione. La bacchetta tremava nella sua mano come mai aveva fatto, neppure in guerra. Cosa doveva fare?
Gli si avvicinò piano, se lui si era accorto della sua presenza non ne aveva dato alcun segno. Gli si mise di fronte, pronta ad afferrarlo se mai avesse fatto qualcosa di stupido o avventato, l’incantesimo Petrificus già pronto sulla punta della lingua. Allungò piano una mano verso il suo volto, quasi non riconobbe la sua stessa voce quando provò a chiamarlo.
“Malfoy …. Draco! Draco, guardami … ti prego!”
Una voce, quasi una preghiera, lo stava richiamando alla realtà; un tocco come una piuma accarezzava dolcemente il suo viso. Improvvisamente si rese conto di quello che stava facendo e si immobilizzò, zittendosi.
Era lei. Ne avrebbe riconosciuto il profumo ovunque. Era lì, con lui, nel suo momento più buio, lei era lì. Benedetto coraggio grifondoro!
Aprì gli occhi solo per perdersi nelle iride adombrate e preoccupate della sua compagna. La voce risultò rauca e stonata perfino a lui.
“Hermione. Alla fine mi hai trovato!”
“Tu volevi che io ti trovassi!”
Un mezzo ghigno. “Scusa.”
Quella parola segnava la sua resa, ultima ed incondizionata. Chiedendole scusa iniziava a perdonarsi le sue colpe, ad ammetterle e a perdonarle, senza voler più essere né la vittima né il giudice di nessuna storia, neppure della sua.
 
Scesero dalla torre che era notte fonda, poggiandosi l’una all’altro. Si fermarono nelle cucine e poi scesero nei sotterranei. Hermione lasciò Draco davanti al muro che nascondeva l’ingresso al covo Serpeverde (“ Late biosas” “Cosa? Che hai detto, Draco?” “ Late biosas, Hermione… la parola d’ordine. Non si sa mai” “Vivi di nascosto… che originalità! Buonanotte” “’Notte”) e si avviò verso la sua torre.
 

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Capitolo 2
*** capitolo II ***


Capitolo II
Gli ultimi giorni d’inverno sembravano i più freddi: il vento furioso si abbatteva sul castello quasi volesse distruggerlo e, i ragazzi ne erano certi, quello resisteva solo per via della magia. Intorno era solo un muro, bianco di giorno e nero di notte. E l’ululato del vento. Sempre. Certe volte faceva paura, specie ai primini.
Naturalmente, di gite ad Hogsmade nemmeno a parlarne, con buona pace di tutti i musi lunghi degli studenti.
Furono giorni convulsi, confusionari, massacranti. Strani.
Nasi rossi e colanti, tossetta stizzosa, starnuti e vocine irrimediabilmente fastidiose per via dei nasi tappati erano diffusi in ogni angolo di corridoio; la fila per le pozioni davanti all’infermeria era lunga e appestante. Del resto, si sa, che la sala d’attesa di una medicheria è il posto migliore dove recuperare qualche malanno! La cosa peggiore, però, era che sembrava che il vento riuscisse a sconvolgere l’interno delle anime degli abitanti del castello come gli alberi all’esterno. L’aria che si respirava era come artefatta, sembrava che ogni cosa non fosse dove doveva essere, gli studenti male assortiti, annoiati, apatici…come si sentiva la mancanza di quei due pazzi e geniali gemelli Weasley!
La preside, invece, sembrava essersi calmata e aver decretato una sorta di tregua. “La quiete prima della tempesta!” Aveva sentenziato Draco, una sera. Hermione l’aveva guardato di sbieco, fulminandolo, ma aveva dovuto annuire.
Il ragazzo si stava riprendendo: se i Malfoy erano rimaste una delle famiglie col sangue più puro del mondo magico lo dovevano sicuramente alla loro tenacia e testardaggine nel mantenere e centrare i propri obbiettivi! E Draco aveva anche sangue Black nelle vene… un po’ di coraggio doveva pur averlo ereditato da quei due pazzi di Regulus e Sirius!
Certo non era facile. Dopo quanto era accaduto a Draco prima di Natale, l’agguato per il quale lui aveva passato due giorni in infermeria e per cui – nello stupore generale – la Granger aveva dichiarato che chiunque era stato se la sarebbe vista con lei (naturalmente perché era stato un atto indegno, da vigliacchi e assolutamente contro le regole!), le iniziative si erano limitate all’invettiva, magari lontano dalle orecchie dell’interessato. Da quando, però, si era sparsa la notizia della cerimonia in memoria dei due presidi, alcuni studenti avevano lasciato trapelare in maniera abbastanza nitida il loro disappunto sul fatto che i Serpeverde non fossero stati esclusi, soprattutto Malfoy, visti i suoi trascorsi poco rassicuranti e le antiche compagnie per nulla raccomandabili.
 La McGranitt era stata categorica sul fatto che nessuno ad Hogwarts viene escluso e che tutti gli studenti sono uguali, ma l’aria intorno al ragazzo si era fatta pesante. Per questo la preside aveva chiesto ai professori e ad Hermione di essere particolarmente attenti all’evoluzione dei fatti.
La ragazza sapeva bene che lui non avrebbe mai accettato di farsi scortare per il castello. Perciò decise che non era il caso di dirglielo ma si adoperò affinché tutti, ma proprio tutti, tranne l’interessato, sapessero che lei aveva una memoria lunga e non aveva ancora né smesso di cercare né voglia di perdonare quelli che si erano macchiati di tanta viltà. Sperava, nel frattempo, di trovare qualche indizio su chi fossero ma il muro di omertà era veramente spesso e questo era strano, molto strano, visto che ad Hogwarts nessun segreto era mai stato veramente tale.
Evidentemente intorno a Draco c’era perfino più disprezzo di quanto si notasse.
Fu così che un pomeriggio l’intero corpo studentesco dovette prendersi a pizzicotti per capire se ciò a cui stavano assistendo forse realtà o un sogno.
Durante l’ora più affollata, le porte della biblioteca si aprirono e il rapido ticchettio dei passi che seguirono il loro cigolio lasciava pochi dubbi su chi fosse entrato ma molti sulla scelta dell’orario dal momento che, era risaputo, la caposcuola Granger passava sì molto tempo in quelle sale ma, di solito, preferiva orari in cui difficilmente il movimento degli studenti potesse disturbarla. Perciò furono in tanti a girare lo sguardo verso di lei che avanzava altera e sicura con lo sguardo severo e i libri stretti al petto come un’armatura.
La ragazza, all’apparenza indifferente a quanto le accadeva intorno, andò dritta verso l’ultimo tavolo in fondo alla sala, quello sotto un grande finestrone con i vetri fittamente e scuramente colorati, dove la luce del sole arrivava male ma quel tanto che bastava per rendere inutile il lume delle candele: il posto ideale dove andare se non si voleva studiare con nessuno, non essere disturbati e diventare ciechi! Il posto di Draco.
La caposcuola gli si fermo proprio di fronte, spostò la sedia e poggiò i libri, facendo forse un po’ troppo rumore. Mentre si sedeva, senza peraltro chiedere il permesso, il ragazzo alzò gli occhi dal suo manuale di pozioni e la fissò: sorpresa, rabbia e paura scorsero rapidamente attraverso le sue iridi.
“Che cosa stai facendo, Granger?” sibilò, stringendo gli occhi e storcendo il labbro.
“Hermione, Draco. Her-mi-o-ne. Ti ricordi?” Noncurante, la ragazza trasfigurò la vecchia candela in una lampada da studio pseudo-babbana che migliorò considerevolmente le condizioni di vista.
“Studio, come vedi. La cosa ti disturba?”
“E, dimmi, Her-mi-o-ne, come mai proprio qui? Non c’era un altro cavolo di posto in tutta questa polverosissima biblioteca?” Stavolta il veleno fuoriusciva fiotti dalle sue parole.
“ Certo, ma tu studi pozioni e sei l’unico, e sottolineo l’Unico, a prendere un voto più alto del mio in qualcosa! – pausa e sospiro - Ho una proposta da farti, Draco…” e così dicendo sventolò, con fare ammiccante, sotto il suo naso il volume di Aritmanzia, croce e disastro del ragazzo di fronte a lei.
“Uhmm, potrebbe essere conveniente…”, fece il ragazzo, improvvisamente interessato.
Il siparietto si era consumato all’insaputa del malcapitato Serpeverde ed a uso e consumo degli altri studenti, alcuni dei quali sull’orlo del soffocamento nel vedere i due ragazzi seduti a parlare senza maledirsi. Anzi. La cosa si ripeté anche nei giorni a seguire, tanto che tutti dovettero farci l’abitudine e convenire sul fatto che se con quella Serpe poteva conviverci la Granger potevano farlo tutti!
Naturalmente, quella “convivenza” che tanto lo faceva sentire un “sorvegliato speciale” non piaceva a Draco e non mancò di renderlo chiaro ad Hermione alla prima occasione.
Una sera, durante la ronda, il ragazzo, furente, ricordò alla sua compagna di sventure di non essere un lattante, di non aver bisogno di una tata e di sapersi difendere da solo, all’occorrenza.
“Non ne dubito, Draco, ma vedi - rispose lei mentre controllava aule vuote e retri di statue – ciò non toglie che io voglio arrivare tranquilla ai miei M.A.G.O e sapere che qualcuno potrebbe nuovamente pestarti a sangue nuoce terribilmente alla qualità del mio sonno e del mio riposo. Oltre che a quello della preside, naturalmente.”
“Ah sì? E secondo te e secondo quella mummia della tua mentore, se qualcuno volesse farmi qualcosa lo farebbe in biblioteca o in aula o in sala grande o in qualunque altro posto possa essere visto? O vuoi seguirmi anche in bagno, eh?”
Chiunque li avesse visti non avrebbe capito che i due stavano litigando, al più che si stavano scambiando qualche battuta al vetriolo, come erano soliti, e comunque stavano portando avanti una ronda più che puntigliosa. Questo almeno fin quando l’improvviso rumore di un pugno sul muro fece saltare la caposcuola grifondoro che, voltandosi, si trovò davanti il ritratto dell’ira e della frustrazione.
“Lo so, Draco. Non piace neppure a me”.
Finito il giro, i due si diressero verso le cucine, per poi ritornare ai rispettivi alloggi. Prima di separarsi, la ragazza infilò una mano nella tasca della sua divisa e, facendo forza su sé stessa, prese una cosa e l’allungò al ragazzo.
“Bada bene: non è un regalo. Quando questa storia sarà finita, me lo restituirai.”
“Sei impazzita, Granger! Non ho certo bisogno di un tuo misero galeone!”
Hermione iniziò a battere nervosamente il piede e a sbuffare.
“Non essere sciocco, Draco! Guardalo bene.”
L’avvicinò al viso. La moneta scottava, sulla sua superficie le lettere erano cangianti e sembravano scrivere qualcosa … sciocca serpe!
Alzò gli occhi sulla ragazza che, di fronte a lui, stringeva una moneta identica e vi muoveva un dito sopra, come a scrivere qualcosa. Galeoni stregati!
“Ne avevo preparato qualcuno all’epoca dell’ES, perciò non ci scoprivate mai.  Questi, in particolare, ci hanno salvato diverse volte! L’ho in parte modificato, potrai scrivermi brevi messaggi, qualora volessi dirmi qualcosa. Ma potrai anche semplicemente stringerlo e io saprò che hai bisogno di me. Quando lo sentirai bruciare, invece, vorrà dire che sono io che ti cerco. Tienilo sempre in tasca con te, usalo e non mi avrai intorno sempre…”
Gli occhi di Draco andavano avanti e indietro, dalla moneta al viso serio della ragazza, sinceramente meravigliato. Si riprese e ghignò.
“ Non è che questa moneta era quella dello Sfregiato, no?”
“Tu pensa solo a restituirmela integra!”
Poi, sdegnata, gli voltò le spalle e si incamminò verso la torre, mentre lui la guardava sparire alla fine del corridoio. In fondo gli sarebbe mancato un po’ l’averla sempre intorno, ma non l’avrebbe ammesso neppure sotto tortura!
Davanti alla signora grassa, Hermione sentì bruciare la moneta nella tasca. Preoccupata, la prese e lesse : Grazie.
 
Da quella sera la ragazza allentò la presa ma rimase sempre vigile e, soprattutto, chiese agli elfi, ai fantasmi e ai quadri di esserlo, dal momento che erano gli unici che potevano sentire se qualcosa si andava preparando ai suoi danni o accompagnarlo nel buio dei sotterranei e nella solitudine della sua casa, dietro il muro. Del resto se lui avesse stretto la moneta in caso di bisogno, lei avrebbe saputo che era nei guai ma non dove era. E questo non era un particolare da sottovalutare!
 
Quando Merlino volle, l’inverno finì.
L’arrivo della primavera li trovò quasi impreparati, il tempo era trascorso senza che se ne accorgessero. Una brezza leggera aveva preso il posto del vento furioso, un verde chiaro e luminoso aveva ricoperto i prati intorno al castello, dalla foresta arrivavano i suoni di una natura che ricominciava il suo ciclo, inarrestabile. Solo le spesse mura del castello che avevano strenuamente combattuto contro il gelo e il vento sembravano non essere state contagiate dal primo pallido sole che richiamava alla vita ogni essere vivente al di fuori di esse. Ma tutti sapevano che si sarebbero preso arrese alle edere e ai fiorellini che inarrestabili si sarebbero ripresentati ad assalirne l’inutile severità.
La McGranitt e gli altri professori non rendevano affatto facile godersi questa rinascita a nessuno degli studenti: G.U.F.O. e M.A.G.O. erano spettri che venivano agitati davanti ai loro occhi sempre più frequentemente, in maniera direttamente proporzionale al migliorare delle giornate e del buonumore nel corpo studentesco. Per gli studenti del quinto e del settimo anno era veramente difficile conciliare il dover studiare col volersi lasciare andare e vivere un po’ quel ritrovato spirito di libertà.
Naturalmente, Hermione studiava. Seguiva la sua rigida tabella di marcia: alzarsi presto e ripetere; fare colazione e seguire le ultime lezioni; ripassare nelle ore buca; studiare ed approfondire in biblioteca nel pomeriggio; ripassare e ripetere fino a tarda sera.
La “qualità del sonno e del riposo” di Hermione non era stata intaccata dai brutti incontri che avevano paventato per la Serpe e le ripetizioni incrociate di Pozioni e Artimanzia davano ottimi frutti.
Harry e Ron sarebbero arrivati per la commemorazione, insieme a molti altri tra studenti e membri dell’ordine e del Ministero, ma non prima degli inizi di giugno, dopo la fine degli esami. E bisognava studiare.
Ritagliarsi del tempo era difficile. Spesso si vedevano solo la notte, davanti alla cioccolata, e parlavano della difficoltà di essere quello che erano, dei simboli indipendentemente dalla loro volontà di esserlo … Ma certe volte sfuggire a Gazza era difficile, anche perché la sua gatta si era resa conto dei strani movimenti notturni intorno alle cucine. Una volta, per non farsi sorprendere, furono costretti a riparare nella vecchia aula di Divinazione: Hermione non ricordava di aver riso tanto da molto tempo ormai e, quasi, pensava non l’avrebbe più fatto; Draco era sicuro di non essere mai stato tanto in pace col mondo come quando si accomodarono su un mucchio di vecchi cuscini e, spalla a spalla, erano rimasti a guardare le stelle in silenzio e ad ascoltare il fruscio del vento tra i rami della foresta proibita.
Agli occhi di Hermione, la situazione rasentava la perfezione.
Ma, evidentemente, solo a quelli di Hermione.
Il rapporto ormai più che amichevole che si era stabilito tra lei e Draco, complice anche il fatto che le temperature primaverili avevano solo in parte sciolto il gelo dei rapporti tra i reduci di guerra e il resto degli studenti, non era passato inosservato. Non che i due ragazzi facessero chissà cosa, specie in pubblico: ripassavano insieme un paio di volte la settimana in biblioteca (secondo i patti stabiliti in pubblico accordo, come voluto dalla McGranitt), si salutavano con un cenno della testa se si incontravano nei corridoi, evitavano maledizioni e litigi; eppure il clima sereno e quella certa “familiarità” che si scorgeva nei loro sguardi era risultata evidente a qualcuno.
Evidente e per nulla gradita.
Cormac McLaggen era Grifondoro. Veniva da una illustre e blasonata famiglia. Vantava amicizie e parentele illustri, sia per sangue che per meriti magici. Aveva combattuto la guerra al fianco di Harry, facendo la sua parte con coraggio e valore.
Ma tutto questo, evidentemente, non era abbastanza.
O almeno non lo era per ottenere l’attenzione di Hermione Granger, eroina di guerra, strega modello, sua personale ossessione fin dai tempi del Lumaclub. Lei, che aveva accettato un suo invito solo per abbandonarlo in mezzo alla festa, facendolo sentire ridicolo; lei, che lo trattava alla stessa stregua degli altri compagni di casa; lei, che gli aveva sempre preferito Weasley. Lei.
E fino a Weasley, Cormac se l’era fatto andar bene, poteva capire che lei avesse un debole per quel ragazzone forse un po’ rozzo, ma buono, leale, coraggioso, proveniente da una famiglia certamente non ricca di denari ma sicuramente di onore. Poteva capire e, amaramente, accettare.
Ma Malfoy, no.
Non lo capiva e non lo accettava. Non il mangiamorte, il traditore.
Più ci pensava, più la rabbia montava. Ed era una rabbia cieca e furiosa, alimentata dal fatto che sembrava che questa sorta di “tregua amichevole” tra i due era “benedetta” dalla McGranitt. Evidentemente anche la professoressa si era bevuta il cervello.
Più passava il tempo, più McLaggen assimilava Hermione ad una traditrice. E la furia lo acceccava, alimentava fantasie inesistenti, costruiva legami che non c’erano: A volte gli capitava di girarsi di scatto mentre camminava credendo di averla vista amoreggiare con Malfoy dietro una colonna o in un anfratto del castello!
Hermione, presa da mille cose e ancor più pensieri, non aveva dato peso ai malumori del compagno di casata, assimilandoli a quelli che troppo spesso sentiva in giro per i corridoi e a cui aveva deciso di non reagire ma di far finta di nulla. A lungo andare, per dirla tutta, non li sentiva proprio più, divenuta cieca e sorda di fronte a tanta vigliaccheria.
Forse fu per questo o perché aveva troppa fiducia nel buon cuore dei Grifoni o, più semplicemente, perché aveva abbassato le difese che non si rese conto di nulla quando una dolce sera di metà Aprile uscì dalle serre per tornare al castello. Aveva appena finito un interessante ripasso “pratico” ( i libri la fanno tanto semplice…sporcarsi le mani nella terra e “convincere” delle piantine recalcitranti a starsene nel vaso che hai deciso per loro non è esattamente la stessa cosa che leggerlo sui libri) con Neville su come far crescere sane alcune erbe mediche e, con la divisa sporca e spiegazzata, i libri nello zaino, l’espressione da bimba beata che aveva giocato con la terra tutto il pomeriggio, stava attraversando il prato che divideva le serre dal castello con aria sognante e passo lieve. Vide McLaggen lungo il sentiero ma non se ne impensierì, anzi lo salutò con fare distratto, assorbita da pensieri leggeri. Fu un attimo e se lo ritrovò addosso. Le aveva sfilato, gettandola via, la bacchetta e, tenendole la mano premuta sulla bocca la stava trascinando al limite della foresta proibita, sussurrandole deliranti accuse di tradimento e minacciando di cruciarla se solo si fosse permessa di fiatare. Voleva vendetta e voleva soddisfazione.
“Guardala l’eroina di guerra, la regina dei grifondoro! Guardala: che aria beata! Cos’è? Ti sei divertita con quel mangiamorte, eh?”. Le sue parole erano un distillato di rabbia e veleno, mentre la sbatteva a terra e le impediva di parlare con un incantesimo.
“Non ti bastava Weasley, eh? Troppo gentile, troppo carino… E io? E no! Cosa non ti andava bene, eh? Troppo di sani principi, non siamo eccitanti? Invece quel bastardo va bene, eh? Mi fai schifo!”
E le sputò addosso.
Hermione inizialmente faticò a capire cosa stesse succedendo, con chi aveva a che fare, cosa le volesse fare. Possibile che fosse proprio il suo compagno? Quando finalmente il suo cervello riuscì a rimettere insieme i pezzi e a capire cosa stesse realmente succedendo, lui la stava schiaffeggiando, insultandola in ogni maniera… Non si rese nemmeno conto della sua mano stava stringendo il galeone nella tasca quasi fino a stritolarlo.
 
Nella sala comune di Serpeverde regnava il solito caos ordinato: tra Serpi, infatti, era nel silenzio che si progettavano e perpetravano le migliori attività, nel bene e nel male. Perciò l’urlo di dolore, acuto ed impensato, proveniente dalla camera sigillata di Malfoy si rivelò un’insolita novità. Quando, poi, lo videro schizzare fuori come se stesse inseguendo il boccino nella finale della coppa delle Case contro Grifondoro, il brusio che si levò era quasi obbligato.
Un attimo prima, Draco stava studiando Pozioni. Un  calore come un fuoco intenso e terribile lo punse improvvisamente sulla gamba: il galeone incantato della Granger! Non riuscì ad impedirsi di urlare, ma il suo cervello si mise immediatamente al lavoro: dove poteva essere? Il doblone diceva solo “Aiuto!” e bruciava tanto: quale disastro poteva spaventare così la Granger? Perché non gli diceva dove andare? Grifondoro… sempre le cose a metà! Chissà come avevano fatto a non farsi ammazzare da Voldemort quei tre…
Mentre saliva le scale, ricordò di averle sentito dire di avere appuntamento con Neville alle serre quel pomeriggio. Vi si diresse correndo, nei corridoi videro passare solo un fulmine biondo. Draco correva, volava, aveva una paura terribile, un presentimento indicibile: doveva far presto!
 I suoi sensi allertati e allenati da anni di guerra erano diventati sensibilissimi a cogliere ogni indizio, ogni segno o rumore. I suoi occhi colsero un baluginio nell’erba: la sua spilla da prefetto. Poco più in là, verso la foresta, stava la sua bacchetta: non si poteva difendere! Draco la raccolse e si guardò attorno: alcuni fili di erba spezzata e orme nel fango lo fecero volgere verso la foresta proibita, da cui sembravano provenire anche alcuni rumori, come colpi. Vi si gettò a capofitto. Quando, col fiato rotto, arrivò alla fine della radura, l’ira lo prese e lo fece agire d’istinto, colpendo in maniera fulminea, come nella sua natura.
“Stupeficium!”
Il corpo di McLaggen atterrò ai piedi di una quercia, dopo averci sbattuto la schiena e perso i sensi: stava schiaffeggiando la Granger, svenuta, standole a cavalcioni e ingiuriandola, minacciandola di farle ben altro.
“Petrificus totalus!”
Così non si sarebbe mosso da lì, quel verme, mentre lui portava di corsa la ragazza in infermeria e avvisava chi di dovere.
 
Di quello che seguì all’arrivo di Draco con Hermione tra le braccia in infermeria, il ragazzo non seguì quasi nulla. Spinto via a forza dall’infermeria, si lasciò scivolare a terra e con la testa tra le mani, le ginocchia al petto e gli occhi sbarrati, non faceva che rivedere la scena che si era trovato di fronte, ogni volta scoprendo un nuovo tragico particolare, ogni volta rinnovando il dolore e il senso di stupore: com’era mai stato possibile?
Draco non vide l’andirivieni di professori, non sentì l’urlo strozzato della preside, non si rese conto delle parole, delle lacrime, delle corse dei compagni … i suoi sensi erano tutti volti a cogliere qualunque cosa provenisse da oltre quella porta, qualunque segno potesse dirgli come stava, se si era svegliata, cosa le aveva fatto quel bastardo… bastardo la cui vita non sarebbe stata ancora lunga, fosse dipeso da lui.
 Non si accorse nemmeno degli sguardi straniti e colpevoli che si posavano su di lui da parte di quei ragazzi, tutti, che non si erano accorti di quando e da quanto tempo le cose fossero cambiate, da quando aguzzini e salvatori si fossero scambiati i ruoli: erano stati tutti così ciechi? Così chiusi? Così presi a rivangare e rinfacciare il passato da non vedere, anzi da sorvolare sulle presenti ingiustizie… avevano visto e sentito tutti il delirio di McLaggen ma non lo avevano preso sul serio, anzi a volte in alcuni aspetti lo avevano addirittura condiviso … Com’era mai stato possibile?
L’unica cosa che sentì fu l’arrivo di Blaise al suo fianco, confuso ma presente, e poi la mano di Madama Chips che si poggiava sulla sua spalla prima di dirgli che la ragazza si era svegliata e aveva chiesto di lui.
L’infermiera lo condusse oltre la porta che separava il trambusto del corridoio dal silenzio della sala di cura. Un intenso odore di dittamo gli punse le narici, il riflesso di tutto quel bianco lo abbagliò; anche l’improvviso silenzio gli sembrò strano, quasi lo schiaffeggiasse per farlo svegliare.
La sola macchia di colore gli parvero essere i suoi capelli sparsi sul cuscino, almeno finché Hermione non aprì gli occhi e lo chiamò a sé. Si avvicinò piano e si sedette sulla sedia accanto al letto. Non osava guardarla, davanti ai suoi occhi aveva ancora l’immagine del suo volto tumefatto e sanguinante.
“Draco, grazie”
“Non ringraziarmi”.
“Guardami. Non è colpa tua!”
Un pugno si abbatté sul suo ginocchio. “ E invece si!”
“ E invece no! Non puoi considerarti colpevole per ogni atto che ogni idiota compirà nei prossimi decenni! E, credimi, Cormac McLaggen è sopra ogni cosa un grandissimo idiota!”
“Un idiota che stava per ucciderti…”
“Nooo! Non c’è riuscita la guerra, voleva riuscirci lui? Ma va …che sciocca,eh? E io che mi preoccupavo per te! Meno male che avevi il galeone!” Un sorriso tirato e dolente si aprì sul volto della ragazza. Draco, allora, s’infuriò.
“Ma la smetti? La smetti di sminuire tutto? Non è stato uno scherzo … poteva finir male! E solo perché ci ha visti studiare insieme… che succederà se dovessimo anche solo salutarci per i corridoi, eh?”
Così dicendo si era alzato e, guardandola in faccia con occhi distrutti, non credette a quello che vedeva…
“Piantala tu! Che pensi,eh? Che non ho sentito quello che diceva? Ma io non mi sono fatta mettere i piedi in faccia da Voldemort, da te e da tuo padre e pensi che mi possa spaventare di quel quaquaraquà? E non azzardarti a dire che te ne vuoi andare da scuola!” Ormai dalle orecchie di Hermione usciva il fumo e del bel silenzio dell’infermeria restava solo il ricordo…
Draco fece un respiro e abbassò il volume ma non il tono delle risposte
“Non azzardarti a dirmi quel che devo o non devo fare, Granger! Io non resterò qua a fare da bersaglio a quelli come McLaggen né a preoccuparmi che lo diventi qualcun altro… La prossima volta potremmo non esser così fortunati!”
“E allora vorrà dire che si abitueranno a vederci andare in giro insieme, che gli piaccia o no!”. Quando voleva, la voce della ragazza sapeva essere un sibilo perfetto!
“Tu sei matta, Granger…”
“Hermione, Her- mi-o ne…”
“Non cambia! Tu sei folle, Hermione! Ma del resto, a stare con quei due qualche danno lo dovevi riportare, no?”
“Vorresti porre rimedio tu?”
Draco stava per sputare un’altra delle sue famose rispostacce al veleno, ma si rese conto che non era il momento, quello. E non solo perché non era il caso che Hermione si alterasse in quelle condizioni ma soprattutto perché era tempo che le cose cambiassero, avevano diritto alla libertà!
Si decise ad alzare la testa e a fissare la ragazza: veva un occhio pesto, il labbro spaccato, le guance tumefatte… ed era bellissima!
“Non dirmi, poi, che non ti avevo avvisato…”
Hermione non rispose, lasciandogli la soddisfazione di aver avuto l’ultima parola, ma era meglio che non ci si abituasse troppo. Sorrisero.
Quando madama Chips rientrò, accompagnata dalla preside, si stava chiedendo se avesse fatto bene a far entrare il ragazzo, quel ragazzo, e a lasciarlo con lei. E lo stesso pensiero era nella mente della McGranitt. Ma quando tolse il velo si trovò davanti solo due ragazzi che ridevano.
“Comunque, quel galeone è come tutte le pensate di voi grifoni: a metà! Mi spieghi come mi avresti trovato se fosse successo a me?”
“Semplice! L’avrei saputo prima che tu potessi stringere la moneta! Ti tengo d’occhio, io… ovunque!”
“ I ritratti … ecco perché ne erano spuntati dappertutto, perfino in … bagno! Oh no…”. Draco si coprì il viso, rosso come un bimbo pescato con le mani nella marmellata.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Capitlo III
 
Con le belle giornate per lo spirito degli studenti di Hogwarts era iniziata la fase della ribellione: volevano uscire dal castello! Il richiamo di Hogsmeade era forte: la burrobirra, gli scherzi di Zonko e dei Weasley per far impazzire Gazza, i dolci di Mielandia…c’era chi avrebbe ucciso per un paio di manciate di api frizzole!
Ogni casa organizzava il suo dissenso al dover rimanere confinati nelle quattro mura del castello secondo le proprie attitudini, ma tutte concordavano nell’azione comune che si esplicava nella prestar poca o nulla attenzione a lezione. Inoltre, ora avevano anche un buon motivo: spettegolare su quanto Cormac McLaggen aveva fatto ad Hermione Granger!
Chissà perché ancora la notizia non era arrivata alla Gazzetta del Profeta…
I Tassorosso, che - parola di Serpeverde - sembravano essere nati col solo scopo di spettegolare, ci sguazzavano come non mai!
La battaglia fu vinta in quel fine settimana, quando finalmente la Preside li lasciò fluire per le vie del paese, liberi e festanti.
Non tutti, però, erano festanti.
Draco Malfoy avrebbe di gran lunga preferito restare al castello e, magari, approfittando del deserto che si era creato, scivolare lungo quel corridoio isolato del terzo piano, nelle vicinanze di quella misera, insulsa, lurida e maledetta porticina stregata che divideva la sua bacchetta dalla vita di Cormac McLaggen!
Purtroppo però quella megera della McGranitt lo aveva sorpreso qualche giorno prima mentre cercava di trovare nella moltitudine degli incantesimi  da lui conosciuti (alcuni non proprio “legali”) quello adatto a spalancare la porticina di cui sopra e a porre fine alla rabbia che lo stava tormentando. Perché un trauma cranico, due costole incrinate e una spalla rotta non potevano bastare come punizione per quello che aveva compiuto, nemmeno se Madama Chips pareva aver scelto le cure più lente e dolorose per guarirlo prima di trasferirlo in un reparto di eccellenza del S. Mungo, quello destinato a chi aveva manifestato problemi di ordine psicologico dopo la guerra, e tentarne il recupero.
Hermione non aveva voluto saperne di denunciarlo e farlo sbattere ad Azkaban…  Infinito buon cuore o deficienza acuta Grifondoro? A parer suo, sicuramente la seconda!
Comunque sia, la McGranitt lo aveva graziato solo a patto che Blaise gli rimanesse attaccato e lo tenesse lontano dal terzo piano. Pure la Granger lo aveva rimproverato (“Non essere sciocco, Draco! Se fosse stato in sé non l’avrebbe mai fatto!”). E ora, dal momento che il suo amico voleva andare a passeggio, doveva passeggiare pure lui… Salazar!
Meglio non chiedersi cosa avesse fatto di male per meritarsi tutto questo!
  • E smettila con questo broncio! Sembra di esser tornati al primo anno, quando Potter non ti ha voluto stringere la mano. Dai, adesso ce ne andiamo ai Tre manici di scopa e ci prendiamo una bella burrobirra. Poi, magari, cerchiamo un regalino per la Granger, che dici?
Il tono dell’amico si era fatto improvvisamente ricco di sottintesi e ironia… Draco lo mandò a farsi un giro a Tassorosso con lo sguardo e s’imbronciò ancor di più.
Ecco, se fosse rimasto al castello, sarebbe potuto andare da Hermione e farle compagnia. Ma la megera non ne voleva sapere: o con Blaise al villaggio o con Blaise al castello, nei sotterranei di Serpeverde. Non si fidava!
Ovviamente, aveva scelto il villaggio. Anche perché, se no, chi lo sentiva Blaise!
 
Quando la notizia ufficiosa di quanto accaduto era giunta al quartier generale degli Auror, Harry e Ron praticamente si sarebbero smaterializzati senza neppure chiedere il permesso se Shackelbot non li avesse trattenuti per la collottola: eroi del mondo magico – ok! - ma sempre matricole erano e dovevano rispettare le regole!
Si ritrovarono, furenti, a infilarsi nel primo camino disponibile al ministero con destinazione Hogwarts solo nel fine settimana successivo, quello che coincideva con l’uscita degli alunni ad Hogsmeade.
Avevano due priorità: primo, vedere Hermione e rassicurarsi che stesse bene; secondo, fare due chiacchiere con McLaggen prima della sua espulsione da scuola e conseguente inserimento “altrove”, magari lasciato alle loro amorevoli cure. Due chiacchiere molto calorose, soprattutto Ron…
La preside, avvisata del loro arrivo, aveva provveduto a svuotare la scuola: non voleva rischiare un incontro tra i due salvatori, quello del “mondo magico” e quello “della Granger”. Meglio prevenire che curare, si era detta.
All’apertura del camino, venne investita da uno spostamento d’aria e polveri portentoso che la sbalzò via mentre i due ragazzi si avventavano di corsa sulla porta dello studio.
  • Signor Potter! Signor Weasley!
  • Scusi professoressa, andiamo un po’ di fretta. Non dubiti che ci fermeremo a parlare con lei prima di andarcene.
  • E invece, vi fermerete ora.
La preside si sistemò gli occhiali sul naso e con la bacchetta si ripulì le vesti, prima di riprendere.
  • Credo sia mio dovere informarvi che le condizioni di salute generali della signorina Granger sono piuttosto buone sebbene a prima vista l’impatto possa risultare, ehm,… diverso, se così si può dire.
I due ragazzi si rabbuiarono e iniziarono a seguire la loro vecchia professoressa che faceva strada verso l’infermeria.
  • Professoressa, perché non siamo stati avvertiti prima di quel che è successo? Lo sa che ormai noi siamo la sola famiglia che Hermione abbia!
  • E’ stata una richiesta della signorina Granger. Non voleva vi preoccupaste, ha detto, inutilmente.
  • INUTILMENTE! HARRY, HAI SENTITO?
  • Signor Weasley, abbassi la voce! Credo abbiano sentito tutti i quadri della scuola…”
  • Professoressa ci scusi ma Ron ha ragione… lei doveva informarci subito! E poi, una simile aggressione… come è stato possibile?
  • E, soprattutto, ora dove si trova McLaggen, eh? Miseriaccia, se gli metto le mani addosso…
  • Signor Weasley! Farò finta di non aver sentito!
Ron sbuffò guardando Harry che, al momento era molto più preoccupato del senso che poteva avere l’espressione “impatto diverso” usata dalla McGranitt prima. Il resto della strada venne percorso in silenzio, si sentiva solo il leggero bisbiglio dei quadri, decisamente emozionati dal rivedere in quei corridoi Harry Potter.
  • Siamo arrivati. Madama Chips vi accompagnerà dalla signorina Granger. Prima di lasciarvi andare, però, vi raccomando di non urlare – e così dicendo guardò in maniera eloquente Ron, che arrossì – di non stancarla troppo con le vostre domande – stavolta guardò Harry che improvvisamente trovò interessantissime le punte delle sue scarpe – e di cercare di essere comprensivi, di guardare oltre le apparenze… ultimamente in questa scuola ha fatto troppi danni il non voler vedere ciò che è, preferendo rimuginare su quel che era, quel che sarebbe stato e su quel che non sarà mai.
Gli occhi della donna erano tristi, scuriti da un velo che Harry conosceva molto bene, il senso di colpa.
L’infermiera non era molto contenta di lasciarli passare ma, vista la presenza della preside e viste le promesse - su tutti i maghi – dei due ragazzi, si decise a guidarli attraverso i candidi letti fino al capezzale della ragazza.
Hermione stava studiando,  con i libri sparsi sul letto e la testa china a cercar di capire qualcosa di una difficilissima pozione dagli ingredienti rari e delicati, le cui proporzioni dovevano essere rispettate alla perfezione onde evitare incidenti catastrofici.
Naturalmente Hermione riconobbe subito dal rumore dei passi i due ragazzi.
- Harry! Ron! Voi, qui? - Gli occhi brillavano – Che bello! Siete venuti!
Gli ematomi si stavano assorbendo e avevano preso una leggera colorazione violacea e verdastra, l’occhio era ancora un po’ gonfio ma si apriva e anche il labbro ormai era guarito. Eppure Harry e Ron non riuscirono a non mostrare la “sorpresa” nel vedere la loro amica in quelle condizioni.
  • Merlino… Hermione! Come stai?
 Riuscì a dire Harry a mezza voce, riprendendosi appena dalla vista di lei.
  • ’Mione…
Ron sembrava quasi piangere.
La McGranitt li aveva avvisati, ma lo shock era stato duro ugualmente.
  • Ehi! Sto bene… non sarò un grande spettacolo, ma madama Chips mi sta rimettendo in sesto alla grande! Sto molto meglio di quel che sembra, solo gli ematomi ci mettono un po’ a scomparire! Non fate quelle facce…
Come una secchiata d’acqua gelida, le parole e la voce di Hermione, specie quel tono che sembrava essersi rattristato rispetto alla felicità espressa dalla luce degli occhi quando li aveva visti arrivare, fecero riprendere i due.
- Miseriaccia, ‘Mione! Non possiamo lasciarti che ti cacci in qualche guaio?
  • Quella non sono io, Ron. In genere siete tu ed Harry a finire nei guai. E non chiamarmi ‘Mione…
  • Si, si…scusa! E’ che non riesco a capire… perché non ci hai detto nulla?
La ragazza abbassò gli occhi sulle mani che torturavano  il libro.
  • Ve lo avrei detto appena fossi stata un po’ più … presentabile, ecco! Non volevo mi vedeste così… non volevo vi preoccupaste troppo!
  • Così? Troppo? Hai idea del coccolone che ci siamo presi quando lo abbiamo saputo? Stavamo scappando dall’accademia! Shacklelbot ci ha ripreso e ci ha fatto una lavata di testa memorabile e noi eravamo morti di paura e di pensiero e non sapevamo come stavi e…
  • Harry! Prendi fiato… Quel che Harry prova a dire è che ti vogliamo bene e preoccuparci per te è una costante. Anche se di solito sei tu che devi preoccuparti per noi… Raccontaci cosa è successo: come è stato possibile?
Hermione alzò gli occhi sul suo rosso amico. Le sarebbe venuto di chiedergli da dove gli veniva ora tutta quella preoccupazione, quell’affetto che non si era degnato di mostrarle quando, prima dell’inizio della scuola, le aveva urlato contro che sarebbe rimasta sola se insisteva nel voler tornare a scuola invece di andare in accademia con loro. Poi lo guardò. La furia che presto si era impossessata dei suoi occhi altrettanto presto li aveva abbandonati. O forse un lampo di quella stizza tipica dei Serpeverde (“inizio a frequentare troppo Draco”) doveva essere passata attraverso i suoi occhi perché lo vide arrossire e abbassare gli occhi. Ron, che ora si sentiva in colpa per averla lasciata con parole traditrici perché si era sentito abbandonato quando lei era tornata a scuola invece di seguirli in accademia; che le voleva tanto bene da non saperle dire che non l’amava per paura di farla soffrire e aveva lasciato che le cose rovinassero da sé; semplicemente, Ron.
Una storia d’altri tempi, ormai. Tempi defunti. Sorrise mentre Harry li fissava, ancora eternamente preoccupato. Chissà se e quando avrebbe smesso di incolparsi per ogni pena o lacrima che vedeva.
  • Non so come abbia fatto a sorprendermi. Stavo tornando dalle serre, ero andata ad aiutare Neville a trapiantare alcune mandragore e altre piante medicinali e a ripassare con lui alcune tecniche di coltivazione. Ero tranquilla e non pensavo a nulla, forse avevo abbassato troppo la guardia, non mi permettevo questo lusso da tempo… - Sospirò - Lo avevo pure visto! Stava lì, fermo, appoggiato al platano che si trova vicino al vialetto che porta alle serre e l’ho pure salutato!! Lui mi ha fatto un cenno col capo e io sono andata oltre, avevo fretta di tornare alla torre. E, improvvisamente, mi sono ritrovata senza bacchetta, con una mano sulla bocca e trascinata verso la foresta. Non sapevo neppure fosse lui, non capivo niente. So solo che mi sono accorta che era lui quando mi ha buttato a terra e a preso a schiaffeggiarmi e a dire cose senza senso … poi sono svenuta. Quando mi sono svegliata Madama Chips mi ha detto che per fortuna è arrivato Malfoy e mi ha salvato.
Harry nascose il volto tra le mani mentre scuoteva la testa, Ron si girò di spalle portandosi una mano alla nuca… non riuscivano a collegare il racconto di Hermione al loro compagno di casa che, sì, era sempre stato un gran fanfarone ma mai, mai, aveva fatto nulla del genere: mai uno scatto d’ira, un gesto di troppo… diceva che non si addicevano ad un mago di classe superiore come lui!
In un gesto ormai automatico, le dita di Harry corsero a massaggiare la cicatrice. Un’infinita tristezza fece capolino nelle sue iridi verdi: quando sarebbe finita?
  • Harry, non fare così! Tu non c’entri nulla … è la guerra. Ognuno di noi ha riportato le sue ferite e alcune non sono visibili ad occhio nudo.
 Quella di Hermione non era che una constatazione reale. Anche in accademia era stata dura, molti avevano avuto problemi a rientrare o ad entrare in servizio…
Fu Ron ad interrompere quel silenzio.
  • E così ci toccherà di dire di nuovo grazie a quel furetto di Malfoy, miseriaccia! Per fortuna che si trovava a passare di là!
  • Ehm… non è che passasse proprio di là… diciamochecièvenutoapposta!
Sputò tutto ad un fiato…
  • In che senso? Scusa ma credo di non aver capito bene…
Ron iniziava a perdersi!
Hermione allora allungò una mano sotto al cuscino e tirò fuori un vecchio galeone, uno di quelli dei tempi dell’ES.
  • Ho conservato i nostri galeoni, pensavo ci sarebbero tornati utili. Ginny ha il suo e quello di Harry, io il mio e quello di Ron. L’ho dato a Draco, per essere sempre raggiungibile…
Gli occhi Harry erano diventati finestre, il viso di Ron un punto interrogativo. Aveva ragione Draco; non doveva parlare se non interrogata! E ora che gli raccontava?
  • La guerra ha cambiato tante cose, qui a scuola intendo. All’inizio è stata dura, nessuno voleva parlarne e nessuno voleva ricordare. Mi sono ritrovata spesso in un isolamento quasi totale: tutti mi adoravano e mi stimavano ma mi evitavano perché la mia persona riportava troppi tristi ricordi alle loro già provate memorie. Ma se c’era qualcuno messo peggio di me, beh quello era Draco Malfoy! Ha avuto coraggio a tornare a scuola ma non era per niente semplice, specie senza i suoi gorilla alle spalle. E così, poco prima di Halloween, qualcuno ha pensato di organizzare un’imboscata: lo hanno pestato senza pietà, è stato orribile…
Hermione ancora tremava al solo ricordo, le sembrava di sentire l’odore acre e pungente del sangue misto all’umidità del corridoio, le urla dei vigliacchi che  fuggivano, l’ansia di sapere cosa gli avevano fatto e la rabbia, cieca e furente, di fronte ad un atto di tale vigliaccheria… e pensare che c’era anche un “nobile Grifondoro” mischiato a quel ciarpame! Il solo pensiero le fece stringere ancor di più il lenzuolo tra le dita.
  • Dopo le vacanze, la McGranitt ha voluto che intorno a lui si organizzasse una sorta di barriera difensiva, una scorta invisibile ma costante formata da professori, fantasmi, quadri e me. Così abbiamo iniziato a studiare insieme e gli ho dato il galeone…per mia fortuna!
Quando rialzò la testa capì subito che Ron aveva ascoltato tutto e creduto ad ogni singola virgola; Harry, invece, aveva capito anche che lei gli aveva raccontato solo una mezza verità ma, con un po’ di buonsenso, avrebbe aspettato di essere da soli per chiederle la parte che mancava. Infatti il suo sguardo cadeva su alcuni fogli sparpagliati sul letto, fogli di appunti vergati con una grafia elegante e precisa che lui conosceva bene, la grafia di Draco Malfoy.
La fissò dritto negli occhi prima di passarsi una mano tra i capelli e cambiare discorso.
“Perché non lo hai denunciato?”
“Perché ha bisogno di cure, non di Azkaban. Chissà che poi non ci dica i nomi anche degli altri “eroi”…”
“Ho fame!” L’appetito di Ron era sempre provvidenziale.
“RON!” esclamarono all’unisono gli altri.
“E se ho fame che ci posso fare? E poi questi discorsi…”
Risero di gusto. Erano di nuovo loro, il “Magico trio” in quella risata. Ron andò a recuperare qualcosa dalle cucine per tutti: in fondo gli elfi non erano andati in vacanza, no?
Rimasti soli, Hermione capì che era arrivato il momento della Verità.
Ma perché farsi tutti questi problemi, in fondo tra lei e Draco non c’era nulla, no?
Eppure, in quella stanza, Hermione cercava le parole per iniziare a spiegare a colui che era a tutti gli effetti la sua famiglia ciò che stava succedendo. Con gli occhi bassi sulle mani che si contorcevano, Hermione per la prima volta si sentì come una bimba impreparata durante un’interrogazione e senza il coraggio di guardare negli occhi il suo interlocutore.
In effetti che c’era da dire? Non aveva fatto nulla, da quando avere un amico era una colpa? Da quando lei e Draco erano amici? E perché le sembrava di non dire la verità prima di tutti a se stessa nel definirlo “amico”? Cos’era Draco, chi era Draco per lei?
 Iniziarono a scorrerle davanti le immagini degli ultimi mesi, della solitudine dei primi tempi quando il senso di “essere di troppo” era quasi tangibile, quando la lontananza e il sentirsi tradita e abbandonata dai suoi amici la distruggevano, quando era divorata dalla necessità di un abbraccio che solo Draco le aveva dato; risentì in bocca il sapore della cioccolata, sulla pelle il calore della cucina della scuola, la dolcezza di un regalo di Natale inatteso e speciale, nelle orecchie l’urlo della sera in guferia, nei muscoli il terrore nell’averlo visto in una pozza, riverso nel suo stesso sangue, e in bilico sul baratro dell’esistenza… No, non era decisamente solo un amico. O comunque lo era in modo diverso da Harry e, soprattutto, da Ron.
Non aveva cancellato il passato. Solo, dopo aver combattuto con i sensi di colpa e la paura, dopo aver preso coscienza e aver accettato i segni che tutto quel che aveva passato, aveva deciso di guardare avanti, di risalire la china e riprendersi i propri sogni senza più guardare indietro. E lui aveva fatto lo stesso, con grande dolore e fatica perché perdonarsi e scendere a patti con la sua natura e il suo passato per Draco era stato molto più difficile di quanto non lo fosse stato per lei. Era stato coraggioso, anche nell’accettarla. E lei ne era orgogliosa! Ed era orgogliosa del loro cambiamento e credeva, si lo credeva profondamente, che tutto questo non poteva che essere una cosa buona. Anche se, o forse proprio perché, alla fine restavano sempre loro, Draco ed Hermione, Serpeverde e Grifondoro, e le regole non erano cambiate, non potevano cambiare, ma loro non potevano spegnersi.
Sentì nuovamente il ruggito del leone nel suo cuore e una nuova forza invaderle le membra. Sembrava passata un’eternità.
Alzò gli occhi su Harry. Lo guardò profondamente e con forza, come a voler capire se e cosa  nascondesse dietro quelle iridi verdi. Vi lesse solo preoccupazione e fiducia, e sensi di colpa: Harry era sempre Harry. Sicuramente ora pensava che tutto quel che le era accaduto fosse colpa sua, come sempre…
“Draco è un amico. E’ molto meglio di ciò che volevano diventasse, è molto di più di quello che sembra…”
Non ci fu bisogno di continuare, le braccia forti di Harry la stavano circondando, il suo fiato caldo le sfiorava i capelli mentre con una dolcezza infinita le sussurrava di perdonarlo, perdono per averla lasciata sola e non esserci stato, e che no, non voleva giudicare nessuno.
Si abbracciarono come solo un fratello e una sorella sanno fare, in quel sentimento così forte da non poter essere né spezzato né frainteso.
 
Intanto ad un tavolo dei Tre manici di scopa due ragazzi che sembravano diversi come il giorno e la notte, ma che poi così diversi non erano, avevano iniziato il loro giro di burrobirre mentre aspettavano di poter pranzare sotto lo sguardo infastidito e preoccupato di Madama Rosmerta.
Blaise sapeva che Draco aveva bisogno di parlare, ma senza un valido incentivo la sua lingua non si sarebbe mai sciolta. Lo aveva osservato lungo tutto il tragitto dalla scuola al villaggio e anche mentre osservava svogliato le vetrine dei negozi. Poteva quasi sentire il rumore del suo cervello che lavorava incessantemente, accumulando pensieri su pensieri che poi scivolavano come una valanga sui suoi lineamenti alteri per fermarsi nei pugni chiusi, nelle unghie che segnavano i palmi, dentro le tasche dei pantaloni eleganti. Se avesse potuto, forse avrebbe letto qualcosa attraverso i suoi occhi che, però, teneva costantemente abbassati o nascosti sotto una ciocca di capelli. Chi avrebbe mai detto che un giorno un Malfoy avrebbe camminato con lo sguardo basso? Al vecchio Lucius sarebbe venuto un colpo. Ma il vecchio Lucius ormai era lontano anni luce da quel ragazzo, dalla sua vita; e se mai Salazar l’avesse fatto tornare dal buco in cui l’avevano cacciato, sicuramente Draco ce lo avrebbe rispedito senza tanti complimenti, tale era la sua rabbia.
Ma Draco non pensava a suo padre…no. Pensava a quella sensazione scomoda e opprimente che gli occupava la mente da quando si  era allontanato dalla scuola: non gli piaceva l’dea di lasciare da sola Hermione al castello, con quei professori inetti che si ritrovavano…e se McLaggen ci avesse riprovato? Preoccupazione stupida, visto che il soggetto in questione stava chiuso in una stanza sigillata dalla magia, sotto incantesimi che lo facevano dormire profondamente… Ma lui sarebbe stato più tranquillo al suo fianco, ecco!
Blaise trovava estremamente divertente vederlo fare le smorfie come un bimbo capriccioso, convinto che nessuno se ne accorgesse! Come quando lo aveva costretto a scegliere tra gli ultimi ritrovati per il quidditch qualcosa che potesse esser utile alla solita causa: battere i Grifoni e vincere la coppa delle case…un’utopia, senza Draco in squadra! E anche ora al tavolo, con il labbro sporco di schiumetta…
Solo al Ghirigoro si era veramente impegnato: aveva scelto con cura un volume di storia e tradizioni del mondo magico, un testo raro e antico che, quasi certamente, la Granger non aveva avuto modo di leggere. E poi veniva a raccontargli che non gli interessava: ma a chi pensava di darla a bere!
Avevano chiesto a madama Rosmerta un posto tranquillo e nascosto, dove poter parlare in pace senza essere dare troppo nell’occhio; la donna li aveva accompagnati ad un tavolino riparato da una tenda e li aveva lasciati in compagnia di burrobirra e un bel pranzetto. Si sa che le serpi non amano avere compagnia nelle loro chiacchierate, per quanto nessuno fuori dal loro gruppo riuscirebbe a capire di cosa parlino o che cosa pensino.
- Carino il tuo acquisto! Anche se non mi pare il tuo genere…
- Zabini, non credo di aver bevuto ancora abbastanza per rendere conto a te di quel che faccio!
- Siamo nervosetti, eh? Quindi chiederti dove sparisci certe volte è fuori discussione?
La sola risposta che ottenne fu una sorta di grugnito.
- E dai, Draco! Solo tu puoi credere che nessuno si sia accorto dei “nuovi rapporti” che si sono creati a scuola… Io sono il tuo miglior amico, puoi darmi qualche esclusiva!
- Così, poi, ti fai un giro di scommesse da vincere facile coi Tassi?
- Quelle le abbiamo già fatte…
- Allora fatti bastare le tue fantasie! E, amico, spero che tu perda fino all’ultimo zellino!
-  E’ inutile che fai così, tanto quella vecchiaccia oggi non ti ci faceva restare da lei… pare le servisse la scuola libera, perciò ha deciso di farci uscire.
- Ah si! E tu che ne sai?
- Voci di corridoio…un quadro qui, un fantasma lì…
- Sei come le pettegole della peggior specie!
- E me ne vanto! Nobile arte dei Zabini: raccogliere notizie prima di tutti, meglio di tutti! E poi saperle usare al meglio: venderle al miglior offerente, ricattare, usarle per salvarsi la pelle…
- In questo tua madre è un’artista!
- Non te la puoi prendere con me se lei è stata più lungimirante di Lucius! Ottimo l’arrosto, dovresti mangiarlo prima che si raffreddi…
- Lo sai che ti puoi permettere di parlare così solo perché sei mio amico, vero?
- E allora, se siamo amici, parla! Ti farà bene, ti chiarirà le idee!
Un respiro profondo nascosto da un boccone di arrosto… chiarire le idee? Lui non voleva neppure pensarci! Perché farlo avrebbe significato dover pensare a quando la scuola sarebbe finita e lei non ci sarebbe stata più, sarebbe tornata da Potter; avrebbe significato progettare un futuro triste e grigio, da solo in quel Manor destinato a rimanere sempre più vuoto…almeno lui era l’ultimo erede di quella stirpe maledetta che erano i Malfoy e si sarebbe ben guardato dal continuarla!
Pensare: a che pro? Mettere fine a quel barlume di speranza che faceva finta di vivere fin quando la realtà stava ben distante da lui… Maledetto Blaise! Che voleva che facesse? Che gli confessasse il suo fallimento davanti ad un arrosto e ad una burrobirra da Madama Rosmerta? Tutto sommato era abbastanza squallido e meritato!
- Blaise, già mi hai costretto seguirti in questa uscita oggi, non tentare la fortuna ulteriormente!
Il moro alzò gli occhi dal piatto e si guardò intorno, strizzando gli occhi e mordendosi il labbro. Era troppo … affezionato?...a quello sbruffone biondo che gli sedeva davanti per vederlo così! Che disonore per la casa di Salazar, non approfittare delle occasioni, specie quelle buone (e questa era ottima sotto diversi punti di vista) che ti vengono messe gratis et amore Dei sotto il naso!
- Sei la Serpe più codarda che conosca! E se te lo dice uno che ha fatto della ritirata un’arte, puoi crederci!
- Non. Azzardarti! - Draco era furioso, i suoi occhi erano pozzi d’ira.
- Oh, io mi azzardo! E come! Ma di che hai paura? Non può certo essere peggio di Tu sai chi!
Ancora non riuscivano a pronunciare o a sentire il suo nome. Draco, in particolar modo, aveva sempre il timore di sentir di nuovo bruciare il marchio sul suo braccio, a volte questa paura lo svegliava la notte.
- Blaise…-
- Blaise, Blaise, Blaise…Blaise un corno! Non mi faccio raggirare da te! Tu hai paura! Ma di cosa, per Salazar? Non stiamo parlando di una specie di Circe Serpeverde!
- Non voglio illudermi! Lei è lei… tornerà dai suoi amici, alla vita che le spetta e che si è guadagnata e non posso rovinarle tutto io. Forse dovrei darci un taglio, ma non ci riesco. Sono terribilmente egoista, sto bene e non voglio privarmene finché dura. A volte mi pare pure di poter cambiare direzione alla mia esistenza ma poi mi basta guardare qui – e indicò il braccio marchiato – e rimetto i piedi per terra. Potrò anche essere tollerato nel nuovo mondo dei maghi, ma per un Malfoy non ci può essere redenzione. E ce lo siamo meritato.
Blaise non era pronto a sentire tutta quella verità insieme, tra Serpi non è usuale tanta chiarezza e crudezza… Per un attimo intravide l’abisso nell’anima del suo amico ma vi vide pure quello che lui non riusciva a scorgere, l’ancora della sua salvezza e doveva impedirgli di non aggrapparvisi.
- Tu la sottovaluti!
E il discorso serio finì lì. I due amici ripresero a battibeccare su infiniti sciocchezze e pettegolezzi che Blaise andava raccogliendo e l’atmosfera si rilassò: Blaise voleva addirittura far credere all’amico che un quadro gli aveva riferto che aveva saputo da un fantasma che lo aveva sentito da un elfo a cui lo aveva detto …boh?! Insomma, da una fonte attendibilissima aveva saputo che la vecchia si era decisa a dar loro la libera uscita per permettere a Potter e Weasley di far visita alla loro amica senza farsi veder da nessuno a scuola!
Draco alzò gli occhi al cielo: ma come si fa a creder a una tale assurdità!
Avevano quasi finito di pranzare quando nell’osteria entrarono Potter e Weasley. Per l’appunto: nomini il diavolo e spuntano le…zampe? La puzza? Le corna? Detti babbani…uff!
Senza dir nulla, i due si accomodarono ad un tavolino vicino alla finestra, accanto ad una tenda dietro la quale sembrava non ci fosse nessuno. Sembrava.
- Allora?
- Allora cosa, Ron?
- Che ti ha detto Hermione mentre ero fuori?
- Dai, Ron…
- Non sono stupido, Harry! Le ho viste pure io le pergamene di Malfoy sul letto di Hermione!
La Granger aveva pergamene di Malfoy sul letto! Interessante! Lo sguardo ironico, malizioso e trionfante di Blaise si fissò sul volto di Draco che, in due secondi, era passato dal bianco luna al rosso fuoco e ritorno.
  • Harry, non dirmi che sono diventati “amici”?!
  • E anche se così fosse?
Ron stava per strozzarsi con un sorso di burrobirra.
Amici? Oh, Salazar! E da quando la Granger era un’amica? (Hermione, ricorda Draco, Hermione!)
Salazar, Salazar…ma quando può scendere in basso un Serpeverde?? Se poi tutto questo si può definire “scendere in basso”…
Draco si fermò un attimo ad osservarsi: stava facendo quello che era la specialità di ogni serpe che si rispetti: spiare di soppiatto il nemico ( e Potter era Il Nemico!) per curare un proprio interesse personale, anzi personalissimo. E fin qui, tutto ok: poteva promuoversi, era ancora degno della casa di Salazar!
E poi non stava proprio spiando: non era colpa sua se quei due idioti si erano messi a parlare dei fatti loro vicino al suo orecchio, no?  E anche qui, come serpe poteva promuoversi.
L’interesse in questione, però, era la Granger, anzi Hermione … Salazar!
Gli interessava Hermione!
La chiarezza e la consapevolezza di quel pensiero furono un ceffone in pieno viso. In un attimo gli fu chiaro tutto: i risolini di Blaise, i passi accelerati per andare a lezione, il sollievo di trovar libero in classe solo il posto accanto a lei, lo star ad origliare dietro ad una tenda  solo per esser certo che il suo interesse fosse protetto… Salazar! Un inconsapevole sorriso gli addolcì per un attimo il viso. Poi si rimise all’ascolto di una voce che pareva quella di un bimbo capriccioso a cui hanno rotto il giocattolo preferito (Weasley) e che – stranamente- Draco scoprì essere quella che odiava di più. Lo infastidiva a morte.
  • Harry stiamo parlando di Malfoy. Hai presente?
Harry prese un lungo sorso.
Ecco…era arrivato il momento in cui S. Potty avrebbe raccontato allo straccione quello che gli aveva detto la loro amica. Un senso di panico si impossessò del ragazzo: voleva veramente sapere cosa pensava la ragazza?
Draco non ce la faceva a sostenere una brutta verità, preferì andarsene e continuare a pensare che tra lui ed Hermione le cose fossero tranquille, che non c’erano ne ci sarebbero stati problemi... più o meno. Del resto, non era educato origliare le conversazioni altrui, no? Ottima giustificazione da serpe vigliacca.
Strattonò Blaise e uscirono, lasciando una lauta mancia sul tavolo.
Non sentì Harry rispondere all’amico che dovevano fidarsi di Hermione ma che ciò non gli avrebbe impedito di far due chiacchiere col biondastro alla prima occasione utile.
Le labbra di Ron si piegarono in sorriso, uguale a quello che si aprì sul volto di Harry Potter, che era tutto un programma!

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV
 
L’alba, con le sue dita rosate, colorava appena i contorni delle colline intorno al castello. Tra i rami degli alberi e dei cespugli le prime allodole salutavano il lento risvegliarsi del giorno e della primavera. Un profumo di erba, terra e rugiada si alzava fin alle finestre dell’infermeria che erano state scostate solo un po’, quel tanto che bastava a un ricambio d’aria senza che il freschetto ancora pungente della notte appena trascorsa svegliasse i pochi ragazzi che riposavano nei letti candidi e ordinati.
Madama Chips si muoveva silenziosa mentre preparava le pozioni e gli unguenti che le sarebbero serviti più tardi: c’era ancora tempo ma lo spettacolo dell’alba riusciva sempre a tirarla giù dal letto così presto che poteva preparar tutto prima di fare colazione. Da qualche giorno, poi, si era aggiunto un nuovo piacere: quello della condivisione. Infatti, pensava, l’alba è un momento magico ma se lo si può condividere con qualcuno che lo sappia apprezzare come fai tu, allora diventa ancora più potente!
Hermione guardava fuori dai vetri dell’infermeria con lo sguardo perso nell’orizzonte. Mentre la mano accarezzava distrattamente il capo di Grattastinchi, il suo pensiero correva oltre lo spazio per recuperare e rivivere stralci di tempo e di suoni da rimettere insieme.
Ron … Harry … Draco …
Ecco! Erano tre giorni che non vedeva Draco! Esattamente da quando Harry e Ron erano stati da lei.  Sapeva che era stato gentilmente invitato (sgrunt!) a far compagnia a Blaise Zabini per le vie del villaggio quel giorno: che li avesse visti? Che fosse successo qualcosa?
Aveva continuato a mandarle gli appunti delle lezioni, ma col suo gufo reale e non portandoglieli di persona come faceva prima. Era scomparso di nuovo! Hermione odiava questo suo rintanarsi…di cosa aveva paura, ora, quella Serpe fifona? E cosa doveva aspettarsi ancora?
Il suo labbro si arricciò impercettibilmente ma la sua mano dovette risultare più pesante perché il micione non gradì affatto l’ultima carezza e miagolò indispettito mentre si liberava dalle sue braccia per sparire tra le lenzuola del letto.
Hermione sospirò… ormai stava bene: quanto ancora doveva restare confinata nell’infermeria?
Quasi le avesse letto nel pensiero, Madama Chips le si avvicinò piano
- Signorina Granger… Hermione, se vuoi stamattina potresti andare a fare colazione in sala grande con i tuoi compagni. Vuoi che faccia venire qualcuno per aiutarti a rientrare nella tua torre?
- Davvero? Sarebbe fantastico! E no, non occorre chiami nessuno, posso farcela da sola. Solo, posso andare anche ora? A quest’ora i corridoi sono vuoti e anche la sala comune, eviterei ulteriori … fastidi … capisce?
- Certo, mia cara. Avviso la preside e potrai uscire. Prepara le tue cose.
I corridoio erano freddi; i primi pallidi raggi di sole entravano dai vetri delle finestre trapassando lo strato di polvere che si era andato accumulando durante l’inverno e il leggero velo di umidità che si era accumulato all’esterno.
Hermione camminava veloce verso la Torre, preceduta dal passo felpato di Grattastinchi che sembrava gradire poco il gelo e dirigersi come un fulmine verso il calduccio della sua stanza. Perché la stanza della caposcuola Granger era anche e, soprattutto, la SUA stanza, in cui l’umana dalla folta criniera era ben accetta per via dell’affetto e delle cure che gli portava oltre che, forse, da una certa familiarità testimoniata appunto dalla folta criniera (magari in una vita passata era stata una leonessa, chi lo sa?). E poi condividevano una passione speciale per i rettili: a Grattastinchi piaceva dar la caccia alle lucertole, alla ragazza piaceva stare alle calcagna della serpe bionda, anche se il gatto non aveva ancora ben chiaro la sua modalità di caccia e il fine ultimo. Forse gli sarebbe stato di consolazione sapere che neppure la sua padroncina aveva ben chiaro ancora che cosa la spingeva a cercare costantemente Draco, la serpe che portava il nome di un rettile ancora più grande…
Per entrare nella sala comune dovettero svegliare la signora grassa, che dormiva alla grande russando a ritmo regolarmente superiore. Quando vide Hermione di ritorno dall’infermeria fu veramente contenta, talmente contenta che avrebbe lanciato un canto di gioia se la ragazza non l’avesse pregata di evitare, per non svegliare gli altri ragazzi e, soprattutto, per non rischiare di sforzare le sue delicate corde vocali ancora “addormentate”! Quale dolcezza infinita! La signora la fece entrare accompagnandola con uno sguardo deliziato ed Hermione, nella sua mente, ringraziò Merlino di essere riuscita ad evitare una sveglia anticipata per tutto il castello.
Sempre grazie a Merlino, la sala comune era vuota, nel camino resistevano poche braci di quello che doveva esser stato un bel focherello la sera prima e tutt’intorno c’erano ancora i segni degli altri studenti. Grattastinchi si avviò senza tanti complimenti verso la stanza, miagolando con insistenza, ed Hermione resistette alla tentazione di attizzare il fuoco e stendersi sul divano invece di salire in camera e darsi una sistemata prima di colazione.
La stanza era come l’aveva lasciata quel pomeriggio prima di uscire per andare da Neville, alla serra. Sul letto era buttata alla rinfusa la divisa, il baule ancora aperto per recuperare qualcosa da indossare senza la paura di rovinarlo (mania babbana, la sua), i libri accatastati sulla scrivania…ehi? Lì non era tutto come lo aveva lasciato! C’era un libro in più, un libro che lei non aveva mai visto: era antico, raro, di accurata fattura e aveva un biglietto nella copertina.
“Bentornata a casa, Hermione. D.L.M.”
Un sorriso si allargò sul suo viso. La giornata iniziava decisamente bene!
 
- Draco, aspettami! Non potrai evitarmi per sempre!
- E se lo facessi? La tua molestia, Zabini, a volte è esasperante.
- Si, si… raccontatela! Hai avuto notizie?
- No.
- Hai fatto tutto?
- Si.
- Mi fai copiare la ricerca di pozioni?
- Impiccati!
- Bentornato amico! Facciamo colazione? Ho una fame…
Il nutrito gruppo di studenti verde e argento entrò con un leggero brusio nella sala grande. Draco, nelle ultime file con Zabini, lanciò un’occhiata al tavolo dei Grifondoro ma sapeva che era inutile: se fosse uscita Madama Chips glielo avrebbe fatto sapere. O almeno così credeva. Del resto il suo solito posto era vuoto. Solo un capannello rumorosissimo di Grifoni chiacchierava animatamente preso da chissà quale novità. Girandosi si trovò di fronte Blaise con la faccia di chi non potesse più tenere a lungo un segreto e implorava che gli fosse chiesto: vuoi vedere che lui sapeva che cosa stava agitando quel manipolo di boriosi scavezzacollo? Più che certo! Ma non gli avrebbe dato la soddisfazione di sentirselo chiedere: tanto tra poco glielo avrebbe detto comunque! Così si avviò verso il suo solito posto e iniziò a far colazione. Intanto, al suo fianco, uno Zabini sempre più impaziente faticava a star fermo sulla panca (ma solo Draco si accorgeva della frenesia delle sue dita tamburellanti sul tavolo) finché non scoppiò.
- Chiedimelo!
- Cosa?
- Chiedimi cosa hanno stamattina i Grifoni?
- Non mi interessa!
- Ma io voglio, io devo dirlo…
- Se proprio non puoi farne a meno…
- Oggi trasferiscono McLaggen al San Mungo! Viene Potter a prenderlo!
Un sopracciglio alzato fu tutto quello che il moro ottenne.
Almeno finché un improvviso silenzio non scese nella sala grande, un silenzio in cui echeggiava il tacchettio preciso e cadenzato della Granger. Un tacchettio che si andava sempre più avvicinando al tavolo delle Serpi.
- Buongiorno Draco! – e volgendo il capo con un cenno – Zabini. Posso?
E si accomodò senza aspettare. “Se si deve fare, che si faccia per bene e senza aspettare tempo” si era detta lei. “E’ folle per davvero!!” si stava dicendo lui, mentre rischiava di farsi andar di traverso il boccone. Blaise, invece, pensò che sarebbe stato educato salutare e andare. Ma… quando gli ricapitava più un’occasione del genere?
- Buongiorno Granger! Hai sbagliato tavolo.
- Hermione, Draco. E no. Non ho sbagliato tavolo. Volevo ringraziarti.
- Di nulla.
Ma non hanno altro da fare qua dentro!
- E volevo dirti che gli Auror vogliono parlarti, prima di portare Cormac al San Mungo.
Noooo. Pure gli auror…uff!
- Per quanto mi riguarda possono benissimo…- Un fulmine lo lasciò secco sulla panca. Lo sguardo di Hermione, infuriata. Salazar! – Ehm, …dicevo: prima delle lezioni o dopo. Non ho intenzione di perdere ancora tempo con questa questione.
Un colpo di tosse: era Blaise che si riprendeva dal the che gli era andato di traverso!
- Naturalmente. Anche io ho perso fin troppo tempo, anche se mi hai tenuta ben aggiornata. E anche di questo ti ringrazio!
Ecco! Adesso sbandiera pure che giochiamo ad auror vs Mundungus con Gazza per i corridoi del castello e la mia reputazione è finita!
- Nient’altro, HERMIONE?
Adesso si altera! Sia mai si scopra che ha un cuore…serpe del cavolo!
- Si! Spicciati o facciamo tardi a lezione.
Blaise li guardò: erano uno spasso! Avrebbe guadagnato un sacco di galeoni con quei due! Scommettiamo!?
 
Gli studenti erano tutti assiepati lungo i muretti del cortile o affacciati dalle finestre dei piani superiori e guardavano con curiosità l’insolita attività che si andava svolgendo davanti ai loro occhi e che vedeva auror e specialisti del San Mungo impegnati nei preparativi per il trasferimento d Cormac McLaggen.
Hermione, triste e furiosa, era andata a protestare vivamente con la preside e gli organizzatori: non dovevano mica trasferire Voldemort! Si sarebbe potuto scegliere un modo più discreto e meno poliziesco!!!
Draco, invece, si era diretto verso lo studio in cui lo aspettavano per la deposizione, con il suo solito passo strascicato e l’espressione altera di chi non ha nulla a che fare con tutto ciò che lo circonda, il broncio di chi sta perdendo tempo in futilità e la disposizione d’animo di un condannato a morte…
In realtà stava cercando di concentrarsi per non far trasparire la paura che aveva provato in quei momenti e che ancora oggi gli faceva tremare le mani al solo pensiero. Non poteva e non voleva apparire debole, l’apparenza di una millantata superiorità di classe era l’unica cosa rimastagli della sua “eredità” di Malfoy, o almeno l’unica a cui concedesse ancora un minimo di valore: ormai sapeva bene che la vera forza risiedeva altrove e che c’era un prezzo da pagare per vivere pienamente sogni e desideri. Un’altra cosa che doveva nascondere, poi, era la rabbia, e non solo quella nei confronti di McLaggen. Anzi, quella andava ormai sbollendo, anche quel ragazzo era stato a suo modo vittima della stessa guerra. Quella che gli faceva bollire il sangue era la rabbia verso gli altri, quelli che ora lo guardavano o come un eroe (ha salvato Hermione!) o con ancor maggior sospetto (cosa pensa di guadagnarci?). Del resto c’era ancora in giro qualcuno che lo voleva morto.
Ad aspettarlo c’era niente di meno che il Capo Auror. La cosa non sarebbe stata nemmeno troppo “indecente”, a suo modo di vedere, se fosse stato da solo ma, naturalmente, si era portato dietro Potter! Sempre tra i piedi…
Parlare di Hermione con i suoi occhi puntati addosso e le orecchie pronte a cogliere anche il non detto non era affatto “accomodante”! Si sentiva il suo sguardo addosso, lo guardava dritto in volto come a volergli scavare dentro, cavare una verità che forse neppure Draco stesso sapeva di avere.Gli fecero le solite domande, diede le solite risposte (Non dire nulla del galeone!! Gli aveva intimato Hermione, lasciando l’aula), voleva che quella storia finisse in fretta. E in fretta finì. Poi il capo auror lo fece accompagnare fuori dal suo attendente. Presto o tardi…
Camminavano silenziosi per il corridoio, uno fianco all’altro ma leggermente distanti, imbarazzati, non sapevano da dove iniziare.
- Malfoy…
- Non è necessario mi accompagni, Potter! E neppure che mi ringrazi. Se cerchi la tua amica, dovrebbe essere dalla vecchiaccia: era abbastanza urtata da tutto questo teatrino! A mai più, spero.
- Non tutta questa fretta, Malfoy! Se dici che non è necessario, non ti ringrazierò anche se hai evitato che mi portassero via la sola persona che posso considerare mia sorella. Non ti dirò grazie, se non vuoi, ma sappi che avrai la mia gratitudine in eterno e se mai potrò ricambiare, lo farò. Ma dubito di poterti rendere mai un servigio altrettanto grande – sospirò - E sono due che te ne devo!
Con Hermione ho già parlato e, no, non mi ha detto nulla di “compromettente” ma di lei mi fido e se lei si fida di te…cercherò di farlo pure io. Perciò ti lascio il galeone di Ron!
- Weasley? Vuoi dirmi che questo è il …coso di Weasley??Argh!!
- Preferivi il mio, Malfoy?
- No, grazie!
Le labbra di entrambi si stirarono in un mezzo sorriso. Potevano concedersi una tregua.
- Allora, Malfoy, come ci si sente ad essere considerato un eroe?
- Ti stai confondendo, Potter! Quello sei tu. Io sono solo la solita serpe, Malfoy, quella che ancora ha i sensi di colpa per non esser arrivato prima a tante cose…
- Eh no! Quello con i sensi di colpa sono io! Quante persone sono morte per me e per le mie scelte?
- Pensa quante ne sarebbero morte e come se non le avessi fatte?
- E tu pensa a come starebbe Hermione se tu non fossi arrivato…
Chi avesse potuto scorgerli in quel momento forse non avrebbe capito. Due ragazzi, ormai giovani uomini, guardavano fuori dai vetri di una finestra, perdendosi tra i rami di un albero. Due sguardi diversissimi ma carichi di un sentimento simile, un misto di dolore, rimpianto, nostalgia, rimorso, fatica, solitudine e paura. Eppure, avanti. Draco ed Harry guardavano avanti, oltre. Erano stati vivi e avevano fatto scorrere la loro vita su binari azzardati e pericolosi. Avevano guardato in faccia la morte, temuto per sé stessi e per i loro affetti più cari. Avevano scelto, sbagliato. Ed erano sopravvissuti, loro. Ed ora volevano tornare vivi, vivi come l’acqua dei ruscelli, come il vento leggero, il fuoco dei camini e la terra fertile. Ma il loro cuore, nudo ormai, non se ne sentiva il diritto, solo il dovere. Avevano paura, entrambi.
- Ascolta bene, Malfoy. Non ho molto tempo, il capo starà iniziando a chiedersi che fine ho fatto. Lei si fida di te. Stalle vicino, non lasciarla sola. Sembra tanto forte ma non lo è. E io non sono qui a prendermi cura di lei.
- Me lo stai chiedendo davvero?
- Certo. Ci vediamo presto.
Si strinsero la mano. Da qualche parte, in un angolo delle loro teste, saettò il pensiero che se lo avessero fatto prima si sarebbero risparmiati un sacco di grane. Ma tant’è…col senno di poi sono tutti bravi a ragionare.
E il giovane auror tornò indietro e sparì lungo i corridoi del castello, lasciando Draco stupito e perplesso. Forse da solo non sarebbe riuscito a dare nuovamente un senso alla sua esistenza. Forse Potter gli aveva appena dato un motivo e solo Salazar sapeva quanto ne avesse bisogno e quanto doveva a quella ragazza che lo aveva riportato indietro dal baratro. Con Hermione, forse, anche la sua anima nera ce l’avrebbe fatta.
Intanto, nel cortile della scuola, nascosta nell’ombra del colonnato, una Hermione furiosa, stanca e sconfitta assisteva con lo sguardo velato dalle lacrime al triste e spietato teatrino che vi si stava svolgendo. Aveva chiesto, pregato, gridato; aveva sconvolto la sua cara vecchia preside e minacciato di rivolgersi al ministro in persona; aveva perfino proposto soluzioni alternative. Niente: McLaggen sarebbe stato portato al San Mungo in quel giorno e in quel modo, “per la totale sicurezza del corpo studentesco”. Furiosa e sconfitta, se ne era andata sbattendo le porte e facendo esplodere diversi vetri dietro di lei. La sola cosa che aveva ottenuto era che sarebbe stato sedato e incosciente: almeno non si sarebbe accorto di nulla, sul momento. Ma era una cosa che era già stata decisa.
Ora, con i pugni stretti abbandonati lungo il corpo e le labbra stritolate dai denti, osservava e meditava, chiedendosi dove avesse sbagliato: non era quello il mondo magico più giusto per il quale aveva combattuto! E per il quale aveva combattuto anche Cormac McLaggen, perdendo amici e affetti. Non se lo meritava. Evidentemente avevano ragione i vecchi quando dicevano che gli unici veri eroi di una guerra sono i morti: ai sopravvissuti non si perdona e presto tardi, per invidia o per ignoranza, gli uomini trovano qualche colpa o infamia da collegare. Forse perché le ragioni della pace sono diverse da quelle della guerra o forse perché, più semplicemente, alla fine di una guerra gli uomini (e anche i maghi) non migliorano. Semplicemente dimenticano, ansiosi di tornare a “come era prima”.
Paradossalmente sembrava che solo Hermione, la vittima, avesse voluto spezzare una lancia nei confronti del suo “aguzzino”. E ora era stanca. Si sentiva maledettamente sola e fuori posto. Non credeva certo che dopo la guerra sarebbero fiorite le rose e il mondo sarebbe diventato un Eden, ma non si aspettava neppure quello: che ne sapevano quei ragazzini di quello che loro avevano passato? Dove erano quando Cormac difendeva la sua (la loro) scuola lanciando incantesimi contro mangiamorte più grossi di lui, rischiando la propria vita e vedendo i suoi amici cadere al suo fianco? Quando nessuno di loro avrebbe scommesso sul fatto che avrebbero rivisto l’alba del giorno successivo e, molto probabilmente, neppure il tramonto di quello stesso giorno? E ora si sentivano pure il diritto di giudicarlo, di umiliarlo… Hermione li avrebbe affatturati tutti!
E forse l’avrebbe fatto se due mani sottili non si fossero posate leggere e decise sulle sue spalle, spingendola lungo un corridoio secondario che andava verso le serre e il lago:non c’era niente da guardare lì!
Non lo aveva sentito arrivare, ma lo aveva riconosciuto subito. E si era lasciata guidare fin sulla riva del lago, a quel tronco abbandonato dove tante volte si erano seduti e appoggiati a guardare l’orizzonte.
Solo lì, si concesse il lusso di piangere davvero.
Bagnando di lacrime amare la sua candida camicia, Hermione capì che non poteva pretendere ciò per cui aveva lottato, che tutto il coraggio e la dedizione spese nella sua lotta non bastavano a fare il nuovo mondo così come lo aveva sognato nelle lunghe notti di veglia all’addiaccio. Si sentì travolta ancora dal peso di quella che era stata finora la sua vita: lunghe notti insonni in biblioteca o nei boschi, fughe disperate e duelli feroci, tanta solitudine solo in parte colmata dalla presenza di Harry e Ron. E ora che aveva portato a termine il suo compito, ora che Harry aveva ucciso Voldemort, ora che Ron non era più al suo fianco e il sogno infantile di una bella famiglia era finito in fumo, ora che a nessuno poteva più essere utile il suo sapere così coraggiosamente e devotamente conquistato, che cosa ne sarebbe stato di lei in quel mondo che non riconosceva più? Per quale motivo era sopravvissuta lei?
Sentiva il petto dolerle come schiacciato da un peso troppo grande, gli occhi bruciarle e il respiro venire meno. Da quanto tempo era lì? Le spalle erano agitate dai singhiozzi, la gola arsa eppure la sua pena non accennava a diminuire. Strinse forte il pugno che teneva poggiato sul petto di Draco, artigliandone la camicia fino a sentirla cedere. E forse fu quel rumore a riportarla in sè.
Draco era lì. La teneva stretta, limitandosi a carezzarle i capelli e ad asciugarle le lacrime. Non sapeva come comportarsi in quel caso, cercava di fare quello che lei aveva fatto per lui quella sera sulla torre. Sentiva che si stava spezzando tra le sue braccia e lui poteva solo cercare di non farla andare in frantumi. Ogni tanto la stringeva un po’ più forte ma non sapeva cosa dirle per riportarla indietro dal pozzo di autocommiserazione in cui stava precipitando e che lui conosceva bene. E Potter gliel’aveva appena affidata…Salazar!
Quando s’avvide che la ragazza stava accennando un momento di lucidità, cercò la sua mano e la raccolse nella propria. Le dita si intrecciarono e lei voltò il viso, poggiandolo sul suo petto in modo da respirare meglio. Aveva trovato un’ancora. Solo allora si concesse di assaporare il ritmo lento e dolce delle sue carezze e il calore del suo fiato sui capelli.
- Granger, hai finito di bagnarmi e strapparmi la camicia?
- Non lo so… scusa
- Sediamoci, sono due ore che piangi in piedi… mi si sono atrofizzate le gambe.
Si accucciarono ai piedi di un vecchio albero poco distante dal lago, rintanati nei loro ampi mantelli neri mentre la piovra gigante agitava i suoi tentacoli facendoli fuoriuscire dalle acque ogni tanto. Se si fosse messo a piovere, una di quelle pioggerelline inglesi di primavera, leggere e persistenti e fastidiosamente tristi, sarebbe stato perfetto per coronare quella orribile giornata.
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Capitolo V
Finalmente il sole!
Le belle giornate, l’aria tiepida e il dolce venticello avevano convinto gli studenti ad abbandonare le loro sale comuni per disperdersi tra i prati della scuola. Qualcuno più temerario aveva osato spingersi nelle vicinanze del platano picchiatore ma l’albero non era stato molto contento di avere compagnia. Il povero malcapitato, dunque, era stato costretto a soggiornare nell’infermeria scolastica per qualche ora, ma nulla di più. Una buona parte di studenti si allungava fino alle rive del lago nero e si lasciava andare ad un sonnellino sotto qualche salice. Alcuni provavano a lanciare incantesimi su vari oggetti e piccoli animali: a volte i risultati non erano quelli attesi; altre volte sì e, allora, ci poteva trovare circondati da allegre farfalline o colorati e profumati fiorellini ; oppure immersi in aromi che andavano dalla frutta alle rose, dal cioccolato al pane, dalla carta al sudore!
Tutti, però, armati di buona volontà, portavano con sé i libri nella speranza di riuscire a ripassare qualcosa o, comunque, di procurarsi una motivazione per il loro vagabondare intorno al castello, fosse solo per tacitare la propria coscienza.
Dall’alto della torre, dalla sua finestra inondata di sole la preside McGranitt osservava compiaciuta quella variopinta gioventù muoversi e vivere. Era una meravigliosa normalità quella che si muoveva sotto il suo sguardo attento e benevolo, così diverso da quello misterioso e divertito del preside Silente o da quello insondabile del  preside Piton, ma altrettanto innamorato dei suoi studenti, della sua grande, rumorosa, scombinata famiglia!
Certo, se qualcuno avesse alzato gli occhi sul quadro dell’ex preside Severus Piton non avrebbe mai definito il suo sguardo “innamorato”, vista l’aria di disinteresse e di puro fastidio che traspariva dalla sua espressione, sempre più disgustata ad ogni risata che raggiungeva le sue orecchie. La preside lo notò e rise. E rise anche il quadro di Silente. Era bello tornare a ridere con leggerezza, soprattutto dopo ciò che quel nuovo anno aveva riservato alla scuola. Con una smorfia di disappunto la figura di Piton abbandonò il suo quadro, magari per andare a sorridere pure lui dove, però, nessuno lo avrebbe potuto vedere.
Sembrava il momento giusto per una bella tazza di the, magari quello agli agrumi che aveva trovato qualche tempo prima in un negozietto che vendeva prelibatezze babbane a Diagon Alley. Sì, era proprio venuto il momento di assaggiarlo!
Un movimento preciso e impercettibile del polso e già sul tavolino era apparso tutto il necessario quando udì il tacchettio svelto e nervoso di qualcuno.
La caposcuola Granger bussò alla porta della Preside cercando di non perdere l’equilibrio faticosamente raggiunto viste le troppe carte che teneva in bilico tra e sue braccia: inviti, programmi, promemoria, elenchi…  Era tutta la settimana che si divideva tra lo studio (Merlino, gli esami!!!) e l’organizzazione della commemorazione che da “una cosa semplice” si era andata trasformando in una sorta di manifestazione internazionale! E bisognava non scordarsi di niente e nessuno per evitare strascichi poco gradevoli a causa di sensibilità diverse ma tutte delicate. Hermione era così giunta alla conclusione che la diplomazia non sarebbe stata il suo futuro!
Per fortuna c’era Draco! Lui, per natura, educazione e ambienti frequentati, conosceva persone, rapporti, pettegolezzi e sapeva districarsi in situazioni a lei sconosciute, evitandole di combinare diversi disastri. Si era ritrovata più volte a benedire la sua presenza, invisibile e concreta ad un tempo.
Le era divenuto essenziale. Le veniva spontaneo chiedersi cosa lui avrebbe pensato di ogni cosa che le capitava, come l’avrebbe affrontata, come avrebbe reagito a certe situazioni in cui lei si veniva a trovare. Soprattutto Draco era il suo supporto in alcuni momenti terribili, quelli in cui qualcuno la ringraziava per ciò che lei aveva fatto o in cui qualche ragazzino con occhi pieni di ammirazione le chiedeva consigli per essere come lei. Come lei, come? Una saputella ripiena di libri e con un po’ di furbizia che ora non riusciva a vedere nessun posto intorno a se senza ripensare alla guerra? Oppure preferivano la versione di lei che, saccente come pochi, non era riuscita a proteggere tutti i suoi amici e la sua famiglia?
Era Draco a ricordarle che la perfezione non le era mai stata richiesta e che già aveva fatto fin troppo permettendo a Potty di sopravvivere, impedendogli di morire per qualche fesseria dopo che per miracolo era scampato a Voldemort! Lei, fintamente offesa, gli ricordava che Harry era il suo  miglior amico e lui faceva finta di inorridire per tanto cattivo gusto… A volte tutto ciò le sembrava assurdo, altre le era di conforto, altre ancora, scuoteva il capo e rideva come una sciocca. Se si fosse guardata allo specchio avrebbe trovato dei tratti incredibilmente somiglianti tra se e tutte quelle ragazzine che sospiravano al passaggio di Blaise Zabini. E ne sarebbe rimasta traumatizzata.  
La Preside le offrì una tazza di the bianco, una prelibatezza babbana che aveva scovato in un suo giro a Londra. Le avevano assicurato che era un vero toccasana, particolarmente adatto a ridare energia quando si era stanchi o si attraversava un periodo difficile. Hermione lo accettò più che volentieri, sentiva di averne molto bisogno: quando la situazione lo richiedeva, aveva vestito i panni dell’eroina e aveva giocato duro; ma, ora, non erano più quei tempi: anelava a un po’ di quiete e, perché no, di silenzio e mancanza di responsabilità.
Bevve il the e, mentre illustrava alla Preside tutte le ultime novità relative all’organizzazione della commemorazione, assaporando con gratitudine e una certa sorpresa il gusto della bevanda, fece vagare il suo sguardo curioso e attento intorno a se, posandolo leggero sugli scaffali pieni di libri (alcuni dei quali aveva già in mente di chiedere in prestito), sugli oggetti riconoscendo quelli che già erano presenti nello studio ai tempi di Silente, quelli provenienti dal vecchio studio dell’allora professoressa di trasfigurazione e scorgendone di nuovi. Una cosa la colpì: un anomalo e fastidioso disordine animava lo scrittoio della Preside, sintomo del fatto che si stava occupando di qualcosa di poco gradito. Con fare disinvolto e sempre continuando ad enumerare invitati, orari e circostanze, la Caposcuola Granger si avvicinò al vecchio trespolo di Fanny, da cui si godeva un’ottima panoramica sulle carte sparse sullo scrittoio: una bozza di discorso, appunti di trasfigurazione avanzata, elenchi di comunicazioni da dare a docenti e studenti giacevano abbandonati sotto una ricordella utilizzata a mo’ di fermacarte; la piuma invece giaceva accanto a dei fogli che avevano tutta l’aria di essere richieste da parte di genitori o tutori di studenti, accanto a fogli su cui campeggiava lo stemma della divisione Auror. Ma chi erano e cosa chiedevano?
Hermione stava giusto illustrando le modalità dell’intitolazione  di un corridoio dell’ala Ovest del castello a Fred Weasley quando un suo improvviso e scomposto movimento fece involontariamente crollare il trespolo sullo scrittoio della Preside, causando la rovinosa caduta accidentale di ciò che vi stava sopra… La ragazza, costernata, prontamente si lanciò per recuperare i documenti e porre rimedio alla sua disattenzione e, nel farlo, un piccolo, silenzioso incantesimo gemino le permise di intascare in maniera discreta una copia delle misteriose carte su cui stava lavorando la McGrannit.
A quel punto pensò che non era il caso di tentare oltre la sorte: illustrò velocemente quanto restava da illustrare, raccolse con un sorriso i ringraziamenti della Preside per il lavoro (ottimo come sempre) svolto e, chiedendo ancora scusa per il piccolo incidente, infilò la porta salutando.
La Preside tornò al suo the; Silente sorrise beffardo: i suoi ragazzi cambiavano il pelo ma non il vizio!
 
Spesso Draco aveva eletto le rive del lago nero a suo personale rifugio, specie quando aveva bisogno di stare solo e riflettere seriamente sulle cose. Ma da quando le giornate si erano fatte più piacevoli, le rive erano divenute un po’ troppo affollate per i suoi gusti (ma nessuno si spaventa più della piovra gigante?? Tutti grifoni sono diventati, qua!) e, quindi, aveva ripiegato per la più classica aula di astronomia. Avrebbe potuto scegliere un altro posto, meno carico di brutti ricordi, forse, ma certo non più carico di significati per lui. E poi, onestamente, non voleva più privarsi della luce del sole: per troppo tempo aveva scelto l’oscurità, ora era il momento di apprezzare ciò che prima non aveva saputo scegliere. E non solo il sole.
Quella mattina aveva ricevuto due gufi. Una cosa insolita (chi mai vuol avere a che fare con un dannato come me?) e, visti i mittenti, irritante e per niente piacevole: sicuramente non portavano liete novelle. Aveva preso le due pergamene e se l’era infilate nella borsa avendo cura che nessuno prestasse troppa attenzione, soprattutto la Granger che giusto in quel momento stava entrando in sala grande; poi aveva dato del cibo ai volatili e questi erano ripartiti, segno che non aspettavano una risposta immediata.
Naturalmente la pia illusione che lei non si fosse accorta di nulla durò il tempo di un lampo, quello che attraversò l’iride di lei mentre riconosceva il gufo di Potter (solo lui poteva essere così idiota da usare il proprio gufo per intrattenere una corrispondenza che, a suo dire, doveva restare “personale”… ma cosa ti potevi aspettare dal “ragazzo miracolosamente sopravvissuto”?); a lui non restò che guadagnare l’uscita con passo regale (cioè, con la coda tra le gambe e in fretta senza che nessuno – tranne lei – se ne accorgesse)e ringraziare (sigh!) che l’appuntamento del mattino con la Preside gli permetteva di avere almeno un’oretta di solitudine per leggere le missive e, all’occorrenza, cercare di inventarsi qualche inutile frottola che potesse servirgli da via di fuga.
La missiva di Potter si rivelò inconcludente. McLaggen si stava riprendendo ma non faceva nomi, per ora. Diceva solo di guardarsi le spalle anche dai suoi compagni di casa e di non mettere Hermione nei guai, se ci riusciva… Potter, l’inutile immortale!
La seconda, invece, non se l’aspettava proprio. Nella torre d’avorio in cui si era rinchiusa Narcissa Black in Malfoy non soffriva, evidentemente, né di solitudine né di mancanza di informazioni. Con parole dure e autoritarie la madre gli comunicava che sarebbe stata presente alla cerimonia e che al termine della stessa sarebbero rientrati insieme al Manor al fine di evitare altri incidenti come quelli di cui era stata casualmente informata solo di recente; aggiungeva  che alcuni conoscenti, i Rosier, avrebbero trasferito i loro cari da Hogwarts il più presto possibile, mentre lei voleva valutare con lui tutte le diverse possibilità. Draco dapprima pensò che avrebbe dovuto almeno minacciare di incendio un paio di ritratti troppo chiacchieroni ma poi cominciò a riflettere e rilesse, tra le righe, la missiva materna.
Narcissa era preoccupata, molto preoccupata, dell’incolumità del figlio e non si fidava di nessuno, a prescindere da casata di appartenenza o rapporti di amicizia. Voleva sincerarsi di persona: solo questo era il motivo che poteva spingerla a lasciare il Manor e a presentarsi ad una manifestazione dove non avrebbe certamente trovato molte facce cordiali. Lo informava, inoltre, che nonostante le minacce e gli attentati fossero diretti solo a lui, i Rosier (da sempre considerati spine nel fianco piuttosto che conoscenti, gentaglia con cui Narcissa Malfoy non intratteneva rapporti dalla fine della guerra) si stavano preparando a spostare in fretta e furia i propri figli dalla scuola, probabilmente per spedirli a Durmstrang dove la loro genia di mangiamorte avrebbe trovato migliore accoglienza. Ma se i ragazzi Rosier non correvano alcun pericolo perché spostarli alla vigilia degli esami? Forse perché non erano ancora in pericolo, ma se ...
Per quanto riguarda le diverse possibilità, il ventaglio era veramente molto ampio: andava dalle maledizioni proibite alla ritirata strategica, ma Draco prevedeva e sperava di non dover arrivare a sostenere un discorso di tal fatta con sua madre, non ora. Del resto, tra le opzioni c’era anche quella di risolvere tutto prima della cerimonia e non aver nulla da discutere con lei, no?
Ma come?
Mentre era immerso in questi pensieri, la porta dell’aula si aprì e una trafelata Hermione Granger entrò sventolando alcuni fogli come se avesse trovato la formula per trasformare le pietre in oro.
-  I fratelli Rosier, Serpeverde; Zeller, Tassorosso; Burbage, corvonero…
- Calmati Granger e non dare nomi a casaccio!
Sebbene il fiatone dovuto alla corsa ancora le impedisse di parlare, Hermione riuscì a terminare la frase
- Vogliono lasciare Hogwarts! La preside aveva queste sulla sua scrivania…Harry che dice?
Draco allungò la mano per prendere i documenti che la ragazza gli porgeva e intanto ghignò.
- Che vuoi che possa dire Potter? Nulla. Molto più utile mia madre! Leggi questa!
I ragazzi si presero alcuni minuti per leggere le novità e riflettere.
I Rosier erano ancora dediti alla causa, non era un mistero per nessuno: il padre, mangiamorte spietato, era ospitato ad Azkaban; la madre, che non aveva ricevuto il marchio e su cui non erano state trovate prove, era tornata al maniero avito e, con i suoceri, educava quei due  virgulti alle più medievali dottrine in fatto di sangue e magia…roba che Lucius Malfoy poteva essere scambiato per un progressista!
La madre di Zeller, invece, era ancora ricoverata al San Mungo dove stavano cercando di curarla da una maledizione lanciatale da Bellatrix durante l’ultima battaglia. Da quel che si sapeva, era fuori pericolo e i curatori erano certi che sarebbe tornata a star bene ma il percorso era lungo e doloroso.
Burbage… era il nipote di Charity Burbage, non era necessario aggiungere altro!
- Evidentemente vogliono esser certi di essere ben lontani dalla mia portata e da quella di Harry, quando McLaggen vuoterà il sacco! Draco, dobbiamo…
Ma lui già non l’ascoltava più.
Draco ancora non sapeva se il suo più alto atto di codardia fosse legato all’assassinio della povera professoressa di babbanologia o alla tortura di Hermione: in entrambi i casi, non sapeva darsi pace e, in fondo, poteva capire i motivi che muovevano il ragazzo. C’erano cose che non potevano essere perdonate!
Se dietro alle aggressioni c’erano questi nomi, forse era il caso di rivalutare l’opzione di ritirata strategica…
Col viso affondato tra le mani e lo sguardo sbarrato, Draco sembrava scivolare sempre più nel suo personale inferno, orrore liquido che gli levava il respiro e in cui affondava al di là di ogni ragionevole considerazione. Perdonarsi non è un’operazione che si fa una volta per tutte, lo si deve fare ogni giorno per ogni nuovo dolore che si scopre o riscopre. E non sempre si riesce a farlo.
- Draco, guardami!
Una voce dolce e decisa, mani delicate che gli alzano il viso, occhi caldi che fissano e scaldano il suo spirito.
- Non l’hai uccisa tu! Non mi hai torturato tu! Eri lì ma non avresti potuto far nulla se non farti uccidere!
- Lo so. Razionalmente, lo so. Ma non aiuta…
- Non puoi e non devi pagare colpe non tue!
Avevano già fatto quel discorso e Draco sapeva che anche se si fosse fatto martoriare non sarebbe servito a riappacificare il mondo magico, sarebbe solo stata una vittima in più. I suoi carnefici presto avrebbero trovato qualcun altro in cui incarnare tutti i mali del mondo.
Non poteva cancellare il passato e neppure tornare indietro a cambiarlo. I segni di quanto era stato li portava impressi nella carne e nell’animo: era così stanco di fare a pugni con sé stesso, di combattere contro il senso di colpa e di inadeguatezza. Si sentiva sempre inadatto e non accettato… in sala grande, a lezione… C’era sempre un motivo, una persona, un ricordo per cui lui era di troppo. il solo posto dove si sentiva sicuro e accettato era anche l’unico posto che non avrebbe mai potuto avere: accanto ad Hermione, la regina dei Grifoni, eroina di guerra, che incarnava tutto quello che lui non era stato, non era e forse non sarebbe mai stato. Eppure desiderava che gli fosse concessa una possibilità di risalire dal suo sprofondo, voleva poter credere in una possibilità.
E guardando nel profondo degli occhi di Hermione gli sembrava di cogliere la luce di quella speranza, la speranza di tornare a vivere. In quegli occhi, che lo vedevano e lo guardavano come nessun altro aveva fatto prima, Draco leggeva un universo di magia in cui poteva trovare redenzione, cambiamento… pace.
I ricordi sarebbero rimasti ma non sarebbero stati più un tormento, col tempo, scendendo a patti con sé stesso e con la vita. Gli sarebbe mai stato concesso tanto? Trovare qualcuno che potesse dargli lo spazio che solo la fiducia poteva concedere?
Il viso di Draco si abbassò fino a far combaciare le fronti, a far sfiorare le punte del naso, a combinare le labbra…
Un bacio inatteso, il cuore furioso, una fine e un inizio. Sentirsi rinascere.
Quando le loro labbra si staccarono, lieve come un soffio d’aria, la ragazza gli lasciò quattro parole sulla bocca e nel respiro. Erano parole che esprimevano la consapevolezza di chi può e vuole mettersi in gioco. Secondo le regole, sì, ma per scardinarle dal profondo, per creare da quelle rovine nuovi spazi in cui tutti avrebbero potuto far vivere nuove idee, nuovi sogni, nuovi desideri. Tutti. Anche loro due!
- Io credo in te, Draco.
Hermione lo sapeva. La guerra li aveva visti cadere entrambi, in modi diversi ma comunque strazianti: il dolore di vinti e vincitori si somiglia sempre.
E solo insieme si sarebbero potuti rialzare, a costo di rimpianti e rimorsi. E perdono, di entrambi. Non sarebbe stato un percorso facile. Li avrebbero guardati e giudicati; avrebbero dato ragione a Cormac McLaggen; li avrebbero rimessi di fronte ai loro fantasmi, ai morti che lui aveva causato, che lei non aveva saputo salvare (perché è inutile sapere tutto quello che so se poi al momento giusto sono in grado di salvare nessuno…avrei voluto morire io al posto di Fred, di Tonks, di Lupin…)
Ma in quell’improvviso silenzio che li circondava, Draco ed Hermione iniziarono a scegliersi. Scegliersi non era e non sarebbe stato semplice perché loro non erano persone semplici, ne erano consapevoli. Non potevano dare nulla per scontato: un singolo errore, per quanto insignificante, avrebbe potuto creare un abisso in cui i loro fragili equilibri avrebbero potuto naufragare e non si sarebbero ritrovati più l’uno accanto all’altro. Ma era la loro chance per andare avanti ogni giorno. Abbracciati.
 
E abbracciati li videro scendere dalla torre di astronomia e dirigersi verso la guferia. Insieme, mandarono un messaggio a Potter con quanto avevano scoperto e con le loro considerazioni in modo che gli Auror avrebbero potuto fare il loro lavoro.
A nessuno dei due interessava la vendetta.
Non era la loro strada. Ne avevano scelta una migliore, più luminosa: quella della giustizia e del perdono. E iniziava dalle loro mani intrecciate, dalle loro dita ostinatamente strette contro i pregiudizi di chiunque avesse mai voluto additarli in qualche modo.
 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Capitolo VI
Maggio era appena iniziato. L’aria quasi tiepida, il leggero profumo dei primi fiori, il pigolio lieto degli uccellini  sembravano volersi  contrapporre ai tristi ricordi che quella data riportava alla memoria.
La preside aveva voluto che fosse proprio il 2 maggio il giorno per ricordare, per non dimenticare, per cercare di capire e andare avanti.
Il suo sguardo sorvolò la folla di maghi e streghe che prendevano posto. Li aveva guardati mentre arrivavano e si guardavano a vicenda e intorno, increduli: il platano picchiatore stava rimettendo le foglie, la scuola sembrava non aver quasi subito nulla.
Era già passato un anno, erano ancora vivi.
Alcuni cercavano tra le molte divise listate con i colori delle diverse case i visi dei propri ragazzi, altri ne cercavano almeno il fantasma o il ricordo. Qualche lacrima furtiva veniva subito asciugata, nascosta dietro la una parvenza di sorriso.
La signora Weasley rimaneva ancorata al braccio del marito, ma si capiva bene che era lei a decidere la rotta che, poi, era quella che le permetteva di seguire con lo sguardo i suoi figli mentre si sparpagliavano per il parco a salutare amici e vecchi compagni. In particolare George che sembrava farsi un dovere e un vanto di crear scompiglio per due.
Anche Ginevra sembrava piuttosto inquieta, cercava qualcuno ma ancora non lo vedeva. Del resto, Harry Potter sarebbe arrivato solo tra qualche minuto, insieme al Ministro della magia e ai maggiori rappresentanti del Wizengamot.
La vecchia strega fece un gran respiro quando vide entrare in giardino Lady Malfoy. Elegante e altera come sempre. Bellissima e fiera. Difficilmente qualcuno avrebbe mai potuto capire l’inferno che si era abbattuto su quella donna che continuava a portare sulle spalle il peso delle scelte sbagliate di un marito ora scomparso chissà dove e delle speranze per un figlio amato più della propria stessa vita.
Era nervosa, Narcissa. La mano stringeva con troppa forza il risvolto del mantello in cui probabilmente era posta la sua bacchetta e il suo incedere verso il posto che le era stato riservato troppo lento. Era sola, Narcissa, e il suo pensiero e la sua vista erano rivolti alla ricerca di chi mancava al suo fianco: il figlio, Draco.
Probabilmente, la preside McGranitt le avrebbe alleviato l’animo dicendole che al momento lui godeva della miglior protezione che il mondo magico potesse fornire ma la strega non voleva perdersi il momento in cui Lady Malfoy li avrebbe visti vicini, insieme. Quando si fossero decisi ad arrivare!
Oh! Ronald Weasley aveva raggiunto la sua famiglia. Dunque Harry e il Ministro erano arrivati e stavano prendendo posto. Era il momento di iniziare.
- Benvenuti ! Sono lieta di aprire le porte della nostra scuola a tutti voi .
Per molti di voi è questo un ritorno tra mura che hanno visto il tempo della formazione e delle amicizie, dei giochi.
In questo giorno carico di significati e di emozioni vorrei innanzitutto porgere i miei saluti
a tutti i rappresentanti del mondo dei maghi e di tutte le creature magiche presenti. Infatti non dimentichiamo che in questo giorno, anniversario di una vittoria che tante sofferenze è costata, non solo i maghi e le streghe hanno combattuto e pagato un alto tributo ma anche le altre comunità magiche, senza il cui aiuto oggi non saremmo qui.
Molte teste annuirono, qualcuno osò voltarsi verso le ultime file, dove i Giganti avevano preso posto, e verso i margini della foresta, presso i cui confini stavano schierati i centauri. Hagrid si teneva stretto stretto (o, meglio, si faceva tenere stretto stretto) al suo fratellino e gli occhioni di entrambi luccicavano: anche il baby-gigante era stato costretto a crescere in fretta.
  - Voglio ringraziare ognuno di voi per essere qui, oggi. Molti di voi c’erano anche un anno fa e come me oggi faticano a riconoscere in questo cortile lo stesso luogo in cui si è consumato il dramma che oggi ricordiamo. L’ultimo di una serie di drammi…
Il nostro mondo era già stato devastato da una guerra fratricida, avevamo già vissuto il frutto della violenza. Ma non abbiamo saputo riconoscere le cause più vere di quel periodo e siamo andati avanti senza curarle e incuranti dei loro piccoli segnali: consapevoli della violenza  e - allo stesso tempo- più assuefatti ad essa, abbiamo lasciato che si esercitasse “a pezzi”, in modi e a livelli diversi, solo per non dover affrontare le nostre paure. Abbiamo nascosto la testa sotto la sabbia, non abbiamo parlato né ricordato, perché faceva male, e abbiamo lasciato che dalla nostra vigliaccheria prendesse forza il seme di un nuovo conflitto, che si scatenassero rappresaglie e spirali di conflitti letali. Non abbiamo voluto riconoscere la verità.
E la verità è  che per lungo tempo, prima che avvenisse quello che è avvenuto in questo cortile, il vero campo di battaglia, in cui si sono affrontate la violenza e la pace, è stato il nostro cuore, perché è da lì che partono le intenzioni, le scelte e le azioni! E’ lì che pesiamo noi stessi e gli altri, che decidiamo quanto donare di noi e quanto prendere dagli altri. Evidentemente le bilance di alcuni erano un po’ troppo sbilanciate verso il loro egoismo e le loro paure: ci vuole coraggio a capire e seguire ragioni che solo il cuore può indicare.
 Dobbiamo imparare a comprendere, accettare e soprattutto perdonare gli altri, anche i nostri nemici se vogliamo, ora, costruire la vera Pace. Essa non ha bisogno che noi la predichiamo ad alta voce, ma che la pratichiamo ogni giorno coltivandola, abbondante, nel nostro cuore: se non saremo in pace con noi stessi, non potremo essere in pace con chi ci circonda. Vivere gentilmente, improntando le nostre giornate alla nonviolenza non è un’utopia babbana: è l’unica via perché ciò che abbiamo patito noi (più volte, non solo le due che i più anziani possono testimoniare) e i nostri figli non lo patiscano i nostri nipoti; non significa chiuderci in una bolla di perfezione senza accorgerci di ciò che ci circonda: dobbiamo tener conto che nel mondo magico c’è  stata, c’è e ci sarà ancora troppa violenza, troppa ingiustizia, ma non si può superare questa situazione se non contrapponendo un “di più” di Cuore.  Per spezzare le catene dell’ingiustizia e della violenza!
La Preside non era avvezza a giri di parole, lo sapevano tutti. Ma forse non si aspettavano un discorso di tal fatta. Molti tenevano gli sguardi abbassati, i pugni chiusi e gli stomaci stretti nei morsi della rabbia, del dolore, del ricordo e della colpa.
La colpa. Chi non aveva mai giudicato, chi non aveva mai creduto in qualcosa che non lo rendesse superiore agli altri, agli avversari! Il sangue, la famiglia, il potere, gli ideali. E magari, in nome del migliore degli ideali aveva commesso ingiustizie, aveva trattato con indifferenza o violenza altri – maghi, elfi, babbani, goblin, giganti… - perché non li aveva considerati parte della stessa famiglia.
Alla fine della guerra si era scatenata una caccia senza quartiere al mangiamorte e alle loro famiglie, come se vendicarsi, torturarli o uccidere loro o i loro figli avrebbe mai potuto restituire un po’ di quiete o anche solo un respiro delle persone che avevano perso. Chiunque avesse subito un torto, piccolo o grande, si era sentito il diritto di rifarsi con la propria bacchetta sui vecchi aguzzini, senza aspettare il giudizio della corte dei maghi. Gli auror erano dovuti intervenire affinché anche piccoli maghi non si trovassero a pagare le colpe dei loro padri. Nel migliore dei casi chiunque avesse parteggiato per la parte sbagliata della guerra (o fosse stato anche solo sospettato di averlo fatto)era trattato da reietto, isolato e allontanato come se avesse una malattia contagiosa e mortale. Insultato e maledetto al passaggio, costretto all’esilio o al confino volontario.
Anche Harry aveva notato, del resto, la freddezza con cui la folla dei presenti aveva accolto l’arrivo di Narcissa Malfoy e di come ora fosse seduta da sola, lontana perfino da quelli che prima non perdevano occasione per omaggiarla. Sola, neppure il figlio era con lei. E sembrava sparita anche Hermione.
E lui non aveva più avuto modo di parlarle dopo il processo. Non seppe neppure lui come ma si ritrovò accanto a lei.
- Lady Narcissa, la disturbo?
- Signor Potter…
-Posso sedermi accanto a lei?
-Ne è certo?- Gli occhi della strega vagarono intorno a cogliere smorfie e sussurri
- Certissimo!
- Allora, prego.
- Grazie! Aspetteremo insieme suo figlio. Gli avevo affidato un compito e sono sicuro che l’ha svolto con dedizione!
Nessuno dei due parlò oltre, Narcissa sorpresa ed Harry quasi sollevato: nessuna madre meritava di subire il trattamento che era riservato a quella donna che aveva solo cercato di proteggere il figlio. Come aveva fatto sua madre.
Narcissa si voltò a dire qualcosa nell’orecchio di un elfo; Harry pensò che forse Draco si era dedicato con fin troppa dedizione al suo “compito” e storse le labbra nervosamente: e pure il suo consenso aveva!!
Si concentrarono di nuovo sul discorso della McGrannit.
-E ora che è finalmente chiaro a tutti che la pace è l’unica e vera possibilità che ci è rimasta,  dobbiamo imparare le vie della ragione e dell’equità per risolvere le controversie che hanno frantumato e frantumeranno ancora una volta il nostro mondo, se glielo permetteremo. Non abbiamo più bisogno di divisioni, di maledizioni, ma solo di stare insieme, di aiutarci con generosità. Questa sarà la nostra forza contro chi vorrà ancora seminare morte e distruzione.
Noi, qui, ad Hogwarts, ora e sempre vogliamo essere un baluardo e un motore di questa ritrovata unione: tutti qui troveranno aiuto e accoglienza, anche se non lo chiederanno, anche se vi sperano, anche se pensano di non meritare una seconda possibilità… La magia non potrà più essere usata come una giustificazione per tali orrori: non lo è. La magia è pace, non guerra e dolore.
Ci prenderemo cura di ognuno dei nostri ragazzi, dei loro sogni e delle loro paure, delle loro storie, anche e soprattutto dei loro errori. E insegneremo loro a farlo nei confronti degli altri, a prenderci cura gli uni degli altri, per costruire una società che si consideri una famiglia “scelta”. Questa cura vicendevole sarà la nostra medicina per eliminare ogni rigurgito di indifferenza, scarto e scontro; sarà il nostro percorso per la pace. Per questo motivo vi annuncio che dal prossimo anno lo smistamento degli alunni nelle diverse case non avverrà al primo anno ma all’inizio del terzo, per dar loro modo di conoscersi e apprezzarsi senza le inutili barriere della concorrenza tra case, di restare amici anche se indosseranno cravatte diverse.
La novità suscitò un leggero mormorio. Famiglie che per generazioni erano state smistate nelle stesse casate avrebbero potuto vedere figli e nipoti vestire altri colori, perché si sa che in definitiva il cappello sceglie quello che nel loro animo gli studenti scelgono!
Ma forse anche questo è necessario che accada per recidere false credenze e insulse supposizioni, pregiudizi che non muoiono neppure quando la loro sostanza viene smentita dall’evidenza dei fatti: non era bastato l’esempio di Severus Piton a riabilitare la nomea della casa di Serpeverdene ne quello di Codaliscia a far capire che i vili si potevano nascondere anche tra le fila dei seguaci di Godric Griffyndor.
Luna si abbassò sull’orecchio di Neville.
            - Era ora!
Neville annuì. Forse i capannelli monocromi a cui erano stati abituati erano giunti al termine! Ma per certi pregiudizi, legati non solo al colore della livrea ma anche al cognome che portavi,  c’era bisogno di ancora un po’ di tempo. Eppure da qualche parte si doveva pur iniziare.
            - Non possiamo più permetterci comportamenti dannosi, falsati da pericolosi preconcetti in base ai quali includere o escludere, aiutare, sopportare, sfruttare. Ogni mago e ogni strega ha una propria dignità ed è nato per vivere in comunità dove tutti sono uguali!
Il discorso della Preside si avviava alle conclusioni, ma da prima che iniziasse in un’aula vuota di un corridoio che portava in cortile, due ragazzi erano fermi in una sorta di impasse, di tira e molla che non pareva avere fine.
Si erano dati appuntamento in Sala Grande per far colazione e andare insieme alla cerimonia; arrivati, però, all’altezza di quell’aula lui le aveva preso la mano e, mentre due dita malandrine si inoltravano sotto il polsino della sua camicia, l’aveva spinta dentro: era presto, molto presto, troppo presto…
Lei si era lasciata convincere: non aveva alcuna fretta di presentarsi in mezzo a quella folla che non avrebbe fatto che chiederle delle loro eroiche gesta, dei suoi incantesimi, del suo futuro brillante mentre lei avrebbe visto solo flash della battaglia ed amici cadere, avrebbe sentito boati ed urla traforarle i timpani. Andare avanti non significa dimenticare; e convivere con i propri incubi non significa avere sempre la forza di ignorarli o di perdonarsi, ogni giorno, ogni volta, per quanto avrebbe potuto fare e per quanto non era riuscita a fare.
Lei si era lasciata convincere: del resto, lui, la Serpe, sapeva bene come ammaliarla e avvilupparle i sensi tra le sue spire bramose senza lasciarle la minima possibilità di pensare o desiderare altro che le sue cure, i suoi respiri. Anzi, pensava, Serpe presuntuosa, di essere così bravo da farle dimenticare anche il motivo per cui si trovavano lì a quell’ora del mattino invece che nei loro caldi e comodi letti; magari di non farle sentire lo scalpiccio degli ospiti che arrivavano o il chiacchiericcio degli studenti che si riversavano in cortile ad accogliere le proprie famiglie.
            -Draco, dobbiamo andare…
Come non detto! C’era sempre qualche neurone che resisteva alle sue tentazioni: lei era … impossibile e perfetta! Il suo respiro era ancora pesante, le labbra gonfie per i baci e già ritornava al presente!
            - Draco, inizieranno senza di noi.
            - Hmm, inizino pure… io sto bene qui.
            - Tua madre sarà già arrivata…
            - No. Noblesse oblige, arriverà in ritardo e mi cercherà.
            - Harry e Ron…
            - Sopravvivranno meglio se non ci vedono insieme, specie Lenticchia!
            - Sempre il solito!
Un dito si arricciò intorno ad una ciocca bionda e tirò piano, come a voler infliggere una piccola punizione il cui unico risultato fu però un mugugno delizioso accompagnato da un morso leggero su un lembo di carne già decisamente provato da labbra, lingua, denti…  un brivido percorse la ragazza e lui lo salutò con un ghigno soddisfatto mentre le mani riprendevano la loro dolce tortura: forse aveva ancora una possibilità! E per non farsela fuggire, aveva alzato il capo dal suo seno per riportarsi sulle sue labbra gonfie e martoriate per trovare ancora il suo sapore e la sua aria, cura per il suo cuore affaticato e la sua anima terrorizzata.
Perché tutto avrebbe fatto Draco in quel momento tranne che uscire in quel cortile e affrontare tutte quelle persone, che avrebbero avuto ragione nel pretendere qualcosa da lui, e i suoi fantasmi: lui era il solo in quel castello a portare addosso il segno indelebile del suo errore, l’unico a cui non era stato concesso di passare per quel che non era neppure se fosse andato a nascondersi dall’altra parte del mondo perché non poteva nascondersi a sé stesso: mangiamorte! Mangiamorte!MANGIAMORTE!
Hermione vide la sua palpebra tremare e capì l’ombra che attraversava i suoi pensieri. Lo attirò ancora di più a sé, strinse il suo viso tra le mani e approfondì il bacio, accarezzando con la lingua l’interno martoriato della sua bocca nel tentativo di lenire le sue paure.
Uno schiocco improvviso li fermò, spaventandoli a morte. Le mani già avvolte intorno alle bacchette, si voltarono contemporaneamente verso l’origine di quel rumore solo per trovarvi un piccolo elfo imbarazzato e spaventato che stava per tirarsi le orecchie!
            - Padrone, sono dispiaciutissimo ma la padrona vuole sapere dove si trova e vuole che la raggiunga in cortile. Io non volevo disturbare… io…
Il viso rosso come un peperone e gli occhi lucidi, il piccolo elfo era sull’orlo di una crisi!
Draco fece crollare il suo volto, nascondendolo nella curva tra il collo e la spalla di Hermione.
            - Ecco! Ora è arrivata mia madre!
Il tempo era finito. Sapeva che non era il suo piano migliore ma pensava di avere ancora tempo prima di affrontare il suo inferno. Tempo, solo un altro po’ di maledettissimo tempo… La sua testa iniziò a scuotersi nell’incavo di pelle dolce e profumato in cui si era nascosta e da cui non voleva più uscire. Fu Hermione a prenderla delicatamente tra le sue mani per alzarla e poggiarla alla sua fronte, fissando in quelle iridi spaventate le sue braci ardenti.
            - Andiamo insieme. Non dovremo più affrontare nulla da soli, io e te!
            -Uff… almeno morirò felice vedendo scoppiare Potter e Lenticchia!
 
            - In ultimo, vorrei invitare tutti a seguire un cammino comune e veramente prodigioso, un cammino che ci porti ad apprezzare il valore e la dignità di ogni essere, magico o no, e ad agire insieme e in solidarietà per il bene della nostra comunità: dobbiamo essere profeti e testimoni della “cultura della cura” degli altri, chiunque essi siano. In questo tempo, nel quale la barca della nostra comunità, appena uscita dall’uragano della guerra, è ancora scossa dalla tempesta delle crisi e procede faticosamente in cerca di un orizzonte più calmo e sereno, il timone deve seguire la rotta sicura indicata dal rispetto delle diverse dignità, dalla disposizione ad interessarsi, a prestare attenzione, al rispetto mutuo e all’accoglienza reciproca: solo prendendoci per mano potremo andar lontano.
Mentre la McGrannit tirava le fila del suo discorso due figure avanzavano tra i maghi e le streghe che ascoltavano, sollevando un leggero brusio che si calmava, però, appena ci si rendeva conto di chi erano i due ragazzi che cercavano di raggiungere i propri posti: Hermione Granger e Draco Malfoy.
            - Potter, grazie per aver tenuto compagnia a mia madre. Ti spiacerebbe ora restituirmi il mio posto?
            - Sempre gentile, Malfoy! Hai visto Hermione?
La testa della ragazza spuntò dalla spalla del mago, causando una leggera sorpresa nell’amico che riuscì a camuffare tutto in un colpo di tosse. Si alzò e, dopo aver osservato attentamente i due, aggiunse nei riguardi dell’amica
            - Forse è meglio se resti qui dietro. E sistematevi le divise prima di venire davanti… Ma vedi un po’ cosa mi tocca!
Ronald si era girato per capire a cosa fosse dovuto il brusio e, alla vista – che poco lasciava all’immaginazione - della cravatta sbilenca di Hermione e della camicia stropicciata della Serpe, si sentì la gola annodarsi. Stava decisamente per affogare quando Harry, giunto al suo posto, gli intimò di respirare e di girarsi avanti.
            -Dopo faremo quattro chiacchiere col furetto, non temere!
La preside vide la scena (il rossore di Hermione, il ghigno di Draco, la luce negli occhi di Harry e Ron, lo sguardo minaccioso di Ginevra e quello divertito di Zabini) e abbozzò un sorrisino, sperando di non dover intervenire e che la Granger sapesse tenere a bada gli spiriti dei suoi amici e del suo, quanto mai improbabile, ragazzo.
            - Smettiamo, allora, di nascondere il dolore delle perdite e facciamoci carico dei nostri errori, della nostra ignavia e delle nostre menzogne. Tutti abbiamo una responsabilità riguardo alla nostra comunità ferita: Prendiamoci cura della fragilità di ognuno con atteggiamento solidale e attento. La pace farà perdere la paura  a noi stessi e agli altri.
Andava bene così, proprio così. Silente sarebbe stato fiero di quei ragazzi!
 
Porto a termine con grande fatica questa storia che, nata per dar sollievo dall’isolamento da Covid, è finita con l’essere compagna muta di uno dei periodi peggiori della mia vita.
Il foglio bianco è stato per lunghi periodi solo il luogo in cui affrontare il dolore e vinceva sempre lui: perciò il foglio restava bianco!
Poi è arrivata la guerra in Ucraina: che la pandemia ci avrebbe reso tutti migliori era, evidentemente, un’utopia ma non pensavo che la natura umana avrebbe approfittato per giungere al fondo, prendere un badile e cominciare a scavare…
Avrei voluto fare di Draco ed Hermione un simbolo di speranza, di superamento delle opposizioni, di incontro e comprensione delle diversità. Vorrei continuare a sperare che questo sia possibile ancora anche nella vita di tutti i giorni e non solo nelle fantasie di noi che “scriviamo” storie e desideri.
Detto questo, il discorso della Preside è debitore a Papa Francesco per la profondità delle sue idee e delle sue parole. Non sono mai stata una convita “clericale”, anzi, ma ho sempre creduto che gli uomini giusti possano militare sotto qualunque bandiera, anche sotto quella del Vaticano. 
Grazie a tutti voi.  Audry-enn
e

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