Pamela e i sussurri d'inchiostro

di McGonaogall_Sister
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La Bella Estate ***
Capitolo 3: *** Hogwarts - Agosto ***
Capitolo 4: *** Nelle Serre - Agosto ***
Capitolo 5: *** Giochi di carte - Agosto ***
Capitolo 6: *** Imboscata - Agosto ***
Capitolo 7: *** Nel buio - Agosto ***
Capitolo 8: *** Atterraggio sbagliato - Settembre ***
Capitolo 9: *** Inizi - Settembre ***
Capitolo 10: *** Buon compleanno, Minerva! - Ottobre ***
Capitolo 11: *** Malintesi - Ottobre ***
Capitolo 12: *** Scheletri che ballano - Novembre ***
Capitolo 13: *** Sussurri - Novembre ***
Capitolo 14: *** 2.11.1992 - Che Cosa ho Fatto Tom? ***
Capitolo 15: *** Notti Insonni - Novembre ***
Capitolo 16: *** Duelli Serpenti - Dicembre ***
Capitolo 17: *** La prima neve - Dicembre ***
Capitolo 18: *** Natale ***
Capitolo 19: *** Montagne russe - Febbraio ***
Capitolo 20: *** Nuovi Inizi - Febbraio ***
Capitolo 21: *** Cercando di andare oltre - Marzo ***
Capitolo 22: *** Notizie e Chiarimenti - Aprile ***
Capitolo 23: *** Chi viene e chi va - Maggio ***
Capitolo 24: *** Assenza - Maggio ***
Capitolo 25: *** Inconvenienti - Maggio ***
Capitolo 26: *** La situazione precipita - Maggio ***
Capitolo 27: *** La Camera dei Segreti - Maggio ***
Capitolo 28: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


L'angolo dell'autrice

Bentornati a tutti!
Se siete qui è perché vi è piaciuta la prima storia di Pamela Radcliffe (se invece non l’avete mai letta questo è il link: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3890490) e ne sono molto contenta :D 
Come sapete, l’anno precedente si è concluso in un modo un po’ brusco, ma non preoccupatevi, il prossimo sta per cominciare!
Per ora accontentiamoci di un prologo e aspettiamo di tornare ad Hogwarts. 
 
Un abbraccio e buona lettura!
 
P.S. Per chi ancora non lo sapesse, questa storia è com’è non solo grazie a me, ma anche grazie alla mia carissima lettrice beta, Nanna_chan, senza la quale non avrei potuto scriverla. <3
 
 
 


Silenzio.
 
Spazi bianchi tra le parole.
 
Vuoti di pensiero a giacere nelle pagine polverose di una vita. Spazi chiari, puliti, spazi leggeri dove si prende fiato. Esistono sempre, esistono per tutti e hanno il compito essenziale di definire la parola. Prendiamo un momento qualsiasi: prendiamo il momento in cui si salgono le scale: nessuno fa caso al gesto dei passi, nessuno pensa veramente a quello che sta facendo mentre sale le scale. Quando ci ricordiamo della giornata passata, prima di andare a dormire, nessuno si ricorda del momento in cui è salito per le scale. È un momento bianco della nostra vita, un momento in cui non siamo nessuno, non siamo altro che noi stessi. Succede a tutti, anche se magari in situazioni diverse, di vivere uno spazio bianco, è necessario, è vitale.
È un fatto rincuorante, a pensarci bene: perfino nella vita più cupa, nei meandri peggiori dell’umano dove la scrittura diventa tormento e fitta ossessione, restano pur sempre i silenzi, i respiri, i punti in cui il petto si dilata, i polmoni si gonfiano.
 
 
Da ragazzo, a Tom Riddle piacevano le Cioccorane. Gli piaceva mangiarle lentamente e sentire il cioccolato sciogliersi in bocca poco per volta. In quei momenti il cuore gli si riempiva di pura gioia, non pensava a nulla se non al piacere di quel gesto, vi si immergeva completamente. In quei momenti Voldemort spariva dal mondo e restava soltanto Tom.
Nessuno dei suoi seguaci avrebbe mai dato la minima importanza a momenti come quelli, non li vedevano. Erano persone attente solo al rumore.
 
 
Da un cassetto polveroso, il cassetto di una vecchia scrivania, in una stanza in cui nessuno entrava mai, una mano pallida e affusolata, la mano di un uomo che non aveva mai conosciuto la fatica, prese un taccuino. Un semplice taccuino con la copertina di pelle affaticata dagli anni.
Chissà quali parole, avrebbe svelato, chissà quanto inchiostro era stato speso nelle sue pagine.
Invece no, solo bianco.
Un bianco assoluto, un bianco che non è ancora spazio tra due parole, ma solo illimitato bianco.
Lucius Malfoy fissò ancora una volta le pagine senza capire: un oggetto dal potere talmente oscuro da mettere i brividi nel tenerlo tra le mani, una di quelle cose che se il Ministero avesse trovato in casa sua gli sarebbe potuta costare il lavoro e il prestigio. Anche l’oggetto che soffriva meno all’idea di perdere perché non riusciva a coglierne il senso.
Le persone come Lucius Malfoy non avrebbero mai potuto capire quanto potere c’è nel bianco della pagina, nelle sue illimitate potenzialità, nello spazio lasciato per essere riempito, e in quello lasciato perché le cose assumano senso. Il diario di Tom Riddle, così bianco, così innocente, nascondeva il nero del suo inchiostro sotto la filigrana della pergamena, aspettava come una fiera in attesa, ingannando il lettore di poter prendere fiato, di poter gonfiare i polmoni, di poter essere soltanto se stesso. Era una tigre vestita da agnello.
 

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Capitolo 2
*** La Bella Estate ***


L'angolo dell'autrice
 
Ci siamo quasi :)
Prima di tornare alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, però, c’è da passare l’estate. Non tutti hanno la sfortuna di viverla chiusi al numero quattro di Privet Drive, e vedrete che Pamela sa sfruttare i mesi di libertà.
 
Buona lettura, e fatemi sapere cosa ne pensate ;)
 
 
Per due mesi Pamela aveva goduto la libertà di avere qualche soldo da parte, nessuno a cui rendere conto e delle buone letture nello zaino. Era partita appena una settimana dopo essere tornata a casa da Hogwarts, il tempo di ascoltare i racconti degli zii, sentirsi sanguinare il cuore al matrimonio di Daniel e poi aveva messo qualche vestito, i libri, il trespolo di Sniff, un paio di taccuini, Charm con tutto il trasportino, una tenda, il beauty-case e poche altre cosette utili nello zainetto ed era partita. Aveva volato sopra la manica fino a Bruxelles, lì aveva incontrato una comunità di maghi e streghe che vivevano insieme in una piccola comunità. Erano persone meravigliose che vivevano seguendo ritmi rigidi di meditazione e pratiche, mischiando i principi di Eckart Clark con quelli della magia sessuale: la mattina si riunivano in cerchio parlando dei sogni della notte, meditavano e mangiavano qualcosa di leggero, poi meditavano nuovamente e poi uno di loro al giorno proponeva una pratica invitando chi voleva a seguirlo. Nei giorni in cui Pamela era stata da loro avevano fatto dei massaggi dopo essersi spogliati nudi. Un’altra volta avevano ballato, sempre nudi. Poi si ritrovavano di nuovo in cerchio, parlavano con gli stessi principi del co-ascolto di quello che avevano provato, cenavano e poi a sera si spegnevano le luci, si adibiva il salone con cuscini e coperte e ognuno viveva ciò che voleva. Pamela aveva passato la prima sera a chiacchierare con una strega sulla sessantina, Monique, della sua vita, dei tre figli che aveva avuto con un mago, prima di capire che forse i maschi non le interessavano poi tanto. Aveva lasciato il marito, si era innamorata di una sua amica con cui era finita male, e ora era lì, e dopo anni aveva ritrovato il piacere di giacere con gli uomini, senza perdere la voglia di farlo con le donne. Era stata una bella chiacchiera, poi un uomo era venuto, molto gentile, e aveva chiesto a Monique se aveva voglia di fare l’amore. Lei aveva detto di sì e si erano appartati in un angolo. Pamela si era sdraiata a terra, lasciando libera la percezione, e immergendosi nell’energia che aveva riempito la sala, tra corpi che si toccavano e anime che si abbracciavano. La sera dopo aveva fatto l’amore con Alain e Monique.
Era ripartita tra molti abbracci e grandi saluti, con la sensazione di essere rimasta lì per mesi.1

Aveva raggiunto la Foresta Nera dove aveva preso i contatti con un’altra comunità che viveva immersa tra gli alti alberi, in un villaggetto di vecchie case in pietra, coltivando il proprio cibo, andando in bagno in una piccola fossa scavata oltre l’orto, estate e inverno. Quattro capre e una dozzina di galline vivevano in uno stato più o meno armonico con i gatti e i cani, passeggiando placidamente sulle strade di terra battuta. Nessun animale veniva mangiato, solo le uova venivano raccolte, questi erano i rigidi dettami di vita. Pamela non voleva nemmeno immaginare in cosa consistessero i pasti invernali, ma d’estate, tra l’orto e le erbe selvatiche, non c’era da lamentarsi. In un forno a legna, ogni giorno, un mago sulla trentina, biondo, panificava ricavando farina da quasi qualsiasi cosa immaginabile. I grossi pani caldi e profumati sembravano possedere la capacità di nutrire più di una bistecca. Pamela se ne era innamorata al primo sguardo. Del pane e del panificatore, di nome Max.
Rimase con loro una settimana e per una settimana si godette la più dolce e romantica storia d’amore che un’estate possa regalare. Tra gli alberi e i prati, alla ricerca dei punti dove il fiume creava grosse pozze e ci si poteva bagnare, passava tutto il tempo in cui non lavorava per la comunità a fingere di voler imparare il tedesco dalle labbra di Max. Con lui si sentiva libera, libera davvero per la prima volta. A lui piaceva che lei potesse vedere i suoi pensieri, trovava che rendesse tutto più semplice, e infatti Pamela sapeva tutto della donna che lo aveva lasciato un anno prima, ma di cui ancora era innamorato. Sapeva che poteva essere solo per quella settimana e lo aveva accettato subito. Quella settimana sembrò durare un battito di ciglia, ma fu intensa come fosse durata per mesi.2
 
Ripartita dalla Foresta Nera, si prese qualche tempo per visitare le capitali: Parigi, Madrid, Lisbona, Roma. Poi in Grecia trovò una strega, una certa Elestoria, che cercava di ritrovare gli antichi riti orgiastici Eleusiaci. Con un piccolo gruppetto di altre tre streghe ricercavano i livelli più alti degli stati alterati di coscienza attraverso l’uso di erbe bruciate nei braceri, o di farine lasciate fermentare in grandi anfore di coccio e poi impastate in pani dal sapore acidulo. Nessun maschio era ammesso nella casa e ogni mestruo veniva salutato come un evento e il sangue donato alla terra. Durante i pleniluni, sotto gli effetti delle allucinazioni, ballavano per ore o facevano l’amore sui grandi scogli piatti a strapiombo sul mare, in ogni caso sempre raggiungevano un’estasi sfrenata che richiedeva almeno una giornata di totale riposo in cui a malapena uscivano dalle stanze. Nei noviluni, invece, piantavano semi che poi si trasformavano nelle piante che ornavano i balconi e le aiuole intorno alla casa. Pamela restò nella loro casa per un ciclo lunare completo. Le benedirono il ventre, la portarono a bagnarsi in una cala dove nuotavano le tartarughe marine, la chiamavano sorella. Prima di partire Elestoria la prese da parte e con aria molto seria le disse: “Hai un grembo fertile, presto partorirai una vita nuova, ma non sarai madre. Se lo sarai un giorno, sarà lontano, troppo lontano per i miei occhi.”3
Pamela ringraziò, non fece domande ma annotò le parole con cura accanto a quelle della Trelawney.
 
1.  Per immaginare questa comunità mi sono molto liberamente ispirata al lavoro portata avanti da Alexia Vartman, il cosidetto New Tantra (se siete curiosi trovate delle interviste online di quando ancora si faceva chiamare Alex). Questo il sito, visitabile dai maggiori di diciotto anni per evidenti motivi. https://www.thenewtantra.com/

2. Qui mi sono ispirata a tutte quelle bellissime realtà sparse per il mondo che cadono sotto il nome di ecovillaggi. In Italia c’è tutto un ribollire di comunità che stanno cercando un nuovo rapporto con la natura. In Italia esiste una rete sotto cui si sono riunite (https://ecovillaggi.it/) ma, se volete il mio parere, quelli che preferisco sono i Piumani: non hanno (ancora) una loro struttura, ma in compenso hanno cuori enormi. Qui parlano di loro ;)  https://www.italiachecambia.org/2018/02/piumani-siamo-meglio-e/

 
3. Anche chiamati Misteri Eleusini: https://it.wikipedia.org/wiki/Misteri_eleusini

4. 
In questo caso mi sono ispirata moooooolto liberamente al Goddess Movement, alle Tende Rosse, a tutte le mille varianti dei cerchi di donne (non illudetevi, in genere sono molto meno divertenti e passano il tempo a cercare di benedirvi il grembo XD) 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Hogwarts - Agosto ***


L'angolo dell'autrice
 
Tornare a Hogwarts è sempre un’emozione!
Sta per iniziare una nuova avventura e non vedo l’ora di sapere la vostra:)
Abbiamo un po’ di carne al fuoco: ve la ricordate la profezia di Sybill? E come se la caverà questa volta Pamela con le sue lezioni, coi Malfoy, con Snape? 
 
Beh…non resta che leggere :D
 
 
Scendere dalla scopa e poggiando i piedi davanti al grande cancello in ferro battuto le diede una sensazione strana. Per i prossimi mesi quello sarebbe stato il confine della sua vita e dopo aver tanto girovagato il pensiero aveva qualcosa di claustrofobico e rincuorante allo stesso tempo. 
 
"Oh, Pamela cara, che bello vederti, e come sei abbronzata!" 
Come l'anno precedente, davanti al cancello la piccola folla di insegnanti aspettava. Nessuno arrivava mai senza un po' di anticipo all'appuntamento con Hogwarts e il clima era quello del primo giorno di scuola: ci si salutava, si scambiavano chiacchiere e si aspettava l'inizio di un nuovo anno. 
Pomona le stava venendo incontro gioviale come sempre, abbandonando le chiacchiere con Sybill Trelawney e il Professor Kettleburn che stava sventolando in aria il braccio di legno, raccontando qualcosa di molto avvincente davanti agli occhi sgranati della Professoressa di Divinazione.
 
"Grazie Pomona, anche tu hai un bel colorito" rispose la ragazza. In effetti la Professoressa di Erbologia aveva la pelle perennemente scurita dal sole o seccata dal freddo e dal vento. 
 
"Finalmente ti sei decisa a darmi del tu: brava ragazza! Sono sicura che avrai cose da raccontare su quest'estate" aggiunse facendole l'occhiolino.
 
Pamela si limitò a sorridere.
"Magari mentre sistemiamo le serre." 
Disse, mentre i cancelli si aprivano. 
"Siamo già tutti?" chiese stupita guardandosi intorno. Vedeva la McGonagall, Flitwick, Madame Pince, Madame Pomfrey, un tizio improbabilmente vestito di turchese che doveva essere il nuovo insegnate di Difesa Contro le Arti Oscure, ma né il Professor Snape né Charity sembravano lì con loro. 
 
"Se hanno aperto i cancelli è ora" rispose Pomona prendendola sottobraccio. "Andiamo, cara, o finiremo per arrivare dopo i nostri bagagli."
 
+++
 
Nella sala grande, preparata per la riunione di inizio anno di tutto lo staff, si respirava aria di casa. Dumbledore li accolse come sempre, con la severa compostezza di un vecchio padre, ma a Pamela non stupì più e lo trovò anzi rincuorante. Aveva l'impressione che quel variegato manipolo di individui riuscisse a lavorare in perfetta armonia solo grazie a quella presenza. Altrimenti sarebbe stato difficile immaginare Sybill, Minerva e Kettleburn sedere allo stesso tavolo se non per una barzelletta. Lei aveva preso posto accanto ad Hagrid sorridendogli e strofinandogli con affetto l'enorme schiena. 
 
"È bello rivederti" gli aveva detto prima che il Preside richiamasse il silenzio. 
Pamela si era ammutolita lanciando un'occhiata alla grande tavola. Dumbledore aveva iniziato il discorso e né Snape né la Burbage erano presenti. Iniziava a pensare che fosse successo qualcosa durante l'estate, qualcosa di cui non era a conoscenza. 
Poi all’improvviso si aprirono le grandi porte dell’ingresso ed entrambi fecero il loro ingresso, Snape in testa camminando a lunghe falcate veloci, i capelli arruffati pieni di legnetti e foglie. L’aspetto di Charity non era migliore, con l’aggiunta di un kneazle rosso a pelolungo tenuto in braccio a coprirle quasi tutto il corpicino.
 
“È colpa mia, Preside” si affrettò a dire costernata cercando di tenere il passo del Professore davanti a lei. “Il mio Merlino era scappato, non so come, dal suo trasportino… non riuscivo a trovarlo e Severus mi ha aiutato a ritrovarlo.” spiegò in fretta nel silenzio che si era creato.
 
La faccia di Merlino era tronfia come quella di chi, dopo aver fatto una terribile cattiveria si vede ricompensato da un lungo soggiorno sul seno della sua umana preferita. Quell’espressione fu il solo motivo per cui Pamela si sentì di credere a quella storia come almeno in parte vera. Avrebbe potuto scoprire facilmente se fosse tutta la storia, sarebbe bastato aprire la coscienza e fissare negli occhi Charity per un secondo: certe cose si nascondono solo se si è degli ottimi Occlumanti, e Charity non lo era. Ma Pamela non aveva nessuna voglia di sapere, preferiva cercare di concentrarsi su quello che stava dicendo il Preside presentando il tizio vestito di turchese. A quanto pare era un certo Gilderoy Lockhart, ed era convinto di essere molto famoso e altrettanto bello. A Pamela non risultava né l’una né l’altra cosa. Non riusciva a ricordare di aver mai visto la sua faccia prima d’ora o di averne mai sentito parlare, ma concentrarsi nel tentativo di ricordare, l’aiutava a non immaginare le mani di Charity e di Snape sotto al tavolo. Chissà se si toccavano. Le vennero in mente le mani di Max.
 
“Infine, come ogni anno, mi auguro di vedere tutti voi collaborare al meglio per garantire la migliore educazione ai nostri studenti. Come saprete, l’anno passato è stato… funesto  e ha reso evidente a tutti noi quanto il felice equilibrio che stiamo vivendo sia fragile” il Preside prese fiato facendo correre gli occhi su ognuno di loro e per i secondi in cui fissò lei, Pamela ebbe l’impressione di venir trapassata da parte a parte da quello sguardo. Non era propriamente una sensazione fastidiosa.
“Molto bene, aggiorneremo una riunione a dicembre e per ora, non mi resta che augurarvi buon riposo. A cena mi dicono che ci sarà pasticcio di verdure al forno.” Concluse con un sorriso soddisfatto e in un attimo la sala divenne un chiacchiericcio diffuso inframmezzato dal rumore di sedie che strisciano sul pavimento.
 
Pamela si alzò raccattando piuma e registro e cercando di tenere gli occhi più bassi possibile per non rischiare di guardare né Snape né Charity. 
 
“Che novità, questa della riunione a metà anno” 
Flitwick le si era avvicinato.
“Oh, beh, poco male eh… non mi dispiace certo avere un altro momento di confronto, anzi. Ad ogni modo è bello essere alle soglie di un nuovo anno, non è vero? Dopo tutti questi anni continua ad essere il mio momento preferito. Ho perfino voglia di pulire l’aula!”
 
“Se ha bisogno di una mano sa che può contare su di me.” rispose sollevata dal sorriso franco del Direttore della sua vecchia Casa. 
 
“Professoressa Radcliffe”
 
La voce di Snape le gelò il sangue per un momento e dovette fare uno sforzo per fermarsi a metà del corridoio, mettere insieme un sorriso e voltarsi verso di lui.
 
“Mi auguro non si sia già impegnata con gli altri docenti per aiutare nei preparativi. L’inventario non si farà da solo.”
 
Il Professor Snape riusciva a risultare urtante anche quando chiedeva un aiuto e Pamela fu tentata di girarsi e andarsene senza nemmeno rispondere. O forse gli avrebbe tirato uno schiaffo se fosse stato abbastanza vicino. Si riteneva offesa, ma non era certa del perché. Nell’estate gli aveva scritto due lettere, in tono molto professionale riguardo ad alcuni libri, con solo accenni lievi a quello che stava facendo. Lui aveva risposto con lettere cortesi, estremamente interessanti, assolutamente formali, gelide.
 
Severus si schiarì la gola. Il modo in cui la Radcliffe lo stava fissando lo metteva a disagio, aveva l’impressione di dover dire qualcosa, qualcosa come un potente controincantesimo per evitare di vedersi arrivare una Bombarda in faccia. Non gli veniva in mente nulla di adeguato.
 
“In realtà suppongo che la Professoressa Sprout si aspetti un aiuto con le serre, e di certo il Professor Flitwick vorrà che spolveri le parti alte della sua aula, ma non appena mi sarà possibile verrò a darle una mano con l’inventario. Finiremo in tempo.” 
 
“Bene, bene…” si schiarì di nuovo la gola “buon… buon proseguimento, allora.” Riprese a camminare passandole accanto e andando oltre. 
 
Pamela rimase ancora un momento ferma in corridoio lasciando passare anche Madame Pince, intenta a chiacchierare con la McGonagall, poi si decise a riprendere la propria strada. Aveva voglia di ritrovare la sua camera, disfare il baule e buttarsi sul letto a fare le coccole a Charm. Lui avrebbe saputo dire un paio di freddure che l’avrebbero tirata su di morale.
 

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Capitolo 4
*** Nelle Serre - Agosto ***


L’angolo dell’autrice
 
Sono ricominciati i grandi preparativi in attesa degli studenti! 
In questo periodo la scuola è frenetica e allo stesso tempo silenziosa. I professori lavorano di continuo, ma hanno anche il tempo di chiacchierare senza il pensiero delle lezioni e dei compiti da correggere. Come sempre Pamela darà una mano, e sempre di più diventerà parte di questa strana comunità.
Iniziamo con un bel giro nelle serre e la cara Pomona Sprout, ammetto che è la mia preferita. ;)
 
Come sempre aspetto i vostri commenti e considerazioni!
 

 

Pamela chiuse la lettera arrotolandola con cura e fermandola con un pezzetto di spago. Fuori dalla finestra era ancora notte e Sniff aspettava vigile sul trespolo. L’abitudine di svegliarsi prima dell’alba l’aveva presa in Germania e le era piaciuta: le dava il tempo di meditare e dedicarsi a se stessa aspettando di guardare sorgere il sole. 

 

“Non sarà un viaggio breve, Sniff. Se devi fare un paio di tappe non farti problemi che tanto non c’è nessuna fretta.”

 

E allora mandaci il gatto la prossima volta! 

Borbottò l’animale stizzoso prendendosi la pergamena nelle zampe.

È quasi mattino, io sono un animale notturno, notturno! Potevi spicciarti e darmelo ieri al tramonto, a quest’ora sarei stato già a metà strada.

 

“Ti preferivo quando non mi parlavi.”

Gli grattò appena la testina tra le orecchie prima che prendesse il volo nel cielo scuro. Le piaceva scrivere a Max e raccontargli cosa succedeva. Lo faceva ogni tanto e in genere lui rispondeva. Conservava le sue lettere tutte insieme, le leggeva sempre almeno un paio di volte prima di rispondere e poi le chiudeva con le altre in un cassetto della scrivania. Non è che si scrivessero niente di particolare, ma era bello lo stesso. Ogni tanto si mandavano delle poesie, altre volte lui le aveva spedito dei disegni delle capre o degli alberi. Max adorava quelle capre. Non erano lettere d’amore, non erano assolutamente lettere d’amore. O meglio, non è che lei non lo amasse, era solo molto molto chiaro che quello era un tipo d’amore che viveva benissimo per qualche giorno all’anno e non c’era da ricamarci tanto su. 

 

Andò in bagno a darsi una lavata e infilarsi dei vestiti da lavoro prima di scendere le vecchie scale in pietra fino alla Sala Grande. La colazione imbandita era di un lusso sontuoso a cui le peregrinazioni dell’estate l’avevano disabituata e questo la fece pensare. 

Si sedette accanto ad Hagrid che la metteva sempre di buon umore con le sue chiacchiere sull’orto e sulle prodezze di Zanna. Lei ricambiava raccontando delle gite notturne di Charm e dei suoi racconti sulle eroiche cacce ai topi che lo battevano sempre per un pelo. Parlare di queste cose era un buon modo di iniziare la giornata. Anche questo la fece pensare. 

 

Continuò a rimuginarci su fino a ritrovarsi davanti alle porte in vetro e ferro battuto della serra con Pomona. Era incredibile quanto in un paio di mesi la natura selvatica delle piante riuscisse a stendere una patina di caos su tutto: i ragni avevano tessuto febbrilmente ragnatele tenendosi ben lontani dalle carnivore, alcuni cactus sembravano essere caduti l’uno sull’altro nel tentativo di avvicinarsi per una chiacchiera pomeridiana, per motivi sconosciuti, sembrava che la Tentacula Velenosa avesse deciso di avvinghiarsi ai vasi di coccio più piccoli e di stritolarli, spargendo frammenti su tutto il pavimento e tenendosene per sé alcuni. 

 

Pomona sospirò rassegnata davanti a quel disastro prima di infilarsi gli spessi guanti da lavoro.

“E va bene” disse con l’aria di stare per fare una lunga ramanzina a tutti “mettiamoci al lavoro.” 

 

Per prima cosa raccolsero da terra i cocci sgombrando il pavimento, poi, mentre Pamela rimetteva al loro posto i cactus controllando che non avessero subito troppi danni, Pomona ridusse all’ordine la Tentacula borbottandole rimproveri.


“Eh, che ci vuoi fare? Le piante sono così: qualcuna è di buon carattere, ma altre! Altre dovrebbero prendere esempio all’aloe: lei se ne sta buona lì a sorvegliare l’ingresso, si lascia tagliare le foglie senza fare tante storie!” 

Disse una volta finito il lavoro tornando a rivolgersi verso Pamela, ma controllando bene che la Tentacula sentisse tutto. 

 

La ragazza si tirò su da terra con un finto sospiro rassegnato, poi si strofinò le mani sui jeans per pulirle dalla terra. 

“Senti, stavo pensando per quest’anno di far fare ai ragazzi dei lavori un po’... diversi.” disse, tirando fuori quello che le ronzava nella testa da un po’. “Vorrei parlarne col Preside, magari… non so, forse diventa un po’ un’esagerazione.”

 

“Dimmi tutto cara, su: sono secoli che lavoro in questa scuola e ne ho viste di cose cambiare!” la Professoressa di Erbologia  finì di legare con la rafia un ramo della Tentacula e poi si piazzò a sedere sulla sgangherata sedia di legno e paglia che costituiva il suo ufficio in un angolo della serra. 

 

“Stavo pensando di proporre ai ragazzi del corso alcuni compiti, se così si possono chiamare: dei periodi di dieta, per esempio, per disintossicare il corpo e sperimentare la fame. I digiuni erano parte fondamentale dei rituali estatici e secondo me ha senso, per arrivare a certi livelli di concentrazione.” 

Pamela cercava di evitare di assumere toni troppo entusiastici o enfatici per non sembrare un’invasata, ma l’impresa le riuscì a metà.

 

“Un po’ di dieta non ha mai fatto male a nessuno, ma ti consiglio di metterla giù più come… un invito, un suggerimento, tanto per evitare problemi coi genitori”

 

“Ecco, a proposito di questo… stavo pensando: se facessi firmare ai genitori dei ragazzi una liberatoria per portarli due giorni in campeggio, ma senza bacchette? Solo i ragazzi, e la magia che sanno trarre da quel che li circonda. Cosa ne pensi, sarebbe troppo?”

Domandò incerta. 

 

“Per Merlino, mi piace come ragioni!” Esclamò la strega dopo un momento, con l’aria di uno scaricatore di porto irlandese. “Era l’ora che arrivasse qualcuno con un po’ di sale in zucca qui dentro: tutti a passare le giornate nelle biblioteche in mezzo alla polvere e ai topi! La magia è qua fuori, è tra le cose che vivono e crescono, è in noi… oh, se sapessi le discussioni con Minerva! È testarda come un mulo quella donna, un mulo!” Borbottò a mezza voce le ultime parole. “Comunque, devi riuscire a convincere Dumbledore. Lui non è cattivo, è solo di un’altra generazione, dove le cose si facevano in quel modo lì sai… anzi per i suoi tempi è stato un rivoluzionario, sotto molti aspetti. Ma è ora che arrivino aria fresca e pensieri nuovi. Lo sai che in America quello che stai proponendo tu si fa normalmente da anni ormai? E anche in Danimarca e Olanda, sì. Siamo noi inglesi che restiamo tanto ancorati a vecchi modi di pensare.”

 

“Mi dicono che in altri posti sia peggio.” 

Pamela non poteva fare a meno di sorridere del fervore della Sprout. Sapeva che tra tutti gli insegnati lei era quella che le sarebbe stata più vicina, ma non pensava fosse capace di accalorarsi tanto su temi del genere. 

 

“Oh, sicuro, sicuro. In fondo in Italia il Vaticano fece abbattere tutti gli antichi alberi già nel ‘600, puoi immaginare! Eh, la magia ha avuto vita dura per troppi secoli e ora la scuola di Magia e Stregoneria di Pontericiali non è altro che una periferica periferia della cultura magica. Pensa che ancora vengono guardate con sospetto materie come Babbanologia e Cura delle Creature Magiche.” scosse la testa esasperata “Comunque… se vuoi davvero convincere Dumbledore ti conviene fare due cose: parlare con Minerva e convincere prima di tutto lei, poi prova con Flitwick. Se avessi l’assenso anche di Snape saremmo a cavallo, ma è inutile parlare dell’impossibile, ti pare?” 

 

“Magari Charity potrebbe convincerlo.” Pamela avrebbe dovuto risparmiarsi la battuta. Se lo disse da sola un istante dopo averla detta. 

 

“Stai diventando maliziosa… bene!” Pomona sembrava molto divertita “Ma non farti illusioni, avevo puntato tre galeoni qualche hanno fa con Minerva su di loro, e mi è toccato pagarli. Non che possa biasimare Charity, ha solo dimostrato di avere un po’ di gusto.” Aggiunse ridacchiando. “E, a proposito di questo, non c’è qualcosa dell’estate che dovresti raccontarmi?”

 

Pamela sorrise, un po’ perché quei modi di Pomona la facevano divertire, un po’ per una sorta di sollievo, un po’ perché in effetti le faceva piacere poter raccontare a qualcuno della sua bella estate.

 

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Capitolo 5
*** Giochi di carte - Agosto ***


L’angolo dell’autrice
 
Non abbiamo ancora iniziato l’anno scolastico e Pamela sta già tirando la corda. 
Non so se l'avete notato, ma la ragazza ha una certa intraprendenza. Le andrà bene anche questa volta? 
Intanto ci facciamo una bella partita di carte, che è sempre un piacere. 
 
Buona lettura!
 
 
Convincere Flitwick era stato molto più facile del previsto. Pur essendo votato ai suoi sacri libri, Filius era un mago dalla curiosità inesauribile, mosso dalla ricerca continua e dalla sete di conoscenza. Pamela aveva avuto tutto il tempo di raccontargli l’evolversi delle sue ricerche mentre spolveravano e tiravano a lucido l’aula. Non tralasciò molti dettagli, non era necessario perché il Professore capiva il valore conoscitivo delle esperienze e una volta compreso questo, proporgli l’idea di una notte di campeggio non fu nulla di eccessivo. Anzi, si propose di accompagnare con lei i ragazzi.
 
“Devo ammettere che sulla teoria di Clark non sarei riuscito a seguirti” aveva detto alzando le mani in segno di resa, con lo straccetto impolverato con cui stava passando una enorme pila di libri a fare da bandiera bianca “però questo, questo credo di poterci arrivare anche io. Sarà divertente! Una notte in campeggio senza bacchetta, chissà cosa potrebbe venirne fuori.”
 
A Pamela l’idea che si aggregasse non era dispiaciuta affatto, anzi si era sentita sollevata dalla responsabilità di ritrovarsi da sola con un branco di adolescenti nel bosco. E poi così il passo successivo sarebbe sembrato molto più ovvio.
 
“Dobbiamo parlarne al Preside, serviranno le autorizzazioni dei genitori per una cosa simile.”
 
“Immagino di sì, anche se andranno raccolte ad anno già iniziato: non sappiamo neppure chi parteciperà al corso.” 
 
E improvvisamente Pamela non era stata più da sola nemmeno davanti al Preside e tutto aveva iniziato a sembrare molto più fattibile. Due direttori di due Case erano già dalla sua parte e questo avrebbe avuto il suo peso.
 
Ora che si ritrovava con le carte in mano, seduta al tavolo di Minerva McGonagall insieme a 
Pomona, la Professoressa Trelawney e Charity, aveva tre partite da doversi giocare.
 
“Quindi io ora posso aprire anche se non ho quaranta punti in mano” ripetè incerta la Professoressa McGonagall sistemando le carte nella mano. “E gli altri possono usare i miei giochi per farne di loro, ma tutte le carte devono avere una collocazione.”
 
“Esatto” confermò Charity iniziando a pescare una carta “è un gioco un po’ più complesso, all’inizio, ma molto divertente, vedrete.”
 
Pamela sorrise alla strega calando tre carte in scala. 
“Dovresti insegnare questi giochi ai ragazzi, gli farebbe bene alla mente.”
 
“Bastano e avanzano gli scacchi per tenerli lontani dallo studio.” 
 
“Ormai nessuno gioca a scacchi, Minerva” ribattè divertita la Sprout “a parte le vecchie cariatidi come noi. I ragazzi giocano a Gobbiglie, oggi.”
Sybill Trelawney tossicchiò appena prendendo una carta.
“Io da ragazza giocavo a campana. Mi piaceva saltare e c’era quella canzoncina… non me la ricordo ora…”
 
“Una volta si studiava molto di più a Hogwarts, non è vero? Ho sentito dire che si leggeva direttamente ‘Le Sette Leggi della Trasfigurazione’ di Bartholomeo Barotti, in lingua originale e per intero. Che esisteva un corso chiamato Lingue Arcane e di Potere in cui si imparavano non solo Rune Antiche, ma tutte le lingue di potere e la loro trasformazione nei secoli. Doveva essere uno studio molto duro.” 
L’entusiasmo di Pamela all’idea era genuino: c’erano un sacco di cose che avrebbe voluto studiare di più, meglio o per più tempo, anche se con la condizione di legilimens ancora incontrollata, negli anni della scuola sarebbe stato uno sforzo notevole.
 
"Un tempo c'era di certo un approccio più teorico" confermò la vecchia strega "ma è vero che molte materie mancavano del tutto."
 
“Oh sì! Non si studiava di certo Babbanologia ai nostri tempi” confermò Pomona “e non esistevano le serre, allora. Erbologia la studiavamo su grandi manuali illustrati a disegni, te lo ricordi Minerva? Potevi prendere i migliori voti negli O.W.L. senza aver mai messo un dito nella terra.” 
 
“Stavo pensando di chiedere al Preside il permesso per organizzare due giorni in campeggio con i ragazzi del mio corso, per farli stare a contatto col bosco e con la terra. Il Professor Flitwick vorrebbe venire: noi, i ragazzi e niente bacchette. Solo per stare un po’ nel bosco. È un’idea strana?” 
 
Davanti a Pamela si erano moltiplicate le carte, adesso c’era una piccola scala da quattro e un tris di sette. Anche davanti a Pomona era comparsa una piccola scala mentre Charity aveva già calato due tris. 
 
La professoressa MgGonagall alzò gli occhi dalle carte: “Un’idea strana a sufficienza” disse con un sospiro prima di iniziare a spostare le carte sul tavolo, aggiungendo e ricostruendo un pezzo per volta tutti i giochi fino a rimanere a mani vuote. “Meglio se andiamo a parlare insieme con il Preside, avrai bisogno di tutto l’appoggio possibile se non vuoi rischiare qualche altra trovata del Consiglio.” Disse osservando il tavolo soddisfatta. “Credo di aver vinto, non è vero?”
 
“Perché non sono stupita?” Pomona scoppiò a ridere lasciando le proprie carte sul tavolo. 
 
“Ma Sybill, avevi una chiusura in mano!” Charity rubò le carte della Professoressa di Divinazione osservandole stupite. “Non dovevi nemmeno fare niente, solo calare le carte!”
 
“Davvero? Oh… oh, no-non mi ero accorta.” Sybill sorrise con aria colpevole. 
 
Fecero un secondo giro di carte e vinse di nuovo la professoressa McGonagall. Sembrava avere una capacità inverosimile di pianificare gli spostamenti delle carte mentre Pamela, l’unica volta che si azzardò a tentare un movimento un po’ più complesso dovette fare almeno tre prove prima di riuscire a mettere al loro posto tutte le carte.
 
“E con questo sarà meglio andare a dormire. Domani la sveglia suona presto, i sacchi di concime non si metteranno a posto da soli.” la Professoressa Sprout si alzò con una certa pesantezza dalla sedia. 
 
“Sì, sarà meglio. Irma mi ha chiesto di consegnarle la lista dei libri da ordinare per quest’anno domani a pranzo e non ho ancora raccolto i titoli di Binns e di Lockhart.” confermò Minerva alzandosi a sua volta.
 
“Perché, sa leggere?” chiese Pomona fingendo stupore. 
 
Pamela uscì con le altre, ma facendo attenzione a finire vicina a Charity mentre si allontanavano per il corridoio. 
“Posso parlarti un momento?” chiese con discrezione.
 
“Sì, sì, certo.” Charity annuì, negli occhi una certa preoccupazione e forse una punta di curiosità.
 
Salutarono Sybill e Pomona e si fermarono in corridoio prima che le loro strade si dividessero.
 
“Volevo… volevo parlarti di una cosa.” Iniziò Pamela schiarendosi appena la voce. Non le capitava spesso di essere agitata o in imbarazzo con le persone, ma quella era una faccenda delicata. “Noi siamo amiche, vero? Abbastanza amiche…”
 
“Sì, ma certo, Pamela. Parla pure, non ti preoccupare.”
Charity sapeva essere molto dolce, molto materna.
 
“Bene, allora da amica: io credo che dovresti… dovresti prendere l’iniziativa con Snape. Non lo farà mai lui, mai.”
 
Seguì un lungo momento di silenzio. Rimasero a guardarsi, poi Charity scoppiò a ridere. Pamela non l’aveva mai sentita ridere prima e le fece uno strano effetto.
 
“Oh per Merlino, lo spero bene! Lo spero bene! Sarebbe, imbarazzante, molto imbarazzante!” Diceva tra le risate piegate in due con le lacrime agli occhi.
“Non sono… non c’è quel tipo di… interesse. Non c’è per nulla. C’è qualcuno nella mia vita, qualcun altro, e Severus lo sa per altro. È tra i pochi a saperlo, non ne parlo molto perché... “ Charity ora era seria e la guardava come se cercasse di decidersi a parlare. “Vedi, si tratta di una donna.” 
 
Pamela restò un momento a guardarla, poi iniziò ad arrossire.
“Oh.” disse. 
Poi scoppiò a ridere a sua volta.  
“Oh per tutti… Charity, scusami, scusami moltissimo! Non ho davvero capito nulla… comunque, comunque sono felice per te. Davvero, molto felice per te.” 
E in effetti Pamela era davvero molto felice.
 

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Capitolo 6
*** Imboscata - Agosto ***


L'angolo dell’autrice
 
Vi mancava Severus Snape? 
A me un po’ sì, devo ammetterlo. 
 
In questo capitolo torna il suo punto di vista e vedremo che succede ;) Si è un po’ abituato all’idea di avere il figlio di James per i piedi, e ormai si è anche abituato alla Radcliffe, ma non è che ora la sua vita sia tutta rosa e fiori.
 
Buona lettura e buon divertimento!
 
Era stata un’altra estenuante giornata trascorsa arrampicato sulla scala a pioli, la penna e il quaderno a svolazzargli accanto mentre frugava tra i barattoli. Quella era la sua unica occupazione da quando era rientrato ad Hogwarts. Dalla mattina alla sera. Quando finiva, appena in tempo per la cena, non era più in grado nemmeno di dire il proprio nome tanto era stanco e intontito dall’aria stagnante e umida dei sotterranei e dalle ore ripetitive e lente. Quelli erano i giorni dell’anno che preferiva. Per tutto quel tempo non pensava a niente, poi mangiava, si faceva una lunga doccia e andava a dormire stanco, con l’appagante sensazione di aver fatto il proprio lavoro fino al limite delle proprie possibilità. 
Quella sera Dumbledore aveva deciso di obbligarlo a posticipare il sonno per convocarlo nel suo ufficio e parlare di qualche cosa, era stato vago al riguardo e questo era un brutto segno. Quando aveva aperto la porta e si era trovato davanti tutti i Direttori delle Case e la Radcliffe, aveva capito di essere stato preso in un’imboscata.
 
“Oh, Severus, bene… molto bene. Accomodati pure.” 
Dumbledore gli indicava con un gesto gentile dall’alto della sua scrivania una poltrona lasciata vuota.
“Ora che ci siamo tutti: Pamela, saresti così cortese da presentare la tua idea?”
 
Severus non si era seduto affatto, restando appena in disparte rispetto agli altri seduti sulle poltrone sistemate a ferro di cavallo davanti ai gradini dell’ufficio. La Radcliffe si alzò, poteva vederla di profilo e l’agitazione dipinta nel modo rigido in cui teneva le mani davanti al grembo: quella ragazza era un libro aperto, non sarebbe stata in grado di nascondere il più lieve moto dell’anima. 
 
“Sì, Preside.” la ragazza si schiarì la gola. “Vorrei chiedere il permesso ai genitori per portare gli studenti a passare una notte in campeggio con il Professor Flitwcik, senza l’uso di bacchette. Vorrei dare agli studenti la possibilità di sperimentare un contatto differente con l’ambiente naturale e con le sue forze.” gli lanciò un’occhiata di sottecchi. Lo sapeva anche lei che era un’imboscata.
 
“Non vedo che problema possa esserci se i genitori sono d’accordo e lasciano un consenso scritto” Minerva si strinse nelle spalle. 
Avevano convinto anche lei, ovviamente. Quel codardo di Flitwick non avrebbe rischiato di esporsi senza avere la certezza di portare a casa il risultato e lei sarebbe potuta essere un problema.
 
La Sprout si sedette più in punta alla sedia, stava per iniziare a dire qualcosa ma Severus non aveva voglia di perdere tempo per nulla.
“Sono d’accordo.” la interruppe prima che potesse iniziare. “Non vedo che male possa fare.”
 
La Professoressa si voltò a guardarlo sorpresa con gli occhietti chiari spalancati sopra le guance piene scurite dal sole.
“Oh, bene. Bene. Perché anche io sono d’accordo. Sì, è una buona idea, sono d’accordo.” 
Confermò presa in contropiede.
 
“Molto bene.” Dumbledore si alzò dalla scrivania soddisfatto. Aveva l’aria di non essersi aspettato mai nulla di meno, e forse era così. Con lui non si poteva mai sapere.
“In questo caso basterà preparare poche lettere da dettare agli studenti a inizio corso così che possano farle arrivare ai genitori e poi presentarle a me o a Minerva.” 
 
Si alzarono tutti, ringraziarono, salutarono. La Radcliffe sorrideva e si attardava a parlare con Dumbledore di qualcosa, di maglia a quanto poteva capirne Severus. Il Preside la stava ringraziando per avergli regalato dei ferri da maglia particolari e chiedeva delucidazioni su come usarli. Vecchio pazzo. A chi stavano affidando le loro vite? A volte aveva l’impressione che la sua intera vita fosse stata un’imboscata, una sequenza inevitabile di avvenimenti a cui non aveva potuto che reagire come aveva reagito, senza mai scegliere davvero nulla, lasciandosi solo portare da una corrente invisibile. Odiava quei pensieri. Eppure anche ora, che scelta aveva? Continuare ad affidarsi a Dumbledore, con i suoi silenzi, con le sue parole a metà e gli sproloqui inutili era l’unica cosa da fare. Non c’era scelta, ancora una volta. Forse era meglio così: l’unica decisione presa nella sua vita era stata un errore irrimediabile. 
 
Scivolò in silenzio fuori dall’ufficio, senza salutare nessuno, senza che nessuno se ne accorgesse. Hogwarts prima dell’inizio dell’anno rimbombava di silenzio e i bui corridoi erano disturbati solo dall’aleggiare dei fantasmi che tremolavano nella penombra delle candele. In lontananza poteva sentire Peeves cantare sguaiatamente qualcosa di incomprensibile, ma a lui non si sarebbe avvicinato. I fantasmi avevano un sesto senso sulle persone che volevano essere lasciate in pace. A differenza di certi vivi.
Passi affrettati in lontananza gli dicevano che qualcuno stava cercando di raggiungerlo. Avrebbe potuto accelerare il passo, prendere un corridoio sulla sinistra e aspettare che passasse oltre. Invece si fermò.
 
“Professore!”
La Radcliffe doveva aver corso per raggiungerlo perché aveva il fiatone e il volto congestionato.
“Volevo ringraziarla” disse avvicinandosi e riprendendo fiato. “Non pensavo… non pensavo sarebbe stato d’accordo.”
 
“Se il professor Flitwick e lei avete piacere a sprecare il vostro tempo in attività futili, non vedo che cosa dovrebbe importarmi. Dal momento in cui i genitori saranno informati, sarà problema loro se riterranno educativo far perdere una notte di sonno ai loro figli.” rispose irritato. “E la prossima volta potrebbe chiedere la mia opinione prima di orchestrare un agguato nell’Ufficio del Preside.” 
Rispose gelido. 
 
“Non volevo…” Pamela si interruppe. Pensandoci con più attenzione, Snape aveva ragione: era stato un agguato, in un certo senso. “Mi scusi.” si corresse “La prossima volta gliene parlerò prima. Posso farmi perdonare? Oggi è plenilunio, pensavo di andare a guardare la luna sul lago, mi farebbe piacere avere compagnia.”
 
Severus aveva la stessa espressione che avrebbe avuto un cane selvatico davanti a un umano che tendeva un pezzo di apparentemente innocua carne. 
“Sono felice che il suo soggiorno ad Hogwarts sia abbastanza confortevole da permetterle di passare le notti a bighellonare per i boschi, ma, a differenza sua, ho del lavoro da portare a termine e poco tempo per farlo.”
 
Pamela sorrise.
“Ma certo.” rispose riprendendo la sua strada. “Buonanotte, Professore.” 
Lo salutò senza voltarsi, allontanandosi nel corridoio.
 

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Capitolo 7
*** Nel buio - Agosto ***


L’angolo dell’autrice
 

Ed ecco il più lungo capitolo mai scritto!

È stata la mia adorata lettrice beta a farmelo notare (con sua grande soddisfazione). Forse lo avrete notato, sto provando a essere un po’ meno stringata, ma voi cosa ne pensate?

Come trovate il ritmo della storia?

 

Fatemelo sapere e intanto godetevi il capitolo. 

P.S. se poi volete commentare altro (e secondo me vorrete commentare ben altro) non me la prendo ;)
 


Come promesso, una volta finito di aiutare Flitwick a tirare a lucido l’intera aula, Pamela era scesa nei sotterranei. Per giorni si era dedicata a quel lavoro ripetitivo ed alienante, restando sepolta nella stanza umida e senza vedere la luce del sole, se non appena sveglia. Fuori l’estate stava finendo, le giornate si facevano a tratti piovose, ma ancora c’erano lunghi pomeriggi di sole e si sarebbe potuti stare sdraiati nei prati coi fiori, le farfalle, un buon libro o le nuvole da guardare. Invece no. Per ore e ore aveva scritto etichette e le applicava con diligenza ai barattoli. 

Snape non aveva fatto nulla per renderle meno gravoso il compito e aveva passato il tempo elencando alla piuma nomi e quantità con quel tono monotono che avrebbe fatto impazzire chiunque. Però, almeno, la salutava. Rispetto all’anno prima era stato un grande passo avanti.  

Quello sarebbe stato l’ultimo giorno, avevano rischiato di finire il giorno prima, Pamela ci aveva creduto, ma per l’ora di cena mancavano ancora tre file di barattoli pieni di polvere di branchie rugose da etichettare, così quella mattina era tornata e aveva ripreso il suo posto. Quando aveva fatto volare l’ultima etichetta sull’ultimo barattolo, aveva lanciato uno sguardo alla tunica scura di Snape. Continuava a elencare ingredienti, ma qualcosa era cambiato nel tono della voce ed era rimasto fermo sugli stessi scaffali per troppo tempo. Pamela aveva sorriso tra sé senza dire nulla. Aveva annunciato la fine del proprio lavoro, aveva salutato e aveva lasciato che l’altro gli lanciasse un saluto forzatamente distratto. 

Questo succedeva prima di pranzo. 

Ora erano le sei di pomeriggio e Pamela aveva fatto una tappa nelle cucine prima di irrompere nell’aula di pozioni senza curarsi di bussare. Vuota. Richiuse la porta con discrezione e puntò dritta all’ufficio di Snape. Lì non poteva evitare di bussare.

 

Finire in anticipo l’inventario era un problema per Severus, significava non avere più un motivo valido per starsene rintanato nei suoi sotterranei. Nessuno doveva sapere che aveva finito in anticipo, così avrebbe potuto godersi i giorni che restavano chiuso in ufficio a leggere senza il rischio di venire disturbato. Ma dopo ore con il naso calato nelle pagine si era dimenticato di tutto, anche di quanto ci tenesse ad evitare il mondo intorno. Quando sentì bussare rispose in modo automatico aprendo la porta con un gesto distratto della mano. 

 

“Buonasera”

 

Con un gesto improvviso, il professore chiuse il quaderno facendolo cadere nel cassetto della scrivania, risvegliato di colpo alla realtà del mondo. 

 

“Cosa vuole?” chiese in tono brusco, cercando di nascondere la manica impigliata nel cassetto. 

 

“Volevo chiederle una cortesia: mi chiedevo se, nonostante i suoi gravosi impegni, potesse trovare qualche ora per me questa sera.” 

 

La Radcliffe era rimasta sulla soglia con il cesto di vimini in mano e lo fissava con un sorriso che mal celava un certo divertimento. Forse aveva riconosciuto il quaderno. Avrebbe voluto cacciarla, ma se l’avesse fatto si sarebbe reso ancor più ridicolo, e non vedeva nessun modo per sbarazzarsi di lei. Come poteva sostenere di avere da fare dopo essere stato trovato a leggere uno stupido quaderno nel pieno del pomeriggio?

 

“E a quale scopo?” 

 

“Immagino conosca le proprietà della Mirabilis Indurantia e le particolarità della sua fioritura.”

 

“Se ha intenzione di parlare di Erbologia le consiglio di cercare la Professoressa Sprout” rispose aggrottando appena la fronte.

 

“La Mirabilis Indurantia fiorisce per una notte all’anno: la notte del novilunio d’agosto, questa notte. Come sa, se si raccolgono i petali appena caduti e li si immerge subito in olio di lino si ottiene un oleolite dai molteplici usi. Io pensavo di miscelarlo con olio essenziale di arancio e fare degli impacchi ai capelli, in particolare. Lei può conservarlo e usarlo per la Pozione Luminosa, per esempio.”

 

Severus non ricordava minimamente cosa fosse la Mirabilis Indurantia, ma aveva un’idea della Pozione Luminosa: una ricetta di cui non aveva compreso l’utilità pratica, ma una ricetta interessante in ogni caso: non troppo complessa, ma abbastanza delicata. Avrebbe potuto inserirla nel programma come piccola variazione. 

 

“Le farò sapere a cena.” rispose dopo un attimo, rendendosi conto da solo di quanto suonasse ridicolo. 

 

“Veramente ho fatto preparare una cena al sacco” ribattè Pamela alzando il cestino di vimini. “La camminata non è breve, e non vorrei costringerla a fare tardi.”

 

Snape fissò il cestino con un sospiro estenuato. 

“Mi aspetti all’ingresso, allora. E adesso se ne vada dal mio ufficio.” sbottò sperando di liberarsene in fretta.

 

Pamela non chiese perché non potessero andare subito, per evitargli l’umiliazione di alzarsi e strappare la tunica o trascinarsi dietro la scrivania. Si limitò ad annuire e uscire, chiudendosi la porta alle spalle prima di ridere tra sé e saltellare fino alla Sala Grande. 

 

+++

 

La foresta di notte, nel buio del cielo senza luna, metteva i brividi, ma il cielo si illuminava di una miriade di stelle, senza luci artificiali ad offuscarle e senza i raggi della luna a proteggerle. Un passo dopo l’altro, alla luce tenue delle bacchette, bassa per non infastidire le creature che popolavano il bosco, erano arrivati alla radura dove la Mirabilis Induractia prosperava. Di giorno la pianta sembrava un’erbaccia come tante, senza nessuna particolare qualità, anzi piuttosto sgraziata, ma di notte, in quella notte, i suoi fiori si aprivano nel buio rilucendo di un chiarore latteo che richiamava le Lampirydae Blu a nidificare tra le sue foglie. L’intera radura risplendeva di una bellezza surreale: i fiori come campanule fluorescenti, le lucciole dal colore azzurrognolo a volteggiare intorno e le stelle nel cielo nero. Poi i petali avevano preso a cadere, uno ad uno. Avevano iniziato a raccoglierli e a sistemarli uno per uno nei barattoli di vetro, in silenzio. Non c’era niente da dire davanti a uno spettacolo del genere. Si muovevano con un senso innaturale di sospensione, Severus si chinava, prendeva il delicato petalo con le pinze d’ottone, e lo lasciava cadere nel barattolo che Pamela gli porgeva. Non aveva idea di quanti ne avesse raccolti quando aveva deciso che era abbastanza. Se fosse stato quel genere di persona, avrebbe detto che era stata la Foresta a dirgli che così poteva bastare. Ma non era quel genere di persona, per cui non aveva detto nulla, ma si era alzato ed era tornato indietro da dove erano venuti. Ormai il prato brillava e le lucciole si diradavano, non era più la loro ora. 

Si erano incamminati in silenzio lungo il sentiero ridando luce alle bacchette. Solo dopo qualche minuto che già camminavano, Severus si era fermato ricordandosi dell’olio. Aveva preso dal cestino di Pamela la bottiglia di olio di lino e si erano messi a riempire i barattoli ricoprendo con cura i petali. Quel cestino era arrivato con dentro tre barattoli vuoti, una bottiglia di olio e quattro sandwich con uova e insalata, ora tornava coi barattoli pieni e una bottiglia svuotata. Per qualche motivo, anche lui si sentiva come quel cestino: qualcosa gli era cambiato dentro, ma non avrebbe saputo dire cosa. A pensarci con attenzione, e ci aveva pensato per tutta la strada di ritorno, non era successo nulla: non avevano parlato che di libri, e in ogni caso avevano parlato poco. 

Quando avevano ripreso a camminare si era schiarito la gola. Aveva sentito il bisogno di dire qualcosa ma non gli era venuto in mente nulla.

 

“Non è stato terribile, no?”

 

Pamela aveva parlato per prima e lui le era stato grato di questo. Per la prima volta era stato grato di sentirla parlare.

 

“Accettabile, una volta l’anno.” aveva risposto. Poi c’era stato un altro lungo momento di silenzio. “Così… così è stata in Germania.”

 

“Sì, quest’estate. Ci è mai stato?”

 

“No. Non ho mai lasciato l’Inghilterra.”

 

“E come mai?”

 

“Non ho mai avuto motivo per farlo. O il tempo. I miei genitori non avrebbero avuto i soldi per andare in vacanza, e se li avessero avuti non li avrebbero sprecati per quello. E poi ho sempre avuto troppo da fare d’estate. Durante l’anno non avrei avuto il tempo per completare la mia istruzione, l’insegnamento prende troppo tempo.” 

Severus chiuse la bocca di colpo. Non aveva mai parlato tanto in vita sua e per un momento si era chiesto se Pamela avesse messo qualcosa nel cibo, ma poi si era ricordato del potere della legilimens e si era reso conto che prima avrebbe cercato di forzargli la mente con quello, se fosse stata curiosa. 

 

“Ai miei genitori piacevano le vacanze. Andavamo in campagna dagli zii ogni estate. Poi con gli zii abbiamo visto una città europea all’anno d’estate. A loro piaceva l’idea di darci una cultura, era divertente. Ma viaggiare da sola è molto più bello.”

 

Severus aveva chiuso gli occhi per un minuto, mordendosi le labbra nel buio, senza dire una parola. Poi aveva ceduto.

“I tuoi genitori…” aveva detto a mezza voce “erano delle brave persone. Non si meritavano quella fine.”

 

“Non credo sia un fatto di meritarsi qualcosa.” Aveva risposto Pamela dopo un momento. “I miei genitori hanno fatto una scelta e conoscevano le possibili conseguenze, ma hanno pensato che ne valesse la pena. Spero che avrò la loro stessa convinzione.”

 

Non avevano più parlato. 

 

Ora erano di nuovo dentro la scuola, alla luce delle candele nei corridoi, e si dividevano i barattoli.

 

“Ne prenda due, a me uno basta e vanza.” disse Pamela alzando il cesto per porgegli la presa. 

 

Severus obbedì in silenzio ritrovandosi con le mani piene, a reggere i barattoli come fossero stati due bambini. 

“Allora… buonanotte.” disse, sentendo quella battuta come un finale sbagliato e senza riuscire a schiodare i piedi da lì. 

 

Pamela era scoppiata a ridere facendogli sgranare gli occhi. Quella risata non la capiva, ed era lunga, durò un po’ tanto da fargli temere che qualcuno la sentisse e si svegliasse.

Poi la ragazza si riprese scuotendo la testa. 

 

“Mi scusi, mi scusi…” disse alzando una mano in una sorta di resa, ma poi aveva alzato gli occhi, lo aveva fissato in un modo strano, e gli aveva preso il viso nella mano e lo aveva baciato.

 

Severus si era pietrificato. 

Pietrificato. 

Incapace di muovere un muscolo. 

Avrebbe voluto fare qualcosa, qualsiasi cosa, avrebbe voluto mettersi a urlare, cacciarla… qualsiasi cosa. E invece era rimasto di pietra. 

 

“Buonanotte.” Gli aveva detto lei quando gli si era tolta di dosso, gli aveva dato una pacca sulla spalla e se n’era andata. 

 

E lui ancora non riusciva a muoversi.

Ci erano voluti una decina di minuti prima che il corpo tornasse a rispondergli. Lo ritrovò con un battito cardiaco accelerato, le gambe esauste e un gran bisogno di dormire. Decise di rimandare qualsiasi riflessione al giorno seguente, ma di certo sapeva che sarebbe andato da Dumbledore. Quella situazione era colpa sua, tutta colpa sua e ora doveva fare qualcosa, nemmeno lui avrebbe potuto ignorarne la gravità, nemmeno lui. 

 

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Capitolo 8
*** Atterraggio sbagliato - Settembre ***


L’angolo dell’autrice
 

E finalmente l’anno ha inizio! 

Già sappiamo che il banchetto sarà un po’... movimentato dall’arrivo di Harry e Ron, ma intanto come avrà preso Severus l’intraprendenza di Pamela?

 

Da qui in avanti iniziamo a consigliare la lettura solo a un pubblico adulto ;) sappiatelo… 

 

Godetevi la lettura e un grazie speciale alla beta migliore del mondo: prima della sua revisione questo capitolo aveva tutta un’altra forma!

 
 

Severus camminava nel buio, il vento freddo della sera in viso era una sensazione piacevole. Nell’aria c’era il profumo delle notti di fine estate, identico a quello di qualche giorno prima. La foresta era un profilo nero nel buio della notte. Snape non aveva voglia di pensarci, forse era stato un errore voler uscire. Stava per tornare sui proprio passi quando aveva sentito in lontananza il rumore dell’impatto. Arrivò correndo appena in tempo per vedere il Platano agitare ancora i grossi rami nell’aria e la macchina allontanarsi cigolando nella foresta. La vettura era distrutta, il tettuccio sfondato. Per un attimo credette che dentro ci fossero i cadaveri dei ragazzi e gli si gelò il sangue nelle vene. Poi si accorse delle due figure che si allontanavano verso l’entrata e gli salì il desiderio di prenderli entrambi per le orecchie. 

 

“Forse se n’è andato perché ancora una volta non è stato nominato insegnante di Difesa contro le Arti Oscure” la voce stridula di Potter era piena di speranza, Severus l’avrebbe riconosciuta a chilometri nonostante i rumori che arrivavano da dentro le mura, oltre i grandi finestroni illuminati.

 

“O magari è stato licenziato. Voglio dire, tutti lo detestano...”

 

Si era avvicinato in silenzio alla schiena dei due ragazzini, sporti a sbirciare oltre i vetri.

 

“O forse sta aspettando di sapere perché voi due non siete arrivati con il treno della scuola”

 

Quello, quello era il momento per il quale aveva atteso, vagando per ore nel buio. 

Aveva passato l’intero banchetto vagando per il parco e aspettando di vederli comparire per potersi godere esattamente quell’espressione sul volto di Potter e del suo patetico amichetto. Bisogna dire che Snape non aveva avuto una buona giornata, nemmeno per la media delle sue giornate. Non aveva più avuto una buona giornata dalla notte del novilunio, quando non era riuscito a chiudere occhio prima di aver finito di rileggere Le Belle Storie di Lora il Bardo quasi per intero. Il vero problema era iniziato la mattina. Si era svegliato con il libro aperto sul petto alla solita ora, non per abitudine o altro, ma perché la parte più trascurata del suo corpo aveva deciso di reclamare attenzioni a gran voce. Con uno sbuffo infastidito si era tirato su dal letto. Una cosa simile non gli succedeva da quando aveva sedici anni, da quando… beh, c’erano cose che non aveva voglia di ricordare. Si era fatto una doccia fredda e questo, per un po’, era bastato. Ma da quel momento in avanti era andata sempre peggio: la mattina appena sveglio, la notte prima di dormire, e poi i pasti, con la Radcliffe seduta lì a sbirciarlo con quella lascivia negli occhi, lo faceva sentire nudo e aveva il terrore che potesse succedere proprio lì, seduto al tavolo in mezzo a tutti. Sarebbe morto di vergogna. 

Quella mattina poi, era stato terribile: la doccia non era servita a niente, niente. Non sapendo come venirne fuori si era risolto a provare a toccarsi, ma appena l’eccitazione era salita, lo aveva preso allo stomaco quel senso di nausea capace di piegargli le gambe. Forse per un moto di rabbia verso se stesso, non aveva smesso fino a ritrovarsi carponi con le viscere in rivolta, e il calore delle lacrime a mischiarsi all’acqua della doccia sul viso. Aveva urlato e tirato un pugno alle piastrelle, con il solo risultato di farsi del male alle nocche. Però almeno gli era passata l’erezione. 

Quando si era ripreso si era azzardato a camminare per i corridoi col rischio di incrociare la Radcliffe a ogni angolo per raggiungere l’aula. Doveva trovare una soluzione prima che iniziasse l’anno ed esistevano dei modi, ovviamente. Le streghe avevano inventato pozioni per ammaliare, ma ne avevano inventate molte di più per placare gli appetiti degli uomini, fin dai tempi antichi. Non erano cose di cui abusare e avevano alcune controindicazioni spiacevoli: il mal di testa costante era quella che odiava di più. Stava aspettando che la pozione finisse di ribollire nel calderone quando aveva letto l'edizione serale del Daily Prophet. Una macchina volante avvistata da babbani, la notizia di apertura in prima pagina. Una macchina volante. Chi avrebbe mai potuto fare una cosa così stupida come incantare un grosso e pesante manufatto babbano e poi farlo volare sopra Londra? Arthur Weasley. Fu il primo nome che gli venne in mente. Lucius gli parlava spesso dell'amore che nutriva per le cianfrusaglie babbane e dopo aver insegnato a tutta la prole dei Weasley avrebbe riconosciuto ovunque la traccia della loro genetica stupidità. In quel momento, se avesse dovuto scommettere, avrebbe puntato sui gemelli e una loro bravata. Aveva richiuso il giornale e messo a freddare l'intruglio maleodorante in cima al più alto scaffale del suo ufficio e non ci aveva più pensato. 

Solo quando aveva sentito Hagrid avvisare Dumbledore, subito prima della cena, dell'assenza di Potter e del più piccolo dei Weasley all'arrivo del Hogwarts Express, che aveva collegato le due cose. 

 

"Con il suo permesso, Preside, preferirei perlustrare il parco e verificare se Potter e Weasley non stiano cercando di raggiungere la scuola altrimenti." 

Si era intromesso, cogliendo al balzo l'opportunità per evitare di passare un'altra cena cercando di evitare Pamela. 

 

"Dovremmo cercarli, dico." Aveva confermato Hagrid preoccupato. "Dev'essere successo qualcosa, qualcosa di brutto per impedire a Harry di arrivare! Potrebbero essere in pericolo…"

 

"D'accordo, d'accordo." Aveva annuito Albus cercando di calmare il mezzogigante. "Severus, per favore, occupati di capire cosa sia successo. Faccio affidamento su di te. Rubeus, sii gentile, calmati e andiamo al banchetto." 

 

"Ma Preside…" aveva cercato di protestare il guardiacaccia, ma Dumbledore non aveva sentito ragioni. 

 

Così Severus si era evitato il fastidioso ed euforico caos del banchetto, con tutti i ragazzini vocianti ed euforici, l'insopportabile e retorico discorso di rito del Preside, la faccia compiaciuta di quel borioso incompetente di Lockhart e il rischio della Radcliffe, in favore di una passeggiata notturna all'aria fresca e la soddisfazione di trascinare quei due sciocchi bambini arroganti nei sotterranei e fargli una ramanzina coi fiocchi. Così imparavano a sentirsi speciali e a fare i gradassi, mettendo a rischio tutti per la loro narcisistica soddisfazione. Potter era tutto suo padre: tutti lo amavano, tutti lo idolatravano, solo lui si rendeva conto di quanto egoistico autocompiacimento c'era nel suo "coraggio". 
 


 

L’angolo dell’autrice ( e due!)

 

Questa volta ho voluto strafare e commentare ben due volte in una sola pubblicazione!

Vi è piaciuto questo capitolo? Per me non è stato dei più facili da scrivere, ma mi ha divertito moltissimo. Sono curiosa di sapere cosa ne pensate di questo Severus e di come lo sto scrivendo, non è esattamente un personaggio semplice ;) 

 

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Capitolo 9
*** Inizi - Settembre ***


L'angolo dell'autrice

Buona Domenica a tutti!
Come sempre il weekend pubblico per due giorni di fila per farvi compagnia (e perché sono davvero molto impaziente!) 

Oggi il capitolo è dedicato a tutt* quell* che si sono dimostrat* curios* delle lezioni di Pamela ;) Una delle cose che amo della teoria magica di Pamela è che, almeno qualcosina, possiamo sperimentarla anche noi babbani. Voi cosa ne pensate? 

Nelle note vi metto qualche idea se ci fossero curiosi. 

Un abbraccio a tutti e buona lettura!

 



La notte del banchetto, Pamela non era riuscita a dormire molto. Come si fa a dormire prima di un giorno così? Era più emozionata in quel momento di quanto lo fosse stata l’anno passato, forse perché l’anno passato era stata talmente nervosa, da arrivare esausta alla notte. Ora che non si sentiva più in ansia, restava solo l’eccitazione e la voglia di iniziare, iniziare subito! E poi c’era stato tutto quel trambusto con Potter e Weasley, la professoressa McGonagall si doveva essere davvero infuriata questa volta. Anche Dumbledore aveva lasciato la Sala Grande con le saette negli occhi, e poteva capirlo! Farsi vedere con una macchina volante non era stata una gran mossa, davvero una stupida bravata. Non è che lei avesse conosciuto bene nessuno dei due ragazzi l’anno passato, ma da quello che le avevano raccontato dovevano essere due imprudenti non da poco. Almeno Snape se l’era goduta: quando era arrivato al banchetto ad avvisare il Preside e Minerva, aveva il sorriso soddisfatto di Charm quando le portava delle lucertole morte. Pamela aveva provato tristezza per lui. 
Se lui non l’avesse evitata dalla notte del novilunio, forse gli avrebbe parlato. D’altronde lui non l’avrebbe evitata se lei non si fosse comportata da stupida, quindi in effetti era colpa sua. E lo sapeva, lo sapeva che a forzargli la mano avrebbe ottenuto solo la sua fuga, ma lo aveva fatto lo stesso. Perché?
Non era in grado di rispondere, ma non riusciva a smettere di pensarci.
Nemmeno ora, mentre guardava i ragazzi seduti sui cuscini nel prato. Dopo tutto quello che era successo l’anno precedente non si fidava più ad ascoltare i loro pensieri: se avesse sentito qualsiasi cosa di strano, poi si sarebbe trovata nella scomoda posizione di dover decidere se parlarne o meno al resto del corpo insegnanti, e non era sicura di volerlo. Preferiva non sapere. Così era rimasta del tutto sola con i propri pensieri che si attorcigliavano uno sull’altro, proprio come era stato per tutta la notte. 

 

“Bene ragazzi, adesso proviamo una meditazione sonora.” disse, stufa di sentirsi pensare. “Portate le mani sul grembo, così” si sistemò nella seduta bagnandosi le labbra “e ora facciamo vibrare in basso, sotto sotto l’ombelico, il suono lam. Prendiamo bene l’aria riempiendo i polmoni, e poi cerchiamo il nostro suono: non c’è un modo giusto o sbagliato, l’importante è che suoni nel punto più basso del vostro busto.”

Li guidò in tutti i sette suoni1, poi li fece rimettere in piedi, fece sgranchire le articolazioni e poi saltellare, saltellare con le mani al cielo e la voce libera di fluire. 

C’erano sei ragazzi del primo anno, avevano l’aria molto, molto perplessa, ma lo fecero. Pamela si chiese cosa dov’esse vedersi dalle finestre della scuola guardandoli in quel momento, doveva essere uno spettacolo interessante. 

“Molto bene, molto bene. Adesso ci fermiamo, lasciamo ciondolare le braccia e il collo, ciondoliamo e poi il busto cade in avanti, inspiriamo e si rialza, allunghiamo bene il collo e giù di nuovo, lasciamo andare tutto. Bravi. Ancora un paio di volte e ci sdraiamo a terra.” 

Li fece mettere sdraiati, occhi chiusi, palmi verso il cielo e li portò nel rilassamento. Un paio si addormentarono, come sempre. Aveva preparato un oleolito profumato di lavanda e passò con delicatezza a macchiare d’olio la fronte di ognuno. Poi tornò a sedere guardandoli. Ora anche lei si sentiva meglio e poteva godere di nuovo del sole basso nel cielo terso, del cinguettio dei passeri, del lavoro instancabile degli insetti intorno, e di quel senso di sicurezza e pace che Hogwarts sapeva regalare. 

“Apriamo gli occhi e, lentamente, ci rialziamo. Respiriamo, stiamo in ascolto di come stiamo. Ora, quando ve la sentite, potete aprire gli occhi e siete liberi di andare.” 

 

Poco per volta tutti i ventidue ragazzi del suo corso riaprirono gli occhi. La signorina Granger fu la prima, come sempre. Ed alzò la mano. 

“Hermione, vieni. Cosa vuoi sapere?” 

Pamela le fece cenno di avvicinarsi, per non disturbare tutti gli altri che ancora stavano tornando poco alla volta nel mondo.

“Mi chiedevo, professoressa, i movimenti che ci ha fatto fare, vengono dalla tradizione taoista? Perché quest’estate ho letto un libro sul Qi Gong2 e pensavo…”

“Hermione” la interruppe gentilmente “me li sono inventata. Non… non sono in nessuna tradizione. Era solo quello che avevo voglia di fare.” 

La ragazza restò un momento a fissarla interdetta. 

Forse Pamela avrebbe potuto mentirle, ma non le sembrava il caso. 

“A volte bisogna solo spegnere la mente, non trovi?”

Ecco. Ecco perché lo aveva fatto. 

Aveva baciato Snape perché sì. 

Perché a volte bisogna spegnere la testa. 

Perché aveva voglia di farlo. 


1. La meditazione che Pamela propone è una variante delle meditazioni sonore. Nella tradizione dei mantra, ogni suono aiuta un chakra ad aprirsi. I suoni sono: LAM;VAM;RAM;YAM;HAM;OM; OM (la differenza è che il primo OM suona in mezzo agli occhi, l'ultimo nel punto più alto del cranio).

2. Hermione, come sempre, ha occhio. Noi diamo a Pamela il beneficio del dubbio, forse davvero è andata a sentimento e, d'altra parte, se si pratica molto spesso poi certi movimenti entrano sotto pelle e non ci si fa più caso da dove vengano le intuizioni. Se volete avere un'idea di quanto simile al QuiGong siano questi esercizi, su FB l'ecovillaggio Tempo di Vivere propone una pratica di QuiGong quotidiana (ovviamente del tutto gratuita).  


 

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Capitolo 10
*** Buon compleanno, Minerva! - Ottobre ***


L'angolo dell'autrice

Ciao a tutti!
Siamo ad ottobre ed è venuto il momento di fare gli auguri alla nostra cara Minerva :D
Ma non si può mai abbassare la guardia, mentre noi festeggiamo qualcossa lavora nell'ombra...
Buona lettura :D


 

Severus si stava abituando alla sua nuova condizione. 

A parte il mal di testa perenne, a parte qualche leggero senso di nausea e lo stato di sonnolenza e intontimento, si sentiva benissimo. Tutto era tornato alla normalità e presto confidava di poter smettere di assumere la Pozione del Riposo (molto meglio nota come l’Ammoscia Verga, ma trovava il termine di una sconcezza inammissibile). Aveva dovuto sovradosare un po’ le dosi abituali, ma non lo riteneva un problema: l’unica differenza a lungo termine poteva essere al massimo di liberarsi in modo permanente degli impulsi sessuali. Lo avrebbe considerato un insperato vantaggio. 

Aveva ripreso a godersi delle piccole gioie quotidiane, le lezioni, la lettura… e ora il suo principale motivo di irritazione era tornata ad essere la presenza di Potter. Con l’aggravante di Lockhart, è chiaro. Raramente si poteva assistere a un tale spettacolo di vanagloria riflessa in altra vanagloria come quando si vedeva Potter gonfiare il petto accanto a quella sottospecie di pavone. L’uno si faceva bello della fama dell’altro, e Severus trovava la cosa vomitevole. Se poteva, a fatica, scusare il ragazzino per l’età e per essere figlio di cotanto padre, trovava Gilderoy Lockhart un cancro per la comunità magica e per l’umanità in generale. Aver chiamato quel damerino a prendere la cattedra più importante della scuola al posto di accettare la sua candidatura era un altro dei peccati che non avrebbe mai potuto perdonare a Dumbledore. Lo aveva umiliato. 

A volte pensava che il Preside godesse a mortificarlo costantemente, per questo aveva deciso di non dirgli nulla di quello che era successo con la Radcliffe: era sicuro che avrebbe trovato il modo di rigirare la questione e farlo passare per stupido.1 

Su questo rimuginava avvicinandosi al chiostro, lanciando occhiate di sottecchi ai ragazzi seduti sul muretto tra le colonnine per controllare che si comportassero in modo decoroso. A volte era necessario che gli insegnanti si facessero vedere in zone meno controllate per ricordare che ovunque potevano essere visti. Quando svoltò l’angolo e si accorse di Lockhart nel mezzo del prato, del modo ridicolo con cui si scostava i capelli ridendo come se si trovasse davanti ai fotografi, per un momento fu tentato di tornare indietro per evitare quella stucchevole presenza. Poi si rese conto di qualcosa: qualcuno stava ridendo con Lockhart, e conosceva quella risata. Fece altri due passi e scoprì la figura di Pamela. Rideva portandosi la mano alla bocca, sembrava non riuscire a contenere il divertimento e fissava il mago con occhi brillanti. 

 

“O Gil, sei meraviglioso!” la sentì dire tra le risa.

 

Gil? Gil… e rideva con lui. 

Severus tornò sui suoi passi. Gli era salita la nausea ed era frastornato, forse aveva esagerato con la Pozione del Riposo. Quella notte avrebbe sognato, cosa che gli capitava di rado, e avrebbe sognato frammenti di immagini, di Pamela sull’erba con James, della risata di Lily. Al mattino avrebbe avuto la brutta sensazione di un dejavù.

 

+++

 

“Vi avevo detto che non ho l’età” cercò di protestare Minerva, ma la verità era che si era commossa.

Al posto della solita partitina di carte del giovedì sera, le ragazze si erano presentate alla sua porta con torta e regali, finendo per farla arrossire fino ai capelli. Si era affrettata a farle entrare prima che si mettessero a cantare per i corridoi.

 

“Su, su Minerva, lasciaci divertire un po’” l’aveva presa in giro Pomona. 

 

Erano riuscite a costringerla ad aprire i regali, mangiare la torta2 e farsi raccontare perfino un aneddoto di quando era bambina.

“L’ultima volta che ho mangiato una torta di mele come questa,” aveva detto la vecchia strega, “avevo dieci anni, me l’aveva preparata mia nonna. Non sapeva cucinare nulla, tranne le torte di mele e io ne andavo pazza. Mi ricordo che non le davo mai il tempo di farle freddare e finivo sempre per mangiare la prima fetta ancora tiepida. Se lo scopriva mia madre si infuriava, diceva che una donna per bene deve saper essere paziente. Aveva ragione, ovviamente. Solo da grande ho apprezzato i suoi tentativi di insegnarmi certe cose, da bambina non mi si poteva tenere: tornavo sempre a casa con i vestiti luridi e un ginocchio sbucciato perché passavo tutto il tempo tra gli alberi e i prati. Una vera scavezzacolli della peggior specie.” A detta della professoressa Sprout, questo fu il più lungo resoconto dell’infanzia di Minerva McGonagall mai sentito pronunciare dalla sua bocca, ma poi la pazienza della strega si era esaurita e avevano tirato fuori le carte, riportando la serata sul suo binario originale. 

Sybill, per l’occasione, si era impegnata e aveva tracciato l’intero tema natale di Minerva e ora, presa dall’entusiasmo, stava indagando i segni zodiacali di tutti mentre si sistemava le carte nelle mani. Per una volta le altre le davano corda.

 

“O, beh, beh… è chiaro! Ma certo, che sei del toro, cara.” diceva a Pomona “Ma, c’è anche dell’acqua… acquario, forse nell’ascendente?”

 

“Non saprei proprio” ammise ridendo la Sprout “Non ho mai capito niente delle stelle, niente! Avevo studiato gli Ogam3, una volta, ma mi annoiavano. Come si fa a credere che un nocciolo abbia lo stesso carattere di un altro nocciolo? È sciocco, non credo che gli antichi lo pensassero davvero.”

 

“Anche secondo me hai la luna in acquario” concordò Pamela divertita. “Con chi potremmo provare a indovinare il sole? Il professor Flitwick?”

 

“Bilancia.” rispose la McGonagall calando una scala di fiori “Li compie il diciassette.”

 

“Siamo circondati da bilance” osservò Charity con un sorriso timido.

 

“Non ho mai saputo il compleanno di Hagrid. Mi spiace perché gli regalerei volentieri dei fagioli giganti per l’orto.” 

La Professoressa Sprout pescò una carta con aria contrariata.

 

“Sei dicembre” rispose di nuovo Minerva, che a quanto pare teneva memoria dei compleanni di chiunque. Strano atteggiamento per qualcuno che non voleva festeggiare il proprio. 

 

“Scommetto che Snape è nato a luglio.” Pamela non sapeva perché l’avesse detto.

 

“Gennaio.” 

Ribattè Minerva in automatico.

 

“Gennaio?” Sybill si sistemò gli occhiali sul naso sorpresa “sei sicura, cara? Beh, allora dovrà avere qualcosa nelle altre case…” 

La veggente intendeva “qualcosa di brutto” con ogni evidenza, ma non lo disse per pudore. 

 

“C’è qualcuno di cui non sa il compleanno?” Pamela scherzò divertita con la professoressa McGonagall rompendo la sua scala per farne altre due divise aggiungendo un paio di carte. 

 

“Non ho idea di quando compia gli anni Lockhart, ma non ci tengo a scoprirlo.”

 

“Non capisco come il Preside abbia potuto chiamarlo: è talmente pieno di sé da non saper distinguere quando qualcuno ride con lui, da quando qualcuno ride di lui. È imbarazzante. Per non parlare di quello che ha combinato coi Pixies con i ragazzi del secondo anno.”

Pamela non era solito parlare in quel modo, ma stava prendendo confidenza, iniziava a sentirsi tra pari. “Capisco che  dopo l’anno scorso non fosse una cattedra ambita, ma si poteva affidarla a Snape e trovare qualcuno per insegnare Pozioni.” 

 

“Beh, cara, è normale che Dumbledore non voglia affidare Difesa Contro le Arti Oscure a Snape.” rispose Pomona. “È una cattedra delicata per chi ha un certo curriculum…”

 

“Severus è molto giovane,” si affrettò a specificare Minerva lanciando un’occhiataccia alla collega “ha appena finito di completare la formazione che a chiunque altro sarebbe stata richiesta come prerequisito per la cattedra di Pozioni, mi sembrerebbe eccessivo pensare che possa essere già pronto a insegnare una materia del tutto differente e alquanto complessa.”

 

“Io… io credo di aver chiuso” il timido intervento di Sybill spostò l’attenzione sul tavolo, dove stava calando un gioco già chiuso in mano. 

 

Nemmeno l’astuzia della Professoressa di Trasfigurazione poteva battere la fortuna sfacciata al gioco della Veggente. 


+++
 

Aspettava da anni. 

Lunghi, lunghi anni. 

E finalmente nuova vita, nuova luce. 

Ginny Weasley, piccola, innocente, una fonte di forza vitale fresca come l’acqua di fonte per un assetato. Tom se ne dissetava bevendo a pieni sorsi. E lei si dava, si dava senza riserve come solo le ragazzine sanno fare quando trovano chi le ascolti. Attraverso di lei scopriva il mondo nuovo, le sue nuove mode, i suoi nuovi idoli. Scopriva la sua stessa storia. 

Harry Potter, il bambino che è sopravvissuto. Come? Come un bambino aveva potuto sconfiggere lui, Tom Riddle, Lord Voldemort? 

La piccola Weasley non faceva che parlare di lui, di quanto fosse speciale, di quanto fosse coraggioso, di quanto fosse bello… un sacco di ciance. Era solo un mocciosetto come tanti! Eppure… doveva saperne di più, doveva scoprire il suo segreto, e c’era solo un modo per avere la sua attenzione. 


1.E forse aveva anche paura che, invece, per una volta fosse d’accordo con lui, che ritenesse la situazione eccessiva e cacciasse la ragazza. Ma questo non lo avrebbe ammesso nemmeno con se stesso.
2.
Charity avrebbe voluto le candeline, ma poi si erano rese conto che non avrebbero saputo quante metterne e avevano deciso di desistere.
3.L’alfabeto ogamico era l’alfabetico celtico (diverso dalle rune norrene). La sua particolarità era l’essere legato agli alberi. Il druidismo contemporaneo (o neodruidismo vista la sua reinvenzione moderna) ha ipotizzato un uso divinatorio dell’alfabeto ogamico analogo sia a quello noto per le rune, sia a quello astrologico (in particolare viene usato il calendario arboreo elaborato da Robert Graves in La Dea Bianca). A seconda della data di nascita, infatti, si è associati a un albero e alle sue caratteristiche. 
 


 
 

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Capitolo 11
*** Malintesi - Ottobre ***


Pamela era già a letto e non erano ancora le dieci. In genere andava a dormire sul presto, ma non così tanto presto, ma l’influenza che imperversava nella scuola orchestrando un concerto di starnuti aveva finito per colpire anche lei. Con gli occhi gonfi e la testa chiusa in un pallone, aveva pensato di fare dei fumenti, prendersi un po’ di Pozione Peperina e mettersi a leggere sotto le coperte. Era così stanca da aver chiuso il libro dopo poche pagine perché le andava insieme la vista. Forse si sarebbe addormentata con la candela ancora accesa se non avessero bussato alla porta.

 

Uno dei problemi della Pozione del Riposo era che non si poteva mescolare alla Peperina e, in generale, non si poteva assumere in caso di influenza, a meno di non voler passare l’intera giornata a vegetare sul divano. Questo però non era stato un problema per Severus: non aveva avuto reazioni, il disturbo era scomparso, non aveva affatto a che vedere col fatto che stesse bussando alla porta della Radcliffe. Anzi, si sarebbe potuto dire che Severus era abbastanza fiducioso che la ragazza non avesse mai avuto nulla a che fare col problema: poteva essere un fisiologico risveglio di certi istinti, una pura reazione fisica. Forse si sarebbe comportato nello stesso modo se a baciarlo fosse stata Minerva McGonagall! Si sentiva molto tranquillo. Anzi, si sentiva generoso. Ecco perché stava bussando alla sua porta, per farle un favore. Glielo doveva, era giusto. 

Quando la Radcliffe aprì la porta la sua sicurezza vacillò per un momento. Perché era sempre così poco vestita?

 

“Brofessor SnaBe?” 

Pamela era sorpresa: da più di un mese la evitava, e ora veniva a bussare alla sua porta nel cuore della notte.

 

“Mi fa entrare?” 

Domandò aggrottando la fronte cercando di evitare di considerare la sua figura dal collo in giù. 

 

“Brego… mi scusi un momenDo” recuperò un fazzoletto di lino abbandonato sulla scrivania per soffiarsi il naso. “La BeBerina non ha ancora faDo effeDo.” si giustificò rimettendo al suo posto il fazzoletto. 

 

“Mi sembra evidente.” 

Severus si teneva a una doverosa distanza di sicurezza per non rischiare di farle venire idee malsane.

“Non vorrei distoglierla dal suo riposo, ma penso sia il caso di parlare…” né il pipistrello né il gatto sembravano essere nella stanza e questo lo sollevava. Per qualche motivo si rendeva conto che il pensiero di quelle bestie lo metteva a disagio. “Mi rendo conto di non essere la persona più… adatta a fare questo discorso, ma d’altra parte penso che coinvolgere altri sarebbe disdicevole e imbarazzante.”

 

“ImbarazzanDe mi sembra eccessivo” non potè fare a meno di commentare Pamela. Era troppo stanca per prendere sul ridere quella posa da predica. Si soffiò il naso di nuovo estenuata “È sDaDo solo un bacio, per l’amor di Rowena! Le promeDo che non si ripeDerà, può smeDerla di eviDarmi.”

 

“Ne sono sollevato, ma non è a quello che mi riferivo. Non solo a quello. Parlo della sua patologica propensione verso uomini eccessivamente maturi. È naturale vista la perdita di una figura paterna in giovane età…”

“Patologica?” la ragazza iniziava ad irritarsi, ma almeno era tornata a respirare. “E poi, abbia pazienza, ma lei quanti anni potrà mai avere? Quaranta? D’accordo, sì, potrebbe essere forse mio padre, ma a quarant’anni un uomo è nel pieno…”

 

“Ne ho trentadue” la interruppe gelido facendola ammutolire. “E sono comunque molti più dei suoi, ma mi riferivo al professor Lockhart. Le attenzioni di un mago di fama internazionale e che raccoglie così tanto favore nel pubblico femminile, immagino che abbia un profondo effetto sull’autostima, soprattutto dopo un rifiuto. Cosa la diverte tanto?” chiese irritato davanti ai fallimentari tentativi della Radcliffe di nascondere il sorriso dietro la mano. 

 

“Che… tipo di rapporto crede ci sia tra me e il professor Lockhart, esattamente?” 

Per Pamela era molto, molto difficile non scoppiare a ridere all’idea e all’imbarazzo di Snape.

 

“Beh… beh, mi pare che… ho… ho visto lei e Lockhart, nel chiostro, e mi pareva chiaro…” Severus aveva la sensazione di star facendo una pessima figura.

 

“Le pareva chiaro che io avessi una relazione… di che tipo? Sentimentale o sessuale? Sono curiosa… perché non mi viene in mente un momento qualsiasi della mia vita in cui ho trovato attraente o in qualche modo interessante Lockhart” 

Ora Pamela stava alzando la voce, se ne rendeva conto da sola. Non avrebbe dovuto, e lo sapeva, ma c’era un limite a quanto poteva sopportare. “Cosa mi ha visto fare? Mi ha visto prenderlo in giro e nemmeno lei ha capito l’ironia? Capisco che quel pallone gonfiato non sia in grado di comprendere quando si fa dell’ironia sul suo ego, ma lei è intelligente, pensavo che capisse il sarcasmo! E invece non capisce niente, ma proprio niente... “ si passò le dita sugli occhi con un sospiro perché le bruciavano e per non doverlo guardare. “Non l’ho baciata perché soffro di una… di una sorta di incontrollabile impulso verso la figura paterna. L’ho baciata perché penso che lei sia intelligente, una delle persone più intelligenti che abbia conosciuto, penso che sia una brava persona e… e lo so, sono sicura che se potessi vederla dentro come vedo gli altri… ma anche così, non so che dire, ma io la trovo molto attraente. Anche se forse farei qualcosa ai capelli…” aggiunse con un gesto vago della mano decidendosi a guardalo. Sembrava avesse smesso di respirare, o forse era stato pietrificato.

“Adesso se ne vada, mi lasci dormire fintanto che l’effetto della pozione mi fa respirare.”

 

Severus si rendeva conto di non poter restare lì impalato a quel modo, ma non sapeva con precisione come reagire. Si limitò ad obbedire all’ordine di Pamela girando sui tacchi e andandosene dalla stanza. Al sicuro nel buio del corridoio cercò di mettere in ordine le idee mentre le gambe lo riportavano in camera. 

Non gli era mai successo di sbagliarsi in modo tanto grossolano, ma quando aveva sentito la sua spiegazione si era reso conto che era la verità, aveva ripensato all’espressione che aveva negli occhi e non si capacitava di come avesse potuto confondere la derisione con l’attrazione. Si era umiliato. 

Nemmeno… nemmeno il resto gli era mai capitato. Era strano, una parte di lui non riusciva ad accettare che la Radcliffe stesse parlando di lui e continuava a ripensare la scena come se si trattasse di un altro. Sarebbe stato molto meglio se si fosse trattato di un altro. In realtà… in realtà gli faceva anche piacere. A chi non avrebbe fatto piacere? I complimenti sono imbarazzanti mentre li si ricevono, ma dopo hanno un sapore dolce e rinfrancante. Altro fatto inedito che doveva registrare. Ma di tutte le persone, di tutte le persone nel mondo Pamela Radcliffe, la figlia di Frances e Harvey Radcliffe, proprio lei doveva essere a farglielo scoprire? Sospirò toccandosi il braccio. L’ironia della vita sapeva ancora prenderlo alla sprovvista.

 


L'angolo dell'autrice

Ben trovati a tutti!
Prima di tutto lasciatemi ringraziare l'indispensabile Nanna_Chan che in questi giorni mi sta sopportando con particolare pazienza! Dovete sapere che sono bloccata lontana dalla mia copia di The Chamber of Secret e questo rende la scrittura ardua! Non so come farei se lei non mi aiutasse con le pagine dei libro che servono e controllando che non scriva idiozie!

E per il resto che dire? Non è che Snape sia proprio un caratterino facile, per Pamela non è certo una passeggiata... troveranno una quadra?

Un bacio a tutti e grazie per la lettura.

 

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Capitolo 12
*** Scheletri che ballano - Novembre ***


L'angolo dell'autrice

Bentornati!

Avete visto? Ridendo e scherzando siamo già ad Halloween :D
Sappiamo già tutti che sarà un giorno molto, molto particolare e sono più che curiosa di sapere cosa penserete di questo capitolo ;) 

Allora buona lettura a tutti!

 



A Pamela piaceva Halloween, da sempre. La notte in cui il regno dei morti e quello dei vivi sono più vicini, la faceva sentire un po’ più vicina ai suoi genitori. Quando era piccola, la zia l’aveva abituata a scrivere loro una lettera per poi bruciarla, affidando al fuoco il suo messaggio. Crescendo aveva smesso di farlo, ma quell’anno aveva di nuovo bisogno di qualche buon consiglio. Lei era abituata a non avere con chi confidarsi e per tanto tempo aveva ascoltato i pensieri di tutti senza avere nessuno a cui dire i propri, però ora era differente e per una volta avrebbe voluto davvero poter parlare con sua madre. 

Si rigirò nelle mani il foglio scritto e piegato, due lacrime avevano bagnato un bordo, ma la scritta era intatta. Guardò Charm che dormiva sdraiato sulla trave del camino acceso. 

 

“Sì, non è una cosa ortodossa… ma che male c’è a chiedere?” chiese stringendosi nelle spalle.

 

Dipende da cosa si chiede, suppongo. 

Rispose indolente il gatto agitando appena la coda nera.

 

“Touché” 

Con un sospiro Pamela si alzò dalla sedia.

“Beh, vale la pena tentare.”

 

Era prima mattina, le lezioni erano iniziate da poco e, a parte i rumori che arrivavano dalle aule, la scuola era deserta. Pamela aveva il vantaggio di iniziare il lavoro quando i colleghi lo finivano e avere pochissimi compiti da correggere. Questo significava che le mattine, una volta finiti i suoi esercizi, poteva passare tutto il tempo a vagare per il parco o a leggere. Era tanto tempo libero, durante il quale poteva perfino coltivare un po’ della sua vecchia vita sociale. Con la lettera in mano stava giusto andando a parlare con una delle sue poche amiche dei tempi della scuola. 

 

“Helena” chiamò a gran voce dopo essersi sistemata a sedere sul cornicione nel corridoio aperto a strapiombo sul parco. Le era sempre piaciuto quel posto.

 

“Pamela Radcliffe, mi chiedevo se saresti venuta anche quest’anno.” 

Svolazzando a un metro da terra con iridescente contegno, la Dama Grigia comparve dai mattoni del muro.

“Hai ragione Helena, sarei dovuta venire prima” Pamela le sorrise rigirandosi la lettera tra le mani. 

 

“Non importa. In fondo cos’è il tempo quando si ha l’eternità?” disse mettendosi a sedere accanto a lei.

 

“È una bella domanda. Una delle tante cose che i vivi non sanno della morte, vero?” deglutì bagnandosi le labbra nervosa.

 

“C’è un motivo se i vivi non sanno niente della morte: non li riguarda.”

 

“Sì, però mi chiedevo se…”

 

“Non ti dirò nulla sui segreti della morte.” puntualizzò la fantasma con aria severa. “È contrario a ogni regola e buon senso, e se anche ci provassi non capiresti.” aggiunse sistemando inesistenti pieghe del suo fatuo vestito.

 

“D’accordo… dovevo provarci” accettò Pamela abbassando gli occhi. “Mi manca mia madre.” ammise senza bisogno di dire altro.  

 

Helena sospirò voltandosi a guardare il viso afflitto della ragazza. Lei sapeva cosa voleva dire non aver dato un saluto alla propria madre, rimpiangere un ultimo abbraccio mancato, o delle parole da ricordare.

“È per lei?” domandò accennando al foglio.

 

“Sì io… io speravo di fargliela avere, in qualche modo…” ammise inghiottendo un nodo in gola.

 

Con un sospiro Helena fece il gesto di accarezzarle la treccia nera, ma le sue mani non potevano più toccare la materia.

“Beh, non posso dirti se o come potrei fargliela avere, ma tu potresti comunque provare a darmela.”

 

“Davvero?” Pamela tornò a sorridere speranzosa “Certo!” acconsentì subito tendendole il foglio. 

 

“Non così, sciocchina, col fuoco. Bruciala.”

 

Stupita Pamela estrasse la bacchetta e il foglio iniziò a bruciare. Poco a poco che la carta si trasformava in cenere, un foglio fantasma compariva nelle mani di Helena. 

 

“Incredibile. Ho sempre pensato che fosse una sciocchezza di mia zia, questa di bruciare le lettere per farle andare nell’Aldilà, invece aveva un senso.”

 

“Molte volte le cose più semplici sono le più efficaci.” Commentò Helena sistemando la lettera tra i seni. “Si tratta di un uomo, non è vero? C’è sempre di mezzo un uomo quando soffriamo tanto…”

 

“O una donna” la corresse Pamela.

 

“Ai miei tempi le cose erano più semplici” sbottò il fantasma alzando le spalle.

 

“Comunque questa volta è un uomo.”

 

“Vedi? Avevo ragione. Uno studente? A me puoi dirlo…”

Helena Ravenclaw era una morta molto, molto curiosa. Tra i fantasmi più in disparte dell’intera scuola, riusciva comunque ad essere a conoscenza di ogni pettegolezzo, ma era anche una tomba. Non c’era modo di estorcerle nulla, a meno di dimostrare di sapere già tutto. 

 

“No, no… si tratta di Snape.” ammise Pamela arrossendo. “Non so perché ci penso tanto, forse perché mi annoio, non ho altro da fare. Ci sono milioni di maghi e streghe molto meno emotivamente complicati, altrettanto intelligenti e di certo più affascinanti là fuori.”

 

“Non c’è dubbio. Anche qua dentro se è per questo, vivi e morti.” confermò Helena. “Però tu pensi a lui. E lui non pensa a te?”

 

“Non ho idea di cosa pensi” ammise scuotendo la testa.

 

“Tu lo sai come sono morta?” chiese il fantasma di punto in bianco. “Il Barone Sanguinario mi ha uccisa. Ma il perché, lo sai? Ai suoi tempi il Barone era bello, giovane, ricco… mia madre voleva che accettassi la sua corte. Ma io ho rubato il suo diadema e sono scappata. Non mi interessava il Barone, non volevo sposarmi, mettermi all’ombra di un mago qualunque e passare le giornate aspettando di invecchiare o morire nell’ennesimo parto! Così sono scappata. Quando il Barone mi ha trovata, io avevo trovato quello che cercavo, tra le braccia di un contadino, povero in canna, piuttosto brutto e babbano, come direste voi. Il Barone non l’ha sopportato e mi ha ammazzata.” Helena si strinse nelle spalle con aria annoiata. “Uomini! Ma perché io, a un uomo come lui, avevo preferito quel contadino? Non ne ho idea, non l’avevo nemmeno allora. Ti dirò che adesso il Barone mi sta quasi simpatico…” 

 

“E quindi cosa dovrei fare? L’ho baciato e non l’ha presa bene.”

 

“Lo hai baciato?!” Helena aveva l’aria di una a cui fosse stato offerto su un piatto d’argento un succulento pasto regale. Le piacevano proprio i pettegolezzi.

“Purtroppo non posso aiutarti: ai miei tempi i rituali di corteggiamento erano molto, molto diversi: tu ti saresti dovuta mettere un certo tipo di vestito, fare in modo che ti guardasse, sorridere e aspettare che lui ti passasse un bigliettino chiedendo di vedervi da soli.”

 

“Non credo che…” Pamela si tacque di colpo. “Sai, Helena, forse non è una cattiva idea…”

 

“Visto il soggetto, devo purtroppo dirti che tutto è una cattiva idea. Se vuoi un mio consiglio, valuterei di cambiare obiettivo.”

 

“Ma mi hai appena detto…”

 

“Ti ho appena detto che l’attrazione non segue leggi logiche, non che sia sempre una buona idea farsi guidare da essa. Prendi me, io sarei ancora viva se non gli avessi dato retta, ma chissà… Penso che una festa ti farebbe bene. Perché non vieni al Complemorte di Nick questa sera?”

 

“Un Complemorte?” Pamela valutò l’idea. Era difficile essere invitati a un evento mondano per fantasmi, era una bella occasione. Ma lei adorava il banchetto di Halloween… “Farò un salto.” accettò alla fine con un sorriso. “Grazie, Helena. È sempre un sollievo parlare con te.” L’avrebbe abbracciata, ma date le circostanze dovette desistere.

 

+++

 

Un Complemorte è un evento mondano estremamente esclusivo, soprattutto se si tratta dei cinquecento anni di Sir Nicholas de Mismy-Porpington, impegnato a impressionare Sir Patrick Delaney-Podmore. La società dei fantasmi, come si potrà comprendere, era piuttosto conservatrice e molto attenta alle gerarchie e agli ordini sociali e Sir Patrick era, in un certo senso, il massimo pezzo grosso dei fantasmi d’Inghilterra. Anche per questo, Pamela ci teneva particolarmente a presentarsi in modo degno: voleva bene a Nick e sapeva che sia lui che Helena si erano sbilanciati a invitarla nonostante fosse ancora in vita. Non voleva far sfigurare nessuno dei due e, soprattutto, non voleva farli litigare tra loro. Sarebbero stati una bellissima coppia. 

Per sua fortuna, Pamela non era del tutto nuova alla magia cosmetica. Anche se nella vita di tutti i giorni il suo aspetto non risultava mai molto interessante o curato, nutriva una curiosità segreta per le pozioni cosmetiche (con le quali curava ossessivamente i lunghi capelli neri, sani e lucenti). Allo stesso modo, chi l’avesse osservata con attenzione, si sarebbe accorto delle unghie corte ma sane e forti, della pelle perfetta e luminosa e delle labbra senza screpolature nemmeno nei giorni più freddi e ventosi dell’inverno. 

Però per quella sera avrebbe fatto qualcosa di più.

Anche sui vestiti aveva deciso di osare un po’, con un piccolo incantesimo di trasfigurazione su uno dei vestiti estivi che si era portata. Era un vestito semplice, blu marino, dal taglio abbastanza quadrato che le aveva regalato la zia e che non le dispiaceva. Di certo era comodo: scendeva largo e morbido dalle spalle ai fianchi senza segnare mezza forma ma lasciando le gambe libere di sedere nei prati. Per prima tolse una spallina e modificò lo scollo in modo da renderlo una sinuosa discesa sul seno da un lato, e una gentile ripresa della stessa forma a goccia dall’altro. Perché funzionasse doveva diventare aderente sul torace. Lo tenne ben incollato al corpo fino alla vita e lì lo lasciò cadere morbido allungandolo fino ai piedi. Non era male, molto sirena e un po’ vamp, pensò sistemandosi i capelli da un lato. Non si era mai accorta di quanto quel colore facesse a pugni col nero dei capelli. Con un sospiro lo cambiò in un vinaccia con grande soddisfazione. Si girò su un fianco osservando la stoffa disegnarle il corpo. Non era brutta, un po’ morbida forse, ma nemmeno tanto, e con quel taglio non si notava per nulla, venivano solo fuori i seni piuttosto prosperosi, in genere sotterrati sotto la stoffa. 

Ora però ci voleva della lana. I Complemorte non erano posti caldi: riunire una serie di fantasmi nello stesso punto era come ammucchiare molti ghiaccioli in una stanza. Anche se il nero non era il suo colore preferito, aveva un maglione a maglie larghe nero che sarebbe stato perfetto. lo trasformò senza sforzo in un cardigan bloccandolo con la spilla d’argento. Con un sorriso soddisfatto cercò di andare verso la porta, ma ottenne solo di rischiare una rovinosa caduta di faccia, sventata per il rotto della cuffia. Non aveva per nulla considerato che, allungando il vestito, le avrebbe tolto lo spazio per camminare. Con uno sbuffo aprì uno spacco fino al ginocchio e si rese conto di quanto male stessero i suoi sandali bassi con l’insieme. Con un colpo di bacchetta li trasformò in dei sandali dal modesto tacco basso. 

Essere eleganti era una fatica immensa che, decisamente, avrebbe riservato per le grandi occasioni. 

Quando era scesa nel sotterraneo si stavano aprendo le danze e i lunghi ceri neri avevano iniziato a splendere da poco ma era già pieno di spettri. All’ingresso aveva porto i suoi omaggi al festeggiato con uno scherzoso inchino di cortesia e avevano scambiato due parole sull’andamento della serata. Nick Quasi Senza Testa recitava la parte del fantasma lugubre alla perfezione ma per qualche ragione questo le metteva allegria. Dentro la sara aveva trovato Helena che l’aveva presentata a una suora e un certo Sean in abiti anni venti, crivellato da colpi di pistola che lo rendevano simile a un groviera. Aveva accettato un giro di ballo in sua compagnia, un valzer reso quasi irriconoscibile dall’orchestra cacofonica. Non è facile ballare il valzer senza poter sfiorare il proprio cavaliere, ma non se la cavarono male. Stavano lasciando la pista ridendo entrambi per l’insolito spettacolo che erano riusciti a dare, quando tre ragazzini entrarono nella sala. Harry Potter, Hermione Granger e l’altro loro amico rosso. 

 

“Signorina Granger” Pamela lasciò andare Sean per salutare la sua allieva. “ma cosa ci fai qui?” chiese sorridendo alla ragazza.

 

“È stato Nick Quasi Senza Testa a invitarci” spiegò guardandola con aria stranita.

 

“Oh, ma certo, per impressionare serve una celebrità. Tu devi essere Harry Potter, non è vero? Non credo ci abbiano mai presentati.” Pamela tese la mano al ragazzino con i grandi occhiali tondi che gliela strinse con aria fin troppo adulta per la sua età. “E tu suppongo sia il più piccolo dei Weasley. Ron giusto? Avevo una cotta per tuo fratello Charlie al secondo anno. Lui aveva… aveva pensieri così liberi…” 

 

“Non sono il più piccolo, mia sorella Ginny è la più piccola. È entrata quest’anno.” il ragazzino sembrava un po’ offeso per essere stato preso per il più piccolo della famiglia.

 

“Oh, capisco.” Pamela sorrise divertita “Beh, adesso se non vi dispiace penso che andrò a salutare Helena e tornerò a presenziare al banchetto ufficiale. Inizio ad avere una certa fame.” Disse prima di allontanarsi.

 

+++

 

Severus si era preparato per la lunga serata coltivando pazienza e sopportazione. Quella pagliacciata del banchetto di Halloween sarebbe stata offensiva per qualsiasi mago degno di quel nome e che avesse un minimo a cuore le tradizioni. Zucche giganti e scheletri danzanti. Scheletri danzanti. Una volta la magia aveva più rispetto per la morte. Ma Dumbledore avrebbe riso sulla propria tomba, non aveva alcun pudore o senso del sacro, per lui ogni cosa era un gioco. 

Come da tradizione, il banchetto iniziava alle sei di sera andando avanti fin quasi alle nove, tre lunghe ore di noia. I ragazzi e gli insegnanti arrivavano alla spicciolata, la cena veniva servita dalle sei e mezza fino alle otto, ora del dolce e della danza degli scheletri. Con impeccabile puntualità, Severus era seduto al tavolo alle sei esatte. Pamela, ovviamente, non c’era. Snape lo notò cercando di non farci caso. Era quello il modo in cui notava sempre i movimenti della ragazza, una sorta di attenzione periferica che gli permetteva di evitarla senza nemmeno rendersene conto. Ovviamente, come tutto, anche quella capacità aveva un prezzo: tutto quello che la sua parte cosciente rimuoveva, tornava a farsi sentire nel sonno. Le notti erano diventate agitate e ricche di immagini sempre più complesse. Forse avrebbe dovuto preparare della Pozione del Sonno Senza Sogni per riprendere a dormire, ma per quanto strano possa sembrare, Severus era contrario a un uso eccessivo e prolungato delle pozioni e non ne aveva mai assunte tante quante in quel periodo. Non doveva lasciare che diventasse un’abitudine. 

Rimuginava in silenzio su queste questioni, mangiando lentamente un boccone di haggis1 alla volta, accompagnandolo alla lattuga e al purè, quando la Radcliffe si decise a presentarsi al banchetto. Gli restò la forchetta sospesa a mezz’aria. 

L’aveva vista in abiti anche più succinti (per sua sfortuna), ma mai con qualcosa di tanto aderente e mai così… così raggiante e sorridente. Deglutì a vuoto. 


“È molto carina, questa sera.” 

Minerva, seduta tra lui e Dumbledore aveva parlato a bassa voce, con un mezzo sorriso sulle sottili labbra.

 

“Non so di cosa tu stia parlando” rispose affrettandosi a riprendere a mangiare. 

 

“Io credo che tu lo sappia. E confido nel tuo buon senso. Pamela è una ragazza molto buona, si merita onestà, da parte di tutti.”

 

Severus si rifiutò di rispondere alcunché limitandosi a guardarla male e riprendere a mangiare. Minerva non tentò di tornare sull’argomento per tutta la sera e Sinistra, come sempre, non parlava affatto, era uno dei motivi per cui le si sedeva sempre accanto. Mangiò con calma, ignorando quasi del tutto il mondo intorno a lui e quando arrivarono i biscotti di zucca si era quasi dimenticato della ragazza dall’altra parte del tavolo. Ma poi il cibò finì, iniziò quell’assurda danza degli scheletri, e restare concentrato divenne più difficile. Ma lui era bravo: anni di pratica. Se non poteva impedirsi di pensarci, poteva vietare al suo corpo di mostrarlo, poteva tenere lo sguardo ben fisso davanti a sé senza vedere nulla, chiuso nella sua bolla di silenzio mentre davanti al suo naso dieci scheletri umani danzavano un’improbabile salsa. Nonostante tutto la sentiva ridere, nel mezzo di tutto il rumore, della musica, la sentiva lo stesso ridere. Fu una serata difficile, anche più del previsto.

Il peggio venne quando la festa finì. Poco per volta tutti scemarono fuori dalla Sala Grande e Severus fece di tutto per evitare di ritrovarsi nei corridoi a un palmo dalla schiena di Pamela, e invece ci si ritrovò. Gli toccò sorbire l’indecente spettacolo delle sue spalle mezze nude che ondeggiavano sotto i capelli neri, per non parlare del resto. Forse avrebbe dovuto dirle che quello non era l’abbigliamento adatto a una scuola piena di giovani adolescenti. Sì, sì le avrebbe parlato, in privato, per non metterla in imbarazzo. Si stava giusto decidendo quando successe tutto. Il flusso di ragazzi si era fermato di colpo e il vocio festoso era diventato un mormorare lugubre. 

Si fece largo tra la folla sorpassando la Radcliffe senza più pensarci, Minerva stava facendo lo stesso appena più avanti. Al centro del corridoio, proprio in mezzo a un largo semicerchio di studenti, c’erano Potter, il suo amico Weasley e la Granger con l’aria di tre passerotti in trappola. Per terra era tutto allagato e sul muro, a grosse lettere di sangue scuro c’era la scritta. Dumbledore stava togliendo la gatta di Gazza dal porta fiaccola a cui l’avevano appesa. Rilesse quelle parole due volte, con il sangue che gli si gelava nel corpo. 

Potter… era possibile che Potter…? 

 

Tu!” la voce di Gazza arrivò come una tromba “Tu! Sei stato tu a uccidere la mia gatta. Sei stato tu a ucciderla! Io ti ammazzo! Io…”

 

Argus!” Dumbledore intervenì prima che Gazza mettesse la mani addosso a Potter “Seguimi, Argus. E anche voi, signor Potter, signor Weasley, signorina Granger”

 

Quell’omuncolo di Lockhart si mise in mezzo in tutta fretta: “il mio ufficio è il più vicino, signor Preside… qui al piano di sopra… la prego di fare come se fosse a casa sua…”

 

Snape si accodò a Minerva seguendo il Preside in tutta fretta. L’erede di Serpeverde… solo una persona al mondo aveva mai avuto una così grande considerazione di sé da definirsi così, ma come poteva essere di nuovo a Hogwarts? Iniziò a chiedersi se la stupidità di Lockhart non fosse una maschera, come la timidezza di Quirinus. E cosa c’entrava Potter questa volta? Non poteva essere solo un caso. 
 


 

1.L’haggis è un piatto tipico di halloween nella cucina scozzese. Una roba tremenda di interiore di pecora che solo nel Regno Unito potrebbero pensare seriamente di mangiare.

 
 

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Capitolo 13
*** Sussurri - Novembre ***


 

L'angolo dell'autrice

Ben tornati alla lettura!

Prima di tutto vorrei ringraziare tutt* voi che avete lasciato recensioni preziose per la storia :D è bello sapere che ci siete e cosa pensate della storia, mi aiuta moltissimo a capire come bilanciare la storia e a trovare sempre più stimolo per andare avanti! 

E poi vorrei di nuovo ringraziare la grandissima Nanna_Chan che mi sta facendo da spalla e da aiuto (non le piace che dica che in fondo sta diventando più una coautrice che una beta, ma sappiate che un po' è così). 

Insomma, mi piacciono le imprese collettive, se non si fosse capito XD e mi piace pensare che, in qualche modo, anche Hogwarts sia un'impresa collettiva: con tutte le loro tensioni, con gli attriti e le incomprensioni, immagino lo staff dare vita a qualcosa di unico e condiviso, per questo mi piacciono tanto le scene dove sbirciamo questo meccanismo :D

Un abbraccio a tutti e buona lettura!


 




“Mi sta dicendo che non dovremmo fare nulla?!”

 

“No, affatto. Sto dicendo che la cosa migliore che possiamo fare ora è aspettare.”

La voce di Dumbledore aveva la solita ferma calma.

 

“Preside, i ragazzi… non possiamo aspettare che qualcuno di loro venga attaccato! Ci sono decine, forse centinaia di loro nati da famiglie babbane o miste…”

 

“Mi rendo conto, Minerva. Mi rendo conto. Ma non vedo alcuna mossa che non metta ulteriormente a rischio le loro vite.”

 

“Se mi permette, Preside” ora era Snape a parlare, Pamela riconosceva la cadenza trattenuta della sua voce oltre la porta. “Se qualcuno tra gli studenti sta rivendicando il titolo dell’erede scatenando una creatura mostruosa nella scuola, forse sarebbe giustificato l’uso del Veritaserum sugli studenti e gli insegnanti.”

 

“Chiunque sia in grado di aprire la Camera dei Segreti, Severus, è di certo in grado di evitare gli effetti del Veritaserum. Vi ricordo che stiamo parlando di una magia così potente e oscura che in tanti anni nessuno di noi, nessun insegnante, è mai riuscito a trovare quella camera. Inoltre, non possiamo certo dare per scontato che ciò sia avvenuto realmente. No, la domanda è: com’è possibile che una così potente magia sia entrata nella scuola senza che ce ne accorgessimo? Troviamo una risposta a questa domanda e troveremo come fermarlo.” 

 

Restò un momento di silenzio e Pamela stava per approfittarne aprendo la porta quando il Preside riprese a parlare. 

“In ogni caso, vi pregherei di non coinvolgere nessun altro. Cerchiamo di mantenere la calma tra gli studenti, per nessun motivo, confermate l’esistenza della Camera. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è che si ripeta quanto avvenuto l’anno scorso. A questo riguardo, pregherei entrambi di non coinvolgere nemmeno la signorina Radcliffe.”

 

Pamela tolse la mano dalla maniglia, tradita. Non restò nemmeno per sentire le risposte della McGonagall e di Snape. Girò sui tacchi e facendo meno rumore possibile si allontanò giù per la scala a chiocciola e poi nel corridoio. Stava tornando in camera sua quando ebbe la sensazione spiacevole di essere osservata. Si voltò, ma il corridoio alle sue spalle era vuoto quanto quello di fronte a lei, forse era solo suggestione. Aprendo appena la sua percezione era in grado di rendersi conto se un luogo era davvero vuoto (era così che spesso si accorgeva se Charm era fuori o si era solo andato a infilare nell’armadio) e si azzardò a farlo. Quello che sentì le fece gelare le ossa. C’era qualcosa, qualcosa nel muro, qualcosa di enorme e malvagio, qualcosa di antico e potente. Si allontanò d’istinto dalle pietre fissandole come se dovessero aprirsi da un momento all’altro mettendola di fronte alla propria morte. Aveva smesso di respirare, aveva smesso anche di pensare. Riusciva solo a sentire quella presenza terribile e a pregare di non essere vista. Goccioline di sudore freddo le imperlarono il viso. 

Poi il mostro si allontanò. 

Pamela si risvegliò di colpo e, tenendo aperta per un spiraglio la sua sensibilità, si mise a corrergli dietro. Non si muoveva veloce, ma sembrava non essere costretto a seguire i percorsi tracciati nel castello dai corridoi. Più di una volta ebbe l’impressione di averlo perso, per poi ritrovarlo dopo una svolta o una scala, come se avesse potuto attraversare il soffitto o il pavimento. Non sembrava avere una precisa direzione, sembrava stesse esplorando il territorio, girovagando casualmente, su e giù, avanti e indietro. Poi, all’improvviso, da dietro un angolo, sbam. La sua testa cozzò dolorosamente contro quella di Snape.

 

“Cosa diamine…cosa sta facendo?!”

 

Snape si teneva lo zigomo, l’espressione alterata dalla sorpresa e dal dolore per la botta improvvisa. 

 

“Il mostro! L’ho sentito… andava per di là” rispose indicando il corridoio davanti a lei e facendo per riprendere a correre.

 

“Non si azzardi nemmeno!” Snape l’aveva acchiappata per il polso e la teneva ferma. 

 

“Mi lasci! Non capisce?! Dobbiamo seguirlo, potrebbe attaccare, o potremmo scoprire da dove viene!” 

Snape era molto più forte di quanto avesse pensato Pamela, o forse lei lo era molto meno. Fatto sta che per quanto si dimenasse non riusciva a liberarsi dalla sua presa. 

 

“La smetta di comportarsi come una sciocca! Finirà per farsi ammazzare… si calmi! Cosa vorrebbe fare? Affrontare il mostro di Salazar Slytherin con le meditazioni?” 

 

Pamela si voltò a guardarlo offesa. 

“E lei vuole aspettare che ammazzi qualcuno?”

 

Per un momento restarono a guardarsi in silenzio e se avessero potuto darsi fuoco a vicenda lo avrebbero fatto. 


“No” rispose alla fine Severus con il gelo nella voce “ma non voglio nemmeno che sia lei a farsi ammazzare. L’anno scorso mi è stato sufficiente.”

 

Pamela si calmò almeno in parte. Snape non aveva tutti i torti e lei si sentiva ancora in colpa per quello che aveva combinato l’anno precedente.  

“D’accordo.” acconsentì facendo un respiro profondo e chiudendo gli occhi per recuperare la calma.

 

“D’accordo e basta?” 

Chiese sospettoso Severus. Si sarebbe aspettato almeno un tentativo in più di mercanteggiare.

 

“Sì, d’accordo e basta: ha ragione, l’anno scorso ho fatto una sciocchezza, ho rischiato troppo, e l’ho messa in una pessima situazione. Avrei dovuto dare ascolto a lei e al Preside.”

 

“Mi promette che non tenterà in alcun modo di rintracciare né quel mostro né l’erede?”

 

“Glielo prometto”

 

Snape le lasciò andare il braccio anche se continuava a non crederle. Per un attimo Pamela si chiese se le avrebbe chiesto un Voto Infrangibile, uno come lui ne sarebbe stato capace. 

 

“Andiamo, la riporto nella sua stanza.” disse invece facendole cenno di superarlo. 

 

Solo in quel momento Pamela fece caso a dove l’aveva portata il suo inseguimento, non erano affatto sulla strada tra l’ufficio del Preside e la camera di Snape.

 

“E lei cosa stava facendo?”

Domandò curiosa, senza ottenere risposta, se non quel modo rigido che aveva l’uomo di irrigidire il volto quando si irritava o imbarazzava. Ci pensò da sola. Non riuscì a trovare nessuna rotta che potesse giustificare la sua presenza in quel preciso punto del castello, a meno che non si fosse prima diretto verso la sua camera e poi a metà strada non avesse cambiato idea. 

“Stava venendo per caso a cercarmi?”

 

“Volevo solo informarla del fatto che il Preside ha dato preciso disposizioni di non intromettersi in questa faccenda con assurde trovate. Vedo che avevo ragione di farlo.” rispose rigido e impettito. 

 

“Oh, certo.” A Pamela scappava da ridere, ora. Era difficile non trovare divertente quel contegno, perfino in una simile situazione. Dover restare in disparte, ferma, mentre un mostro vagava per la scuola con la promessa di uccidere chiunque non avesse sangue puro, non sarebbe stata una prova facile per nessuno, ma aveva scelto di avere fede nelle parole di Sybill e doveva continuare con coerenza su quella strada. Camminando in silenzio, coi passi che rimbombavano per i corridoi, non potè fare a meno di chiedersi ancora una volta se non avesse frainteso tutto.

 

“Sotto la terra sta il corvo” aveva detto con quella voce d’altro mondo che non le aveva mai sentito prima “rosso di sangue avrà il becco, ma non credere, non credere! Dovrai insegnargli a volare, dovrai nutrirlo con pazienza, sarà lui tra coloro che sono sopravvissuti quando i teschi torneranno in cielo. Dovranno essere le sue lacrime… le sue lacrime”

 

C’erano ancora parecchie cose che Pamela non poteva capire, ma le era sembrato subito piuttosto chiaro di chi si stesse parlando e non c’erano molti fraintendimenti possibili su cosa dovesse fare lei: avere molta pazienza. Per questo aveva accettato di stare in disparte e per questo evitò di punzecchiarlo fino a che non l’ebbe scortata alla porta. A quel punto recitò la sua formula e fece per entrare in camera, ma poi si voltò. 

“Sa, non posso leggerle nella mente ma inizio a capirla lo stesso: lei ha paura per me e di me, non è vero? Ha paura perché sa che con me potrebbe anche perdere il controllo.”

 

“Non dica sciocchezze.”

Severus aveva un sesto senso per i pericoli, e quella era una situazione pericolosa, lo sentiva nelle gambe che gli suggerivano di darsi alla fuga in fretta.

 

“Allora entri a bere una tisana. Distende i nervi.”

 

“È tardi…” provò a protestare.


“Domani è domenica, non ci sono lezioni. Niente scuse.” 

 

Severus esitò ancora un momento. Aveva paura? Di che cosa avrebbe mai dovuto avere paura? Di una ragazzina? Entrò a testa alta. Col senno di poi, fu un errore.

Appena richiusa la porta, senza nessun riguardo al pudore o alla decenza, Pamela si sfilò l’abito blu scendendo dai sandali. 

 

“Con permesso, ma questo coso inizia a mettermi a disagio.” disse mentre rovistava sotto al cuscino del letto per prendere la camicia da notte.

 

“In… in effetti è… è poco adeguato alla situazione. Dovrebbe rendersi conto che la scuola è piena di ragazzi adolescenti e non è il caso…” si accorse di star balbettando e di essere finito schiacciato contro la scrivania, l’angolo più lontano della stanza rispetto al letto. Doveva restare calmo, molto calmo. Era solo una ragazzina, non poteva succedere niente senza il suo consenso.

 

“Crede che i ragazzi non notino i professori se si sotterrano sotto grandi tuniche nere? Non funziona, è il caso che lo sappia. La nudità ha poco a che fare con l’eros, è molto più quello che non si vede ad attrarre” 

 

Pamela si stava avvicinando, coperta solo da quella striminzita camicia da notte piena di pizzi. Severus cercò di restare molto calmo e di reprimere l’istinto di strisciare contro al muro per mantenere le distanza. Sarebbe stato ridicolo.

 

“La teiera” 

 

“Cosa?”

 

“Mi passa la teiera?” Pamela indicava qualcosa di fianco a lui. Si voltò, c’era una teiera. Gliela porse con il braccio teso. 

 

“Grazie.” la ragazza recuperò un barattolo pieno di erbe profumate, ne versò un po’ dentro e poi andò in bagno ad aggiungere l’acqua.

 

Severus prese un lungo respiro profondo. Era stato in apnea fino a quel momento e non se n’era nemmeno accorto. 

“Lei non ne sa molto di eros, vero? Mi dispiace, devo averla sconvolta parecchio l’altra sera. Ma un bacio non è una cosa tanto grave, anche i ragazzi si baciano nei corridoi, l’ha mai notato?”

 

“Trovo superficiale il modo in cui parla dell’ammissione di un’altra persona nella propria intimità fisica.” cercò una collocazione nella stanza che gli desse maggior dignità ma lo facesse allo stesso tempo sentire sicuro. Alla fine si mise vicino alla pianta di Dittamo accanto alla finestra.

 

“No, non è superficiale. Forse sono solo meno restia ad accettare gli altri. Mi piace condividere la mia intimità con belle persone, e perché non dovrei?” bastò un colpo di bacchetta per far fumare la tisana. “Lei perché se lo vieta?” Chiese versandone due tazze. Snape non rispose e non prese la tazza che gli tendeva.

“L’ho spaventata l’anno scorso, vero? Mi dispiace. È per questo che tiene le distanze, ha paura della perdita, lo capisco.” prese un sorso di tisana restando a guardarlo. Le piaceva quel modo risentito che aveva di fissarla quando lo pungeva nel vivo, le piaceva molto. “Adesso prometto di non fare nulla, voglio solo farle vedere un esercizio che faccio fare anche ai ragazzi a lezione. Niente di particolare: mi avvicino e la guardo negli occhi e lei guarda me. Il primo che distoglie lo sguarda ha perso. Ci sta?”

 

Severus sbuffò spazientito. “Poi me ne posso andare e la smetterà con queste… queste sciocchezze?”

 

“Non le rivolgerò più la parola se non interpellata.” promise Pamela poggiando la tazza e avvicinandosi abbastanza da prendergli le mani. Erano gelide e sudate. “Al mio tre, deve solo guardarmi, nient’altro.” Contò fino al tre, ma non ce ne sarebbe stato bisogno, la stava già fissando. 

 

Per chi non avesse mai provato un esercizio simile, va detto che è impegnativo. Pamela lo conosceva bene e sapeva i rischi a cui si esponeva chi avesse una combinazione letale di orgoglio, competitività e repressione. 

 

“Che idiozia…” borbottò Snape dopo qualche secondo, ma non tolse lo sguardo e Pamela non gli diede niente a cui aggrapparsi.

Iniziò a perdere il senso del tempo. Gli occhi della ragazza avevano qualcosa, qualcosa di difficile da contrastare. Provò a concentrarsi sul loro colore, ma non era abbastanza. Quel qualcosa sembrava filtrare dal suo sguardo e iniziò a sentire qualcosa nel petto, come una stretta nello sterno. Cercò di concentrarsi su respiri lenti e profondi, ma scoprì che non bastava. Sentiva le sue mani nelle sue, lo facevano sentire al sicuro, nonostante quella morsa crescesse, lo stava sommergendo. Chiuse gli occhi, ma non servì a fargli trattenere le lacrime.1

 

“Va bene.” Pamela parlava sottovoce, gli accarezzava piano il dorso di una mano e gli asciugava il volto. “Va bene, fa bene piangere…” crollavano tutti, prima o poi, con quell’esercizio, tutti, e quell’uomo era una specie di pentola a pressione emotiva da talmente tanto tempo… però il bacio Pamela non se l’era aspettato, non se l’era aspettato proprio. Era arrivato di colpo, lui aveva ancora gli occhi chiusi mentre premeva le labbra sulle sue. E poi un momento dopo l’aveva scansata sorpassandola per darle la schiena. Pamela aveva pensato che sarebbe scappato, invece no. Si era bloccato. 

 

Severus non riusciva a smettere di piangere, non riusciva a pensare, non era lucido, che cosa stava facendo?

Quando si sentì prendere per il braccio si voltò senza nemmeno provare a resistere. Lasciò che lo baciasse di nuovo, forse… forse fu lui a baciarla, non ne era sicuro. Sembrava che tutto stesse sfuggendo al suo controllo e non riusciva a smettere. Poi, poco alla volta, sembrò che tutto quel tumulto si calmasse da solo. 

 

“Ecco, visto? Va tutto bene.” Pamela fece un passo indietro e tornò alla sua tisana. 

 

Severus era confuso, molto confuso, ma in effetti stava bene. Stava meglio di… di sempre. 

“Questo non cambia in nessun modo la natura del nostro rapporto.” Ci tenne a precisare.

 

“In nessun modo.” confermò Pamela prima di prendere un altro sorso dalla tazza che nel frattempo si era freddata. “Ma quando vuole può passare per una tisana.”

 

“Grazie.” Non gli venne niente di meglio da dire. “Buonanotte.” aggiunse prima di uscire dalla camera.

 

Pamela sorrise tra sé lasciandolo andare. Doveva scrivere a Max, doveva raccontargli tutto, avrebbe apprezzato la storia.


1. Se volete farvi un’idea di quello che sta passando il povero Snape, qui c’è la registrazione della volta in cui Marina Abramovich propose qualcosa di analogo. https://www.youtube.com/watch?v=A-EdGNXi8Ko L'esercizio di Pamela è abbastanza un classico di molti percorsi di crescita personale, uno degli esercizi più sottovalutati da chiunque, in genere, ma che stana in modo quasi ineluttabile qualsiasi emozione si stia tentando di reprimere e Severus, beh, lo sappiamo, è più o meno un grumo compresso di emozioni represse tenute ferme da un filo di spago.
 

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Capitolo 14
*** 2.11.1992 - Che Cosa ho Fatto Tom? ***


 

L'angolo dell'autrice

Ciao a tutti! 

Ben tornati a leggere in questo finale di pandemia e splendida giornata di sole!
Spero che la storia continui a piacervi e vi stia tenendo compagnia :D

Oggi ci aspetta un capitolo un po' diverso e un po' più breve, ma per farmi perdonare, pubblicherò anche domani al posto di aspettare sabato.

Un abbraccio a tutti e buona lettura!

 



Che cosa ho fatto, Tom? Non riesco a ricordarmi niente, non riesco a capire! Devo dirlo a Dumbledore… hanno trovato la gatta di Gazza impiccata e c’era acqua da tutte le parti e io non mi ricordo, non riesco a ricordarmi dove fossi! Sono in un posto e poi è come se mi addormentassi di colpo e quando mi sveglio… quando mi sveglio non so più dove sono o che ora sia. È terribile, Tom! E se fossi io l’erede? Se fosse tutta colpa mia?

 

Ginny, tesoro mio, calmati, cerca di ragionare: se tu fossi l’erede di Salazar Slytherin credi che il Cappello Parlante ti avrebbe assegnata a Gryffindor? Ci sono altri motivi per cui potresti avere dei black out, magari sei solo stanca. Forse è una forma di sonnambulismo.

 

E allora devo dirlo a Percy o alla mamma. Non posso continuare così: potrebbe essere pericoloso, potrei perdermi, potrei ritrovarmi nella Foresta Proibita o finire in punizione…

 

Sì, ma riflettici: se lo dici ora a qualcuno, è ovvio che tutti penseranno che sia stata tu, tutti ti guarderanno male, nessuno vorrà più essere tuo amico. Non è già abbastanza difficile così? E cosa penserà Harry? Magari non crederà che sia stata tu, ma saprà che sei strana. Chi vorrebbe uscire con la ragazza strana della scuola? No, faremo così, non lo diremo a nessuno, ma annoterai qui tutte le volte in cui succede: dov’eri, cosa stavi facendo, quanto tempo è passato. Vedrai che capiremo cosa sta succedendo e quando avranno preso l’erede, allora chiederemo aiuto, se servirà ancora. 

 

Non lo so, Tom. Ho paura… e se fossi stata io invece? Non voglio fare del male a qualcuno.

 

Ginny, tu sei la ragazza più buona e gentile che abbia mai conosciuto, non potresti mai fare del male a qualcuno! Non è da te. Ti ricordi quando avevi tre anni e hai cercato di impedire a Fred e George di degnomizzare il giardino? Non volevi che facessero del male agli gnomi! Non è possibile che tu abbia fatto male a una gatta. Se non ti fidi di te, fidati di me: io ti conosco meglio di chiunque altro. 

 

Questo è vero. Non so come farei senza di te… se solo tu fossi in carne ed ossa! Saresti il fidanzato perfetto e potremmo passeggiare insieme nel parco, tenerci per mano e studiare insieme. Sarebbe così bello! Invece Harry non mi vede nemmeno, non sa neanche che esisto! È così coraggioso! Potreste essere grandi amici e allora lui saprebbe chi sono, magari mi troverebbe anche carina, ma io avrei occhi solo per te e lui passerebbe il tempo a mangiarsi le mani.

 

Oh, Ginny, ma vedrai che lui si accorgerà di te. Un giorno aprirà gli occhi e vedrà che bellissima donna sei diventata, quanto sei intelligente e dolce. Allora si innamorerà di te e tu ti dimenticherai di questo vecchio diario sgualcito, ma è giusto che sia così, non devi sentirti in colpa per questo. Io sarò felice sapendo che tu lo sei. 

 

Ginny chiuse il diario con un sospiro. Si affrettò a rimetterlo sotto al materasso del letto prima che qualcun altro potesse entrare nel dormitorio e accorgersi della sua esistenza. La vita al primo anno non era facile: lontana da casa per la prima volta, insieme a tanti compagni nuovi, con le lezioni, gli insegnanti, i suoi fratelli intorno, i libri usati e i vestiti vecchi… e tutte le sue compagne di dormitorio erano sempre così sicure, così carine e così sveglie! Ginny era una ragazza timida e non aveva nessuno con cui parlare, nessuno tranne Tom.

 

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Capitolo 15
*** Notti Insonni - Novembre ***


 

L'angolo dell'autrice

Eccomi qui come promesso :D 

Un nuovo capitolo bello pronto per voi! Anche questo è bello breve (come piace a me, scusa Nanna_Chan) ma tra i miei preferiti: mi piace scrivere questi piccoli quadretti che mi permettono di scendere un po' più a fondo nei personaggi ;) Ovviamente tornerò anche domani e domenica per nuoi aggiornamenti, per cui restate su questo canale!

Buona lettura a tutti :D

 



Per un mago dell’età di Dumbledore era normale faticare a dormire. Col tempo ci si abituava a riposare le poche ore che il fisico richiedeva, e il resto del tempo diventava un momento utile per la riflessione, la lettura e i ricordi. E la cioccolata calda. Poche cose al mondo rendevano felice Albus Dumbledore come scendere nelle cucine con un libro sottobraccio mentre già tutta la scuola dormiva, leggere ancora qualche pagina mentre la cioccolata si addensava nel pentolino, rovesciarla tutta in una grande tazza e berla poco per volta mentre finiva di leggere rannicchiato su una delle grandi sedie coi manici di legno delle cucine. Era un momento di pace nel mezzo di tutto il resto, un momento di silenzio in cui era solo Albus Dumbledore, come quando era bambino. Tutti dovrebbero avere dei momenti in cui poter essere solo se stessi bambini. 

Stava pensando a questo quella notte, dopo aver finito di rileggere Le favole di Agnes in una vecchia edizione sgualcita. Ci pensava soprattutto in relazione a Severus Snape: quel ragazzo si portava troppo peso sulle spalle, davvero troppo. Non aveva avuto una vita più facile o più difficile di quella di molti, ma Albus sapeva che il peso che ognuno trascina ha poco a che fare coi fatti e molto con le interpretazioni. Quando lo aveva visto sgattaiolare nei corridoi, era triste dirlo, la prima cosa che aveva pensato era che stesse scendendo nei sotterranei per qualche losco motivo connesso a quanto era successo alla gatta del povero Gazza. Non che pensasse che lui centrasse qualcosa, ma che volesse tentare di risolvere a modo suo, magari coprendo il giovane Malfoy, questo sì. Se fosse stato chiunque altro avrebbe pensato a qualche sorta di attività mondana. Sana attività mondana. Albus era molto favorevole alla socializzazione tra colleghi, da sempre. 

In ogni caso, a ripensarci meglio, forse non andava nei sotterranei. 

Sciacquò la tazza con diligente attenzione, riprese il libro e ritornò sui propri passi. Quello che stava succedendo dava un aspetto strano al castello. Da tanti anni quelle mura erano la sua fortezza, un luogo sicuro che aveva contribuito a costruire pezzo per pezzo e che custodiva il futuro della comunità magica d’Inghilterra. La pietrificazione di Mrs Norris, l’incidente a Harry sul campo di Quidditch, erano tutti indizi del fatto che qualcosa era riuscito a strisciare al suo interno, se il male aveva di nuovo trovato una breccia, questo lo inquietava. Soprattutto ora. Con l’undicesimo compleanno di Harry Potter, Albus si era aspettato che le acque rimaste chete in quegli anni tornassero a incresparsi, era normale: una grande forza del bene stava crescendo, qualcosa che avrebbe potuto spazzare via la forma peggiore che il male avesse saputo prendere dopo la caduta di Gellert. L’equilibrio doveva mantenersi. E loro dovevano essere pronti, ma lui iniziava a sentirsi vecchio, sapeva che in quella nuova battaglia il suo ruolo non sarebbe potuto essere altro che quello di guida, almeno per un po’. Se avesse saputo fare un buon lavoro, a momento debito, tutti i pezzi sarebbero stati al posto giusto sulla scacchiera e la partita si sarebbe vinta anche senza di lui. 

Questo pensiero lo confortava e si sentiva pronto per tornare nel proprio letto e schiacciare un pisolino, ma si ritrovò addosso Minerva, agitata. 

 

“Albus, Albus… è successa una cosa terribile…” 

Stava farneticando, i capelli stranamente scomposti rispetto al solito chignon le scappavano davanti al viso. 

 

“D’accordo, Minerva, d’accordo. Adesso calmati. Cos’è successo?”

 

La strega non rispose nemmeno ma gli afferrò il polso trascinandolo di peso fino al corpo. Un ragazzo, un Gryffindor del primo anno, pietrificato per terra, una fotocamera stretta tra le mani davanti al volto. 

“Oh per Merlino…” mormorò. 

Temeva che sarebbe successo prima o poi, era terribile. La Camera era davvero stata aperta, di nuovo.

 

“Andiamo, dobbiamo portarlo in infermeria.” 

 

+++

 

Appena la notizia dell’aggressione a Colin iniziò a circolare per la scuola, il panico iniziò a crescere tra gli studenti. Ormai non si parlava d’altro ed era difficile vedere qualcuno girare da solo, soprattutto la sera. In compenso a volte era facile osservare, nel pieno pomeriggio, piccoli crocchi di studenti intenti a parlottare fitto per uno smercio che, in altri ambienti, avrebbe ricordato scambi ben più pericolosi. A Hogwarts, invece, si potevano comprare per pochi soldi i più assurdi amuleti, portafortuna o scacciamostri. Non c’era modo di sapere chi avesse iniziato quel traffico ridicolo, ma Severus, se avesse dovuto scommettere, avrebbe puntato il dito sui fratelli Weasley. Era tipico di quelle due pesti trovare il modo di girare a loro favore una situazione drammatica, probabilmente trovavano divertente prendersi gioco dei compagni più creduloni e spillargli qualche soldo. Ma erano furbi e non si sarebbero mai fatti cogliere sul fatto. E, d’altra parte, lui aveva altro a cui pensare.

Quel giovedì pomeriggio, per iniziare, doveva insegnare a metà del secondo anno il Decotto Dilatante, e questo significava anche dover aver pronto abbastanza Sgonfiotto per l’intera scuola. Senza contare che la metà in questione era quella di Gryffindor e Slytherin, e di questi tempi questo voleva dire per certo discussioni e problemi. Quelli del terzo anno, la mattina, erano quasi arrivati alle mani: gli Slytherin stavano gongolando in modo indecoroso per le aggressioni e quegli sciocchi bambinetti di Gryffindor erano caduti a piè pari nella provocazione. Se avesse potuto avrebbe sbattuto le teste degli uni contro quelle degli altri. Si credevano tanto adulti, tanto spavaldi perché al sicuro delle aule sapevano fare gli sbruffoni e tirarsi i capelli, non avevano idea di quello che dicevano. La cosa peggiore era quando lo tiravano in mezzo. Gli Slytherin dicevano cose del tipo: “non è vero, professore?” o “e lei cosa ne pensa professore?” e lui doveva inventarsi un modo per dare adito a loro di pensare quel che volevano, senza sbilanciarsi. Gli si rivoltavano le viscere alla sola idea. 

Per questo al secondo anno aveva appioppato il Decotto Dilatante, aveva bisogno di rilassarsi e il Decotto era uno dei suoi preparati rifugio, una di quelle cose che avrebbe potuto fare ad occhi chiusi e che gli dava sempre un appagante senso di ordine. 

E invece, mentre passeggiava tranquillo tra i banchi, all’improvviso, il caos. Un calderone doveva essere esploso, i ragazzi si erano messi a urlare scomposti, braccia che si gonfiavano, gambe enormi, teste ingigantite, nasi deformati. 

 

“Silenzio! SILENZIO! Tutti quelli che sono stati colpiti vengano da me per uno sgonfiotto” si ritrovò a urlare per cercare di riportare l’ordine. “Se pesco chi è stato…” borbottava tra sé e sé cercando di far tornare tutti in uno stato normale. 

Ma non lo aveva scoperto anche se, per principio, avrebbe potuto giurare che Potter e i suoi amichetti fossero coinvolti. 

Quando i ragazzi si erano tolti di torno, aveva impiegato un’ora a riportare l’aula in uno stato accettabile, appena in tempo per la cena. 

 

Era un periodo difficile per Severus Snape, un periodo fin troppo pieno di avvenimenti e confusione. Ordine, aveva bisogno di ordine. Quella sera sarebbe andato a dormire presto, dritto sotto le coperte dopo cena. Era deciso.

 

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Capitolo 16
*** Duelli Serpenti - Dicembre ***


L'angolo dell'autrice

Bentrovati a tutti quanti :D 

Spero che anche nelle vostre case oggi entri questa meravigliosa luce di primavera e che abbiate almeno un albero da poter abbracciare! <3 


A Hogwarts invece è ormai inverno pieno, regnano i camini accesi, le giornate cupe e i morbidi maglioni. Uno dei momenti più memorabili dell'anno 1992/1993 sta per avere luogo, e noi in fondo ringrazieremo sempre Lockhart per averci regalato tanto divertimento ;) 

Buona Lettura a tutti voi!


P.S. Cosa ne pensereste se mettessi in nota le battute in originale inglese quando inserisco nel testo le citazioni esatte?

 


 Quella era una grande giornata, uno di quei momenti che sarebbero rimasti impressi nella storia di Hogwarts e Pamela era molto felice di essere presente. 

 

Da quando il mostro aveva attaccato il povero Creevey, Dumbledore aveva indetto delle riunioni settimanali dello staff per tenere il punto della situazione ed elaborare delle soluzioni, e Lockhart se ne era uscito con quella faccenda del Club dei Duellanti. Era evidente che non era certo attraverso un duello che i ragazzi avrebbero potuto proteggersi, ma questo non significa che non sarebbe stata un’occasione d’oro per permettergli di allenarsi e far sviluppare nuove capacità. E poi, finalmente, il Preside aveva riconosciuto a Severus un po’ di quello che si meritava, affiancandolo a Lockhart nella supervisione dei duelli. 

Severus, adesso lo chiamava così quando ci pensava e questo la faceva sorridere. D’altra parte sarebbe stato assurdo continuare a pensarlo come “Professor Snape” dopo le sere passate ad aspettare di sentirlo bussare. La prima volta era successo quasi una settimana dopo l’aggressione a Mrs Norris (aggressione sulla quale Charm indagava alacramente, Pamela sospettava l’avesse presa sul personale), lei stava leggendo, come tutte le sere, già in camicia da notte sotto le coperte. Quando aveva bussato aveva capito subito di chi si trattava: Severus aveva un modo imperioso di bussare che non si poteva confondere. Aveva aperto la porta con una certa curiosità, e si era ritrovata davanti un uomo confuso e stanco, due occhiaie peggiori del solito. Gli aveva offerto una tisana, ma non aveva risposto, era solo entrato senza dire una parola. Aveva misurato la stanza come una tigre in gabbia mentre lei riempiva la teiera e la scaldava. Poi di colpo l’aveva baciata. Così, senza dire niente, in quel modo quasi aggressivo, stringendole la testa nelle mani. E lei lo aveva lasciato fare, lasciando che piano piano i gesti diventassero più morbidi, più lievi. E poi com’era arrivato se n’era andato. Nemmeno una parola. Dopo tre giorni, la stessa scena, e da lì in avanti era diventata un’abitudine quasi regolare. Il periodo di tempo più lungo trascorso tra un incontro e l’altro erano stati cinque giorni. Non si parlavano mai, non si toccavano mai più di tanto, erano arrivati al massimo ad accarezzarsi il viso o scostarsi i capelli. Era strano, come sbirciare dietro le quinte di una messa in scena, ma solo appena appena.

Pamela non si faceva domande, accettava quel che veniva cercando di non avere mai aspettative su niente. Non era facile, non era facile per nulla, ma aveva anche il suo fascino. Il modo in cui Snape la ignorava per tutto il giorno, per esempio, dava a tutto un certo brivido, la faceva sentire custode di un segreto solo loro e le piaceva. Nella sua lettera Max la metteva in guardia, e aveva ragione: farsi carico del dolore di uomo traumatizzato e scostante era un’idea pessima, ma forse doveva sbatterci contro la testa da sé. In quel momento comunque, in quel preciso momento, la voglia di applicare il buonsenso era molto lontana da lei. Certo che era solo una simulazione, un gioco per mettere un po’ in difficoltà quell’idiota di Lockhart, però Severus sulla pedana sarebbe stato di un’eleganza ineguagliabile. E poi c’era una questione non da poco: se per i piccoli incantesimi con cui si muoveva a lezione era del tutto in grado di restare ben barricato dietro la sua occlumanzia, un duello era una cosa diversa. Per una frazione di secondo sarebbe per forza rimasto scoperto, non abbastanza per poter leggere nulla, ma abbastanza per poter percepire qualcosa. Se avesse dovuto spiegare a qualcuno la differenza, Pamela avrebbe detto di fare una semplice prova: scrivere su un foglio con tanti colori diversi una piccola poesia, mettere il foglio davanti agli occhi chiusi, aprirli e chiuderli per una frazione di secondo. Non si leggerà niente, ma resterà la percezione dei colori. Ecco cosa voleva vedere Pamela: i colori in cui erano scritti i suoi pensieri. Il pensiero la emozionava un po’. 

 

“Professoressa Radcliffe?”

 

Pamela si voltò notando la signorina Granger comparsa tra la folla accanto a lei.

“Signorina Granger! E gli altri due del magico trio: Potter e Weasley.” Osservò divertita. “Volete diventare dei duellanti?”

 

“Beh, di questi tempi potrebbe sempre essere utile” 

Ron si strinse nelle spalle.

 

“Lei sa chi sarà l’insegnante? Voglio dire, non vorrei passare i pomeriggi con…”

Harry stava per dire qualcosa, ma Lockhart lo interruppe facendosi avanti tra la folla con aria trionfale, vestito con quel ridicolo abito prugna che amava tanto. 

Dietro di lui Severus, con l’aria di star camminando dietro a degli escrementi ambulanti. A Pamela veniva da ridere, ma si nascose dietro la mano. 

 

Lockhart chiese il silenzio e fece il suo ridicolo discorso introduttivo. Quando se ne uscì definendo Snape “il suo assistente”, Pamela si schiarì la gola nel tentativo di nascondere una risata. Per la prima volta da giorni Severus la guardò alla luce del giorno, uno sguardo torvo di rimprovero, ovviamente. 

 

Severus si era prestato a quella ridicola farsa per evitare che per i ragazzi fosse una totale perdita di tempo. C’era la remota possibilità che, per una volta, imparassero qualcosa di realmente utile. E poi, in effetti, l’idea di stendere quel pallone gonfiato di Lockhart era allettante. Non aveva idea che ci sarebbe stata anche Pamela, non c’era nessuna ragione per cui ci dovesse essere. Non che gli importasse. Non aveva alcuna importanza che lo vedesse mandare a gambe all’aria uno dei maghi più vanitosi e, per ragioni insondabili, apprezzati dal pubblico femminile. Nessuna importanza.


“Come potete vedere, stiamo tenendo le bacchette nella posizione regolamentare di combattimento” stava dicendo Lockhart dopo quel ridicolo inchino da rivista. “Al tre, ci lanceremo i primi incantesimi. Nessuno dei due mirerà a uccidere, naturalmente”

 

Severus si stava chiedendo se fosse il caso di fargli sputare rane, oppure avrebbe potuto fargli andare a fuoco il fondoschiena, o gonfiarlo come una mongolfiera… ma non sarebbe stato educativo.

“Expelliarmus!” 

 

Lockhart finì dritto contro la parete e con la coda dell’occhio vide Pamela unirsi agli applausi degli Slytherin. Non che avesse la minima importanza.

 

“Ecco fatto!” disse Lockhart mentre cercava di ricomporsi tornando sul palco barcollando con gambe malferme. “Questo era un incantesimo di Disarmo… come potete vedere, ho perso la bacchetta di mano… ah, grazie signorina Brown. Sì, ottima idea davvero, mostrargli questo, professor Snape, ma non se la prenda se le dico che le sue intenzioni erano molto evidenti. Avrei potuto fermarla in qualsiasi momento. Ma ho pensato che fosse più istruttivo che i ragazzi vedessero…”

 

Le doti di mistificazione di quell’uomo erano imbarazzanti. Per un attimo Severus pensò che forse un altro expelliarmus, o qualcosa di più doloroso, non gli avrebbero fatto male.

 

“Basta con le dimostrazioni! Ora passerò in mezzo a voi e formerò delle coppie. Professor Snape, se vuole aiutarmi…” 

 

Iniziarono a formare le coppie e, per motivi del tutto casuali, Severus andò dritto verso la Radcliffe, trovandosi davanti a niente meno di Potter e i suoi patetici amici. Bene, meglio così, sarebbe stata una buona occasione: se Potter voleva persistere nella sua sconsiderata e arrogante condotta, visto chi gli dava la caccia, era molto meglio che iniziasse a imparare a difendersi davvero.

 

“Credo sia ora di separare la squadra del cuore. Weasley, tu starai con Finnigan. Quanto a Potter…” il codardo, da vero figlio di James quale era, puntò subito alla gonnella della sua amichetta. “No, non penso proprio!” lo fermò. “Vieni qui, signor Malfoy. Vediamo come te la cavi con il famoso Potter. Signorina Granger… tu puoi andare con la signorina Bulstrode.”

 

Lucius si faceva un vanto di aver iniziato ad addestrare Draco al combattimento prima ancora di insegnargli a scrivere. D’estate, per una settimana circa, Severus era ospite fisso alla tenuta dei Malfoy e negli anni aveva potuto osservare coi propri occhi l’idea che Lucius aveva di educazione. A modo suo, in un modo distorto e malato, amava molto suo figlio e se ne occupava con attenzione, un’attenzione che aveva dato i suoi frutti. Draco era in grado di performare egregiamente incantesimi oscuri che pochi ragazzi del terzo anno avrebbero saputo lanciare e che di certo, nessuno avrebbe mai insegnato loro a Hogwarts. 

 

“Tutti uno di fronte all’altro” gridò Lockhart “Al mio tre, lanciate l'Incantesimo di Disarmo al vostro avversario… soltanto per disarmarlo, naturalmente… non vogliamo incidenti. Uno… due… tre…”

 

Da bravo Malfoy qual era, Draco colpì al due, ma con poca efficacia. In compenso il Rictusempra di Potter fu esemplare, ma quello sciocco voltò le spalle all’avversario e, per un momento, Snape temette che Draco facesse qualcosa di davvero stupido, invece si limitò a una Tarantallegra. Lasciò ballare il ragazzo per un momento, tanto perché si rendesse ridicolo.

 

“Finite Incantatem.”

Lo liberò mentre Lockhart si agitava in giro, cercando di placare il caos che si era scatenato intorno. La signorina Granger e la signorina Bulstrode si stavano azzuffando dimenticandosi delle bacchette, e Potter era subito corso in aiuto dell’amica, ma Pamela era stata più veloce. 

 

“Aresto Momentum” con un bel gesto elegante aveva bloccato il movimento di tutt’e due e le aveva comodamente divise. 

“Finite Incantatem” aveva detto facendo riprendere vita a entrambe, piuttosto perplesse. 

Era stata una soluzione brillante, molto ben eseguita. A Severus era venuto da sorridere.

 

“Sarà meglio che vi insegni a bloccare gli incantesimi ostili” stava dicendo agitato Lockhart.  

 

Cercò il suo sguardo sperando di trovare un aiuto per venire a capo di quel pasticcio, ma lui non aveva nessuna intenzione di aiutarlo. 

 

“Proviamo con una coppia di volontari… Longbottom e Finch-Fletchley, vi va?”

 

“Pessima idea, professor Lockhart” si era intromesso a quel punto. Quell’uomo era talmente stupido da rischiare di far esplodere l’intera scuola cercando di far praticare a Neville Longbottom un incantesimo di quel livello, per non parlare del povero Finch-Fletchley. “Longbottom fa guai anche con gli incantesimi più semplici. Vogliamo mandare dritti in infermeria i resti di Finch-Fletchley dentro una scatola di fiammiferi? Che ne dice di Malfoy e Potter?” 

 

“Ottima idea!” Lockhart si mise a gesticolare invitando i ragazzi al centro della sala. “Allora, Harry, quando Draco punta contro di te la bacchetta, tu fai questo.” disse, prima di dare uno spettacolo quanto mai imbarazzante di tutta la sua incapacità, al punto di farsi cadere di mano la bacchetta nel mimare un incantesimo di difesa base. Non potè fare a meno di sorridere. 

 

“Niente sciocchezze, Draco. Umilialo e basta.” 

Si raccomandò sottovoce. Non aveva voglia di dover curare Potter da qualche danno serio. 

 

Il Serpensortia di Draco fu esemplare, un gesto astuto. Se pure Potter avesse capito qualcosa da quella patetica dimostrazione di Lockhart, non avrebbe certo potuto bloccare quello. Il serpente nero che aveva prodotto era degno di un ottimo incantesimo, alquanto aggressivo. 

 

“Non ti muovere, Potter.” prese in mano la situazione prima che qualcuno si facesse del male. “Ci penso io a mandarlo via.”

 

“Mi consenta!” si intromise Lockhart brandendo la bacchetta riuscendo a spedire in aria il rettile facendolo inferocire. Quando lo vide strisciare minaccioso contro Finch-Fletchley, Severus estrasse la bacchetta. Era pronto a far scomparire il serpente, ma poi si accorse di qualcosa di strano: Potter gli stava parlando. Stava parlando al serpente. Erano pochissimi i maghi a parlare il serpentese, lui ne aveva conosciuto uno soltanto. Quel suono gli mise i brividi congelandolo per un momento, forse perché lo associava al Signore Oscuro e allo strisciare lento e terribile di Nagini.

“A che gioco stai giocando?” 

 

La voce spaventata di Finch-Fletchley lo riportò di colpo al presente. Sorpassò in pochi passi Draco e con un colpo di bacchetta fece svanire il rettile.   

 

+++

 

“Che cos’è successo prima?”

 

Pamela stava praticamente rincorrendo Severus per i corridoi della scuola, dritto verso l’ufficio del Preside. Aveva abbandonato Lockhart a finire di disperdere i ragazzi e riportare la Sala Grande nel suo stato normale e lo aveva seguito appena lo aveva visto allontanarsi. 

 

“Potter… quello era serpentese.” 

Rispose in fretta il professore parlando sottovoce per non farsi sentire. Pamela ebbe l’impressione che fosse nervoso. 

 

“Sì, ne ho sentito parlare. D’accordo, Harry è un rettilofono. È raro, ma può capitare.”

 

Severus si fermò davanti alla statua che sorvegliava la scala a chiocciola dell’ufficio di Dumbledore. 

“Sorbetto al limone” disse in fretta prima di tornare a rivolgersi a lei “Due maghi, che io sappia, sono stati rettilofoni: Salazar Slytherin e il Signore Oscuro. Per quale motivo credi si ritenesse l’erede di Slytherin?” 

 

Pamela restò senza parole davanti alla sua agitazione. Era spaventato, era davvero spaventato e ora iniziava ad esserlo anche lei. 

 

Quando bussarono all’ufficio, Dumbledore rispose quasi subito aprendo la porta dalla poltrona su cui stava leggendo delle pergamene ministeriali con gli occhialetti a mezzaluna sul naso. 

“Che cosa sta succedendo?” aveva chiesto perplesso.

 

Ci avevano messo un po’ a raccontare i dettagli della vicenda e Dumbledore era rimasto impassibile ad ascoltare ogni parola. Severus si rivolgeva a lui come se si aspettasse una soluzione da un momento all’altro, come un ragazzino davanti all’adulto.

 

“Capisco.” aveva detto Dumbledore alla fine, alzandosi pensieroso. Andò alla finestra dando le spalle a entrambi. “Mi era parso, Severus, di dire chiaramente che avrei gradito che la nostra Pamela venisse tenuta al di fuori di questa faccenda.” 

 

“L’ho seguito io fin qui, Preside. Ero presente, ho visto cos’è successo… insomma, si sa che Salazar Slytherin era un rettilofono, non avevo certo bisogno del Professor Snape per trarre le mie conclusioni.”

“Quindi anche tu pensi che Harry Potter sia l’erede di Slytherin e abbia aperto la Camera dei Segreti?” domandò voltandosi a fissarla.

 

“No, non lo penso” ammise Pamela abbassando lo sguardo. “Non credo che lo pensi nemmeno Snape. Ma la coincidenza è strana, non crede?”

 

“Credo che uno di quei tuoi sogni premonitori sarebbe decisamente utile in questo momento.” ribattè il Preside con un sospiro tornando a fissare il cielo oltre il vetro. “Dovrò riflettere a lungo su questo fatto.” aggiunse dopo un momento. “Cercate per ora di tenere calmi gli studenti, evitiamo il panico, ove possibile. Oh, Severus, se potessi farmi la gentilezza di distrarre il tuo amico Lucius per qualche tempo, sarebbe opportuno. Con quello che sta succedendo il Ministero inizia ad agitarsi, ma sappiamo entrambi bene che una mia assenza dalla scuola non farebbe che inasprire la situazione.”

 

“Non vedo come potrei…” cercò di protestare l’altro.

 

“Trova il modo.” tagliò corto il Preside. “E ora andate, a breve sarà ora di cena, immagino vogliate avere il tempo di calmarvi.” li congedò senza troppe cerimonie. 

 

Pamela restò ancora un momento a guardare la veste ricamata e i lunghi capelli bianchi contro il profilo della finestra. Non riusciva ad abituarsi a quella versione severa del Preside, eppure si rendeva conto di quanto dovesse essere pesante la sua posizione, di quante aspettative e responsabilità si portasse sulle spalle, e da quanti anni. Seguì la veste nera di Snape fuori dall’Ufficio, lasciandovi dentro quei pensieri.

 

“Davvero sei amico di quel viscido di Lucius Malfoy?” chiese invece mentre scendevano la scala a chiocciola. 

 

“Da molti anni.” rispose con un sospiro profondo Severus. 

 

“Ma perché? Ti rendi conto che ha evitato Azkaban per un cavillo giudiziario? Tutti sanno che il suo abbandono di Tu-Sai-Chi è stato un salto sul carro dei vincitori e nient’altro!”

 

Severus non rispose, chiudendosi in quel suo silenzio che stava diventando una compagnia abituale. 

“D’accordo, va bene. Senti... solo per questa volta…” Pamela si era fermata prendendolo appena per un braccio. La faccia che aveva fatto Snape quando si era voltato avrebbe lasciato supporre che gli avesse sputato addosso. “Solo per questa volta… posso chiederti se hai voglia di una tisana?” Senza nemmeno accorgersene aveva abbassato la voce in un sussurro. 

 

Severus era rimasto bloccato. 

Mai, non ne avevano mai parlato. Lei non aveva mai accennato a… a quegli incidenti e lui meno che mai. Anche perché non c’era nulla di cui parlare. Non sarebbe più capitato, era deciso. Il fatto che Severus si stesse ripetendo quella storia dal momento stesso che era iniziato tutto, non rendeva meno vero che questa volta, davvero, non avrebbe più derogato, per nessun motivo, alla sua decisione. Un paio di volte si era fatto prendere contropiede da se stesso: era andato da lei per dirle che non sarebbe mai più dovuto capitare nulla di sconveniente, che il loro rapporto sarebbe stato del tutto professionale. Pessima idea. Un’altra volta, doveva ammetterlo, aveva ceduto al pensiero che non potesse esserci, in fondo, nulla di male. Una leggerezza di cui si era sentito in terribile colpa per molti giorni. Una sera era finito davanti alla sua porta per protestare contro il comportamento inqualificabile del suo gatto. Il felino passava le giornate pedinandolo, letteralmente: ogni volta che si voltava vedeva quella malefica palla di pelo in un angolo, intento a far finta di nulla. A volte si leccava con noncuranza le zampe, a volte addirittura altre parti del corpo assai poco decenti, oppure fingeva di azzuffarsi con una macchia sul muro. Era irritante. Comunque nemmeno quella era stata una buona idea. Doveva anche ammettere che il fatto stesso della totale assenza di conseguenze per il suo comportamento non lo aiutava a smettere. Era come una droga con pochissime conseguenza, oltre a quelle benefiche: aveva ripreso a dormire, si sentiva più energico, più concentrato, aveva un appetito migliore. L’unico inconveniente erano le erezioni, ma ora si presentavano con molta meno invadenza, regolari e del tutto gestibili con un po’ di pazienza o docce fredde, erano diverse. 

Ad ogni modo, non sarebbe successo mai più, mai più, per nessun motivo.

 

“Suppongo che, per questa volta, potrei accettare una tisana.” Rispose con una certa riluttanza. D’accordo, era uno stupido, ma l’espressione che si dipinse sul volto di Pamela in quel momento riuscì a fargli dimenticare di colpo qualunque rettilofono e qualunque rimorso.

 

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Capitolo 17
*** La prima neve - Dicembre ***


L'angolo dell'autrice

Oh, la neve! 
Chi di noi non ha sognato di vedere i prati di Hogwarts ricoperti da una bianca coltre morbida mentre nei dormitori scoppiettano i camini?
Forse sono una romantica persa, ma mi piace la neve!

E dunque ben tornati in questo invernale clima inglese :D 
Vi ringrazio per aver seguito fino a qui le avventure della nostra Pamela e spero che la storia continui a piacervi. 

Siete curiosi di sapere come prosegue l'improbabile relazione tra lei e il signore della tristezza?  Beh, ci arriviamo, ma ad Hogwarts esistono anche altre persone, e Pamela ha un'intensa (più o meno) vita sociale ;) 

Buona lettura e fatemi sapere cosa ne pensate!

 



Pamela adorava la neve. Non era, è vero, un’amante dell’inverno e del freddo in generale, per quanto, da quando aveva ripreso il controllo della propria mente e praticava con diligenza i suoi esercizi, riusciva a sopravvivere con dignità anche a temperature rigide. Aveva smesso di portare spesse canottiere di lana sotto ai girocollo (di lana anch’essa) a loro volta sotterrati da caldi e morbidi maglioni. Ora si limitava a stratificazioni più dignitose di vestiario (ma i maglioni erano rimasti eccome!). Era riuscita a trattenersi dall’accendere il camino fino a novembre inoltrato e sul letto aveva ammucchiato solo due trapunte e una coperta di lana. I grossi pigiami di flanella li aveva abbandonati già dall’anno scorso, ora che aveva il camino in camera e non era più costretta a dormire nei freddi dormitori. Eppure, nonostante questo suo bisogno di calore pari solo a quello di specie a sangue freddo, amava la neve. Guardarla da dietro il vetro della finestra, con una tisana calda in mano, un libro accanto e Charm a farle le fusa nel grembo, le dava un senso di beata pace. Quella notte aveva nevicato così tanto, che nonostante fosse la prima neve dell’anno un morbido strato bianco si era posato d’appertutto. Era una giornata meravigliosa. 

Si era svegliata che ancora il mondo era buio, aveva fatto con diligenza i suoi esercizi ed era scesa a colazione. Aveva mangiato con Pomona che la rimproverava di aver saltato un paio d’incontri di carte, e Pamela aveva dovuto resistere dalla voglia di mettersi a ridere. Sospettava che la strega non avrebbe apprezzato la sua relazione clandestina, e meno che mai sapere che passava le serate aspettando di sentire bussare alla sua porta. Se ne sarebbe di certo uscita accusando Severus di non essere corretto nei suoi confronti, e lei di essere troppo passiva a lasciare che un altro determinasse i suoi tempi. Si era limitata a dire di star leggendo un libro che l’appassionava molto e la coinvolgeva troppo per rinunciare alle ore serali di lettura. Aveva trovato che fosse una quasi verità. 

Quando sentì bussare aprì la porta.

 

“Hagrid!” Salutò il mezzo gigante costringendo Charm a saltarle giù dal grembo. “Che ha detto Dumbledore? Ti lascerà mettere l’incantesimo?” Chiese invitandolo ad accomodarsi. 

 

Hagrid posò il corpo del reato sul pavimento, un galletto morto che attrasse la curiosità di Charm. 

“Sì, ha detto che manderà il professor Flitwick a farlo” rispose togliendosi la pesante bardatura. 

 

A colazione si erano incrociati e si erano dati appuntamento per una tisana, visto che il guardiacaccia sarebbe dovuto passare al Castello per quella scabrosa questione dei galletti morti. 

 

“Meno male, povere bestie. Anche se d’altra parte anche volpi e Spauracchi devono pur mangiare.”

 

“Possono mangiare quel che gli pare, ma non i miei galletti! Li ho visti crescere da che erano pulcini.” ribattè Hagrid mettendosi a sedere sul letto. 

 

Pamela gli riempì una tazza di tisana mentre notava con un sorriso quanto la sua camera sembrasse minuscola ora che c’era lui dentro. Il lato corto del letto era largo appena di più dello stretto necessario per fargli da seduta ed era costretto a stare un po’ piegato per non sbattere contro le travi del vecchio baldacchino. 

“Hai un gran cuore, Hagrid.”

 

“Letteralmente!” il mezzogigante scoppiò a ridere di una risata fragorosa rischiando di rovesciare tutta la tisana.

 

“No, dico sul serio. Saresti un ottimo padre. Hai mai pensato di mettere su famiglia?”

 

Pamela sorrideva, ma non sembrava stesse scherzando.

“Beh… dovrei… dovrei almeno trovare una donna della mia taglia, sai.” rispose imbarazzato. ”Non… non sarebbe, ecco… sicuro…” si schiarì la gola arrossendo. 

 

“Uhm, sì, hai ragione, non ci avevo pensato…” Pamela valutò la questione un attimo sovrappensiero. 

“Oh, quasi dimenticavo, ti ho preso una cosa per il tuo compleanno, aspetta.” Si voltò alla scrivania a frugare mentre Hagrid protestava sempre più imbarazzato farfugliando. 

 

“Non dovevi, non c’era bisogno…” diceva. Sbattè la testa contro il baldacchino alzandosi troppo di fretta. 

 

“Figurati, certo che dovevo! Anzi, mi sarei dovuta ricordare il giorno giusto, ma se non mi annoto dimentico anche come mi chiamo! Eccolo qui.” Da un cassetto era riuscita a recuperare trionfante un sacchettino di seta ricamata. Lo portò nelle grosse mani ruvide del guardiacaccia che lo strinse con occhi lucidi e commossi, fissandola senza degnare il regalo di uno sguardo.

“È… è bellissimo” balbettò commosso.

 

“Sì, ma aprilo.” ribattè ridendo divertita. 

 

Hagrid slegò il fiocco di raso rosso lasciandosi cadere sulle mani sei piccoli semi. 

 

“Sono orchidee pipistrello argentate. Attraggono diversi lepidotteri, ma soprattutto le ali di vetro giganti. Le chiamano “draghi di vetro” per quanto sono grosse e perché possono vivere oltre venti anni. Certo, possono provocare tremende allucinazioni con il loro morso, ma in genere sono molto pacifiche.” spiegò tutta eccitata. Aveva scambiato quei semi in Germania con un ragazzo della comune. In cambio gli aveva lasciato un libro di meditazioni e due boccette d’inchiostro.

 

“È… è bellissimo! Ma io non sono mai stato bravo con i fiori…” disse mortificato guardando quei semi che parevano tanto piccoli nella sua mano da potersi perdere in una piega della pelle.

 

“Forse perché non li hai mai considerati come se fossero degli animali. Eppure vivono anche loro, ricordano, vedono1... comunque ti aiuterò anche io, magari in due ci riusciamo!”

 

“Allora è un regalo ancora più bello, grazie!”

 

Pamela si ritrovò stretta in un abbraccio che avrebbe potuto soffocare una donna ben più giunonica di lei, ma era talmente felice, che non ebbe nulla da obbiettare.

 

È tutto molto commovente, ma dì al tuo amico di non muovere accuse avventate: questo pennuto non l’ha certo ucciso una volpe.

 

Pamela si allontanò appena dalla stretta per girarsi stupita verso Charm, stava per dire qualcosa, quando sentirono un trambusto fuori dalla camera. 

 

“Che succede?” Hagrid la liberò dalla stretta e andò ad affacciarsi alla porta. Dei ragazzini stavano correndo per il corridoio e si poteva sentire Peeves cantare da qualche parte, con la sua sgraziata vocetta.

 

È Potter canaglia 

che infuria e si scaglia

che uccide studenti 

e ride tra i denti 

 

“Oh, che… devo andare.” Hagrid recuperò in un attimo il suo galletto e corse fuori. 

 

Pamela, perplessa, seguì la folla di studenti cercando di capire cosa fosse successo questa volta.

 

+++

“Dimmi che non stai facendo qualcosa di stupido.”

Pamela fissò Snape sorpresa. L’aveva fermata piazzandole una mano davanti alla bocca, così di colpo, appena lei aveva aperto la porta della camera.

 

“In che senso?” 

Chiese senza capire la domanda. La cosa più stupida che le veniva in mente era proseguire quella relazione, se così si poteva chiamare.

 

“Qualcuno ha fatto sparire dalla mia dispensa del corno di Bicorno e della pelle di Girilacco.” Rispose guardandola severa, con l’aria di star muovendo delle accuse.

 

“E cosa me ne sarei dovuta fare?” Domandò Pamela stringendosi nelle spalle. “E poi non ho le chiavi della dispensa, non vedo come avrei potuto.”

 

“Se non sei stata tu devono essere stati Potter e i suoi amichetti. Devi scoprire cos’hanno in mente. La signorina Granger viene alle tue lezioni, se non mi sbaglio.” ribattè sorpassandola con un frusciare della veste nera.

 

“Non ho nessuna intenzione di leggere i pensieri della signorina Granger perché tu possa mettere in punizione tre ragazzini!” rispose indignata. “Versale il Veritaserum nel succo di mela, se vuoi.”

 

“Quei ragazzini” Snape cercava di trattenere l’irritazione nella voce ma non gli riusciva molto “potrebbero mettersi in guai molto, molto seri. Quando li troveremo morti in un corridoio per essersi messi a caccia di un mostro, quanto conterà aver rispettato la loro privacy?”

 

“Vorresti che applicassi lo stesso criterio con te?” domandò Pamela ritrovandosi ad alzare la voce a sua volta. “Pensi che non sia preoccupata per i guai in cui potresti metterti tu? Cos’è questa storia dei Malfoy? Non sono stupida, Severus, sei entrato come insegnante a Hogwarts davvero molto, molto giovane subito dopo la caduta di Tu-Sai-Chi, Dumbledore ti stava proteggendo? Pensi che non me le chieda queste cose? Ma rispetto la tua privacy e farò lo stesso con quella dei miei studenti, confidando che abbiano abbastanza sale in zucca e che si fidino a parlarmi, se dovessero averne bisogno.”

 

Rimasero un momento in un silenzio teso. Snape era diventato bianco come un cencio e serrava i denti, sembrava gelato. Pamela si rese conto di aver esagerato e fu presa dal rimorso.

“Mi dispiace…” disse in tono più dolce facendo un passo verso di lui nel gesto di accarezzargli il viso, ma lui la scostò e la sorpassò, uscendo sbattendosi la porta alle spalle. 

 

Pamela si prese la testa tra le mani con un sospiro profondo. Scosse piano i lunghi capelli sciolti sulle spalle. Fuori dalla finestra la luna quasi piena illuminava di un bianco evanescente il prato innevato e le montagne, dando al paesaggio un aspetto magico.
 


1. Pamela non sta svarionando del tutto. Se non mi credete vi consiglio di leggere S. Mancuso, Plant Revolution, Giunti editore.

 

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Capitolo 18
*** Natale ***


L'angolo dell'autrice


Eccoci qui di nuovo, e ormai è già Natale!

Abbiamo lasciato Pamela e Severus dopo una bella discussione accesa, chissà se riusciranno a fare pace rimangiandosi l'orgoglio oppure no... chissà, magari lo spirito del Natale aiuterà. 

Intanto però qualcosa bolle in pentola, in particolare in un calderone nel bagno di Mirtilla Malcontenta... 

Un abbraccio, buona lettura e fatemi sapere cosa ne pensate!


 



Per Pamela quello fu un Natale difficile. Dalla loro ultima discussione, lei e Snape non avevano più parlato. I suoi zii non si erano fatti vivi, nonostante lei gli avesse fatto recapitare i regali da Sniff già da una settimana. Solo Max le aveva risposto, con una lunga lettera davvero bella e uno schizzo del camino acceso. Aveva pianto, quando l’aveva aperta, doveva ammetterlo. Una parte di lei aveva anche pensato di lasciare tutto e andare da lui, tanto era stanca della continua tensione. La paura che si respirava nella scuola, la tensione tra la scelta di non entrare nelle teste altrui e il dubbio di star facendo la scelta sbaglia e poi tutta la faccenda con Severus… era esausta. Aveva bisogno di riposo.

Ma era Natale, il momento di darsi una lavata come si deve e scendere per il pranzo, lasciando che il ceppo di Yule finisse di consumarsi nel camino. Lanciò un’occhiata al regalo che aveva preso per Severus, già incartato da settimane sulla scrivania. Doveva decidere cosa farne, stava scandendo il tempo. 

 

A pranzo si ritrovò seduta accanto al Professor Flitwick. Lui adorava le feste, e si vedeva. La Sala Grande con i suoi dodici abeti inghirlandati, le carole dirette da Dumbledore in persona e lo schiamazzare allegro dei ragazzi, gli dipingeva sul volto arcigno un grande sorriso contagioso. 

“Non vedo l’ora di darti il mio regalo, quest’anno sono proprio sicuro di averci azzeccato!” 

Le disse tutto divertito prima ancora che arrivassero al dolce. 

“Sai, Pomona diceva sempre che ero pessimo coi regali, pessimo! E in effetti non sono mai riuscito a regalarle un vestito: sbagliavo sempre la taglia! Adesso ho capito che è molto meglio regalarle dei semi, molto molto meglio.”

 

Pamela sorrise divertita all’idea di Flitwick che cercava di regalare dei vestiti a qualcuno.

“Vi conoscete da molto, Lei e Pomona?” chiese curiosa.

 

“Sì, sì certo! Una vita intera… pensavo che voi studenti sapeste tutto dei professori!” aggiunse scoppiando a ridere. “Siamo stati insieme, io e Pom, per qualche tempo.”

 

Per poco Pamela non si affogò col brodo. Impiegò qualche minuto per smettere di tossire.

“Voi… voi siete… stati insieme?”

 

“Sì! Certo, davvero non si sa tra gli studenti? Ma pensa…” sembrava molto divertito da tutta la faccenda.

 

Pamela non riusciva a evitare di guardarlo stranita cercando di immaginare la dinamica dell’atto sessuale. Non ci riusciva in nessun modo. Non è che Flitwick non potesse avere un certo fascino, era un uomo molto gentile e molto dotto. Forse un po’ troppo gentile per i suoi gusti. Ma Pomona era una donnona piuttosto in carne, se fosse stata piccina come lei, magari… ma così era proprio un po’ strano da immaginare. Comunque se lo tenne per sé, non voleva sembrare sgarbata o dare l’idea di avere dei pregiudizi. 

 

“Comunque è successo molto tempo fa, ormai siamo solo due buoni amici.” chiarì prendendo un bel cucchiaio di brodo.

 

“E poi? Come mai non si è mai sposato?” domandò curiosa.

 

Flitwick scoppiò a ridere divertito: “Oh, cara, non l’hai notato? Con questo lavoro non sono in molti che si sposano e mettono su famiglia. Minerva, che io sappia, è stata l’unica a riuscirci. E d’altra parte stando chiusi qui dentro da agosto a giugno… non è facile conoscere qualcuno e sembrare anche un buon partito. Certo, il mio innato fascino e la mia bellezza fuori dal comune mi hanno procurato negli anni molte spasimanti, ma non ho voluto ingannarle.” 

 

Flitwick aveva un senso dell’ironia irresistibile e per un po’ le fece dimenticare qualsiasi altra cosa. 

 

+++
 

Come ogni anno, dopo il lungo e abbondante pranzo, i professori si trasferirono poco per volta nella sala insegnanti per avere un loro momento di brindisi, chiacchiere e scambio dei regali. A Pamela piaceva da impazzire quella tradizione, la trovava così calda e accogliente, che quell’anno si era prodigata con particolare cura nella scelta dei regali, li aveva collezionati tra i viaggi estivi e le visite a Hogsmeade e non vedeva l’ora di distribuirli. Era salita un momento in camera per radunarli tutti e aveva trovato per terra, proprio al centro della camera, una piccola pila di pacchi di provenienza sconosciuta e dalle forme bizzarre. Incuriosita li aveva esaminati scoprendo che uno era un regalo dei suoi zii, uno da Daniel, uno da Max e uno da Dumbledore. Gli zii le avevano fatto avere un grosso tiragraffi per Charm1, Daniel le mandava un romanzo di quelli primi in classifica sulla Daily Prophet,  Max  e un quaderno artigianale rilegato in carta di papiro e incantato per essere infinito. Il regalo di Dumbledore la lasciò perplessa: dentro a una scatola di cartone, imballata in fogli di carta perché non si rompesse, trovò un’elegante fialetta di vetro dentro cui ballava la luce bluastra di un ricordo. La accompagnava un biglietto redatto nella grafia allungata ma sobria del Preside. 

 

Quando ne avrai bisogno, il Pensatoio è a tua disposizione.

 

Pamela era una ragazza curiosa, molto curiosa. E ora si trovava divisa tra la voglia di correre nell’Ufficio del Preside, e quella di scendere in Sala Insegnanti per altri pacchi da scartare. Alla fine si decise. Ripose la fiala nella sua custodia, radunò i regali in un incantesimo che permetteva di lasciarli fluttuare a mezz’aria, lasciò dove stava quello per Severus e scese in fretta giù per le scale. Nei corridoi i ragazzi sembravano essersi dimenticati per un giorno di mostri e pericoli e scorrazzavano da una parte all’altra chiassosi, voltandosi a guardare il mucchio di regali mentre passava. 

 

+++

 

Severus aveva patito quel pranzo come ogni altra occasione mondana, forse appena di più. La discussione con la Radcliffe gli aveva, in un certo senso, tolto un peso dalle spalle: ora la sua decisione poteva trovare un appiglio più sicuro e lui si sentiva di nuovo ammantato di quell’usuale e noto velo di solitudine, rancore e autocommiserazione che lo faceva sentire a suo agio. Appena possibile, si era rifugiato nella sua stanza e si era sistemato a leggere in poltrona, aspettando che Minerva salisse come ogni Natale per un tè, il loro scambio di libri e due chiacchiere. Stava finendo il capitolo di Note a Margine Sulla Traduzione Ottocentesca di Veneni et Remedi, quando bussarono alla porta. Aprì riponendo il libro, convinto si trattasse di Minerva che si era stancata prima del solito dei festeggiamenti. Invece la Professoressa McGonagall, che di lei si trattava in effetti, era arrivata agitata. 


“La signorina Granger” lo avvertì “L’hanno portata in infermeria, ha un aspetto spaventoso.”

 

“Un’altra aggressione?” 

Chiese affrettandosi a seguirla. 

 

“No, non credo. Sembra più… sembra più un esperimento andato male, temo.” 

Ammise a labbra strette la strega. Non aveva nessuna voglia di togliere punti a Gryffindor, e dover chiamare Snape per una faccenda simile non le faceva per nulla piacere, ma d’altronde era pur sempre un ambito di sua competenza.

 

Accanto al letto della signorina Granger si erano radunati Madame Pomfrey, il Preside, Potter e Weasley (ovviamente), e la Radcliffe.

“Che cosa…?” Severus era allibito dalle condizioni della ragazzina e riusciva a malapena a trovare le parole. “Che cosa avete fatto? Siete stati voi a prendere i miei ingredienti!” Sbottò esasperato.

 

“È stata tutta colpa mia” Hermione tentava di difendere i suoi amici “Volevo dimostrare di saper fare una pozione avanzata come una Pozione Polisucco, ma mi sbagliavo…”

 

“A dire il vero la pozione è venuta fin troppo bene!” ribattè la guaritrice che faticava a non trovare buffa quella situazione e a mantenere il solito piglio austero. 

 

“Quello che avete fatto è inammissibile! Preside, mi auguro che vorrà prendere dei severi provvedimenti.” 

 

“Ma certo Severus, ma certo. Penso che la professoressa McGonagall sarà d’accordo con me nel togliere a Gryffindor cento punti per il furto dalle tue dispense.”

 

“Sicuramente!” confermò Minerva fissando Harry e Ron con severità. Hermione no, le faceva troppo senso quello strano ibrido tra due forme. Era peggio di una trasfigurazione mal riuscita.

 

“Molto bene. D’altra parte, immagino Severus che apprezzerai l’eccellente preparazione da parte di una studentessa del secondo anno di una pozione di livello avanzato.” Aggiunse il preside. “L’ambizione e la competizione contro se stessi e gli altri sono, in fondo, due caratteristiche che dovrebbero compiacere la casa di Slytherin. Per questo sento di assegnare cinquanta punti per la perfetta preparazione, e di consigliare vivamente di non ripetere l’esperimento. Soprattutto senza prima verificare l’esatta provenienza di ogni ingrediente.” a Dumbledore scappò un mezzo sorriso sotto i grandi baffi bianchi mentre fissava la signorina Granger da sopra le lenti a mezzaluna. 

 

Severus era furioso, ma non poteva permettersi di contraddire il Preside, avrebbe solo finito per sminuirsi davanti agli studenti. Restò con le labbra serrate a incenerire con lo sguardo i due ragazzini. Ora tutto gli tornava: il petardo, gli ingredienti scomparsi… l’unica cosa che ancora non sapeva era perché, ma avrebbe giurato che c’entrava la Camera dei Segreti. Lanciò uno sguardo piuttosto eloquente a Pamela, uno di quegli sguardi che, legilimens o meno, erano molto, molto facili da leggere e dicevano: “Visto? Ti avevo detto che le tue stupide remore etiche avrebbero finito per mettere in pericolo gli studenti!” 

Ma quella sciocca testarda sostenne lo sguardo senza fare una piega.
 


1. Sua zia in particolare aveva sviluppato una vera e propria adorazione per il felino. Nel breve periodo di convivenza tra loro, Charm se l’era comprata con generose fusa e lei lo aveva fatto ingrassare a suon di crocchette.

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Capitolo 19
*** Montagne russe - Febbraio ***


L'angolo dell'autrice

Ben trovati a tutti voi!

Oggi ho fatto tardino ma la comune passione con Dumbledore (la maglia) mi ha assorbita e non mi sono resa conto dell'ora XD
Spero abbiate avuto pazienza e spero verrà ben ricompensata :D

Sono molto curiosa di sapere cosa penserete di questo nuovo capitolo perché, lo devo ammettere, è stato uno dei miei preferiti ;) (sarà che adoro i capitoli con Dumbledore... ops! Spoiler)

Un abbraccio e buonalettura!

 




I giovedì sera Pamela era tornata a giocare a carte con le altre streghe. Aveva dovuto dare qualche spiegazione sulle sue assenze, ma molte meno di quanto si sarebbe aspettata. Aveva la netta impressione che la professoressa McGonagall e la professoressa Sprout non avessero creduto a mezza parola delle sue stiracchiate scuse: Pomona aveva ridacchiato dietro le carte e Minerva le aveva lanciato un’occhiataccia. 

Charity era troppo euforica nel raccontare della sua nuova indagine sul mondo babbano per fare molto caso a lei o a quello scambio. A Pamela piaceva la passione che metteva nel raccontare di quel mondo alieno eppure così vicino e finiva sempre per distrarsi dietro le sue spiegazioni e prestare troppa poca attenzione al gioco. 

 

“E quando hanno finito di montare tutta questa enorme struttura, vanno lì, salgono su questi carrellini, e si sottopongono a questo incredibile su e giù, su e giù. È per il brivido della paura, per sentire l’adrenalina. Ero curiosa, così ho provato a simularlo con la scopa, ma non è lo stesso perché il volo lo controlli tu, invece lì sei del tutto in balia di questo carrellino che sale piano piano e poi in discesa accelera di colpo.” stava spiegando tutta concitata la strega mentre distribuiva le carte. 

 

“Dev’essere una cosa terribile.” Osservò Pomona perplessa. “E pagano per una cosa simile? Non potrebbero prendere un po’ di Adereno Exolius per sentire l’adrenalina?”

 

“Non credo che i babbani conoscano l’Adereno, non è vero Charity?” chiese Sybill sistemandosi gli occhiali sul naso nel tentativo di vedere per bene le carte.

“No, decisamente.” confermò Minerva “E comunque non tutti approvano il tuo disinvolto uso di erbe, Pomona.”

 

“Beh, ma che differenza c’è tra cercare di indurre un effetto alterato di coscienza facendo su e giù su una carriola, e prendendo un buon tè? A parte che nel primo caso sprechi moltissimo acciaio, un sacco di tempo, soldi ed energie, e nel secondo caso devi solo far crescere una graziosa piantina dai fiori lilla.” ribattè borbottando la professoressa di erbologia.

 

Pamela sorrise tra sé sistemando nella mano tre carte in scala. 

“Ho provato il tè di Adereno quest’estate. È un po’ amaro e l’effetto è tremendo: ti sembra che il terreno si disintegri sotto di te di colpo e cadi in una voragine infinita. Non mi è piaciuto molto. Però la pianta è bellissima.” 

 

“È curioso che ci siano così tante cose belle in natura che sono così tanto velenose o pericolose” commentò Sybill calando un tris d’assi e una piccola scala a denari. 

 

“Beh, tutte le cose hanno la loro utilità” ribattè Pomona “L’importante è capire che cosa hai davanti e cosa è meglio non farci.”

 

“Proprio come con gli uomini.” Minerva aveva parlato con apparente indifferenza, pescando dal mazzo una carta, eppure tutte le altre streghe si erano immobilizzate a fissarla. Era molto, molto raro che Minerva McGonagall facesse un commento che lasciasse anche solo ipotizzare che si fosse accorta che nel mondo esisteva anche il sesso opposto. 

 

“Sì, immagino di sì.” confermò Pamela con un sorriso, incrociando il suo sguardo solo per un momento. Senza bisogno di leggerle nella mente, era sicura che in quello sguardo si fossero dette tutto quello che c’era da dire. 

 

+++

 

Erano passate diverse settimane da Natale e Pamela aveva trattenuto la curiosità fino a quel momento, ma un sabato non ci era più riuscita ed era andata a bussare all’Ufficio del Preside con la sua fialetta in mano. 

 

“Oh, Pamela! Vieni, vieni… posso offrirti un biscotto?” Dumbledore l’aveva accolta come quando era ancora una studentessa e lei si era sentita di nuovo a casa come non le succedeva da un po’.
 

“A dire il vero ero davvero molto, molto curiosa di vedere il suo regalo.” Aveva ammesso. “Non capita tutti i giorni di ricevere in regalo un ricordo.” 

 

“Beh, mia cara, questo ricordo appartiene assai più a te che a me. Penso potremmo quasi parlare di una restituzione. Ma guardalo tu stessa.” aggiunse andando aprendo il Pensatoio. 

 

Pamela non ne aveva mai visto uno prima e le fece un certo effetto: non erano molti gli oggetti magici tanto preziosi e rari come quello. Pochi maghi o streghe potevano vantarne uno e ancora meno erano quelli per i quali aveva una reale utilità. Davanti alle centinaia di fialette fluorescenti, in tutto simili a quella che teneva in mano lei, non poteva fare a meno di chiedersi quali e quanti ricordi fossero lì, a portata di mano. 

 

“Posso… posso chiederle una cosa?” chiese esitando un momento e voltandosi a guardarlo. Lasciò la mente libera per un momento, per poter tornare a vedere il vecchio mago con gli occhi di sempre, in tutta la limpida bellezza che l’aveva sempre tanto rassicurata. La coscienza di Dumbledore era ai suoi occhi un colore cristallino, un indaco chiaro e brillante in mezzo al quale danzavano luci e riflessi cangianti. Una coscienza da rimanere a guardare per ore. Ma il Preside non era solo questo, c’era molto di lui che rimaneva nascosto e sommerso, una vita precedente che l’aveva sempre affascinata e incuriosita e aveva reso Albus Dumbledore uno dei più grandi maghi viventi.

“Tra quei ricordi, conserva anche quelli su Grindelwald?” 

 

Dumbledore non rispose subito e qualcosa di impercettibile, come un riflesso più scuro, era cambiato nello scintillio dei suoi pensieri.

“No” disse alla fine. “No. Ci sono ricordi che preferisco conservare qui.” disse toccandosi il petto. 

 

Pamela annuì con un sorriso, decidendosi a stappare la fiala e a versarne il contenuto nel piatto. Sull’acqua iniziarono a formarsi sagome d’ombra e appena i suoi occhi vi si immersero, si ritrovò in un mondo dai contorni poco a poco sempre più definiti. Era davanti al cortile della casa della sua infanzia, accanto a lei un Dumbledore poco più giovane si era appena materializzato e avanzava per suonare al campanello. Suo padre aprì la porta con un grande sorriso.

“Preside! Non la aspettavamo prima di cena.” aveva detto. “Venga dentro, posso offrirle qualcosa?”

 

“Del succo di mela, Harvey, sarebbe perfetto!” aveva risposto entrando con la sua lunga veste ocra ricamata in argento. 

 

Suo padre si era allontanato in fretta verso la cucina: “Frances, vieni, è Albus” aveva detto a gran voce verso la porta sul retro. 

 

Sua madre era rientrata dal giardino, reggendo in braccio un fagottino avvolto in panni bianchi. 

“Che piacere! È arrivato prima…” aveva detto. “Dobbiamo ancora cucinare tutto quanto!” 

 

Dumbledore si era avvicinato sorridendole: “Non volevo ritrovarmi a lottare con tutti gli altri per godermi un po’ la piccolina” aveva risposto divertito “Ti trovo molto bene, Frances, sei radiante.” aveva aggiunto guardandola con aria di approvazione. “E questa dev’essere la piccola Pamela!” aveva aggiunto piegandosi sulla neonata e sfiorandole una delle minuscole mani cicciottelle con un dito.

 

“Vuole prenderla un po’ in braccio lei? Così posso aiutare Harvey prima che faccia esplodere la cucina.”

 

Pamela non riusciva a togliere gli occhi da sua madre, le assomigliava davvero molto, avevano la stessa bocca, gli stessi capelli, ma lei aveva gli occhi scuri e dal taglio più grande e tondo. Era bellissima, sua madre. E Dumbledore aveva ragione: era così felice! 

 

Il ricordo finì dopo un momento e Pamela si ritrovò di nuovo nell’Ufficio del Preside con il volto rigato di lacrime. 

 

“È bellissimo” ammise tirando su col naso e pulendosi gli occhi con le mani. 

 

+++

 

Severus si rendeva conto di essere uno stupido. Se ne rendeva conto perfettamente. Non era sicuro che questo andasse a sua discolpa o che aggravasse la sua situazione, ma così era. Aveva impiegato del tempo, parecchio tempo, ad accettare l’idea che si era presentata nella sua dolorosa ovvietà quella mattina, una fredda e piovosa mattina dell’inverno inglese. Come ogni sabato, dopo colazione, si era seduto alla scrivania a correggere le pile di compiti accumulate nella settimana. Con la penna in mano e il naso immerso sui fogli scarabocchiati con calligrafie indegne di una gallina, aveva passato un’ora a farsi venire mal di testa, poi aveva posato la penna. Fuori dalla finestra pioveva, una pioggia sottile e insistente, la luce grigia filtrava da una spessa cortina di nuvole e dava al parco un’aria spettrale. Eppure, da qualche parte nel bosco, c’era la radura dov’era fiorita la Mirabilis Indurantia. Lui che non aveva mai fatto caso a quel genere di cose, ora sapeva che quella notte la luna sarebbe stata nel primo quarto crescente: sembrava gli fosse diventato impossibile ignorare le date dei pleniluni. 

Aveva tamburellato appena le dita sul piano della scrivania con un gesto che nascondeva una tensione del pensiero. Alla fine si era deciso e aprì il cassetto dove aveva riposto il quaderno della Radcliffe. Era rimasto un momento a fissarlo chiuso sulla scrivania prima di riaprirlo e sfogliarlo distrattamente. Aveva segnato con un angolo ripiegato tutte le pagine che parlavano di lui e qualcun’altra perché era convinto che tra quelle righe si nascondesse il segreto dell'ossessione della ragazza. Le aveva studiate con diligenza, le conosceva ormai quasi a memoria. Avrebbe dovuto dedicare tutta quell’attenzione a risolvere altri misteri, pensava mentre i volumi di Storia di Hogwarts lo fissavano ammucchiati per terra, insieme a Antiche Casate e Linee di Sangue, Architettura Magica e Mostri e Leggende: verità e mito. Purtroppo però, era come se il piacere della lettura e dello studio gli fosse stato drenato via da settimane. Faticava a convincersi ad aprire i libri, a volte passava le sere fissando il soffitto senza riuscire a pensare a nulla e senza voglia di muovere più un muscolo, mancava di appetito. Si era chiesto se non fosse a causa di una qualche malattia, si era perfino sottoposto all’umiliazione di farsi visitare da Madame Pomfrey, la quale si era limitata a suggerirgli di passeggiare. In che modo passeggiare sotto quel cielo livido l’avrebbe dovuto aiutare? No, l’unica cosa che gli dava un dolore sottile e dolce, un dolore che lo rianimava almeno in parte, era tornare a sfogliare quel quaderno e cercare di capire. Gli sembrava che se avesse trovato il motivo della Radcliffe si sarebbe sentito meglio.

Stava valutando quell’idea improbabile, con la mano sul cuoio della copertina, quando gli era arrivata un’illuminazione. Era stato come se un’ovvietà fosse riuscita ad affiorare dallo spesso strato della negazione sotto cui l’aveva riposta e ora lo costringesse a guardarla. L’ovvietà era che, semplicemente, Pamela gli mancava. Rileggere in modo ossessivo il suo quaderno era un modo per stare con lei, un palliativo a quell’affetto a cui si era abituato. Quando non si ha mai avuto una carezza non si può capire quanta dipendenza può dare un gesto così minimo.

Aveva chiuso gli occhi con la rassegnazione della caduta. Un’ovvietà quando si presenta non si può più né ignorare né ricacciare, bisogna trovare il modo di conviverci. Per tutto il resto della giornata era rimasto in bilico tra due possibilità: infliggersi una nuova punizione e accettare il dolore di un’altra mancanza, oppure no. Era stata una lotta interiore estenuante e combattuta senza esclusione di colpi: entrambe le parti avevano schierato eserciti di notevole portata e ben armati. Alla fine però, Severus era stato debole e si era ritrovato davanti alla porta di Pamela a pomeriggio inoltrato. Aveva bussato, senza ottenere risposta. Era rimasto indeciso ancora per un momento, poi si era deciso ad andarsene. Stava per fare dietrofront, quando la ragazza era comparsa nel corridoio. Si erano fissati per un momento, poi Pamela aveva sorriso e gli era andata incontro. 

 

“Professore, ha bisogno di qualcosa?” aveva chiesto mentre lui le faceva spazio per lasciarle aprire la porta. 

 

“Sì, sì… volevo parlarle di una questione…” aveva detto schiarendosi la voce. Il sabato pomeriggio la scuola era piena di studenti, pronti a comparire all’improvviso da dietro l’angolo, e voleva evitare di sembrare del tutto idiota.

 

“Certo. Prego, si accomodi.” Pamela lo aveva lasciato entrare prima di richiudere la porta.

 

In mezzo alla stanza Severus si sentiva ancora più in imbarazzo che nel mezzo del corridoio. Si schiarì di nuovo la voce. Non aveva minimamente pensato a cosa dirle.

“Spero si renda conto che avevo ragione e che dovrebbe decidersi a usare le sue capacità per trovare il responsabile di queste aggressioni.” disse a testa alta.

 

“No, continuo a pensare di avere ragione io” rispose Pamela stringendosi nelle spalle. 

 

“La sua cocciutaggine finirà per costare la vita a qualcuno!” sbottò esasperato. “Dovrebbe prendersi la responsabilità di fare…” 

 

“Severus” lo interruppe la ragazza con una dolce fermezza da vera insegnante, “saltiamo i convenevoli. Di cosa volevi parlarmi?”

 

L’uomo si zittì di colpo distogliendo lo sguardo. Aveva l’impressione che la faccia gli stesse andando a fuoco per la vergogna. 

“Volevo… volevo parlarti.” Ammise con un mattone che non si toglieva dal petto. “Parlarti e basta.”

 

“D’accordo. Allora magari metto su una tisana. Accomodati.” disse indicandogli la poltrona. Andò a sistemare al suo posto la fialetta del ricordo a prendere la teiera.

 

“Cos’è quello?” Severus aveva visto il regalo di Dumbledore e ora la guardava sospettoso.

 

“Nulla, il Preside mi ha regalato per Natale un suo ricordo dei miei genitori, una cosa gentile.” rispose la ragazza riempiendo d’acqua la teiera e dandole un colpo di bacchetta per portarla a temperatura. 

“A proposito, già che sei qui…” Lasciò sulla scrivania la teiera con l’erba in infusione aprendo un cassetto e porgendogli il pacchetto che non gli aveva dato a Natale. “Vero che ormai è anche il tuo compleanno…” commentò con un sorriso. 

 

“Grazie…” Severus si sentiva sempre più in imbarazzo ogni momento che passava. Aprì il pacchetto sentendosi goffo e ritrovandosi in mano una prima edizione de La Vraie Historie du la sorcière Seraphine. Aprendolo gli cadde in mano un foglio piegato in due.

 

“Quello è un pensiero mio, puoi anche leggerlo dopo se vuoi.”

 

Severus annuì rimettendo il foglio nella prima pagina senza aprirlo. “Grazie.” disse di nuovo senza sapere bene che altro dire. Pamela gli aveva preparato una tazza fumante e ora gliela stava mettendo in mano. 

 

“Severus, senti, io mi rendo conto che per te questa situazione non sia facile.” Pamela era rimasta in piedi osservandolo seria. “Non voglio metterti nessuna… nessuna pressione: puoi sparire e tornare tutte le volte che vuoi, non servono spiegazioni. E se vuoi possiamo anche solo bere tisane e parlare di libri, va bene per me. Insomma, andrebbe meglio altro, ma anche così va bene. Però ci tengo che tu capisca che puoi decidere tu, io ci sono, ci sono in ogni caso e in ogni modo perché penso che ne valga la pena.”

 

“Non è così.” Severus aveva risposto con un nodo in gola. “Non ne vale la pena e ho… ho il terrore che tu te ne renda conto.” aveva ammesso deglutendo a vuoto. Era difficile evitare di essere sincero davanti a lei, era maledettamente difficile. 

 

Pamela aveva scosso la testa con un sorriso: “non mi sbaglio sulle persone, non è nella mia natura.” aveva ribattuto. “Anche se non posso leggerti nella testa, vedo lo stesso quello che sei e, credimi, ho una lunga lista di tutte le cose che ti rendono insopportabile pronta nella testa. Ma ne vale comunque la pena. Mi farai in frantumi, mi fai in frantumi di continuo, ma va bene lo stesso anche se non so spiegarti perché, so che va bene lo stesso.”

 

Severus si era passato una mano sugli occhi con un sospiro. Aveva posato la tazza sul mobile e si era alzato. Fermo davanti a lei, guardandola con i tristi occhi seri, le aveva accarezzato piano la guancia e poi, lentamente, si era chinato a baciarle piano le labbra. C’era un’intimità morbida e disperata in quel bacio, qualcosa di nuovo. Pamela aveva risposto con un sorriso fissandolo, pronta ad accettare qualsiasi conclusione. Invece avevano ripreso a baciarsi, lasciandosi scivolare in un’atmosfera più calda, più sicura. Per la prima volta sentì le mani dell’uomo infilarsi sotto gli strati di vestiti fino alla pelle della sua vita. Niente di più, ma quel contatto era la più profonda novità a cui avessero mai accennato e quei baci erano la cosa più piena di desiderio che avesse mai provato e mai, mai lo aveva sentito così disposto a lasciarsi andare. In un momento di respiro in cui erano rimasti a fissarsi, accaldati e sull’orlo del burrone, Pamela aveva pensato che quelle erano le più belle montagne russe che potessero esistere.

 

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Capitolo 20
*** Nuovi Inizi - Febbraio ***


“Signorina Granger! Che piacere rivederla a lezione!” 

 

I ragazzi stavano entrando in aula poco per volta, portandosi dietro un po’ di quel trambusto che imperversava in quei giorni nella scuola. Lockhart, con quella sua idea di San Valentino stava creando non poco scompiglio e una certa febbre di relazioni sembrava essere scoppiata tra tutti. A quanto pareva gli ormoni adolescenziali dei ragazzi erano suscettibili a enormi fiori rosa di scarsissimo gusto, e a coriandoli a forma di cuore che finivano per inzupparsi nel tè. Pamela era abbastanza sicura che i nani con le ali dorate che vagavano cantando brutte filastrocche non potessero invogliare nessuno a fare altro che scappare. Eppure tutti avevano una febbrile frenesia d'accoppiamento, nemmeno fosse già Primavera. Invece fuori continuava a fare un freddo terribile e la luce fosca che entrava dalle vetrate metteva voglia di restare nel letto fino a tardi, sotto a morbide coperte calde. Solo Pamela e Hagrid continuavano a uscire all’aria aperta senza bisogno della scusa del Quidditch. La ragazza aveva preso l’abitudine di andarlo a trovare alla capanna, bere un tè e poi aiutarlo coi fiori. A volte passeggiavano fino al lago con Zanna che correva intorno, altre volte Hagrid la portava a vedere nuovi sentieri nella Foresta e intanto il mezzogigante parlava quasi senza sosta di qualsiasi cosa. A Pamela rilassava moltissimo ascoltarlo parlare. 

 

“Grazie” Hermione le sorrise abbassando lo sguardo, si vergognava ancora del suo incidente. 

 

Si era fatta quasi un mese e mezzo in infermeria, povera, e ogni tanto Pamela era passata a trovarla, forse nella speranza che le dicesse la verità su quello che era successo. Quasi sempre aveva trovato lì con lei sia Potter che Weasley e, forse per questo, Hermione non le aveva detto nulla. Ogni tanto aveva pensato di dar ragione a Severus e scoprire da sé quello che le mancava di sapere, ma poi aveva deciso di lasciare stare. Doveva vincere la terribile curiosità e la preoccupazione per quella situazione e imparare a dare fiducia alle persone intorno a lei, o non avrebbe mai smesso di spiarne i pensieri. 

 

Appena tutti ebbero preso posto sui banchi dell’aula di Divinazione, con un gesto della bacchetta Pamela fece cadere le pesanti tende di velluto a coprire la luce. Con un altro gesto accese le candele.

 

“Quello che vi propongo di fare oggi è un lavoro di espressione e conoscenza. Davanti a voi vedete un foglio bianco, vi invito a prendere le vostre penne e l’inchiostro. Ora faremo una meditazione guidata in cui vi porterò a vedere qualcosa. Quello che vi chiedo di fare, dopo, è di trovare un vostro modo per mettere su quel foglio quello che avete visto. Potete scriverlo, potete disegnarlo e se volete io ho portato dei pennelli e dei colori.” disse indicando il tavolo che le faceva da banco. “Questo tipo di pratica ci aiuta a riconnetterci con la nostra parte espressiva: da qui fino alla fine dell’anno lavoreremo esattamente su questo. Fino ad oggi abbiamo cercato di scendere in profondità verso noi stessi, di vederci con maggior chiarezza, ora cerchiamo di esprimere noi stessi. Questa doppia fase coincide con la stagionalità: nell’autunno si scende verso il profondo, con il passare dell’inverno e l’avvicinarsi della primavera, poco per volta si risale e si va verso l’esterno. All’interno della stagionalità c’è un’altra ciclicità da considerare: quella lunare. In luna calante ci si ritira verso se stessi, in luna nuova poco per volta si esce. Dunque il solstizio d’inverno è il momento più introspettivo dell’anno, proprio come il novilunio è il momento più introspettivo del ciclo lunare. Il plenilunio, così come il solstizio d’estate, è il momento della raccolta di ciò che è stato seminato. Se volete della bibliografia su questi temi, potete chiedermela a fine lezione. Bene, ora entriamo nel vivo: chiudete gli occhi e iniziate a concentrarvi sul vostro respiro.”

 

Una delle difficoltà che Pamela aveva dovuto affrontare quell’anno era il ritrovarsi una classe in cui metà degli studenti avevano già seguito il corso l’anno precedente, l’altra metà no. Questo rischiava di rendere ripetitivo il lavoro per alcuni (anche se quel tipo di lavoro sarebbe stato da ripetere all’infinito per chiunque) o un po’ troppo impattante per altri. Anche solo nel pensare le meditazioni guidate doveva stare molto attenta a non rischiare di far scendere troppo in profondità persone non pronte. Non era una mediazione facile da trovare. Per l’anno prossimo voleva provare a parlare a Dumbledore per pensare a due corsi su differenti livelli, divisi non tanto per anno, ma attraverso un piccolo test pratico a inizio settembre. 

Ora però non era così. Con voce calma iniziò a far scendere i ragazzi dentro il loro potere, attraverso immagini tranquillizzanti e piane, li fece cadere poco per volta dentro loro stessi. Non era nulla di eccessivo, ma entrare a contatto con la propria magia poteva spaventare, succedeva a molti. In genere però nessuno reagiva come reagì Ginny Weasley quella volta. 

La ragazzina iniziò a piangere sommessamente e Pamela pensò di lasciarla proseguire per vedere se se ne tirava fuori da sola, ma in un momento quel pianto divenne un singhiozzare disperato e a dirotto. Interruppe immediatamente tutto. Gli altri ragazzi si era voltati a guardare Ginny preoccupati e Shira Randall, Hufflepuff, si stava già alzando per andare a consolarla. Pamela la bloccò con un gesto deciso.

 

“Tutti ai propri posti” intimò decisa avvicinandosi a Ginny che continuava a piangere con il volto contratto in una smorfia disperata. Si sedette sulla panca accanto a lei, immobile, calmandosi. Quando sentì che il proprio cuore era del tutto in pace, molto delicatamente le posò una mano sulla spalla. Ginny reagì con uno scatto spaventato ma poi si lasciò prendere la spalla.

“Ginny, apri gli occhi.” le disse con gentilezza.

 

La ragazzina scosse la testa con un gesto disperato. I lunghi capelli rossi tenuti fermi da due mollettine si scossero tutti finendole sulla faccia bagnata e restandoci impigliati. Ginny non riusciva nemmeno a respirare, tutta scossa dal pianto.

 

“Ginny, tesoro, se apri gli occhi puoi tornare qui, ma devi riuscire ad aprire gli occhi. Qui sei al sicuro, va tutto bene. Devi solo aprire gli occhi.” Aveva preso ad accarezzarle piano piano la schiena e, di colpo, Ginny aveva sprofondato la faccia addosso al suo maglione nascondendoci la faccia. Pamela l’abbracciò iniziando a piangere a sua volta, ma un pianto calmo e tranquillo che non le incrinava la voce.


“Apri gli occhi, adesso. Sei al sicuro, va tutto bene.”

 

Ginny si decise ad aprire gli occhi dentro quell’abbraccio e all’improvviso le si riaprirono i polmoni. Prese fiato respirando con la bocca finalmente sbloccata dallo spasmo muscolare. 

 

“Brava, Ginny, molto brava. Shira, gentilmente, trovi un fazzoletto per Ginny? Grazie. Bene, ragazzi, oggi abbiamo visto qualcosa che può succedere molto facilmente in questo tipo di esercizi.” Pamela continuava a tenere Ginny tra le braccia lasciando che finisse di calmarsi poco per volta. “Non avete idea di quanti e quali maghi e streghe impieghino a volte anche mezz’ora prima di riuscire a riaprire gli occhi, quando si trovano in certi spazi. Quello che può fare chi li accompagna è, molto gentilmente, stargli accanto e cercare di riportarli nella realtà presente. Grazie Shira.” Pamela recuperò il fazzoletto porgendolo a Ginny che si soffiò sonoramente il naso e si asciugò gli occhi. “Hai voglia di parlare con qualcuno di noi di cos’è successo?” Ginny scosse decisa la testa.

 

“D’accordo. Hai voglia di andare a farti fare una bella cioccolata calda? Vuoi andare con qualcuno?” 

 

Ginny annuì: “Posso andare con Shira?” 

 

“Shira, ti va di andare con lei?”

 

“Certo”

 

“Perfetto, allora andate a prendervi due belle cioccolate, dite che vi mando io, d’accordo? Poi, Ginny, se hai voglia passa pure qui e facciamo due chiacchiere io e te, va bene?” 

 

La ragazzina si alzò annuendo. 

Ginny Weasley era una ragazzina introversa e Pamela aveva sempre avuto l’impressione che stesse patendo molto quel primo anno. Nonostante avesse ben quattro fratelli più grandi nella scuola, sembrava sempre sola, sempre in disparte, con questo faccino pallido sempre più triste e smunto. Per quanto qualche difficoltà i primi mesi fosse un fatto molto diffuso e del tutto normale, Pamela iniziava a pensare che fosse il caso di fare qualcosa. Ora però Ginny era uscita e lei doveva pensare al resto della classe.

 

“Bene, visto quello che è successo, propongo a tutti un momento di coascolto su come ci siamo sentiti in questa circostanza” disse alzandosi dal banco e tornando al centro della classe.

 

+++

 

La fortuna non esiste. Questo era sempre stato il pensiero di Tom. Le grandi forze che governano la vita non lasciano mai nulla di intentato per vincere la loro battaglia eterna e portano le pedine migliori proprio lì dove dovrebbero stare. 

Ecco perché non si era stupito affatto quando Harry Potter in persona aveva aperto le sue pagine riversando inchiostro sulla filigrana della pergamena. 

Harry Potter: Ginny Weasley aveva raccontato fin troppo di lui, era come se potesse vederlo fin nei più piccoli dettagli ancora prima di conoscerlo. Così ora era facile parlare con lui, facile sapere quali corde toccare e come portarlo a pensare ciò che lui voleva che pensasse. Doveva essere paziente, doveva essere furbo e conquistarsi poco a poco la sua fiducia. Quel gioco lo divertiva, finalmente si trovava davanti al grande mistero della sua stessa sconfitta: come aveva fatto quel bambino, un neonato, a metterlo in scacco? Come? 

Se fosse riuscita a capire, quando fosse risorto non avrebbe più avuto alcun rivale.

 

+++

 

La sera a cena c’erano stati momenti di un certo imbarazzo: bigliettini erano volati per tutta la Sala Grande, aprendosi davanti al muso dei malcapitati per declamare sdolcinate poesie stantie sullo sfondo di orrendi buquet di fiori rosa appesi sulle pareti. I nani con le ali dorate si erano dati alla fuga, sostituiti da puttini alati a cui Lockhart aveva dato vita e che svolazzavano da una parte all’altra ridacchiando e lanciando frecce dorate che s’infrangevano sul petto degli studenti in uno sfolgorio di polvere sberluccicante. Le prime volte la sala aveva lanciato esclamazioni entusiaste, poi tutti avevano notato quanto fosse scomodo tentare di cenare con piccoli arcieri alati che ti tenevano sotto tiro. Quando uno di questi cosi si era avvicinato a lui, Severus doveva averlo fulminato con un tale sguardo da farlo desistere e ripiegare verso Hagrid che, come Pamela, sembrava divertirsi immensamente per tutta quella buffonata.

La Radcliffe non aveva smesso di divertirsi nemmeno quando un bigliettino canoro le era arrivato davanti declamando versi sul bagliore della luna e delle stelle che avrebbero fatto rivoltare nella tomba qualsiasi scribacchino da tre soldi. Con una risata aveva preso il biglietto, arrivato da uno studente minorenne quindi gravemente inappropriato, e se lo era messo in tasca ripiegato. Severus non aveva commentato alzando gli occhi al cielo, ma aveva apprezzato quando, una volta soli, lo aveva lasciato con noncuranza bruciare nel camino.

Severus la stringeva contro di sé baciandola con un calore diventato calmo e profondo. Sciolta la tensione tra l'andare e il restare, quei loro incontri erano diventati dolci e leggeri. Parlavano sempre un poco, per lo più discutendo le loro letture o di quello che succedeva a Hogwarts. Sembrava che Snape le avesse perdonato la sua decisione di non usare le sue doti e ora stava portando avanti indagini per conto proprio, convincendo ragazzi della sua casa a fare da spie al suo servizio in cambio di qualche sconto a lezione. Pamela non approvava, ma non disapprovava nemmeno. Dopo la scenata di Ginny, era stato bello pensare di potersi permettere quel momento di confronto, avere qualcuno ad ascoltarla che non fossero quelle pazze delle ragazze (era così che aveva iniziato a chiamare tra sé Pomona, Minerva, Charity e Sybill). Severus si era rivelato stranamente acuto nell'osservazione della più piccola dei Weasley, Pamela avrebbe pensato che non sapesse nemmeno di chi stavano parlando, invece non solo lo sapeva, ma conosceva le sue fragilità e, a modo suo, aveva cercato di aiutarla affiancandola a lezione a uno Slytherin problematico, indisciplinato e che cercava di guadagnarsi lo statuto di capetto incondizionato del suo anno. 

 

"Una ragazza così ha bisogno di essere tolta dalla bambagia di mamma e imparare a difendersi. Prima lo fa, meglio è." Aveva sentenziato. 

 

Era stato allora che Pamela lo aveva baciato. Le faceva così tanta tenerezza quando diceva certe idiozie! E poi avevano preso fuoco in un momento. Forse era perché iniziavano entrambi a sentirsi più sicuri, ma ogni volta che si vedevano sembrava che quel fuoco diventasse allo stesso tempo più pacifico e più profondo, più caldo e costante nel suo crescere e alimentarsi. Da quando iniziavano a toccarsi, accarezzandosi il volto e le mani mentre le labbra si assaporavano, a quando lentamente riuscivano a staccarsi, passava sempre più tempo. 

 

Pamela aveva rinunciato a portare la canottiera di lana perché a lui venisse poi facile raggiungerle la pelle sotto i vestiti e ora dalla vita la stringeva vicina. Per la prima volta la ragazza si arrischiò a scendere a baciargli la pelle sottile del collo, scostando appena il foulard che glielo copriva.. Dalle sue labbra sentì uscire un nuovo suono, un sospiro basso e caldo che la fece eccitare al punto da farle perdere la solita cautela. Si allontanò di un passo guardandolo con occhi lucidi di malizia e si sfilò in un colpo maglione e maglietta, restando in reggiseno prima di tornare ad avvicinarsi. Lasciò che lui le sfiorasse la pelle con la punta delle dita, quasi avesse paura che scottasse. Mentre lui la esplorava in quel modo, quasi ipnotizzato dalla curva morbida dei seni, dalla delicatezza della pelle, lei iniziò a sbottonargli la blusa. Quando se ne rese conto, Severus indietreggiò di un passo, uno spavento improvviso negli occhi.

 

“Cosa c’è?” chiese Pamela perplessa. 

 

“Non posso…” Severus fece un altro passo indietro, ma le gambe si scontrarono con il bordo del letto e finì per caderci seduto. “Non posso.” ripetè prendendosi d’istinto il braccio. 

 

Pamela restò un momento in silenzio a guardarlo, il rumore del camino scoppiettante ad accompagnare i pensieri di entrambi. Poi, molto piano, Pamela si avvicinò accucciandosi di fronte a lui. Gli prese le mani tenendole nelle sue. 

“Che cos’è che non puoi?” chiese fissandolo. 

 

Severus deglutì a vuoto alzando un po’ la testa e recuperando fierezza. 

Cosa non poteva? 

Non poteva tradire Lily, tanto per iniziare. D’altro canto, lei era morta da anni dopo aver sposato un altro e, comunque, quello non sarebbe stato esattamente tradimento. 

Non poteva spingersi troppo oltre, non sarebbe riuscito a controllare la sua mente e Pamela avrebbe potuto leggere tutto.

Ma per il resto, era in fondo sicuro che lei non sapesse già qualcosa? Gli aveva fatto quelle domande su Lucius e i ragazzi sapevano, forse non tutti ma molti sapevano. Per non parlare di Minerva e di quella pettegola della Sprout. Lei sapeva già tutto, stava prendendosi gioco di lui. Bene, le avrebbe fatto vedere lui: cosa gli importava, in fondo del suo giudizio?

Senza dire una parola si alzò in piedi facendola spostare, si tolse il mantello poggiandolo con ordine sulla poltrona, si sbottonò la blusa riponendola nello stesso modo e restando con la sola camicia bianca. Sbottonò anche il polsino della manica e la arrotolò fino al gomito. 

 

Pamela restò per un secondo con la sensazione di aver appena ricevuto un pugno nella pancia. Il Marchio Nero era lì che la fissava come un’ ombra gelida dal passato. Fece per dire qualcosa ma non ci riuscì. Avrebbe dovuto capirlo, era ovvio. Ovvio e semplice da vedere, ma lei non se ne era resa conto. 

“Il Preside lo sa?” riuscì a chiedere alla fine.

 

Severus la fissò sorpresa cercando di trattenere una risata.

“Ovviamente” si limitò a rispondere, stupito nel rendersi conto che lei davvero non ne avesse idea. “Non solo lui, mio malgrado. È una voce che gira anche tra gli studenti.” Tagliò corto rimettendo a posto la camicia e restando un attimo indeciso su cosa fare. Alla fine decise di tornare a sedere sul letto. Pamela si alzò da terra e gli si mise di fianco, ma senza guardarlo, fissava il pavimento.

“Ero un ragazzo, ho fatto una scelta stupida e… e l’ho pagata tutta, tutta.”

 

“Per questo Dumbledore ti ha preso in docenza anche se non avevi completato gli studi, per evitarti Azkaban.” 

 

Pamela aveva la voce fioca e quasi senza espressione, gli fece impressione sentirla così.

“Sì.”

 

“E per questo conosci Malfoy…” Pamela si prese il volto nelle mani. Avrebbe voluto non aver visto nulla, non rendersi conto di nulla. Sarebbe stato molto più facile. “Come… come hai fatto a fare una cosa del genere?” Sbottò alla fine voltandosi a guardarlo esterrefatta. “Come hai fatto a fare una cosa stupida? Quella gente è pazza, è del tutto pazza! Come puoi credere davvero alla supremazia dei maghi, al sangue puro…”

 

“Non me n'è mai importato niente!” la interruppe di colpo alzandosi dal letto nervoso. “Sono mezzosangue, mio padre era babbano, non ho mai creduto a una parola di quelle follie! Ero solo… ero solo molto… frustrato e furioso e… e il potere e la rabbia di quella gente erano una calamita. Volevo solo… volevo solo prendermela con qualcuno e avere un mio posto da qualche parte.” borbottò chiudendosi nelle spalle, girato verso il camino a darle quasi la schiena. Non ne aveva mai parlato in quel modo a nessuno. Con chi avrebbe dovuto parlarne? Ora che ci pensava nessuno gli aveva mai chiesto perché.

 

“E adesso perché i Malfoy? Perché hai ancora contatti con loro?” Pamela cercava di credergli e di capire, voleva con tutto il cuore credere che fosse un brutto ricordo del passato, ma non era facile. 

 

“È complicato.” Severus chiuse gli occhi con un sospiro.

 

“Semplifica! Porti addosso il marchio di chi ha ucciso la mia famiglia e sei loro amico! Ti rendi conto di cosa vuol dire per me?” 

A Pamela si spezzò la voce. Non avrebbe voluto, ma stava iniziando a piangere, di dolore, di rabbia, di frustrazione.

 

“Dumbledore…” rispose esitante senza smettere di fissare il fuoco. “Dumbledore mi chiese di mantenere i contatti con loro. Disse che dovevo convincerli che mi ero fatto assumere qui per controllarlo, nel mentre controllare loro. Dovevo diventare quanto più intimo possibile con la famiglia Malfoy e chiunque altro portasse il Marchio, dovevo riferire a lui ogni loro mossa. Così ho fatto.” Si sentiva sporco anche solo a raccontare quella vicenda. 

 

“D’accordo” Pamela si pulì gli occhi tirando su col naso. Gli credeva. “D’accordo. Grazie di avermelo detto.” prese un respiro profondo e cercò di tacitare i pensieri per lasciare parlare tutto il resto. “Vuoi venire qui un momento?” chiese alla fine. 

 

Severus annuì prima di tornare a sedere accanto a lei, le mani una nell’altra sul grembo e gli occhi fissi sul pavimento. Sentì la mano di Pamela sulla schiena che lo accarezzava in un gesto di conforto. Forse sarebbe dovuto essere lui a consolare lei. Si voltò a guardarla, aveva gli occhi di chi ha appena pianto, ma sorrideva fissandolo. 

“Mi dispiace.” Non sapeva che altro dirle.

 

“No, va bene. Tutti fanno degli errori, anche dei grossi, grossi errori. È passato, ti ha reso quello che sei.” dalla schiena passò la mano sul suo viso. “Io amo quello che sei.” ammise seguendo con la mano la linea del suo volto e fissandolo nei tristi occhi scuri. 

 

Esitando appena, Severus tornò a baciarla, cercando nelle sue labbra un’assoluzione impossibile.
 


L'angolo dell'autrice

Boom baby! (come dice la mia amata beta) 

Pamela ha avuto una bella botta :) Però ha incassato bene, voi cosa ne pensate?

Un abbraccio grande a tutti voi che continuate a seguire la storia :*

 

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Capitolo 21
*** Cercando di andare oltre - Marzo ***


L'angolo dell'autrice

Buonasera nottambuli!

Wow, oggi mi ritrovo a pubblicare che è già domani! Mi dispiace, questa fase 3 mi richiederebbe una giratempo per riuscire a venirne a capo con dignità, invece ho solo le mie vecchie care 24 ore... comunque, se avete avuto pazienza, o se siete degli insonni sarete ricompensati ;) per tutti gli altri sarà un bel regalo domattina, almeno spero :D

P.S. attenzione, scene non adatte a un pubblico non avvezzo a scene di nudo, sappiatelo ;) 


 



L’inverno stava lentamente passando, si sentiva nell’aria il profumo dei nuovi inizi, anche se ancora insistevano lunghe giornate di pioggia e il freddo nei prati. 

Ormai da due mesi abbondanti non si ripetevano altre aggressioni all’interno del Castello e Pomona Sprout assicurava che presto le mandragore sarebbero state abbastanza grandi da permettere di riportare alla normalità tutti i pietrificati. Lockhart sembrava sinceramente convinto che l’erede di Slytherin si fosse spaventato della sua presenza e vagava vantandosene come il più stupido dei pavoni. Severus aveva chiesto ad alcuni della sua Casa di ascoltare qualsiasi voce girasse tra gli studenti e riferirgliela, con scarsi risultati. Si era persuaso, quasi del tutto, che non potesse trattarsi di Potter, non dopo l’incidente con la pozione Polisucco della signorina Granger: era abbastanza sicuro che quei tre idioti stessero cercando a modo loro di risolvere quella faccenda e che rischiassero di infilarsi in un mare di guai. Non riusciva a capire perché Dumbledore non facesse qualcosa di concreto per scoprire cosa stesse succedendo, perché non chiedesse lui a Pamela di leggere la mente degli studenti. Era sicuro che a lui avrebbe dato ascolto. 

Dopo l’ultima riunione degli insegnanti, si era fermato e aveva tentato di suggerirglielo, ma il Preside era stato ancor più inamovibile della ragazza: sosteneva di non poter violare la privacy dei suoi studenti, nemmeno in quelle circostanze. 

 

“I ragazzi, Severus, tutelare i ragazzi sempre, questo dev’essere il nostro scopo, in ogni occasione.” aveva detto porgendogli il vassoio coi biscotti rimasti dopo la riunione.

 

“E lasciarli in balia di un mostro che vaga indisturbato per il castello li tutela? C’è una legilimens tra di noi per un motivo, o vuole convincermi che è qui perché è una brava insegnante?” aveva ribattuto mentre il Preside si metteva in bocca un frollino coperto di zucchero a velo masticandolo deliziato. 

 

“Non è mia intenzione convincerti di nulla, ma sono contento che inizi ad apprezzare la sua presenza. Stai cambiando, Severus, e per una volta in meglio: stai diventando un uomo.” 

 

Severus aveva aspettato un momento a ribattere. In piedi, con le mani poggiate allo schienale della poltrona di fronte a quella dove sedeva Dumbledore, lo aveva osservato con attenzione. 

“Immagino che la privacy sia importante solo fin tanto che appartiene agli studenti.” aveva commentato acido. 

 

“Ti sbagli, ma sono troppo vecchio per non accorgermi di certe cose. Sei sicuro di non volere un biscotto?” aveva insistito prima di prendersi anche l’ultimo “Ad ogni modo sono contento: avrei detto che impiegasse più tempo ad accettare il passato. Per te dev’essere stato un passo molto difficile, sono felice che ti sia tolto questo peso dalle spalle.” 

 

Severus non aveva risposto, ritrovandosi con le nocche livide per la voglia di rompere il vecchio legno della poltrona. Lo avrebbe incenerito con lo sguardo se avesse potuto, ma non poteva. Così si era limitato ad andarsene sbattendo la porta. Per Dumbledore era un gioco, uno spettacolo divertente. Per lui era l’ennesima strada in salita della sua vita, forse una delle cose più sconsiderate ed esaltanti che avesse mai fatto, di certo una delle più vere e belle. C’erano un’euforia e un brivido oltre misura nel ritrovarsi nudi davanti a un’altra persona, a una donna che lo guardava e lo toccava con quella dolcezza. Sentiva che iniziava a diventarne dipendente e questo gli faceva paura. 

 

+++

 

Per grande sfortuna del destino, o per grande fortuna, il compleanno di Sybill era coinciso proprio con una delle riunioni settimanali nell’ufficio di Dumbledore. Siccome tutte sapevano quanto la veggente in fondo ci tenesse ad essere festeggiata, si erano messe d’accordo per finire la serata in camera sua, con l’apertura dei regali e quattro chiacchiere intorno al caminetto. Una cosa non troppo lunga, vista l’ora. 

Pamela le aveva trovato un mazzo di oracoli intuitivi1 che le aveva fatto molto piacere regalarle e Sybill era talmente commossa nell’aprire i regali da aver dovuto togliersi gli occhiali per asciugarsi il viso in più di un’occasione. Perfino Minerva aveva finito per abbracciarla, tanto sembrava piccolina e fragile. Si erano fatte una bella tisana mettendo da parte i regali, avevano chiacchierato un po’ per far scemare l’emozione e poi si erano ritirate ognuna nelle proprie camere. Quasi tutte almeno, perché Pamela aveva virato verso la camera di Severus bussandogli alla porta. 

Forse si stava abituando lei, ma aveva l’impressione che poco alla volta quella stanza si stesse scaldando, forse anche perché un paio di volte si erano visti lì. Anche il gufo bisbetico che dormiva nella sua gabbia le sembrava stesse iniziando a guardarla in modo meno torvo e risentito quando entrava. 

 

“Avete finito presto” Severus le aprì la porta lasciandola entrare.

 

“Erano tutte piuttosto stanche e io avevo altro da fare.” Pamela aveva risposto con un sorriso allo sguardo torvo. “E poi ero preoccupata che ti addormentassi” 

In realtà Severus non si era ancora nemmeno cambiato, si era solo tolto il mantello, appeso all’attaccapanni dietro la porta. 

 

“Ho cercato di far ragionare Dumbledore, ovviamente senza risultato.” rispose con un sospiro spazientito. “A questo punto non possiamo che sperare non ci siano altre aggressioni. Il Consiglio è agitato e sono certo che Malfoy non mancherà di sfruttare la situazione per indebolire la posizione del Preside se ne avrà l’occasione.”

 

Pamela lanciò un’occhiata alla scrivania dove una pergamena redatta con eleganza aspettava appena aperta. Le faceva tenerezza che, in un modo suo e assai strano, Severus si preoccupasse per Dumbledore e cercasse in fondo di proteggerlo. Gli si avvicinò prendendogli il volto nelle mani e scostandogli i capelli dal volto.

 

“Adesso basta pensare a queste cose” disse prima di baciarlo. 

 

Si tolsero a vicenda i vestiti prima di ritrovarsi nudi sul letto. Pamela conosceva le regole, ma rispettarle diventava difficile quando si ritrovava la sua pelle nuda tra le mani, quando si baciavano rincorrendo con le dita le forme dei corpi avvinghiati, una sua gamba tra le sue cosce, la sua erezione a premerle contro il ventre. La prima volta era stato così impacciato, così in imbarazzo che si era sentita lei la donna matura a doverlo guidare, ma ora diventava ogni volta più uomo e lei iniziava a lasciarsi andare. Quell’energia saliva in un attimo e diventava un vortice difficile da far scendere, così gli aveva insegnato a toccarla in mezzo alle gambe, a lasciar scivolare dentro di lei le dita, nel caldo vivo del suo corpo. Ora lo faceva baciandole il collo, ora prendendole tra le labbra i seni e a lei bastava quella connessione tra i corpi per iniziare a intravedere i colori della sua coscienza, me percepirne la corrente e i flussi. In quei momenti la sua percezione era talmente aperta e rivolta a lui che era come se il mondo collassasse su di loro. Lo fermava sempre prima di oltrepassare il limite perché non voleva venire a quel modo. Quel orgasmo di rilascio non faceva bene alla magia e lei non ne aveva bisogno. 

Anche quella sera gli bloccò la mano. Con un sorriso accaldato lo ribaltò sulla schiena salendogli cavalcioni sul petto. Si chinò a baciarlo e ad accarezzargli il viso con dolcezza. Le piaceva stare a quel modo, persa nei suoi occhi a recuperare fiato e controllo. Poi si lasciò scivolare lungo il suo corpo fino a baciargli il pube, uno dei pochi punti dove sottili peletti ricciuti facevano la comparsa su un corpo quasi glabro. La promessa era che in quei momenti, la sua mente sarebbe rimasta ben chiusa, così Severus poteva lasciarsi andare, finalmente, mentre lei lo accoglieva tra le labbra, lasciandolo scendere fino in fondo alla gola. Lo bagnava lasciando colare la saliva per poterlo tenere nella mano e farla scorrere umida a ritmo della bocca, si prendeva cura del suo piacere rispettando quell’accordo e accettando con pazienza che ancora lui non la volesse nella sua mente, non volesse farsi vedere fino in fondo. Sapeva che già accettare quel livello di intimità doveva essere stato più che arduo e non voleva forzare la mano. Anzi era stupita di quanto lui riuscisse ad affidarsi a lei nel corpo, di quanto si fosse subito lasciato andare. La prima volta che glielo aveva preso in mano, l’aveva respinta, per poi ritrovarsi a venirle addosso un momento dopo, per il solo contatto delle loro pelli. Era stato a tal punto stupito, e imbarazzato da doverlo calmare con tutta la dolcezza di cui era stata capace, sembrava un bambino colto a fare un danno involontario e terribile. Da lì in poi, però, non aveva più opposto resistenza e ora lei poteva permettersi di succhiarlo a quel modo e massaggiargli piano l’ano, serrato nemmeno fosse una cassaforte. 

 

Severus non aveva mai provato niente di simile. Stare con Pamela in quel letto e lasciarsi fare quelle cose era come cadere in una tazza di tè e miele: non aveva mai perso il controllo a quel modo, non si era mai fidato di qualcuno a quel punto o perso a quel modo coscienza del tempo, di sé e dello spazio. Era stato convinto che la nausea che lo prendeva quando provava a toccarsi sarebbe tornata, invece era come se il suo corpo si lasciasse andare, perdesse ogni remora accanto a quello della donna. Aveva scoperto il piacere, ed era stata una scoperta illuminante e devastante allo stesso tempo: non riusciva più a vedere il mondo nello stesso modo, non riusciva più a pensare di farne a meno. 

Con un rantolo e uno spasimo afferrò la spalla di Pamela cercando con poca convinzione di scostarla, ma la ragazza non lo stette a sentire e finì per venire con ancora le sue labbra intorno al membro, il corpo irrigidito e poi all’improvviso sciolto in quel picco di beatitudine.

 

Pamela aspettò che si rilassasse del tutto prima di lasciarlo andare e tornare a sdraiarsi con la testa sul suo petto, abbracciandolo. Lui le baciò la fronte e per un po’ non dissero nulla, limitandosi a coprirsi per non congelare. 

 

“Hai intenzione di dormire qui?” Chiese alla fine Severus.

 

“Se per te va bene…” Pamela rispose già mezza addormentata, sistemandosi meglio addosso a lui.

 

Rimasero ancora un momento in silenzio, intanto la rigida vigilanza dell’uomo aveva svegliato del tutto anche la ragazza.

“Posso andare in camera mia, se preferisci.” Aggiunse con un sospiro paziente.

 

“Non dovresti fare certe cose con chiunque.” rispose dopo un attimo Severus “Non è rispettoso verso te stessa, dovresti imparare a dare un valore alle tue azioni.”

 

Pamela aveva sospirato di nuovo aprendo gli occhi a guardarlo. 

“Non faccio niente con chiunque, Sev, e dormire con un uomo che amo non svilisce in nessun modo il valore delle mie azioni.”

 

“Io non… non provo… io non ti amo.” 

Gli occhi di Severus erano di una tristezza sconfinata mentre glielo diceva.

 

Pamela gli accarezzò il viso con il dorso della mano.

“Va bene, non preoccuparti, a me basta che ti ami io. Posso dormire qui?”

Severus aveva annuito piano e lei gli aveva sorriso.

“Allora vado in bagno e spengo la luce.” si era proposta, alzandosi nel freddo della notte. Era scivolata in bagno, si era lavata con calma, aveva spento le candele con un colpo di bacchetta ed era tornata sotto le coperte. Severus si era voltato su un fianco e lei gli aveva abbracciato la schiena lasciandogli un bacio in mezzo alle scapole e fingendo di non accorgersi che stava piangendo. 
 


 

1. I mazzi così chiamati sono i mazzi usati con principi simili ai classici tarocchi, ma che non sono disegnati secondo i criteri tradizionali. Un mazzo di questo tipo, per esempio, è quello elaborato dal Politecnico di Milano.https://www.intuiti.it/ita/

 

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Capitolo 22
*** Notizie e Chiarimenti - Aprile ***


L'angolo dell'autrice

Buongiorno a tutti :D 

Come promesso oggi riesco a pubblicare a un orario umano ;) 

Come giustamente mi faceva notare una lettrice accanita, Pamela si sta guadagnando un posto in Paradiso con tutta la pazienza che mette nel sopportare i melodrammi di Severus. Vero è che, e noi lo sappiamo, il ragazzo ha dei motivi per essere turbato (non tanti quanto crede lui, ma comunque dei motivi).
Riusciremo ad avere una pubblicazione, o un mese, senza che faccia delle scenate per futili motivi? La risposta è: forse un giorno, ma non è questo il giorno :P

Comunque i drammi sentimentali dovrebbero essere l'ultimo dei problemi a Hogwarts, visto quello che sta succedendo. I nostri eroi riusciranno a smetterla di pensare ai fatti loro e inizieranno a occuparsi del mostro che vaga indisturbato per il castello pietrificando gli alunni?

Restate con noi e scopritelo!

P.S. Scusate, oggi mi sento la voce fuori campo di una serie TV anni '80, spero mi passi presto.


“Professoressa Radcliffe, posso parlarle?” 

Pamela alzò gli occhi dal libro nel quale era immersa, non si era nemmeno accorta che Hermione le si fosse avvicinata. 

 

“Signorina Granger, certo.” rispose con un sorriso evitando di richiudere il grosso tomo per non mettere in bella mostra il titolo. Era sicura che nemmeno il Preside avrebbe gradito che lei rendesse noti agli studenti i suoi interessi di magia sessuale. 

“Forse è meglio uscire, però” aggiunse alzandosi e lasciando sulla sedia la borsa perché a nessuno venisse in mente di prenderle il posto in biblioteca “Madame Pince ci sta già guardando male.” Ormai quella sedia sotto agli scaffali di erbologia era diventata il suo rifugio mattutino per quando la pioggia primaverile impediva di tornare nei prati e anche per questo ci teneva a restare in buoni rapporti con la bibliotecaria. Portò Hermione a sedere su una panca sul corridoio lì vicino, a due passi dall’uscita che dava verso le serre. 

“Allora, di cosa volevi parlarmi?” le chiese con un sorriso. 

 

“Volevo un suo consiglio sulle materie del prossimo anno: sa che dobbiamo comunicarle alla professoressa McGonagall la scelta dei corsi facoltativi entro la fine di aprile, ma non riesco a decidere cosa scegliere.” rispose la ragazzina sistemando la gonna sulle ginocchia. 

 

“Oh, beh… non credo di essere la persona più adatta a cui chiedere. Perché non ne parli con la professoressa McGonagall? Lei è la direttrice della tua casa ed è molto più esperta di me.” 

 

Hermione sbuffò spazientita voltandosi a guardare dei ragazzi di Ravenclaw che passavano chiacchierando tra loro. 

“La professoressa McGonagall è un’ottima insegnante, ma non è come parlare con lei… non ho bisogno di qualcuno che mi sproni ad essere più razionale: lei mi ha detto che certe cose vanno scelte senza pensarci e secondo me ha ragione, solo che io non ci riesco e continuo a pensare e pensare e pensare… non riesco a smettere, faccio fatica a dormire, capisce? Da questa scelta dipenda il mio futuro, non posso… lanciare una monetina!”

 

“Okay, d’accordo.” Hermione sembrava alquanto agitata. “Prima di tutto posso giurarti che il tuo futuro dipenderà solo in minima parte da quello che decidi di fare l’anno prossimo: non possiamo davvero controllare che strada prenderà la nostra vita e quasi tutto è affidato al caso, ma” aggiunse fermando la sua interruzione “se vuoi provare a prendere una decisione di buon senso dovresti prima di tutto chiederti cosa vuoi diventare da grande. Hai un sogno nel cassetto?”

 

Hermione si strinse nelle spalle con aria mortificata: “Non lo so, a me piace studiare.”

 

Pamela sorrise. Era difficile non riconoscersi in quella posizione: studiare per il resto della vita era stato sempre il suo sogno, nonostante la fatica quando ancora non sapeva controllare la propria mente. 

“Allora sono sicura che troverai il modo di farlo. Scegli con il cuore, prova ad andare per esclusione eliminando a mano a mano le materie che ti attirano di meno. Scegliere è difficile, ma è necessario imparare anche questo.”

 

La ragazzina annuì scuotendo i folti capelli scuri.

 

“Adesso posso chiederti una cosa io? Sono… sono curiosa: qual è il vero motivo per cui hai fatto quella pozione? Ti prometto che non lo saprà nessuno, è solo che… non voglio leggerti nella testa ma sto morendo di curiosità da mesi.” ammise Pamela.

 

Hermione arrossì serrando incerta le labbra, poi si decise sporgendosi a parlare in un sussurro confidenziale.

“Pensavamo che Malfoy fosse l’erede di Slytherin, così glielo abbiamo chiesto, cioè, lui pensava che glielo stessero chiedendo Crabbe e Goyle.”

 

“Oh” Pamela non potè evitare di provare una sincera ammirazione per la sconsiderata intraprendenza di quei ragazzini. “Ma non è lui, non è vero?”

 

Hermione scosse la testa affranta. “No, non è lui.” restò un momento indecisa se aggiungere qualcosa, ma poi non disse nulla. 

 

Pamela annuì con un sospiro.

“Sì, ne ero sicura, ma capisco perché vi sia venuto il dubbio… speriamo solo che questa storia sia finita da sola così com’è iniziata.” ammise stringendosi nelle spalle.

 

“Non credo che sia possibile.” Hermione si passò nervosa una mano sul mento senza aggiungere altro.

 

“Per favore, promettimi che prima di fare qualsiasi cosa me lo dirai.” Pamela la fissava cercando di essere persuasiva. “L’anno scorso avete corso un grosso rischio e avuto molta fortuna, ma se dovesse capitarvi qualcosa… Hermione, noi insegnanti siamo qui apposta per proteggervi e per aiutarvi, se sapete qualsiasi cosa che possa essere utile, dovreste dircelo.”

 

“Il Preside sa chi ha aperto la Camera cinquant’anni fa.” ribattè all’improvviso con un sussurro concitato. “Ci fu un’espulsione, ma io non credo… non credo che sia stata giusta e secondo me non lo pensa nemmeno lui. Non posso dire altro, ora devo andare: sta per iniziare la lezione di Pozioni e non posso fare tardi.” disse alzandosi di fretta e allontanandosi a passi lunghi verso i sotterranei. 

 

Pamela restò a ragionare sulla faccenda per un momento, poi tornò in biblioteca a finire di studiare. Doveva parlare con Severus, lui forse ne sapeva qualcosa più di lei. 

 

+++


Severus chiuse gli occhi per un momento riprendendo fiato mentre il corpo poco alla volta si riprendeva. Sentiva le labbra di Pamela poggiate contro il proprio petto e la sua mano ancora stretta intorno al membro, sotto al lenzuolo bagnato. Era strano, ma non gli veniva più da pensare all’oscenità del momento e non riusciva a sentirsi a disagio nemmeno provandoci. Aprendo gli occhi si ritrovò quelli della ragazza a fissarlo con un sorriso e non potè evitare di sorriderle a sua volta: gli piaceva stare nel suo letto, aveva un buon odore di fresco e fiori e forse il gatto iniziava a capire che quando c’era lui doveva tenersi a distanza perché si limitava a sedere sulla scrivania e fissarli con aria giudicante.
Gli piaceva anche svegliarsi con qualcuno, anche se non era ancora riuscito ad abituarsi al fatto che Pamela ritenesse del tutto normale entrare in bagno mentre si stava lavando, o peggio, e fare come se lui non ci fosse. Era una cosa terribilmente imbarazzante. E gli veniva sempre un tuffo al cuore quando lasciava la sua camera di mattina, sempre cinque minuti prima di lei, per il terrore che qualcuno lo vedesse e capisse che non era dove sarebbe dovuto essere. Le camere degli insegnanti, però, erano pensate apposta per non essere viste dagli studenti, per garantire un minimo di vita privata nei mesi di docenza, per cui non aveva mai incrociato nessuno prima di arrivare nei corridoi più frequentati e del tutto privi di sospetti. 

Ad ogni modo, forse per effetto dell’orgasmo appena avuto, forse per quella pace e quel senso di sicurezza che iniziava a sentire, quando gli balenò nella mente il pensiero dell’estate, gli si spense il sorriso dal volto. Ora che ci si stava abituando, pensare di passare mesi senza quel calore, mesi da solo in quella topaia sepolto dai libri, pensare di dover tornare alla casa dei Malfoy e sorridere a quella gente, e fingere non vedere il lento logorio di Narcissa, e sopportare il blaterare viscido di Lucius… tutto quello gli rivoltava le viscere e lo faceva sentire esausto. 

 

“Che c’è?” chiese Pamela notando il cambiamento nei suoi occhi.

 

“Niente… pensavo all'estate” ammise deglutendo per mandare giù il senso di vuoto.

 

Pamela stava imparando a decifrare il modo indiretto e piuttosto che aveva l'altro di dire le cose o di chiederle, così rispose alla domanda implicita.
“Pensavo di tornare in Germania.” disse in tutta onestà. “Ho un amico che mi aspetta e ho voglia di rivederlo.”

 

“Un amico?” il cervello di Severus si era congelato e si rendeva conto che aveva preso a battergli troppo in fretta il cuore.

 

“Sì, un amico.” confermò Pamela tirandosi un po’ su per guardarlo meglio negli occhi. “Ci siamo conosciuti la scorsa estate, si chiama Max.”

 

“Max?” continuava a ripetere le sue parole e si sentiva stupido, ma non riusciva a farne a meno. 

 

“Max” la ragazza annuì. “Cosa c’è che non va?”

 

Severus la fissò per un momento senza dire una parola. Deglutì di nuovo a vuoto, gli stava venendo decisamente la nausea. 

“Vai… vai a letto con lui?”

 

Pamela sgranò gli occhi. Il tono dell'uomo era di una calma piatta e sarebbe potuta essere benissimo più un'affermazione che una domanda, ma a stupirla era soprattutto il lessico. Non credeva che fosse capace di una domanda così esplicita, così diretta e così schiettamente sessuale. 

“In questo momento no, direi di no.”

 

“Ma lo hai fatto.”

 

“Sì, abbiamo fatto l’amore l’anno scorso.”

 

Severus si scostò di colpo il lenzuolo di dosso alzandosi dal letto.

 

“Sev…” Pamela provò a richiamarlo ma senza nessun risultato, si era già chiuso in bagno sbattendosi la porta alle spalle. La ragazza sospirò chiudendo gli occhi e scuotendo paziente il capo. Si alzò dal letto poggiando i piedi sulle pietre fredde del pavimento.

“Sev, possiamo parlarne?” chiese accostandosi alla porta chiusa del bagno. 

 

Per tutta risposta la porta vibrò di una botta che la fece trasalire.

 

“Per Merlino, ti sembra il modo di prenderla?!” sbottò indispettita. “Sì, ho una vita sessuale che trascende la tua esistenza, non ne ho mai fatto il minimo segreto! E, se vuoi saperlo, ti avrei chiesto di venire con me, perché penso che anche tu dovresti iniziare ad averne una…” prese fiato per cercare di calmarsi. “Severus, ascolta, forse questo discorso dovremmo farlo in un altro modo, comunque… io non credo che sarò mai il tipo di donna in grado di andare a letto con un solo uomo per volta: è contrario alla mia ricerca, per altro. Non credo nemmeno di poter provare dei sentimenti sinceri per una sola persona per volta, perché non mi è mai capitato fin’ora. Questo non significa che quello che provo per te non sia sincero e che, a modo mio, io non possa esserti fedele…” che poi fedele a cosa? A malapena avevano un rapporto di conoscenza reciproca e la loro vita sessuale equivaleva a quella di due quindicenni... sospirò evitando di dire tutto quel che pensava.
Dal bagno non si sentiva un fiato, per un attimo si chiese se stesse bene. Andò alla scrivania e prese il plico di lettere che teneva legate nel cassetto le slegò e iniziò a passarne una per volta sotto la porta. “Qui c’è tutto quello che mi ha scritto Max in questi mesi, parlano anche di te: leggile. Secondo me ti dicono meglio di come saprei fare io a voce quello che provo. Io adesso scendo in cucina e mi faccio del porridge, così tu puoi decidere se restare o andare.” si alzò dal pavimento dove si era accovacciata quando anche l’ultima lettera fu inghiottita dal bagno, si rimise addosso i vestiti della giornata e uscì dalla camera. 

Solo un paio d’ore dopo, quando tornata in camera la trovò vuota, le lettere sparite, si rese conto che non aveva fatto in tempo a parlargli di quello che le aveva detto Hermione, ma a quel punto stava piangendo e aveva altro a cui pensare.

 

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Capitolo 23
*** Chi viene e chi va - Maggio ***


L'angolo dell'autrice

Buongiorno car* lettor*!

Oggi un capitolo molto strano, così, per cambiare un po' :D

Divertitevi nella lettura e restate connessi, domani un nuovo aggiornamento.

 



Pamela aveva provato con tutta se stessa a non pensarci. Si era presentata a lezione come ogni giorno, il solito sorriso, la solita calma. Ogni giorno era scesa in Sala Grande per i pasti, anche se non aveva fame, con un nodo alla gola al pensiero di averlo tanto vicino e tanto lontano allo stesso tempo. Sapeva che nonostante tutti i suoi sforzi si erano accorti tutti che qualcosa non andava. Le ragazze durante i loro giovedì di carte erano state gentili oltre misura con lei, non le avevano chiesto nulla ma le riempivano di continuo la tazza di tisana e un paio di volte l’avevano fatta vincere apposta, ci avrebbe giurato. Quando la gente le parlava, si rendeva conto di ascoltare solo con una parte della mente, l’altra restava impegnata a piangere e a farle pensare a tutto ciò che aveva perduto, a quella dolce e intimità, se mai era esistita davvero. A tratti si accorgeva di bloccarsi fissando il vuoto perdendo il contatto con la realtà. 

Qualsiasi pensiero avesse avuto riguardo alle parole di Hermione, in quel momento era finito sul fondo della lista delle sue priorità. Trovare il modo di andare avanti giorno per giorno le richiedeva il massimo delle sue energie. 




 

+++

Tom, ho avuto così tanta paura che potessi dire tutto a Harry! Non potevo lasciarti lì, non potevo rischiare, Tom. Mi avresti tradita, non è vero? Gli avresti detto ogni cosa… che cosa ho fatto, Tom!

 

Smettila di frignare, Ginny! 
 

Perché sei così cattivo? Una volta eri mio amico, mi ascoltavi.

 

Sì, e ne ho avuto abbastanza! Non posso più sopportare un solo momento delle tue lagne e delle tue lamentele. Sei solo una ragazzina attaccata alla gonna di mamma: devi imparare a prenderti quello che vuoi, perché a nessuno, nessuno importa dei tuoi piagnistei! 

 

Io non faccio piagnistei! Sei crudele e ingiusto! Io parlo con te perché non ho nessun altro con cui parlare, e ora nemmeno tu mi vuoi ascoltare…

 

“Oh, povera Ginny, nessuno la ama, nessuno la coccola, e Harry Potter non la guarda! Oh povera, povera Ginny, ma Ginny non fa niente, niente perché le cose cambino!” Hai mai parlato a qualcuno? Hai mai provato a farti degli amici, a farti vedere dal tuo caro Harry Potter? NO! Perché sei una codarda e una stupida mocciosetta, ecco perché!

 

Ma che cosa dovrei fare? Se gli altri mi evitano, se Harry non sa nemmeno chi sia! Allora dimmelo tu cosa devo fare, avanti Tom, dimmelo tu e io lo faccio, così poi non puoi più dirmi che è colpa mia.

 

O sì che te lo dico io cosa fare, piccola, stupida Ginny, te lo dico io! Ma tu smettila di piangere e fammi vedere che sai essere una bimba grande. Dai, su, asciugati quelle lacrime adesso. Se farai quello che ti dico, vedrai che conquisterai il tuo dolce amore e diventerai una delle ragazze più popolari e invidiate di tutta Hogwarts.

 

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Capitolo 24
*** Assenza - Maggio ***


L'angolo dell'autrice

Il titolo di oggi è quanto mai adeguato perché, prima di tutto, mi devo scusare per la mia assenza degli ultimi giorni. 
La vita sta piano piano riprendendo i suoi ritmi naturali (e anche un po' concitati visto l'impegno che l'attività in università mi richiede di questo periodo) e mi sono lasciata distrarre. 
Ma eccoci di nuovo con un capitolo bello denso e prometto di tornare anche domani con la regolare pubblicazione ;)

Come sempre vorrei ringraziare voi che avete la pazienza e, spero, il piacere di leggere, chi lascia un commento e più di tutti la mia lettrice beta che continua a seguirmi con estrema pazienza <3

Buona Lettura!

 



Ormai la fioritura era scoppiata in tutto il prato e ogni albero stava tornato di un verde vivido e brillante che metteva fiducia nella vita e scacciava anche i pensieri più cupi. Pamela aveva smesso di passare le mattine rinchiusa in biblioteca e ora si portava i grandi libri nell’erba e leggeva osservando le farfalle tornare, gli insetti piegati tra i petali dei tulipani e i gialli fiori del tarassaco tramutarsi poco alla volta in soffioni. Spesso, quando sentiva il bisogno di una pausa dai libri, raggiungeva Hagrid nell’orto. I suoi fiori stavano per sbocciare e l’entusiasmo del mezzogigante per quell’inaspettato successo era contagioso. Quel giorno, però, Pamela aveva deciso di andare a trovarlo non solo per il piacere di un buon tè in compagnia. Le era tornata alla mente la conversazione con la signorina Granger e aveva realizzato che anche Hagrid dovesse saperne qualcosa: insieme a Dumbledore e alla McGonagall era, almeno per quanto ne sapeva lei, una delle persone che si trovava ad Hogwarts da più anni. 

La capanna era una grande stanza con piccole finestre di legno. Un po’ per la sua posizione, un po’ per gli spessi muri di pietre, restava umida e fresca per tutto l’anno e l’odore di fumo del camino non pareva lasciare mai del tutto le vecchie poltrone imbottite misura gigante. Pamela si sentiva sempre minuscola lì dentro. 

 

“È sempre bella la primavera” stava dicendo Hagrid, sistemando un cesto di funghi appena raccolti sulla cassapanca. “Il bosco è generoso quando torna il sole.” 

Si voltò sistemandosi nella poltrona di fronte a lei versando il tè nelle due grandi tazze di coccio.

 

“Ne hai viste molte di primavere qui alla scuola, vero?” chiese Pamela con un sorriso prendendosi la tazza.

 

“Ci puoi scommettere!” rispose ridendo “Più di qualcuno degli alberi più giovani della foresta, ormai.”

 

“Sai che non si direbbe? Da quando ti conosco io, non sei cambiato di un giorno.”

 

“È il sangue di gigante: invecchiamo molto, molto più piano di voi umani. Quest’anno ho compiuto i miei sessantaquattro anni!” disse tutto orgoglioso, “Una cifretta niente male! E se pensi che sono a Hogwarts da quando ne avevo undici… beh, ormai è più di mezzo secolo!”

 

“Non è male per niente!” Pamela sorrise “Per cui tu sapresti per certo se la Camera dei Segreti fosse mai stata aperta in passato, vero?”

 

Hagrid si incupì appena mordendosi le labbra “Chi te lo ha detto?” chiese con un’aria mortificata.

 

“Hermione Granger: mi ha detto che ci fu un’espulsione ingiusta cinquant’anni fa. Tu c’eri, quindi sai chi fu espulso allora.”

 

“Certo, certo che lo so... “ Hagrid sospirò aggrappandosi alla tazza e fissando il pavimento. “Io, sono stato io a essere espulso.”

 

Pamela sgranò gli occhi incredula: “TU?! Ma… ma com’è possibile, Hagrid?”

 

Il gigante si grattò il collo in imbarazzo prima di posare la tazza sul tavolo.

“È stato Tu-Sai-Chi, solo che all’epoca nessuno lo chiamava così: era Tom, Tom Riddle, uno studente modello. Lui aveva scoperto Aragog e si era messo in testa che fosse il mostro della Camera dei Segreti. Ma Aragog non aveva mai fatto male a nessuno, era solo un cucciolo!”

 

“Aspetta… tu andavi a scuola con Tu-Sai-Chi?” Pamela non riusciva a credere alle proprie orecchie. Ovviamente sapeva che Tu-Sai-Chi doveva essere stato ad Hogwarts a un certo punto, e che quindi qualcuno doveva essere stato suo compagno di scuola, ma un conto era saperlo in linea teorica, un conto era realizzare che il suo amico Hagrid era uno di quelli, che lo aveva conosciuto, ci aveva parlato… ripensò a quello che le aveva detto Severus sul rettilofoni e tutto sembrò assumere di senso, salvo il fatto che non poteva oggi essere Voldemort ad avere aperto la Camera, non era possibile. O sì?

“E chi è Aragog?” aggiunse cercando di dipanare i pensieri.

 

“Aragog è un’Acromantula” spiegò il mezzogigante che sembrava felice di poterne parlare con qualcuno. “Animali incredibili, le Acromantule!”

 

"Un'Acromantula?" Pamela lo guardò sorpresa. Non era un'amante dei ragni in generale, ma enormi ragni carnivori non piacevano in genere a nessuno. "E cosa… cosa ci facevi con un'Acromantula?"

 

"Beh, la tenevo in una scatola: era un cucciolo, il piccolo Aragog, una cosina che stava tutta nella mano!" Disse tutto emozionato al pensiero. "Non avrebbe potuto fare del male a nessuno, ma il ministero… Dumbledore ha provato a dirglielo, ma aveva il Consiglio contro e le mani legate…" 

 

"Mi dispiace, Hagrid." Pamela sorrideva e si allungò sul tavolo a prendergli la grossa mano callosa. "Non te lo meritavi" anche se, forse, un minimo di punizione per aver portato un'Acromantula a scuola sarebbe stata comunque una buona idea. 

 

+++

 

Il giorno seguente, un caldo sabato di primavera inoltrata, Pamela aveva pensato di spenderlo all’aria aperta, vagando per i prati e per i boschi lì intorno. Stare in mezzo agli alberi e agli uccelli la faceva sentire molto meno sola che cercare di rapportarsi con gli altri esseri umani del Castello, senza potergli dire nulla di ciò che avrebbe voluto. Solo con Helena aveva parlato di Severus apertamente, e non era stata di grande conforto, forse da morti le priorità e il senso dei problemi cambia. Si era presa tutto il tempo per organizzare un picnic all’aperto, svegliandosi con comodo, oliandosi i capelli prima di una lunga doccia, e scendendo nelle cucine per organizzare un picnic così da non dover rientrare per il pranzo. Un intero giorno lontana da quelle mura e dalla presenza costante di tutti era quello di cui sentiva il bisogno. Stava avviandosi verso l’ingresso principale, con il cestino sotto al braccio quando sentì quella presenza. La riconobbe all’istante, così vicina e chiara da superare la chiusura delle sue percezioni, come fosse a un passo appena da lei. Si voltò verso destra, il cuore in gola, pietrificata dal terrore. Sapeva che avrebbe potuto toccarlo se avesse allungato la mano, ma accanto a lei vedeva solo le grosse pietre grigie del muro. Lentamente poggiò il cesto a terra e socchiuse la mente.

 

Fame di sangue, ho fame! Solo pietra, solo roccia fredda… uccidere! Sangue! Basta pietra, stupida pietra senza sangue… 

 

Qualunque cosa fosse, la sua mente era un posto freddo e rabbioso, era contrariato, contrariato e affamato. Qualcosa non era andata come avrebbe voluto. 

Con la pessima sensazione di sapere già cosa avrebbe trovato, Pamela seguì il corridoio nella direzione opposta a quella verso cui si stava allontanando quella presenza impalpabile. Correva, abbandonato il cestino lì dove lo aveva poggiato, la lunga gonna a impicciarle il passo. Le due volte che incrociò una svolta, buttò l’occhio da una parte e dall’altra potendo affidarsi solo all’istinto e alla fortuna e poi, poco prima della bibliteca, le vide: due statue in pietra a grandezza umana. Rallentò il passo piegata in due dal fiatone. Una delle due era Hermione, senza nessun dubbio, l’altra non la conosceva. Si avvicinò fino a toccarle, erano gelide, immobili. Sembravano essere sempre state fatte di pietra morta. Pamela provò a sentire le loro menti, ma non c’era nulla, niente. Per un po’ rimase senza saper cosa fare con una mano sulla spalla di Hermione, poi il cervello tornò a funzionarle poco per volta. Tornò di corsa sui suoi passi fino a ritrovare il cestino, provò a cercare quella presenza aprendo quanto più possibile la propria percezione ma nulla, sembrava essere sparita del tutto. Si concentrò nel cercare Minerva e la sentì che si avviava verso il campo di Quidditch con gli studenti. Non si sentiva le forze per poter correre anche dietro a lei, le gambe le dicevano chiaramente che non avrebbero collaborato, così fece una cosa molto poco corretta e le forzò la mente quel poco che bastava per farle vedere cos’era successo e dove. Tornò dalle due ragazze a passo lento e si sedette accanto alle loro statue aspettando. 

Non passò più di un quarto d’ora prima che la Professoressa McGonagall, Severus, il Professor Flitwick e Pomona sbucassero da dietro l’angolo.

 

“Oh Sacre Rune!” Minerva si avvicinò a passi lunghi e decisi alle due statue mentre Pomona si chiudeva d’istinto la bocca con una mano trasalendo. 

 

“Spero che le sue mandragole siano abbondanti” osservò gelido Severus osservando con sguardo critico il grigio della pietra.

 

Con un gesto gentile della bacchetta Flitwick fece sollevare appena le due statue che si misero a fluttuare leggere a mezza spanna dal pavimento. 

“Sarà meglio portarle da Madame Pomfrey.”

 

“Sì, sì certo” confermò Minerva agitata. “Prima però credo sia il caso di decidere cosa dire ai ragazzi.”

 

“Beh, cara, credo che non potremo fare altro che dire quello che è successo. Dobbiamo avvertire Dumbledore.” rispose Pomona preoccupata.

 

“Andrò io dal Preside” si propose Severus lanciando un’occhiata a Pamela per la prima volta da quando era arrivato.

 

“Sì, io inizierò a dire un paio di cose agli studenti. Credo siate tutti d’accordo sulla necessità di adottare le misure di sicurezza standard.” disse Minerva.

 

“Forse dovremmo parlarne anche con il resto dello staff, o aspettare almeno il parere del Preside.” Provò a osservare Pomona.

 

“Non ne vedo il motivo. Siamo i quattro direttori delle case e queste sono misure minime, sono sicuro che il Preside approverebbe la celerità dell’intervento.” 

 

“Per una volta sono d’accordo con Severus.” confermò Flitwick iniziando ad avviarsi.

 

Vista la netta minoranza, Pomona non potè fare altro che annuire e accettare che le cose andassero come dovevano andare. 

"Andrò ad avvertire gli altri dello staff di raggiungerci" si arrese con un sospiro. 

 

Severus girò sui tacchi con la tunica a seguirlo in uno svolazzo di stoffa pesante. Non si voltò fino alla statua all'ingresso delle scale, dove dovette fermarsi volente o nolente. Aveva appena fatto in tempo a dire la parola d'ordine che Pamela lo raggiunse fermandosi affianco a lui in silenzio. Gli era andata dietro per tutta la strada in silenzio tenendosi un passo dietro. Severus si schiarì la voce dondolandosi appena sui piedi mentre la statua si girava con estenuante lentezza. Forse avrebbe dovuto dire qualcosa, in fondo aveva appena visto pietrificata una sua alunna.

 

"La Professoressa Sprout dice che le mandragole sono quasi pronte." buttò lì.

 

"Sì, ma lo saprà anche chi ha aperto la Camera, non credi? Qualsiasi cosa debba succedere sta per succedere" l'ultimo gradino della scala si scoprì, ma entrambi se ne accorsero solo quando il rumore della pietra che si muoveva cessò. Erano troppo impegnati a fissarsi per rendersene conto prima. 

 

Severus salì per primo e Pamela gli andò dietro subito, ma appena scala riprese a muoversi scese di un gradino per non stargli addosso a quel modo. 

 

"Pensi che sia di nuovo Tu-Sai-Chi? È possibile che abbia trovato il modo per rientrare nella scuola?" 

 

Severus scosse la testa spazientito: "tu potresti saperlo molto facilmente, non credi?" 

 

Pamela sbuffò spazientita, ma costretta a dargli ragione. 

"Non c'è nessun occlumante a parte te a scuola."

 

"Hai controllato?"

 

Per enorme fortuna di Pamela erano arrivati e le scale si erano fermate davanti alla porta dell'ufficio. Così non era costretta a spiegargli che c'era la vaga possibilità che si fosse arrischiata a cercarlo qualche notte prima di dormire, solo per sentirlo vicino. Cioè, non sentirlo, ma con lui l'assenza era l'unica forma di presenza possibile.

 

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Capitolo 25
*** Inconvenienti - Maggio ***


 

Il consiglio che si era tenuto tra lo staff era stato difficile. La preoccupazione ormai era diventata pesante: per tutti era chiaro ormai che il tempo stava finendo e che chiunque ci fosse dietro quelle aggressioni non solo non si sarebbe fermato, ma avrebbe portato a compimento qualsiasi cosa avesse in mente entro la fine del mese. 

Dumbledore era l'unico che sembrava non aver mai perso la calma. Aveva ascoltato il racconto di Pamela, si era fatto spiegare nei dettagli cos'aveva sentito, e si era apprestato ad accogliere tutti con tè e tisane. Severus sembrava innervosirsi un po' di più a ogni sua mossa, continuava a girargli intorno cercando di sottolineare l'urgenza di prendere provvedimenti.

 

"In questo modo dai al Consiglio la scusa che aspetta per rimuoverti dall'incarico!" Arrivò a dire al colmo della frustrazione, un momento prima che la porta si aprisse lasciando entrare la professoressa Sprout seguita dal corpo insegnanti, Madame Pomfrey, Madame Pince, Gazza e Hagrid. Solo Minerva McGonagall mancava all'appello. La risposta di Dumbledore restò sospesa nell'aria e Pamela, che si era tenuta in disparte per tutto quel tempo, non poté fare a meno di pensare che non ci fosse niente da rispondere.

 

"Immagino che Severus ti abbia detto tutto. Minerva sta avvertendo gli studenti e i prefetti: abbiamo annunciato il coprifuoco e le misure di sicurezza…" 

Pomona sembrava piuttosto in imbarazzo e preoccupata. 

 

"Ma certo, certo… un tè? Sedetevi e prendete un biscotto." Dumbledore aveva dato il buon esempio sistemandosi su una delle poltrone e versando una tazza di tè fumante. "Avanti, avanti… sedetevi, non servirà a nulla stare lì in piedi." 

 

Hagrid era stato il primo ad accettare l'invito, incastrandosi non senza difficoltà in una poltrona e sorridendo al Preside. Poi poco alla volta si erano seduti tutti nel cerchio di poltrone, tutti tranne Severus, e Pamela che esitava non volendo prendere una posizione tra i due. Alla fine aveva ceduto e si era  di messa a sedere proprio nella poltrona di spalle a Severus. 

 

Tutta la discussione era girata a vuoto, tutti che facevano ipotesi senza fondamento su chi e come volesse fare cosa. Parole senza costrutto e senza senso. Dumbledore beveva il tè e li osservava, Severus restava in silenzio guardandolo. Pamela aveva esposto con cautela le sue preoccupazioni sulla possibilità di una presenza di Voldemort nella scuola, ma dovette ammettere di non aver percepito nulla che lasciasse presagire qualcosa di simile. 

Dopo un po' il Preside aveva preso la parola riportando tutto su un piano più pratico. Con uno svolazzare della bacchetta aveva fatto comparire una lavagna con tanto di tabella già disegnata per organizzare i turni di controllo del coprifuoco. Da quel momento avevano impiegato esattamente due ore per incastrare dei turni che potessero andare bene a tutti. Pamela non si sarebbe mai aspettata che potesse essere così difficile. Gli unici a non avere nessuna particolare esigenza sembravano essere lei, Severus e Minerva. Perfino Pomona aveva il problema di doversi svegliare all'alba per le serre e non poter fare turni a tarda notte. Probabilmente, se Dumbledore non avesse mantenuto il suo calmo carisma, e non fosse arrivata l'ora del pranzo, avrebbero potuto proseguire la discussione per giorni.

 

"Ah, chiaramente, sono molto spiacente, ma tutte le gite, compreso il campeggio, dovranno essere annullate" aveva aggiunto il Preside mentre già stavano uscendo.

Ovviamente nessuno si sentì di contraddirlo. 

 

+++

 

Quella notte, come tutte le futuri notti, Pamela era stata precettata per i turni dalle sei alle nove e poi da mezzanotte alle tre. Erano i due turni che nessuno voleva fare perché il primo non permetteva di cenare fino a tardi, e il secondo spezzava in due la notte e non ti lasciava fare un sonno decente ne prima ne dopo. Ma qualcuno doveva farli. Sia lei che Severus non avevano protestato e avevano accettato di accollarsi quei turni ogni giorno lasciando che gli altri girassero da un turno all'altro e si scannassero per incastrare tutte le esigenze. 

Pamela si era fatta un bel sonno dalle nove alle tre, aveva preparato un sandwich da mangiare durante il secondo turno, anche per fare passare il tempo. Girare da un corridoio all'altro, avanti e indietro, nel silenzio della scuola di notte, per ore, era una noia soporifera oltre ogni limite, qualsiasi distrazione era molto ben accetta. 

Erano già passate due ore, il sandwich era finito da un po', quando svoltando un angolo intravide Severus che sorpassava il corridoio.

 

"Severus!" Cercò di urlare sottovoce. 

Non avrebbe dovuto, ma gli corse dietro lo stesso. 

"Severus, aspetta" riuscì a farlo voltare che era già piegata in due per lo sforzo. Doveva rimettersi in forma. 

 

"Stai trascurando la tua zona" commentò Severus accigliandosi e senza fare mezzo passo verso di lei. 

 

"Ero sul confine." Sì giustificò in fretta. "Devo parlarti, riguardo Max" cercò di tornare a darsi un contegno riprendendo fiato "mi dispiace, io… io avrei dovuto parlartene prima e spiegarti meglio… ma io voglio che tu capisca…"

 

"Ho capito."

 

"No, no… non è così" era disperata, sembrava di parlare con il muro.

 

"Sì, ho capito. Ho letto le lettere, ho capito."

 

Pamela si tappò la bocca di colpo fissandolo sorpresa. Non pensava le avrebbe lette davvero. 

 

"Ho capito." Ripetè quasi senza inflessione nella voce. "Possiamo parlarne più tardi?"

 

"Sì, certo. Vengo da te quando finiamo, va bene?"

Severus si limitò ad annuire, poi si girò di nuovo sui tacchi e si allontanò verso le scale. 

 

Il resto del tempo passò con una lentezza esasperante, le tre sembravano non arrivare mai. Ma poi arrivarono e Pamela si ritrovò davanti alla porta di Severus con lui che l'apriva. Appena dentro lui accese il camino con un gesto della bacchetta, lasciando che due ceppi prendessero a scoppiettare in una fiamma vivace e calda. 

Pamela si sentiva nervosa peggio che prima dei M.A.G.O. 

 

"Quindi le hai lette?" Chiese mentre Severus si sfilava il mantello. 

 

"Sì, le ho lette." Confermò. "E immagino che pensare che una donna con i tuoi interessi fosse portata a un certo tipo di rapporto sia stato piuttosto ingenuo da parte mia." 

 

"Se parli della magia sessuale e della monogamia, sì, sono idee poco conciliabili." Confermò Pamela che iniziava a sentirsi sempre più rilassata.

 

"Questo mi avrebbe dovuto sollevare, temo di aver lasciato che l'ego mi annebbiasse per un momento." ammise prendendo le lettere dalla scrivania porgendogliele, di nuovo ben ordinate nello spago. "È molto meglio, dato che non sarei in ogni caso stato disponibile a un impegno di quel genere. Suppongo che per entrambi l'ideale sia che le cose restino come sono state fino ad ora."

 

Pamela prese le lettere interdetta: "Cosa intendi? Qui è stato un su e giù continuo preferirei un qualche stato di stabilità." 

 

"Intendevo come prima che parlassimo dell'estate." Rispose sbuffando.

 

"D'accordo, a me va bene." poggiò le lettere su un piano nel dirlo. "E, se vuoi, a me farebbe in ogni caso piacere se venissi con me quest'estate."

 

"Non esagerare." La ammonì severo fissandola a braccia conserte.

 

Pamela sorrise. "Va bene" alzò le mani avvicinandoglisi fino a baciargli una guancia. "Mi piace fare pace, ora però è tardi, andiamo a dormire?" 

 

Severus cercò di restare serio con pochi risultati. Gli era presa una inusitata voglia di ridere, cosa che non gli capitava da una quindicina di anni.
 


L'angolo dell'autrice

Ed eccomi qui!
Questa volta in coda al capitolo perché ci tenevo a non fare spoiler e a commentare con voi :D Cosa ne dite della reazione di Sev? Lascia perplessi? Ne capite il senso? Viste un paio di recensioni ai capitoli precedenti sospetto che qualcuno la troverà ragionevole e qualcun'altro no ;)

Si apre il dibattito! 

P.S. Questo week end potrei avere difficoltà ad aggiornare, alla peggio ci vediamo lunedì :* 



 

 

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Capitolo 26
*** La situazione precipita - Maggio ***


L'angolo dell'autrice

Ben trovat* a tutt* (almeno nel mese del Pride lasciatemi usare asterischi come se piovessero!)

Come avrete intuito dal titolo qui le cose si accelerano e parecchio! Maggio, come accade spesso, è un mese molto ricco di avvenimenti ad Hogwarts e i nodi vengono al pettine.
Sono molto curiosa di sapere cosa ne penserete delle evoluzioni finali della nostra storia (sappiate che ho quasi scritto anche l'epilogo) e poi scalpito per iniziare la prossima (il terzo libro è sempre stato uno dei miei preferiti). 

Ho infilato tra le righe anche un piccolo omaggio a un altro autore che amo tanto, voglio vedere se qualcun* lo nota XD 

Un bacio a tutti e buona lettura!

P.S. Chiedo scusa, avevo pubblicato senza accorgermi che la mitica Nanna_Chan non aveva ancora betato! Vi è toccato leggere tutti i miei refusi, I'm so sorry!

 


Hagrid era stato cacciato, Dumbledore sospeso. Severus avrebbe voluto avere qualcuno a cui poter dire "glielo avevo detto" e in realtà lo aveva: Pamela. Glielo ripeteva in maniera ossessiva quasi tutte le sere, senza rendersi nemmeno conto di faticare a parlare di qualsiasi altra cosa. Borbottava costantemente contro la dabbenaggine di quel vecchio pazzo da quando apriva la porta di camera sua a quando lei si stancava e spostava a forza il focus della sua attenzione. A quel punto non parlavano affatto e per un po' Severus smetteva di pensarci. Ma poi la mattina ricominciava una nuova giornata e lui ritornava a rimuginare in silenzio. Non riusciva a capacitarsi di come Albus Dumbledore fosse potuto essere tanto sprovveduto e stupido da lasciarsi mettere in panchina da Lucius Malfoy, quella sottospecie di vipera strisciante e velenosa. Hagrid poteva capirlo, era un idiota, a malapena intellettivamente normodotato che si era fatto mettere in mezzo dal Signore Oscuro all'epoca. Ma Dumbledore! Il grande Albus Dumbledore… in borioso rincitrullito! Quello sarebbe dovuto essere il baluardo contro il Signore Oscuro… per l'amore di Agnes Nutter! 

Se pure Severus avesse mai potuto togliersi dalla testa quel ruminare costante, ci avrebbero pensato i solerti Slytherin a riportare lì i suoi pensieri. A ogni lezione era costretto a sopportare le insinuazioni a mezza voce, i soddisfatti risolini di quei tronfi sciocchi bambinetti convinti di essere adulti e di capire. Ma cosa potevano saperne loro? Di tutti a Hogwarts erano i più a rischio: perfino per i figli di babbani, se erano fortunati, quella faccenda sarebbe finita in ogni caso in estate, ma per loro, i rampolli delle Casate di sangue puro e i più ambiziosi tra i giovani maghi e streghe, per loro sarebbe iniziato il peggio fuori dai cancelli della scuola. Se i Mangiamorte avessero rialzato la testa, i primi che avrebbero reclutato sarebbero stati proprio loro e quegli idioti ci sarebbero caduti, troppo tronfi di loro stessi e del loro potere per capire a cosa andavano incontro. E lui non poteva avvertirli, no, lui doveva perfino incoraggiarli! Pamela aveva ragione, chiunque fosse dietro quelle aggressioni era ovvio che ci dovesse essere un collegamento con il Signore Oscuro e lui, ora più che mai, doveva fare la sua parte. Forse, non era da escludere, l'Erede prima o poi sarebbe venuto a cercare il suo aiuto, forse lo stava osservando, forse aveva passato tutto quel tempo a decidere se metterlo a parte dei piani del Signore Oscuro o meno. 

Solo con Pamela sapeva di poter parlare ed era un enorme sollievo. Era vero, lei non era Lily: non aveva la sua eleganza, la sua gentilezza o la sua bellezza, non aveva il suo sorriso e non parlava con la sua voce. E per questo lui non poteva amarla. D’altro canto, nemmeno lei lo amava, tanto da ammettere senza difficoltà di voler giacere con altri uomini. Aveva riempito quelle sciocche lettere di parole vuote e di tanti deliri che denunciavano in modo vergognoso quanto poco ne sapesse della vita e dell’amore, ma era chiaro che per lei era più che altro un gioco. Questo lo aveva in fondo sollevato. Aveva ferito il suo orgoglio, forse, perché per un momento aveva immaginato di poter davvero essere amato, ma in fin dei conti sarebbe stato ingiusto e approfittatorio usare l’amore di una ragazzina per sentirsi un po’ meno solo e fare… esperienze. Così invece era tutto più equilibrato e giusto. Ora poteva bussare alla sua porta quando ne aveva voglia, tornare nella propria camera se preferiva così o rimanere nel suo letto, poteva ignorarla oppure no, poteva parlarle oppure spogliarsi senza una parola e in ogni caso non si sentiva in torto. Nemmeno con Lily che, in fondo, aveva avuto James e gli aveva lasciato in eredità quel piccolo moccioso petulante di Potter. Era sicuro che quel ragazzino e il suo sciatto amichetto stessero tramando qualcosa, era certo che avesse a che fare con l'aggressione di Hermione Granger, e stava cercando di cogliere qualcosa sui loro volti mentre passeggiava tra i banchi sorvegliando che tritassero in modo dignitoso le foglie essiccate d’Artemisia, quando il piccolo Malfoy aveva iniziato a blaterare.

 

“Ho sempre pensato che mio padre sarebbe riuscito a liberarsi di Dumbledore” disse senza preoccuparsi di abbassare la voce “Ve lo dicevo che per lui Dumbledore è il Preside peggiore che la scuola abbia mai avuto. Forse ora riusciremo ad averne uno decente. Qualcuno che non vorrà che la Camera dei Segreti venga chiusa. La McGonagall non durerà a lungo, sta soltanto facendo le veci.”

 

Severus stava passando a due passi dal suo banco, con la tentazione profonda di dirgli di chiudere il becco. Non riusciva a capire come il figlio di Lucius potesse essere così ottusamente stupido da sbandierare ai quattro venti la vicinanza del padre al Signore Oscuro e la stupidità lo irritava, lo irritava anche quando gli era comoda e alimentava le giuste voci sul suo conto.

 

“Signore, signore perché non fa domanda lei per l’incarico di Preside?”

 

Severus cercò di non scoppiare a ridergli in faccia, e non fu facile. “Andiamo, Malfoy!” disse, al posto di fargli notare che solo uno sprovveduto con ritardi mentali importanti poteva davvero pensare che l’insegnante più giovane di Hogwarts (a parte Pamela, ma lei non era una vera insegnante) con un Marchio Nero sul braccio, avrebbe mai potuto avere i voti per diventare Preside. “Il professor Dumbledore è stato semplicemente sospeso dal Consiglio. Credo che tornerà fra noi abbastanza presto.” Osservò invece, sperando di instillare nella sua piccola mente traviata che forse sarebbe stato più prudente mantenere un basso profilo. 

 

“Sì, sì, va bene.” rispose il moccioso con un ghigno “Ma credo che se lei volesse fare domanda per quell’incarico avrebbe senz’altro il voto di mio padre, signore. Ci penserò io a dirgli che qui lei è il migliore insegnante, signore…”

 

Severus sorrise soddisfatto di avere un così solerte sostenitore in casa Malfoy, ma il sorriso fu più difficile da mantenere quando Draco andò avanti a blaterare.

 

“Strano che i Sanguemarcio non abbiano ancora fatto le valigie. Scommetto cinque galeoni che il prossimo ci resterà secco. Peccato non sia toccato alla Granger…”

 

Per fortuna la campanella bruciò la risposta che Severus stava per dare, rischiando di mandare a rotoli il lento e costante lavoro di anni per farsi spazio nelle grazie di Lucius. Sollevare suo figlio per un orecchio scuotendolo come un panno per vedere se ne usciva del buonsenso non sarebbe stata una mossa saggia. Invece nella classe si scatenò il solito trambusto da fine lezione e gli toccò impegnarsi a riportare tutto all’ordine per poterli accompagnare ad Erbologia.  

 

+++

 

Ora che Dumbledore non era più a Hogwarts, gli altri docenti avevano preso a riunirsi ogni sera in sala Insegnanti. Era stato quasi un moto spontaneo, un bisogno di stringersi tutti insieme per restare uniti nonostante l’assenza del collante. La mancanza del Preside sembrava impregnare le pietre stesse della scuola: i corridoi parevano più bui, Peeves aveva perso ogni ritegno e la sua risata echeggiava con agghiacciante allegria tra gli angoli e le scale. L’unico momento in cui tutto sembrava tornare normale era quando le flotte di studenti passavano da un’aula all’altra con il loro implacabile chiacchiericcio. Così la Sala Insegnanti era diventata una sorta di roccaforte contro l’incertezza e il caos, contro il peso di essere stati lasciati da soli sulla barricata, proprio come una volta lo era stato l’ufficio del Preside. Per questo, quando a metà di una mattina di fine maggio, Minerva dovette affrontare il suo peggior momento di Vicepreside, non ebbe nessuna esitazione a chiamare tutti a raccolta lì.

 

“Tutti gli studenti tornino nei loro dormitori. Tutti i professori tornino nella sala insegnanti. Immediatamente, per favore.”

 

La sua voce amplificata per magia rimbombava da una parte all’altra del Castello, viaggiando più veloce delle sue gambe e dei suoi pensieri. 

Quando arrivò nella stanza, tutto il corpo docenti era già riunito lì e tutti si aspettavano che lei sapesse cosa fare o cosa dire, che fosse all’altezza di Albus Dumbledore.

 

“È accaduto l’inevitabile” disse “Una studentessa è stata rapita. Il mostro l’ha portata direttamente nella camera.”

 

Per un momento quelle parole caddero con un tonfo pesante e desolante nei cuori di tutti. A Pamela si gelò il sangue nelle vene al pensiero di quello che stava succedendo e a quanta parte di responsabilità ne aveva. 

 

“Come fai a esserne sicura?”

Severus si era aggrappato allo schienale di una sedia e alla sua razionalità, cercava di riportare alla logica le possibilità che avevano davanti.

 

“L’Erede di Serpeverde ha lasciato un altro messaggio” rispose Minerva pallidissima “Proprio sotto al primo. Il suo scheletro giacerà nella camera, per sempre.

 

Flitwick non riuscì a trattenere le lacrime. Coprendosi gli occhi con una mano singhiozzava in silenzio reggendosi a una sedia.

 

“Di chi si tratta?” chiese Madame Hooch con un filo di voce, accasciata sulla sedia. Non aveva davvero importanza: chiunque fosse era uno dei loro ragazzi. Allo stesso tempo, però, era la cosa più importante di tutte. “Chi è la ragazza?”

 

“Ginny Weasley” rispose la McGonagall con voce atona e assente. “Domani dovremo rimandare a casa tutti gli studenti. Questo segna la fine di Hogwarts.” disse, realizzando nel momento stesso in cui parlava quell’evidente e agghiacciante verità “Dumbledore ha sempre detto…”

 

La porta si spalancò di colpo e per un momento tutti si voltarono con la folle convinzione di vedere entrare il Preside come un Deus Ex Machina. E invece era solo quel babbeo di Lockhart.

 

“Scusate tanto… mi ero addormentato… che cosa mi sono perso?” chiese avanzando baldanzoso e raggiante.

 

Per un momento Severus fu sul punto di prendere la bacchetta e sfogare su di lui la sua impotenza. 

Lupus in Fabula!” esclamò invece distillando veleno in ogni sillaba. “Ecco la persona giusta. Una ragazza è stata rapita dal mostro, Lockhart, ed è stata portata proprio nella Camera dei Segreti. Finalmente è venuto il suo momento.”

 

Lockhart divenne pallido come un cencio.

 

“È giusto, Gilderoy” intervenne la Professoressa Sprout, per una volta grata dell’esistenza di Snape. “Non sei tu che ieri sera dicevi di aver sempre saputo quale fosse l’ingresso alla Camera dei Segreti?” 

 

Quello che successe in seguito fu un momento unico nella storia di Hogwarts e Pamela se ne rese conto perfettamente. Per la prima volta tutti gli insegnanti, a prescindere da ogni divergenza pedagogica, didattica o esistenziale, si coalizzarono parlando come un sol uomo e muovendosi con impressionante armonia costrinsero Lockhart al muro. L’ultima stilettata fu, com’era giusto, di Minerva McGonagall.

 

“Provvederemo a che nessuno ti intralci. Potrai affrontare il mostro tutto da solo. Carta bianca, finalmente!”

 

Lockhart era distrutto, faceva quasi pena così indifeso e senza più nemmeno l’ombra della sua sfacciata sicurezza. 

 

“Mo-molto bene” farfugliò “va-vado nel mio studio a… a pre-prepararmi.” e uscì dalla stanza di tutta fretta.

 

“Bene” commentò Minerva soddisfatta di aver trovato qualcuno contro cui scaricarsi e molto più sicura del fatto suo “E con questo ce lo siamo levati dai piedi. I Direttori delle Case devono informare gli studenti dell’accaduto. Dite loro che l’Hogwarts Express li riporterà a casa domani al più presto. Gli altri sono pregati di accertarsi che nessuno studente sia rimasto fuori dal proprio dormitorio.” disse sbrigativa avviandosi a uscire.

 

“Professoressa, mi scusi, e Ginny Weasley?” chiese Pamela bloccandola a un passo dalla porta. “Cosa facciamo per Ginny?” 

 

“Mia cara…” Minerva strinse le labbra in imbarazzo “nemmeno Dumbledore in tanti anni è riuscito a trovare l’ingresso della Camera dei Segreti… non credo ci sia nulla che potremmo fare, ormai…” ammise. 

 

A Pamela parve che il mondo le cascasse addosso frantumandosi in un milione di minuscoli pezzettini. Gli insegnanti non potevano semplicemente non fare nulla, com’era possibile? Minerva McGonagall, la professoressa McGonagall, quella che non faceva volare una mosca in nessuna classe, quella che terrorizzava da anni intere classi di studenti prima degli esami e che era in grado di portare ordine e disciplina in un branco di pixies, una delle più grandi streghe che esistessero non poteva semplicemente non fare nulla. Le mancarono le parole e prima che potesse ritrovarle la vecchia strega le aveva voltato le spalle ed era uscita. Con lei l’intero corpo docenti, tutti tranne Severus che rimase ad aspettarla sulla porta, un piede già fuori.

 

“Pam…” la richiamò alla realtà facendole un cenno per richiamarla. 

 

Si allontanarono insieme nei corridoi e dopo un attimo Severus disse, sottovoce nonostante non ci fosse anima viva. “I Weasley sono una famiglia di Purosangue, fanno parte delle Sacre Ventotto… c’è qualcosa che non va.”

 

“Vuoi dire che… che potrebbe non essere stato il mostro?” chiese con un filo di speranza. 

 

Con un gesto brusco Severus la bloccò prendendole le spalle: “Hermione Granger e Ginny Weasley non hanno in comune il sangue, ma qualcos’altro: sono tutte legate a Harry Potter.” disse piazzondoglisi davanti in un sussurro trattenuto, gli occhi scuri agitati dai pensieri. “Devi prendere lui e il suo amichetto e scoprire cosa sta succedendo. Non mi interessa come lo fai, devi farti dire la verità.”

 

“Va bene” Pamela annuì quasi spaventata. “Va bene… andiamo a parlarci, se non ci dice tutto userò la legilimanzia” assicurò. 

 

Severus la lasciò andare con un sospiro restando per un momento fermo a fissarla.

“Non posso venire.” ammise alla fine in un sussurro di sconfitta che non gli aveva mai sentito prima. “Capisci, io non dovrei voler fermare tutto questo…”  

“No, ma certo… certo, hai ragione” la ragazza si rese conto all’istante “Va bene, posso farlo io. Ci penso io, tu fai la tua parte, tieni i ragazzi al sicuro.” 

 

Severus annuì guardandola ancora un momento, poi si voltò e riprese la sua strada. Pamela prese un respiro profondo prima di chiudere gli occhi. Per la prima volta sentiva quel brivido di paura ed eccitazione di quando sapeva qual’era la cosa giusta da fare, sapeva di avere un compito essenziale e pericoloso, qualcosa da cui dipendeva la vita stessa di Hogwarts. 

 
 

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Capitolo 27
*** La Camera dei Segreti - Maggio ***


L'angolo dell'autrice

Welcome to the jungle!
Vi ho lasciat* sospes* lo so, ma oggi pubblico in perfetta puntualità e i nodi vengono tutti al pettine :D Pamela troverà Harry e Ron? E poi, cosa succederà? Li fermerà? Li convincerà a cercare un aiuto un po' meno inetto di Gilderoy? Harry ucciderà comunque il Basilisco distruggendo il diario? 
Vi lascio leggere aspettando i vostri commenti.

Buona lettura!

 



Fred non riusciva a parlare o a farsene una ragione. Continuava a chiedersi che cosa avrebbe detto a sua madre, come avrebbe fatto a spiegarle che Ginny non sarebbe tornata a casa, la immaginava piangere e coprirsi il volto con le mani mentre suo padre l’abbracciava e lui stava in piedi, davanti a loro, senza sapere cosa fare. Ogni tanto di sottecchi sbirciava George e vedeva sul suo volto la sua stessa identica preoccupazione. 

Tutti e due cercavano di consolare Ron, anche perché Percy era sparito inghiottito dal serpente di Gryffindor che si muovevano in compatto silenzio verso il dormitorio, quindi toccava a loro fare la parte dei fratelli maggiori. 

 

“Permesso, scusate… permesso, grazie…” in mezzo al mormorio diffuso e sommesso che accompagnava la marcia degli studenti, la voce della Radcliffe si apriva un varco nella loro direzione fino a raggiungere con una mano la spalla di Ron.

 

“Ron Weasley, Harry Potter…” Pamela aveva usato il rosso dei capelli dei Weasley come una specie di faro nella folla e ora usava tutta la sua inedita autorità di insegnante, imitando senza volerlo il tono della McGonagall. “Per favore, seguitemi.” disse fermandoli nel mezzo della folla.

 

I due ragazzini si scambiarono un’occhiata preoccupata, ma obbedirono e si lasciarono portare fuori dalla fila di alunni. Minerva, in testa al piccolo corteo, non si era accorta di nulla. 

 

“Dunque? Cos’avete da dirmi?” chiese in tono imperioso quando si fu assicurata della privacy in un’aula vuota.

 

Harry e Ron si scambiarono di nuovo quell’occhiata colpevole e incerta di chi sa benissimo di avere qualcosa da tirare fuori, ma non ha ancora deciso se vuole farlo davvero o meno. 

 

“Avanti, ragazzi… non abbiamo tempo da perdere e sapete che potrei leggervi nella testa se volessi, quindi ditemi quello che sapete e basta.” tagliò corto cercando di essere ragionevole. 

 

“Sappiamo dov’è l’ingresso della Camera” si buttò Harry che, con tutta evidenza, era il frontmen del gruppo.

 

“È nel bagno delle ragazze al terzo piano” andò avanti il piccolo dei Weasley “quello di Mirtilla Malcontenta, è lei la ragazza uccisa dal mostro. Per favore, non voglio che succeda anche a mia sorella! Non potete mandare Lockhart, lui non sa fare niente, niente!” protestò cercando di appellarsi al suo buonsenso.

 

“E voi come sapete di Lockhart?” domandò perplessa.

 

“Eravamo nell’armadio dell’Aula Insegnanti prima” ammise Harry, “abbiamo sentito tutto. Ron ha ragione, Lockhart non sarebbe mai in grado di fare niente di buono, non sa nemmeno gestire dei pixies!” 

 

“Va bene…” Pamela cercava di pensare in fretta e con lucidità, ma non era la più semplice delle situazioni. Severus avrebbe saputo cosa fare, ma non poteva parlarne con lui davanti a due ragazzini ed era abbastanza sicura che se si fosse voltata per cinque minuti quei due sarebbero sgattaiolati dritti nella tana del mostro. Avrebbe potuto andare da Minerva, ma era sicura che avrebbe preso malissimo il suo interessamento alla faccenda e si sarebbe impuntata piuttosto che rischiare che qualcuno si facesse male. “Va bene. Ecco cosa faremo” disse dopo un secondo di silenzio “adesso andiamo insieme da Lockhart e gli parliamo insieme.”

 

I due ragazzini annuirono con l’aria sollevata di chi ha trovato qualcuno che indichi una via, per quanto accidentata. 

 

+++

 

Davanti alla porta di Lockhart bussarono più volte prima di riuscire a farsi aprire, ma Pamela era certa che fosse lì dentro perché lo aveva cercato con la sua percezione, e quella non poteva sbagliarsi. Alla fine dovette urlarlo attraverso il legno per rendere chiaro che non si sarebbe mossa da lì fino a che non avesse avuto risposta. Quando alla fine la porta si aprì, da dietro le spalle del mago sconvolto e stralunato poterono vedere i vestiti di raso sgargiante, che a quanto pare avevano invaso anche quella stanza oltre alla sua camera privata, svolazzare a mezz’aria andando a ripiegarsi all’interno dei bagagli insieme ai poster ammiccanti e alle foto sorridenti che dovevano aver ornato le pareti. 

 

“Professor Lockhart…” disse Pamela perplessa davanti al volto agitato del mago che si parava sulla porta. “Cosa… se ne sta andando?” chiese.

 

“Beh… beh… ho-ho avuto urgenti… urgentissime questioni… cose improrogabili…” balbettava Lockhart allontanandosi dalla porta per accertarsi che le sciarpe di seta non si spiegazzassero mentre si riponevano. 

 

“Ma lei non può andare via!” Harry Potter sembrava ancora più indignato di Pamela “Lei è il professore di Difesa Contro le Arti Oscure!”

 

“Cosa ne sarà di mia sorella?” Ron era scioccato e continuava a girare gli occhi da una parte all’altra della stanza.

 

“Nessuno è più dispiaciuto di me… diglielo anche tu Pamela, non c’è niente che si possa fare… niente!” rispose disperato Lockhart.

 

“Non è affatto vero!” rispose indignata la strega “I ragazzi sanno dov’è la Camera! Adesso lei viene con me e andiamo a recuperare quella ragazzina, ecco cosa facciamo!” rispose, talmente sconvolta da non riuscire nemmeno ad alzare la voce. Le sembrava così folle che nessuno paresse voler davvero salvare Ginny Weasley tranne lei, Severus e due ragazzini che il senso dell’assurdo superava di gran lunga la rabbia.

 

Lockhart si bloccò a guardarli con la bocca semiaperta e un’espressione stupida in volto. 

“Io non… non vedo come…” balbettò.

 

“Sta dicendo che dopo tutte le cose che ha fatto, le cose che ha scritto nei suoi libri, lei sta scappando?” incalzò Harry.

 

“I libri possono essere fuorvianti” all’improvviso l’espressione sul volto di Lockhart era cambiata e sembrava aver ritrovato almeno un po’ del suo charm. Si voltò verso Pamela sorridendo per la prima volta da parecchio, ma era un sorriso che aveva qualcosa di disperato e folle. “Cercate di capire, i libri non avrebbero venduto molto se le persone non avessero pensato che fossi stato io a fare tutte quelle cose, è stata una questione di marketing.” disse voltandosi verso la finestra e poggiandosi con gesto scenico al davanzale. “Ma ci è voluto un certo lavoro, una certa abilità a trovare tutti quei maghi e quelle streghe che avevano davvero fatto quelle cose, a raccogliere i loro racconti e poi… beh poi renderli miei.”

 

“Ma come ha potuto fare una cosa del genere?” Harry lo guardava indignato.

 

“Caro ragazzo… ora ti spiego…”

 

Fu questione di un secondo. Pamela vide la bacchetta scivolare nella mano di Lockhart e fece la cosa più veloce che potesse fare: gli entrò nel cervello. Non lo aveva mai fatto prima, ma sapeva che era teoricamente possibile farlo. Si trattava di usare esattamente la tecnica opposta rispetto a quando si entrava con delicatezza nei pensieri di qualcuno, in questo caso l’idea era scombinare quanta più roba possibile, buttare tutto sottosopra, diventare un ciclone impazzito di caos mentale.

Quello che Harry e Ron videro da fuori fu Lockhart accasciarsi a terra come un sacco di patate vuoto e poi iniziare a dimenarsi come in preda a delle convulsioni. Un attimo dopo aveva già smesso. 

 

“Cos’è successo?” chiese Ron nel panico.

 

“Niente… niente…” Pamela era tornata nella propria mente un po’ più confusa e stordita di prima, ma tutto sommato a posto. Si avvicinò al mago svenuto per controllare che fosse ancora vivo. “Si risveglierà tra qualche minuto un po’ confuso” li rassicurò.

“Incarceramus” disse dopo essersi rialzata e aver estratto la bacchetta. Grossi fune apparirono a stringere il corpo a terra. “Sarebbe meglio andare a chiamare Madame Pomfrey, per sicurezza…” 

 

“Dobbiamo andare alla Camera, più aspettiamo più Ginny sarà in pericolo” ribattè Potter.

 

“Va bene… va bene…” il cervello di Pamela funzionava a rallentatore e mettere a fuoco il da farsi era diventato ancor più difficile di prima. “Va bene… allora Ron, vai a cercare Madame Pomfrey. Harry, andiamo a parlare con Mirtilla e cerchiamo di capire come si apre questa Camera.”

 

“È mia sorella! Voglio venire anche io!” protestò Ron.

 

“Va bene, ci raggiungi appena hai fatto qui, andiamo. Non c’è tempo da perdere…” tagliò corto Pamela uscendo dalla stanza con i due ragazzini al seguito.

 

+++

 

Mirtilla Malcontenta sedeva sulla cassetta di scarico dell’ultimo gabinetto.

“Oh, sei tu!” disse quando vide entrare Harry “Che cosa vuoi questa volta?”

 

“Chiederti come sei morta” disse Harry facendosi avanti.

 

“Oooooh, è stato terribile” disse il fantasma volando verso di loro con aria sconvolta “È successo proprio qui, proprio in questo cubicolo. Me lo ricordo perfettamente. Mi sono nascosta perchè Olive Hornby mi prendeva in giro per i miei occhiali. La porta era chiusa e io stavo piangendo, e poi ho sentito qualcuno entrare. Hanno detto qualcosa di buffo in una lingua strana. Ma quello che mi ha colpita era il fatto che si trattava della voce di un ragazzo. Così ho aperto la porta, per dirgli di andarsene e usare il suo bagno, e poi… sono morta!” disse con un volto sconvolto e scintillante. 

 

“Come?” chiese Pamela rapita dal racconto. 

 

“Non ne ho idea.” Rispose petulante Mirtilla “Ho solo visto due grandi occhi gialli. Tutto il mio corpo si è come bloccato e poi stavo fluttuando via… e poi sono tornata. Ero decisa a perseguitare Olive Hornby. Oh, si è pentita di aver riso dei miei occhiali!”

 

“Dove hai visto gli occhi, di preciso?” Chiese Pamela cercando di immaginare da dove potesse venire la presenza enorme che aveva avvertito.

 

“Da qualche parte lì” disse Mirtilla indicando i lavandini.  

 

Harry e Pamela si avvicinarono ai rubinetti perplessi. Sembravano dei lavandini come tanti altri e soprattutto davvero troppo piccoli per poter contenere il mostro. Pamela stava decidendosi a mettersi cercare usando le proprie facoltà, anche con il rischio di essere percepita a sua volta, quando la porta del bagno si aprì lasciando entrare Ron.

“Hai fatto tutto?” chiese, ma poi Harry richiamò la sua attenzione.

 

“Qui c’è qualcosa.” disse il ragazzino indicando una manopola con sopra un serpente in bassorilievo. 

 

“Quello non ha mai funzionato” disse Mirtilla alle loro spalle mentre cercava di girarlo.

 

“Harry” disse Ron avvicinandosi all’amico “Dì qualcosa. Qualcosa in Serpentese.”

 

“Ma…” Harry non aveva idea di come fare. L’unica volta che aveva parlato Serpentese non lo aveva fatto volontariamente. “Non so come fare…”

 

“Concentrati, pensa che quel serpente sia vivo.” Suggerì Pamela incoraggiante. 

 

“Apriti” disse. 

 

“Inglese” lo informò Ron scuotendo la testa.

 

“Con calma Harry, fai dei respiri profondi e concentrati” Pamela gli poggiò la mano sulla spalla truccando appena le carte in tavola. Con un tocco lieve accompagnò i suoi pensieri verso l’idea stessa del serpente.

 

“Apriti” disse di nuovo, ma questa volta dalla bocca di Harry uscì uno strano sibilo. Un secondo dopo il rubinetto iniziò a muoversi, scoprendo una tubatura grande abbastanza perché una persona ci scivolasse dentro con agilità. 

 

“Dobbiamo entrare lì dentro.” disse Harry e prima che Pamela potesse riprendersi dallo stupore era saltato dentro il tubo.

 

“Aspetta!” cercò di fermarlo sporgendosi nel buco, ma quello era già sparito alla vista. Pamela si voltò verso Ron Weasley, come se un ragazzino del secondo anno potesse in qualche modo tirarla fuori da quel guaio. Non poteva certo lasciare Harry Potter affrontare il mostro di Slytherin da solo, ma non poteva nemmeno far scendere un altro dodicenne là sotto… per un momento pensò di pietrificarlo, lasciarlo lì e scendere, ma anche quella era una cosa contraria a ogni etica. “Non ti muovere da qui!” Disse minacciandolo con un dito accusatore prima di calarsi nel tubo. 

 

La caduta fu qualcosa di indimenticabile. Pamela avrebbe sognato per molte notti a venire quel senso di vuoto nel buio, quel precipitare senza fondo verso il niente. Poi, mentre il panico le si attenuava nel petto lasciando il posto alla rassegnazione dello schianto, la tubatura iniziò a cambiare inclinazione e la discesa a rallentare fino a che l’arrivo non fu altro che un dolce accompagnamento. 

 

“Harry!” la luce di una bacchetta illuminava il tunnel davanti a lei e poteva riconoscere i capelli scombinati di Potter che le davano la schiena. “Harry, torna immediatamente indietro!” disse mentre la sua voce echeggiava nel tunnel davanti a loro. 

“Dobbiamo essere miglia sotto la scuola…” rispose il ragazzino come se non l’avesse sentita affatto. 

 

Qualcosa scricchiolò sotto la scarpa di Pamela mentre si rimetteva in piedi. “Lumos” chiamò a sua volta, rendendosi conto degli scheletri di piccoli roditori che ricoprivano il pavimento. Fece in tempo a fare ancora due passi avanti quando un grido scese dalla tubatura da cui erano arrivati anche loro, e un secondo dopo Ron Weasley ne venne sputato fuori.

 

“Weasley! Ti avevo detto di aspettare!” Pamela si voltò a sgridarlo inviperita. “Ma vi rendete conto del pericolo?”

 

“È mia sorella!” protestò Ron mettendosi in piedi con quanta più dignità possibile visto dove gli erano andate a finire le viscere durante la caduta.

 

“In ogni caso non vedo come potremmo tornare indietro ora…” osservò Harry con un’occhiata scettica alla tubatura.

 

Pamela schioccò la lingua scocciata in un gesto che aveva ereditato da sua madre ma che, vista la sua indole troppo indulgente, le sfuggiva davvero di rado. Quei due ragazzini le stavano tirando fuori la pazienza dall’anima e iniziava a capire la poca simpatia che Severus nutriva per loro. Cercando di calmarsi chiuse gli occhi e fece qualche respiro profondo. Voleva usare le proprie doti di legilimens per connettersi con Minerva e spiegarle tutto l’accaduto, ma con suo grande stupore si rese conto di non potere. Era come se qualcosa in quel posto le richiudesse la coscienza in se stessa. Forse era per questo che non era stata in grado di percepire il mostro se non quando se ne andava in giro per i corridoi della scuola: qualcosa rendeva quel posto a prova di legilimens. 

 

“D’accordo” accetto scocciata. “D’accordo, allora avanziamo. Ma vado io per prima e qualsiasi cosa dovesse muoversi voi scappate, chiaro? Io vi prometto che cercherò di trovare Ginny in ogni caso.” disse portandosi in testa al piccolo gruppetto.

 

“Va bene, ma si ricordi di chiudere gli occhi.” si raccomandò Harry. 

 

“Chiudere gli occhi? Perché dovrei chiudere…” mentre lo diceva Pamela mise in ordine i pezzi: le tubature, i serpenti, la gigantesca presenza, le pietrificazioni… “è un Basilisco! Il mostro di Slytherin è un Basilisco! Come lo avete capito?”

 

“Ragni” rispose con un brivido Ron. “È stato orribile, mi creda…”

 

Per un momento Pamela ebbe la curiosità di chiedere di più, ma poi decise che non voleva sapere e si limitò ad iniziare la lenta marcia nel buio che circondava il tenue bagliore delle bacchette. 

 

Dopo poche decine di metri Ron interruppe il silenzio con un sussurro terrorizzato: “Hey, c’è qualcosa laggiù” disse afferrando la spalla di Harry. 

 

Si fermarono a guardare. Sforzando la vista Pamela notò qualcosa proprio davanti a loro nel tunnel, qualcosa di enorme e ritorto. 

 

“Magari sta dormendo…” suggerì Harry sottovoce.

 

“State indietro.” Cercando di fare il meno rumore possibile, Pamela fece qualche passo avanti con il cuore che sembrava essersi fermato nel petto. La sagoma diventava più nitida e restava del tutto immobile. “Un po’ più di luce” chiese in un sussurro e la bacchetta le obbedì. Davanti a lei comparve un’enorme pelle di serpente, agghiacciante ma inoffensiva. Tirò un sospiro di sollievo rendendosi conto di tutta la tensione che le scendeva nelle gambe.

 

“Tutto bene, è solo pelle” disse voltandosi verso i due ragazzi che, per una volta, avevano obbedito. “Andiamo avanti, ma con cautela.”

 

“Un coso che lascia una pelle così dev’essere lungo almeno venti metri…” commentò Ron passando sotto le grosse squame translucide. 

 

Il tunnel proseguiva svoltando e poi svoltando ancora. A ogni metro Pamela si domandava cosa stesse facendo arrovellando la mente alla ricerca di una via d’uscita che non presupponesse una morte orrenda per tutti loro. Non riusciva a immaginare nessuna soluzione, nessun modo per tirare tutti fuori da quel disastro e iniziava a chiedersi se qualcuno avrebbe mai almeno trovato i loro cadaveri. Non doveva pensarci perché se ci pensava impazziva e invece doveva restare lucida e fare semplicemente un passo alla volta senza perdere le speranze. Aveva il vantaggio di sapere cosa l’aspettava e cosa avrebbe dovuto affrontare ora poteva impiegare quel tempo per cercare di ricordare tutto quello che aveva letto sul Basilisco e inventare un modo per poterlo uccidere. Solo che non le veniva in mente nulla di utile. 

Dopo una quantità di tempo indecifrabile, un’ultima svolta li portò davanti un muro, due serpenti dagli occhi di smeraldo intagliati in basso rilievo nella pietra. 

 

“Harry” chiamò “Qui credo che serva il Serpentese.” disse “Ma mi raccomando, e sto parlando con entrambi, quando entreremo lì dentro, lasciate che affronti il Basilisco, non fate nulla di avventato e nascondetevi! E se dovesse succedermi qualcosa… tornate indietro, trovate il modo di chiedere aiuto, piuttosto lanciate incantesimi su per la tubatura fin quando qualcuno non si accorge che siete qui sotto.” Era un’idea stupida e lo sapeva, ma qualcosa avrebbero pur dovuto tentare. 

 

“Promesso.” disse Harry annuendo prima di superarla. Poi si accostò al muro e fissando negli occhi i serpenti disse “Apriti.” con un sibilo.

 

+++

 

Nella Camera dei Segreti l’aria era umida e fredda, pesante di magia e silenzio. I maestosi pilastri di roccia dalle teste di serpente sorreggevano un soffitto perso nell’oscurità. La luce delle torce alle pareti prendeva riflessi verdastri dagli occhi smeraldini delle sculture e tingeva i rigagnoli d’acqua a lato della passerella in pietra. Era una vista maestosa e impressionante e Pamela l’avrebbe di certo trovata meravigliosa se non avesse avuto il pensiero del Basilisco che li aspettava da qualche parte per mangiarli vivi. Avanzava con il cuore in gola, la bacchetta stretta nella mano gelida di terrore, ascoltando ogni minimo rumore intorno a loro, ma non si sentiva altro che l’eco dei loro passi sulla pietra. 

Avanzando lungo la passerella comparve alla vista, incorniciata dagli ultimi pilastri, un’enorme statua alta quanto la camera stessa: un volto di scimmiesco di fattura antica, la lunga barba sottile lunga fin quasi ai due grossi piedi di pietra che poggiavano sul pavimento. Proprio, ai piedi della statua, Pamela riconobbe i lunghi capelli rossi dei Weasley.

 

“Ginny!” Sentì Ron esclamare e non fece in tempo a trattenerlo che il ragazzino era corso in avanti verso la sorella. 

 

“Ron!” Pamela gli corse dietro raggiungendolo mentre sconvolto, chino sulla ragazzina, cercava di svegliarla. 

 

“Non si sveglierà…” disse una voce gentile scivolosa mentre anche Harry li raggiungeva.

 

Pamela si voltò: un ragazzo giovane, forse del quarto o del quinto anno stava in piedi accanto a un pilastro. C’era qualcosa di strano in lui, una certa… trasparenza, forse era un fantasma… e poi la divisa, non era di quegli anni, sembrava una vecchia divisa degli anni cinquanta. 

 

“Chi sei?” chiese perplessa, ma il fantasma non guardava lei, guardava Potter.

 

“Tom - Tom Riddle?” chiese il ragazzino.

 

Pamela sentì il sangue gelarsi nelle vene quando vide quell’ombra annuire. Scattò in piedi portandosi di forza Ron con sé e cercando di mettersi tra i ragazzi e Tu-Sai-Chi. Tutto era diventato molto veloce. Tom la fissava e sorrideva, un sorriso maligno e benevolo allo stesso tempo. Poi Harry riuscì a divincolarsi sgusciandole davanti, la schiena al fantasma della più grande minaccia a lui, a loro e all’intero mondo magico.

 

“Cosa sta succedendo?” Lo sentì chiedere arrabbiato e confuso, poi la sua bacchetta non era più nella sua mano, la teneva Tom e ci giocava.

 

“Harry!” Ron si era divincolato a sua volta per affiancare l’amico, ma Pamela era riuscita a prenderlo per il mantello trattenendolo. Quando un lampo verde uscì dalla bacchetta di Tom Riddle, fece in tempo a strattonarlo verso di sé e mettersi in mezzo.

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Capitolo 28
*** Epilogo ***


Ancora una volta, Pamela scoprì con grande stupore di non essere morta. 

Se ne rese conto in realtà da subito, ma essendo priva di sensi e impegnata in una intensa attività onirica, si può dire che non se ne rese propriamente conto fino a quando non sentì oltre la coltre del sogno la voce di Minerva McGonagall. 

"Lascialo fare, Severus, i gatti sono miracolosi." Diceva. 

 

Pamela aprì gli occhi guardandosi stordita intorno. Era in camera sua, si rese conto che il peso sul petto era costituito da Charm che le faceva le fusa appollaiato col muso dritto davanti alla sua faccia. 

 

Stupidi umani 

Stava dicendo il felino con gli occhi semisocchiusi, concentrato nel suo lavoro.

 

Sì voltò a destra e vide Severus che la fissava a braccia conserte a lato del baldacchino con aria estremamente contrariata. Poco dopo di lui, Minerva McGonagall pareva più che altro sollevata. 

 

"Oh, cara, stai bene?" Chiese. 

 

"Cos'è successo?" Chiese Pamela confusa su cosa fosse stato un sogno e cosa no. 

 

“Diccelo tu come sei finita nella Camera dei Segreti con due studenti del secondo anno!” rispose alterato Severus.

 

“Io…” Pamela non era pronta a prendersi un rimprovero in quel momento. “Io… ho cercato solo di trovare Ginny Weasley e di non farli andare da soli…” con suo enorme disappunto si rese conto di stare piangendo, e davanti a Minerva per giunta. Si coprì gli occhi con le mani nel tentativo puerile di nascondersi. 

 

“Su, su, cara…” Minerva si avvicinò al letto poggiandole una mano ossuta sulla spalla e lanciando un’occhiataccia di rimprovero a Snape. “Va tutto bene, i ragazzi stanno tutti bene…”

 

Pamela tirò su col naso asciugandosi il volto. “Come hanno fatto? Come faceva Voi-Sapete-Chi ad essere un fantasma? Io non capisco…”

 

“Ci sono molte cose ancora poco chiare” confermò Minerva con un sorriso rassicurante. “Anche… anche come il professor Lockhart abbia perso la memoria non è chiaro.” aggiunse con uno sguardo eloquente a Snape. “E se non dovesse chiarirsi non ci saranno ripercussioni per nessuno…”

 

“Perso la memoria? Come sarebbe a dire…” Pamela li guardò confusa.

 

“Il Basilisco si dice che avesse anche poteri di tipo psichico, una sorta di capacità comunicativa da legilimens, non sappiamo cosa potesse fare di preciso” Severus la fissò inarcando un sopracciglio con l’aria di voler intendere un chiarissimo “sta zitta e evita di fare danni” che Pamela sentì di recepire in pieno.

“Mi dispiace” disse soltanto abbassando gli occhi.

 

“La prossima volta, e speriamo tutti che non esista una prossima volta, ti pregherei di venire da me, come prima cosa.” disse Minerva “In assenza del Preside, chiaramente.”

 

“Sì, scusami. Ma come hanno fatto a uscire da lì sotto? E il Basilisco? È morto? E Tom Riddle, o il suo fantasma, o quello che era…” la curiosità iniziava a prendere il sopravvento.

 

“Ne parleremo più avanti” disse Minerva grattando le guance a Charm che aumentò di qualche decibel il volume delle fusa, strusciando la testa contro la sua mano. “Adesso immagino avrai fame e voglia di goderti i festeggiamenti. Di sotto c’è un piccolo pigiama party in corso, e con dell’ottimo pudding. E sono sicura che il Preside sarà felice di vederti in piedi.”

 

Pamela sorrise “È tornato!” disse entusiasta spostando il gatto per poter scendere dal letto.

 

“Fai con calma” disse Minerva allontanandosi verso la porta e, lanciando un’occhiata che aveva qualcosa di malizioso al piccolo quadretto, aggiunse: “Prendetevi un momento.”

 

Severus non aveva fatto in tempo a ribattere che la porta si era già chiusa. Non gli restò altro da fare che sbuffare e voltarsi verso Pamela.

"Ehm… stai bene?" Chiese con un certo imbarazzo mentre lei cercava di alzarsi dal letto sulle gambe ancora poco convinte.

 

"Sì, mi gira solo un po' la testa." Rispose accettando di starsene seduta sul bordo del letto ancora un momento. 

 

"Sei stata fortunata! Se quello non fosse stato solo un fantasma ma un vero mago in carne e ossa saresti morta! Hai idea di quanto hai rischiato? Devi ringraziare che nemmeno il fantasma da Signore Oscuro in persona possa lanciare un incantesimo compiuto." 

 

"Beh, è stato abbastanza da stendermi. Suppongo dovrai insegnarmi a duellare meglio di così se la situazione dovesse peggiorare." Ammise Pamela.

 

"Credi alle paranoie di Dumbledore…"

 

"Credo a quello che ho visto. In due anni che insegno qui Tu-Sai-Chi è entrato due volte e sempre più aggressivo! E poi… e poi ho visto delle cose…" aggiunse in tono meno convinto. 

 

"Quali cose?" Chiese Snape sospettoso. 

 

"Delle cose… dei sogni mentre ero svenuta… non lo so, era tutto molto confuso ma non erano sogni normali, Sev… si stanno muovendo cose, cose maligne." Disse incupendosi appena "Dovremo essere pronti..." 

 

+++

 

Quando scesero alla Sala Grande c'era un clima di festa nonostante il folle orario. Tutti, staff compreso, indossava una tenuta da notte (tranne Severus, naturalmente) e anche Pamela aveva voluto onorare l'idea cambiando i vestiti sporchi e sgualciti e infilandosi la lunga camicia da notte. Severus le aveva buttato addosso uno scialle sostenendo che non fosse il caso di prendere freddo dopo il trauma subito. Pamela lo aveva lasciato fare, come aveva lasciato che aspettasse cinque minuti dopo che lei era entrata nella Sala per seguirla, per una sua incomprensibile forma di pudore. Era stata una fortuna, perché di certo avrebbe disapprovato il sorriso troppo entusiasta che le era nato in volto rivedendo Dumbledore. Era un tale sollievo per Pamela, che si rese conto solo in quel momento di quanto le fosse mancata la sua presenza nella scuola e lo avrebbe abbracciato se non avesse avuto un minimo di autocontrollo. 

 

"Signorina Granger!" Aveva riconosciuto la sua alunna in mezzo alla folla che abbracciava da una parte Ron e dall'altra Harry con aria entusiasta e l'aveva raggiunta. "Che piacere rivederla in carne e ossa! Devo dire che se ne avessi la facoltà, dopo poche ore con questi due signorini al suo fianco, darei almeno cento punti alla sua casa per come riesce a sopportarli!" 

 

"Veramente siamo noi che sopportiamo lei!" Protestò Ron meritandosi uno scappellotto.

 

"E ne toglierei altrettanti per la vostra totale assenza di ubbidienza" aggiunse con aria severa "Sono molto contenta che non frequentiate il mio corso!" 

 

"A dire il vero Hermione ci aveva giusto convinti a iniziare a seguirlo l'anno prossimo" ribatté Harry con un sorriso spavaldo.

 

"In questo caso me ne farò una ragione." Disse con un sorriso divertito prima di voltarsi di nuovo verso il tavolo degli insegnanti. 

Sopra le teste di tutti gli studenti, svettava la figura del Preside con la lunga barba bianca e il cappello da notte con tanto di pon pon, Minerva McGonagall, seduta al suo fianco, in un’elegante camicia da notte color panna accollata come la divisa di un’educanda d’altri tempi, portava pur sempre i capelli raccolti in un severo chignon, mentre Pomona Sprout rideva dando di gomito ad Hagrid nella sua vestaglia a fiori colorati. E dietro agli altri, in piedi e con l’aria contrariata Snape la guardava, ma appena si rese conto che anche lei lo stava fissando si voltò decidendo all’improvviso di mettersi a sedere. 

Per la prima volta in due anni Pamela sentì davvero che il suo posto era cambiato ad Hogwarts. Si congedò dai suoi alunni e si mise a sedere insieme ai colleghi.
 


L'angolo dell'autrice

E con questa pubblicazione si chiude anche questo secondo capitolo delle vicende di Pamela a Hogwarts :D

Spero vi siate divertiti a seguirla quanto io mi sono divertita a scrivere! Sappiate che ho già messo mano al terzo libro per cui non tarderete troppo ad avere di nuovo mie notizie ;) Se avete suggerimenti, idee, voglia di condividere quello che vi aspettate succeda è il momento di farlo! ;) Io faccio sempre di testa mia ma fingerò di ascoltarvi (non è vero e Nanna_Chan può testimoniarlo). 

Io vi ringrazio moltissimo della compagnia e dei commenti, ringrazio doppiamente la nostra meravigliosa lettrice beta e a presto sentirci! <3

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