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di Mahtilde
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ottima scusa ***
Capitolo 2: *** lei no ***



Capitolo 1
*** ottima scusa ***


Angelica aprì gli occhi. La luce che entrava nella stanza attraverso le persiane era calda, come quella delle prime luci dell'alba. Insieme alla luce, entravano le urla dei ragazzi e l'afa estiva. Girandosi sul lato sinistro non trovò ostacoli, il letto era vuoto.

Si alzò lentamente a sedere, le coperte azzurre ancora incollate al corpo seminudo. Restò per qualche momento a contemplare i vestiti sparsi sul pavimento, poi i libri universitari accatastati sulla scrivania, in un angolo della stanza, di fianco alla finestra. Si scrollò di dosso la stanchezza stropicciandosi gli occhi con entrambe le mani, desiderando con tutta sè stessa una sigaretta. Prese la chiave della camera nel cassetto del comodino e andò a chiudere la porta a doppia mandata, per evitare spiacevoli sorprese.

Ebbe un momento di esitazione quando vide l'accendino di Matteo dentro al suo pacchetto di tabacco, ma scacciò velocemente i pensieri scomodi. Quel pomeriggio avrebbe dovuto studiare con tutto il gruppo, non era il caso di fasciarsi la testa già di prima mattina, dopotutto sapeva come gestirla, era già capitato ad entrambi di trovarsi in una situazione simile. Solo, mai insieme.

Aprì la finestra e si mise a girare la sigaretta appoggiata alla ringhiera del balconcino; ormai le veniva talmente automatico da non aver bisogno di tenere sotto controllo il procedimento, così vagò con lo sguardo sul mare. Una volta finito, si posò la sigaretta marroncina e strettissima tra le labbra, la accese e buttò fuori il fumo guardando l'accendino di Matteo, poggiato sulla sua mano destra. Si accorse di avere ancora gli anelli, insieme a tutti gli altri gioielli che si era dimenticata di levare la sera prima. In effetti non c'era da stupirsi, erano stati nel pub del paesello fino a tardi, il che equivale ad una cifra imprecisata di birre. Insieme a parecchio fumo, a giudicare dall'odore di cui erano impregnati i suoi capelli.

Si girò a guardare di nuovo i vestiti lasciati sul pavimento: non voleva pensarci troppo, ma provò comunque una stretta al cuore. Non c'era neanche una minima traccia di Matteo.

Un'ora dopo era lavata e vestita a fare colazione in cucina, mentre sua madre le parlava del suo ennesimo progetto per il negozio online. Angelica rispondeva a monosillabi, non voleva che si sentisse troppo la puzza di fumo aprendo la bocca. Prestava quel genere di consulenze a sua madre da quando era nata, quindi da quando i suoi genitori l'avevano messa su un piedistallo troppo alto e spesso scomodo. Era convinta che un giorno tutto quell'annuire le avrebbe lasciato in eredità una piacevolissima ernia. Il tono polemico e allo stesso tempo saccente iniziò a darle sui nervi, sì perché dopo vent'anni ancora non si era abituata, e decise di uscire. Lasciò sua madre in cucina, a metà del discorso, e anche quella non era una novità.

 

Una volta uscita dal portone del palazzo, venne investita da un muro di umidità che la lasciò quasi senza fiato. Percorse il pezzo d'ombra intorno al palazzo per non iniziare subito a sudare, senza successo ovviamente. A quello, invece, ci aveva fatto l'abitudine.

Le squillò il telefono solo quando fu quasi arrivata al bar dove si erano dati appuntamento, si era rifiutata di aspettarlo sotto casa, conoscendo fin troppo bene le tempistiche di Federico. Sorprendentemente era in ritardo. Si girò un'altra sigaretta mentre aspettava seduta nell'unico tavolino all'ombra. Quando l'accese si rese conto di aver usato di nuovo l'accendino di Matteo. Non voleva pensare. Alla radio passava una canzone di Frah Quintale; aveva sempre associato le canzoni indie all'estate, e viceversa. Si concentrò sulle parole:

Mi hai fatto a pezzi la voce
E adesso non ti parlo più

Angelica non era mai stata molto loquace, forse da piccola, ma la timidezza aveva preso presto il sopravvento. Non che le desse fastidio essere timida, anzi, sapeva che quel tratto del suo carattere dava più sicurezza alle persone che le stavano intorno. Il problema era quando da fuori era visto come un problema. “A te non da fastidio, ti da fastidio se ad altri da fastidio” era l'osservazione più accurata che avesse mai ricevuto. Matteo era un buon osservatore, ma come tutti aveva anche dei lati negativi. A differenza degli altri, però e purtroppo, i suoi lati negativi erano anche pericolosi.

Federico arrivò con mezz'ora di ritardo, Angelica si stava già arrotolando tra le dita la terza sigaretta della giornata.

-Non ha suonato la sveglia, e comunque potevi chiamarmi.

-Fa lo stesso, sono abituata ai tuoi tempi. Ho già ordinato i caffè.

-Come se fossi l'unico che arriva in ritardo. Grazie, comunque. Quindi ieri sera com'è andata?

-Bene credo, sono tornata a casa con Matte alla fine. Te sei riuscito a risolvere con Giulia?

-Credo di sì. Scusa, con Matte?!

-Ma cosa vuol dire credo di sì?

-Vuol dire che ne abbiamo parlato ma credo ce l'abbia ancora con me, cioè mi risponde in modo freddo, ma magari è una mia fantasia. Mi spieghi cos'è successo? Credevo che non parlassi con Matte da secoli.

-Fatti spiegare bene la situazione Fe, ti ho già detto che facendo finta di niente non risolvi un cazzo.

-Mi passi il posacenere?

-Certo.

La cameriera che portò i due caffè era carina, Angelica notò gli occhi molto chiari, ma non riuscì a capire se fossero azzurri o verdi.

-Puoi smettere di evitare la domanda e rispondermi?

-Non c'è niente da dire. Se non parliamo da un po' non vuol dire che siamo meno amici, e comunque mi ha solo riaccompagnato a casa.

-Nora non aveva la macchina ieri sera?

-Sì, ma se n'è andata più tardi.

-Certo, e voi per che ora ve ne siete andati?

-Sei mia madre?

-Cazzo, Angelica, stai diventando sempre più acida.

Era vero.

-Scusami, sono un po' stressata per gli esami e tutta questa situazione.

-Sai che sono qua per parlare, vero? Se c'è qualcosa che ti turba non esito un secondo a trasformarmi in psicologo.

Anche questo era vero, ma non se la sentiva. Parlare dei suoi pensieri era un modo per renderli insignificanti agli occhi degli altri e una cruda verità agli occhi di Angelica.

-Lo so, ma non ce n'è bisogno, davvero.

-D'accordo. Comunque ho visto una storia stamattina di Matte, un po' compromettente dato che sembrava partire da qua.

Si era totalmente dimenticata di controllare Instagram.

-Ma va. Fammi vedere.

Nel breve video la macchina di Matteo era ferma in coda sul lungomare, di sottofondo una canzone degli Oasis, mentre l'inquadratura passava sopra al volante, alla radio accesa, per finire sul finestrino, dal quale si scorgeva il blu del mare.

-Magari è passato di qua per fare una commissione.

-Oppure è rimasto a dormire da te. Hai le labbra molto rosse e gli occhi stanchi.

Era brava a mentire, e non le sarebbe costato niente. Alla peggio poteva dire che era lui a voler tenere segreta la faccenda.

-E anche se fosse? Non è fidanzato, può fare quello che vuole.

-Non può giocare con i tuoi sentimenti, e comunque…

Per quanto ne sapeva lui, nei suoi confronti Angelica provava le stesse cose che avrebbe potuto provare per un bel libro. Un piacere immenso nel leggerlo, mischiato alla paura di finirlo troppo velocemente. E forse era già successo.

-...Angelica che cazzo dici? Guarda che Francesca non sa ancora niente.

 

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Capitolo 2
*** lei no ***


Giulia sbattè con forza la portiera e si allontanò a passo svelto dalla vecchia Punto grigia. Federico rimase da solo in macchina; d'altronde non si sarebbe potuto aspettare una reazione diversa. Sapeva benissimo che Giulia non si meritava tutto quello, ma sarebbe stato peggio portarlo ulteriormente avanti. Scese dalla macchina per assicurarsi che arrivasse a casa sana e salva, e una folata di vento gli congelò le guance. Aveva il viso completamente bagnato, le lacrime erano scese fino al collo della maglietta. Non le asciugò, meritava di sentire tutto quel freddo.

Seguì Giulia fino al garage della famiglia di lei, dove erano soliti rifugiarsi d'inverno a fumare. Stavano bene da soli insieme. Lei aprì la saracinesca, quanto bastava perché vi potesse passare sotto accovacciata, ma non la richiuse dietro di sé. Federico aspettò ancora qualche minuto, si era fermato ad una decina di metri di distanza; quando vide del fumo uscire dalla fessura decise di lasciarla sola. Giulia non era il tipo di ragazza che si deprime. Mai, per niente. Si era incazzata tanto, quello sì, e ne aveva tutte le ragioni.

Federico arrivò a piedi sul lungomare, immerso nei suoi pensieri e con gli occhi gonfi. Ripercorreva in loop gli ultimi minuti in macchina con lei. La radio che si spegne insieme alla macchina, gli occhi di lei che sanno già troppo, lui che vomita tutte le sue colpe senza filtri, forse le non sapeva proprio tutto, la portiera che sbatte. Giulia non aveva aperto bocca. Non che ci fosse molto da dire, era stato diretto, come sempre quando si tratta di argomenti seri.

Non aveva mai avuto tatto per le questioni importanti: “Ange, ho investito il tuo cane”, “papà, ho avuto un incidente”, “no, non credo di essere uscito in tempo”, “ti ho tradita, Giulia”.

 

Sapeva che la stava seguendo, non l'avrebbe lasciata sola senza essersi assicurato che stesse bene. Non lo odiava, si sentiva solo irrimediabilmente ferita. La capacità di sintesi di Federico era davvero invidiabile, lo faceva assomigliare ad un robot; questa somiglianza diventava ancora più accentuata quando si parlava di emotività. Non che non avesse sentimenti, la amava oltre ogni limite, il problema era il controllo: le sue emozioni funzionavano come le lampadine, erano impostate su on oppure su off, e quando parlava seriamente l'interruttore generale saltava, spegnendo tutto.

Giulia aveva imparato a conviverci, non stava male per la forma, ma per la sostanza. Non aveva mai affrontato un tradimento, neanche indirettamente. Il fatto che si trattasse di una persona che conosceva non rendeva le cose più facili.

Decise di non chiudere del tutto la saracinesca, forse per non riempire il box di fumo, oppure perché sperava che entrasse. Voleva ancora sapere, nonostante Federico fosse stato molto esaustivo non aveva spiegato il perché.

A cosa stava pensando mentre faceva una cosa del genere? Era sbagliata lei? Non era abbastanza per uno come lui. Non poteva essere stato uno sbaglio, non si finisce inciampando nel letto di qualcuno. Che avesse mentito era fuori discussione, Federico non avrebbe potuto inventarsi una scusa del genere per lasciarla.

La fiamma era arrivata al filtro e Giulia si era bruciata le dita già due volte. Lanciò il mozzicone sotto la saracinesca e un'ondata di tristezza la investì quando si rese conto di essere sola. Non aveva pianto fino a quel momento. Non piangeva mai. Le lacrime erano calde e le bruciavano gli occhi. Le uscì un grido spezzato dalla bocca dello stomaco e rimase rannicchiata per qualche minuto, cercando di soffocare i singhiozzi.

Non era da lei una scenata del genere, ma non riusciva a non sentire male ovunque. Tutte le sue insicurezze erano uscite dal vaso di Pandora dove le teneva rinchiuse da anni, le stava esplodendo la testa. Strinse i denti per cercare di riacquistare un po' di lucidità. Continuava a piangere.

Quando si svegliò pensò di aver sognato tutto, il senso di tristezza c'era ancora ma era come sbiadito. Guardò l'ora dal cellulare: erano le 7 del mattino, ricordava di essere rientrata a casa alle 4, ma non quello che era successo prima.

Spense il cellulare e si sdraiò nella parte del letto più fresca, dove di solito dormiva Federico. Ricordò tutto e tornò di colpo a lacrimare, senza emettere un suono, sulla faccia un'espressione rassegnata.

Decise di parlare con Matteo quel pomeriggio stesso approfittando del gruppo di studio, d'altronde si trattava di una faccenda che riguardava anche lui.

 

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