Soffocato di Voglioungufo (/viewuser.php?uid=371823)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tulipano giallo ***
Capitolo 2: *** Camelia gialla ***
Capitolo 3: *** Papavero ***
Capitolo 4: *** Nontiscordardime ***
Capitolo 5: *** Trifoglio bianco ***
Capitolo 6: *** Fiore di veronica ***
Capitolo 7: *** Higanbana ***
Capitolo 1 *** Tulipano giallo ***
«Malattia di Hanahaki (花 吐 き 病)
: Vomitare fiori.
La
vittima tossisce petali di fiori
quando soffre di amore unilaterale. Più si avvicina a un
fiore sbocciato, più
ci si avvicina alla morte. Oltre al ricambio dei sentimenti da parte
dell’amato, non esiste una cura nota per questa malattia.»
Sasuke
alza lo sguardo dal testo polveroso e guarda Sakura, il suo volto
pallido e gli
occhi gonfi dal pianto, la cornea macchiata rosso.
“Non
esiste nulla del genere” dice.
Ma il mucchio di fiori che
gli porge con un singhiozzo
dice il contrario.
Ha
una
fitta al petto, un dolore che si mischia al senso di colpa e gli blocca
il
respiro. Perché vorrebbe, ma non può amare Sakura
come vuole lei, non ci
riesce.
“Sakura…”
Scuote
la testa, gli occhi umidi. “Non sono miei…”
Sono
di
Naruto.
Soffocato
1
Tulipano
giallo
“Ehi!”
Naruto
apre gli occhi e sorride, guarda la figura capovolta di Sakura contro
il cielo
e resta disteso sul prato smeraldo. Fa un movimento con la testa che
potrebbe
dire tutto e niente, ma Sakura capisce ugualmente e si stende accanto a
lui, le
spalle che si sfiorano, i capelli che si aprono come un ventaglio e
macchiano
l’erba di rosa.
Restano
in silenzio per alcuni minuti, il cuore le rimbomba nelle orecchie
mentre si
chiede come domandarlo. Forse non è il momento giusto, una
parte di lei non
vuole rompere questo pacifico silenzio di un qualsiasi pomeriggio di
primavera.
È così raro il silenzio attorno a Naruto che
sarebbe un crimine interromperlo.
Ma
ha
una missione. Deve farlo, Sasuke conta su di lei, è lei
l’unica che può farlo
ora.
“Naruto…”
inizia e si morde subito le labbra con gli incisivi.
Ma
ormai
ha fatto il danno e Naruto ronza con quieto mmh con
le bocca chiusa per
spronarla.
Con
le
dita si aggrappa ai fili d’erba e inizia a strapparli, in
gesti nervosi e
inconsci.
“Noi
due
siamo migliori amici, vero?”
Naruto
apre ancora gli occhi, ma questa volta sposta le iridi a fissare il suo
profilo
con una luce calda e affettuosa.
“Ma
certo, dattebayo!”
Fa
un
sorriso, tranquillizzata dall’espressione squillante che
riconduce alla loro
infanzia, quando erano genin imbranati e l’unica
preoccupazione era quel
maledetto gatto fuggitivo. Sakura è felice
dov’è ora, ma quei giorni
continueranno a mancarle per sempre.
Il
suo
sorriso trema mentre pensa a quello che deve dire. La presa sui
maltrattati
fili d’erba si fa più serrata, nervosa.
“E…
se
fossimo più che migliori amici?”
L’espressione
radiosa sfuma fino a corrucciarsi in esitazione e rammarico. Naruto non
ha da
dire altro mentre chiede scusa con lo sguardo e Sakura non
può intimamente che
sospirare di sollievo – non è lei che lo sta
uccidendo – che di paura – chi è?
“Ti…
c’è
qualcuno che ti piace?” chiede arginando l’angoscia
per tenere la voce
asciutta.
Naruto
la guarda triste. “Non mi piaci, Sakura” precisa.
“Lo
so”
replica suo malgrado stizzita, poi esita:
“Intendo… in generale”.
Ora
Naruto la guarda curioso, ma riesce a vedere anche il pizzico di
preoccupazione
che si muove tra le ombre degli occhi blu. Poi scuote la testa, un
nuovo
sorriso sulle labbra.
Sakura
conosce quel sorriso: è quello finto che odia con tutta se
stessa.
“No,
Sakura. Non c’è nessuno!”
La
voce
squillante viene interrotta bruscamente da un colpo di tosse. Naruto
strabuzza
gli occhi e si porta una mano alle labbra, la tosse che scuote tutto il
suo
corpo mentre si mette a sedere. Sakura lo segue nel movimento,
allarmata e
terrorizzata. Appoggia una mano sulla sua schiena e cerca di aiutarlo
in quel
movimento, la tosse sembra dolorosa. Lentamente diminuisce, fino a
diventare
solo piccoli colpi e rantoli soffocati. Apre gli occhi guardandola
esitante e
lentamente allontana la mano dalla bocca.
Sakura
sente il cuore riempirsi di sollievo quando vede che non ci sono
petali. Con il
pugno chiuso, Naruto si asciuga le labbra dalla saliva.
“Forse
è
meglio che vada” dice, la voce ancora strozzata e gli occhi
lucidi. Li strizza
un paio di volte mentre si alza. “Sì, direi di
sì. Kakashi-sensei mi aspetta”.
Sakura
prova a protestare, ma non riesce a dire nulla. I suoi occhi vengono
distratti
dal pugno chiuso di Naruto, ancora chiuso come se
trattenesse qualcosa.
“Naruto…”
lo chiama con il cuore in gola.
Ma
lui
si è già allontanato, tossendo ancora con forza a
ogni passo, piegato su se
stesso.
“Sto
bene, Sakura-chan” promette. “Mi è
andata solo della saliva di traverso”.
Gli
occhi
le cadono su un petalo viola, inzuppato di saliva, caduto sul prato. Lo
afferra
e il sollievo che provava fino a pochi minuti fa si annichilisce
nell’angoscia.
Quella
sera, dopo aver consultato dei libri, scopre che quel petalo viola
appartiene
alla digitalis purpurea, conosciuta comunemente
come digitale, e che nel
linguaggio dei fiori significa menzogna.
*
Naruto
continua a tossire petali. Di nascosto, senza dirlo a nessuno, ogni
volta che
un attacco di tosse lo coglie si allontana da tutti e sparisce dove lo
sanno
solo gli dei. Sakura sente la tosse soffocata da dietro le porte degli
uffici
del palazzo e trova i petali di camelia spiegazzati nascosti nei
cestini. A
volte può vedere le nuance sulle labbra, lì dove
i petali si sono premuti con
così tanta forza da rilasciare il loro colore, come un
rossetto sbavato in una
bocca che desidera essere baciata.
Naruto
è
molte cose, ma non è sottile, non è in grado di
nascondersi. Soprattutto non a
lei, che lo conosce così bene. Cerca di essere discreto,
fugge alle sue domande
insistenti con una risata e ha sempre una buona scusa per la tosse. Non
riesce
mai a fermarlo, a smuoverlo dal mutismo in cui si è
barricato.
“Sono
il
miglior medinin del continente”.
“Lo
so,
Sakura-chan”. E le sorride con orgoglio.
“Sono
il
medico della nostra squadra”.
Continua
a guardarla sorridendo.
“Se
hai
un problema… devi dirmelo!” insiste e si sente
sull’orlo del pianto.
Naruto
continua a sorridere sereno, lo sguardo più morbido e dolce.
“Certo
che te lo direi, se ci fosse un problema”.
“La
tua
tosse…”
“Non
c’è
niente di sbagliato in me” le assicura. “Ti prego,
credimi”.
Lei
gli
crede, perché non può fare altrimenti. Ma ogni
volta lascia sempre una scia di
petali che Sakura raccoglie con cura e conserva, appuntando il tipo e
il
significato di ognuno.
C’è
il
ciclamino per l’addio e la rassegnazione,
il garofano rosso per
l’ammirazione,
la calendula per
la crudeltà e la pena,
il nontiscordardime per la fedeltà
perpetua,
la
camelia del sacrificio, l’erica della solitudine,
la ruta per il rimpianto
e l’achillea per la guerra.
Ma
c’è
un fiore che ricorre più degli altri, dai petali lunghi e
sottili come le zampe
dei ragni che sembrano essere stati intrisi nel sangue. Sakura non ci
mette
molto a riconoscerli, non dopo tutti quelli che ha portato al cimitero
per
Sandaime-sama, per Asuma-sensei e Neji.
Sono
petali di higanbana.
Il
suo
nome specifico sarebbe lycoris radiata, ma i nomi più comuni
sono altri: giglio
ragno rosso per la morfologia atipica dei suoi petali, fiore
dell’equinozio poiché sboccia in
autunno o giglio uragano –come un
Uzumaki. Ma c’è un nome per cui è
molto più famoso, che le fa accapponare la pelle in un
presagio macabro e
terribile.
Quello
è
il fiore dei morti.
Il
fiore
che, secondo la leggenda, sboccia quando incontri una persona che sei
destinato
a non rivedere mai più.
*
Sasuke
è
più discreto nell’indagare.
C’è uno strato di persistente scetticismo nella
sua
mente, che gli impedisce di credere all’esistenza di quella
malattia che sembra
essere uscita da una delle fiaba che gli raccontava la mamma. Continua
a
ripetersi che Sakura si sbaglia, che quei petali che gli porta ogni
giorno sono
altro e non i sentimenti del suo migliore amico che hanno messo radici
nei suoi
polmoni per soffocarlo.
Deve
vederlo con i suoi occhi per crederci.
Una
notte in cui Naruto si è trattenuto con Kakashi fino a tardi
e per le strade
del villaggio non c’è nessuno, fatto per eccezione
delle pattuglie lungo le
mura. Sasuke lo segue a distanza, rendendo il proprio chakra
impercettibile.
Naruto fa solo pochi passi prima di piegarsi contro una casa e iniziare
a
tossire così forte che sembra stia per vomitare il suo
stesso cuore. I
singhiozzi echeggiano nella via vuota come rantoli di un moribondo.
Sasuke
guarda quelle spalle così forti – le spalle di
qualcuno che ha preso carico di
tutto il suo dolore – e desidera solo andare al suo fianco
per sostenerlo,
aiutarlo. Ma resta immobile nelle ombre, le ossa che stridono al ritmo
della
tosse.
Non
è
sorpreso come dovrebbe quando vede petali svolazzare a terra, uscire
direttamente dalle sue labbra umidi di saliva.
L’hanahaki
esiste davvero e sta uccidendo Naruto.
Il
suo
primo sospetto è che si tratti di Kakashi. Del resto si
trovava con lui appena
pochi minuti prima di essere colpito da quell’attacco di
tosse floreale. Ma la
scarta subito: se fosse Kakashi, Sakura se ne sarebbe accorta. Naruto
ha gli
occhi più espressivi che conosca, sarebbe impossibile per
lui nascondere il
desiderio nello sguardo. Se fosse Kakashi, chiunque stando nella stanza
con
loro se ne sarebbe accorto.
Ma
allora chi? Sakura si è fatta avanti inutilmente e Naruto ha
sempre chiarito di
non amare romanticamente Sasuke.
Continua
a seguirlo per scoprirlo. A differenza di Sakura, sa che Naruto
piuttosto che
ammettere il problema si lascerà soffocare da esso.
Vorrebbe
così tanto poterlo affrontare, costringerlo a sputare fuori
la verità come
sputa quei petali; vorrebbe che smettesse di immolarsi in quel modo per
non far
preoccupare gli altri. Ma, soprattutto, prova un odio sottopelle che
brucia le
sue vene, sobilla al pensiero di quella persona che ha rifiutato
l’amore
di Naruto. Desidera capire chi è stato così folle
da farlo, così crudele da
lasciarlo soffocare con fiori nei polmoni, solo per costringerlo a
ingoiare
quei petali uno a uno.
Comincia
a essere più attento al modo in cui Naruto si rapporta agli
altri, paragona i
suoi sorrisi a seconda di chi siano i destinatari. Ma non coglie
niente, non
trova quella persona che fa brillare gli occhi di Naruto di desiderio e
amore.
Anche attendere la delegazione di Suna con il Kazekage si rivela un
buco
nell’acqua.
O
Naruto
è diventato un esperto dissimulatore, o la persona che ama
non è tra quelle che
incontra abitualmente.
È
così
che capisce.
*
“So
chi
è”.
Sakura
sussulta e la cartella clinica quasi le scivola dalle dita. Si volta e
vede il
compagno di squadra guardarla in modo quasi febbrile.
“Sa…
Sasuke!” sibila a bassa voce. “Non puoi
teletrasportarti così in ospedale”.
Lui
non
l’ascolta nemmeno, preme solo la mano sulla sua spalla con
così tanta forza da
farle fare una smorfia.
“So
chi
è, Sakura” ripete, più incisivo.
“So chi è che ama”.
Ci
vogliono pochi secondi perché capisca e gli occhi verdi si
spalanchino di
meraviglia e sorpresa.
“Chi?”
sussurra.
Ha
quasi
paura a sapere la risposta. Si aggrappa alla cartella clinica con
forza, come
se fosse un’ancora di salvezza. Più secondi
passano nel silenzio più il cuore
le batte in gola. Chi è, che Sasuke è
così riluttante a dirlo?
Aumenta
la stretta sulla spalla.
“Adesso
è da lui, vieni”.
Dovrebbe
protestare, perché sta lavorando e ci sono medici alla sua
dipendenza che
aspettano ordini, ci sono pazienti che devono essere curati, shinobi
che
aspettano solo lei per poter uscire da lì. Ma tutto questo
impallidisce fino a
svanire, tutto viene inghiottito in secondo piano. In primo piano ci
sarà per
sempre e solo la sua squadra e non importa in quanti altri abbiano
bisogno di
lei.
Naruto
e
Sasuke vengono prima di tutto.
Sasuke
non aspetta che annuisca, con il rinnegan viaggia tra lo spazio
portando la
ragazza con sé.
Sakura
sbatte le palpebre quando si trova la luce del sole negli occhi. Le ci
vogliono
alcuni secondi di accecamento per riconoscere lo spazio aperto che ha
davanti.
Il luogo dove anni prima erano stati promossi a genin, lo spazio aperto
dove è
stato eretto il monumento commemorativo. Quello che Kakashi a guadava
mentre
dava loro la prima lezione, quella che ognuno di loro si porta ancora
dentro
come un mantra.
Naruto
è
davanti a esso, come molte altre volte. Naruto visita spesso quel luogo
per
salutare i suoi genitori, non capisce cosa ci sia di diverso questa
volta.
Finché
non inizia a tossire.
Inizialmente
è solo un colpo di bocca che diventa un crescendo e si piega
in se stesso, la
schiena curva e la testa china sotto quei colpi. Petali gialli escono
dalla
bocca aperta, la mano che si tiene il petto come se stesse soffrendo.
Sakura ultimamente
ha passato abbastanza tempo sui libri di botanica da riconoscere il
fiore a cui
appartengono.
Tulipano
giallo, amore disperato.
L’altra
mano resta aggrappata alla pietra commemorativa, i polpastrelli che
seguono un
nome inciso in una carezza ugualmente disperata.
Sasuke
sospira sconsolata e Sakura sente il cuore sanguinare.
Oh
no, Naruto…
Il
nome
che sta accarezzando mentre i petali continuano a vomitare dalle sue
labbra è
quello di Uchiha Obito.
Note
dell’autrice.
Immagino
che chi mi conosce sapeva che sarebbe finita con quel nome. Well,
fingerò comunque di avervi sorpreso.
Insomma,
vengo con questa nuova idea molto angst che, vi
avviso
subito, non finirà a rose e fiori (per restare in tema). Mi
è entrata in testa
due settimane fa e ho sentito l’impulso di scriverla, Rekichan
e Iky
hanno poi spinto perché la sviluppassi ed è
diventata una mini-long (sui
sei-sette capitoli. E questa volta lo dico sul serio perché
è praticamente
finita, devo vedere se mi servono ancora due capitoli o invece di uno
per
terminarla hahaha).
Spero
possa piacervi, l’hanahaki è
un trope che mi affascina
tantissimo e sarei molto felice se, per esempio, ispirasse qualcun
altro a
scriverci sopra c: perfavore.
Se
mi lascerete un commentino vi regalerò un biscotto <3
Hatta.
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Capitolo 2 *** Camelia gialla ***
2
Camelia
gialla
Naruto
smette di tossire, si passa una mano sulla bocca per asciugarsi il
mento dalla
saliva e guarda il mucchietto di petali di tulipano. Sono
così tanti… più del
solito.
Sorride
rassegnato e crolla a sedere sullo spiazzo, la mano ancora appoggiata
alla
lapide, a quel nome.
“Lo
so che
siete lì” mormora, la voce roca.
Non
sposta
gli occhi dai petali nemmeno quando Sakura e Sasuke si siedono ai suoi
lati,
tenendolo stretto. Sasuke si incastra lì dove della protesi,
quel piccolo posto
che è sempre stato suo, e Sakura appoggia la testa contro la
sua spalla.
“Sto
bene”
mormora per rassicurarli.
“Stai
morendo” lo contraddice Sasuke duro.
Sakura
raccoglie i petali con delicatezza, li tiene come se fossero
così delicati da
sgretolarsi tra le sue dita.
“Da
quando?” sussurra.
Sono
così
tanti. Quanto mancherà perché inizi a tossire
boccioli, fiori interi?
“Qualche
mese” dice con leggerezza. “Da quando
l’ho realizzato. Voi?”
“Due
settimane” ammette Sakura. “Ti ho visto tossire
petali nel cestino”.
“Oh…”
ride.
“Dovevo stare più attento”.
Sakura
stringe il pugno sui petali, li spiegazza e trema di rabbia. Non devi nasconderlo le resta incastrato
nella gola.
“Va
tutto
bene” ripete Naruto rassicurante.
“Supererò anche questa, vedrai”.
Restano
in
silenzio qualche secondo, lasciandosi cullare dalla dichiarazione
audace,
dall’ottimismo contagioso che è in grado di
trasmettere con poche parole e per
un momento sembrano dimenticarsi che non esiste cura.
Poi
Sasuke
fa la domanda che Sakura non ha il coraggio di porre:
“Perché
lui?”
Le
labbra
di Naruto tremano in una piccola risata imbarazzata. Si gratta la testa
e nel
movimento entrambi scivolano ancor di più contro di lui.
“È
così
strano?”
Gli
occhi
verdi incontrano esitanti quelli neri prima di mormorare:
“Un
po’”.
Naruto
sorride a labbra chiuse, dolce, negli occhi quell’espressione
emozionata che
Sasuke ha cercato da giorni. Fa male che sia per una tomba.
“Sono
entrato nella sua testa” mormora. “Ho visto, sentito… tutto di lui. Era
ovvio succedesse” ride, ma si afferra i
capelli quasi con disperazione. “Come poteva non succedere
dopo che sono
entrato così a fondo nel suo cuore? Tutto… i suoi
sogni da bambino, i suoi
desideri, l’affetto, la disperazione e la
rassegnazione… il suo amore”. Non sta
più ridendo. “Ha amato così
tanto. E
anche se quell’amore non era per me, ho desiderato lo
fosse”.
Sasuke
abbassa lo sguardo e ricorda quel momento, il tiro alla fune dove i
chakra sono
entrati in contatto. Ricorda la forza che lo trascinava nella coscienza
del
Jinchūriki del Jūbi, come non abbia voluto farsi risucchiare da essa
mentre
Naruto si gettava a capofitto, impulsivo come suo solito, lasciandosi
travolgere dai ricordi estranei. Ma d’altronde se non
l’avesse fatto non
sarebbe mai arrivato così in profondità nel cuore
di Obito per prenderlo per
mano e dare quell’ultimo strattone definitivo al chakra dei
cercoteri. Probabilmente
se non si fossero incontrati in quel modo non avrebbero mai vinto.
“Naruto,
ha
ucciso i tuoi genitori”.
Sasuke
non
si sente crudele a ricordarglielo. Qualsiasi cosa purché non
ci sia più quell’emozione
nei suoi occhi, qualsiasi cosa
purché smetta di uccidersi con questi sentimenti.
“Lo
so”.
“Voleva
ucciderti”.
“Mi
ha
anche salvato la vita, due volte, e ha salvato Kakashi-sensei e ti ha
riportato
da me e Sakura quando Kaguya ti ha diviso da noi” ricorda.
“Avrebbe riportato
in vita tutte le vittime della guerra1”.
Sasuke
rimane in silenzio, poi:
“È
morto”.
Il
sorriso
di Naruto è triste.
“Per
me”.
*
Sakura
riesce a convincerlo a fare un’ecografia, anche se costringe
se stessa e Sasuke
a giurare di non dirlo a nessuno. Naruto non vuole far allarmare
Konoha, non
vuole mettere in agitazione il Rokudaime quando
c’è ancora molto da fare per la
pace. Ci sono priorità e ha intenzione di non distogliere la
sua attenzione da
esse.
La
stanza
d’ospedale è vuota, Sakura ha fatto in modo che ci
fossero solo loro tre e
nessuno venisse a disturbarli. Ha iniziato una nuova cartella medica
dove
appuntare tutte le condizioni di salute di Naruto.
Non
c’è cura continua a fare
capolino nella sua
mente, ma lei è una medi-nin, la migliore di Konoha, e la
troverà a costo di
notti insonni e troppe lacrime.
“Ti
terrò
sotto osservazione” mormora. “Appunteremo la
frequenza della tua tosse, quando
si presenta e quanto dura. A quali fiori appartengono i petali che
vomiti e
quanti sono. Cercheremo di prevedere il suo peggioramento e troveremo
un modo
per bloccare la crescita delle radici nei tuoi polmoni”.
Naruto
si
spoglia ed entra nella macchina per i raggi. Quello che si presenta
sullo
schermo lascia Sakura senza fiato.
“È
come se
tra le tue costole ci fosse un giardino” mormora.
Attorno
ai
bronchi e bronchioli sono avvolte radici e viticci, che si arrampicano
fino al
cuore, dove le radici sono più robustamente ancorate. Lo
avvolgono e stringono
a ogni battito. E i fiori… o meglio: i teneri boccioli
arrotolati in se stessi
come nell’inizio della primavera sono uno spettacolo
commovente. Riesce a
riconoscere alcuni tipi, soprattutto i gigli ragno rosso,
così bizzarri…
“Non
si
possono estrarre con un’operazione?” chiede Sasuke.
Sakura
scuote la testa sconsolata. “Non saprei… non ho
mai sentito nulla di simile”.
“Ma
è
fattibile?” insiste.
“Non
lo so”
ripete più incisiva, picchietta sullo schermo.
“Guarda queste radici, sono così
avviluppate… i polmoni sono delicati, non sono un organo su
cui si può
intervenire senza sapere cosa si sta facendo… Dio, sono
anche nei ventricoli,
guarda. Mi chiedo come sia possibile, è assurdo!”
Sasuke
osserva e tutto quello che sa è che vorrebbe strappare con
forza quei fiori
maledetti e dar loro fuoco.
“Dovremo…
indagare ” mormora Sakura, mordicchiandosi la pellicina del
pollice. “Non puoi
essere l’unico, Naruto, qualcun altro deve… Devono
aver tentato qualcosa”.
Non
c’è
cura. Non c’è cura. Non c’è
cura.
Stampano
l’immagine e Naruto può uscire dalla macchina.
Prima ancora di rivestirsi
l’afferra e osserva curioso quello che l’amore per
un morto sta causando nel
suo corpo.
“È
bello
però” mormora Naruto con un tono remissivo.
“È
spaventoso” ringhia Sasuke.
Come amare, pensa Sakura.
*
Naruto
non
lo nasconde più a Sakura e Sasuke. Quando la tosse lo coglie
ed è solo con loro
non cerca scuse, non fugge. Si piega su se stesso e tossisce, vomita i
fiori
sul pavimento, sulla propria mano mentre il suo corpo si sforza e
soffre per
poter respirare. Sakura raccoglie sempre i petali e li conta,
angosciata nel
vederli ogni giorno aumentare.
Le sue
ricerche in biblioteca non portano a nulla. Sembra che Naruto sia
l’unico a
essere stato colpito da quella maledizione e quando chiede a Tsunade se
sa
qualcosa sull’hanahaki la maestra la sminuisce come una
romantica leggenda.
Ma non
c’è
niente di romantico nel vedere Naruto soffocare, diventare giorno dopo
giorno
sempre più debole e pallido per i fiori che succhiano le sue
energie.
Soprattutto è così reale.
Naruto
continua a tornare a quella tomba, quel monumento – sotto non
c’è neanche sepolto
un corpo, è solo un nome – assiduamente, come se
non si rendesse conto della
pericolosità della sua azione. Continua a nutrire il suo
amore ogni giorno,
incauto e ingenuo.
“Basta
che
la persona che ami ricambi per guarire, non è
vero?” mormora una volta.
Naruto
ha
dichiarato il suo amore mille volte. Ma i morti non rispondono.
*
Guarda
il
giallo morbido e burroso galleggiare nell’acqua con
malinconia.
Camelia
gialla, nostalgia.
Sorride
fra
sé e sente un sapore ferroso mentre passa la lingua sui
denti. Nostalgia di
cosa? Di qualcosa che ha potuto avere che per pochi preziosi attimi?
Non
dovrebbe mancargli così tanto, lo sa, ma ricorda
quell’ultimo sorriso e si
sente soffocare dal bisogno di rivederlo ancora una volta.
Qualcuno
bussa alla porta del bagno e gli chiede di sbrigarsi. Naruto ingoia gli
ultimi
rimasugli di tosse, la gola che brucia e gratta per lo sforzo di tirare
fuori
dalla trachea quei
petali.
La
camelia
è un fiore bellissimo e per un momento folle pensa di
conservare quei petali,
come faceva con i primi che sputava. Li conservava e li portava al
monumento
commemorativo come un’offerta. Poi ha smesso: sono diventati
troppi e la sua
preoccupazione è stata nasconderli. Comunque continua a vomitarli davanti alla sua tomba.
Con
rammarico preme lo sciacquone e osserva i petali girare nel vortice
d’acqua,
risucchiati nello scarico.
Quando
esce
fa un cenno di scuse all’uomo che attende il suo turno fuori,
torna veloce allo
studio dell’Hokage dove Kakashi è pronto a
sfruttarlo con la scusa del suo
tirocinio – come se uno degli
Hokage
precedenti abbia mai fatto tirocino, dattebayo.
“Che
ti ha
trattenuto così a lungo?” chiede al suo ritorno il
Rokudaime.
Naruto
geme
a vedere la quantità di scartoffie aumentate in quei pochi
minuti.
“Niente”
scrolla
le spalle.
“Naruto?”
Alza lo
sguardo e sorprende l’ex-sensei fissare le sue labbra con
cipiglio confuso,
dentro di sé raggela ancor prima che chieda:
“Cos’hai
sul mento?”
Si passa
il
palmo sulle labbra e sente qualcosa di morbido sfregare sulla pelle,
guarda i
petali gialli ipnotizzato e mentalmente si maledice per non aver
controllato
prima di uscire dal bagno di averli sputati tutti.
“Sembrano…
petali?”
Ride
genuinamente della confusione di Kakashi.
“Devo
essersi appiccicati mentre camminavo”.
Il
Rokudaime
non chiede come sia possibile, è Naruto e ormai si aspettata
tutto da lui. Osserva
semplicemente il palmo e una piccola espressione malinconica si disegna
sulla
parte visibile del suo viso.
“Ah,
camelia gialla…” riconosce. “Era uno dei
fiori preferiti di Obito”.
Naruto
sente che non può combattere il sorriso e il calore che gli
inonda dolce lo
stomaco, come quando beve il tè zuccherato con il miele. Si
lamenta sempre che
Kakashi lo trattiene nel suo ufficio per sfruttarlo, ma la
verità è che lui
adora restare con lui per cogliere i mozziconi di racconti che lascia
su
Obito.
“Una
volta,” continua rapito dal ricordo, “ne ha
comprato un mazzo intero per Rin,
ma non riuscì mai a darglielo…”
Lo so, vorrebbe
rispondere, perché ha
visto quei ricordi e li ha sentiti come se fossero suoi. Ma un colpo di
tosse
ostruisce la sua gola e si trova il petto soffocato da una pressione
insostenibile. Chiude le spalle e porta le mani alla bocca, la
fastidiosa
sensazione che striscia nella sua trachea con violenza che lo fa
rabbrividire
in convulsi.
“Naruto?”
chiede Kakashi preoccupato.
“Scusa,
io…” La tosse lo interrompe brevemente.
“Esco, un secondo…”
Non gli
dà
tempo di replicare, lacrimando si trascina in corridoio, in uno
sgabuzzino
vuoto, ovunque dove possa vomitare ciò che gli striscia in
gola.
Entra
dentro la prima porta disponibile e si accascia a terra in ginocchio,
la tosse
che non mostra un solo cenno di cedimento, nemmeno quando raddoppia
ansimando.
Non riesce a riprendere fiato.
Sente le
lacrime di fatica e dolore bagnargli il volto, scivolare sul mento
insieme alla
saliva. Finché, finalmente, dalle labbra non si liberano i
petali che
svolazzano troppo colorati per il dolore che gli sta sconquassando il
corpo.
Sono
così
tanti. Le sue mani
sembrano contenerli
appena mentre continuano a cadere dalla sua bocca come una cascata di
giallo.
Sembra non finire più e alla fine, quando guarda tra i
propri palmi, non si
sorprende di trovare un bocciolo di camelia.
Oh.
Quanto
più si avvicina a vomitare un fiore completo, tanto
più le sue
condizioni peggiorano, ma Naruto non riesce a trovare nulla di cui
preoccuparsi. C’è Kurama che si muove inquieto nel
suo stomaco, che rilascia
chakra per guarirlo da queste ennesima ferita, per curare i suoi
tessuti
interni lacerati dal passaggio di quel piccolo bocciolo. Come
può qualcosa di
così bello e delicato essere altrettanto letale? Naruto non
riesce davvero a
pensarlo.
Raccoglie
i petali, li conta uno a uno canticchiando. Sono così
carini,
così brillanti e profumati. Rosa d’inverno, canticchia
nella sua
mente, è un altro modo in cui viene chiamato quel fiore. il
bocciolo è così
morbido fra le sue dita…
Immagina
che le labbra di Obito fossero altrettanto morbide. Si preme i
petali e il bocciolo sulla bocca, finge che siano le sue labbra ad
accarezzarlo, che il bordo dei petali sia quella cicatrice che
frastagliava il
labbro inferiore; spera che il desiderio obnubili la sua mente al punto
di
credere di star davvero ricevendo un bacio. Ma non funziona e geme
contro di
loro, assapora il ferro del suo stesso sangue sui petali e si sforza di
immaginarlo.
Ha
così tanto amore da dare e non c’è
nessuno a riceverlo, ha preferito
morire.
Si preme
i petali gialli contro la bocca, immagina labbra morbide e occhi
rossi di sharingan e quei corti capelli bianchi e braccia che lo
stringono e
Naruto non prova altro che un assoluto rimpianto.
1. Nel caso
qualcuno non si ricordi: Obito riporta il chakra di Kurama + quello del
Gyuki e
dell’Ichibi a Naruto quando Madara glielo strappa riducendolo
in fin di vita;
lo salva poi quando Kaguya prova a colpirli mortalmente nella
dimensione con la
gravità aumentata (dove muore) e sempre lì salva
Kakashi annullando con il
kamui il colpo che Kakashi si stava prendendo al posto di Sasuke;
quando Kaguya
capisce che servono sia Sasuke che Naruto per sigillarla li divide
spedendo
Sasuke in un’altra dimensione (in quel momento Sasuke non
sapeva ancora che il
rinnegan può teletrasportarlo tra le dimensioni) e Obito si
offre di ritrovarlo
usando il kamui, dice espressamente a Naruto che avrebbe riportato
Sasuke da
lui; infine, subito dopo la chiacchierata con Naruto e la perdita del
chakra
dei Bijū, Obito vuole sfruttare il rinnegan per riportare tutti in vita
con il
rinne tensei (come aveva fatto Nagato), ma Black Zetsu lo ferma prima
che possa
farlo e lo costringe a riportare in vita solo Madara.
Il significato più
importante attribuito alla Camelia
è il sacrificio.
È un pegno e allo stesso tempo un impegno ad affrontare
ogni sacrificio in nome dell’amore. Il significato che gli
viene attribuito nel linguaggio
dei fiori è
il senso di stima e di ammirazione verso qualcuno.
Il suo significato varia anche in base al colore dei petali, nella sua
colorazione gialla è appunto quello della nostalgia.
Oddio
;__;
Non
mi aspettavo che
il primo capitolo incuriosisse così tante persone, ne sono
davvero felice!
Immagino sia anche il richiamo dell’angst >.<
Vi ringrazio davvero tanto
per aver letto il capitolo, soprattutto le personcine bellissime che
hanno
recensito *^* Spero che anche questo vi sia piaciuto!!
Forse
può sembrare un
po’ OOC questo comportamento di Naruto, ma sappiamo tutti che
quando si mette
in testa una cosa non c’è buon senso che lo faccia
fermare dai suoi propositi,
un po’ come è successo con Sasuke. Naruto mi
dà sempre quella sensazione di una
persona che si butta nelle cose senza cinture di sicurezza e senza
preoccuparsi
che possa essere pericoloso per se stesso. Anche qui si è
lasciato andare alle
emozioni senza troppe domande, seguendo il proprio cuore e istinto, e
continua
ad affogarci perché sente che amare è giusto.
Eee
anche per la
faccenda dell’ObiNaru, che magari per chi non mi segue
può sembrare molto wtf?
Okay, tralasciando che io li shippo follemente quanto e più
(ecco, l’ho detto
lol) del sasunaru, spero che non vi sembri così assurdo. Del
resto ho inserito
un po’ nel testo la motivazione: quello che è
successo nella mente di Obito,
mentre lottavano per il chakra dei Bijū, ha cambiato radicalmente il
modo di
percepirlo di Naruto. Prima Naruto odiava ferocemente Obito per quello
che
stava facendo, con lo stesso impeto di come ha odiato Pain; poi entra
in
contatto con i ricordi e le emozioni di Obito e i suoi propositi di
sconfiggerlo cambiano. C’è proprio la parte dove i
loro chakra si stanno
scontrando e Naruto vede la morte di Rin e si mette a piangere per lui,
al
punto che perfino Kurama deve dirgli di non lasciarsi influenzare da
quello che
vede/sente. Ovviamente figuriamoci se quello l’ascolta e
invece va proprio a
fondo in Obito nella loro lunga chiacchierata, dove improvvisamente si
vede che
da “ti sconfiggerò e te la farò pagare
per tutto” Naruto passa a “Tu devi stare
dalla nostra parte, ritrova te stesso e combatti con me”. Al
punto che continua
a insistere anche quando Obito gli mette una mano alla gola e quando,
alla fine
dello scontro, Sasuke schizza per ucciderlo Naruto tenta di fermarlo ed
è
sollevato dall’intervento di Minato che ferma sia Sasuke che
Kakashi dall’ucciderlo.
Che sì, effettivamente è una cosa che
è successa anche con Nagato, ma con
Nagato Naruto non ha avuto la stessa reazione – quando si
è sacrificato per
Konoha era meno coinvolto e distaccato di quanto successo con Obito.
Per non
parlare di tutto il resto, quando lo rianima e lo scontro con Kaguya,
quando si
sacrifica per lui Naruto è davvero distrutto. Perfino Sasuke
lo capisce e gli
lascia del tempo per un ultimo saluto mentre si occupa lui di tenere
impegnata
Kaguya, c’è proprio uno scambio di sguardi tra
loro dove Sasuke lo sprona a
lasciar perdere ma poi vede che per Naruto è importante. E
quando se ne va
Naruto proprio esplode di frustrazione per non poter salvare Obito e
c’è quella
magnifica reazione di stupore al “grazie” che
riceve da parte di Obito. Più
aggiungiamo lo scatto di rabbia contro lo Zetsu nero che sta deridendo
Obito e lui
lo trancia a metà gridando che trova Obito “un
figo da paura”. Sì, esatto.
Quindi,
sì, ecco, non
è poi così assurdo che sia innamorato di Obito,
anche se lui è morto ;__;
...Okay,
scusate per
questo flusso di coscienza non richiesto. Ma ho bisogno di spargere
motivazioni
per cui gli ObiNaru sono bellissimi e si meritano
un’opportunità T_T Che in
questa storia non
hanno…………………
ribadisco: dolore.
Ci
vediamo il
prossimo lunedì ^^
Hatta
<3
|
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Capitolo 3 *** Papavero ***
3
Papavero
“Perché
continui a trascinarti qui”.
Naruto
sorride e del sangue cola dall’angolo delle sue labbra. Lo
pulisce veloce prima
che Sakura lo veda, passa la lingua sui denti e ingoia il sapore
ferroso
insieme ai petali rimasti nella bocca.
Trascinarti.
Sakura
ha
usato la parola giusta. Ha traballato fin davanti alla lapide mentre la
tosse
minacciava di spezzargli le costole, le vertebre, ogni osso del suo
corpo.
Si tira
dritto e gli sembra che la schiena scricchioli.
“Perché
lui
è qui, no?” ovvia inarcando le sopracciglia.
Ma
Sakura
non sta guardando il suo viso, gli occhi verdi sono puntati sulla
lapide
commemorativa e le si legge in faccia quello che sta pensando.
Obito
non è
sepolto qui. Obito è polvere sparsa in una dimensione dal
cielo verde e la
terra rossa che solo il rinnegan può raggiungere.
Quella
che
ha davanti è solo una pietra piena di nomi incisi, una
consolazione sterile per
i vivi.
Eppure
è
così dolce il modo in cui Naruto la sfiora con le dita,
accarezzandola come se
fosse un viso. La venerazione di quel gesto fa stare male Sakura, come
una
stretta alla gola e un peso sul cuore.
Lei non
c’era, lei non sa cosa Naruto ha visto e non sa
cos’è successo da far cambiare
radicalmente Obito; lei è un’estranea e non
può capire come sia possibile.
Sa solo
che
non è sano. Che deve smettere.
Però
Sakura
gli vuole bene e non riesce a essere come Sasuke, che non lascia
scalfire il
suo cuore di ghiaccio davanti alla tenerezza di Naruto. Non riesce come
lui a
prenderlo per il colletto, sbraitargli di svegliarsi e aprire gli occhi
vomitando rabbia e frustrazione.
Si siede
al
suo fianco, una spalla sicura dove poter riposarsi. Naruto è
stato così a lungo
la sua ancora nei momenti più duri che è il
minimo che può fare per ricambiare.
“A
volte
immagino che non sia morto e mi chiedo… cosa sarebbe
successo” mormora Naruto,
piano, e Sakura trattiene il fiato.
Fin’ora
si
è sempre limitato a rimanere in silenzio, in cui lei fingeva
di essere a suo
agio. È la prima volta che parla, che sembra voler
condividere un pezzo di
cuore con lei. Sente che è un regalo prezioso, qualcosa da
accudire e tenere al
sicuro, così fragile da poter essere facilmente rotto, e per
questo non osa
fiatare.
Cosa sarebbe
successo… Sarebbe
stato punito per i suoi crimini.
Riformato
all’ultimo o meno, scatenare una guerra mondiale ninja non
è qualcosa che i
Kage avrebbero lasciato passare con una scrollata di spalle, nemmeno
con la
buona volontà di Kakashi-sensei e la comprensione di Gaara.
Hanno dovuto
lottare con le unghie per tirare fuori Sasuke dalla reclusione a vita
quando i
suoi crimini sono stati un granello di sabbia nel deserto degli omicidi
di
Obito.
Sakura
ci
pensa e rabbrividisce.
“Non
ne ho
idea” dice con tono forzatamente vivace, nella sua mente
chiara la prigione
nella Terra del Ferro dove sarebbe stato rinchiuso.
Naruto
ha
lo sguardo perso, dietro fantasie variopinte e irrealizzabili.
“Sarebbe
stato un buon assistere per Kakashi-sensei” immagina.
“Sarebbero arrivati in
ritardo a ogni meeting dei Kage. Probabilmente sarebbe diventato un
ANBU”.
C’è
una
lunga pausa, in cui gratta con le unghie il terriccio; sembra si stia
scavando
la fossa. L’espressione sognante si fa improvvisamente
amareggiata, incerta.
“Mi
avrebbe
amato?” chiede in un soffio tremulo.
Quel
tono esitante
su Naruto è innaturale. Sakura si sente dilaniare tra
l’orrore di vedere il suo
migliore amico in quello stato, la frustrazione per la sua
testardaggine nel
lasciarsi uccidere e il bisogno disperato di rassicurarlo.
“Ma
certo”
vince quest’ultimo, perché lo crede davvero.
Ricorda
come lo stava guardando nella dimensione del kamui, mentre gli
restituiva il
chakra di Kurama. Non aveva capito cosa fosse e tutt’oggi non
può essere certa
fosse quello che desidera Naruto ora, ma era qualcosa.
Sakura, cosa
stai facendo…
È
la voce
della sua coscienza, gelida come quella di Sasuke, che la rimprovera
per
giocare con il fuoco. Non deve alimentare le fantasie di Naruto.
“Allora…”
inizia cercando disperatamente un appiglio che lo porti via da
lì. “Ho una
certa fame. Ramen?”
Il ramen
ha
sempre funzionato. Deve funzionare.
Prova un
sollievo lancinante nel vedere Naruto annuire. Significa che da qualche
parte
dentro quel pallido fantasma c’è ancora il suo
migliore amico, che non si è
lasciato divorare fino all’osso da quei sentimenti nocivi.
“È
la prima
volta che accetti un ramen solo noi due
insieme” vocia allegro.
La
malinconia di poco prima sembra essere spazzata via e perciò
Sakura si permette
di accigliarsi e dargli un colpetto alla testa, nella riproduzione dei
vecchi
schemi della loro infanzia.
“Non
è un
appuntamento” lo redarguisce.
Naruto
ride
e si massaggia il punto leso. Per un momento è facile
ignorare le occhiaie e le
labbra screpolate dalla tosse.
“Quindi
non
dovrò offrirti nulla!” replica con una linguaccia.
“Sei
poco
gentiluomo, sai?”
“Non
è un
appuntamento” le fa il verso prima di scappare via da un
nuovo pugno scherzoso
ma comunque letale.
Naruto
atterra dal ramo leggero, come se non avesse peso. Acquattato guarda le
schiene
lontane di Sakura e del suo kage bushin mentre escono dal campo di
allenamento.
Fa un sorriso amaro e chiede perdono con gli occhi.
Sakura
lo
scuserà per essersi sostituito con un clone mentre non
guardava.
Sente
una
fitta di senso di colpa, sa di comportarsi male e che non dovrebbe, che
questo
comportamento dovrebbe essergli estraneo. Non è lui il
personaggio della
tragedia che allontana tutti, si nasconde e si commisera nella propria
tristezza. Non è così che ha deciso di essere,
così che era descritto nel
romanzo che gli ha dato nome. Non è così che
Naruto deve essere.
Ma si
sente
molto stanco, con il respiro che raspa nei polmoni ostruiti dai fiori,
l’energia succhiata dalle radici per creare petali brillanti
e meravigliosi. Si
sente così stanco che anche solo quel kage bushin gli
prosciuga le energie.
Chiede
scusa a Sakura, ma resta lì sull’erba a guardare
la tomba e a crogiolarsi nel
rimpianto.
Dovevo salvarlo.
Non ci
è
riuscito. Anche se è morto sorridendogli, non può
che sentirsi sconfitto e
amaro con il destino. La verità è che Obito
voleva morire e questo fa male
quanto le radici che gli stritolano il cuore.
Ha
preferito la morte a lui.
A volte immagino
che non sia morto…
Non
è stato
sincero con Sakura. Perché non immagina Obito aiutare
Kakashi, perdere la cognizione
del tempo e arrivare tardi agli incontri importanti con scuse
stravaganti.
Immagina un altro tipo di quotidianità, più
intima e privata, fatta di bentornatoacasa
e carezze, respiri
ansimanti, bocche che vagano sul corpo e brividi caldi. Ha immaginato
di
baciarlo così tante volte da avere la convinzione di
conoscere il sapore delle
sue labbra. Se chiude gli occhi può sentirle anche in questo
momento.
Immaginare
le sue mani che tirano giù la zip lentamente, dita calde che
disegnano percorsi
sul suo ventre e labbra che mordono il collo, capelli ispidi che
solleticano il
mento e lo fanno sorridere.
Può
sentire
un corpo caldo premere sul suo, schiacciarlo e stringerlo fino a
bloccargli il
respiro nei polmoni e farlo ansimare.
E inizia
a
tossire.
Sgrana
gli
occhi e la gola brucia. Rotola di lato e si mette a carponi mentre si
sente
soffocare dal conato che gli lacera le delicati pareti interne. Le
lacrime gli
annebbiano la vista nel momento che il primo petalo – rosso
come sangue –
svolazza dalla sua bocca. Altri strisciano per la gola mentre tenta di
rigetterarli, di liberarsi i polmoni e il cuore.
Il
dolciastro dei fiori si mischia al ferro del sangue ed è un
sapore così
rivoltante da scatenare continue ondate di nausea e tosse. Per un
momento teme
di non fermarsi più e perciò continua a tossire
anche quando la gola è
finalmente libera, quando non mastica più petali e
l’ossigeno può tornare a
circolare nelle vene. Si affloscia tossendo per un riflesso spontaneo e
osserva
appena, con gli occhi stanchi e socchiusi, i numerosi boccioli
socchiusi accanto
al suo viso.
Papaveri.
Rendono
dolciastro anche il sangue, un profumo narcotico che accompagna
lentamente
Naruto nell’incoscienza.
*
È
notte
quando Sai si affaccia al balcone della sua finestra, la maschera ANBU
spostata
di lato e la posa rannicchiata. In un’altra situazione Sakura
lo rimprovererebbe,
lamentandosi per il non aver bussato alla porta. Ma in
un’altra situazione non
regge Naruto esamine fra le braccia, con le labbra sporche di sangue e
la pelle
innaturalmente pallida.
Per un
momento Sakura non respira.
Per un
momento, che dura finché le sue dita non corrono al polso,
teme di aver perso.
Ma poi sente il flusso del sangue battere nelle vene, seguendo il ritmo
lento e
affaticato del cuore. Si accorge del respiro raspante che esce dalla
bocca
socchiusa e allarga la cassa toracica.
“È
solo
svenuto” dice Sai, nascondendo la preoccupazione dietro un
tono apatico. “L’ho
trovato davanti al Monumento. Ho preferito portarlo subito da
te”.
Sakura
non
può che benedire la mente analitica di Sai. Non sa quello
che sta succedendo a
Naruto, eppure ha capito subito che la scelta più razionale
fosse quella di
lasciarlo immediatamente alle sue cure che all’ospedale.
Lo guida
fino a farlo stendere sul tavolo della cucina, infila un cuscino sotto
la sua
nuca e accende tutte le luci. Il pallido olivastro del suo viso risalta
le
occhiaie blu, le labbra rosse di sangue rappreso. Senza esitazione gli
apre la
giacca e solleva la maglia a rete, scoprendo il busto allenato e
piatto. Non ci
sono ferite visibili, niente che possa lasciare intendere quello che
all’interno del suo corpo lo sta distruggendo.
Chiude
gli
occhi per un breve secondo, raccoglie la concentrazione necessaria
focalizzandosi sul flusso del suo chakra e annulla la presenza
silenziosa di
Sai al suo fianco. Alza le mani e appena sfiora le pelle tesa del petto
brillano di verde, il chakra visibile a occhio nudo mentre sonda
lesioni
interne.
Può
sentire
qualcosa di vivo ed estraneo crescere dentro di lui.
Si morde
la
guancia fino a sentire il gusto del sangue, il piccolo dolore auto
inflitto che
l’aiuta a mantenersi lucida. Non può lasciare che
la preoccupazione le faccia
tremare le mani, deve rimanere ferma e precisa mentre guarisce le
lacerazioni
che i petali hanno provocato al loro passaggio.
Le
prende
più tempo del previsto, le consuma molto più
chakra del previsto – i fiori
sembrano nutrirsi di esso – e quando termina un giramento di
testa la costringe
a sedersi. Sai è ancora lì, è rimasto
al suo fianco per tutto il tempo rigido
come un soldatino.
“Che
cos’ha?”
chiede.
Sakura
ricorda
la promessa e una spina le si conficca nella gola.
“Una
brutta
tosse”.
Non
è una
bugia, ma non è tutta la verità.
“Perché
il
Kyūbi non lo guarisce? Credevo non potesse ammalarsi”.
“È
una
tosse particolare. Ma starà bene” lo dice solo
perché ha bisogno di crederlo
per non impazzire. “Grazie per averlo portato qui”.
Sai
annuisce. Fa per uscire di nuovo e riprendere il suo turno di guardia
al
villaggio, ma quando è sul davanzale si ferma colto da un
pensiero. Si volta a
guardarla di nuovo, ma questa volta tiene qualcosa in mano.
Un
bocciolo
rosso.
“So
che è
strano”, inizia e la sua voce sembra esitare nella
confusione, “ma vicino a lui
ho trovato questo e molti petali”. Fa una pausa, una piccola
contrazione delle
labbra. “Sono sporchi di sangue. Sai se significa
qualcosa?”
Sakura
prende il papavero, è tutto spiegazzato e si sfalda fra le
sue dita.
“No”
mente
dolcemente.
*
Sakura
non
dorme quella notte. Sposta Naruto nella sua camera da letto e gli
pulisce la
bocca dal sangue con un panno, poi resta in cucina dove si prepara una
caraffa
di caffè. Si siede al tavolo della cucina, stringe la tazza
calda e fissa il
bocciolo assente.
Più
si
vomita fiori completi più si avvicina alla morte.
Non
esiste
cura.
Ma deve
esserci. Non può finire così, non dopo tutto
quello che hanno affrontato, non
dopo che sono sopravvissuti a una dea.
Si
rifiuta
di credere che Naruto possa finire così.
La testa
le
ciondola verso il sonno quando un improvviso formicolio di chakra la fa
sussultare. Con il cuore in gola e l’istinto che la spinge
alla difesa punta
gli occhi sull’angolo della casa. Nel buio intravede la
figura di Sasuke, il
viola del rinnegan che scintilla nella penombra.
Si alza
così velocemente da far cadere la sedia e non può
evitare di guardarlo accusatoria.
“Dove
sei
stato?!” ringhia.
Non lo
vede
da giorni, Kakashi le aveva solo detto che aveva preso un permesso per
uscire
qualche giorno dal Villaggio. In quel momento lo aveva odiato,
incredula che
l’avesse abbandonata ad affrontare quella tragedia da sola.
Spaventata che
volesse scappare ancora una volta da loro, lasciare che Naruto morisse.
Non fare
nulla.
Sasuke
allunga il braccio fuori dal mantello da viaggio e appoggia un rotolo
spesso
sul tavolo con un sordo toc.
“Da
Orochimaru”.
Il nome
la
fa rabbrividire, ma questa volta non stringe gli occhi e non lo
rimprovera per
essersi avvicinato di nuovo a quel viscido serpente. Questa volta
guarda quel
rotolo con una speranza che non osa avere.
“Orochimaru
ha studiato l’hanahaki” dice Sasuke.
“Questi sono tutti i dati che ha raccolto,
compresa la cura”.
Scatta
con
la mano ad afferrarlo, lo apre quasi strappandolo mentre i suoi occhi
febbrili
leggono il contenuto.
Poi
ride,
ma allo stesso tempo vorrebbe piangere.
Questa
è la
cura, ma…
Ride e
singhiozza mentre lo guarda disperata.
“Naruto
non
accetterà mai”.
La
simbologia del papavero è molto ricca.
Per via
della mitologia greca viene considerato il fiore
della consolazione, perché legato alla figura di
Demetra (la dei campi e
del raccolto). Si racconta infatti che dopo la perdita della figlia
Persefone
la dea si sia consolata soltanto bevendo infusi di oppio.
Sempre
per
il suo legame con l’oppio il papavero è associato
all’oblio, al
sonno dei sensi e
del cuore e al sogno/immaginazione.
Infatti non è raro che il dio dei sogni Morfeo venisse
rappresentato steso in
campi di papaveri o con mazzi di questi fiori in grembo.
Durante
il medioevo il papavero fu invece associato, per via
del suo colore, al sacrificio
di Cristo e alla sua morte, per questa ragione si trova spesso
raffigurato in
affreschi di chiese risalenti all’epoca medievale.
Mentre
nel
corso delle due Guerre Mondiali si è presa
l’usanza di associare il papavero ai
soldati/partigiani morti in battaglia per la patria, quindi possiamo
dire ai martiri di guerra.
Questo
fiore è
stato anche simbolo di fedeltà,
in
quanto, un'antica credenza vuole che, messo in un palmo della mano un
petalo di
papavero rosso, se colpendolo con un pugno si sente uno schiocco,
allora vuol
dire che il proprio amato è fedele.
Per
ultimo,
nella sua colorazione rossa, è associata
all’immagine di uomini influenti e
potenti. Questa
tradizione risale ad una leggenda legata all'immagine di Tarquinio il
superbo,
uno dei 7 re di Roma, il quale, per insegnare al figlio il metodo
migliore con
cui impossessarsi della città di Gibo, fece abbattere i
papaveri dal gambo più
alto per dimostrargli che si dovevano abbattere per prima le persone di
più
alto rango e le cariche più importanti e potenti per poter
raggiungere
l'obiettivo.
Il
papavero
può avere anche altri significati, ma questi sono quelli che
ho voluto
intendere per questo capitolo e la storia in generale.
La
consolazione sta perché quel monumento funebre con un nome
inciso è l’unica consolazione
che ha Naruto per sentirsi vicino a Obito.
Il
sacrificio di Cristo in questo caso è il sacrificio che
Obito ha fatto, la
scelta di morire per salvare Naruto (e il mondo shinobi quindi) (senza
contare
tutti i suoi deliri dove si considera il Messia portatore di pace lol).
Quindi
sempre per la sua morte (anzi, entrambe le morti) nel campo di
battaglia per
proteggere i suoi compagni è legato al fiore dei partigiani.
Obito
inoltre è stato una figura influente e potente, che ha
giocato un ruolo
decisivo negli ultimi quindici anni politici del mondo shinobi.
Mentre
la
fedeltà riguarda Naruto, che continua ad amarlo imperterrito
e a non prendere
nemmeno in considerazione l’idea di smettere di farlo.
E poi
c’è
il significato più importante per questo capitolo, quello
che causato l’attacco
di tosse. Ovvero il suo essere legato al dio dei sogni e
dell’oblio, visto che
in questo capitolo Naruto si lascia cullare dall’illusione di
cosa sarebbe
potuto essere.
Come
potreste aver intuito, il papavero è il mio fiore preferito
hahahaha
Spero
che
il capitolo vi sia piaciuto^^
Vi mando
un
bacino per le recensioni lasciate, siete carinissimi!
Hatta.
|
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Capitolo 4 *** Nontiscordardime ***
4
Nontiscordardime
Naruto
è un
po’ stupito di svegliarsi nella stanza di Sakura, ma gli ci
vuole poco per
capire com’è successo.
Merda.
Si mette
seduto sul letto ed esita qualche secondo, si mordicchia le labbra
mentre
Kurama conferma il suo sospetto.
Il tizio di
Root ti ha trovato svenuto e ti ha portato dalla fragolina.
Per una
volta non commenta il soprannome con cui chiama Sakura, concentrato
nelle
implicazioni.
Sai sa? Sakura sa che ora ha iniziato a
tossire boccioli?
Circospetto
estende la percezione nella casa, fino a incontrare non solo il chakra
di
Sakura, ma anche di Sasuke.
Non
è
pronto ad affrontarli, ma deve farlo. Come lui li ha percepiti, anche
loro
devono essersi accorti che è sveglio. Tutto quello che
può fare è sorridere,
convincerli e svincolare.
Posso farcela.
Scende
dal
letto, rabbrividisce nel sentire la pianta del piede nudo entrare a
contatto
con il pavimento freddo. Entra nella stanza principale con un sorriso
assonnato, un’espressione studiatamente stropicciata nello
stupore per sviare
la loro attenzione.
“C’è
stato
un party di cui non ricordo?” saluta vedendo i due amici.
Ma
ovviamente questi suoi trucchi hanno smesso di funzionare con Sakura e
Sasuke.
“Siediti”
dice seccamente quest’ultimo.
“Buongiorno
anche a te” canticchia obbedendo. “Anche questa
mattina quando ti sei svegliato
hai infilato il tuo solito bastone a fondo nel culetto?”
Aspetta
che
Sakura lo riprenda esasperata, o che Sasuke stesso reagisca mordace, ma
nessuno
dei due lo fa. Brutto segno.
Il
nervosismo comincia a formicolare nel suo corpo e ha quasi
l’impulso di rubare
la tazza che Sakura tiene tra le mani per giocherellarci, in
alternativa
comincia a tamburellare le dita sulla tavola in legno.
“Niente
party quindi…” commenta distratto
all’atmosfera tesa.
Sta per
dire la prima cosa stupida che gli viene in mente, qualsiasi cosa che
faccia
reagire Sakura e Sasuke come dovrebbero, ma verso di lui viene spinto
un
rotolo. Il sigillo rotto non è quello di Konoha, ma di Oto.
Nel vederlo Naruto
si irrigidisce e ogni suo tentativo di scherzare evapora dalla sua
mente.
“Cos’è?”
soffia diffidente, incapace di fidarsi di qualsiasi cosa che sia
collegata al
viscido sannin.
“Le
ricerche di Orochimaru sull’hanahaki” replica
Sasuke gelido. “Qui dentro c’è
tutto quello che ha scoperto, compresa una cura”.
Appena
lo
dice sente il cuore mancare un battito e un fiotto di sollievo sgorga
in tutto
il suo corpo, mischiandosi all’incredulità e alla
speranza. C’è una cura, non
morirà. Ma poi vede che è l’unico che
sta sorridendo, che Sakura non riesce a
guardarlo negli occhi e Sasuke ha un’espressione di funesta
determinazione,
come se si stia preparando a litigare.
“Ma?”
indovina.
C’è
un’esitazione in cui Sakura e Sasuke si guardano, riluttanti
a dare la notizia.
Alla fine è Sakura a parlare.
“I
fiori
possono essere recisi chirurgicamente in modo che non crescano
più” spiega, “ed
è un processo molto delicato con altissimo tasso di
fallimento, specialmente se
compiuto da una mano inesperta. A quanto pare Orochimaru l’ha
operato
moltissime volte nella sua ricerca e sicuramente ne sa molto
più di me,
quindi…”
“Quindi
sarebbe meglio che lo faccia lui” indovina Naruto indurendo
la mascella.
Si
sforza a
deglutire e si dice di essere ragionevole, per quanto l’idea
di finire sotto i
ferri del serpentone lo disgusti e spaventi allo stesso tempo si rende
conto da
solo che è la cosa più ragionevole.
“Va
bene”
si sforza di dire.
Però
lo
sguardo che Sakura gli lancia non è rassicurante.
“C’è
un’altra cosa” ammette sottile.
“Rimuovere i fiori dai ventricoli comporta… un
effetto collaterale” deglutisce e si ferma.
Naruto
la
guarda e aspetta continui, ma non lo fa.
“Cosa,
Sakura?”
Non
voleva
ringhiare, ma è quello che è successo, e Sakura
sussulta.
“Perdere
i
ricordi che riguardano la persona amata e la capacità di
amare”.
È
sbagliato
che sia Sasuke a dirlo, con quella sua voce innaturalmente fredda e
discordante
con quello che sta significando. Ma è allo stesso tempo
così chiara che Naruto
non può nemmeno fingere di aver capito male.
Perdere i
ricordi che riguardano la persona amata e la
capacità di amare.
“No”
dichiara.
La sua
voce
è ferma come il suo sguardo, gli occhi blu scuri e
minacciosi e determinati, le
sopracciglia piegate in un’espressione di sfida, quella che
ha indossato ogni
volta davanti al nemico più ostinato. Si alza fluido dalla
sedia, deciso ad
andarsene e non assecondare quella follia.
“Naruto…”
lo chiama Sakura, ma Sasuke è più veloce nel
seguirlo.
“No?”
ripete. “Come sarebbe a dire no?”
“Che
non
voglio!” spiega alzando la voce, sfidandolo con la
gestualità del corpo. “Non
potete davvero credere che io accetti questa cosa”.
“Non
hai
altra scelta!”
“C’è
sempre
un’altra scelta” lo contraddice. “Non
puoi chiedermi di rinunciare all’amore, ai
suoi ricordi!”
Dirlo ad
alta voce è terribile. Provoca una scossa lungo tutto il suo
corpo, uno shock
al cervello e gli tremano le mani. Dimenticare… non essere
più in grado di
provare queste emozioni così travolgenti… Non
poter più amare… non può
succedere. Non si rendono conto di cosa gli stanno
chiedendo?
Si porta
una mano al petto, la familiare sensazione di un attacco di panico che
pungola
tra le sue costole, gli impedisce il respiro. Dimenticare Obito: no,
mai. Non
può farlo.
I
ricordi
sono tutto ciò che gli resta di Obito.
Tutto
ciò
che gli resta è quel “Grazie,
Naruto”
che ripete ogni notte nella mente prima di dormire, quel tono di dolce
gratitudine e speranza che lo culla fino al sonno. Quello
sguardo… proprio
prima del suo
crollare in polvere, lo
sguardo di una persona finalmente in pace, che ha trovato la fiducia in
lui e
si affida con fede incrollabile… uno sguardo così
pieno di quel tipo di amore e
riconoscimento che Naruto ha supplicato per tutta la sua vita.
Gli
stanno
chiedendo di dimenticarlo.
Il colpo
di
tosse esplode nel mentre che tenta di risucchiare l’aria. Si
sente
improvvisamente la gola piena e bloccata da qualcosa che tenta
disperatamente
di uscire.
Strabuzza
gli occhi e si piega su se stesso, tutto quello che lo circonda si
silenzia
mentre solo la tosse senza fine romba nelle sue orecchie. Petali blu
vengono
sputati fuori dalla sua bocca, petali così piccoli da
sembrare coriandoli… A
ogni colpo di tosse escono dalla sua bocca spalancata e volano sul
pavimento.
Ma
c’è
qualcosa di così grosso che striscia nella trachea da farlo
quasi svenire, che
gli fa malissimo. Si ficca le dita in gola, il più in fondo
possibile e resiste
al riflesso del vomito mentre riesce finalmente ad afferrare qualcosa
di lungo
e sottile. Gli graffia la pelle tenera e scivolosa, ma si sforza per
tirare
tutto fuori. Con un ultimo colpo di tosse, libera la gola da un lungo
stelo
pieno di piccoli fiorellini stropicciati.
Si
appoggia
alla parete, lo sguardo rivolto al palmo della mano e ancora straneo al
mondo
che lo circonda. Un lungo fischio gli riempie i timpani, come dopo
un’esplosione. Si accorge solo che lacrime di fatica e dolore
hanno iniziato a
scivolare sulle sue guance. Guarda quello che ha sputato. I fiorellini
hanno lo
stesso blu macchiato di disperazione delle sue iridi.
Nontiscordardime.
No, mai.
Mai, mai, mai.
“Naruto!”
L’udito
torna di colpo.
C’è
Sakura
che guarda con orrore l’erbacea e i fiorellini, completi, e
il sangue che
macchia i loro piccoli petali, che cola dalle labbra di Naruto mentre
cerca di
respirare come se temesse di non poterlo più fare da un
momento all’altro.
Lui non
sa
bene cosa fare, ancora frastornato, e la gola gli brucia troppo per
provare a
parlare. Può solo allungare la mano con il rametto, sperare
che capisca la
richiesta disperata del suo cuore, non
dimenticarlo, perché non gli facciano fare
qualcosa di così orribile.
Ma
Sakura
lo guarda come se stesse porgendo una maledizione contagiosa. Aveva
sperato che
almeno lei lo capisse, ma si sbagliava e rendersene conto lo fa sentire
solo
come quando era bambino.
Sasuke
non
dice niente, lo guarda solo carico di un silenzio giudicante, ma gli
tremano le
mani quando si accuccia a terra. Lo vede afferrare una manciata di
petali, con
rabbia brusca e distruttiva; li accartoccia tra le sue dita senza
nessuna cura
e Naruto vorrebbe urlargli di fare attenzione, che quei petali sono
fragili…
che non merita che i suoi sentimenti siano afferrati con un tale
disprezzo.
Ma non
riesce a dire nulla del genere, perché Sasuke glieli scaglia
contro con forza e
sfregio. Li sente colpirlo al viso, cadergli sui capelli e i vestiti.
“Non
vedi
cosa stai facendo?” sobilla Sasuke furioso, gli occhi di
petrolio che sembrano
voler bruciare con amaterasu ogni singolo petalo.
Sto amando, gli brucia
nella gola ma non
riesce ancora a parlare.
“Ti
stai
uccidendo!” corregge Sasuke quasi a leggerlo nella mente.
“E hai il coraggio di
rifiutarti? Tu farai l’operazione!”
“Non
mi
dici cosa fare” risponde roco, la voce che graffia la gola
abusata.
“Invece
sì,
perché a quanto pare sei troppo stupido per decidere da
solo” replica con
rabbia crescente. “Ti stai ammazzando!”
“Non
succederà, io…” Prende fiato,
affaticato, ma sempre più sicuro nella propria
voce. Alza gli occhi e lo stesso azzurro del nontiscordardime lo
colpisce con
determinazione. “Questi non sono affari che ti riguardano,
stanne fuori”.
Sasuke
non
ci vede più. Il fiotto di rabbia gli colpisce la gola e
intorbidisce la sua
vista.
“Quindi
tu
puoi inseguirmi per anni per tutto il cazzo di continente per dirmi
cosa fare,
immischiandoti nei miei affari, mentre io non posso tentare di salvarti
dalla
tua idiozia?!”
Lo
sguardo
di Naruto balugina di rabbia. “Io non sono un
nukenin” ringhia. “Non sto
tradendo i miei compagni, i miei amici, il mio villaggio per
distruggere il
mondo”.
“Già,
questo è quello che ha fatto Obito”.
Scatta
prima che possa anche solo deciderlo. Ma Sasuke lo aspetta mentre lui
è ancora
indebolito dal colpo di tosse, dai fiori che si nutrono di tutta la sua
energia
per crescere rigogliosi. Viene bloccato e sono a faccia a faccia, che
si
lanciano sguardi di fuoco e sfida come quando erano genin frustrati con
il
mondo e il loro unico modo di comprendersi era sputare odio e veleno.
“È
quello
che hai fatto tu” gli
ricorda Naruto.
“Tu dovresti solo tacere, tu hai…”
“Non
osare
rinfacciarmi quello che ho fatto” lo minaccia.
“Stiamo parlando di te adesso!”
“Preferisco
morire piuttosto che smettere di amare!”
“Se
proprio
vuoi morire, allora sarò felice di accontentarti!”
I loro
sensi da ninja li fanno agire prima ancora che possano rendersene
davvero
conto. Smettono di strattonarsi per i colletti e si acquattano veloci
sul
pavimento, appena in tempo perché una sedia voli sopra le
loro teste e colpisca
la finestra con una tale potenza da infrangere il vetro e far
precipitare il
tutto.
Con gli
occhi
sgranati si voltano verso Sakura. La sua postura è ancora
tesa nel movimento
del lancio, gli occhi verdi accesi di una luce irremovibile e il
caschetto rosa
gonfio dell’elettricità del chakra che sta
continuando a fare scorrere nel suo
corpo.
Quando
fa
il primo passo verso di loro entrambi hanno l’istinto di
indietreggiare. Ma
Sakura afferra prontamente Naruto e lo inchioda alla parete, lo sguardo
contratto e un’espressione in grado di far indietreggiare
anche Kaguya in
persona.
“Tu
credi
davvero di poter morire?” sibila. “Che se anche te
lo lasciassimo fare, tu
possa farlo senza conseguenze?”
Non gli
lascia nemmeno il tempo di replicare che inizia a elencare:
“Jiraiya.
Tuo padre e tua madre. Nagato e Konan. Neji e tutti gli altri shinobi
che sono
morti per te. E non solo loro:
anche
Tsunade, i Kage, i Bijū, Kakashi… hai fatto una promessa a
ognuno di loro. Hai
promesso che avresti cambiato il mondo e creato la pace. Lo hai
promesso anche
a Obito! Vuoi rimangiarti la promessa?”
Naruto
scivola lungo la parete, lo sguardo supplicante. Sakura lo lascia
andare.
“No”
mormora sedendosi a terra.
No, mai.
“E
come
puoi mantenere la promessa se muori?”
La
guarda e
si rende conto che è la prima volta che la guarda con quella
silenziosa
richiesta di aiuto che urla nel suo corpo. Per la prima volta non
è lui ad
avere una soluzione e non sa come fare.
Ti prego, ti
prego aiutami.
“Non
voglio
dimenticarlo” e si sente sull’orlo del pianto.
“Non voglio smettere di amare”.
L’espressione
irremovibile di Sakura si frantuma lentamente, in crepe che lasciano
trapelare
tutta la paura e la dolcezza che sta cercando di trattenere nella sua
corazza.
Si inginocchia accanto, gli prende la mano e stringe forte per fargli
percepire
la sua presenza tangibile, vera e viva.
Non
morta,
assente, fantasma. Non quella che desidera.
“Non
succederà, te lo prometto. Amerai ancora”.
È
il suo
turno di fare una promessa impossibile e non se ne pente. Per Naruto,
per loro
tre, può – deve
– riuscire qualsiasi
cosa.
Naruto
ricambia la stretta.
“Come?”
Sasuke
li
guarda riluttante, ancora rivoltato da quello che si sono urlati dietro
e i
sensi di colpa che sono emersi. Ma poi li raggiunge sul pavimento, una
macchia
nera uniforme rispetto ai loro colori brillanti, ed entrambi gli fanno
spazio.
Tengono stretto Naruto con i loro corpi, impedendogli di smembrarsi a
terra,
tentano di essere il sostegno di cui ha bisogno.
“Toglieremo
solo le radici nei polmoni” mormora la risposta.
Naruto
lo
guarda spaventato e si rende conto di non poter biasimare il suo
terrore
istintivo. Forse è per questo che si è arrabbiato
tanto, perché sperava che
Naruto fosse più forte di così, perché
ha riconosciuto la sua paura da bambino:
quando si è imposto di non amare più e seppellire
uno dopo l’altro tutti i
ricordi del suo adorato nii-san.
Ma poi
lui
ha potuto disseppellire tutto, per Naruto sarebbe irreversibile.
“Sono
i
fiori nei ventricoli i semi originari, dove si sono formate le prime
radici. È
nei ventricoli che si trova il principio della malattia.
C’è scritto negli appunti”.
Indica la pergamena. “È solo strappando le radici
nei ventricoli che si ferma
la malattia. Ma se togliamo solo quelle nei polmoni… Non
smetterai di amare”.
“Ma
non
fermerà la malattia” sussurra Sakura.
“No,
la
rallenterebbe soltanto” conferma.
“Ci
darebbe
tempo però,” osa Naruto, “tempo per
trovare un’altra soluzione”.
C’è
un
piccolo silenzio, in cui ognuno si chiede se ci sia davvero
un’altra soluzione. Fino a poche ore prima non pensavano ci
fosse nemmeno una soluzione, così sfiderebbero troppo la
sorte. E per quanto
tempo potrebbero andare avanti tagliando solo le radici nei polmoni
prima che
anche quello non sia sufficiente?
“È
l’unica
cosa che possiamo fare” dice Sakura, incerta.
Si
guardando. È l’unica cosa che possono fare.
*
Il
trasferimento al covo di Orochimaru è stato veloce e
occultato. Nessuno deve
sapere perché sono lì, cosa faranno. Soprattutto ora il segreto di Naruto deve essere
mantenuto e Sakura non può
fare a meno di chiedersi angosciata se stiano facendo la scelta giusta
nel
mettersi nelle mani di Orochimaru.
La paura
che provò quel giorno nella Foresta della Morte è
ancora impressa nelle sue
ossa, arcana come l’istinto di sopravvivenza, e quando rivede
quell’uomo
pallido, dagli occhi da serpente e il sorriso strisciante –
di chi sa di avere
tutte le carte per vincere – non può che
rabbrividire di disgusto.
Naruto
anestetizzato sulla tavola operatoria, con le luci bianche che
sottolineano le
occhiaie e le guance smunte, le fanno credere di essere dentro il suo
incubo
personale.
“Cominciamo”
sorride Orochimaru.
Prima
che
le sue dita pallide e lunghe come zampe di ragno sfiorino i suoi
arnesi, il
filo di una lama viene leggermente premuto sulla sua nuca.
Occhi
gialli guardano ironici quelli glaciali dell’ex-allievo.
“Fai
qualcosa di losco e ti decapito” vibra la voce seria di
Sasuke, la presa ferma
su kusanagi.
C’è
la
minaccia, ma c’è anche la paura e la protezione
verso il compagno.
Orochimaru
allarga il sorriso.
“Cominciamo”
ripete.
Il
nontiscordardime
è un fiorellino di un bellissimo azzurro che cresce in
primavera sbocciando su
una piantina che viene chiamata “l’erba
dell’amore”.
È
un fiore
che viene nominato fin dall’antichità nelle
testimonianze di Plinio il Vecchio,
che lo rende simbolo
di salvezza da tutto ciò
che può rattristare o addolorare poiché,
anticamente, era ritenuta sacra. Inoltre con essa si otteneva una
pozione
capace di guarire gli occhi. Da questa
informazione, giunta fino
a noi dalla tradizione greco romana, possiamo comprendere come la
virtù di
giovare agli occhi e ai problemi legati alla vista del Nontiscordardime sia stata
già
interpretata, in antichità, da un punto di vista allegorico.
Infatti, se può
guarire gli occhi del corpo può fare lo stesso anche con
quelli dell’anima.
Tradizionalmente
si vuole che
il nome di questo fiore provenga da una romantica leggenda germanica.
Due
giovani innamorati passeggiavano sulle rive del Danubio quando
trovarono una
moltitudine di fiorellini azzurri. Il ragazzo cominciò a
raccoglierli e unirli
in mazzetti da donare alla sua amata. Mentre però era
intento a scegliere i
fiori più belli, scivolò e cadde in acqua.
Comprendendo che presto che la
corrente lo avrebbero inghiottito e che sarebbe annegato, il giovane
lanciò il
mazzetto che teneva ancora in mano verso l’amata gridando:
“Non
ti scordar di me!“.
Il fiore divenne
così il simbolo dell’amore
eterno che supera anche la morte.
Il poeta
Novalis
lo rese inoltre il simbolo del romanticismo, a rappresentanza del
desiderio,
l'amore e
lo sforzo metafisico di
accostarsi
all'infinito e
all'irraggiungibile,
tratti tipici della corrente romantica
In
questo capitolo ovviamente
è preso nel suo senso letterale, del desiderio di Naruto di
non dimenticare la
persona amata, e quindi come l’amore eterno che supera anche
la morte ma allo
stesso tempo il suo sforzo di accostarsi a qualcosa che è
irraggiungibile.
Anche
il nontiscordardime è
uno dei miei fiori preferiti, soprattutto proprio per il suo colore
così
azzurro e la forma dei suoi petali così delicata.
È stato fin da subito uno dei
fiori che avevo deciso per questa storia… e anche questo
credo sia il mio
capitolo preferito xD Che vi devo dire, mi piace vedere il team 7 che
litiga e
poi si rimette insieme >.<
Spero
che sia piaciuto anche
voi e che la storia continui a emozionarvi. Ormai siamo a
metà (alla fine
saranno sette capitoli, anche se l’ultimo non vuole proprio
saperne di
lasciarsi finire ;__;).
Vi
ringrazio per seguire la
storia, soprattutto ringrazio le belle personcine che hanno lasciato
una
recensione <3 vi abbraccio e regalo biscotti.
Hatta.
|
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Capitolo 5 *** Trifoglio bianco ***
5
Trifoglio
bianco
Naruto
non
ricordava fosse così facile respirare: sentire
l’aria scendere lungo la
trachea, riempire i polmoni e rivitalizzare il sangue in tutto il suo
organismo. Non sente ostruzioni, fiori che la bloccano e pungolano la
sua
carne, è facile come… be’, è
facile come
respirare.
Appena
fuori dal lugubre nascondiglio di Orochimaru, dove l’Alleanza
l’ha rinchiuso
con l’illusione di tenerlo prigioniero e sotto controllo, la
prima cosa che fa
è arrampicarsi sulla cima dell’albero
più alto. La fragranza del bosco – le
foglie, il vento, la resina – lo colpiscono al viso come un
inno alla vita e si
trova a sorridere, a respirare più forte e sentire che non
sta per morire.
Non sta
per
morire.
Uzumaki
Naruto ha fregato la morte ancora una volta.
E sta
amando. Ama visceralmente sentirsi vivo, poter respirare e stordirsi
con i
profumi della natura che lo circonda. Ama pensare a Obito in questo
momento
senza sentire il fiato bloccarsi nei polmoni, senza che
all’ossigeno venga
impedito di raggiungere il suo sangue.
È
così
bello che ride. Ride anche quando Sakura e Sasuke lo raggiungono sulla
cima
dell’albero. Sente di amare anche loro e che non
smetterà mai di farlo.
Sakura
ricambia la risata e gli strapazza i capelli.
Sasuke
guarda il fondo del bosco, anche se non vede l’entrata del
nascondiglio. Le
risate dei suoi compagni gli fanno male, perché ripensa alle
ultime maliziose
parole di Orochimaru.
“Non
potrete abusarne per sempre, l’hanahaki
reagirà”.
*
Per
qualche
tempo, hanno l’illusione che la tempesta sia passata.
Naruto
può
pensare liberamente a Obito, può andare alla sua tomba e
addirittura parlarne
senza che la sua gola venga riempita di petali. Naruto ama e non
soffoca.
Dà
quasi
l’illusione che tutto sia stato solo un brutto sogno,
qualcosa che hanno solo
immaginato. Del resto è una malattia così strana,
assurda, che Sasuke si chiede
come abbiano potuto crederci.
Naruto
sta
bene. Va tutto bene.
Finché
non
tornano i fiori.
Finché
un
colpo di tosse non scuote la sua gola, subito dopo che Kakashi ha
accennato
qualcosa su Obito. Sasuke inorridisce quando Naruto tiene la mano
premuta sulla
bocca, gli occhi sgranati di consapevolezza, e borbotta qualche scusa
prima di
uscire di corsa dalla stanza.
Lui e
Sakura lo seguono, ovviamente, e lo ritrovano in una stanza di archivio
vuota,
con una pozza di petali e saliva sul pavimento. Continua a tossire
forte, come
non succedeva da molto tempo, i petali gialli e larghi di un girasole
che si
fanno forza per uscire dalla sua gola.
Amore
devozionale. Amore ossessivo.
Un altro
significato del girasole è l’allegria e la
solarità, tutto ciò che Naruto
dovrebbe rappresentare. Ma in questo momento quei petali gialli, troppo
brillanti, sono solo un promemoria di morte.
Non
hanno
fermato l’Hanahaki.
L’hanno
solo rallentata.
*
Tornano
da
Orochimaru.
In un
ciclo
continuo Naruto compie l’operazione, riesce a respirare per
qualche tempo, ma
poi i fiori tornano e ogni volta sono sempre più aggressivi.
Sakura
conta con angoscia i giorni che passano tra un’operazione
polmonare e l’altra:
di volta in volta, il tempo di pace si accorcia. Ma quel che peggio,
è che ogni
volta la malattia si presenta più esplosiva di quanto fosse
stata all’inizio.
Fin da subito Naruto tossisce quantità ingenti di petali.
Poi una
volta, fin dalla prima tosse, nella sua gola si fa strada un bocciolo.
È
come una
diga. Hanno tentato di metterci una toppa, ma più il tempo
passa più il fiume
si ingrossa e l’acqua diventa troppa, sfondando ogni volta la
loro patetica
difesa, che per quanto tentino di volta in volta di ripararla,
aggiustarla,
diventa sempre più inutile davanti alla forza della corrente.
Il loro
tentativo è troppo debole davanti all’amore che
Naruto continua ad alimentare.
Ma per
ora
è tutto quello che possono fare.
*
“Dovevamo
dirlo a Kakashi-sensei” si morde le labbra Sakura.
Dalla
stanza d’ospedale dove sono nascosti possono vedere le porte
di Konoha, le
stesse porte da cui quella mattina Naruto è uscito in
missione con una squadra.
Sakura
non
è preoccupata: è spaventata.
Conta i
giorni dall’ultima operazione di Orochimaru sulle cinque dita
delle mani. L’ultima
volta c’è stato uno stacco di soli
otto giorni prima che ricominciasse a tossire. Ha paura che succeda in
missione. Ha paura che l’hanahaki abbassi le sue difese e lo
metta in pericolo.
“Sì,
avremmo dovuto farlo”.
Sgrana
gli
occhi e si sente la gola punta da mille spilli.
Sasuke
non
doveva essere d’accordo con lei. Sasuke doveva rassicurarla
che tutto sarebbe
andato bene, di avere fiducia in Naruto.
Si alza
dalla sedia con uno scatto nervoso.
“Siamo
ancora in tempo per dirglielo” propone concitata.
Ma
Sasuke
l’afferra bruscamente al polso quando tenta di andare.
“Glielo
abbiamo promesso” le ricorda con voce stanca, gli occhi che
brillano di
ammonimento.
Fra loro
tre non esiste nulla di più importante di una promessa. Loro
tre sono frutto di
una promessa. Non ne tradiranno mai una, anche a costo di morirne.
“Comunque,
stai tranquilla” cerca di calmarla mentre torna a sedersi sul
tavolino dove si
sono raccolti. “Gli ho impresso un sigillo e ho parlato con
il Kyūbi: se
dovesse succedergli qualcosa, Kurama colpirà il sigillo con
il suo chakra
avvertendomi e mi basterà teletrasportarci dove si
trova”.
È
una
soluzione semplice e Sakura è grata che Sasuke ci abbia
pensato. La rassicura
appena in parte, perché se succederà qualcosa
loro potranno intervenire.
Incrocia
le
dita sotto il tavolo in una muta preghiera che non sia necessario.
*
Era da
molto tempo che Naruto non lasciava il villaggio per una vera missione.
Un po’
gli era mancato e sarebbe tutto molto bello se non fosse per il motivo
per cui
la stanno compiendo.
La
guerra
ha generato troppo pazzoidi.
Pazzoidi
che venerano Kaguya come una vera divinità, che hanno dato
via a un suo culto
finalizzato al suo ritorno.
La
Chiesa
dello Tsukiyomi si è dichiarata fin da subito nemica
dell’Alleanza ninja,
reputata colpevole di aver impedito la sua venuta e l’ascesa
a un mondo puro.
Da quando si è formata viene cacciata da ogni nazione, ma
non è mai stata un
vero disturbo: all’inizio era solo un circolo di fanatici la
cui unica minaccia
era il lavaggio del cervello nella popolazione. Finché
nukenin di rank-S, per
lo più mercenari contrari al tentativo di pace, non hanno
deciso di
approfittare della sua esistenza per i propri scopi. Con la scusa di
ricreare
lo Tsukiyomi, hanno ripreso a cacciare i Bijū con
l’intenzione di usarli come
armi.
L’Alleanza
ha iniziato a intervenire, stanando i loro nascondigli e affrontandoli.
Purtroppo
l’organizzazione della Chiesa a nuclei separati rende tutto
il processo lunghissimo
e spesso inconcludente.
Non che
questo li fermi dal continuare, tutt’altro. Appena hanno
localizzato una loro
base nella Terra del Fuoco sono stati mandati per eliminarla.
Soprattutto
questa volta hanno la possibilità di dare un vero freno alla
questione, dal
momento che cattureranno una delle
menti
principali della Chiesa.
Con lui,
Sai, Yamato e alcuni chūnin credevano di avere una potenza di fuoco
più che
sufficiente.
Purtroppo
non si aspettavano che quella base fosse guidata da nukenin S con
un’abilità
innata davvero preoccupante.
Una seccatura, direbbe
Shikamaru.
Tutto
è
andato come previsto dal piano di Yamato, sono riusciti a costringere
l’uscita
dei due nukenin portandoli a ridosso di una parete rocciosa,
costringendoli in
trappola. A questo punto basterebbe anche solo Naruto in Bijū
mode per metterli fuori combattimento.
Basterebbe,
se non fosse per le abilità innate dei due nukenin che
capeggiano il gruppetto.
Uno, un nukenin di Kumo, è in grado di rimpicciolirsi fino a
diventare così piccolo
da essere invisibile e impercettibile. L’altro, un disertore
di Iwa, indurisce
il suo corpo di uno strato di cristalli così duri che
nemmeno il legno di
Yamato sembra scalfire.
Basterebbe,
se non fosse per i fiori.
Naruto
ha
iniziato a tossire petali mentre correvano fra gli alberi, quando ormai
erano
già fuori Konoha, tutto solo perché ha pensato a
quanto sarebbe stata incredibile
una missione con Obito al suo fianco.
Non si
è
fermato e ha continuato la missione: sono
solo petali, si è detto.
Ma ora
si
sente sfinito. Non riesce ad avere il giusto controllo sul proprio
chakra per
poter colpire il Kumo-nukenin, né i suoi rasengan sono
abbastanza concentrati e
potenti per distruggere la barriera dell’Iwa-nukenin.
Anche se
come previsto dal piano, continuano a resistere tenacemente e a
difendere il
loro Cardinale.
“Lascialo
a
noi, Naruto” ordina Yamato quando anche l’ennesima
bijūdama fallisce contro lo
strato di cristallo dell’Iwa-nukenin. “Occupati
dell’altro!”
“Roger”
assicura nonostante la frustrazione che lo divora.
Se non
ci
fossero fiori nel suo cuore a nutrirsi della sia vita, del suo chakra,
i suoi
attacchi non sarebbero così deboli.
Digrignando
i denti cerca di sfogare il suo senso di impotenza contro
l’altro obiettivo, ma
il piccolo stronzo si riduce prima che possa riuscire a colpirlo.
Nemmeno con
l’aiuto di Kurama riesce a percepirlo, forse potrebbe con il
chakra naturale,
ma non si sente abbastanza in forma da poter tentare un kage bushin.
Sembra
quasi una barzelletta, che proprio lui non riesca a usarlo, ma quando
succede
sembra che anche il clone sia affetto di hanahaki e sparisce dopo pochi
istanti
per via dei fiori.
Potrebbe
provare raccogliendo chakra naturale lui stesso, ma per farlo ha
bisogno di
tempo e di una pausa dal combattimento. Per ottenere entrambi non gli
resta che
un’unica soluzione.
Talk no justu.
“Perché
state facendo tutto questo?!”
Anche se
rimpicciolito, ci sono alcune caratteristiche del ninja che restano
uguali,
come la forza e la voce. Naruto si trattiene a fatica
dall’istinto di muoversi
verso dove la sente provenire.
“Perché
Kaguya-sama è la nostra madre, noi siamo i suoi figli.
È così sbagliato
desiderare di ricongiunsi con la propria madre?”
“Stronzate”
ringhia, gli occhi che vagano per tutto lo spazio in cerca del
più minimo
segnale.
Fortunatamente
ormai è diventato abbastanza abile ad assorbire chakra
naturale da potersi
permettere questi minimi movimenti o parlare.
“Kaguya
è
un cazzo di alieno che assorbirà tutto il chakra della terra
per distruggerla!”
“Il
chakra
le appartiene, è lei che ce l’ha donato. Torneremo
a essere uno con lei in un
mondo perfetto!”
Naruto
non
sa se pensa davvero quello che dice, se alla fine abbia subito anche
lui il
lavaggio del cervello, o se stia portando avanti una recita. Sa solo
che ha la
nausea a sentire queste parole, queste farneticazioni.
“Quella
sarà una pura illusione, il mondo perfetto che cercate
può essere creato solo
con la collaborazione e l’impegno di…”
Il senso
di
pericolo fa attivare parzialmente la sua bijū mode, una mano di puro
chakra lo
para dal colpo invisibile che stava arrivando. Purtroppo il
kumo-nukenin si è
dileguato prima che potesse percepirlo chiaramente.
Cazzo.
Cerca di
ritrovarlo seguendo la risata fredda.
“Mi
avevano
detto che al Kyūbi no ko piace chiacchierare” dice derisorio.
“Ma credi che le
tue parole basteranno? Noi non siamo come quello sporco
traditore…”
Sente
freddo, nonostante il calore dell’energia naturale che si
deposita su di lui
come una seconda pelle, e spalanca gli occhi senza riuscire a
trattenersi.
“Che?”
sussurra.
Non
stanno
parlando di lui. Non possono osare
parlare di lui.
C’è
una
pausa e forse Naruto ha lasciato intendere troppo anche da quel
semplice
mormorio, o forse è la sua espressione, perché
quando il kumo-nukenin risponde
il suo tono è provocatorio.
“L’Uchiha
traditore che ha rinunciato al sogno perfetto per marcire come
l’insetto che
era, incapace di portare a termine il suo compito… quella
feccia priva di
determinazione che ha voltato le spalle alla madre… Noi non
falliremo!”
Naruto
nemmeno ascolta l’ultima parte, la rabbia lo incendia e
sembra far da
catalizzatore al chakra naturale. Sente l’energia scorrere in
tutto il suo
corpo, mescolarsi al suo chakra e rinvigorirlo. Tutti i suoi sensi
diventano
ancor più acuti e perspicaci su ciò che lo
circonda, come immaginava in quel
modo riesce a percepirlo. Ed è contro quella piccola
fiammella di chakra che
percepisce che rigetta tutta la sua rabbia.
“Non
osare
chiamarlo feccia!”
Sorretto
dalla forza del chakra naturale il pugno che colpisce il terreno
provoca lo
stesso effetto della forza bruta di Sakura, una cratere si apre sulla
terra
rocciosa esplodendo in detriti.
Ma
nonostante tutto non è riuscito a centrarlo, la sua unica
consolazione è di
averlo ammaccato abbastanza da averlo costretto a tornare nella sua
misura
normale. Naruto si
raddrizza pronto a
fare definitivamente il culo, a fargli rimpiangere l’aver
parlato in quel modo
ingiurioso, per aver sputato sul sacrificio di Obito… ma
sente quella fitta.
Con i
sensi
ipersensibili del senjutsu, Naruto può sentirlo chiaramente.
Riesce a
sentire il battito del suo cuore velocizzato dalla paura essere
soffocato da
radici. Riesce a sentire davvero per la prima volta la presenza dei
fiori nel
suo corpo, come la cosa estranea che sono, come il nemico da
combattere. I
polmoni bruciano, il muscolo cardiaco strida nel tentativo di
continuare il suo
dovere e fa così male mentre l’ossigeno diminuisce.
Si
ritrova
in ginocchio a tossire senza rendersene conto, la gola gonfia per tutto
quello
che la ingombra e non riesce a respirare. La tosse non è
stata mai così forte e
improvvisa, che sembra scavare direttamente nella gola, strappare ogni
alveolo.
Gli occhi gli diventano umidi mentre porta le mani alla bocca, alla
gola, e
tossisce nell’unico modo istintivo che il suo corpo conosce
per liberarsi di
quel male.
Sono
solo
gli anni di allenamento costante che lo salvano dal colpo imminente, ma
la sua
schivata è debole e lenta e sente comunque il chakra
bruciargli il fianco.
“Patetico”.
Tra i
singulti e i colpi di tosse la voce derisoria arriva a fatica alle sue
orecchie. Tutto ciò che percepisce è solo la
consapevolezza di star soffocando.
I fiori, forse proprio rivitalizzati dal chakra naturale, sono
più aggressivi
che mai.
Sto per morire, realizza e si
accorge di averne
paura.
Questa
morte sembra molto più spaventosa di quella che ha
già sperimentato, dove lo
shock di sentirsi privato del chakra di Kurama lo aveva reso
incosciente prima
che fosse consapevole di quello che stava per accadere. Ma ora lo sa,
sente
chiaramente come l’asfissia forzata lo sta lentamente
uccidendo.
Rotola a
evitare a malapena un altro corpo, i fiori che si arrampicano nella sua
gola
per poter finalmente sbocciare fuori dal suo corpo. Le raccapriccianti
immagini
che ha visto nel rotolo di Orochimaru sono stampate a fuoco nella sua
mente.
“E
questo
sarebbe l’eroe delle nazioni ninja? Non riesci nemmeno a
reggerti in piedi!”
Il nuovo
colpo lo colpisce alla gamba, sente i legamenti lacerarsi e il dolore
paralizzare i muscoli. Il sangue cola mentre la rigenerazione
istantanea di
Kurama non può intervenire, completamente impegnato
com’è a non far collassare
i suoi polmoni.
“Sei
debole! Non riuscirai mai a contrastare il nostro sogno
perfetto!”
Naruto
stringe i pugni, digrigna i denti.
Un sogno
perfetto…
Ricorda
quando era un bambino paffuto di dodici anni, quando a testa bassa si
gettava
nel pericolo sicuro di non poter morire, perché non sarebbe
morto finché non
avesse raggiunto il suo sogno.
Sto per
morire.
“Tu
credi
davvero di poter morire?”
La voce
di
Sakura gli risuona cristallina nella mente, sovrastando i colpi di
tosse e i
rantoli soffocati.
“Jiraiya.
Tuo padre e tua madre. Nagato e Konan. Neji e tutti gli altri shinobi
che sono
morti per te. E non solo loro: anche Tsunade, i Kage, i Bijū,
Kakashi… hai
fatto una promessa a ognuno di loro. Hai promesso che avresti cambiato
il mondo
e creato la pace. Lo hai promesso anche a Obito! Vuoi rimangiarti la
promessa?”
No, mai!
La tossa
è
insopportabile, le costole scricchiolano e i polmoni bruciano dal
tentativo di
sopportare lo stritolamento, il suo cuore fa sempre più
fatica ogni secondo che
passa. Ma si alza
in piedi. Unisce le
mani al petto e riesce e raggruppare una barriera di chakra naturale
prima che
l’ennesimo colpo possa schiacciarlo. Anche se è lo
stesso chakra che lo sta
lentamente consumando dall’interno, che nutre i fiori. Anche
se trattenerlo lo
avvicina ogni secondo all’asfissia.
Lui
completerà questa missione. Cattureranno quel Cardinale,
cancelleranno la
Chiesa dello Tsukiyomi e quell’incubo sarà
finalmente concluso. Lui ha
promesso.
L’ha
promesso a Obito.
Chiude
gli
occhi, l’energia che lo abbandona ancora una volta, ma non
può crollare.
Davanti a lui, nel buio degli occhi chiusi, riesce a vedere
l’immagine di Obito
poco prima che morisse, la sua schiena bianca attraversata da crepe.
Prova la
stessa disperazione di allora e per un momento gli sembra di aver
viaggiato nel
tempo, di vedere davvero quello sguardo speranzoso e grato.
“Promettimi
che diventerai Hokage a qualsiasi costo!”
Sakura
ha
ragione, se muore non può mantenere questa promessa. E
quella promessa ormai
non è più solo sua, quel sogno di diventare
Hokage è sorretto da troppe persone
che hanno creduto in lui, che lo hanno spinto a seguirlo quando da solo non poteva fare nulla. Ormai
quel sogno è qualcosa più grande di lui, non ha
più il diritto di arrendersi da
molto tempo.
Riesce a
percepire il chakra riavvicinarsi, il suo proprietario ancora troppo
piccolo
per essere visibile. Ormai ha esaurito tutte le forze, respirare
è sempre più
faticoso. Ma non è solo.
Kurama…
Lo so.
Con
fatica
trattiene il chakra rosso sulle sue dita, alza la mano a toccarsi la
pelle
dietro l’orecchio, dove un sigillo di inchiostro nero brilla
ancora fresco.
Lo tocca.
Il
secondo
successivo è troppo debole per reggersi in piedi. Si lascia
andare alla
gravità, gli arti morti, ma qualcuno
interrompe la sua caduta senza forza.
Sorride
con
gli occhi socchiusi, mentre osserva Sakura appoggiarlo delicatamente al
suolo e
al suo fianco Sasuke sguainare kusanagi.
“Scusatemi…”
rantola roco, un sussurro appena percettibile negli spasmi del suo
corpo.
“Non
dirlo
nemmeno”.
Basta
loro
un solo sguardo al campo di battaglia per trovare subito la giusta
intesa.
Sakura salta, il byakugō che si espande dalla sua fronte in linee
sinuose di
chakra e potere, e atterra davanti all’Iwa-nukenin. Subito lo
colpisce con il
pugno, che scalfisce la corazza di cristalli in mille schegge, senza
davvero
romperla.
Sasuke
fa
scudo al corpo di Naruto in cerca di quell’avversario
apparentemente invisibile,
subito dopo lo sharingan ruota nell’iride cremisi
permettendogli di osservare
qualsiasi cosa.
In
contemporanea un sorriso si profila sulle labbra di entrambi.
Non
importa
quanto forte possa essere lo scudo dell’Iwa-nukenin, ogni
arma ha un punto
debole di rottura e Sakura l’ha già trovato.
L’armatura inizia da un punto
preciso del suo corpo, una sorta di fonte, per poi diramarsi lungo il
corpo e
racchiuderlo. C’è un posto dove
l’avvolgimento di cristallo si chiude,
incontrando due lastre.
Scatta
ancora, questa volta più veloce e potente di prima, e con le
nocche si scontra
in quel punto fragile, lontano dalla fonte. Canalizza tutto il suo
chakra
distruttivo in quel colpo, così forte che l’uomo
è costretto a piegarsi sulle
ginocchia, il terreno sotto i suoi piedi frana. L’impatto
è stato così potente
non solo da spezzare tutte le ossa del braccio di Sakura –
che sta già curando
con il suo byakugō, ignorandone il dolore pungente – ma da
disintegrare
l’armatura che fin’ora ha protetto il nukenin.
L’iwa-nin non è abbastanza
veloce da riprendersi a quella batosta, ancora in movimento Sakura lo
colpisce
con il collo della caviglia alla nuca e lo sbatte a terra, privo di
sensi.
Nel
mentre
Sasuke riesce a individuare il kumo-nukenin prima che quello,
saggiamente,
decida di scappare. A differenza di Sakura, decide che quella feccia
non merita
la sua fatica. Si limita a concentrare il chakra nell’occhio
rosso, mentre
questo come una girandola ruota fino a trasformarmi nella figura del
Mangekyo.
“Brucia”
sussurra solo, maligno, mentre Amaterasu sorge sul corpo minuscolo,
impercettibile. Ma non importa la sua grandezza, se sia visibile a
occhio nudo
o meno: le fiamme nere continueranno a bruciare finché non
sarà consumato.
Sakura
torna al suo fianco nel momento esatto in cui rinfodera Kusanagi
– tirata fuori
inutilmente – e quando si girano verso il compagno scoprono
che Yamato e Sai si
sono adattati facilmente alla loro comparsa approfittandone per
catturare il
Cardinale. Ma anche
loro rivolgono
appena un’occhiata al vecchio clerico, concentrati piuttosto
sulle convulsioni
del corpo steso a terra. Dalla bocca di Naruto stanno uscendo a cascata
piccolo
fiori bianchi morbidi, con i petali disposti in un modo che li fa
sembrare
batuffoli di cotone.
Trifogli
bianchi…, pensa
febbrilmente Sakura
mentre si accuccia nel tentativo di fare qualcosa. Ma sa che non
può niente,
che la sua cura è inutile davanti a questa malattia.
I fiori
sembrano star crescendo direttamente dalla bocca di Naruto, che tiene
spalancata come un pesce fuori dal fiume.
“Sakura…”
è
la supplica di Sasuke, impotente più di lei.
“Ci
sto
provando” dice tra i denti, tentando di ricordare gli appunti
che ha letto di
Orochimaru e il suo complesso procedimento.
Ma
sorprendentemente delle mani più grandi e callose si
sostituiscono alle sue,
allontanandole dal petto di Naruto.
“Faccio
io”
dice Yamato con tono sicuro, professionale, quello che usava quando
erano
ancora dei ragazzini inesperti.
Per
questo
Sakura quasi reagisce d’istinto nel ritirare le mani e
lasciar l’altro fare.
Con gli occhi sgranati osserva Yamato mentre muove le mani sul petto di
Naruto,
premendo la pelle e come ascoltando il suo corpo.
“Sakura,
mi
serve che tu faccia un taglio pulito e preciso proprio qui fino alla
cassa
toracica, riesci a farlo?” la richiama.
Annuisce
confusa. Ovvio che può farlo, l’ha già
fatto una volta durante la guerra,
quando ha fatto battere il suo cuore a mano. Le punte delle dita
brillano di
verde mentre comincia a incidere, con il proprio chakra impedisce al
sangue di
fuoriuscire e mantiene il taglio pulito come richiesto da Yamato. Il
quale
infila le proprie dita, a sua volta illuminate di chakra, le tiene
dentro alla
ferita per qualche secondo, che a Sasuke sembrano minuti infiniti,
finché
Naruto non ha un annaspo e un forte risucchio d’aria sembra
finalmente passare
per i polmoni e la trachea. Il respiro è ancora debole, ma
sta respirando.
Ha
ripreso
a respirare.
“Ma
come…!”
sbotta Sasuke incredulo mentre Yamato sfila le dita e Sakura ricuce il
taglio
con il chakra, facendo tornare la pelle intatta.
“Ho
usato
il mokuton per controllare la crescita dei fiori, per un po’
resteranno paralizzati”
spiega con voce calma, per nulla impressionato da quello che ha visto.
Tutto il
contrario di Sai, che per la prima volta da quando lo conosce riesce a
vedere
nel volto dell’ex-ANBU un’espressione di puro
orrore. Non può biasimarlo, tra
le labbra di Naruto ci sono ancora quei fiorellini di trifoglio.
Lo
sguardo
Yamato invece è semplicemente preoccupato, ma di quel tipo
di rassegnazione che
hanno i veterani di guerra davanti a un arto che può solo
essere amputato.
“Hanahaki,
eh?” mormora ombroso. “Brutta storia. Davvero
brutta”.
In
virtù
della sua colorazione brillante, il significato più tipico
del girasole è
quello dell’allegria, solarità e vivacità.
Un altro
significato viene dalla sua caratteristica capacità di
seguire il sole, ed è il
desiderio di seguire e stare al
fianco della persona amata.
In altri
tradizioni lo si dono anche per esprimere gratitudine,
rispetto e ammirazione.
Ma il
significato a cui si riferisce questo capitolo (amore
devozionale, ossessivo) viene dalla mitologia greca romana.
Ovidio narra nelle Metamorfosi di
una
ninfa di nome Clizia innamorata del dio del sole Apollo, che ne seguiva
con i
suoi occhi i
suoi viaggi sul
carro nel cielo. Dopo nove giorni ad osservare il sole venne
però trasformata
in questo fiore. Fiore che orienta la sua corolla verso
l’astro proprio come
faceva la ninfa Clizia. Quindi, se da una parte
il Girasole si
erge a
simbolo di profondo attaccamento ad un’altra persona,
dall’altro, può
sottintendere anche un amore non
ricambiato. A seconda delle circostanze, quindi,
può simboleggiare una vera
e propria ossessione.
Il
trifoglio invece
generalmente simboleggia la fertilità (per la sua
capacità di rendere fertili i
campi in cui cresce), ma nella sua colorazione bianche assume il
significato di
promessa. In questo caso comincia a
crescere letteralmente dentro Naruto per il suo forte desiderio di
mantenere la
promessa fatta a Obito e tutti gli altri.
Eeeeed
eccoci qui. In ritardo di un giorno perché ieri, essendo il
primo Giugno e l’inizio
del Pride Month, ho preferito approfittarne per riprendere a pubblicare
una
storia a tematica LGBT che avevo iniziato a pubblicare l’anno
scorso. Faccio la
sfacciata: nel caso vi interessassero questi argomenti e vi piacerebbe
leggere
una storia ambientata nelle vicende che hanno portato alla creazione
del pride,
questa «Stonewall
– the first pride was a riot».
Passando
a
questa storia, ormai siamo agli sgoccioli. Il tentativo di riparazione
ha avuto
i suoi brevi frutti e ormai non basta più. Senza contare che
ormai sia Yamato
che Sai sanno quello che succedendo (colpo di scena: Yamato conosce
l’hanahaki).
Nel
prossimo capitolo ci saranno parecchie rivelazioni e…
be’, una scelta molto
difficile.
Vi
ringrazio di cuore per le recensioni e mi dispiace di non essere
riuscita a
rispondere! Tenterò di rimediare questo giro, promesso ^^
Sappiate che sono
sempre molto apprezzate e che mi rendono davvero felice, siete dei
tesori ;__;
Al
prossimo
capitolo!
Hatta.
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Capitolo 6 *** Fiore di veronica ***
6
Fiore
di veronica
Quando
Kakashi ha accettato di prendere il cappello come Rokudaime, ha fatto
anche una
semplice scelta: di prendersela con calma. Non si sarebbe stressato
solo perché
è l’Hokage, dal momento che era stato praticamente
costretto a diventarlo, le
cose potevano essere fatte a modo suo. Quindi, niente stress.
Solo
perché
ora è il Rokudaime non ha intenzione di invecchiare di
colpo, rovinare la
propria pelle perfetta in rughe di preoccupazione e ansia. Ha fiducia
nei suoi
sottoposti e sa di potersi comportare come il solito Hatake Kakashi:
ritardi
vergognosi, sguardi dolenti, poca voglia di fare e un libro porno
sempre in
mano durante una riunione.
Vana
speranza.
Sicuro
di
essere invecchiato di colpo di almeno cinquant’anni dopo
quanto ascoltato,
chiede lento, dando a modo a chiunque di interromperlo e contraddirlo:
“Mi
state
dicendo che uno dei miei preziosi compagni soffre di una malattia
mortale e voi
due non avete detto niente a nessuno?”
Purtroppo
nessuno lo interrompe o contraddice, e Sasuke e Sakura continuano a
tenere lo
sguardo lontano in una chiara ammissione di colpa. Se la situazione non
fosse
così grave potrebbe quasi sorridere per quanto assomigliano
ancora a quei
graziosi genin che si divertiva a prendere in giro negli allenamenti.
Ma la
situazione è grave e al momento riesce a trattenersi a
fatica dall’urlare.
“Da
quante
settimane?” chiede forzando la voce a restare pacata.
Sasuke
si
ostina a non guardarlo, anche se alla sua domanda i suoi occhi hanno un
guizzo.
È Sakura a rispondere, esitante.
“Sensei…
ormai sono quasi quattro mesi”.
Kakashi
aggrotta le sopracciglia incredulo a quella risposta, non era quello
che si
aspettava. Quattro mesi sono molto tempo, l’hanahaki
è una malattia che non ci
mette mai più di un mese a consumare la sua vittima,
è quasi un miracolo che
Naruto sia durato così tanto. Lancia uno sguardo alla porta
d’ospedale, dietro
cui Naruto si trova nelle mani di un’equipe medica guidata da
Tsunade. Poi si
volta a fissare Yamato, lo sguardo interrogativo.
Terminata
la missione, sono tornati subito a Konoha sfruttando il teletrasporto
del
rinnegan e hanno portato Naruto in ospedale mentre Sai riferiva tutto
all’Hokage. Kakashi è arrivato dalla sua squadra
il prima possibile e per tutto
il tempo in cui Sakura ha ammesso la condizione di Naruto, Yamato
è rimasto in
disparte.
La sua
espressione è altrettanto perplessa.
“Probabilmente
il chakra dei Kyūbi ha rallentato la malattia” osa.
“Non
solo…”
ammette Sakura e appena parla Sasuke le rivolge uno sguardo di
ammonimento. Ma
lei lo ignora, tanto ormai non ha più senso tenere qualcosa
nascosto.
“Orochimaru ha operato sui suoi polmoni, recidendo le radici
negli alveoli.
Abbiamo però lasciato intatto quelli nei ventricoli,
perché Naruto non voleva…”
Kakashi
alza una mano interrompendola.
“Ah,
quindi
a qualcuno lo avete detto” costata furibondo. “A un
criminale di classe S
tenuto sotto chiave dall’Allenza!”
“Orochimaru
è stato l’unico a potermi dire qualcosa”
protesta Sasuke.
“No!
Orochimaru è l’unico al quale avete chiesto
qualcosa!” corregge alzando la
voce. “Se foste venuto da me, o da
Yamato…”
“Tsunade-sama
non mi ha creduta” sussurra Sakura.
“…
noi vi avremmo creduto!”
sbotta Kakashi.
Non riesce ad aggiungere
altro perché la porta
della stanza si apre e rivela Tsunade.
La
Godaime
sembra stanca, con i capelli legati male e il camice spiegazzato.
“Yamato,
puoi venire?” chiede brusca.
Con un
cenno di assenso di Kakashi, l’uomo la raggiunge dentro
l’altra stanza e Sasuke
sembra intenzionato a fare lo stesso.
“Non
così
in fretta, Uchiha” lo ferma Tsunade spingendolo sul petto.
“Voi aspettate qui”.
Ancora,
in
un’altra situazione si godrebbe l’espressione
indignata sul suo studente più
orgoglioso, ma si limita a sospirare rassegnato.
“Come
sta,
almeno?” chiede.
“Male”
risponde
diretta la donna. “Ci troviamo ad avere le mani legate
finché tossisce, forse
Yamato saprà darci un aiuto”.
“Va
bene”.
Si strofina stanco gli occhi, pinzando il ponte del naso. “Se
si sveglia avvisaci”.
Kakashi
riapre gli occhi quando sente la porta richiudersi e trova Sakura
fissarlo
esitante, curiosa.
“Non
sei
sorpreso dell’hanahaki… e Yamato-taichu la
conosceva” mormora.
Gli
occhi
verdi di Sakura sono lustri di lacrime che sembra trattenere da mesi, i
suoi
capelli sono ancora arruffati e il suo abito sporco della polvere
dell’ultimo
combattimento. È più pallida di quanto
ricordasse, con le labbra screpolate e
mangiucchiate dal nervosismo e gli occhi macchiati di occhiaie. Sasuke
riesce a
trattenere meglio la sua preoccupazione, ma è anche lui
cadaverico, con il viso
più magro e le labbra piegate verso il basso.
Vedendoli
in questo stato Kakashi non riesce più a essere arrabbiato
– se mai lo è stato
con loro – e sente solo il familiare desiderio di rassicurare
i suoi preziosi
studenti, di tenerli lontano dalla sporcizia del loro mondo crudele.
Allunga
una
mano ad accarezzarle gentile la testa, scarmigliandole ancor di
più i capelli.
“L’hanahaki
è stato a lungo un segreto di classe SS, conosciuto solo
dagli shinobi d’elite.
Per mia sfortuna sono considerato tale da quando ho tredici
anni”.
“Ma
quando
l’ho accennato a Tsunade-sama lei non…”
Kakashi
sospira, interrompendola. “Conoscere un segreto non equivale
a crederci.
Nemmeno io ci ho creduto finché non l’ho
visto”.
La
domanda
negli occhi di Sakura è fin troppo chiara e si riflette
nello sguardo di
Sasuke, che discretamente si sta avvicinando a loro. Kakashi
però non osa toccare
anche lui, sapendo bene che l’Uchiha è sempre
stato un gattino diffidente poco
avvezzo al contatto fisico.
“Yamato
ha
sofferto di hanahaki quando eravamo nell’ANBU”
ammette con un pizzico di colpa
nel rivelare il segreto dell’altro mentre non
c’è.
La
reazione
sorpresa è ovvia, la puntualizzazione di Sakura è
comunque inaspettata.
“Ma
Yamato
è vivo”.
“Ovvio,
ha
riferito la propria situazione al Sandaime appena sono comparsi i primi
petali
e si è sottoposto subito all’operazione”.
Un
singulto
lascia le labbra di Sakura.
“Quindi
lui
non può più amare…”
“Romanticamente” precisa con
dolcezza
Kakashi. “Può comunque provare affetto e amore
verso i propri compagni e
amici”.
Non
sembra
consolare la ragazza però, che ora sembra davvero
dispiaciuta per il compagno
di squadra più grande.
“E
non
ricorda nulla della persona che amava…”
Sospira
e
sente male fra le costole.
“Non
è
esatto. Yamato conosce ancora il suo ex-amore, ma non sa di averlo
amato e
quando si sono incontrati dopo la sua operazione, per lui quello
è stato il
loro primo incontro”.
Ringrazia
la maschera che nasconde la piega amara delle sue labbra. È
ancora doloroso
essere l’unico dei due a ricordare che la prima volta che si
sono incontrati è
stato nei sotterranei di Root, non alla base dell’ANBU
regolare, e che è stato
lui ad allontanarlo dalle sgrinfie di Danzō.
“Sensei…”
Il tono
esitante di Sasuke lo distrae dalla sua triste considerazione e si
lascia
sorprendere che alla fine Sasuke abbia deciso di parlare. Si
è chiuso nel
mutismo da quando sono all’ospedale.
“Perché
è
successo?” chiede e sembra quasi frustato nel dirlo.
“Che cos’hanno avuto di
diverso loro dagli altri amori non corrisposti? Perché
Naruto soffre di
hanahaki e altri no?”
“Oh,
quindi
Orochimaru non ha condiviso tutti i segreti dell’hanahaki con
voi” tenta di
scherzare, ma rinuncia al tentativo davanti all’occhiata
omicida di Sasuke.
Non
può
dargli torto, la situazione è troppo tesa per provare ad
allentarla, sarebbe
solo fuori luogo.
Incrocia
le
braccia e prende fiato prima di dare la risposta.
“L’hanahaki
è una malattia genetica del clan Senjū” spiega.
“Lo stesso Shodaime ne ha
sofferto ed è stata la causa principale della sua morte. I
fiori avevano
assorbito tutte le sue energie per via dei suoi Senjutsu e nel mezzo di
una
battaglia gli successe quello che è successo oggi a Naruto.
Solo che non ci fu
nessun altro utente del legno in grado di salvarlo e morì
soffocato dai fiori”.
Sakura
aggrotta le sopracciglia. “Ma Naruto non è un
Senjū”.
“Hai
ragione, è un Uzumaki” concorda. “Ma
sappiamo tutti che gli Uzumaki sono
imparentati con i Senjū da generazioni. Il solo fatto che Naruto si sia
rivelato l’ultima incarnazione di Ashura dimostra che in
qualche modo ha sangue
Senjū”.
“Le
cavie
di Orochimaru non erano Senjū” obietta Sasuke.
Gli
rivolge
un sorriso indulgente. “Il clan Senjū non esiste
più da generazioni, non sono
stati gli stessi Hokage del passato a dirtelo? Nel tentativo di
integrarsi nel
villaggio il clan si è smembrato, unendosi ad altri clan ed
espandendo in
questo modo la propria genetica. Il clan Senjū si è estinto,
ma il suo sangue
scorre ancora in alcuni shinobi e civili della Terra del Fuoco. Fu il
Nindaime
a decretare l’hanahaki un segreto SS proprio quando il clan
stava cominciando a
indebolirsi. Inoltre l’unica cura che conosciamo è
proprio quella che trovò
lui…” concluse.
“Ed
è
davvero l’unica cura?” supplica Sakura.
“Sono
costretto a dirlo, anche perché temo che l’unico
che abbia continuato a
indagarci sia stato Orochimaru. Con il passare delle generazioni
l’eredità genetica
dei Senjū si indebolì e il Sandaime sperò che
questa maledizione non si
presentasse più. Del resto per decenni è andata
così, l’unica eccezione è stato
Yamato, che è a sua volta
un’eccezione…”
Sasuke
annuisce, non conosce bene la storia del suo compagno di squadra, ma sa
che è
frutto di un progetto di laboratorio mirato proprio per ottenere il
mokuton
dello Shodaime.
“Non
ha
senso” sbotta però. “Perché
rendere segreta una malattia così pericolosa e
mortale? Soprattutto quando rischiava di colpire persone fuori dal clan
Senjū?”
Kakashi
sa
del piccolo rancore che Sasuke ancora prova il Sandaime, nel suo cuore
lo
reputa egualmente responsabile della strage della sua famiglia e dalla
sofferenza di suo fratello. È ovvio che istintivamente
contrasti ogni scelta
presa del vecchio Hokage.
“Perché
è
una debolezza” risponde. “Questa malattia mortale
è una profonda debolezza per
il villaggio, soprattutto se in grado di uccidere uno shinobi potente
come lo
Shodaime. Gli avversari avrebbero potuto tentare di usarla per
conquistarci,
seducendo i membri del clan e non ricambiando i loro sentimenti.
Inoltre già
durante la Terza Guerra Shinobi sembrava essere sparita dal villaggio,
quindi
era inutile allarmare i cittadini più del dovuto. Contava
che se qualcuno avesse
iniziato a tossire fiori lo si sarebbe riferito immediatamente
all’Hokage”.
C’è
un
sottile rimprovero nell’ultima frase che fa abbassare gli
occhi di Sakura.
“Ci
ha
fatto promettere, sensei” spiega affranta. “Non
potevamo”.
“Immaginavo”
sospira rassegnato.
Sa
com’è
fatto Naruto, la sua testardaggine e il suo spingersi al limite. Sa
ancora
meglio la fiducia che c’è tra loro, nemmeno la
tortura di Ibiki li avrebbe
fatti parlare.
C’è
un
piccolo silenzio, dove Sakura e Sasuke valutano le nuove informazioni
con
tristezza. Conoscerle non cambia molto la situazione, rende solo tutto
ancora
più reale e fatalistico.
Kakashi
li
lascia nelle loro elucubrazioni il tempo necessario, ma poi ottiene la
loro
attenzione con un lungo sospiro.
“Quindi?”
chiede cercando di mostrarsi tranquillo. “Chi
è?”
Ha
dovuto
mordersi le labbra per non aggiungere chi
è il pezzo di merda che ha rifiutato l’amore del
mio adorabile fratellino?
Lo
sguardo
esitante che i suoi due ex-studenti si scambiano lo lascia perplesso,
in realtà
si chiede come i due non abbiano provato ad assassinare la persona che
sta
portando Naruto alla morte. Può capire Sakura, diplomatica e
razionale, ma
Sasuke?
Sospetta
che la risposta non gli piacerà.
“È
Obito,
sensei” mormora alla fine Sakura.
Gli ci
vogliono molti secondi prima di registrare correttamente
l’informazione e si
accorge di accettarla senza combattere, nonostante la sua
assurdità. Nonostante
l’assurdità dà senso a tutte le volte
che ha trovato Naruto davanti alla tomba
commemorativa, a come scappasse dal suo ufficio ogni volta che si
parlava di
Obito e allo stesso tempo assorbiva avido ogni parola che aveva su di
lui.
“Ma
certo”
dice fra sé, triste. “È
ovvio”.
E ancora
una volta, sempre davanti al cuore spezzato di un suo compagno di
squadra, si
pente di essere lui quello che è sopravvissuto.
*
Restano
in
quella saletta per ore senza parlare, mangiati dal nervosismo
dell’attesa.
Fuori il sole cala, ma nessuno accenna ad andarsene. Perfino Kakashi ha
cacciato ogni ANBU e Jōnin che è venuto a cercarlo nel
tentativo di ricordargli
le sue mansioni da Rokūdaime.
Aspettano
e
restano al buio.
Così
quando
Tsunade esce di nuovo dalla stanza di ospedale, la prima cosa che fa
è
accendere la luce e tutti scattano sul posto, in allerta.
La
Godaime
posa lo sguardo su ognuno di loro, scrutandone i visi pallidi e scarni
di
preoccupazione.
“È
vivo”
dice, rispondendo alla muta
domanda che
alleggia nell’aria.
Non per molto, pensa.
Poi gli
occhi di Sasuke si abbassano sul panno che tiene tra le mani. Con un
sospiro,
mostra i grappoli di fiori violetti e indaco tutti stropicciati.
“Quando
si
sveglia è per pochi secondi ed è per vomitare
questi” spiega. “Ora sembra
essersi calmato, ma non sappiamo quanto durerà. Sia io che
Yamato siamo al
limite”.
“Capisco”
mormora Kakashi. “Grazie per quello che avete
fatto”.
“Non
c’è
neanche bisogno di dirlo” afferma tremante, gli occhi
nocciola che bruciano di
preoccupazione per il suo ragazzino biondo e scemo.
Sakura
le
si avvicina e afferra lo stelo pieno di fiorellini.
“Sono
fiori
di Veronica” riconosce mesta e si chiede a chi Naruto stia
offrendo il suo
addio.
(Ancora
una
volta ha paura che lei, la squadra 7, Konoha non sia abbastanza per
fermare
qualcuno che ama a lasciarli.)
Sasuke
non
chiede nemmeno se possono entrare, semplicemente lo fa. Offrendo appena
un
altro sguardo al medinin, attraversa la porta a passo di marcia.
Dentro
c’è
un olezzo disgustoso che gli fa arricciare il naso: il tipico odore dei
medicinali è mescolato a quello dolciastro di fiori
appassiti o bruciati, con
un retrogusto di ferro pungente.
Naruto
è
steso sul letto, sveglio, con tubicini infilati sul per il naso. Ha gli
occhi
pesti, incavati, non era così pallido dalla battaglia in cui
si sono quasi
uccisi. Eppure non mostra ferite, la sua pelle è intatta e
priva di ematomi.
Tra le
dita
ha uno di quei fiori, ci gioca distratto e mesto, accarezzandone le
corolle e
il fusto. Quando si volta a guardarlo ha un’espressione
così desolata,
sperduta… sconfitta. Sasuke non credeva fosse davvero
possibile sconfiggere
Naruto.
Non
hanno
bisogno di parlare. Quello che vuole dire è chiaro sul suo
viso e Sasuke non è
così crudele da girare il coltello nella piaga, a fargli
dire ad alta voce
quella decisione.
Del
resto
non c’è altro che possano fare.
“Andrà
bene” dice e non si sente falso.
Naruto
non
ricorderà niente di tutto questo, degli ultimi mesi, e non
ricorderà di aver
amato. Se non ricorderà non può soffrirne e il
dolore che sente ora passerà.
Non
soffrire, è questa la cosa importante ora. Desidera solo che
Naruto smetta di
soffrire e viva, perché quella stessa sofferenza la sente
sulle proprie spalle
e non può sopportarla.
“Come
stai?”
La voce
di
Kakashi arriva alle loro spalle disinvolta, in quella sua nota allegra
che
frustra i nervi di Sasuke ogni volta.
“Sono
stato
meglio” concede Naruto con un sorriso.
Il
momento
di vulnerabilità è stato interrotto, è
tornato nella sua solita espressione
sciocca e allegra. Gli occhi azzurri però volano su Sakura,
che sta
controllando i dati che la macchina a cui è collegato
emette. Ha le labbra
mangiucchiate dal nervosismo e sembra che l’unica cosa in
grado a non farla
crollare sia scivolare nell’automatismo delle azioni mediche.
“La
crescita dei fiori sembra essersi fermata” dice.
“Per
poco”
risponde Yamato, seduto su un angolo esausto. “Non abbiamo
più di qualche ora”.
“Sarà
sufficiente, il tempo di chiamare Orochimaru e farlo venire
qui” replica
pratica Tsunade e all’espressione infastidita di Kakashi
sbuffa: “È l’unico che
conosce correttamente la procedura di rimozione, è la
persona più indicata”.
Naruto
è
tornato spaesato, un bambino in trappola tra tutti quegli adulti che
parlano.
Sasuke vorrebbe urlare loro di stare zitti, perché parlare
del cuore di Naruto
in quel modo pratico e freddo mentre può ascoltarli
è crudele.
Naruto
non
potrà più amare.
Amare romanticamente, si impone di
sottolineare. Qualsiasi cosa succederà fra poche ore, non
intaccherà il loro
legame. Saranno sempre Naruto e Sakura e Sasuke, saranno sempre loro.
“Naruto,”
chiama, spinto dall’urgenza e quando gli occhi azzurri
tornano su di lui si
sente la gola secca, “non cambierà
niente” promette.
Sakura
si
volta di scatto, in tempo per vedere il sorriso triste e per nulla
convinto di
Naruto. Si avvicina a sua volta e gli afferra la mano con forza.
“Noi
saremo
ancora qui” dice decisa. “Sasuke ha ragione, non
cambierà niente”.
La presa
sembra dare maggior convinzione a Naruto, che ricambia stropicciando i
fiori di
veronica tra le loro dita.
Ma la
sua
voce trema ancora quando chiede:
“Mi
parlerete di lui?” Gli occhi si ristringono. “Lo
farete, vero?”
Kakashi
è
il primo a reagire, si sporge ad appoggiare una mano sulla sua spalla,
tentato di
allargare le braccia e stringere i suoi tre studenti insieme.
“Lo
faremo”
promette. “Lo farò. Ti racconterò tutto
quello che c’è da sapere”.
Naruto
annuisce e tira su con il naso, un suono acquoso quanto i suoi occhi
sempre più
lucidi.
“Va
bene”
dice. “Andrà bene”.
Sarebbe
più
convincente se solo non piangesse.
Il fiore
di
Veronica deve il suo nome a San Veronica.
I suoi
fiori hanno molte qualità curative, infatti vengono usate
per curare disturbi
all’apparato respiratorio. Nella tradizione questo fiore
è conosciuto anche
come Occhi Divini, per via della conformazione del fiore che ricorda
piccoli
occhi azzurri. Proprio per la sua colorazione azzurra è
associato al cielo,
mentre il significato che viene tradizionalmente usato è
quello riferito alla
parola addio. Chi la regala,
infatti, spera che gli occhi divini veglino sul viaggio delle persone
amate e
sono costrette ad allontanarsi.
E anche
il
penultimo capitolo è andato ;__; manca solo
l’ultimo, anche se ormai è chiara
la direzione che ha preso la storia e tutti potete sospettare cosa
riguarderà
il prossimo. Il dolore puro.
Spero
che
vi sia piaciuto il modo che ho voluto legare l’hanahaki nella
lore di Naruto,
il suo legame con il clan Senjū. Ovviamente sappiamo tutti che
Hashirama ha
iniziato a tossire fiori dopo che ha creduto di aver ucciso Madara :P E
spero
che anche il piccolo inserto KakaYama vi sia piaciuto, bambini
çwç Forse quando
finirò questa storia farò una piccola one-shot
sull’esperienza di Yamato con l’hanahaki
hahahaha
Vi
ringrazio per le recensioni e per aver seguito la storia fino a questo
punto
<3 ci vediamo con l’ultimo capitolo!
|
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Capitolo 7 *** Higanbana ***
7
Higanbana
Svegliarsi
con il mal di testa non è mai un buon segno, soprattutto se
aprendo gli occhi
la prima cosa che vedi è l’ospedale.
Che diamine?
Sbatte
le
palpebre, sentendo che tutto il corpo – ma soprattutto la
zona del torace – gli
fa un male dannato. Anche se non è il tipico dolore che
prova quando è stato
pestato da Sakura o Sasuke, è più…
come quando dormi troppo a lungo in una
posizione strana.
Prende
un
grande respiro e un forte odore di arance lo colpisce al naso. Curioso
volta la
testa di lato e vede su una sedia d’attesa Kakashi, intento a
pelare proprio
uno di quei frutti arancioni.
“Oh,
sei
sveglio” commenta allegramente senza alzare gli occhi.
Perplesso
di vedere proprio il Rokudaime al suo capezzale – quando non
ha nemmeno idea di
come sia finito in ospedale – si alza a sedere in cerca di
risposte. Ma prima
che apra la bocca Kakashi gli sta porgendo uno spicchio di arancia. Lo
prende
titubante e quando lo porta alla bocca si accorge di star morendo di
fame.
Da quanto tempo
sono qui? Perché sono qui?
“Kakashi-sensei…”
chiede ingoiando lo spicchio. “Cos’è
successo?”
L’uomo
canticchia invece di rispondere, continuando a dividere
l’arancia in un lavoro
meticoloso che lo fa snervare. Sta per sbottare qualcosa quando
finalmente
parla.
“Naruto
caro, sai che giorno è oggi?” chiede sereno.
Aggrotta
le
sopracciglia alla domanda strana.
“L’ultima
data che ricordo è il sedici Giugno, sensei”
risponde.
Kakashi
annuisce soddisfatto e gli porge il resto degli spicchi.
“Ottimo,
Naruto, molto bene” lo loda. “Vedi, oggi
è il venticinque Ottobre”.
Il tono
allegro l’ha totalmente fuorviato, perciò capisce
cosa ha effettivamente detto
solo quando ha già l’arancia in bocca e dalla
sorpresa si ritrova a sputare gli
spicchi mangiucchiati.
“Ottobre?!”
ripete soffocandosi.
Trovandosi
in ospedale si era aspettato di essere rimasto fuori combattimento per
qualche
giorno, ma addirittura quattro mesi?
“Cos’è
successo?” chiede ancora, più incisivo e
preoccupato.
Cos’è
successo che l’ha fatto restare svenuto per quattro mesi? E perché non
ricorda assolutamente nulla?
“Mangia
la
tua arancia, Naruto” lo riprende Kakashi poco impressionato
dal suo sguardo
omicida .
Ma
è alla
fine è sempre stato un ragazzo ubbidiente e si ficca in
bocca tutti gli spicchi
rimanenti, gonfiando le guance come un criceto.
“Allora?”
bofonchia appena comprensibile.
Kakashi
annuisce.
“Cos’è
l’ultima cosa che ricordi?”
“Tu
che mi
schiavizzi nel tuo ufficio” risponde veloce. Del resto
è quello che ha fatto
per tutta l’estate quando non era in missione.
“Io
non ti
schiavizzo” protesta. “Ti insegno solo come si
comporta un futuro Hokage, mio
dolce studente”.
Lo
guarda
diffidente, perché se c’è una cosa che
ha capito dopo tutti quegli anni è che
quando Kakashi usa quel tono zuccheroso e spensierato
c’è solo da preoccuparsi.
“Altro?”
chiede.
Aggrotta
la
fronte, cercando di ricordare, ma per qualche motivo è
difficile.
“A
fine
giornata ti ho accompagnato alla lapide commemorativa, così
salutavo con te i
miei genitori e…”
La ruga
sulla sua fronte si accentua mentre si sforza, perché
è certo ci fosse qualcun
altro su quella lapide che dovevano salutare, ma non riesce proprio a
ricordare
chi. Non conosce nessun altro nome inciso oltre quello dei suoi
genitori e lo
stesso vale per Kakashi.
Scrolla
le
spalle poco preoccupato, del resto se non ricorda ben quattro mesi
è normale
che si confonda.
Kakashi
attende dica altro, ma al silenzio prolungato annuisce fra
sé.
“Proprio
come ha detto Tsunade” borbotta.
“Perché?”
sbotta ormai esasperato. “Che cosa mi è
successo?”
Per un
momento teme che non risponda, ma poi sospira e per la prima volta da
quando si
è svegliato vede nel suo sguardo preoccupazione e mestizia.
“Come
ti
senti?”
Naruto
è
vicinissimo a mettersi a urlare.
“Sto
bene”
dice incisivo, lasciando che tutta la sua esasperazione si legga in
faccia.
“Starei meglio se mi dicessi che ci faccio qui!”
“Comprensibile”
gli sorride, poi si alza dalla
sedia pigramente. “C’è un cambio di
vestiti nel comodino. Indossali e raggiungimi
fuori dalla stanza. Ti spiegherò tutto per strada”.
Naruto
lo
guarda imbronciato mentre esce, ma poi sospira rassegnato e fa come
dice. I
muscoli e le ossa scricchiolano mentre si rimette in posizione eretta e
per un
momento ha un giramento di testa che lo costringe ad appoggiarsi al
muro.
Prende
una
lunga boccata d’aria cercando di tornare stabile sulle
proprie gambe.
Ma a
parte
questa debolezza, sicuramente causata dal suo essere rimasto svenuto
troppo a lungo,
si sente bene.
C’è
solo
una fitta costante al petto, che non riesce a capire da cosa
esattamente
provenga. Sembra dal cuore, ma non è come se il muscolo
fosse affaticato nel
contrarsi. No… è qualcosa di diverso, simile a
una consapevolezza: ci deve
essere qualcosa ma qualcosa non
c’è.
È
simile a
quando aveva tredici anni e Sasuke era appena partito: si voltava
sicuro di
trovare Sasuke al suo fianco e Sasuke in realtà non
c’era. È lo stesso tipo di
dolorosa consapevolezza, che manchi qualcosa che dovrebbe esserci.
Kurama, cosa sta
succedendo?, chiede
allarmato nella propria mente.
Ma la
Volpe
non sembra voler parlare con lui, si è rintanato in un punto
lontano della sua
mente accoccolato nelle sue code.
Te lo
dirà
lo spaventapasseri, è
l’unica spiegazione borbottata di malavoglia.
Naruto
è
certo di star per impazzire e ora è davvero preoccupato.
Perciò quando esce
dalla stanza d’ospedale non può far a meno di
chiedere come prima cosa:
“Sasuke
sta
bene?”
Kakashi
sembra sorpreso dall’impeto della sua domanda, i suoi occhi
pigri lo guardano
leggermente confusi.
“Mai
stato
così in forma” lo rassicura.
Ma
Naruto
non si convince, resta mangiato dal nervosismo.
“Sakura
allora?”
“Sana
e
bella come al solito”.
“Sai?”
Kakashi
ora
lo guarda preoccupato.
“Che
dire
di Sai… il solito. Sta bene”. Fa una pausa dove lo
studia con apprensione.
“Stiamo tutti bene,
Naruto” lo
rassicura.
Annuisce,
anche se si sente la gola secca e il cuore dolorante.
“Cos’è
successo?” chiede ancora e, davvero, si sta stancando di
ripeterlo.
Kakashi
gli
appoggia una mano sulla spalla e lo invita a uscire
dall’ospedale.
Fortunatamente non resta in silenzio troppo a lungo.
“Circa
una
settimana fa, sei stato mandato in missione fuori dal villaggio. Lo
ricordi?”
Naruto
aggrotta le sopracciglia, forzando la memoria per cercare questo
ricordo. Nel
farlo stringe le labbra e ronza con la gola.
“Credo…
di
sì” dice incerto. Ha come una sensazione di
verità, sa che è stato mandato in
missione fuori dal villaggio, ma non se lo ricorda.
“Se
dico Chiesa dello Tsukiyomi aiuto
in qualche
modo?”
Lo
sguardo
di Naruto di adombra. “Sì,” ringhia,
“sono i pazzoidi che vogliono riportare
Kaguya”.
Kakashi
annuisce. “Esattamente. Abbiamo trovato una base principale
qui nella Terra del
Fuoco, sei stato mandato con una squadra per catturare il loro
Cardinale. Ma…”
“Qualcosa
è
andato storto” indovina funesto, quel qualcosa
andato storto deve essere il motivo per cui si trovava in
ospedale senza
memoria.
“La
missione è stata un successo” garantisce il
Rokudaime, “ma tu sei stato colpito
da un potente jutsu sconosciuto. Tsunade credeva che potesse aver
intaccato la
tua memoria e, come hai dimostrato, aveva ragione”.
È
il turno
di Naruto di annuire, soddisfatto di avere più chiara la
situazione. Forse
dovrebbe essere preoccupato per essere stato colpito da questo jutsu
sconosciuto, ma se è sopravvissuto è qualcosa che
può gestire.
“Quindi,
tutto qui? Tutte queste storie perché non mi ricordo gli
ultimi quattro mesi?”
chiede e assottiglia gli occhi quando Kakashi gli lancia
un’occhiata incredula.
Forse si
aspettava una reazione meno tranquilla a quel fatto, ma davvero non
è un grande
problema. Qualsiasi cosa sia successo in quell’estate possono
raccontargliela
Sasuke e Sakura e tutti gli altri. E poi se la missione è
stata un successo non
c’è davvero niente di cui preoccuparsi. Ogni tanto
si rompe un braccio o una
gamba, questa volta ha una leggera amnesia: sono shinobi, succede.
“In
realtà
crediamo abbia colpito anche altri ricordi… molto
specifici” continua Kakashi,
indica la strada che stanno percorrendo. “Stiamo proprio
andando a
verificarlo”.
Prestando
finalmente attenzione alla zona attorno a lui, Naruto riconosce la
direzione:
stanno andando al monumento commemorativo. Per qualche motivo questa
scoperta
gli appesantisce il cuore e si sente nervoso, perciò fa il
resto della strada
in silenzio, chiedendosi perché tra tutti i posti stiano
andando proprio lì.
Il
monumento è sempre la solita lastra di pietra di nomi incisi
al campo di
allenamento. Appena sono lì Naruto chiude gli occhi e piega
il capo in
preghiera versa i suoi genitori.
Kakashi
è
dritto al suo fianco, le mani dentro le tasche dei pantaloni nella
solita posa
indolente.
“Quindi?”
spezza il lungo silenzio.
Kakashi
annuisce, come ricordando che sono qui per un motivo ben preciso.
“Tra
queste
persone c’è il mio migliore amico” dice
e, per quanto Naruto si senta triste
per il suo sensei a scoprire questa cosa, continua a non capire cosa
c’entri
con la sua memoria.
“Mi
dispiace”
dice comunque e lo tocca su una spalla per essere di conforto.
Kakashi
fa
un’espressione amara, poi scuote la testa.
“Cosa
ricordi della battaglia con Kaguya?”
Ancora
una
volta, la domanda lo prende in contropiede e il desiderio di urlare
perché non
sta più capendo niente si fa sempre più forte. Ma
si fida di Kakashi,
sicuramente in qualche modo contorto tutto questo deve avere un senso,
quindi
si sforza.
“Allora…
ci
ha trasportato in una dimensione diversa e ho scoperto di saper
volare” inizia.
“Poi Sasuke è stato davvero stupido con te e
Sakura, ma siamo riusciti a
mettergli un po’ di sale in zucca. Quindi ho provato il mio
fenomenale jutsu
definitivo!” si anima, salvo poi ridacchiare nervoso.
“Non ha propriamente
funzionato… Kaguya ha cambiato dimensione e ha allontanato
Sasuke da noi,
trasferendolo in un’altra ancora. Quindi per farlo tornare
abbiamo…” si
interrompe mentre la sua voce sfuma.
Socchiude
gli occhi e sporge il labbro inferiore, nella sua classica e buffa
espressione
pensosa. Ma dopo una manciata di lunghissimi secondi concentrato in
quel modo
sgrana gli occhi e torna su Kakashi esitante.
“Io…
non
ricordo come abbiamo fatto” ammette. “E anche dopo,
quando Kaguya ci ha
trasferito nella dimensione della gravità…
lì è successo qualcosa, vero?”
Si sente
terribilmente smarrito e per qualche motivo il petto fa
male, il cuore sembra troppo stretto nella gabbia delle
costole.
Si porta una mano ad afferrarsi la maglietta, quasi a voler fermare il
battito
accelerato. È successo qualcosa lì che non
ricorda e per qualche motivo
pensarci gli fa desiderare di piangere.
Kakashi
lo
afferra saldamente, le mani sulle sue spalle.
“Tranquillo,
Naruto, va tutto bene” dice con voce calda, rassicurante.
“È il jutsu, va tutto
bene. Vieni, sediamoci”.
Naruto
segue
il sensei mentre lo spinge a sedersi sul prato e allo stesso tempo
cerca di
regolarizzare il proprio respiro, di lasciarsi calmare dalle parole
tranquillizzanti di Kakashi.
Il quale
attende si sia calmato prima di porgere un’altra domanda.
“Ricordi
il
secondo Madara?”
Un lampo
di
rabbia e odio passa sugli occhi blu, scurendoli.
“Sì”
ringhia, il corpo rigido al ricordo.
“Ottimo”
annuisce Kakashi. “Ricordi anche quando sei riuscito a
rompere la sua
maschera?”
Il
flashback di quella battaglia passano nella sua mente, insieme al
ricordo della
rabbia e della frustrazione che aveva provato nel combattere contro
quell’individuo che si proclamava nessuno.
“Sì”
ripete
nello stesso tono.
“Ricordi
anche chi ci fosse dietro quella maschera?”
Naruto
socchiude la bocca e si irrigidisce. Per quanto riesca a vedere il
momento in
cui l’ha colpito in faccia con il rasengan, frantumando
quell’odiosa maschera,
il resto diventa vuoto e nebuloso come nei ricordi con Kaguya.
“No…”
mormora confuso.
Il
sospiro
rassegnato di Kakashi aumenta solo la sua preoccupazione.
C’è qualcosa che non
va, qualcosa che gli fa battere dolorosamente il cuore nel petto. Non
capisca
perché gli faccia così male, come se fosse stata
aperto da bisturi, come se
fosse vuoto.
“Non
credo
ci sia un modo facile per dirlo” considera fra sé
Kakashi, poi torna a guardare
la tomba. “Sotto le spoglie di Uchiha Madara, c’era
Uchiha Obito”, una pausa,
“il mio migliore amico”.
È
un’informazione troppo grande perché Naruto riesca
a coglierla nel suo pieno,
ha così tanti significati e implicazioni che rischiano di
fargli scoppiare il
cervello per le domande che emergono quasi autonomamente.
Torna a
guardare la lapide, tentando di fare ordine nella testa.
“Quel
migliore amico lì?” chiede. “Ma non
capisco, ‘tebayo! Quelli non sono i morti
della Terza Guerra? Che cosa…”
Si
interrompe e stringe gli occhi, perché davvero si sta
sforzando di ricordare e
più ci prova più fa male. Ma non alla testa, come
se fosse un’emicrania, come
se fosse il suo cervello a essere bloccato. Quello che sembra incapace
di
aprirsi è il cuore, è quello che fa male nello
sforzo di superare l’ostacolo
del puro vuoto.
Kakashi
gli
offre la sua presa, salda e sicura.
“Non
sforzarti” dice. “È il jutsu.
Più ti sforzi, più provoca dolore”.
“Perché
non
ricordo queste cose?” singhiozza con il respiro traballante.
Sta cercando di
calmarsi, ma non ci riesce. Come ha potuto dimenticare qualcosa di
così
importante? “Perché non riesco a ricordare la
Quarta Guerra?!”
“Respira
con me” evita le sue domande. “Segui il mio ritmo.
Espira, inspira, espira…”
Naruto
cerca di concentrarsi, di restringere il ronzare dei suoi pensieri solo
al
proprio respiro. Se è il jutsu, allora si sforza di pensare
a tutt’altro. La
sua mente vola facilmente al ramen, al pensiero che dopo tutta questa
merda si
merita un bis doppio.
Ancora
una
volta il ramen gli salva la vita e sente il sangue tornare placido,
smettere di
ribollire per tutto il corpo impazzito. Fa un solo cenno a Kakashi per
fargli
capire che va tutto bene.
“Perché
il
jutsu ha colpito proprio questi ricordi?” chiede.
Può
capire
che abbia cancellato dalla sua mente gli ultimi mesi, ma
perché ha intaccato
qualcosa di così specifico? Perché fra tutti i
suoi ricordi ha scelto la fine
della Quarta Guerra?
Kakashi
lo
osserva in silenzio per alcuni secondi, gli occhi vigili e attenti al
minimo
segnale di debolezza.
“Abbiamo
solo una teoria” inizia lento, incerto.
“Probabilmente il loro obiettivo era
farti dimenticare cosa sarebbe successo se il fiore divino fosse
sbocciato,
così da eliminare la tua volontà di contrastarli.
Ma qualcosa è andato storto,
forse la presenza del Kyūbi ha influito, e invece hanno rimosso solo
alcune
parti della guerra. Per esempio contro chi stessi
combattendo”.
Naruto
abbassa lo sguardo, valutando attentamente questa informazione. Ne
capisce il
senso, è logico, perciò nonostante le fitte al
petto che continuano a insistere
annuisce.
“Va
bene.
Ho capito”. Fa una pausa, poi lo guarda speranzoso.
“Torneranno mai? I miei
ricordi?”
Non
serve
che risponda, l’espressione desolata nelle iridi grigie basta
da sola.
“Oh”.
Non sa
come
sentirsi in merito. È frustrante non ricordare, avere questa
barriera di
nebbia, ma allo stesso tempo… non ricorda. Non ne sente una
mancanza, non sa
cos’ha perso. Forse è per questo che appena
sveglio ha provato quella
sensazione angosciante.
“Ti
racconterò com’è andata”.
La voce
di
Kakashi lo riscuote e si ritrova a osservarlo spaesato. I suoi occhi
espressivi
traboccano di affetto e determinazione.
“Ti
racconterò di come hai fermato Madara, Kaguya e…
di come hai cambiato Obito”.
Inclina
la
testa di lato, incuriosito dal tono. Ma poi si allarga in un sorriso
luminoso,
già deciso ad abbandonare questa spiacevole situazione alle
spalle. È uno
shinobi, sopravvivrà anche a questo.
“Davanti
a
una tazza di ramen?” offre sornione.
Kakashi
sbuffa, come quando erano sensei e genin.
“Maaa,
se
non si può evitare…”
Sasuke
osserva cupo dal ramo, i suoi occhi seguono le figure di Naruto e
Kakashi
uscire dal campo di allenamento. Sembra essere andato tutto bene,
Naruto sembra
aver creduto alla loro articolata bugia.
Ignora
la
fitta al petto a quel pensiero, si sforza di ricordare che non potevano
fare
altrimenti. Qualche giorno fa, quando Naruto si è svegliato
dopo l’operazione,
lui e Sakura hanno provato a dirgli la verità.
L’hanno
rotto.
Naruto
si è
accartocciato in se stesso aggrappandosi al petto, piangendo e tremando
dal
dolore. A quanto pare, dopo l’operazione, ogni tentativo di
ricordare l’amore
perduto costringerebbe il cuore del paziente a uno sforzo
insopportabile, tale
da sovraccaricare e danneggiare il sistema di chakra. Sasuke ha dovuto
usare un
genjutsu per calmarlo.
Hanno
riprovato, questa volta decisi a non dire la verità a
Naruto, così hanno
inventato il jutsu della memoria e tutto il resto. Neanche questo ha
funzionato. Naruto era lì che li guardava così
fragile e Sasuke non ce l’ha
fatta. Non può mentire a Naruto, ogni fibra del suo essere
striderebbe per
qualcosa di così innaturale. Naruto ha capito subito che
c’era qualcosa che non
andava e la stessa scena si è ripetuta ancora una volta.
Sasuke l’ha
addormentato con un genjutsu e Sakura ha distrutto una stanza
d’ospedale dalla
frustrazione.
Questa
volta Kakashi sembra esserci riuscito. È riuscito a mentire
a Naruto, ad
arginare immediatamente ogni rischio. Forse è giusto
così: del resto è lui il
loro sensei, loro sono bambini sperduti che sanno solo farsi del male e
ritrovarsi.
Naruto
li
perdonerà.
Naruto
lo
perdonerà se non ci riesce, se la sola idea di partecipare a
quella farsa gli
attorciglia le budella. Se la sola idea di mentire spudoratamente,
guardarlo
negli occhi e tacere su quello che gli hanno fatto – non puoi più innamorarti
– gli fa desiderare di bruciare ogni cosa.
Sa che non durerà a lungo, che prima o poi esploderebbe per
dirgli la verità.
Gli farà male.
Non
rivolge
più uno sguardo alle due figure. Salta tra i vari rami e
tetti fino ad arrivare
alle porte di Konoha.
Anche se
non ha avvisato nessuno nel tentativo di allontanarsi senza spiegare,
non si
stupisce di trovarla seduta su una di quelle maledette panchine. Sembra
la
replica di un ricordo che ancora lo fa vergognare.
“Te
ne
vai”.
Non
è una
domanda quella di Sakura, è una costatazione rassegnata,
come se ormai avesse
accettato di non essere in grado i trattenerlo. E nonostante la sua
decisione
di andarsene di nascosto, senza farlo a sapere a nessuno, sente il
bisogno di
giustificarsi agli occhi verdi e tristi.
“Non
posso
sopportarlo” ammette.
“Lo so”.
“Quello
che
gli abbiamo fatto è orribile”.
“Lo
so”
ripete ancora. “Ma era l’unico modo”.
“Non
lo
saprà mai. Non saprà mai cosa gli abbiamo
tolto” insiste, quasi non la stesse
ascoltando.
“Era
d’accordo”.
“Ma
lui non
voleva dimenticare”.
Sakura
non
risponde e restano in silenzio. Sasuke ripensa ossessivo a quello che
ha appena
visto: nessuna reazione da parte di Naruto al nome di Obito, i suoi
occhi non
hanno avuto quello sguardo. Quello
sguardo innamorato, quell’emozione che vibrava in lui e lo
illuminava
nonostante il dolore, non ci sarà più.
L’hanno strappata via, come un’erbaccia
fra i fiori.
“Non
posso
sopportarlo” ripete piano, più dolce.
I loro
chakra sono collegati, il chakra che il Saggio dei Sei Sentieri ha
offerto loro
richiama continuamente la propria metà. Sasuke sente il
vuoto che è stato
scavato in Naruto e se Naruto non lo soffre perché non
ricorda, perché non
capisce, Sasuke sì. Ne sente le conseguenze come se avesse
la ferita aperta,
sanguinante, davanti agli occhi. È egoista ma non
può sopportarlo, ha bisogno
di distogliere lo sguardo prima che monti la nausea.
Sasuke
aspetta, finché Sakura non alza gli occhi di nuovo su di
lui. Capisce cosa sta
aspettando e scuote la testa.
“No”
nega. “Non
te lo chiederò”.
“Non
vuoi
venire con me?” chiede e spera che non si senta il sollievo
nel suo tono.
Ha
bisogno
di stare da solo, di metabolizzare questa cosa. La solitudine
è l’unica panacea
che conosce.
Sakura
scuote la testa, il caschetto ondeggia.
“Ho
promesso a Naruto che sarei stata qui al suo risveglio” dice.
“Ha bisogno di me”.
“Non
puoi
aggiustarlo, Sakura” l’avverte. “Lo
abbiamo rotto”.
La
ragazza
canticchia, evitando lo sguardo e sorridendo triste fra sé.
Si alza dalla
panchina e sembra esitare nel chiedere:
“Se
quei
fiori fossero stati miei…”
Non
termina
la frase e Sasuke si sente male. La guarda e supplica, il cuore che si
stritola
nel senso di colpa, nella sensazione di non poter essere mai abbastanza
per i
suoi compagni.
Lei
sorride
e scuote la testa, come a voler scacciare via le parole appena dette.
“Hai
ragione. Scusa, è stato crudele”.
Non
risponde e Sakura nemmeno si aspetta che lo faccia. Gli rivolge un
ultimo
sorriso, un cenno con la mano prima di andarsene.
“Fa’
buon
viaggio, Sasuke” dice. “Torna presto”.
Sasuke
la
guarda allontanarsi lungo la strada, la cornice delle sue spalle che
nonostante
i muscoli sembra così esile nella sua maglietta rossa.
Quando è diventata così
alta?
“Sakura”
la
chiama e non deve nemmeno alzare la voce perché lei lo
senta.
Si ferma
brevemente e si gira di profilo incuriosita, in attesa che dica altro.
“La
prossima volta” dice Sasuke. “La prossima volta ti
porterò con me”.
Sente
l’eco
della piccola risata raggiungerlo.
“Ci
conto,
Sas’ke-kun” scherza con tono zuccheroso. Poi si
gira e si allontana ancora,
questa volta più velocemente.
Sasuke
non
la ferma più, lancia un ultimo sguardo a Konoha –
lì, verso il punto che
percepisce il chakra di Naruto – e poi si gira.
Ha
attraversato tante volte questo cancello, ma per la prima volta si
immagina
delle mani che lo trattengono per le spalle. Per la prima volta sente
di
abbandonare qualcosa.
Tornerò, si dice. Tornerò a casa.
Sakura
fa
quattro passi prima di girarsi e vedere Sasuke scivolare oltre il
cancello, una
figura nera che spicca nei colori autunnali.
Chissà
quanti fiori di higanbana sono sbocciati nei campi.
Ci pensa
solo un secondo, un po’ malinconica. Non è
arrabbiata con Sasuke, lo capisce:
anche lei scapperebbe via. Ma non può farlo, è
sempre stato il suo compito
rimettere insieme i pezzi.
Non puoi
aggiustarlo, le risuonano
le parole di
Sasuke.
Forse
è
vero, ma Naruto merita di essere amato anche se non sa più
farlo. Merita di
avere una famiglia, qualcuno che si prenda cura di lui, qualcuno che
può
credere di amare.
Spera
che
Naruto la perdonerà per quello che sta per fare, ma ormai ha
deciso.
Con un
ultimo sguardo alle porte di Konoha, riprende a camminare alla ricerca
di
Hinata.
You left me to die
I
believed in love one day
while
petals hushed me.
Fine.
;__;
Anche questa minilong è andata.
Prima di
tutto, mi dispiace per la lunga assenza di Giugno: la sessione estiva
non
perdona e ho avuto un esame davvero tosto che mi ha prosciugato tutta
la forza,
anche solo scrivere qualche pagina per Stonewall è stato uno
sforzo immane.
Anche se avevo questo capitolo scritto, mi mancava l’ultima
parte, il dialogo
tra Sasuke e Sakura; infatti ho paura di averlo scritto male, di non
essere
riuscita a renderlo pienamente.
Come
forse
avete capito la mia intenzione è stata quella di collegarla
comunque al canon,
magari proprio precedente a The Last (per quanto mi abbia fatto schifo
quel
film): Naruto ha persona la capacità di amare
romanticamente, ma non quella di
provare affetto/attrazione sessuale, quindi mi immagino Sakura
convincerlo che
è sempre stato innamorato di Hinata (come succede nel film
alla fin fine). Dai,
questo spiegherebbe anche perché si è svegliato
di botto xD
Miei
headcanon a parte, spero che questo finale vi sia piaciuto. Anzi, che
l’intera
storia vi sia piaciuta vi abbia emozionato! Io di certo ho lasciato
qualche
lacrima nel corso della scrittura xD
Vi
ringrazio tantissimo per averla seguita fino alla fine e se vi andasse
di farmi
sapere cosa ne pensate, insomma lasciare un commentino, io ne sarei
davvero
felice ^^
Un bacio.
Hatta.
(La poesia finale: https://hellopoetry.com/poem/2588559/hanahaki/)
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