Amaryllis: Il Destino Di Fuoco

di Luxanne A Blackheart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione, cast e trailer ***
Capitolo 2: *** PRIMA PARTE — FRANCIA, INFELICITÁ E CUORI GEMENTI ***
Capitolo 3: *** Prologo ***
Capitolo 4: *** I ***
Capitolo 5: *** II ***
Capitolo 6: *** Cari Lettori ***
Capitolo 7: *** III ***
Capitolo 8: *** IV ***
Capitolo 9: *** V ***
Capitolo 10: *** VI ***



Capitolo 1
*** Prefazione, cast e trailer ***


Salve a tutti e benvenuti!
Col cuore che mi piange di gioia e di sconforto, vi dico finalmente benvenuti a questa ultima avventura.
Siamo partiti da Costantinopoli con Roxelana, il sultano e Ibrahim e poi ancora con Zafiraa e Mustafá; poi siamo andati in Ungheria con la bellissima Erzsèbet e Boldizsàr per arrivare finalmente in Francia con Amaryllis, Jean Paul e Albert e con tutti i personaggi nuovi che la mia mente ha partorito.
Ho deciso di unire due storie in una per non mandarla troppo per le lunghe, quindi credo che questo libro sarà più lungo dei precedenti!
Non sarà facile, perché sono tutti un po' pazzi e problematici, ma spero che continuerete a seguirmi con lo stesso ardore dei precedenti.
Spero di non deludervi e buona lettura, vi lascio al cast!




Eleanor Tomlinson as Amaryllis, principessa di Danimarca.
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Aidan Turner as Jean Paul de Conde, pretendente al trono di Francia.
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Sam Claflin as Albert de Camus, marchese di Provenza.
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Kiera Knightley as Ágnès Nàdasdy
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Aaron Taylor-Johnson as Dimitri Ivanov, gentiluomo russo
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TRAILER:
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Capitolo 2
*** PRIMA PARTE — FRANCIA, INFELICITÁ E CUORI GEMENTI ***


PRIMA PARTE
FRANCIA, INFELICITÁ E CUORI GEMENTI
 

 
 
 
“Oggi c’è più
ricchezza ma meno forza; nessuna idea sa unire i cuori: tutto è rilasciato, rammollito, sfatto. Tutti noi, tutti noi siamo sfatti!”
 
L’Idiota,
Fëdor Michajlovič Dostoevskij
 
 
 
 
“Sentiva tutto il
tormento della posizione sua e di quella di lei, l’imbarazzo creato dalla necessità, esposti com’erano agli occhi del mondo, di dover nascondere il loro amore, e di mentire e di ingannare, di dover usare mille astuzie e doversi preoccupare continuamente degli altri, mentre la loro passione era così grande che per entrambi null’altro v’era al di fuori del loro amore.”
 
Anna Karenina, Lev Tolstoj
 
 
 
“O tu, che come un coltello sei penetrata nel mio cuore gemente: o tu, che come un branco di
demoni, venisti, folle e ornatissima, a fare del mio spirito umiliato il tuo letto e il tuo regno - infame cui sono legato come il forzato alla catena, come il giocatore testardo al gioco, come l'ubbriaco alla bottiglia, come i vermi alla carogna - maledetta, sii tu maledetta!”
 
Charles Baudelaire
 

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Capitolo 3
*** Prologo ***


PROLOGO
 
 
Danimarca, Palazzo reale, 1594.
 
 
—Amaryllis! Principessa! Tornate indietro, non correte così! Non si addice ad una signorina del vostro calibro! — La sedicenne correva per i corridoi sfarzosi del palazzo reale danese per scappare ad una ulteriore noiosissima lezione di bon-ton su quale forchetta si usa per mangiare questo e quale inchino si debba fare davanti a questo marchese o quel conte. 
 
La sua lunghissima chioma rosso fuoco oscillava da una parte all’altra, mentre cercava di evitare i vari servitori che al suo passaggio si inchinavano e si attaccavano alle pareti, cercando di rendersi invisibili. La principessa Amaryllis rideva, rubando dai loro vassoi qualche chicco d’uva; saltava sui tavoli, si arrampicava sulle pareti come una scimmia e rideva in modo sguaiato.
 
—Vi prego! Fermatevi o vostro padre si infurierà con me! —
 
Amaryllis si voltò, rallentando leggermente. Due occhi azzurri scintillanti come zaffiri, guance macchiate di rosso per la corsa e sorriso furbo ad addolcirle i lineamenti. Era un uragano di felicità e potenza. —Suvvia balia, non fate la guastafeste! Sono così felice! È estate, gli uccelli cantano e fa’ caldo! Bisogna festeggiare per questa bella giornata! —
 
—Amaryllis, si può sapere che cosa sta accadendo qui? La balia potrebbe avere un collasso da un momento all’altro. — La principessa di Danimarca sussultò, trovandosi la madre, la regina Zafiraa alle sue spalle. Era una donna di una bellezza e ingegno raro e con il passare del tempo queste sue qualità non sfiorivano, anzi la valorizzavano. Aveva due occhi grandi ed espressivi, ormai circondati da rughe, belle labbra rosee e capelli lunghissimi che amava acconciare ogni giorno diversamente, ma di un colore mai visto: bianchi. Sulla testa brillava un bel diadema a testimoniare il suo sangue reale. Indossava un vestito nero che le stava perfettamente.
 
Della ragazza sciatta e un po’ volgare non era rimasto quasi nulla. Aveva dimenticato quella vita e si era immedesimata completamente nella parte di una giusta e benvoluta regina, di un popolo che l’aveva amata, nonostante le sue origini.
 
—Sua Altezza, la principessa è cocciuta e non vuole prendere parte alle lezioni quest’oggi. Non so più come comportarmi con ella, datemi una mano! —
 
—Non preoccupatevi, balia cara. Amaryllis vi ha fatto penare abbastanza, ci penso io. —
 
Zafiraa rifilò alla figlia uno dei soliti sguardi severi, ma non riuscì a trattenere un sorriso. Erano proprio simili e nessuno avrebbe potuto mettere in dubbio che fosse sua figlia, nonostante i capelli rossi.
 
Era stata dura da spiegare il motivo di quel colore a suo marito Jens, che non conosceva per filo e per segno tutta la storia. Poul, il suo primo figlio, per via dei capelli scuri e gli occhi chiari e la pelle pallida, poteva anche somigliare a suo marito, benché non fosse suo figlio biologico… Ma Amaryllis era come ricevere un pugno nello stomaco. I suoi capelli, così maledettamente simili alla donna che l’aveva messa al mondo e che aveva portato solo sofferenza nelle loro vite: Roxelana, Hürrem o come si faceva chiamare se la sarebbero sempre portata dietro; lei e le sue maledette azioni. Il suo sangue scorreva nelle sue vene e in quelle di sua figlia, che più cresceva e più le somigliava.
 
Zafiraa era circondata dai fantasmi, poiché Poul le ricordava terribilmente Mustafà e Amaryllis le ricordava Hürrem. Dimenticare l’uomo che aveva amato più della sua stessa vita e che le era stata portato via prematuramente quando aspettava Poul, non era facile se il tuo stesso figlio te lo ricorda ogni giorno; così come non era possibile dimenticare una madre che l’aveva rinnegata, odiata e cercato di renderla infelice, quando tua figlia la ricorda in ogni atteggiamento, nel carattere e nell’aspetto.
 
—Ci sono delle cose di cui ti devo parlare, figlia mia. — Zafiraa prese per mano la figlia, guidandola lungo gli ampi corridoi. Uscirono nei giardini e sedettero una di fronte all’altra. —Tuo padre ha deciso e anche io penso sia una buona idea… —
 
—Che cosa, madre? —
 
—Tra due anni, al compimento della maggiore età e al termine dei tuoi studi, ti recherai in Francia per incontrare il tuo futuro marito, Jean Paul, sesto in linea di successione. — Zafiraa accarezzò i capelli lunghi e setosi della figlia, cercando di soppesare bene ogni singola parola.
 
Non era giusto, la regina lo sapeva; alla sua età ella stessa si sarebbe ribellata ad una simile decisione. Ma nel sangue di Zafiraa non scorreva quello reale, era la figlia di due pirati che non avevano una patria, se non il mare.
 
Amaryllis era nata fortunata e sfortunata al tempo stesso; fortunata poiché viveva in un lussuoso castello, era amata dal popolo, aveva un padre che stravedeva per lei e un fratello che si sarebbe fatto impiccare per vederla sempre ridere, ma era anche sfortunata perché nata donna, era una principessa che aveva doveri verso la sua nazione e verso il suo popolo e con il suo matrimonio avrebbe potuto costruire una forte alleanza con un paese florido e potente come la Francia. La guerra di Livonia era finita ormai da un pezzo, ma la paura di un nuovo conflitto era sempre in agguato.
 
—Come? Non state dicendo seriamente! — Gli occhioni di Amaryllis si riempirono di lacrime, il suo luminoso sorriso scomparve dal viso e i pugni si serrarono, intrappolando il vestito sottile in una presa mortale.
 
—Lo so, sono cosciente del fatto che non sia una notizia facile da accettare, soprattutto alla tua età. Sogni il vero amore, credi di essere invincibile e che il mondo debba essere tuo. E io ti auguro tutto il bene del mondo, luce dei miei occhi, ma hai un paese da mandare avanti, dei doveri che una semplice contadina non potrebbe capire. Sei nata con la corona in testa, nel tuo sangue scorre quello di tuo padre, un reale, un re e tu sei una principessa. — La regina Zafiraa la guardò con il cuore che le si spezzava. Alla sua età avrebbe preso la sua fidata spada e avrebbe cominciato a tirare fendenti a destra e manca, presa dalla rabbia, contro Mustafà.
 
Come passa il tempo e come cambiano le persone!
 
—Ma è ingiusto! Perché io dovrei sposare un uomo che non conosco?! Tu e papà siete innamorati, vi siete sposati per amore e avete fatto dei figli, me e Poul, per un sentimento che vi legava, oltre che dare una discendenza al paese. — Amaryllis piangeva, i capelli rossi bruciavano come la sua rabbia.
 
—Oh, povero amore mio. Non potresti essere più lontana dalla verità. Io e tuo padre non ci siamo sposati per amore, quello è venuto dopo, con il tempo. Dopo la nascita di tuo fratello Poul. — Amaryllis sollevò la testa di scatto, osservandola. Le lacrime continuavano a scendere sul suo viso innocente. — Ti racconterò una storia, figlia mia, una parte della mia vita che non ho mai raccontato a nessuno, oltre che a tuo padre. Ti racconterò ciò che ero alla tua età, come vivevo. Ti racconterò del mio primo e vero amore, un principe di nome Mustafà, dai capelli e gli occhi scuri come la notte, ma con un cuore capace di assorbirmi completamente. Ti racconterò di uomini e donne che hanno rinunciato a tutto per la loro posizione. Ti racconterò di tuo nonno e tua nonna, Ibrahim e Roxelana, differenti come neve e fuoco, di come sia iniziato tutto e ti racconterò di tuo zio Ibrahim e tua zia Fatma, gli unici che hanno avuto il coraggio di farcela e che Dio li aiuti… Ti racconterò questa storia che ti serva da lezione per il futuro e che tu non faccia gli stessi errori di tutti noi, sangue maledetto, perché tu sarai quella a riscattarci. —
 
 
Era ormai calata la sera e Amaryllis si era calmata, anche grazie alle parole del padre e di suo fratello. Zafiraa si sentiva male, era come se avesse sbagliato ad acconsentire a quel matrimonio combinato, ma non aveva altre scelte, non sapeva come altro poter agire.
Tutta l’eredità sarebbe finita nelle mani di Poul, poiché figlio maggiore ed erede maschio; a lei non sarebbe rimasto nulla, se non vedere il fratello realizzato.
 
Jean Paul era un principe, era ricco e viveva in uno dei paesi migliori del mondo. Amaryllis si sarebbe divertita, avrebbe vissuto una vita felice.
 
E l’amore? Nel suo sangue scorreva quello di Roxelana e di Zafiraa la pirata, non era destinata ad averlo. Le donne della sua famiglia non era destinate all’amore.
 
Sospirò, osservando il cielo stellato.
 
—Oh, amore mio, dove sei? — Parlò in turco.
 
Una lacrima le scivolò sul viso e lei si affrettò ad asciugarla. Erano passati così tanti anni dalla morte di Mustafà che era ormai impossibile contarli su due mani, ma del senso di vuoto e delle lacrime durante l’anniversario della sua scomparsa non se ne sarebbe mai liberata. E così come le mancava l’amore della sua vita, le mancavano tutti gli altri: Ibrahim, Drake, Fiammetta, Mehmed e suo fratello. Morti causate dalle manie di protagonismo di sua madre e del sultano.
 
Il senso di rabbia era sempre là, non sarebbe mai scomparso. Mai.
 
—Mustafà, veglia su mia figlia, come stai facendo su nostro figlio. Hanno bisogno di un’anima buona, soprattutto Amaryllis che somiglia ogni giorno che passa a sua nonna. —
 
 
SPAZIO AUTRICE!
BENVENUTI IN QUESTA NUOVA AVVENTURA, SIGNORE E SIGNORI!
HO DECISO DI PUBBLICARE IL PROLOGO PRIMA DEL PREVISTO, CONSIDERATO CHE LO AVEVO GIA’ SCRITTO DA UN PEZZO. HO VOLUTO DARE UN ULTIMO SPAZIO A ZAFIRAA, RICORDARE PER UN’ULTIMA VOLTA (FORSE) TUTTI I CADUTI IN GUERRA AI QUALI CI SIAMO AFFEZIONATI NEL CORSO DEL SECOLO.
AMARYLLIS È MOLTO SIMILE A ROXELANA/HURREM DA CIO’ CHE POSSIAMO NOTARE. E ZAFIRAA NON È PIU’ QUELLA PIRATA RIBELLE, CHE PRENDE A PUGNI QUALSIASI COSA RESPIRI, ELLA È MATURATA, COM’E’ GIUSTO CHE SIA, AVENDO UNA FAMIGLIA E UNA NAZIONE DA MANDARE AVANTI. SI PREOCCUPA PER IL DESTINO DELLA FIGLIA E PER LA SUA FELICITA’, MA AL TEMPO STESSO NON RIESCE A SOTTERRARE TUTTI GLI SCHELETRI DEL PASSATO.
AMARYLLIS È ANCORA UNA BAMBINA, PROTETTA TRA LE MURA DEL SUO CASTELLO E DELL’AMORE PROTETTIVO DELLA SUA FAMIGLIA, DEI SERVITORI E DELLA BALIA. MA ATTENZIONE! NON SARA’ SEMPRE COSI.
NEL PROSSIMA CAPITOLO AVREMO UN SALTO TEMPORALE DI DUE ANNI, OVVERO QUANDO LA PRINCIPESSA AVRA’ 18 ANNI E SI RECHERA’ IN FRANCIA PER CONOSCERE JEAN PAUL, SUO FUTURO MARITO (SI SPERA) E TUTTI GLI ALTRI PERSONAGGI NUOVI.
SE VOLETE SEGUIRMI, ANZI VI CONSIGLIO DI FARLO, MI TROVARE SU INSTAGRAM: Luxanne_A_Blackheart
BENE, GRAZIE PER AVER LETTO E ALLA PROSSIMA!!
 
P.S. Come ben sapete ho intenzione di revisionare tutta la saga ‘Neve e Fuoco’; la prima cosa da cui partirò saranno proprio le date, poiché non mi ci ritrovo per nulla e ho combinato dei casini per far quadrare i conti più o meno! Quindi non fateci caso, sono date provvisorie che nella revisione cambieranno sicuramente!  

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Capitolo 4
*** I ***


I
 
 
Francia, Parigi, 1596.
 
 
 
La tenuta nella quale l’avrebbero ospitata, si trovava qualche chilometro fuori Parigi. Il suo futuro marito, sesto in linea di successione, era un uomo che disponeva di grandi ricchezze, tutte ereditate. Un vero gentiluomo francese che andava a caccia, partecipava a balli e si interessava poco della vita politica, poiché nobile.
 
Amaryllis sospirò, annoiata. Il viaggio era stato incredibilmente lungo e stancante; non aveva fatto altro che pensare a come sarebbe stato il loro primo incontro. Sua madre, che l’aveva accompagnata e che ora le sedeva accanto, aveva sentito dire che egli fosse un uomo affascinante e dalle buone maniere.  Certo, non doveva farsi troppe illusioni, l’avrebbe dovuto sposare per forza, qualsiasi sarebbe stato il suo temperamento.
 
La carrozza sobbalzava ad un ritmo nauseante; la principessa non aveva avuto modo di vedere la città che si era dovuta intrufolare subito in una carrozza.
 
Aveva diciotto anni adesso, erano passati due anni dall’ultima volta in cui sua madre le aveva parlato del principe Jean Paul, sesto in line di successione e suo futuro marito. Continuava a ripeterselo nella mente e a bassa voce quando era sicura che nessuno potesse sentirla, per cercare di rendere la cosa più credibile o per farla perdere di significato.
 
Erano passati due anni dal momento in cui la sua vita era stata stravolta da una notizia di tale portata, dalla morte di suo padre Jens e dal momento in cui suo fratello Poul, che effettivamente aveva sangue reale, ma non danese, aveva preso il suo posto.
 
Guardò sua madre Zafiraa torturarsi le mani, nervosa. Aveva cominciato a manifestare del rancore nei suoi confronti e se prima erano legatissime, adesso a stento si parlavano. Amaryllis era cosciente che la colpa di tutto non era sua, ma non le importava. Poteva ribellarsi, come aveva fatto in passato e non sottostare a stupide leggi retrograde. Se si fosse trovato Poul al suo posto, avrebbe agito diversamente? Sicuramente. Poul era il figlio di Mustafà, il suo grande amore e suo padre Jens un povero allocco che aveva fatto di lei una regina.

—Madre, quanto vi soffermerete? — Le domandò, smorzando il silenzio. Ella la guardò, trattenendo a stento le lacrime. Aveva avuto una crisi nervosa, dopo la morte di suo padre Jens, aveva pianto per settimane intere e ormai non era più in sé, anche per il modo freddo in cui lei la trattava.
 
—Pensavo una settimana, il tempo giusto per vedere se riesci ad ambientarti. —
 
—Io penso che due giorni possano bastare. Non vorrete lasciare Poul tutto solo e circondato da avvenenti pretendenti, vero? —
 
—Io sono venuta per stare con te. —
 
—A me non interessa la vostra compagnia, madre. Dovreste averlo capito, oramai. —
 
La carrozza si fermò e le due reali scesero, aiutate dai servitori.
 
La tenuta era enorme; un grande giardino verde e con alberi di ogni genere la circondava. Era il classico vecchio castello francese, tutto grigio, in pietra e la cui misura imponente aveva l’obbligo di incutere timore e ammirazione nell’osservatore. Tutto era stato curato nei minimi dettagli, dal più insignificante filo d’erba allo stemma della famiglia impresso sui muri e sulle bandiere.
 
La servitù, ovvero i valletti e le domestiche principali, la governante e il maggiordomo di palazzo, erano sistemati nel lato destro dell’entrata, messi in ordine di importanza, così come il principe Jean Paul, suo padre Louis e sua madre Amelie. Era d’usanza attendere un ospite tanto importante come ella fuori dalla dimora, se ne possedeva una di egual importanza.
 
—Sua Maestà Zafiraa di Danimarca e Sua Altezza Serenissima Amaryllis di Danimarca! — Disse a gran voce uno dei valletti, annunciandole alla famiglia.
 
—Oh ma chérie, che piacere avere l’onore di incontrarvi finalmente. La vostra bellezza e quella di vostra madre precedono la deliziosa personalità che avete. — Fu il padrone di casa, Louis, ad accoglierle. Un uomo al quale piaceva vestirsi all’ultima moda e che non aveva paura di nascondere il suo denaro, davanti a nessuno. La moglie era una donna grassoccia, ma dai comportamenti altezzosi e dei cappelli alquanto bizzarri; dall’accento Amaryllis capì che fosse inglese. Entrambi erano pallidi, dai visi eleganti (anche se non bellissimi), capelli scuri e occhi chiari. Erano i prototipi dei perfetti nobili francesi.
 
Sua madre e la balia le avevano spiegato che Jean Paul non fosse il figlio legittimo di Louis e Amelie, benché questi erano conti e non re e regina. Il principe che lei avrebbe dovuto sposare era il figlio illegittimo del re francese con una ballerina, che aveva riconosciuto, ma affidato alle cure dei conti lontano dagli occhi indiscreti della grande società francese. Jean Paul era il bastardo della famiglia reale francese; infatti ogni reggenza che si rispetti ne deve avere uno. Loro avevano Poul e i francesi Jean Paul.
 
—Oh, Sua Grazia, non siate così plateale, ci farete arrossire. — Sua madre Zafiraa, sulla cui testa brillava una corona accecante, si fece baciare il palmo della mano e successivamente fece un inchino alla padrona di casa. Sebbene si fosse abituata a tutte quelle usanze, sua madre provava dell’imbarazzo ogni volta. Non era il suo posto quello. — Vorrei avere l’onore di presentarvi mia figlia, la principessa Amaryllis. —
 
La stazza considerevole del conte oscurava quella del figlio, quindi la ragazza non aveva ancora avuto modo di osservarlo attentamente. Solo quando si inchinò per salutarla a modo, poté finalmente osservare il tanto declamato principe Jean Paul, sesto in linea di successione al trono, nonché suo marito e padre dei suoi eventuali figli.
 
Due occhi di ghiaccio la trafissero, capelli scuri come la pece e di un riccio ribelle, lineamenti duri ma al tempo stesso eleganti, un accenno di barba e labbra sottili; il tutto piantato su un corpo abbastanza allenato e alto. Doveva avere poco più della sua età, non superava i venticinque anni.
 
Be’, le sue aspettative erano chiaramente state superate. Era davvero un bel ragazzo, ma di certo il suo più che gradevole aspetto non sarebbe bastato a farle cambiare idea.
 
—Benvenuta in Francia, princesse Amaryllis. — Disse il diretto interessato, con voce grave e sensuale. Amaryllis sorrise, piantando uno dei suoi sorrisi più abbaglianti e con una eleganza che non le apparteneva, ma che aveva saputo simulare alla perfezione, gli concedette il favore di stringerle la mano nella sua e piantarvi sopra un bacio.
 
Odiava alla follia tutto quello. Non era il suo posto, odiava quel luogo e quella lingua. Odiava sua madre e voleva solamente tornare in Danimarca da suo fratello, l’unico che l’aveva apprezzata per quello che era.
 
—Vi ringrazio, principe Jean Paul. — Amaryllis si inchinò e salutò anche la madre adottiva del principe.
 
La sua dama di compagnia, francese anch’ella assunta per insegnarle a parlare francese correttamente, le aveva acconciato i capelli in modo semplice ed elegante. Alla luce del sole sembravano più rossi di quanto in realtà fossero. Infatti gli occhi del principe erano concentrati su quelli.
 
Amaryllis sorrise, erano sempre stati il suo simbolo e la sua forza.
 
—Ad ogni modo, vorrei presentarvi nostro nipote il marchese Albert de Camus, la contessa Ágnès Bàthory, venuta dall’Ungheria per apprendere il francese, così come questo gentiluomo russo Dimitri Ivanov. —
—Vostre grazie. — Dissero in coro le due donne danesi, inchinandosi davanti agli sconosciuti. Erano tutti e tre giovani. Il conte de Camus era un bel ragazzo, dai folti capelli biondi, gli occhi azzurri e un sorriso reso dolce dalla fossetta che gli si creava al lato della bocca. Sembrava essere molto timido, considerato che non riusciva a guardarla per più di qualche secondo negli occhi.
 
La contessa Bàthory era di una bellezza particolare. Aveva lunghi capelli neri, trattenuti in una acconciatura complessa, pelle pallida e senza imperfezioni e due occhi scuri come la notte. Sembrava una sorta di bambola di porcellana e Amaryllis suo malgrado, si ritrovò ad essere gelosa della sua bellezza particolare.
 
Il gentiluomo russo, il signor Ivanov, aveva una bellezza glaciale. Pelle bianchissima, occhi di cristallo e capelli di un biondo cenere particolare. Tra tutti loro sembrava quello più espansivo, considerato che si era posto in maniera amichevole.
 
—Sua Altezza Serenissima e Sua Maestà è davvero un piacere incontrarvi! Finalmente qualcuno delle mie parti di mondo, che può effettivamente comprendere il vero freddo! – Sua madre rise, lasciandosi adulare. –Questi francesi non ne sanno proprio nulla, non è vero Jean Paul? –
 
—Siete voi quello strano, Dimitri! —
 
Amaryllis notò che tutti avessero una certa confidenza.
 
—Vogliamo entrare adesso? Le maestà vorranno sicuramente riposare a causa del lungo viaggio. Vi faremo chiamare per l’ora di pranzo e poi i due futuri sposi avranno modo di conversare da soli! – Disse il conte grassoccio, offrendo il braccio a sua madre, che lei afferrò volentieri. Da quando era morto suo padre, Zafiraa indossava solamente abiti scuri.
 
—Sua Altezza, prego. — Dimitri le offrì il braccio che Amaryllis accettò volentieri. Il principe Jean Paul si era dileguato con Albert e la contessa.
 
Si prospettava una bellissima permanenza.
 
 
Tutti noi nascondiamo segreti e indossiamo maschere a seconda delle situazioni. Non si può essere completamente sinceri al cento percento con le persone che si amano, poiché si ha paura dei giudizi e di rivelare qualcosa che potrebbe portare a restare da soli. Inevitabilmente agiamo per piacere alla gente, per avere più conoscenze possibili, essere amati e felici.
 
Tutti noi celiamo qualcosa nel nostro animo, che cerca di uscire alla prima occasione, come una sorta di demone. Il nostro animo è racchiuso in un vaso di pandora, il quale contiene tutti i nostri mostri interiori.
 
Nessuno è come appare.
 
Amaryllis ormai ci si era abituata. Nascondeva il suo vero essere a tutti, persino a Poul, per paura di venire giudicata. Probabilmente neanche sua madre Zafiraa che nonostante tutti i loro dissapori, la conosceva benissimo, sapeva cosa si celava nel suo animo. Il suo mostro, il suo demone, il suo vero Io.
 
Osservava i giovani gentiluomini che la circondavano e sapeva che in ognuno dei loro sguardi c’era qualcosa che nessuno sapeva.
 
Amaryllis non amava particolarmente la conversazione, soprattutto quando si era a tavola con persone che ancora non conosceva, come in quel caso.
 
La tavolata era piena, talmente tanto che sicuramente nessuno avrebbe finito tutte le portate, nemmeno il grasso conte. I cosiddetti consuoceri erano seduti vicini e conversavano, mentre il principe e la principessa erano stati sistemati uno di fronte all’altra, per guardarsi meglio probabilmente; accanto il primo c’erano Albert e Dimitri, mentre al fianco di Amaryllis la contessa Ágnès.
 
Tutti parlavano di politica e stupidaggini varie. Amaryllis, invece, taceva ed osservava i presenti per studiarli meglio e farsi un’idea. Una semplice occhiata può rilevare la personalità apparente di una persona.
 
Il marchese Albert aveva un dolce sorriso e probabilmente tra tutti era la parte più razionale e calma del gruppetto. Ma c’era qualcosa nel suo sguardo, di indecifrabile, ma era sempre lì. Era come se nascondesse qualcosa.
 
Dimitri Ivanov, invece, era talmente bello che si rimaneva distratti dal suo aspetto fisico. Probabilmente lo usava come suo punto di forza, per distrarre la gente dal suo vero essere e depistarla.
 
La contessa Ágnès era molto snob e seria. Non si scomponeva mai, aveva quell’aria da intoccabile e virtuosa donna straniera che nessuno poteva intaccare. Tutto balle, Amaryllis lo sapeva. E il modo in cui guardava Dimitri Ivanov la diceva lunga sul suo essere virtuosa.
 
E infine, c’era il principe Jean Paul. Lui sembrava essere il classico deficiente, tutto concentrato su sé stesso, sulla sua eredità e sull’essere un nobile. Aveva sentito alcune voci in Danimarca sul suo conto, dopo essersi informata.
 
La gente diceva fosse un ubriacone e andasse spesso a donne assieme alla sua combriccola ristretta.
 
Ma infondo, cosa ci si poteva aspettare da un principe del suo calibro, da un reale, da un uomo annoiato? Loro non dovevano essere virtuosi e aspettare il matrimonio per riuscire a godere di qualche libertà.
 
—Principessa, non so se avete avuto modo di scorgere i giardini di mia madre, con tutti i fiori stupendi provenienti da tutte le parti del mondo… Se ne avete voglia, potremmo incamminarci dopo pranzo per facilitare la digestione, che cosa ne pensate? — Il principe le rivolse la parola. Sussultò, udendo la sua voce grave, poiché persa nel flusso di pensieri.
 
—Sì, mi farebbe piacere, principe. — Amaryllis forzò un sorriso e successivamente ritornarono ad ignorarsi.
 
 
 
La presunta richiesta fatta dal principe era stata ovviamente architettata dai loro genitori, in modo tale che i due avessero modo di restare da soli, anche se sempre sotto gli occhi vigenti del marchese Albert, della contessa Ágnès e di Dimitri.
 
I cinque giovani passeggiavano per i grandi e curati giardini della contessa Amelie, ricchi di fiori, colorati e profumati. Amaryllis e Jean Paul camminavano uno accanto all’altra, lei aggrappata al suo braccio.
 
Il corteggiamento era ufficialmente cominciato.
 
—Che cosa ne pensate, Sua Altezza, della natura e dei fiori in generale? Suppongo che ad una signorina del vostro calibro interessino. — Amaryllis si fermò ad osservare il suo interlocutore. Soffocò tutti gli insulti che avrebbe voluto scaraventargli addosso per un commento tanto idiota e forzò un sorriso.
 
L’unica cosa buona che aveva fatto sua madre in tutti quegli anni era crescere lei e suo fratello senza pregiudizi e infondendole anche un po' di eccessivo femminismo. Per i suoi valori, una donna era capace di fare qualsiasi cosa, amare o odiare i fiori, sapere combattere con la spada, saper cucire, badare ai figli oppure saper dirigere una nazione, indipendentemente dal suo genere. Quindi, sentirsi dire che lei, in quanto principessa, quindi donna e perciò sesso debole, doveva per forza apprezzare i fiori, le diede moltissimo fastidio, per usare dolci termini.
 
Ma, a differenza di com’era sua madre da giovane, non poteva estrarre la spada e tagliare tutti i bei ricci del principe. Lei aveva altri doveri e alla violenza preferiva la parola, benché fosse una testa calda.
 
In Amaryllis vivevano due donne differenti, sempre in contrasto e che cercavano di emergere in qualsiasi situazione: la principessa educata e sottomessa e la femminista dai grandi ideali.
 
—Vi stupirà sentirlo dire, ma non mi entusiasmano, mio principe. Mi avete chiesto cosa ne penso della natura? Ve la butto sul filosofico, essendo in un paese di filosofi, e vi dico che la natura la reputo maligna e cattiva. E per quanta riguarda i fiori in sé, li preferisco come decorazione… sulle tombe. — Lo guardò con sguardo ironico. Sottomessa poteva anche esserlo, ma fino ad un certo punto. Il principe la fissava come un sorrisetto ironico ad incorniciarli i lineamenti. Era rimasto soddisfatto dalla risposta, anche se stupito. — E voi, cosa preferite della caccia? L’uccidere o la vittoria? —
 
—Io non sarò un filosofo come voi, benché sia nato e cresciuto in Francia, ma posso dirvi che al brutale omicidio di povere bestie, preferisco quello simulato dalle care note musicali.  — Gli occhi chiari del principe scintillarono sotto il sole cocente di quell’estate. — Non siete l’unica a nascondere segreti interessanti, mia signora. —
 
—Be’, che cosa posso dirvi? Siamo esseri fatti di bugie, misteri e dolore, mio caro principe. —

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Capitolo 5
*** II ***


II
 
Ci era voluto poco per vestirsi e scappare nel cuore della notte al villaggio più vicino alla tenuta. Fin da quando era bambina, le era sempre piaciuto indossare abiti maschili, poiché le calzavano a pennello e non doveva stringersi in inutili corpetti e stare attenta a non inciampare nelle innumerevoli gonne.
 
Nel corso di quei due anni, ovvero quando era cominciata la sua silenziosa ribellione al sistema reale, aveva imparato a sellarsi i cavalli da sola senza dover appositamente svegliare un servitore. In una piccola sacca in pelle, che si era fatta comprare dalla sua dama di compagnia, nascondeva il suo taccuino sul quale avrebbe proseguito la stesura di quello che lei considerava il suo romanzo. Il suo primogenito, la sua prima gioia.
 
Ci lavorava da quasi due anni, aveva cominciato quasi per gioco, per fuggire dalla noia delle lezioni e dallo stress di palazzo. Le principesse non avevano granché da fare, oltre cucire e trovarsi un marito. Tuttavia, la scrittura non era un affare per donne, figuriamoci per una principessa! Quindi l’unica soluzione era farlo di nascosto, senza attirare occhi indiscreti. Più lontana si trovava da tutti quelli che la conoscevano, meglio era.
 
Aveva trovato rifugio in una semplice e squallida taverna, utilizzata dai contadini per sbronzarsi e non pensare alle interminabili ore di lavoro che li avrebbero aspettati il giorno dopo. Erano animali travestiti da umani.
 
Si era nascosta in un vecchio mantello di suo fratello, aveva ordinato una bevanda alcolica e cominciato a produrre. Tutto il chiasso, il vociare, le grosse risate di uomini e puttane, non le davano fastidio; anzi poteva prendere spunto da tutta quella ilarità, dolore, stanchezza e povertà per scrivere di persone reali, che soffrivano e vivevano veramente. Le parole venivano da sé, così come i personaggi che le parlavano e le dicevano cosa fare.
 
Lei era una intermediaria, i suoi personaggi erano realmente vivi, una sorta di amici reali, veri, che potevano capirla come nessuno sapeva fare. Poteva rifugiarsi nelle loro azioni, nelle loro parole, nella loro realtà e trovare sempre un luogo sicuro.
 
—Oh, ma guarda un po’ chi abbiamo beccato in flagrante, Albert! — Amaryllis sussultò, avendone riconosciuto la voce.  Il principe Jean Paul e il marchese Albert de Camus si trovavano davanti a lei, sorridenti e sopresi allo stesso tempo, ma anche molto ubriachi, a giudicare dalla puzza di alcol e dal sorriso sghembo del principe. — Allora siamo proprio fatti l’uno per l’altra, principessa! Che cosa ci fate qui? È vestita da uomo! —
 
Quell’idiota praticamente urlava e stava attirando tutta l’attenzione su di loro.
 
—State zitto o così attirerete tutta l’attenzione su di noi. Non voglio essere messa in mezzo a qualsiasi cosa voi due stiate facendo qui. — Amaryllis serrò il taccuino, lanciando un’occhiataccia al principe e al marchese. Le avevano appena rovinato la serata quei due.
 
—Vi prego, chiamatemi Jean Paul e non in qualsiasi altro modo, considerato che vivremo molti anni assieme felicemente sposati e con tanti pargoli franco-danesi che scorrazzeranno in giro per la tenuta! —
 
—Jean Paul, stai zitto, non dare spettacolo come tuo solito! — Il marchese lo tirò per un braccio, sia per sorreggerlo che per farli uscire dalla taverna. Era talmente ubriaco che a stento riusciva a reggersi in piedi. — Amaryllis, vi prego, seguiteci. Mi dispiace avervi rovinato la serata, ma Jean Paul sa essere un vero cretino quando esagera con il vino. —
 
—No, non fa nulla. — Mentì la principessa danese, raccogliendo tutto ciò di cui disponeva e inghiottendo l’ultimo sorso di birra.
 
—È la mia donna ideale, Albert! Hai visto cosa ha fatto?! Sposiamoci adesso, principessa, troviamo un prete! — Jean Paul cercava di oltrepassare l’amico marchese per raggiungere la principessa, ma Albert glielo impediva, alzandolo di peso da terra, issandoselo su una spalla e poi uscendo dalla taverna, seguiti da Amaryllis.  —Oh, mon Dieu! Vedo la terra sottosopra, che cosa sarà mai successo al mondo? —
 
Albert sospirò, anche se aveva un leggero sorrisetto che non riusciva a trattenere. Probabilmente se non l’avessero incontrata avrebbero fatto qualcosa di proibito, esattamente come stava facendo lei.
 
—Vi prego marchese di scusarmi, non volevo rovinarvi la serata. — Amaryllis si avvicinò al marchese, che nel frattempo aveva posato il principe per terra, preso da orribili attacchi di vomito.
 
L’aria e la tranquillità notturna erano una vera e propria benedizione per i sensi.
 
—No, dovete scusare lui. Voi non avete nessuna colpa, sua altezza. —
 
—Vi prego di chiamarmi Amaryllis quando siamo soli o durante queste circostanze, marchese. Non sopporto tutte queste formalità, le reputo inutili. —
 
—Questo vale anche per voi, Amaryllis, noi per lei siamo Albert e Jean Paul. — Le sorrise e subito la fossetta si formò al lato della bocca, donandogli quell’aspetto da tenero uomo che sicuramente sfruttava con le gentildonne.
 
—Oh, Jésus Enfant, giuro che non berrò mai più! — Urlò Jean Paul, sollevandosi da terra con gran fatica. Amaryllis lo guardò quasi schifata.
 
Era esattamente come tutti gli altri, probabilmente quella mattina si sentiva poeta e meno ignorante del solito per risponderle in quel modo.
 
—Lo giuri ogni sera, Jean Paul. È un ciclo che non terminerà mai con te, caro amico mio. — Albert si chinò pazientemente e lo aiutò a rimettersi in piedi.
 
—Be’, vi lascio alle vostre goliardate, signori. Io ritorno alla tenuta, non vorrei che qualcuno non mi trovasse nel letto. —
 
—Potete sempre dire che eravate nel mio, di letto, principessa! — Amaryllis scosse il capo e salì sul cavallo, quasi disgustata. Erano tutti uguali, non c’era nulla da fare. — No, vi prego! Non andatevene! Cosa ne sarà del nostro matrimonio?! Io mi sono innamorato di voi, stasera non mi rifiutate così! —
 
—Fate attenzione e scusatelo, domani si pentirà di tutto ciò che ha detto. —
 
—Non ho dubbi, Albert. — E senza aggiungere altro, la rossa Amaryllis cominciò a cavalcare verso la tenuta.
 
—Amico mio, questa donna ci darà un sacco di problemi. — Albert sorrise, osservando il suo amico, ormai ricaduto al suolo, intento nel cercare di afferrare una stella.
 
—Uh, guarda, una farfalla! —
 
—Che cosa avrò mai fatto di male? — Domandò ironico il marchese, riabbassandosi ad afferrare l’amico.
 
 
 
 
—Vedo che i nostri cari amici ci abbiano abbandonato, Ágnès, questa sera siamo rimasti solo in due. — La contessa sussultò, nel venire assalita alle spalle dal marcato accento russo di Dimitri Ivanov.
 
—Potete sempre raggiungerli al villaggio, Dimitri. Si staranno sicuramente sbronzando, tra poche ore saranno di ritorno. —
 
Le poche candele che illuminavano l’ampio corridoio, avevano donato all’ambiente un colore giallastro e i due sostavano nella penombra. Ágnès non voleva voltarsi a guardarlo o semplicemente parlarci, poiché lo considerava ancora uno sconosciuto. In quei due anni, da quando Dimitri si era aggiunto alla loro combriccola, non avevano mai effettivamente legato; il gentiluomo russo non le era mai piaciuto, sebbene lui avesse cercato in tutti i modi di creare un legame.
 
—No, non mi piace bere. —
 
—Un russo a cui non piace bere? Siete molto strano, Dimitri. —
 
—Noi russi non siamo tutti ubriaconi, poveri e mangiatori di patate come voi ci immaginate, sapete? Avete molti pregiudizi. —
 
—Non volevo offendervi, signor Ivanov. —
 
Lui era ancora dietro di lei, poteva sentire il suo alito sfiorarle il collo pallido, ogni volta che apriva bocca, mentre lei osservava il cortile che si affacciava sull’entrata. Un uomo, che non aveva mai visto, si fermò e scese da cavallo.
 
Aggrottò le sopracciglia, era una cosa fuori dal comune che non aveva mai visto fino a quel momento e inoltre non sembrava affatto un uomo dal modo in cui camminava.
 
—Chi è quell’uomo? —
 
—Chi? — Chiese, affacciandosi e poggiando le mani accanto alle sue. Ágnès si ritrasse, avendo sentito il suo tocco sfiorarla.
 
—Quello che è appena sceso da cavallo. Passo qui ogni sera ad aspettare quell’irresponsabile di Jean Paul e il povero Albert e ogni sera sono gli unici a varcare la soglia del castello. —
 
—Strano. —
 
L’uomo accarezzò il collo del cavallo e con un gesto secco si levò il cappello e una folta chioma rossa si aprì sulle spalle di questo, che però era una donna, la principessa Amaryllis.
 
—Ecco spiegato il mistero. — Aggiunse ridendo Dimitri. — Mi sarei aspettato chiunque, ma non lei. Si era ritirata nelle sue stanze molto presto, ecco spiegato il perché. —
 
—E lei sarebbe una principessa? — Domandò in tono di scherno la contessa. Non aveva un’alta opinione di Amaryllis, sembrava guardare tutti dall’alto in basso.
 
—Non siate dura con lei, Ágnès. Almeno avrete un po’ di sana competizione femminile. — Dimitri la guardò, sentiva i suoi occhi di ghiaccio addosso, ma lei continuò a guardare la principessa. Alzò lo sguardo e li vide, li salutò timidamente con la mano e loro ricambiarono. —Ma se avete paura che ella prenderà il vostro posto, state sicura che siete scolpita nel cuore di tutti. —
 
La contessa sussultò, quando lui le accarezzò il dorso della mano con le dita. Involontariamente lo guardò negli occhi, ma se ne pentì raramente.
 
—Smettetela, Dimitri. —
 
—Di fare cosa? — Ágnès ritirò la mano con fare superiore e lo guardò male. Odiava i finti tonti.
 
—Di fare qualsiasi cosa voi stiate facendo. Smettetela. Dovete sempre rovinare tutto! — Sbuffò la contessa e senza aggiungere altro, fuggì via verso le sue stanze.
 
Le aveva rovinato la serata. Se c’era una cosa che odiava più delle principesse saccenti e snob, erano propri i russi dagli occhi di ghiaccio che non sapevano stare zitti e al posto loro.

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Capitolo 6
*** Cari Lettori ***


Cari lettori,
come cominciare a scrivere qualcosa dopo due anni di buio e vuoto totale? Non è facile per me e non è stato rispettoso neanche nei vostri confronti, ma voglio essere sincera.
Ho cominciato a scrivere la saga Neve e Fuoco tra i quindici e i sedici anni, quando ero ancora alle superiori, poco più di una bambina, nel pieno dell'adolescenza, anche se infondo sono sempre stata l'adulta della situazione, quella cresciuta sempre troppo in fretta rispetto agli altri... Le mie uniche preoccupazioni erano quante pagine dovessi studiare o meno per l'interrogazione del giorno dopo e come avrei dovuto incentrare il prossimo capitolo. La mia vita circolava in due direzioni precise, ero nel mio porto sicuro, il liceo lo è per tutti.
Ma si sa che più cresci e più le cose si complicano... E' arrivata la maturità, di cui non mi importava granché, ma con essa ho dovuto anche scegliere cosa farne del mio futuro. Se devo essere sincera, sono sempre stata fin troppo sicura e decisa delle mie scelte, era una delle cose che mi hanno sempre contraddistinta dalla massa uniforme che la società è diventata. Ho scelto l'università, ma una cosa che mi avrebbe resa felice e magari portato a quello che penso di saper fare meglio: la scrittura. Scegliere un percorso umanistico in Italia non è mai semplice, soprattutto se si guarda al futuro lavorativo. Non offre granché, perché ormai noi umanisti non serviamo più a nulla in un modo talmente superficiale.
Ho sempre pensato di essere un po' speciale, di avere il mio mondo e che con quello sarei andata avanti nella vita, che Roxelana, Zafiraa e Amryllis, William e Lucille e tutti i personaggi che portano qualcosa di me mi avrebbero aiutata, sono figli miei, li ho partoriti tutti io e quindi hanno un po' del mio DNA in loro. Ho sempre pensato, per quanto abbia sempre avuto i piedi per terra e non sia mai stata una grande sognatrice, che un giorno sarei stata anche io come loro, che ce l'avrei fatta bene o male in qualcosa, nonostante tutto.
Ebbene, è arrivata l'università ed è stato come un pugno nello stomaco. Non è il liceo, che per quanto possa fare schifo e tu possa odiare con tutta te stessa, ti ha sempre coccolata nel profondo. Lei ti prende, ti mastica e ti sputa addosso i tuoi stessi resti, ti lascia quasi senza dignità, che faticosamente hai cercato di costruire per anni. Smonta tutte le tue certezze. Con l'università, nel bene e nel male, sei costretta a crescere. Aggiungete a tutto ciò un lavoro stabile di sei giorni su sette proprio nel periodo di sessione estiva, è la fine.
Ti trovi gettata nel mondo, senza una meta, stanca a vent'anni, quando non dovresti esserlo. E le tue certezze e quei pochi sogni che avevi nutrito alle superiori, cominciano a vacillare.
Niente è come ti eri immaginata, niente.
Fa tutto schifo.
Allora ti trovi ad annaspare, trovare la forza di andare avanti nonostante tutto, con la pressione degli esami, dei tuoi genitori, del lavoro. Sei spaccata tra tre mondi, che ormai non senti tuoi, ma non hai tempo per pensare, nemmeno un momento, devi andare avanti e finire tutto ciò che hai iniziato. E' di vitale importanza finire tutto, in tempo, l'età avanza, orologio biologico, se sei troppo vecchia non ti assumono perché hanno paura tu rimanga incinta, devi puntare ad essere il meglio del meglio, quando ancora una volta sei semplicemente nella media... Pressione, scadenze e stress, ecco cosa è il mondo adulto, la vita vera.
E in tutto ciò cresci e crescendo capisci quali siano le scelte cattive e quelle giuste da fare. Per imparare devi prima sbagliare, dopotutto.
Ma in ogni caso, non mi pento delle scelte che ho fatto perché dopotutto sono abbastanza soddisfatta di ciò che sono e di chi sono diventata. La vita ha anche lati positivi, non è solo il male!
Ho iniziato a scrivere questa saga quando avevo quindici ani, quasi sedici e adesso ne ho ventuno. Sono passati sei anni e negli ultimi due sono cambiata radicalmente, o meglio mi sono accorta di esserlo. Ho perso il contatto con tutte queste donne, tutte queste parti di me, della vecchia me e a dire la verità mi sembrava di aver prosciugato le idee, ogni frase che scrivevo non aveva senso e avevo perso la mia vicinanza con questi personaggi.
Ho riflettuto a lungo su cosa fare e questa quarantena ha aiutato molto... Se continuare, se cancellare tutto. Ma alla fine sono giunta ad una conclusione: è giusto continuare, anche se a scrivere sarà una nuova me, una persona che per certi versi penso di non conoscere nemmeno io; è giusto continuare per dare a voi, o a quei pochi che dopo anni mi seguiranno, un degno finale. Ho deciso di impegnarmi e spero di farcela.
Sento da qualche giorno Amryllis entrarmi in testa e deciderò di ascoltarla. Per quanto riguarda la Contessa di Sangue, non so ancora cosa succederà, devo sedermi con la contessa e discuterne senza che questa sgozzi qualcuno o peggio, la sua genitrice! Vi terrò sicuramente informati.
Non so se sarò migliorata o peggiorata, probabilmente mi sarò dimenticata anche qualche dettaglio importante che andrò a rivedermi.
Ma ecco, sono passati due anni ed è giusto che ritorni in scena.
A chiunque sia arrivato a leggere fino a qui, dico grazie.
Ci vediamo nei prossimi giorni,
Luxanne.


 

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Capitolo 7
*** III ***


III






Era l'alba. Il cielo cominciava a colorarsi di arancione, ma era ancora inghiottito dalle tenebre.
Zafiraa era poggiata sul marmo freddo del davanzale e osservava il cortile, aspettando pazientemente il ritorno di sua figlia.


Amaryllis aveva pensato in tutti quegli anni che nessuno se ne sarebbe mai accorto delle sue piccole gite tra i popolani, nelle taverne a bere o delle sue ubriacature da uomo.
Ma pensava davvero di farla franca con lei, che aveva escogitato per prima le fughe da palazzo ed era il pericolo in persona?


Sorrise leggermente, grattandosi il sopracciglio chiaro. Una leggera brezza le scompigliò i capelli sciolti che le arrivavano fino ai fianchi e il leggero abito bianco nascosto da una mantellina rosso sangue.


Era proprio vero che nella sua famiglia le donne erano tutte uguali, avevano tutte quante lo stesso temperamento burbero e ribelle che le avrebbe portate inevitabilmente incontro ogni genere di guaio. Osservò il cielo e una stella cadente scese spedita andando a schiantarsi chissà dove.


Era preoccupata per sua figlia e questa preoccupazione l'aveva esternata anche al marito tantissime volte, ma lui non aveva conosciuto sua madre, la donna dai tanti nomi e dai tanti volti. Era stata una persona orribile e aveva fatto soffrire lei, la sua stessa figlia, sangue del suo sangue, in maniera indicibile. Aveva ucciso l'amore della sua vita, Mustafà, colui con il quale si era trovata e l'aveva accettata nonostante le cose spietate che si erano fatti.


Sua madre era stata una grande donna, era vero, ma anche terribile. E sua figlia, la sua bambina, gliela ricordava terribilmente. Aveva paura che anche lei, come Hurrem, potesse fare del male, potesse ferirsi e ferire in qualche modo. Il comportamento impulsivo e l'indole alla ribellione li aveva. E quei capelli... Rossi come il fuoco che al solo guardarli, Zafiraa sentiva bruciare la pelle del viso.


Sembrava davvero che Hurrem si fosse incarnata nella sua dolce bambina.


Zafiraa era sempre stata una madre fin troppo presente, soprattutto con Poul, questo lo sapeva. Ma era il regalo più bello che Mustafà le avesse mai fatto, una parte di sé, una parte che la morte non le aveva tolto. Era come vedere l'amore della sua vita... Era così simile a Mustafà che era come ricevere tante pugnalate al cuore ogni giorno. Come si muoveva, come afferrava la spada, lo stesso identico tono di voce e gli stessi capelli scuri come la notte, ma aveva ereditato gli occhi verdi di suo padre Ibrahim. Era diventato con il tempo un uomo davvero affascinante.


Zafiraa sospirò. Sapeva di vivere fin troppo nel passato, glielo ripeteva spesso anche il suo dolce marito, ma questo non voleva dire che non apprezzasse il presente.
Venne distratta dal suo flusso di pensieri, quando udì il nitrire del cavallo di Zafiraa e i lunghi capelli di questa oscillare sulle spalle. In lontananza si potevano notare un molto ubriaco Jean Paul e Albert.


Sorrise leggermente, dopotutto sua figlia si sarebbe trovata bene. Era circondata da giovani ben istruiti come lei, doveva solamente farsi abbattere quelle mura di ostilità che si era fatta crescere e tutto sarebbe andato bene.


Decise di ritirarsi nelle sue stanze, perché ormai era mattino e presto la servitù si sarebbe svegliata. Non era il caso di farsi trovare a curiosare in giro.


-Allah, yardım et, başka türlü nasıl yapacağımı bilmiyorum. -


La regina Zafiraa quasi sussultò sul posto, sentendo quella lingua, quella musicalità dopo quasi vent'anni; corse lungo l'ampio corridoio per cercare di scovare chi avesse pronunciato quelle parole, le sembrava di aver già udito quella voce. Il cuore prese a batterle forte, emozionata, senza uno specifico senso logico.


Era stupido da parte sua correre così, lo sapeva, ma non poteva farci nulla.
Quasi si scontrò, dopo quelli che sembrarono ore, con la contessa Bàthory che spalancò gli occhi spaventata.


-Sua maestà. - La contessa si inchinò, abbassando lo sguardo.


-Contessa. - La salutò di rimando la regina. Odiava tutta quella etichetta, anche dopo anni. Era qualcosa a cui il suo animo piratesco non si sarebbe mai abituato. - Cosa ci fate già sveglia? -


-Oh, nulla, madame. Non riuscivo a dormire, in realtà. Il principe Jean Paul e il marchese Albert sono usciti e non sono ancora tornati, sapete come sono gli uomini della loro età. Escono, si ubriacano e non tornano. Ero solo preoccupata per loro. - La bella contessa accennò un sorriso, abbassando lo sguardo.
Zafiraa le sorrise.


Aveva visto anche Amaryllis, pensò preoccupata. Non sapeva se ci si poteva fidare di lei. C'era qualcosa nel suo viso, qualcosa di familiare, qualcosa che non era del tutto nuovo e poi aveva parlato in turco. Sentiva ancora la sua voce risuonarle nelle orecchie.
Come lo conosceva? L'Ungheria, a quanto ne sapeva, era dichiaratamente cristiana cattolica e per anni aveva combattuto gli infedeli musulmani e quindi gli ottomani. Come poteva conoscere il turco, una signora del suo rango, poi? C'era qualcosa che le sfuggiva.


-Avete detto qualcosa di curioso prima. -


-Cosa, sua maestà? - La contessa Bàthory si girò lentamente verso la regina, sorridendole. Appariva calma, più del dovuto, in realtà. Se non fosse per le dita che scavavano contro il marmo del davanzale. - Non mi pare di aver detto nulla di curioso. -


-Oh, ma prima che arrivassi naturalmente. - Zafiraa sorrise, valutando cosa fare e se smascherarla o meno. Entrambe sapevano di sua figlia ed entrambe sapevano cosa lei avesse detto. - Sırrını saklayacağım, eğer aynı şeyi yaparsan, kontes. -


Le gote della contessa si imporporarono immediatamente dall'emozione e Zafiraa le sorrise.
E senza aggiunger altro, le fece un cenno di saluto e si allontanò, soddisfatta. Le minacce, a quanto ne sapeva, funzionavano sempre.
Dopotutto era figlia di sua madre anche lei.










Amaryllis sbuffò, buttandosi poco elegantemente sul suo letto regale a baldacchino. Per la futura moglie del principe ereditario avevano riservato la stanza migliore, a detta dei padroni di casa.


Balle, lo sapeva benissimo.


-Sei tornata finalmente, figlia mia. - La principessa sobbalzò, quando udì la voce della madre, comodamente seduta dall'altro lato della stanza. Non l'aveva né vista e nemmeno sentita respirare. Maledizione a lei e ai suoi geni da piratessa che non aveva ancora perso!

-Madre, che cosa ci fate qui? - Amaryllis si alzò dall'enorme letto, avendo cura di nascondere il taccuino che si portava sempre con sé. Era ancora vestita in abiti maschili e gli stivali sporchi di fango avevano sporcato tutta la stanza,notò infastidita.


-Ti ho aspettata, come faccio da quando hai preso ad uscire di nascosto, cara figlia mia. - Zafiraa si alzò e le andò incontrò. - Eri davvero convinta che una cosa del genere mi sarebbe sfuggita? -


-No, ma ci speravo. - Borbottò togliendosi gli stivali. La madre le andò incontro aiutandola a liberarsi di quei comodi abiti maschili e la vestì proprio come quando faceva quando era una bambina, facendole indossare la sua veste da notte. Notò che avesse i capelli aggrovigliati e spettinati, quasi come un nido di uccelli. Zafiraa allora ,senza aggiungere altro, la spinse verso la toeletta e cominciò a pettinarglieli delicatamente, mentre i loro occhi così simili si incontravano attraverso lo specchio. -Suvvia madre, se avete qualcosa da dire, ditemelo. -


-Perché dovrei? Ormai mi odi e non mi dai più ascolto. - La madre sorrise, concentrandosi su un nodo particolarmente difficile da districare. -Ma sappi che la contessa Bàthory ti ha vista rientrare e come può averlo fatto lei, potrebbe averlo fatto chiunque. In futuro devi stare più attenta, Amaryllis. -


-In futuro? Non mi dici di non fare più una cosa del genere?-


-Lo faresti? -


La madre la osservo, alzando un sopracciglio. Amaryllis allora sbuffò, dandole ragione. -So che una volta assaporata la libertà, non è facile farsi incatenare nuovamente. Sei mia figlia, hai lo stesso carattere di tua nonna e nelle tue vene, come ti ho già detto, scorre il sangue delle donne della nostra famiglia. Ma, figlia mia, devi stare più attenta. Da adesso in poi vivrai in una terra che non sarà la tua, devi saperti adattare e adattandoti potrai fare le cose che eri solita fare liberamente. Oggi sei stata una sciocca, domani non esserlo. Conosci il tuo nemico e il tuo amico, prima di aprirti in questo modo. Non sai ancora chi hai di fronte, per quanto possano sembrare tutti cordiali e per certi versi frivoli, nascondono qualcosa, me lo sento nelle ossa. -


-Che cosa dovrei fare allora, madre? - La principessa si scostò dalle carezze della madre, infastidita perché sapeva avesse ragione. Era stata una stupida e ora il principe Jean Paul e il marchese sapevano di lei e a suo dire anche la contessa.


-Devi giocare d'astuzia. Non dare modo a nessuno di dubitare di te, devi essere l'esempio che questi francesi dovranno seguire, anche se di nascosto sei tutt'altro. Non posso dirti di frenare chi sei, Amaryllis, anche se dovrei... Tu, per tua fortuna e sfortuna, sei nata in una famiglia reale e hai il dovere di comportarti in un determinato modo. So che non è giusto, neanche io lo avrei accettato alla tua età, bambina mia, ma è il tuo dovere. Fallo per tuo padre e per la tua terra, per nessun altro. - Zafiraa le andò incontro, sospirando. - Fai stare tranquilla la tua vecchia mamma. Sarà difficile vederti chissà quando per me, separarmi da te, figuriamoci sapendo ciò che combini. -


Amaryllis sospirò. Odiava darle ragione, ma era così. - Lo farò, madre. -


Sua madre le sorrise, sollevata e in quel momento sentì il bisogno primario di correre tra le sue braccia e abbracciarla, come quando faceva da piccola e aveva paura. Ma non poteva, perché non lo era più.


-Ah, un'altra cosa, fai attenzione al fango. - Disse, prima di ritirarsi nelle sue stanze e osservandosi intorno, divertita. - Dai una pulita, principessa, prima che si sveglino i servitori e comincino a circolare pettegolezzi. -


Zafiraa tirò fuori da dietro la tenda una scopa che le lanciò contro, divertita. - Sempre se sai come si tiene in mano una scopa. -
Ridacchiò la regina, uscendo dalle sue stanze. Amaryllis sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
Quanto poteva essere difficile spazzare?








*-Allah, yardım et, başka türlü nasıl yapacağımı bilmiyorum. → Allah, aiutami tu perchè altrimenti non so come fare.


*Sırrını saklayacağım, eğer aynı şeyi yaparsan, kontes. ->Manterrò il vostro segreto, se voi farete altrettanto contessa.


***
Ed eccoci qua,
come promesso un nuovo capitolo sotto il punto di vista di Zafiraa che presto dovremmo abbandonare. Era giusto dare anche a lei un po' di spazio, considerato che sembra più assennata della figlia!
Fatemi sapere, se vi va, cosa ne pensate!
Noi ci vediamo presto!
Luxanne

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Capitolo 8
*** IV ***


IV














Mai come in quel momento Amaryllis aveva pensato che quel fidanzamento sarebbe stata una farsa; lei e Jean Paul erano persone completamente incompatibili, bastava guardare come si approcciava alla vita. Lui era viziato, maleducato e abituato a prendersi qualsiasi cosa e qualsiasi persona non appena schioccava le dita. Certo, essere un bastardo e ricoprire allo stesso tempo la carica di principe ereditario non doveva essere facile per uno come lui, ma non giustificata i suoi comportamenti.


Al contrario, ammirava molto il marchese che sembrava fargli quasi da balia. Era molto gentile con tutti, persino con la servitù. Aveva notato aver sempre un sorriso per qualcuno, nonostante anche questo avesse i suoi giorni di tempesta interiore, ma invece che passarli tormentando il prossimo, se ne stava semplicemente in giardino con le mani incrociate dietro la schiena a osservare le api impollinare i fiori.


E poi c'era la contessa Ágnès che ancora non aveva avuto modo di conoscere fino in fondo, ma che apparentemente sembrava odiarla senza un motivo particolare.
Tipica concorrenza femminile, pensò Amaryllis, mentre la contessa sorrideva in modo fin troppo smielato al marchese. Era esattamente quello il motivo per cui non si circondava di dame da compagnia, anche se sua madre e suo padre l'avevano costretto a portarsene due, come futili bagagli a mano. Le lasciava confinate nelle loro stanze e potevano fare ciò che volevano, senza alcun tipo di freno, l'importante era che non intralciassero la sua vita e la mettessero in ridicolo. Erano in due: Elza e Freya. Due bellezze nordiche dalla pelle chiara e i tratti biondissimi, quasi baciati dal sole. Erano sorelle gemelle e sembravano una il prolungamento dell'altra.


In verità, Amaryllis sapeva che i suoi suoceri e il futuro marito si aspettavano una bellezza come la loro. Sebbene Amaryllis avesse la pelle realmente molto chiara e l'altezza da donna nordica, aveva ereditato i capelli rossi di sua nonna e il caratteraccio della madre, per quanto le risultasse difficile ammetterlo. Era figlia del mondo, piuttosto che della Danimarca.

E poi c'era Dimitri Ivanov, il gentiluomo russo dagli occhi di ghiaccio. In realtà, era lui ad affascinarlo più di tutti. Non ne capiva il motivo, ma sentiva quasi un legame con lui e la sua terra natia. Guardandolo, sentiva il freddo della neve Russa scorrerle nelle vene.


In ogni caso, lei era l'intrusa. Sapeva di aver appena rotto un equilibrio che si era venuto formando poco alla volta e con il tempo; non sapeva dire da quanto si conoscessero, ma era certa che il loro legame era molto più stretto di quanto potesse immaginare.


-Principessa! - Amaryllis venne distratta dalla voce gentile di Albert che le si era affiancato. Le sue dame da compagnia si inchinarono, silenziose e investirono il marchese del loro più bel sorriso.


Il sole splendeva nel cielo, luminoso e accecante, e la principessa di Danimarca pensava fosse una giornata perfetta per meditare in santa pace, da sola. Ma evidentemente, il destino aveva altri piani per lei. -Marchese, vi chiedo scusa, ero persa fra i miei pensieri. -


-Oh, non preoccupatevi, spesso lo faccio anche io. - Il marchese le sorrise e Amaryllis pensò fosse veramente bello.


-Posso fare qualcosa per voi, marchese? -


-Oh, vostra Altezza, in realtà vi ho vista da sola e molto taciturna da quanto siete arrivata ormai quattro giorni or sono. Jean Paul, mi rendo conto, si è sempre tenuto abbastanza alla larga. Lui... - S'interruppe, cercando di trovare le parole adatte. - Ecco... Lui ha giornate buone e altre un po' meno, ve ne accorgerete. Ma non è una cattiva persona. -


-No, certo. Siamo tutti brave e oneste persone noi nobili, non crede? - Amaryllis non resistette. Molto spesso le parole passavano dal cervello alla bocca prima ancora che le potesse fermare. Le dame ben educate come lei, le principesse, non erano ironiche e soprattutto non accennavano a qualsiasi cosa fosse la politica.
Tuttavia, il marchese Albert non la accusò di essere una strega, bensì le sorrise in modo ancor più delizioso di quanto in realtà faceva di solito.


-Sarei lieto di sentire la vostra teoria, mia signora. - Le offrì il braccio che Amaryllis osservò, dubbiosa. - Sempre se vorrete onorarmi della vostra compagnia. -


-Come potrei rifiutare un uomo che afferma apertamente di voler ascoltare una donna? - Afferrò il braccio di Albert e si voltò verso Elza e Freya che si guardavano sconcertate. Non potevano allontanarsi, sopratutto se era in compagnia di un uomo che non era il suo futuro marito. Erano lì con lo scopo preciso di farle da chaperon e non farla cadere in tentazione. Come se avesse potuto riuscirci qualcuno! -Voi potete seguirci, care amiche, ma tenendo un po' di distanza, se non vi dispiace. -


-Certo, vostra Altezza Reale. -
Amaryllis forzò un sorriso e cominciò a passeggiare con il marchese. Sollevò lo sguardo e da una delle grandi finestre c'era il suo futuro marito, il principe Jean Paul, che li osservava quasi annoiato.


-Non fate caso al suo sguardo. - Ridacchiò Albert. - Probabilmente si sarà appena svegliato, è sempre di malumore al mattino. -


-Ma sono le tre del pomeriggio, marchese! -


-E' un principe, cara principessa, ha di meglio da fare se non deliziarci con la sua bella presenza? -


-Probabilmente avete ragione voi. -


Passarono qualche attimo in silenzio. Nell'aria si udiva solamente il cinguettare degli uccelli e lo scricchiolare del pietriccio sotto le loro scarpe. Il marchese si guardò intorno con circospezione e dopo essersi assicurato che nessuno prestasse loro particolare attenzione o stesse a sentirli, continuò sottovoce: - Non abbiamo detto a nessuno ciò che abbiamo visto quella notte, principessa. -


-Ne ero abbastanza convinta, marchese. - Sussurrò Amaryllis con fare distaccato, continuando a osservare davanti a sé, come se la questione non la toccasse nel profondo. Perché tirava in ballo la situazione, adesso? - Mi avete avvicinato solamente per dirmi questo? -


-Assolutamente no, che razza di persona pensate io sia? - Ridacchiò il marchese. Sembrava una di quelle persone che non venivano mai ferite dal comportamento altrui.


-Non vi conosco, marchese e voi non conoscete me. Trovare la promessa del vostro migliore amico in quello stato pietoso e in un postaccio del genere avrà alimentato certamente i vostri dubbi e la vostra curiosità sulla mia persona... -


-Certo, non nego che questo sia completamente vero. -


-... come abbia alimentato i miei nei vostri confronti. Non che a voi uomini sia proibito avere un comportamento del genere, certo, non è quello che mi ha incuriosita. -


-E cosa, allora? -


-Il posto. Non mi aspettavo che due uomini del vostro calibro amassero passeggiare fra i poveracci comuni. -


-Oh, mia cara principessa, voi non ci conoscete e non sapete come siamo fatti, naturalmente. - Il marchese le strinse la mano nella sua, un gesto molto tenero e amichevole, notò Amaryllis. - Ed è esattamente questo il punto per cui sono venuto qui. Volevo offrirvi la mia amicizia. -


-Perché mai? Mi reputate un piccolo uccellino da proteggere dalla corte pericolosa? -


-No, certo che no. Sono bravo a capire le inclinazioni e il carattere delle persone dopo una sola conversazione e voi, cara principessa, non sembrate proprio un uccellino in pericoloso e bisognoso di protezione, detto con molta franchezza. - Albert si fermò e le si posizionò di fronte. - Ho notato che passate in solitudine la maggior parte del tempo o in alternativa con vostra madre. Siete un tipo solitario, questo è evidente e probabilmente non amate conversare, ma avete bisogno di un amico, sopratutto in terra straniera. -


-E perché dovrei scegliere proprio voi come primo amico in una terra che non conosco?-


-Perché sono stato il primo ad offrirvela senza avere una losca intenzione. Offro la mia amicizia in cambio della vostra. Pensateci bene. Ho a cuore il vostro futuro marito, vivo sotto il vostro stesso tetto e lo farò per il resto della vostra vita, non ho intenzione di rubarvi al mio migliore amico, mia signora. E' un'amicizia semplice, esattamente come quelle che eravamo soliti fare quando eravamo fanciulli, pura e senza doppi fini. -


Amaryllis lo osservò, ma non rispose. Il marchese le afferrò la mano e vi posò sopra un bacio. -Pensateci, vi auguro buona giornata. -


Amaryllis lo guardò allontanarsi, colpita dalle sue parole. Sollevò lo sguardo e Jean Paul era ancora lì, ma stavolta la osservava con un sorriso divertito, come se sapesse qualcosa che a lei, al momento, sfuggiva.
Di chi era l'amicizia che il marchese le aveva appena offerto, la sua o quella del principe?






Era calata la sera. Amaryllis aveva appositamente evitato il marchese per tutto il resto della giornata, anzi a dire la verità si era chiusa in camera, fingendo di aver avuto un malore improvviso.
Nessuno era venuto a infastidirla, a parte sua madre che aveva capito benissimo si trattasse di una messa in scena.


Aveva avuto modo di pensare e di valutare i pro e i contro di una probabile amicizia con il marchese. La sua mente aveva studiato nei minimi particolari tutto ciò che c'era da considerare e sembrava che tutto andasse in suo favore. Sapeva che doveva smettere di pensare sempre così tanto alle sue azioni, ma la vita le aveva imposto di crescere fin troppo in fretta e non poteva permettersi di fare passi falsi, doveva controllare tutto nei minimi dettagli, essere un passo avanti al resto del mondo, niente e nessuno doveva avere il potere di destabilizzarla. Non pensava che il marchese avrebbe mai avuto quel potere, era un uomo molto solare e genuino, non pensava fosse un pericolo per lei e doveva ammettere che passare quel breve tempo con lui in giardino era stato abbastanza piacevole, poteva non dire cose intelligenti, ma era bello allo sguardo e Amaryllis, avendo un'anima artistica dentro di sé, amava circondarsi di cose belle.


Ma c'era qualcosa che però non le tornava... Il marchese aveva detto che avrebbe vissuto per sempre sotto il suo tetto, anche quando lei e Jean Paul si sarebbero sposati. Diceva sul serio o era un modo per farle notare il tipo di legame che aveva con il suo futuro marito?


E poi c'era lui... L'aveva guardata con quel sorrisetto malizioso da quella finestra e le faceva maledettamente rabbia. Che cosa le stava sfuggendo?


Sbuffò, alzandosi dal letto su cui aveva passato tutto il pomeriggio immersa nella lettura e nei suoi pensieri. Sua madre le aveva fato recapitare un numero indefinibile di tomi scritti in francese, per farla esercitare nella lingua.
Era fin troppo nasale e musicale rispetto al danese e aveva ancora qualche difficoltà nel padroneggiarla correttamente e senza interferenze danesi, sebbene si stava preparando da anni.


Decise che sarebbe corsa direttamente in quel momento dal marchese per dargli la lieta notizia.
Erano due lati del suo carattere quelli: impulsività e riflessività. Due aspetti che molto spesso si trovavano a scontrarsi l'uno con l'altro, ma ormai aveva imparato a conviverci.
Uscì dai suoi appartamenti e corse verso quelli del marchese. Aveva imparato a conoscere le abitudini di tutti i suoi coetanei e sapeva che in quel momento, la sera intorno alle dieci, Albert e Jean Paul si chiudevano nelle stanze del marchese.
Certe volte, pensò la principessa mentre avanzava a testa alta, quei due sembravano essere un'unica persona e la cosa la inquietava. Era forse quello che intendeva prima?
Le loro stanze non distavano molto l'una dall'altra, doveva solamente raggiungere la fine del corridoio e poi svoltare sulla destra, che è quello che stava per fare, se non avesse sentito delle voci e dovette fermarsi.


-Dimitri, non posso. - Era la voce della contessa Ágnès. Amaryllis aggrottò le sopracciglia, stupita, non pensava avessero un livello tale di confidenza. - Lo sapete bene e non mi sembra il momento giusto di parlarne, potrebbero sentirci. -


-Perché? In ogni caso quale sarebbe il problema? Vi ho solamente chiesto il piacere di fare una cavalcata, io e voi. Se volete, possiamo anche chiedere alla principessa. -


-No. - Si affrettò a dire la contessa. La cosa non la scalfì, sapeva di non godere della sua simpatia. - Non voglio che ci vedano insieme, chissà cosa potrebbe pensare... -


-Siete incredibile. - Il giovane russo rise, ma non era assolutamente divertito. Sembrava solamente deluso. - Io vi piaccio, lo sapete bene e anche io ne sono consapevole. -


-Non vuol dire nulla. Non ho mai negato la mia attrazione nei vostri confronti, ma sono qui per altro. -


-E per cosa? -


-Non posso dirvelo! Mi mettete in una situazione scomoda, Dimitri. Quello che è successo fra noi deve rimanere un sogno. - La voce della donna sembrava categorica a riguardo. Amaryllis sentì un frusciare di vestiti e la voce dell'uomo abbassarsi. Probabilmente si era avvicinato alla donna.


-Perché ergete queste barriere? Perché non volete farvi amare dall'unico uomo che può farlo come si deve? -


La contessa non rispose, ma la sentì sospirare, cercando di acquistare un autocontrollo che la vicinanza dell'uomo le stava facendo perdere. -Perché non è così semplice, caro Dimitri. -


-Nulla lo è, eppure eccoci qua. - Ci fu una lunga pausa, tant'è che la principessa pensò che i due amanti se ne fossero andati. Ma non era così. - Una passeggiata, quando tutti saranno nelle loro stanze e dormiranno sogni profondi. Solo io e voi, nel bosco e solo la luna come testimone. -


Amaryllis alzò un sopracciglio, sentendo un altro fruscio e la voce della contessa essersi improvvisamente addolcita. - E così sia, ma non dovrà saperlo nessuno, me lo dovete giurare sul vostro onore. -


-Ve lo giuro, contessa, avete la mia parola. -


I due rimasero in silenzio e Amaryllis giudicò che fosse il giusto momento per venire allo scoperto, l'argomento pietoso era ormai venuto a galla.
Ma voltando l'angolo, si stupì nel trovare il corridoio deserto.
Sollevò il sopracciglio, sorridendo. Quello sì che era interessante... Tra la contessa e quel russo affascinante c'era del tenero, anche se questa cercava in tutti i modi di negarlo. Avrebbe potuto usarlo a suo favore in futuro? Solo se l'ostilità della contessa si sarebbe accentuata.


Finalmente riuscì ad arrivare nelle stanze del marchese e dopo essersi osservata attorno, bussò alla pesante porta, che dopo pochi secondi si aprì di colpo e come sospettava ad aprirle ci fu il suo futuro marito.


-Principessa. - Sorrise, inchinandosi. - Temo abbiate sbagliato porta, questa è quella del marchese, la mia è qualche porta più in là. -


-Lo so benissimo, principe, ma si dà il caso che io stessi cercando il marchese e non voi. -


-Questo è un colpo basso! - Esclamò con fare teatrale. A giudicare da come si teneva a stento sulla porta e dal modo in cui i vestiti erano stropicciati e sbottonati, il suo caro futuro marito era già ubriaco. - State cercando di tradirmi, ancora prima di avermi sposato. Io penso di amarvi, cara principessa. -


Amaryllis, in altre circostanze, avrebbe sbuffato, ma non poteva farlo. Maledetta etichetta!
-Posso entrare, caro futuro marito? - Ironizzò, spostandolo leggermente ed entrando nella stanza del marchese.


-Vostra Altezza! - Esclamò il marchese, scendendo goffamente dal letto su cui era adagiato mezzo nudo e anche egli visibilmente ubriaco e fuori di sé. Si inchinò e per poco non rischiò di sbattere la testa per terra.


Amaryllis non riuscì a trattenere un sorriso che nascose con la mano e avanzò verso il marchese, aiutandolo a sedersi sul letto dalle lenzuola viola. I capelli biondi dell'uomo erano estremamente arruffati.


-Non vi aspettavamo così presto. - Il principe barcollò verso di loro con una bottiglia di vino tra le mani. - Ma stranamente ci incontriamo e rivolgiamo la parola sempre in momenti poco opportuni. Chissà che opinione vi sarete fatto di me! -


-Come se vi importasse. -


-Be', devo recitare la mia parte come voi state recitando la vostra in modo molto ammirabile, cara mogliettina. - Bofonchiò, aveva gli occhi iniettati di sangue. Provò pena per quell'uomo.


Il marchese invece, seduto sul bordo del letto e rivestitosi come meglio poteva, sembrava sentirsi realmente in colpa.
-Mi dovete scusare, vostra Altezza. Quando non aspettiamo ospiti, io e Jean Paul tendiamo a esagerare con l'alcol. Suppongo abbiate una risposta alla richiesta di stamane. -


-Supponete bene, marchese. - La principessa puntò i suoi occhi azzurri prima su uno e poi sull'altro, seria. - Accetto la vostra amicizia. -


E senza aggiungere un ulteriore parola, voltò loro le spalle e andò via. Avrebbero discusso in un momento migliore per entrambi.


 

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Capitolo 9
*** V ***


V










Mon amour,
quanto ancora sarò costretto a nascondere la tua identità al mondo?
Vederti ogni giorno e non poterti toccare, baciare, parlare con intimità e dolci parole, è per me una sofferenza ben maggiore di quanto lo possa essere la tua lontananza.
Se trattengo il mio Io è solo per te, per poterti consentire un futuro al mio fianco, con me, per sempre, anche quando le cose inevitabilmente cambieranno.
Nessuno ci potrà separare, costi quel che costi.
Per te potrei abbandonare tutto e fuggire in questo esatto momento.
Per sempre tuo,
J.




***


La sala della colazione era molto silenziosa. Tutti i commensali erano riuniti attorno a un grande tavolo in mogano nero e masticavano lentamente i loro bocconi nella più assoluta quiete.
Amaryllis teneva gli occhi bassi sulle uova strapazzate per non dover incrociare lo sguardo del principe, sedutole di fronte.


Lo evitava perché aveva capito che la sua lingua era tagliente almeno quanto la sua e sopratutto era solito sputare in faccia la verità a chiunque, anche al re in persona.


L'ubriacatura della sera precedente sembrava non essergli ancora del tutto passata, ma per lo meno aveva i capelli in ordine e immaginava che un riccio del genere non fosse facile da gestire, si era rasato perfettamente e questo gli donava un'aria più giovane e sbarazzina e i vestiti che indossava, di un rosso quasi accecante, erano sistemati in modo impeccabile; fin troppo probabilmente, perché sembrava che lo stessero soffocando.


Al suo fianco, il marchese Albert de Conde gustava la sua deliziosa uva di stagione con un leggero sorriso, che come al solito, non voleva proprio abbandonare i suoi bei lineamenti.


Era tanto delicato l'uno, quanto rude l'altro. Certe volte Amaryllis pensava che potessero comunicare senza le parole, solo attraverso la mente. Erano molto legati, un'unica persona quasi e questa cosa era sempre più evidente ogni giorno che passava.


-Come siete taciturni quest'oggi! - A parlare era stata la padrona di casa, Amelie. Zafiraa la osservò, rivolgendole un bel sorriso, cosa che lei imitò su consiglio della madre, che molto delicatamente le calciò il piede sotto al tavolo.


Aveva un'arte impeccabile nel ferirla senza che nessuno se ne accorgesse. Dimenticava spesso il suo passato e che le sue mani erano macchiate di sangue più di quanto lo fossero quelle di tutti i presenti messi insieme.


-Probabilmente sono ancora tutti assonnati, mia cara. Sapete, a non tutti piace conversare di primo mattino. - Amaryllis non sapeva dire se quell'affermazione si riferisse particolarmente a Louis, il padrone di casa, o a tutti loro.


-Sciocchezze, Louis! Ai mie tempi avere una tavola talmente silenziosa e senza una buona conversazione era davvero disdicevole! -


-Madre, cosa volete che possa essere successo di diverso dalla sera passata? Ci siamo salutati poche ore fa, troppo poche per i miei gusti. - Jean Paul prese parola con fare molto annoiato e distaccato, senza rivolgere alla madre uno sguardo. I suoi occhi erano tutti per Amaryllis, che non smetteva di fissare. - Piuttosto principessa, raccontateci qualcosa, sono certo abbiate un talento. -


-Supposizioni le vostre, caro principe, che potrebbero corrispondere alla verità, come non potrebbero. Ad ogni modo, voi siete sicuramente un uomo pieno di risorse dal quale ci si aspetta una nuova avventura ogni notte, non è così? - Amaryllis sorrise, deliberatamente senza nascondere il sarcasmo nella voce. Osservò con la coda dell'occhio il signor Ivanov ridere sotto i baffi e al marchese si allargò maggiormente il sorriso.


-Non dite il falso. Tutte le mie risorse le scoprirete con il tempo, dopo che sarete diventata mia moglie. Infondo, avremo una lunga vita assieme! -


-Se Dio vorrà e qualcuno dei due non muoia prima! - Esclamò Amaryllis prima di riuscire a fermarsi. Il padrone di casa ridacchiò, seguito dal resto della tavolata. Puri convenevoli.


-Siamo tutti sotto un unico cielo, principessa, ma è probabile che siate prima voi a tirare le cuoia! Sapete, il parto e le sue difficoltà... - Jean Paul fece spallucce e successivamente si portò il bicchiere alle labbra, non senza aver accennato un sorrisetto.


La simpatia non era una delle qualità per le quali brillava quell'uomo.


-Non ne sarei tanto sicura, sapete? Se fate un veloce calcolo di tutti coloro che conoscete, noterete che numericamente sono gli uomini in svantaggio. Sapete, la guerra, la caccia e l'odio dei cortigiani e tutte le loro difficoltà... - I due futuri sposi si osservarono in silenzio, studiandosi tra sguardi non nel tutto amichevoli.


-Ad ogni modo, è proprio una bella giornata, non credete? Che ve ne pare di farci vedere un po' i boschi? Sarei molto interessata alla selvaggina che avete qui in Francia! - Sua madre decise di prendere in mano la situazione, prima che i due futuri coniugi si fulminassero a furia di mandarsi occhiatacce.


-Oh, certamente Vostra Maestà! E' proprio una bella idea! - Il resto della colazione procedette in modo molto convenzionale, senza interruzioni e altri diverbi sulla morte, ma Amaryllis ebbe per tutto il tempo lo sguardo penetrante di Jean Paul addosso e lui il suo.


***


-C'è qualcosa in lei, Albert, qualcosa di maledettamente familiare! E' come se l'avessi già incontrata altrove, molto tempo prima, un pensiero che non riesco a tirare fuori dalla testa e che mi logora dentro. - Jean Paul e Albert erano chiusi nelle stanze di quest'ultimo come ogni giorno.


Gli era sempre piaciuta la stanza del suo migliore amico, ma non sapeva spiegarne il motivo. Probabilmente era il modo in cui i raggi del sole si infrangevano sui mobili e sulle stoffe azzurro cielo della tenda e delle lenzuola.


Albert aveva un talento nascosto per l'arte e questo lo si notava dai vari quadri disseminati in camera sua, la pittura che molto spesso macchiava le sue belle e delicate mani e i vestiti. In quel momento era seduto esattamente di fronte a Jean Paul ed era concentrato nel quadro di famiglia che Amelie e Louis avevano commissionato. Una bella cornice di famiglia, con sua madre seduta al centro e i due uomini ai suoi lati. Un classico.
Era da circa mezz'ora che Albert lo costringeva a stare in piedi e immobile per poter riprodurre perfettamente la sua faccia su carta.


-Vedo lei sia diventata un tuo pensiero fisso, caro Jean. Sono quasi geloso per tutte le attenzioni che le stai dando! - Scherzò Albert, cancellando una ciocca di capelli venuta male.

-Ma se sei stato tu ad offrirle la tua amicizia per primo e soprattutto senza dirmi nulla! Vedermela piombare così all'improvviso in camera, con tutti quei capelli rossi e quello sguardo da principessa viziata mi ha quasi fatto venire un colpo! -


-Esageri come tuo solito. E non ti muovere, mi fai perdere la concentrazione e se viene male, tua madre mi odierà. -


-Amelie non potrebbe mai odiarti. - Jean sbuffò, annoiato. - Non penso che qualcuno possa odiarti, a dire il vero, sei sempre così schifosamente gentile e cortese con tutti. -


-Cosa che dovresti sforzarti di fare anche tu, caro amico mio. - Albert sorrise, perché sapeva che la cosa che stava per aggiungere non sarebbe affatto piaciuta al principe ereditario. - Soprattutto con la tua futura sposa. -


-L'essere gentile o meno con la principessina non ha senso, ci sposeremo ugualmente che io sia uno zuccherino o meno con lei! - Jean non ce la fece più a stare seduto, quindi si spostò, andando a versarsi del vino. Ormai ne era dipendente.


-Pensavo ti interessasse. -


-Non nel senso che intendi tu. Sai benissimo che il mio cuore è già occupato e una donna qualsiasi con dei capelli strani non cambierà la situazione. -


-Lo so, ma potresti comunque sforzarti con lei. Ha lasciato la sua patria, il suo regno, magari i suoi amici, per venire in un posto di cui non conosce nulla, a stento la lingua. E non credo che Amaryllis sia una donna qualsiasi.-


-E' il destino delle donne, non possiamo farci nulla. - Albert sospirò, scuotendo il capo e poggiando la tavolozza dei colori sul mobile al suo fianco. Si alzò e lo raggiunse, togliendogli il bicchiere di mano.


-Devi smettere di bere così tanto o morirai prima del tempo. -


-E tu devi smetterla di farmi da padre, ne ho giù uno... anzi due! - Rise, quando l'amico gli lanciò una occhiataccia. - Ma forse hai ragione. Dovrei cercare di avvicinarmi alla rossa, solo per togliermi questa maledetta curiosità che mi logora dentro. -


-Lo vedi? Sai essere anche ragionevole! -




***




Mio amato J,
so che per te deve essere difficile, ma mai quanto lo sia per me! Le sofferenze che mi causa la tua lontananza non sono neanche paragonabili alle tue, ma dobbiamo stare attenti, caro amore. Lei non deve sapere.
Tieni ancora duro, ne usciremo come sempre insieme,
Per sempre,
B.




***




Amaryllis era seduta nelle sue stanze e cercava di trovare le parole. Fissava il foglio bianco posto davanti ai suoi occhi e non sapeva trovarle per esprimere il suo stato d'animo.
Suo padre e Poul erano rimasti in Danimarca e vi sarebbero stati fino a poco prima del matrimonio, quando avrebbero lasciato la loro terra per presenziare alla cerimonia, tra esattamente tre mesi.


Non sapeva cosa scrivere e non trovava le parole per esternare tutte le emozioni contrastanti che la attraversavano.
Avrebbe dovuto dir loro che andava tutto bene? Ma sarebbe stato come mentire e lei non voleva ingannare le due persone più importanti della sua vita, soprattutto suo fratello.

Avrebbe dovuto dire che andava tutto male? Se lo avesse fatto, Poul sarebbe corso da lei e l'avrebbe rapita e Dio sa cos'altro. Aveva un carattere fin troppo impulsivo e quando si trattava di lei, non ragionava. Se fosse stata più ingenua, probabilmente l'avrebbe fatto, però non lo era.

Ma la verità era che non andava né bene, né male, neanche una via di mezzo. Non riusciva a dare un nome a tutto quel contesto in cui nuotava; era un mare limpido, calmo, senza una piccola onda a incresparne la superficie levigata, ma era certa che da un momento all'altro qualcosa l'avrebbe afferrata per le gambe e l'avrebbe costretta ad annegare. Se lo sentiva nelle vene.


Qualcuno bussò alla porta e poco dopo entrò una delle serve della tenuta che le avevano affidato.


-Mia signora, mi dispiace disturbarvi, ma il principe Jean Paul mi ha espressamente chiesto di consegnarvi questa. - Si inchinò porgendole una lettera sulla quale c'era scritto il suo nome con una calligrafia disordinata.


-Oh, grazie. - Fu tutto ciò che riusci a dire, interdetta e confusa, prima di riuscire ad afferrare la lettera fra le dita. La serva si inchinò nuovamente, senza guardarla e uscì di corsa. Certe volte credeva di far paura alle domestiche.


Aggrottò le sopracciglia, osservando l'epistola che teneva fra le mani. Che cosa poteva mai volere Jean Paul da lei? Non avevano nulla da spartire.
Ad ogni modo, si affrettò ad aprirla e leggerla, incuriosita.
Una frase, sette semplici parole, nessun tipo di convenevole o altro. Dritto e conciso al punto:


Domani mattina andiamo a fare una passeggiata.”


 

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Capitolo 10
*** VI ***


VI
 
 
Non era riuscita a prendere sonno per tutta la notte. Si era rigirata nel letto continuamente con un unico pensiero ricorrente nella sua mente: Jean Paul e quel biglietto molto sintetico.
 
Perché così all'improvviso si era ricordato di lei? Si erano volontariamente ignorati per tutta la sua permanenza e parlati solo in pubblico, non che fosse un grande tipo di conversazione la loro.
Cosa voleva da lei ora? Amaryllis sospettava c'entrasse la sua recente amicizia con il marchese Albert e questo avvalorava la sua tesi: quei due erano una persona sola, vivevano quasi in simbiosi e quindi offrendo la sua amicizia ad Albert, l'aveva automaticamente offerta al suo migliore amico.
Benché ormai avesse le prove, c'era ancora qualcosa che non le tornava.
 
Decise che era giunto il momento di smettere di pensare al principe, quando bussarono alla porta le sue dame di compagnia per la vestizione. Era la prima uscita ufficiale tra il principe e la principessa, un evento importante per il loro pseudo corteggiamento e quindi il suo aspetto doveva rasentare la perfezione.
 
-Buongiorno, mia signora. - Elza spalancò le tende e un sole fin troppo luminoso investì prepotentemente i suoi occhi e l'ambiente. -Dormito bene? -
 
-Buongiorno, Elza. Per niente, non sono riuscita a chiudere occhio. - Brontolò, alzandosi dal letto quasi controvoglia. Si osservò sullo specchietto della toeletta e notò con piacere che il suo aspetto era orribile, c'era poco da fare per farla apparire perfetta con occhi stanchi e occhiaie nere.
 
-Devo riprendere a prepararvi la pozione, mia signora? Gli incubi sono tornati? -
 
-No, Elza, non sono gli incubi a tormentarmi, ma i troppi pensieri e il clima nuovo... Mi devo solo abituare, ma grazie per averci pensato. - Sollevò le braccia, dichiarando chiusa la questione, in modo tale che la potesse vestire nel silenzio più assoluto.
 
Cominciarono con la chemise e le calze bianche che le arrivavano fino al ginocchio, il corpetto in legno che le mozzò il respiro, seguito dal verdugado e dall'abito in velluto rosso riccamente decorato con fili d'oro e dalle spalline rigonfie, maniche color oro da cui fuoriuscivano sui polsi la chemise. Alla vita le posizionarono una cintura che richiamava i colori dell'abito e le scarpe rosse.
Elza la fece sedere sulla toeletta e la osservò, sorridente.
 
-Siete emozionata, principessa? - Le domandò, mentre le pettinava i lunghi capelli che dal continuo rigirarsi nel letto le si erano aggrovigliati in modo imbarazzante. Li osservò venire maltrattati dal pettine e chiese loro scusa.
 
Erano tra le cose di cui andava più fiera, erano ribelli e di un colore che quasi nessuno possedeva: un rosso fuoco capace di arder vivo chiunque li osservasse troppo da vicino. Credeva ingenuamente che grazie a questi potesse essere speciale.
 
-Emozionata? E perché dovrei? -
 
-Per il principe Jean Paul e la sua richiesta. È molto affascinante o almeno sembra esserlo... - Elza arrossì. Il suo futuro marito aveva appena mietuto un'altra vittima.
 
-State attenta, Elza, non è uomo per una come te. Non penso tenga a qualcuno a parte se stesso. -
 
-No, certo, mia signora, non volevo mancarvi di rispetto. -
 
-Lo so, il mio è solamente un consiglio. Non fatevi rovinare la vita da un bel faccino. - Sospirò. La sua dama di compagnia infatuata del suo futuro marito non era cosa da sottovalutare. Si chiedeva se Jean Paul non lo avesse fatto apposta. - Ad ogni modo, non sono emozionata. Voglio solo sapere cosa vuole da me e agire di conseguenza. Non lo amo e non credo lo farò mai. Il mio cuore e la mia anima sono troppo preziosi per donarli ad un individuo del genere. Non ne è degno! -
 
-Come sei tragica di prima mattina, figlia mia, ti verranno le rughe prima del tempo, lo sai? - Zafiraa entrò nelle sue stanze e fece segno ad Elza di lasciarle da sole, prendendone il posto e cominciando ad intrecciarle i capelli sapientemente e in modo agile. La osservò attraverso lo specchio, vestita tutta di nero, la corona che le brillava sulla testa e gli occhi chiari che la guardavano divertiti. Era bellissima, anche se la pelle era fin troppo arrossata; il sole le faceva male e decisamente quello francese era più forte di quello danese.
 
-Dagli una possibilità. -
 
-Perché dovrei? Ci sposeremo comunque, che senso avrebbe? -
 
-Le apparenze possono ingannare. Potrebbe nascondere un grande cuore sotto quel sarcasmo e alcol che ingerisce. -
 
-Oh, madre, non fate la sciocca! Solo perché siete stata fortunata nell’incontrare Mustafà che... - Si zittì, quando sua madre fu come colpita da uno spasmo, seppur impercettibile, allo stomaco. Accadeva sempre, quando qualcuno pronunciava il suo nome senza che lei se lo aspettasse. Il dolore non se n'era mai andato, anche dopo tutti quegli anni e la felicità che sapeva suo padre le avesse dato. Il ricordo di Mustafà era sempre con lei, indelebile nella sua pelle e nel suo cuore. -Scusatemi, non ci ho pensato... -
 
-Lo so, non preoccuparti, non è colpa tua. -
 
-Vi manca? – Non riuscì a fermarsi. Avrebbe tanto voluto provare ciò che sua madre aveva avuto la fortuna di avere per due volte, ma sembra essere immune.
 
-Era una parte di me, figlia mia, certo che mi manca. Ci sono persone destinate a stare insieme e io e Mustafà eravamo due di quelle, così come ce ne sono altre sulle quali ricadono gli sbagli dei padri e noi eravamo anche fra quelle. Il nostro futuro era segnato dal momento in cui le nostre strade si sono incrociate. Fa male, un male che non ti auguro mai di provare, amore mio. Ma tuo padre lo ha alleviato un po', mi ha donato un motivo per sorridere ed è diventato un'altra parte importante per me, non credere che non lo abbia amato, perché non è così. L'ho amato con tutta me stessa e tu sei frutto del nostro amore. -
 
-Ma com'è possibile amare due persone contemporaneamente? L'amore appartiene solo ad una persona. -
 
-Oh, tesoro, capirai con il tempo e adesso sei molto giovane. L'amore è complesso, articolato, difficile da capire e da trovare. - Zafiraa le impreziosì i capelli con altri fili d'oro e quando ebbe finito le poggiò un bacio sul capo. - Non essere troppo dura con lui. Credo si stia impegnando e soprattutto tieniti vicina quel bel marchese, ha una buona influenza sul suo brutto carattere e credo lo possa avere anche sul tuo! –
 
 
 
***
 
Si incontrarono nel giardino, Amaryllis seguita dalle sue dame e Jean Paul da Albert, Ágnès e Dimitri. Sulle finestre, poco sopra le loro teste, c’erano i loro genitori che parlottavano e li osservavano. Sua madre le sorrise in segno di incoraggiamento.
Amaryllis inspirò e avanzò verso il suo futuro marito, guardando solo lui e nessun altro, quasi avesse voglia di sfidarlo in un duello all’ultimo sangue.
 
-Mio signore. – S’inchinò, Jean Paul le prese la mano e vi posò sopra un bacio.
 
-Mia signora, siete incantevole questa mattina. – Accennò un sorriso e le offrì il braccio che lei prese. Cominciarono a camminare lentamente sotto il sole caldo. Le scarpe nuove, notò con fastidio, le stavano facendo malissimo e il vestito le pizzicava parti che non poteva grattare. Non andava per niente bene.
 
-Grazie, posso dire lo stesso di voi. – Fu tutto quello che riuscì a dire a denti stretti. Il principe si voltò a guardarla e ridacchiò. Si stava prendendo gioco di lei e neanche lo nascondeva! Il prurito sembrava essersi intensificato all’improvviso, così come la sua rabbia.
 
-Sembrate a disagio, mia signora, vi sentite bene? – Poco più in là, a circa due metri, c’era il resto della combriccola che parlottava a bassa voce del tempo, per non disturbare i due.
 
-Per niente, mio principe. – Le mancava l’aria. Il corsetto era troppo stretto e non riusciva più a camminare. La vista le si stava offuscando e stringeva le dita attorno al braccio di Jean Paul per cercare di non cadere e fare una figuraccia.
 
-A me non sembra, siete diventata pallida e sudate. – Si voltò ad osservarlo e la preoccupazione aveva sostituito il sorriso.
 
-Ho solo bisogno di prendere un po’ d’aria, non vi preoccupate. Continuiamo a fare ciò che dobbiamo. – Forzò un sorriso, cercando di essere convincente, ma fallì miseramente e se Jean Paul non l’avesse sorretta sarebbe caduta all’indietro.
Si voltò per vedere se qualcuno l’avesse notata, ma erano tutti presi dalla conversazione, a parte il marchese che si stava avvicinando lentamente.
 
-Mia signora, permettete? – Albert la afferrò dall’altro braccio e continuarono a camminare come se nulla fosse successo. Non aveva idea di che impressione potesse dare a sua madre o alla contessa e a Dimitri, ma non gliene importava. Nel momento in cui Albert l’aveva raggiunta, i suoi polmoni le si erano riempiti d’aria e la testa alleggerita.
 
-Grazie. – Fu tutto quello che disse, fissando il marchese che le regalò un sorriso meraviglioso.
 
-Ho pensato fosse meglio non lasciarvi in balìa di Jean Paul, non sa che fare quando una signora gli sviene davanti. Pensa che sia per l’effetto che ha sulle donne. –
 
-Prova a mostrarmi il contrario e forse migliorerò il mio comportamento. – Fu tutto quello che disse il principe, allentando la presa ferrea che aveva sul braccio di Amaryllis. Continuarono a passeggiare tutti e tre a braccetto, senza che nessuno dicesse loro qualcosa, finché arrivarono davanti le scuderie dove sette cavalli strigliati e sellati li aspettavano. 
 
-Mia signora, se siete in grado di proseguire, avevo pensato che sarebbe stato piacevole fare una cavalcata. Mi sono informato e mi hanno riferito il vostro particolare amore per i cavalli. – Jean Paul le sorrise, quasi imbarazzato.
 
Si era informato? Osservò Elza con la coda dell’occhio e avrebbe voluto tanto sbuffare. Ecco spiegato il suo interesse per la sua dama di compagnia! Non sapeva dire se fosse un bene o un male. Stava realmente cercando di conoscerla? O era tutta una farsa ben architettata? Forse aveva ragione sua madre e doveva abbassare la guardia.
 
-Certo, mi piacerebbe e sono perfettamente in grado di cavalcare da sola e persino di battervi. – La principessa si staccò dai due uomini e si fece aiutare a salire sullo stallone dai servitori e tutti gli altri la imitarono, ma Amaryllis senza aspettare né il marchese, né il principe, ordinò al cavallo di muoversi, che cominciò subito a correre e sbuffare.
 
Sorrise, sentendo finalmente l’aria riempirle i polmoni, il vento solleticarle i capelli e la pelle sudata del viso. Andare a cavallo le era sempre piaciuto perché si sentiva libera, priva di freni, se stessa come in un castello, circondata da quattro mura, non poteva essere. Si sentiva come un uccellino chiuso in gabbia che finalmente riusciva a liberarsi e fuggire.
 
Ed era un po’ quello che stava facendo. Si era liberata della principessa che avrebbe dovuto sposare un uomo che non amava, si era liberata della donna costretta in corsetti e scarpe scomode, era diventata solo lei: Amaryllis, una ragazza dai capelli rossi e il brutto carattere.
 
Si voltò, credendo di non trovare nessuno alle sue spalle, ma in realtà Jean Paul era a qualche metro dietro di lei, serio, sul suo stallone nero che cavalcava con altrettanta maestria, esattamente come lei, schivando rami e arbusti che avrebbero potuto attentare alla sua vita.
 
-Principessa, state rallentando! –
 
-Continuate a mangiare la mia polvere, principe! – Fu tutto ciò che rispose, non prima di nascondere un sorriso, e spronare il cavallo a correre maggiormente.
Più cercava di accelerare e più Jean Paul si avvicinava, mantenendosi a pochi metri di distanza.
Giunsero in prossimità di un fiumiciattolo e decise di rallentare, per dar tregua alla povera bestia.
 
-Questa era decisamente una cosa che non mi aspettavo, principessa! –
 
-Non dovete mai sottovalutare una donna, mio signore, potrebbe essere la fine. -
 
-Oh, di certo non ho la presunzione di sottovalutare voi. - Ridacchiò, scendendo da cavallo e aiutando anche Amaryllis a fare lo stesso. Legarono i cavalli ad un albero e si guardarono attorno, quasi spaesati. C'erano solo alberi, cespugli e quel piccolo ruscello, nient'altro.
 
-Credete che gli altri riusciranno a trovarci? -
 
-Lo spero, ma non disperate, conosco questi boschi quasi come le mie tasche. - Jean Paul la osservò. Era diventato all'improvviso imbarazzante per entrambi, non si erano mai trovati così tanto a contatto e vicini prima di allora.
 
-Quasi? – Amaryllis sollevò un sopracciglio per nulla rincuorata. Non voleva finire in pasto ai lupi per colpa della sua incompetenza.
 
-Abbiate fiducia in me, infondo il matrimonio si basa proprio su questo. –
 
-Smettetela. –
 
-Di fare cosa, principessa? –
 
-Di ricordarmi il matrimonio. –
 
-Mi trovate così brutto? O non sono abbastanza alto? Preferivate forse un vichingo? Nel mio sangue sicuramente scorre del sangue vichingo, chissà se qualche mio antenato non provenisse dalla Normandia. –
 
-Non è quello, ma forse sì, essere un po’ più alto sarebbe stato meglio. Siamo quasi alti uguale.-
 
-Quasi. – Ci fu un momento di intenso silenzio nel quale entrambi si osservarono, senza dire nulla. Amaryllis preferiva di gran lunga la tranquillità, piuttosto che superflue conversazioni senza senso. - So a cosa vi riferite, cara futura moglie. –
 
-Non ci vuole di certo una mente brillante per comprenderlo. –
 
-Voi mi piacete, sapete? Io ho la netta sensazione di starvi particolarmente antipatico, anche se non è questo il termine che userei. –
 
-Non mi siete antipatico. Non vi conosco. – Mentì, arrossendo leggermente. Jean Paul sorrise e allungò la mano verso il viso di Amaryllis, che indietreggiò di scatto. - Cosa fate? -
 
-Volevo solo togliervi una foglia, se permettete. – Ripeté il gesto cautamente e scrutandola come si fa con gli animali feriti che si vuole aiutare e scoprì c’era effettivamente una foglia tra i capelli. – Ecco, non ho attentato alla vostra virtù. O ancora, almeno. –
 
-Fate questo genere di battute a tutte le donne che corteggiate? – Jean Paul rise di gusto e scosse il capo. I capelli scuri e ricci si mossero con lui. Notò che quando sorrideva era molto bello e perdeva completamente quell’aria da eterno principe intoccabile.  
 
-No, solo a voi in realtà. –
 
-E perché mai sarei stata investita da questo onore? –
 
-Perché so che non vi sareste scandalizzata e che non sareste corsa dalla mamma a piangere e nascondervi dietro le sue sottane. Sembrerà avventato e strano sentirmelo dire, ma ho come la sensazione, surreale certo, di avervi già conosciuta da qualche parte. –
 
-Solo perché avete indovinato una particolarità del mio carattere, non vuol dire che sia vero, mio signore. Non mi conoscete e io non conosco voi. –
 
-Questa è la ragione della nostra passeggiata mattutina, mia signora. Voglio conoscere sia la principessa che è in voi, che l’altra parte, quella più selvaggia, quella che fugge da palazzo di notte e si traveste da uomo. –
 
-Be’, questo non me lo aspettavo di certo. – Si lasciò sfuggire con sarcasmo, che non scalfì per nulla la facciata da perfetto gentiluomo di Jean Paul, che rise di gusto e le prese la mano tra le sue, entrambe fasciate da guanti in cuoio neri. In lontananza si udiva il galoppare veloce di altri cavalli e il resto della loro compagnia, con a capo il marchese, veniva verso di loro.
Il loro tempo da soli era terminato, così come le battutine.
 
-È questo il motivo della mia richiesta: conoscervi. Sembra talmente astratto da chiedere? Diventerete mia moglie, forse la madre dei miei marmocchi, non posso essere completamente indifferente a voi. O per lo meno, non da subito. Quindi, questa sera, se potete, vi aspetterò alle scuderie, vestitevi da uomo e raggiungetemi. –
 
-Jean Paul! – Il marchese li aveva raggiunti, sudato e con i capelli leggermente spettinati. – Non lo fate mai più, voi due! Pensavo vi fosse successo qualcosa! –
 
-Sta’ tranquillo, amico mio, siamo perfettamente vivi e vegeti, da quello che vedi. La principessa mi ha dato una lezione di equitazione oggi che spero di poter avere di nuovo. Non mi vergogno ad ammettere di aver perso contro una donna, se questa è mia moglie. – Amaryllis notò lo sguardo preoccupato del marchese rilassarsi, a mano a mano che dalle labbra di Jean Paul continuavano ad uscire i soliti commenti.
Doveva tenere particolarmente al principe.
 
-Ad ogni modo, principessa, accettate la mia proposta? – Amaryllis si voltò verso Jean Paul e annuì. Era proprio curiosa di vedere dove l’avrebbe portata, contro qualsiasi regola del buon senso.

 

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