Taxi?!

di Tati Saetre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo - Taxi?! ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo - Non c'è due senza tre ***
Capitolo 3: *** Terzo capitolo - Quattro non è il numero perfetto? ***
Capitolo 4: *** Quarto capitolo - Forse due cuori e una capanna? ***
Capitolo 5: *** Quinto capitolo - Destino ***
Capitolo 6: *** Sesto capitolo - Segretaria sexy ***
Capitolo 7: *** Settimo capitolo - Consegna a domicilio ***
Capitolo 8: *** Ottavo capitolo - Camcamini ***
Capitolo 9: *** AVVISO ***
Capitolo 10: *** AVVISO FINALE ***
Capitolo 11: *** Nono capitolo - Foresta amazzonica ***
Capitolo 12: *** Decimo capitolo - Destino | 2 ***



Capitolo 1
*** Primo capitolo - Taxi?! ***


Sono passati 11 anni dalla mia iscrizione su EFP.

10 anni dalla prima pubblicazione di Taxi?!, che vi è piaciuta davvero molto. Volevo farvi un regalo per questi 11 anni, sia per l’anniversario ed anche per alleviare di più il periodo che stiamo passando. Quindi, Taxi?! Dopo ben 10 anni diventa una long. E’ nata così, dal giorno alla notte. 10 anni fa avevo in mente questa idea, e l’ho trasformata in una piccola one shot. Senza studiarmi una trama, nulla. Vorrei riprenderla con quella spensieratezza lì. Spero che vi piacerà!

Grazie mille e buona lettura <3



Primo capitolo - Taxi?!


Bella


Resto a guardare il mio riflesso nello specchio per un po’, chiedendomi se sono davvero a posto. Il completo che ho scelto è composto da un pantalone che cade giù a palazzo, una camicetta bianca che ho cercato di sistemare dentro i pantaloni e la giacca che è il mio portafortuna: l’ho sempre indossata per i miei colloqui più importanti. Non che questo sia un colloquio, eppure l’ansia sta toccando livelli maggiori di quanto mi aspettassi.

Bella Swan, hai studiato cinque anni come una pazza per diventare un avvocato. Sei stata la schiava dello studio Volturi per due anni interi, che non si possono definire proprio gavetta. Hai portato avanti lo studio con le cause pro bono, senza mai guadagnare quanto ti spettasse davvero. Se ce l’hai fatta fino ad ora, puoi continuare anche qui.

E’ il mantra che ripeto dentro la mia testa, sperando che mi aiuti sul serio. Ma non serve a un granché il mio auto convincimento. Sono sul serio consapevole di tutto quello che sono in grado di fare, eppure… ancora non capisco perché mi hanno spedita qui. In un altro paese, lontana anni luce dalla mia famiglia e da quello che avevo cercato di costruirmi nell’ultimo tempo. Con uno sbuffo chiudo la porta del piccolo appartamento dietro di me, e le chiavi che ho in mano scivolano per terra con un tonfo. Sono talmente sudate dal nervosismo che nemmeno voglio immaginare come sarà entrare nel nuovo studio.

Un nuovo studio.

Una nuova città.

Io, da sola.

Scendo con calma le scale, per non rischiare di fare la fine delle chiavi. I tacchi che indosso non sono altissimi, ma nemmeno troppo bassi per il mio equilibrio precario. Ti prego, fa che non cada da nessuna parte.

Raggiungo il portico con la vista annebbiata, perché l’agitazione si è moltiplicata. Menomale che cinque minuti fa cercavo di auto convincermi.

“Buongiorno.” Apro la portiera della macchina senza pensarci due volte, e mi catapulto subito tra i sedili posteriori. Mi lascio cinque secondi per capire quanto sono morbidi e profumati, del tutto differenti da quelli a cui sono abituata a Seattle.

Mi scusi?” Il guidatore mi guarda dallo specchietto, e noto soltanto i suoi occhi verdi come smeraldi. Ha le sopracciglia aggrottate, e la sua espressione non sembra delle più felici. Me l’avevano detto che gli inglesi non erano i più simpatici per eccellenza, eppure questo non fa un sorriso nemmeno a pagarlo.

“Studio Cullen&McCarty, grazie.” Intanto tiro fuori dalla borsa la mia cartellina, quella con tutti i casi che ho seguito da quando mi sono laureata ad ora. Quella che devo dare al mio nuovo capo. Nuovo capo al quale devo sottostare per altri anni. La sfoglio, rendendomi conto di tutto il culo che mi sono fatta nella mia vita per guadagnarmi quella promozione tanto agognata… promozione che non è mai arrivata. Alzo lo sguardo quando noto che il tassista non è partito, è ancora lì ad osservarmi.

“Senta, è il mio primo giorno di lavoro. Primo giorno di lavoro a Londra, per la prima volta. Quindi mi farebbe il piacere di andare, per favore?” Stavolta non se lo lascia ripetere, ingrana la marcia e parte. Senza che gli dica niente, percorre lentamente le strade londinesi già affollate alle nove del mattino.

“Primo giorno a Londra, eh?” La sua domanda è curiosa, e chi sono io per non rispondergli? Infondo sta cambiando il suo atteggiamento da quando sono salita qui dentro. Sembra più cordiale.

“Già. Spedita qui da Seattle dal capo più viscido che abbia mai avuto in tutta la mia vita. Ma questo di certo non mi fermerà! No, perché io sono Isabella Swan! Ho lottato con tutta me stessa per arrivare dove sono, certo, non è l’aspettativa più grande che avevo fare da gavetta a quel viscido e poi essere spedita a Londra per ricominciare a fare la gavetta di nuovo, però non mi lamento.”

Isabella…” Dice lui sovrappensiero.

“Sì, un nome italiano. Ma di italiano non ho proprio niente. Né un parente alla lontana, niente. Non so perché i miei abbiano deciso di chiamarmi così, non gliel’ho mai chiesto in realtà.” Penso che è vero, non ho mai chiesto a Charlie e Renée perché mi hanno chiamata così. “Ma Bella basta. Anche se quel viscido mi chiama sempre Isabella. Tende ad aspirare molto bene la prima parte del mio nome, facendomi venire i brividi ogni volta. Brr.” Mi strofino le braccia perché sento la pelle d’oca riaffiorare al solo pensiero. “Eppure a quello non è fregato niente di spedirmi a Londra. Lo stronzo.” Lo so che sto sproloquiando, e credo che il tassista stia pensando che sono una pazza da legare. Ma mi fa bene sfogarmi prima di andare al colloquio, magari buttare giù tutto mi aiuterà ad affrontare meglio la giornata.

“Come mai un viscido?”

Come mai?” Quella che esce dalle mie labbra è la risata più riprovevole che potessi fare. “Fa schifo. Ah, so che non si dice eppure è così. Aro Volturi è un ninfomane, uno di quelli che preferisce entrare nella gonna delle sue dipendenti invece di rendersi conto delle loro capacità. Le loro vere capacità.”

“E’ entrato anche nella sua di gonna?” Da dietro gli lancio un’occhiata che potrebbe mandarlo in mille pezzi.

“Secondo lei? No, certo che no. Ecco perché sono qui. Ho detto di no alle sue avance subdole, e invece di darmi l’agognata promozione che mi sono davvero sudata, ha preferito spedirmi allo studio affiliato: Cullen&McCarty. Dal giorno alla notte. Isabella, i tuoi servizi sono troppo per noi. Vai a prendere un po’ d’aria da un’altra parte.” Nuovi brividi si impossessano di me al pensiero di quella chiacchierata. “Anche l’ultima volta ci ha provato. Pensava che dicendomi del trasferimento sarei stata disposta a patteggiare, ma si sbagliava di grosso. E quindi, eccomi qui.”

“E quindi ora lavorerà da Cullen&McCarty, eh?”

“Li conosce?” Non risponde, continuando a puntare lo sguardo sulla strada. “Io non ne so molto in realtà. Le voci che girano allo studio Volturi sono tante, ma non so a quali credere. C’è chi dice che il signor McCarty sia la personificazione vivente di un orso. Grande e grosso, ma dicono anche che sia un bambino mai cresciuto fuori dal lavoro. Aro dice sempre che se lo mangerebbe vivo, se dovesse incontrarlo da qualche parte. Anzi, Aro parla male proprio di entrambi. Ma ce l’ha a morte con il signor Cullen.”

“Ah, sì?”

“Credo che è per una grossa perdita che gli ha fatto subire l’anno scorso. Aro aveva in pugno un cliente che tutti avrebbero voluto avere, ma alla fine lui è andato a farsi a rappresentare da Cullen. Per non parlare di quando Volturi è venuto qui a Londra per parlarne con lui! Non dimenticherò mai quando è tornato a Seattle. Nero dalla rabbia! Ha sfasciato tutto il suo ufficio, rotto i mobili, strappato tutti i documenti che poi la sottoscritta ha dovuto rimettere a posto come se fossero dei puzzle. Lo odia, Aro. Va beh, ma a lei che gliene importa? Mio padre dice sempre che quando sono agitata tendo a parlare troppo, le chiedo scusa.”

“Oh, no. Vada avanti.”

“Alla fine, Aro si è vendicato per bene.”

“E cosa ha fatto?”

Cosa fa, vuole dire. Si scopa la sua dipendente preferita, cioè Jane!” Dopo la mia rivelazione la macchina inchioda, facendomi sbilanciare in avanti di qualche centimetro. “Tutto bene?” Domando, ma il tassista annuisce.

“Che ha di tanto importante questa… Jane, giusto?”

“Esatto, Jane. E’ la ragazza di Cullen! Jane è di Seattle, stando alle voci si sono conosciuti proprio durante una conferenza con i due studi legali. Non ho mai visto Cullen, non so come sia, ma lei… beh, lei è una vera zoccola. Non solo con Aro, ma con il resto dell’ufficio. Aro voleva vendicarsi per quello che gli aveva fatto Cullen, e Jane…”

“Jane?” Mi incita a proseguire.

“Jane voleva sfilarmi la promozione. Era nelle mie mani, mancava soltanto la firma di Aro. Ma a lei non andava giù che portassi più soldi e più cause vinte di quante ne avesse mai fatte lei, così dente per dente occhio per occhio. Aro ha avuto la sua vendetta, e Jane mi ha sfilato il posto di lavoro che tanto volevo. Levandomi totalmente dai piedi. A volte mi chiedo se non sia stata sua l’idea di farmi venire quaggiù.” Mi rattristisco un po’, iniziando a torturarmi le mani. Davvero vivo in questo mondo? Dove per fare carriera devi sottostare alle regole di chi è sopra di te? Anche a quelle più subdole? Beh, preferirei lavorare in fast food piuttosto che farmi scopare da Aro.

“Vedrà che Londra le piacerà, Isabella.” Anche l’autista aspira la prima parte del mio nome, ma non è come quando lo fa Aro. Suona bene, dalla sua bocca.

“Lo spero vivamente. Non ho né la voglia né la forza di cercarmi un altro posto di lavoro, e ricominciare da zero. Oh!” Butto uno sguardo fuori dal finestrino, notando il grattacelo davanti a me. “Siamo arrivati?”

“Cullen&McCarty, siamo arrivati.” Dice lui, mentre tiro fuori il portafoglio dalla mia borsa.

“Quanto le devo?”

“Facciamo che questa corsa è gratis. Un regalo per il suo primo giorno di lavoro a Londra.”

Cosa?! No! Assolutamente no. Non solo non si vuole far pagare il suo lavoro, ma si è sorbito anche tutte le mie lamentele. Non esiste!”

“Un regalo di benvenuto.” Dallo specchietto guardo di nuovo quegli occhi color smeraldo, che stavolta incendiano me.

“Io… non so davvero come ringraziarla. Grazie, davvero.” Apro lo sportello, mi trascino fuori e resto per un po’ imbambolata davanti all’enorme edificio.

“Sicuramente troverà il modo di ripagarmi.” L’autista alza la voce, mentre non faccio in tempo a rispondergli riparte sgommando verso la sua nuova destinazione.

In quel momento un’altra macchina si accosta, nera e piccolina. Con sopra la scritta TAXI. Quella in cui sono entrata io non era né nera e né piccolina. Era gialla. Gialla, grande e profumata.

Fa che non sia così.

Ricordati che le i taxi a Londra sono neri, Bells. Non gialli. Neri. La raccomandazione di Charlie fa scattare una lampadina nel mio cervello, mentre porto una mano alla mia bocca.

Non ci posso credere.

Sono entrata in macchina di uno sconosciuto.



Dopo che mi hanno registrata alla reception, con il badge al mio collo prendo l’ascensore che mi porta al trentesimo piano. Il viaggio è più breve del previsto, e non faccio altro che pensare a cosa ho appena fatto. Quello poteva essere un maniaco, un assassino, eppure mi ha portata senza dire nulla allo studio. Non mi ha cacciata dalla sua macchina, ed è stato silenzioso per tutto il tempo in cui gli ho raccontato la mia vita. Dio, devo avergli fatto una pena. Mentre esco dall’ascensore penso che Londra è grande, e che non lo incontrerò mai più. Questo pensiero fa scemare le mie paure, e l’ansia da prestazione che avevo all’inizio di questa giornata si impossessa di nuovo di me.

Sono arrivata. Questo sarà il mio studio per i prossimi giorni. Le pareti sono bianche, e una ragazza dai capelli corvini mi viene incontro con un sorriso stampato sulle labbra.

“Tu devi essere Isabella Swan! Io sono Alice Brandon, gli occhi e le orecchie di questo posto. Accomodati pure lì, tra poco gli avvocati ti riceveranno.” Annuisco senza dirle niente, mentre mi siedo sulla poltrona che mi ha indicato. Alice Brandon è il clone di Jessica Stanley, la segreteria dello studio Volturi. Cos’è, hanno uno standard per selezionarle così uguali? Anche Jessica è gli occhi e le orecchie di Seattle, eppure ultimamente avevo iniziato ad instaurare un bel rapporto con lei. Credo sia una delle poche che Aro non si sia portato a letto, perché Jessica è sposata ed ha una famiglia molto allargata. Mentre aspetto che mi ricevano tiro fuori di nuovo la cartellina, e stringo i bordi come se ne dipendesse la mia vita.

E se non mi accettano? Se m rispediscono a Seattle? Aro non mi riprenderà mai più indietro, e lì dovrò davvero cercarmi un lavoro un un fast food. Sempre che il fast food voglia assumermi.

Sono tante le paure che si insinuano dentro di me, mentre Alice Brandon si avvicina sempre sorridente.

“E’ la porta alla fine del corridoio. Ti stanno aspettando. Buona fortuna, Isabella!”

“Bella basta.” Le sorrido di rimando, cercando di non far cedere le gambe mentre cammino verso quella porta.

La porta del mio futuro.

Busso piano, e dopo un semplice ‘avanti’ giro la maniglia lentamente. La prima cosa che vedo è un omone che mi da le spalle. Parla con qualcuno davanti a lui, ma non riesco a vedere chi è. Si gira, e con un sorriso a trentadue denti allunga una mano nella mia direzione.

“Isabella Swan, sono Emmett McCarty. E’ un piacere conoscerla. Mi hanno parlato molto bene di lei.” Addirittura? Ricambio la stretta, accennando un sorriso. Quando si sposta di qualche centimetro, la cartellina che tenevo in mano con così tanta premura cade a terra, e tutti i fogli che erano dentro si sparpagliano sul tappeto nero.

“Isabella Swan.” Aspira di nuovo sulla prima parte. “Sono Edward Cullen. Benvenuta a Londra.”

No. No. No. No. No!

Quello lì non sarebbe mai stato uno sconosciuto.

Quello lì è Edward Cullen. Davanti a me, con un ghigno sulle labbra che mi tende una mano.

Edward Cullen è il mio tassista.

E io vorrei che una voragine mi risucchiasse in questo preciso istante.


-


Sono curiosa, chi è ancora qui dopo 10 anni?

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Capitolo 2
*** Secondo capitolo - Non c'è due senza tre ***


Secondo capitolo - Non c’è due senza tre


Bella


Che. Figura. Di. Merda.

Sono le uniche parole a cui riesco a pensare, mentre mi abbasso in tutta fretta per raccogliere i fogli sparsi sul pavimento. Li butto alla bell’é meglio dentro la cartellina, mentre sento il mio viso che va a fuoco.

Dio, risucchiami.

Dimmi che non ho fatto sul serio quello che ho appena fatto.

Mi ritiro su in tutta fretta, sotto lo sguardo divertito del signor McCarty e quello meno divertito di… Cullen.

Fa che sia un incubo e che mi risvegli da un momento all’altro. Quando uscirò dalla mia casa mi ricorderò che i Taxi sono neri. Neri. Neri. Neri.

“Isabella, ti lascio con Edward. Ero qui solo per conoscerti, ma sarà lui ad occuparsi di te.”

Cosa?!” Ed eccola qui, la seconda figura di merda più grande della mia vita. Io, Isabella Swan, che arpiono il braccio di McCarty come se ne valesse la mia vita. “No! No, no! Come sola con lui? Non ha delle domande da farmi? Non vuole sapere quello che c’è… qui?” Alzo la cartellina, puntandola proprio davanti ai suoi occhi. I miei invece lo supplicano di non lasciarmi da sola qui. Io non posso davvero credere a cosa sto facendo. Perché non ho un filtro tra la testa e la bocca? Perché sono sempre così? Eppure Charlie me lo dice sempre, sempre. Pensa prima di parlare. Pensa. Ma sembra che il mio cervello non ne voglia sapere di pensare oggi. McCarty mi guarda divertito, e so che potrebbe scoppiare a ridere da un momento all’altro. Aro l’ha definito un bambinone, ma credo che io gli abbia appena sfilato il posto da sotto il sedere. Con delicatezza toglie la mia mano dal suo braccio.

“Mi dispiace, ma ho del lavoro da sbrigare. E poi mi fido ciecamente di Edward.” Mi sta dando davvero delle spiegazioni? Gli faccio così pena? “Quindi non ti preoccupare, con lui sei in buone mani.” E’ l’ultima cosa che dice prima di uscire dall’ufficio. Ora, siamo completamente soli. Lui ancora seduto su quella poltrona, e io in piedi come una stupida.

Voragine, risucchiami ora. Ti prego.

“Accomodati.” Mi indica la sedia libera davanti alla scrivania, e faccio una fatica immane prima di arrivarci e sedermi. Non sono seduta dietro a lui, ma davanti. Noto più cose di quante ne avessi viste nello specchietto retrovisore: una mascella spigolosa e ben pronunciata, la sua pelle priva da ogni segno di barba, il naso lungo e longilineo e gli occhi… “più verdi del solito.”

“Più verdi?” Non posso averlo detto ad alta voce. Perché la voragine ancora non mi ha risucchiata? Respira, Bella. Respira. Gli hai soltanto detto che Aro è un viscido che si tromba la sua fidanzata. Cosa potrebbe andare peggio?

“N-no dico… gli occhi… dal vivo sembrano più verdi.”

“Dal vivo?”

“Lo specchietto falsava un po’ il colore.” Peggio di così, eh?

“Lo specchietto…” Sussurra lui, allisciandosi la barba inesistente. Mi sembra di intravedere un accenno di sorriso che spunta dalle sue labbra. Starà pensando che sono un caso perso, chiamerà Aro e mi faranno causa insieme. E lì sì, che neanche il fast food mi vorrà per il resto della mia vita.

“Posso?!” Allunga una mano nella mia direzione, indicando la cartellina che è ancora stretta tra le mie dita.

“Oh!” Passo lo sguardo da lui alla cartella, e mi rendo conto che i fogli non sono sistemati come prima. Sono un accozzaglia di documenti sparsi a caso. “Aspetti, li sistemo. Ecco, questo è il primo.” Glielo passo, mentre le mie mani frugano ancora. “Quello è il curriculum fatto subito dopo la mia laurea. Vede, ho seguito tutti i corsi e mi sono laureata con il massimo dei voti ad Harvard.” Mi allungo, puntando il dito su voto finale che è scritto sul foglio che ha in mano. “Questo invece è stato il mio primo caso pro bono.” Gli allungo anche il secondo. “La signora denunciava suo marito per stalking dopo il divorzio, vinto, ovviamente. Ecco qui il secondo,” spiego, passandogli tre fogli tutti insieme. “Stavolta il marito denuncia la moglie per molestie, vinto anche quello. In realtà non ci sono cause perse. Qui abbiamo la denuncia che ha fatto un dipendente al suo datore di lavoro, qui la ragazza appena diciottenne che voleva il mantenimento dai suoi, qui l’amante che parla con la moglie ed entrambe fanno causa al signore, qui…”

“Ferma.” Alzo la testa, notando ora i mille fogli sparsi sulla scrivania che prima era semi deserta e lui che mi fissa con un cipiglio incuriosito in volto.

“Lo sto facendo ancora, eh? Diarrea logorroica.” Mi ravvivo i capelli, sprofondando sulla sedia. Risucchiami tu, sedia. “Quelli che mi conoscono me lo dicono sempre. Bella, non stai un attimo zitta. E quando sei agitata dai il peggio del peggio.” Cerco di fare la mia stessa vocetta. “Ma credo che oggi abbia dato il peggio del peggio del peggio che più peggio non esiste. Quindi per me va bene, signor Cullen!” Annuncio, alzandomi e prendendo la borsetta che avevo posato per terra. “Me ne tornerò a casa. Ho dato il mio massimo oggi, per farmi odiare. Mi scuso immensamente. Le posso chiedere soltanto un favore? Può sorvolare su tutta quella storia del signor Volturi come viscido e via dicendo? Quello mi denuncia, e se mi denuncia perdo anche la mia ultima possibilità: il posto fisso al fast food di Forks. Sì, perché tornerò a Forks da mio padre. Non sarò neanche in grado di mantenermi una casa, ormai. Quindi sono d’accordo con lei, la saluto.”

“Isabella!”

“La logorrea sta continuando, eh?” Annuisce soltanto, afflitto. La sua giornata è appena iniziata, ma dalla sua espressione sembra che abbia lavorato dodici ore no stop.

“Siediti un attimo.” Ripete. Lo faccio, mentre lui sistema tutti i fogli e poi spinge un tasto sul telefono fisso.

“Sì?” Riconosco la voce della ragazza alla reception.

“Alice, puoi portarmi un caffè e…” Butta un’occhiata nella mia direzione. “E una tisana alla valeriana.”

“Tisana alla valeriana?” E’ molto sorpreso il tono di Alice.

“Per favore.” Ma non ribatte, e dopo dieci minuti entra nello studio con le bevande.

“Tutto bene?” Lo chiede al signor Cullen, che la manda via con un cenno della mano. Quando mi passa accanto mi fa un occhiolino.

“Questa è per te.” Mi passa la tazza fumante con una bustina di zucchero vicino. “Ora potresti berla in silenzio, mentre fai parlare me?” Annuisco piano. La bevanda mi riscalda, e il tremolio alle mani scompare.

“Quello che è successo stamattina ha un non so che di comico.” Annuncia, prima di prendere una sorsata dalla sua tazza. “La tua logorrea è stata molto… illuminante.” Mi blocca con la mano prima che possa aprire bocca. “Sapevo chi eri, eppure ti ho portata in ufficio. Quindi mi assumo il cinquanta per cento della colpa. Questo per dirti che sbrigherò le mie faccende da solo, senza metterti in mezzo. Non rischierai che Aro ti faccia causa, e nemmeno io te la farò. Diciamo che possiamo classificarle come confidenze a un qualsiasi tassista, no?” Annuisco silenziosamente. “Anche se… se tutte le tue corse sono così, poveri tassisti, non credi?” Sta davvero facendo una battuta? Evito di rispondergli. “Nemmeno io ti caccerò, non per un piccolo inconveniente che è successo per puro caso. Quindi, da oggi fai parte dello studio Cullen&McCarty. Ti lascio questa giornata per ambientarti, Alice ti farà vedere il tuo ufficio e tutto il resto. Da domani inizierà il vero lavoro. Affiancherai sia me che Emmett nelle cause più importanti, e da sola ti occuperai per ora di quelle pro bono. D’accordo?” Annuisco di nuovo.

“Davvero, grazie signor Cullen. Le chiedo di nuovo scusa.” Abbasso la testa, mortificata.

“Alice ti aspetta alla reception, il tuo ufficio non è lontano da qui. Puoi andare.” Prendo in fretta e furia tutte le mie cose, anche la cartellina che mi porge. “Ah, Isabella?” Mi chiama quando ormai sono arrivata alla porta.

“Sì?”

“Ti consiglio la metro per il ritorno.” E’ forse divertito il tono che ha appena usato?



Tornata a casa mi butto sul letto stravolta, ancora priva di parole per tutto quello che è successo durante la giornata. Non ho più visto Cullen e McCarty, Alice mi ha lasciata nel mio ufficio e mi ha dato dei documenti. Li ho studiati tutti dal primo all’ultimo, per non farmi trovare impreparata se domani dovessero chiedermi qualcosa. Alice mi ha lasciato anche un biglietto da visita con entrambi i loro numeri, e ora sto salvando quello di Cullen nel cellulare.

Per ogni evenienza, no? Alzo gli occhi al cielo, e decido di sfogarmi con qualcuno. Al terzo squillo James risponde.

“Pronto?!”

“Hey, splendore! Come procede la vita senza di me?”

Come?

“Non fare il timido. Lo so che ti stai deprimendo davanti a una ciotola di sashimi in salsa di soia!”

“Per il sashimi okay, la ciotola un po’ meno.”

“Hai già abbandonato le nostre ciotole abbinate? Non dirmi che Laurent ha preso la mia camera, James! Nemmeno una settimana che sono partita e mi fai fregare il posto in quel modo?”

“Il posto è tutto tuo…”

“Fantastico! Anche perché Laurent non aveva bisogno della mia camera, visto che occupa la tua da tempo. Quando intendete ufficializzare la cosa? Vuoi ancora fare il gay single? Ora non hai più una migliore amica con cui passare la tue serate, tesorino. Solo soletto avrai bisogno di un po’ di compagnia!”

“E la tua di compagnia?”

“Oh, Jimmiji! Sapessi che cazzo ho combinato oggi!”

“Raccontamelo.”

“Ma come sei serio. Che c’è, niente fava stasera?”

“Mh, solo sashimi. Io aspetto.”

“La figura di merda più epocale della mia vita. Più di quella con Jessica, ti ricordi? Quando ho visto suo figlio con quel signore, mi sono avvicinata e gli ho chiesto se voleva fare la foto insieme al nonno. E invece era Mike, il padre.” Una risata soffocata proviene dall’altra parte del telefono.

“Peggio di quella?”

“Mille volte peggio di quella. In confronto Mike mi avrebbe ringraziato per avergli detto che sembrava suo nonno. Insomma, hai presente i taxi?”

“Quelle scatolette nere?!”

Stronzo! Perché non me l’hai ricordato anche tu che erano neri? Dio, sono entrata in una macchina gialla, James. Gialla!

“Uno sconosciuto?”

“Magari, Dio! Altro che sconosciuto, il destino non mi vuole per niente bene. Sai di che malattia soffro, no?”

“Diarrea logorroica, come dimenticarlo.”

“Appunto! Entro e agitata inizio a raccontare a quello sconosciuto tutta la mia vita. Aro il viscido, Jessica, mio padre, mia madre, e poi Jane! Non ho tralasciato nulla, ho detto anche che Aro si tromba Jane!”

“Povero quell’uomo.”

“Povera me! Lo sai chi era, eh?”

“Una creatura mitologica?”

Edward Cullen. Cullen, della Cullen&McCarty. Quante probabilità c’erano che entrassi nella macchi di quel Cullen, eh? Dimmi che sono un’idiota, dimmelo!”

“Un po’ sbadata.”

“Sbadata? Diamine, Laurent deve proprio averti lasciato a secco. Perché non sei il solito te stesso?”

“Sto per finire il sashimi…”

“Oh, capisco.”

“Poi che è successo?”

“Che è successo? Che quando sono salita in ufficio volevo farmi risucchiare dal buco dell’ozono! Ma niente, credo che abbia fatto finta di non sapere tutte quelle cose su Jane e che sicuramente se la terrà così com’è. Zoccola. Oltre la beffa pure il danno, poi…”

“Perché?”

“Oh, Jimmiji! Se lo vedi, muori! Svieni! Perdi i sensi! E’ un figo della madonna. Hai presente un figo? Ecco, trenta volte più figo.”

“Descrivimelo.”

“Non vorrei farti venire un erezione in diretta telefonica.”

“E tu provaci.”

“Capelli ramati, che buttano sul rossiccio. Un corpo da urlo, roba che quella camicia gliela avrei strappata coi denti. Per non parlare dei denti e della sua bocca. Tutta da baciare, e anche da farci altro. Mi spieghi perché devo sempre passare per la sfigata di turno? E Jane si permette anche di scoparsi Aro? Vecchio e viscido vs David di Michelangelo? Cosa gli dice la testa, eh? E’ proprio vero, chi c’ha i denti non c’ha il pane e viceversa. Che vita infame!”

“Mh.”

“James? Che dici?”

“Pare… bello.”

“Bello? Che c’è, tutto d’un tratto sei diventato un etero medio? Il mio James direbbe tante altre cose sconce, bello è un insulto. E devo conviverci per il resto della… sì, va beh. Stavo per dire vita, ma magari vita. Quello adesso starà con una super modella a fare le giravolte cinesi.”

“Giravolte cinesi? Interessante…”

“Avrà pensato che sono una disadattata spedita da Seattle apposta, e non senza motivo. Sono una causa persa. Il mio principe azzurro non arriverà mai, che lo aspetto a fare?” Mi lagno, rigirandomi fra le coperte.

“Non dire così, Isabella.”

“…”

“Ci sei?”

“…”

“Pronto?!”

“…”

Isabella?

“Dimmi che sei James.”

“Mi dispiace deluderti. Ma comunque il sashimi lo sto mangiando davvero.”

“…”

“Ci sei?”

“Ho paura di staccare il cellulare dall’orecchio per vedere chi sei.”

“Penso che già ci sei arrivata, hai bisogno di altre conferme?”

“Okay, domani faccio le valige e parto per Seattle.”

“Non era a Forks con il lavoro al fast food?”

Dio…

“Edward va bene lo stesso.”

Merda…”

“Forse preferivo Dio.”

“Sotterrami.”

“Non lo farei mai. Cosa interessante invece le giravolte cinesi, no? Approfondisci l’argomento.”

Cazzo…

“Materia prima per quello, credo.”

“Io… scusa. Scusa. E di nuovo scusa. Ora attacco e mi vado ad impiccare.”

“Non correre così, suvvia. Non hai fatto niente per far sì che tu possa morire da un momento all’altro.”

“Hai la voce uguale a James.”

“L’avevo capito dopo i primi venti minuti.”

“Volevo chiamarlo dopo aver salvato il numero che mi ha dato Alice oggi, e…”

“Non hai saltato il mio nome.”

“Sto per suicidarmi.”

“Te l’ho detto, niente di grave.”

“Lo faccio tra cinque minuti.”

“No. Lo sai cosa potresti fare? Quella bella tisana alla valeriana, ti calma molto. Poi, ti fai un bel bagno caldo. Anche quello dovrebbe aiutare.” Il mio capo mi sta aiutando ad uscire dalla situazione più di merda della mia vita?

“Poi?”

“Poi una bella dormita, visto che domani ti aspetta una giornata molto lunga.”

“Edward?”

“Sì?”

“Scusa.”

“Ti scusi un po’ troppo, a parer mio.”

“Domani verrò a lavoro con una busta in faccia.” Dall’altra parte della cornetta sento una risata.

“Niente busta.”

“Niente busta… allora… scusa ancora. Sto per attaccare.”

“Ah, Isabella?”

“Sì?”

“Domani potresti trovare una macchina gialla sotto casa tua. Ti sbaglieresti a prendere di nuovo un taxi?”

“Potrei farlo…”

“Ottimo, allora. Buonanotte, pensa alle giravolte cinesi.” Butto la faccia contro il cuscino.

Buonanotte.”


Note finali:

Buongiorno e buona Pasqua ragazzi!

Con questo capitolo spero di alleviare questa giornata a chi la passerà da solo a causa pandemia, o a chi la passerà in compagnia. Vi mando un abbraccio grandissimo <3

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Capitolo 3
*** Terzo capitolo - Quattro non è il numero perfetto? ***


Se alla fine avete due minuti fermatevi a leggere le note, grazie mille.


Terzo capitolo - Quattro non è il numero perfetto?


Bella


Apro la porta dell’ufficio con uno scatto, dando vita a una serie di piccole cose che dovevo aspettarmi, visto di che male soffro. La maniglia scivola sulla mia mano, e va a sbattere dell’altra parte del muro. Con un tonfo torna indietro, e per fermarla al volo con il piede il décolleté nero si sfila, quindi per non perdere l’equilibro la riafferro con la mano, e la borsa scivola per terra facendo riversare tutto il suo contenuto.

Buongiorno Isabella Swan, buon secondo giorno di lavoro. Complimenti.

“Isabella?” Alzo gli occhi, e due facce sconvolte mi fissano. Anzi, una meno sconvolta dell’altra. Perché ormai Cullen sa bene chi si trova davanti, ma l’uomo dall’altra parte della scrivania no.

“Mi dispiace davvero tanto.” Mi rinfilo la scarpa e inizio a rimettere in fretta e furia tutte le cose che sono per terra dentro la borsa. “Ma Siviglia non ha suonato stamattina e ho fatto tardi. Prendere la metro è stato il disastro più disastroso che poteva succedermi oggi. Davvero, le chiedo scusa. Mezz’ora di ritardo il mio secondo giorno. Mi scusi.” Non oso immaginare cosa stiano vedendo in questo momento. Una poveraccia che indossa il primo paio di jeans trovati nell’armadio, che grazie a Dio sono riuscita ad abbinare con una blusa appena… passabile.

“Mi sono perso a Siviglia.” E’ la risposta di Cullen.

“Siviglia la sveglia.” L’uomo davanti a lui strabuzza gli occhi, e si trattiene con tutto sé stesso per non scoppiare a ridere. Lo vedo, ride con gli occhi quel balordo.

“Puoi andare, grazie per stamattina.” Lo invita con un cenno della mano verso la porta, dove io ancora sono impalata. “Ci sentiamo più tardi.” Annuisce piano, prima di avvicinarsi verso di me e indicarmi il pavimento. “Quelli sono suoi, vero signorina?” Abbasso la testa. Assorbenti. Il buco dell’ozono da che parte è? Sempre dritto, e poi a destra è il cammino? No, perché se è lo stesso per l’isola che non c’è conosco la strada. Quella per una bambina mai cresciuta.

“G-grazie. Arrivederci.”

“Arrivederci.” Mi saluta con un sorrisetto, prima di richiudere la porta dietro di lui.

“Scusami, davvero.” Mi avvicino alla scrivania, sedendomi senza che lui mi dica niente. Alla reception l’espressione di Alice non aveva il minimo accenno di preoccupazione, se avessi fatto un ritardo del genere con Aro, Jessica mi avrebbe fulminata seduta stante.

“Non sei l’unica che ha fatto tardi stamattina. La mia macchina non è partita.” Oh. E io che mi sono crogiolata nel pensiero che mi avesse aspettata per un’ora sotto casa, e invece…

“Non si preoccupi.”

“Credo che puoi smetterla di darmi del lei.” Al secondo giorno, mi chiede di chiamarlo per nome. Al secondo giorno, cioè dopo il taxi e dopo la telefonata. Ovvio che mi dice di chiamarlo per nome, dopo che gli ho elencato tutti i particolari con cui gli avrei strappato via la camicia con i denti. Arrossisco al pensiero, e non può non rendersene conto.

Siviglia, eh? Hai dato un nome a tutti gli oggetti non animati a casa tua?”

“Beh, no. Non a tutti.”

“Non a tutti…” Perché insiste? E perché io rispondo?

“Puoi trovare Amerigo il frigo e Albertino il lavandino. All’occorrenza anche Bella la bacinella, sai, per il bucato. Il mio preferito in assoluto è Angioletto!”

“Angioletto?!”

“Il letto!” So che può risultare la cosa più demenziale al mondo dare dei nomi ai propri elettrodomestici, eppure un po’ mi tranquillizza. Entrare in casa e dire ‘hey, ciao Angioletto’ oppure aprire Amerigo prima di domandargli ‘chissà che trovo stasera qui dentro?’. Demenziale, appunto. L’aria sconsolata con la quale mi guardava ieri mattina riaffiora. Bravissima, Bella. Continua così, mancano ancora altri due giorni e ti manda a casa a calci in culo.

“Puoi ridere di me…”

“Non riderei di te, ma della tua…”

“Idiozia?”

“Non la chiamerei nemmeno così.” Fa scattare più volte il tappo della penna che ha in mano. Resto a fissare le dita per un tempo ormai non più calcolabile. “Dono naturale, ecco. Lo chiamerei dono naturale.”

“Sì, madre natura poteva darmi tante cose e invece ha preferito la sua parte meno perfetta.”

“A tratti lo sei.”

Cosa?! Mi ha detto a tratti sei perfetta? Terra chiama Apollo 13, rispondete. Aspiratore, defibrillatore, qui stiamo perdendo l’inutile umana che è seduta davanti al David di Michelangelo Edward Cullen.

“Dicevo, la macchina stamattina non è partita. Quindi non sono potuto passare a…”

“ALT!” Alzo una mano. “Non fa niente, davvero. Ho provato l’ebbrezza della metro londinese.”

“E…?”

“Pessima. Da non rifare mai più.”

“Non puoi prendere una macchina, Bella?” Chi, io? Ah. Ah. Ah.

“Ho la patente, ma ti ricordo che a Seattle si guida dall’altra parte. E se già era un problema per me, non voglio immaginare di avere sulla coscienza tutte le povere anime che vivono qui.”

“Giusta osservazione. Dovrebbero aggiustarmela entro due giorni, potrei passarti a prendere.” Lo sta facendo di nuovo? Mi sta chiedendo di nuovo di andare a lavoro insieme a lui?

“Mh.”

“Niente logorrea stamattina, eh?” Adesso mi sta lanciando davvero un’occhiata maliziosa? Di quelle che se lo fissi troppo potresti andare in escandescenza tra tre, due, uno… morta.

“Comunque per questi giorni mi accompagnerà mi-

“Quel Dio greco che era qui? Me lo sono chiesto anche ieri, ma avete degli standard di bellezza per i dipendenti? No, perché se così fosse mi sentirei molto a disagio. Parliamoci chiaro, sarà anche molto più grande di me e di te, ma ha quel fascino che…”

“Carlisle. Mio padre.” Mi blocca subito, prima che possa continuare l’ormai cascata di figure di merda a cui ho dato inizio salendo sulla sua macchina.

“Un gene ottimo nella tua famiglia.” Commento, senza sperare ormai che qualcosa mi risucchi. Ormai è finita. Soffoca una risata, prima di passarmi dei fogli che tiene davanti a lui.

“Passiamo al lavoro.”

Bene, Bella. Il lavoro. Ti sta mettendo alla prova. Ora devi dimostrare che non esiste solo la logorrea e le interminabili figure di merda, ma anche altro. L’altro per cui hai studiato e perso tempo, sudore e sangue. Non perdere questa occasione. Non farlo.

“Aspetta, non trovo la…” Si guarda i fogli in mano, mentre cerca qualcosa con cui attaccarli.

“Oh, tieni Beatrice.” Gli passo l’oggetto alla mia destra.

“Beatrice?”

“La spillatrice…” Tutte le buone intenzioni prima di partire con il lavoro dove sono, eh?

La spillatrice…” Sussurra di nuovo lui, ma stavolta non si trattiene. Scoppia in una risata che fa quasi rimbombare le pareti, e anche il mio cuore.



“Questa cosa ha un non so che di surreale.” Continuo a sfogliare tutti i documenti sparsi sulla scrivania dell’ufficio di Edward. Sono più di quattro ore che stiamo analizzando ogni piccolo dettaglio della nuova causa, e non ha nulla di pro bono. Lui è sdraiato sul divano di pelle nera, con gli occhi chiusi e nella sua mano stringe una pallina anti stress.

“La Contessa vincerà quella causa, Isabella.”

“La vincerà? Strano, viste tutte le sue marachelle degli ultimi dieci anni. Non mi stupisco che il marito abbia deciso di farle causa.” Dico, leggendo tutti i rapporti che sono arrivati a Edward dal commissariato. La Contessa Delacroix è una quarantenne che dalla vita sembra avere avuto proprio tutto: un eredità che farà in modo che possano camparci anche i suoi figli e nipoti, tre attici a Londra, altrettanti nelle più grandi capitali mondiali. Un casale che sembra quello di Darcy in Orgoglio e Pregiudizio situato in piena campagna inglese. Dalle foto mi è venuta la pelle d’oca. Tutto questo e vuole anche mandare quel povero uomo sull’orlo del lastrico?

“Che doveva fare quel povero uomo? L’ha sposato pensando che fosse un magnate dell’industria e quando ha scoperto che era solo un dipendente vuole farlo fuori? E l’amore dov’è?”

“L’amore non esiste.” Adesso è la sua frase che mi fa venire i brividi. Dio, la pensa veramente così?

“L’amore invece esiste. Ed è una delle cose più belle al mondo. Più delle sessantacinque case di proprietà della Contessa e più dei soldi.”

“Non dirmi che stai paragonando l’amore ai soldi.”

“Perché? Sono più importanti quelli? Davvero la pensi così?”

“Davvero tu la pensi diversamente? Puoi campare con i soldi, ma non d’amore.”

“Certo che puoi campare d’amore!” Sbatto con troppa energia il plico di documenti sulla scrivania. Lui apre solo un occhio per osservarmi da lontano.

“Ah, sì? E quando ci saranno dei figli e i soldi non basteranno più? Quando pagare l’affitto o il mutuo diventa improponibile? Quando perdi un lavoro e hai una famiglia sulle spalle? Lì vince sempre l’amore, giusto?” Le sue parole hanno un non so che di veritiero. Da come le pronuncia, pare che ci sia passato davvero. Ma come può aver patito la fame un uomo del genere? Mi sembra impossibile.

“Due cuori e una capanna, sono di quell’idea lì.”

“Bellissima la capanna, finché non viene un bel temporale e te la butta giù. E poi le infiltrazioni, nessun soldo per sistemarla e i tuoi ipotetici bambini che moriranno per ipotermia al gelo e al freddo. Ma l’amore salverà tutto questo, no?”

“Pare che tu non sia mai stato innamorato…” E’ un sussurro, ma arriva alle sue orecchie anche se siamo lontani. Lo vedo alzarsi di scatto, e la sua posizione da sdraiata passa seduta.

“Ho forse detto che lo sono mai stato?”

Non entrare nel privato, Bella. Non farlo. Non farlo.

“Forse la batosta con Jane è stata troppo grande?” Brava, bravissima.

“Jane? E a te cosa ti interessa di Jane?” Ecco, ora è pure incazzato. Se mi ha sopportata fino ad ora con le mie figure e il mio maldestro senso di vivere, non lo farà ancora per molto.

“Vuoi ancora evitare il problema? Non sono la tua psicologa o la prima persona con cui parleresti, però… non ti ho raccontato una cosa da niente. A meno che…” Ci penso un po’, e mentre l’idea si fa strada nella mia testa mi sembra tutto più chiaro. Perché non ci ho pensato prima?

“A meno che?”

“Oh, Edward! Mi dispiace così tanto!

“Dispiace? Di cosa?”

“Puoi dirmelo tranquillamente, io di certo non sono una persona che giudica. Poi sai… ci vivo con…”

“Isabella, cosa stai dicendo?”

Che sei gay!” Lo sussurro piano, per non farmi sentire da nessun altro. Non che ci sia qualcun altro qui dentro, eppure ora è tutto sempre più limpido nella mia mente.

“Cosa?!”

“Ma certo!” Mi alzo, iniziando a camminare in lungo e in largo nell’ufficio. “Ecco perché non ti sei incazzato per tutta quella storia di Jane. Un vero fidanzato lo avrebbe fatto di certo! Anzi, avrebbe preso il primo aereo verso Seattle per spaccare la faccia ad Aro… invece tu non hai detto niente! Oh, adesso si che è tutto più chiaro. Lei ti copre le spalle, ma questo non le nega di divertirsi per conto suo. Mentre tu sei qui, con una ragazza a distanza e puoi comportarti per come sei veramente. Ma non c’è da vergognarsi, no no!” Punto l’indice verso di lui, muovendolo due volte. “Siamo nel ventunesimo secolo, puoi essere tutto ciò che vuoi. Cos’è che te lo impedisce, eh? Forse i tuoi genitori o il bullismo che ti hanno fatto da ragazzino? I bambini di oggi sono sempre peggio, non sanno proprio comportarsi.” Mi avvicino, mi abbasso e poso entrambe le mani sulle sua ginocchia piegate. “La tua testa sempre tra le nuvole, il fatto che non hai parlato nemmeno una volta di Jane… Edward, è davvero tutto okay. Con me puoi confidarti.” Gli do un lieve buffetto sulla gamba, e ora lo capisco davvero.

“Isabella…”

“Sì?”

Non sono gay. Non mi piacciono gli uomini.” Sbuffo contrariata.

Tesoro, te l’ho detto. Ho vissuto questi ultimi dieci anni con l’amico più gay che più gay credo non esista. James ne ha passate di tutti i colori nella sua vita, eppure ora è fiero di se stesso. Esce con la testa alta, dopo che non l’ha fatto per così tanto tempo…”

“Per quanto la storia del tuo amico che è uscito dal suo limbo mi rende felice, non è la mia situazione. Puoi dormire sogni tranquilli.”

“Il primo passo è non ammetterlo a se stessi…”

“Isabella! Non. Sono. Gay.”

“Beh, c’è ancora del lavoro da fare prima di uscire allo scoperto. Ma io posso aiutarti, oh, anche James. Puoi parlare con lui, sarà felice di rispondere alle tue domande…”

“Cos’è, sei il diavolo spedito da Seattle per rovinarmi la vita?” Si butta a peso morto sul divano, sfregandosi la testa. “Non sono gay.” Ripete per la terza volta, e stavolta si alza. Io appresso a lui. Resta a guardarmi dall’alto per un paio di minuti, finché poi fa la cosa che meno mi sarei aspettata da un uomo gay: mi prende dalla nuca e mi bacia. Mi bacia così appassionatamente che la vista si annebbia, e la mia bocca si apre subito per accogliere la sua lingua. E’ un bacio bagnato, che non mi lascia neanche il tempo di respirare. E’ un bacio al quale si aggiungono le sue mani, che mi toccano nelle zone che più mi fanno impazzire. E’ un bacio che non riesce a farmi staccare da lui.

Non sono gay.” Dice col fiato corto, staccandosi da me.

E no, di certo non è gay.

Ora dove classifico questa fantastica figura di merda?



Note finali:

Io sono davvero senza parole. La storia sta riscuotendo un seguito che mai mi sarei immaginata, soprattutto solo dopo due capitoli pubblicati. Mi piace da morire pensare a dieci anni fa, quando ho creato questa piccola oneshot che ha riscosso un piccolo successo che nemmeno all’ora mi sarei aspettata. Mi piace pensare che non ho voluto mai scrivere un seguito, e chi se lo sarebbe mai aspettato che arrivasse dieci anni dopo, in un momento storico che nessuno ha mai vissuto. Le vostre recensioni mi riempiono il cuore di gioia. Leggere che vi fa ridere, ma ridere davvero mi emoziona. Perché significa che sono l’artefice di quei cinque/dieci minuti di spensieratezza, e voi non sapete quanto mi rende felice. Io vi ringrazio dal primo all’ultimo. Le vostre recensioni mi fanno sentire la persona più fortunata al mondo, nel mio piccolo. Voglio chiamarlo destino: non aver mai deciso di portare Taxi?! Ad essere una long, perché magari doveva succede proprio ora. E poi sono un’inguaribile romantica, e credo nel destino.

Qui vorrei dare anche luce ad alcune risposte alle vostre domande, anche se vi rispondo sempre in privato.

° Taxi?! Non conterà tantissimi capitoli. L’evoluzione della storia non sarà come le altre, proprio perché voglio lasciare quel senso di divertimento che c’è dentro. Credo che portarla avanti per troppo tempo mi faccia perdere quella commedia che voglio che predomini in tutti i capitoli.

° Voglio farvi divertire, tanto quanto mi diverto io a scriverla. Saranno più i capitoli comici che quelli che vedranno una vera storyline per Edward e per Bella. La loro storia si evolverà, certo, ma non volendo mettere dentro scene drammatiche o suspence, mi riesce più difficile dargli una degna ‘storia d’amore’. Ma lo scopo di questa storia è sempre lo stesso: ridere.

Finito il papiro, vi giuro!

Grazie, grazie e ancora grazie.

Un abbraccio enorme.

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Capitolo 4
*** Quarto capitolo - Forse due cuori e una capanna? ***


Quarto capitolo - Forse due cuori e una capanna?


Bella


“Tesoro… tesoro dimmi che non l’hai fatto davvero.” Mi rigiro tra le coperte profumate, stesa sopra il mio letto.

“Che dovevo fare?”

“Che dovevi fare? Mi amor, hai combinato più danni in tre giorni a Londra che in tutta la tua vita!” Sbuffo sonoramente.

“Ora ti attacco.”

“Provaci. Poi potresti sbagliarti di nuovo e chiamare il tuo avvocatino.”

“James! Non è il mio avvocatino!”

“Ah, no? Già l’hai conquistato tesoruccio! Hai creato un mix letale per quel povero uomo.”

“Non è poi così povero.”

“No, infatti. Me lo immagino nei suoi perfetti completi seduto nel suo ufficio. Serio e distaccato. E poi arrivi tu e bum! Gli stravolgi la vita.”

“Non gli ho stravolto la vita! Solo qualche giornata…”

“Saranno lunghe anche le prossime giornate, amorino.” Sarà la trecentesima volta che sbuffo da quando ho chiamato James. Il vero James, senza sbagliare telefonata. Anzi, molto meglio: prima di chiamarlo gli ho mandato un messaggio con scritto ‘chiamami tu’, proprio per non sbagliare un colpo.

“Davvero questo Cullen ha la voce uguale alla mia?”

“Identica, James. Identica.

“E mi assomiglia?”

“Assolutamente no.”

“Se non per il fatto che hai pensato che fosse gay. Amore, ma come ti è venuto in mente? Cioè, anche se lo fosse stato… davvero, come ti è venuto in mente di dirglielo?”

“Hey! Lo sai che non riesco a tenermi nulla. Quello che penso lo dico.”

“Sì, come Amerigo e Angioletto.” Ride di nuovo di me. “Ma già mi piace questo avvocatino. Ha visto la parte migliore di te, e ancora non ti ha mandata via. L’uomo cattivo l’avrebbe fatto!” L’uomo cattivo è Aro, così l’ha battezzato il mio migliore amico.

“L’uomo cattivo mi ha mandata via, infatti.”

“Questo si rivelerà il periodo migliore della tua vita, tesoruccio! Due giorni ed è già caduto ai tuoi piedi!”

“Non è caduto ai miei piedi…”

“Amore, ti ha baciata!”

“Sì, per farmi capire che non è gay!”

“Tesoro, non tutti gli etero vanno a baciare in lungo e in largo le belle donne. E tu sei una bellissima donna. Più dell’albina.” L’albina è Jane, sempre ribattezzata da James.

“L’albina ha un non so che di regale. Io che cos’ho di regale?”

“Proprio nulla!” Ribatte lui alzando la voce. “E’ quello che piace all’avvocatino, mia Bella. Che sei l’esatto opposto dell’albina. Anzi, scommetto che sei sicuramente l’esatto opposto di tutte le donne che ha incontrato nella sua vita.”

“Il pagliaccio Bella Swan.” James ride di nuovo dall’altra parte del telefono.

“Amore, ce l’hai in pugno. Se ci metti un po’ di volontà è tutto tuo! Ma dimmi un’altra cosa, raccontami di lui.”

“Ancora, James? Ancora?” Sono stata i primi quaranta minuti della chiamata a spiegare nei minimi dettagli com’è fatto Edward. Dalla punta dei capelli alla punta dei piedi. Ancora non gli basta?

“Anche se vorrei immaginarmelo di nuovo dalle tue parole, raccontami davvero com’è. Il suo carattere?”

“Il suo carattere, Jimmiji? Che vuoi che ne sappia?”

“Abbastanza, visto che è un uomo che ti ha appena baciata.”

“Allora, Edward è-

“Oh! Aspetta…”

“Che succede?”

“Hanno suonato. Sicuramente è Laurent con la cena. Scendo ad aiutarlo e ti richiamo. Non crogiolarti e non addormentarti. Devo assolutamente sapere tutto!” La sua voce cristallina e piena di vitalità mi fa quasi venire la nausea. “Appena ti chiamo riprendiamo da qui.”

“Okay, aspetto.”

“Ciao mi amor, a dopo!”

“Ciao cucciolo.” E attacco, buttando il cellulare sul letto.

Edward…

Edward che mi ha baciata. Evito di pensarci, perché sognerei fin troppo ad occhi aperti. E poi vorrei sotterrarmi sotto al cemento armato. Perché dopo quel fantastico bacio me ne sono andata. Fuggita, con la speranza di non rivederlo mai più per il resto della mia vita. Peccato che mancano dodici ore all’inizio di una nuova giornata, e già mi immagino la sua faccia nera. Nera. Nera perché ho chiesto ad Alice di avvisare gli avvocati che mi sarei presa due ore di permesso, e credo che nemmeno ce le ho, le ore di permesso. Sono scappata. Codarda. L’albina non avrebbe di certo fatto così. Se lo sarebbe tenuto stretto. Idiota, idiota, idiota. Quando il telefono squilla di nuovo sblocco subito la chiamata.

“Dove eravamo rimasti? Il suo carattere, eh?” Dico. “L’avvocatino - come lo chiami tu -, credo che sia un uomo tutto d’un pezzo. Diverso da Aro, a tal punto che addirittura ride delle mie battute. Battute che non sono nemmeno battute, ma è la mia vita quotidiana. Fatta di cazzate su cazzate. Mi hai chiesto del bacio, eh? Beh, è stato il bacio più bello della mia vita. In ventisette anni non mi sono mai sentita così. Mai. Se fossi stata un’altra invece di Bella, l’avrei steso su quella scrivania di vetro. Ma io sono Bella, che fugge via al primo intoppo! Quello ora starà parlando con Aro per trovarmi un’altra mansione. Tipo donna delle pulizie o roba del genere. Ma quando sono patetica? Dimmelo! Su forza, dimmelo!”

“…”

Jimmiji, ci sei?”

“…”

“Hey, James!”

“…”

“Terra chiama James Nomadi.”

“Imparerai a guardare lo schermo del telefono prima di chiamare o rispondere?”

NO! Ti prego, no…

“…”

“Isabella?” Non aspetto più che mi licenzi. Prendo un aereo e me ne vado domani. Adios. Au revoir. Goodbye. Arrivederci mio caro avvocatino. Finché poi nella mia mente si accende una lampadina. Avrò fatto l’ennesima gaffes da aggiungere alla lista già molto piena, ma… è lui che mi ha chiamato.

Edward Cullen ha chiamato me.

L’avvocatino ha fatto il mio numero di telefono.

Sa il mio numero di telefono.

E sono le dieci di sera. Che vuole? Oh, Dio. Che diamine vuole? Un uomo ti chiama alle dieci di sera per un solo motivo. E io sono pronta? Cazzo, ho anche una foresta amazzonica dappertutto. Le scimmiette si divertono molto a saltare dalla gamba destra alla sinistra.

Che. Diavolo. Vuole.

E perché io non glielo chiedo?

“Bella?”

“Sì?”

“Sei presentabile?” Mi chiede se sono presentabile? Vuole venire a casa mia? Amerigo è vuoto, su Angioletto sono stese le coperte di Harry Potter. Dio, Dio, Dio. Crescerò mai? E il rasoio dove lo trovo, alle dieci di sera? Perché non sono una di quelle che si fa la ceretta una volta al mese? Perché sono un disastro del genere?

“Per fare cosa?” Sussurro appena, mentre il mio cervello sembra possa esplodere da un momento all’altro.

“La contessa Delocroix vuole vederci. Ora. Dieci minuti e ti passo a prendere.”

Oh. Tranquille scimmiette, continuate a dondolarvi come prima. Nessuno vi toglierà il vostro divertimento per darmene un po’ a me.

“Ora? Alle dieci? Perché?”

“Perché ci paga talmente tanto che se chiama anche alle due di notte accorriamo. Dieci minuti. Ciao.” E attacca. Non faccio in tempo ad alzarmi, che il telefono squilla di nuovo.

“Edward?”

“Edward? Perché hai detto Edward? Aspetti una chiamata da Edward?”

James. Imparerò davvero a guardare lo schermo del telefono?

“S.O.S. Edward mi ha chiamato ora. Quella contessa vuole vederci.”

“Cosa? Alle dieci di sera?” “Chi vuole vederla alle dieci di sera?” Sento immediatamente in sottofondo la voce di Laurent.

“Quell’Edward.” “L’avvocatino?” “Dice che è per lavoro.” “Dille che non è mai per lavoro, alle dieci di sera.” “Che ne sai tu? Hai avuto proposte alle dieci di sera?”

HEY! HEY! Cazzo, parlate con me? Sono qui!”

Tesoruccio, lavoro o meno dimmi solo una cosa.”

“Cosa?”

“Che la foresta amazzonica è stata rasa al suolo. Completamente.”

“…”

“Bella? Sta forse scherzando? Vai immediatamente a depilarti!”

“James! Dieci minuti e arriva! E ho l’elastico delle LOL in testa, una fascia di Hello Kitty e la maschera per rimuovere punti neri e impurità!”

“E’ un caso perso!” Laurent. “Non è un caso perso!” James. “No, eh?” Di nuovo Laurent.

“Mi avete rotto i coglioni. Ciao ciao, me la sbrigo da sola” E gli attacco in faccia, correndo verso il bagno. Quando mi guardo allo specchio non so dove mettermi le mani. Butto un’occhiata all’orologio. Sei minuti e arriva.

Che cazzo faccio?



Non saprei descrivere l’espressione della Contessa Delacroix quando apre l’immensa porta della sua villa situata in piena campagna.

Sconfortata forse, per non essere volgare.

Incazzata nera invece, per essere volgare.

Indossa una vestaglia di seta che le arriva molto sopra il ginocchio, e tiene i capelli sciolti che ricadano in onde non proprio morbide sulle sue spalle. La guardo bene in faccia, e la prima cosa che penso è che se avessi un ago in questo momento potrebbe scoppiare soltanto ad un lieve tocco.

E’ una bambola di plastica. Una bambola di plastica killer.

“Avvocato. E lei è?” Mi indica con un cenno della mano, senza nemmeno perdere tempo a guardarmi.

“L’avvocato Swan. Il mio braccio destro.” Davvero?

“Il suo braccio destro non è l’avvocato McCarty?” Fa sul serio? Non ditemi che questa pensava davvero di…

Era. Ora si occupa di altre cose.”

“Oh.” Arriccia le sue labbra di plastica, e mi tolgo dalla sua traiettoria. Non vorrei morire solo perché possano esplodere da un momento all’altro. “Allora… entrate.” Posa una mano sul braccio destro di Edward, accarezzandoglielo per tutta la sua lunghezza. Sto per vomitare.

“Cos’era così urgente da farci fare un’ora di viaggio?” Già, un’ora di viaggio. Seduta vicino a Edward, su una Maserati grigia che sfrecciava a tutta velocità sulle strade di Londra. Un’ora in assoluto silenzio.

“Se mi segue glielo spiego.” Ora vomito davvero. Non lascia il braccio di Edward, mentre lo trascina in quell’enorme atrio. Questa non è una casa da ricchi, no. E’ una casa da nobili. Nemmeno se campassi altre e dieci vite riuscirei a permettermela.

“Isabella, vieni?”

“Oh, ma la signorina Swan può aspettarci qui, no?”

“Credo invece che la consulenza della signorina Swan ci serva.”

“Ma invece io non credo proprio.” Tira fuori di nuovo il labbro inferiore, e mi sforzo per non restare lì impalata a fissarglielo.

“Contessa.” Edward posa piano la mano su quella che è sopra il suo braccio, allontanandola. “Mi dispiace non essere d’accordo con lei.”

“E a me dispiace che lei non sia d’accordo me. Se vuole seguirmi,” continua, rivolgendosi solo a lui. “Alla fine di questa consulenza dovrò strappargli un assegno, no?” Io non ci voglio credere. Se lo sta comprando.

Edward si gira verso di me, e non riesco a decifrare la sua espressione. Dimmi che non fai sul serio. Ti prego.

“Ci aspetti qui.” Non è propriamente una domanda, e io non gli rispondo.

“Faccia come se fosse a casa sua, signorina Swan.” Sorride, tirando tutto quel silicone. “Anche se sarà un po’ diversa da casa sua.” Aggiunge poi con una risata terrificante, trascinandoselo verso una porta non troppo lontano dal salone.

Rettifico: non se lo sta comprando.

Se lo è letteralmente comprato.


La zoccola e l’avvocatino sono chiusi in quella stanza da un tempo che ormai non sto più controllando.

Zoccola e avvocatino, proprio come gli ha rinominati James in una seduta di sms in diretta.


Vattene, Bella. Prendi la sua macchina e scappa. Riderò quando uscirà e non troverà nulla che possa riportarlo a casa.


Sorrido all’ultimo messaggio del mio amico.


Lui ha le chiavi. Rispondo.


Cazzo. Non c’è nessuno che ti può venire a prendere?


Non so nemmeno se posso permettermi un taxi che dal centro di Londra arrivi qui.


Io non ci voglio credere, amorino! L’avvocatino perde 100 punti!!!!!


Cento? Perché, quanti ne aveva conquistati?


Un bel po’. Ma è come tutti gli altri. Se gli uomini gay fossero etero!


E’ proprio per questo che sono gay e non etero.


Digito tutto in fretta e furia. Messaggiare con James mi ha tranquillizzata, anche se mi sento in colpa di averlo sottratto da Laurent. Già gli stavo sulle palle a Seattle perché lo volevo tutto per me. Non immagino ora che gli tolgo del tempo prezioso anche da Londra.

“Ciao!” Scatto sul divano, mentre il telefono cade dalle mie mani e precipita sul tavolino di vetro di faccia. Quando lo tiro su una leggera crepa è all’angolo. L’ho rotto.

Porca troia!

“Hai detto una parolaccia!” La bambina davanti a me ride, puntandomi un dito contro. Ha due trecce lunghe che le arrivano fino al sedere, e un visetto che già la dice lunga senza che aggiunga altro.

“Perché non dormi?” Assottiglio lo sguardo. Questa bambina ha rotto il mio telefono. Perché non dorme, visto che è quasi l’una?

“Non ho sonno…” Ciondola su un piede senza abbandonare quel sorrisino vispo.

“E tu sei?”

“Chi sei tu, sei in casa mia!” Posa le braccia sulla vita, come se si aspettasse una risposta subito. Ma non mi dire…

“Tu sei Catherine.” Annuncio, squadrandola dalla testa ai piedi. Anche lei vestaglia di seta, pigiamino coordinato, trecce chiuse con un fiocco come se fossimo nel ‘600. E’ proprio lei. La piccola Contessina.

“Come fai a sapere il mio nome? Chi sei? Ora mi metto ad urlare. MAMMAAAAA

“Hey, hey. Piccola cantante lirica, chiudi quella bocca.” Le poso una mano sulla bocca, mentre da sotto continua a strillare. Dio, se qualcuno ci dovesse vedere in questo momento finirei sicuramente in carcere. E con la fortuna che ho la chiave andrebbe dispersa due secondi dopo.

“La mamma è… impegnata.

“Oh.” Sembra che la mia piccola spiegazione la faccia smettere.

“Se tolgo la mano mi prometti di non urlare?” Annuisce, e piano lo faccio. E’ stata di parola, perché smette di strillare ma lo sguardo truce resta sempre.

“Chi sei?”

“Sono Bella.”

“E perché sei a casa mia?”

“Sono l’avvocato della mamma.”

“E perché sei qui?”

“Perché la mamma sta parlando con un altro avvocato.”

“Un avvocato maschio?” Perspicace la piccola Catherine.

“Già.” Commento, sedendomi di nuovo sul divano. Stavolta mi raggiunge anche lei, ma non si siede troppo vicino. E’ pur sempre una nobile.

“Allora non è un avvocato. E’ un amico della mamma.” Inarco entrambe le sopracciglia.

“E la mamma ha tanti amici?” Domanda innocente, no?

“E che ti frega?” Che stronzetta.

“Perché sei sveglia?”

“Perché non ho sonno. E da quando papà non c’è più non riesco a dormire bene.”

Oh. Oh.

“Quanti anni hai, Catherine?”

“Dieci. E…”

“Sì?”

“Puoi chiamarmi Contessina?” Io non ce la faccio. Spero di svegliarmi da questo incubo il prima possibile.

“Va bene, Contessina. E perché papà è andato via?” Chiedo. “E se devi rispondere con un che te ne frega, non rispondere proprio.”

“Forse perché la mamma aveva tanti amici maschi?” E’ come se lo chiedesse a me. Intanto, gioca con i ricami della sua vestaglia. “A me non importa perché papà è andato via. Io voglio stare con lui qualche volta.”

“Non lo vedi?”

“Papà ora vive con i suoi genitori.”

“I tuoi nonni, no?”

“Ceto medio basso. Non chiamo nonni quelle persone.” La sua faccia è quasi schifata.

“E allora papà è come loro, no?”

“No. Papà era ricco, qui.”

“E ora è diventato povero?”

“No. Cioè… sì. Non lo so. Io però lo voglio vedere.” Sembra come se stesse per scoppiare a piangere da un momento all’altro. La Contessa sta facendo un lavaggio del cervello a questa bambina che non ha eguali.

“Ti divertivi di più con papà?”

“Oh, sì! Con papà giocavo a ruba mazzetto!” Rido, mentre lei si gira nella mia direzione. “Perché ridi?”

“Anche io so giocare a ruba mazzetto. Ci vuoi giocare, Catherine?” Stavolta nemmeno contesta più il fatto che non l’ho chiamata Contessina. I suoi occhi si illuminano tutto d’un botto.

“Vado a prendere la carte! Aspettami qui, Bella!”


Mezz’ora e dieci partite dopo la Contessina dorme rannicchiata sul divano, coperta da un telo che ho trovato lì vicino. Ho sistemato le carte e le ho posate sul tavolino di vetro. Le do un piccolo buffetto sul viso, prima di decidermi ad uscire da quella casa. Un’ora e dodici minuti. Un’ora e dodici minuti che è in quella camera con la bambola di plastica. Ormai la mia immaginazione non ha bisogno di altro, mentre esco e mi appoggio sulla macchina di Edward. Non voglio pregustarmi la scena di quando usciranno da lì. Non voglio vedere la faccia soddisfatta della Contessa e nemmeno quella di Edward. Okay che l’ho messo in imbarazzo ripetutamente, ma davvero così doveva vendicarsi? Facendomi sentire una cogliona che aspetta mentre lui finisce la sua trombata?

Io ancora non ci voglio credere. Sbuffo, e mi accendo una sigaretta. Non ho il vizio, eppure le porto sempre con me per ogni evenienza. Oggi ne ho bisogno più dell’aria.

“Fumi?” Sobbalzo per la seconda volta, ma non mi giro. Non voglio vederlo. Mi fa quasi… schifo.

“Già.”

“Sali.” Dice, facendo scattare le sicure della macchina. Lo sportello dietro a me si apre, butto la cicca per terra - te lo meriti, zoccola -, e salgo.

“Potresti aprire un po’ in finestrini?”

“Cosa? Ci sono tre gradi, Bella.”

“E tu puzzi.”

“Come scusa?”

“Puzzi di quei profumi vecchi e andati a male. Quelli che trovi nei negozi dell’usato. Riprovevole.”

Riprovevole…” Ripete in sussurro lui, mentre abbassa un po’ il finestrino dal mio lato. Fa un freddo cane, ma è meglio del profumo che portava la mia bisnonna Isabella. Passiamo altri minuti senza dirci una parola, in sottofondo solo il rumore dello stereo che nessuno di noi due sta ascoltando con particolare interesse.

Ma è più forte di me.

“Io me ne tiro fuori, Edward.” Sbotto tutto d’un tratto.

“Che significa?” Per la prima volta mi giro nella sua direzione. Le mani sono strette entrambe sul volante, riesco a vedere tutte le vene per quanto sono tirate.

“Che non ci sto. E non farmi quel discorsetto dei soldi o per il lavoro si fa di tutto. Io non sono come voi.”

“Voi chi?”

“Tu e Aro, no? Non sei poi così diverso da lui. Cambia solo che lui si scopa le dipendenti, e tu le clienti.” La mia voce esce così meschina che quasi ne resto basita pure io. Lui più di me, però. Perché inchioda, costeggiando una stradina di campagna completamente al buio.

“Scendi.” Non perde tempo a sentire la mia risposta, perché è sceso dalla macchina prima di me.

Cazzo, cazzo, cazzo. Questo mi ammazza. Siamo in mezzo al nulla, in piena campagna. Ora tira fuori un coltello e io ci lascio le zampe. Con non so quale forza apro lo sportello, parandomi davanti a lui con le mani alzate.

“Edward, ragiona! Mi troveranno e capiranno che sei stato tu!”

“Cosa stai dicendo?” Inarca entrambe le sopracciglia.

“Possiamo trovare un altro modo! Guarda,” tiro fuori il cellulare dalla mia tasca “ho parlato fino a poco fa con James, quando non risponderò alle sue chiamate si preoccuperà! E sapeva che eravamo dalla Contessa. Non ci vorrà molto, e poi ti arresteranno! Vuoi passare tutta la vita in un carcere? Forza, non è quello che vuoi veramente!”

Cosa… Tu… Tu pensi che io ti voglia ammazzare?”

“Beh, è la scena perfetta per un crimine.”

“Tu vedi troppi telefilm, Bella. Non voglio ammazzarti!”

“No? E perché mi hai fatta scendere? Ahia!” Mi scheggio il pollice con il vetro rotto del cellulare. “Telefono di merda. Dovevi romperti proprio stasera?”

“Hai rotto il cellulare?”

“Sì, poi ho giocato a ruba mazzetto con la Contessina.”

“La Contessina? Chi sarebbe?”

“La figlia della Contessa…”

“Hai conosciuto la figlia della Contessa?”

“Sai, qualcuno doveva pur intrattenere me!”

“Hai conosciuto la figlia della Contessa?” Ripete di nuovo, come se fosse un disco rotto.

“Senti, falla finita. Ammazzami e falla finita!”

“Stai zitta per un attimo?” Alza la voce, passandosi entrambe le mani sui capelli. “Cazzo, mi stai confondendo le idee.” Borbotta piano.

“Che c’è, il tuo cervello pensa ancora a quelle tette settima misura? Beh, non mi stupisce che sei uscito di lì ancora con tutti gli arti al posto giusto e che qualcosa non ti sia scoppiata in faccia.”

“Primo: non abbiamo fatto niente.” Calca bene sul niente, puntandomi un dito contro.

“Non si direbbe. Un’ora e dodici minuti, Edward.”

“Un’ora e dodici minuti? Hai contato anche i minuti?” Brava, Bella. Bravissima.

“Che dovevo fare?” Sbotto, alzando entrambe le mani al cielo.

“Secondo: mai, e mai più mi devi paragonare ad Aro. Hai capito?” Ora è molto, molto, molto incazzato.

“Spiegami che differenza c’è tra te e lui.” Sputo le parole con più cattiveria di quanta ne ha usata lui.

“La differenza è che Aro potrà anche continuare a scoparsi le sue dipendenti, ma io non mi scopo le mie clienti!”

“Ah, no eh?”

“No.”

“Bene! Difficile a crederti, però!”

“Mi fai parlare?”

“No!”

“Porca puttana, Bella! Questa è una cazzo di congiura!”

“Congiura?”

“Lo sai che ho fatto per un’ora e dodici minuti, in quello studio?”

Immagino…” Sbuffa di nuovo, quasi ringhia.

“Sono stato in videoconferenza con Emmett.” McCarty? Scherza?

“Oh, non gli bastava quello fisico. Voleva anche quello virtuale!”

“No, parlare con te è impossibile!” Sbotta, iniziando a camminare avanti e indietro sull’asfalto della strada. Struscia i piedi talmente forte che i rimasugli della terra arrivano fino a me.

“Che vuoi dirmi?”

“Se mi avessi lasciato parlare cinque minuti fa invece di trarre - come al solito - le tue conclusioni troppo affrettate, avresti saputo che non ne sei fuori solo tu. Ne siamo fuori tutti!”

“Cosa?” Questo non quadra. I soldi non erano la cosa più importante per lui? Più dell’amore e tutto il resto?

“Non me la sono portato a letto.”

Oh, che animo nobile.” Fa finta di non aver ricevuto la mia frecciatina.

“E non ha staccato un assegno a sei cifre, Bella. Sei cifre. Ha voluto parlare anche con Emmett, perché non credeva a quello che stava succedendo lì dentro!”

“Non ci credo neanche io.” Butto lì, ancora con lo sguardo più truce che possa fare.

“Oh, non ci credo neanche io!” Ripete lui, parandosi a pochi centimetri davanti a me. “Non riesco proprio a credere a quello che ho appena fatto. Per il tuo animo nobile e per la tua ossessione due cuori e una capanna. Mi meraviglio di me stesso!”

Per me? Sta dicendo che l’ha fatto per me?

“Che stai dicendo?”

“Che dovrei mandarti veramente a casa in calci in culo. Che Emmett domani prenderà me a calci in culo, per aver fatto perdere all’azienda duecentomila dollari. Ma non ci riesco. Sei come una cazzo di calamita attira danni!” Sbotta tutto d’un fiato. “E sei anche una cazzo di calamita attira Edward.” Soffia sulla fine.

L’incubo si è trasformato in un sogno, ma svegliatemi lo stesso.

Fiu, per fortuna che ero io quella logorroica!” Allarga gli occhi, come se non ci credesse davvero.

“Come fai? No davvero, mi spieghi come fai? Hai studiato in una scuola specializzata per essere… così?” Non l’ho mai visto gesticolare in questo modo da quando lo conosco.

“Sono solo me stessa.”

“Potresti essere meno te stessa?”

“Che c’è, così non vado bene?” Assottiglio di nuovo gli occhi. Potrei perdere la vista, se vado avanti di questo passo.

“Vai più che bene, è quello il problema.” Si avvicina piano, fino a far toccare i nostri petti. Quando inclina la testa di lato, capisco benissimo quali sono le sue intenzioni. Mi scanso subito, spostandolo con una spintarella non troppo forte.

C-cosa?!

“Non penserai mica di baciarmi!”

“Cosa?! Fai sul serio?”

“Non bacio uno che puzza di vecchietta deceduta negli anni venti.” Sbotto infine, salendo in macchina e richiudendomi lo sportello appresso.



Note finali:

A parte millecinquecento cuori e millecinquecento grazie non so che altro aggiungere, stasera! Se vi manca qualche pezzo vi dico che il prossimo capitolo sarà POV Edward. Vediamo un po’ che pensa quell’uomo di Bella, visto che le ha già fatto una mezza dichiarazione!

Grazie, grazie e ancora grazie per tutto.

Un abbraccio.

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Capitolo 5
*** Quinto capitolo - Destino ***


Questo capitolo racconterà Edward nei giorni nei quali ha conosciuto Bella. Dal primo all’ultimo. Se avete due minuti alla fine, leggete le note.

Buona lettura!



Quinto capitolo - Destino


Edward


Se me l’avessero raccontato ci avrei creduto?

No, assolutamente no. E se ci fosse un modo per dirlo con più enfasi lo urlerei al mondo ancora più forte. Perché è letteralmente fuori da ogni mia aspettativa quello che è appena successo. Tremo al pensiero, mentre l’ascensore si ferma al mio piano ed esco.

“Alice, buongiorno.”

“Oh, Edward. Buongiorno a te.” Il folletto con i capelli neri sparati nelle direzioni più disparate mi sorride, staccando gli occhi dallo schermo del PC.

“Emmett è arrivato?” Annuisce, indicandomi la porta del mio studio.

“Ti sta aspettando. Sei in ritardo o sbaglio?” Arcua le sopracciglia, come se volesse leggermi nel pensiero. Alice è il nostro punto di forza. Con tutta la sua vitalità è riuscita a portare gioia e risate in questo ufficio, quando ne mancavano da un bel pezzo. Credevo che non avrei mai conosciuto un’altra peggio di lei, beh, mi sbagliavo di grosso.

“C’era traffico.” La butto lì, prendendo i documenti che mi sta passando.

“La signorina Swan dovrebbe arrivare a momenti, giusto?” Giusto. Non è ancora qui perché starà facendo il suo badge alla reception, mentre io sono passato dall’entrata secondaria.

“Esatto. Falla accomodare nella sala d’attesa quando arriva, poi chiamami.”

“Perfetto.” Le faccio un cenno con la mano, e passo svelto mi dirigo verso l’ufficio. Quando apro la porta trovo il mio socio stravaccato sul divano, mentre sfoglia un giornale e sorseggia il caffè che è in mano. Un’altra tazza è posata sulla mia scrivania. Butto tutto sulla poltrona, per poi sedermi.

“Sei in ritardo o sbaglio?” Chiede Emmett, alzando un solo sopracciglio.

“Ti sei messo d’accordo con Alice?”

“No, lo sai che quella ha le visioni.” Questa è la causa che Emmett porta avanti da quando Alice ha varcato la soglia del nostro ufficio. Cioè da ben due anni. Secondo lui il peperino prevede il futuro, perché ne sa una più del diavolo.

“Comunque, fra quanto arriva? Devo fare un milione di cose.” Brontola Emmett, alzandosi per buttare il giornale sopra la mia scrivania.

“A breve.”

“In ritardo il primo giorno di lavoro? Non mi sembra un inizio coi fiocchi.” Fa il suo sguardo truce, quello che gli riesce meglio.

“Ho già conosciuto Isabella Swan.” Annuncio infine, perché non posso nasconderglielo. Sia per lavoro e sia per la profonda amicizia che ci lega dal College. E mi serve fottutamente sfogarmi con qualcuno.

“Cosa? Allora me ne vado. Lo sai i guai che ci sta facendo passare quella Contessa lì?” Oh, lo so bene. Perché da quando la Contessa Delacroix ha varcato la porta dello studio sembra che il tempo si sia fermato.

Tutto per la Contessa.

Rispondi alle chiamate della Contessa.

Chiedi alla Contessa di cosa ha bisogno.

Non farti scappare la Contessa.

Non farti scappare i soldi della Contessa.

“Non ho conosciuto Isabella Swan qui.” Gli occhi del mio socio si allargano a dismisura.

“Cosa? No, Edward! Non dirmi che te la sei portata a letto!”

“Scherzi?”

“E sentiamo, dove l’hai conosciuta? Mi immagino in un pub qui intorno, mentre lei passava per caso per vedere dov’era lo studio. E poi: “oh, ma è proprio Isabella Swan. La nostra nuova dipendente.’.

“La tua mente viaggia troppo.”

Troppo poco, secondo me. Allora?”

“E’ entrata nella mia macchina.”

“Non ti seguo.” Sbuffo, passandomi una mano sui capelli.

“E’ entrata nella mia macchina, Emmett. Nella mia Maserati gialla, parcheggiata credo a pochi metri da casa sua.”

“L’hai portata a lavoro?” Tra un po’ gli usciranno dalle orbite quegli occhi lì.

“No. Sì. Diciamo di sì.” Emmett sbatte una mano sulla scrivania, piegandosi di qualche centimetro.

No? Sì? Diciamo di sì? Che cazzo è, un indovinello?”

“E’ entrata di sua spontanea volontà nella mia macchina. Dietro, non davanti.”

“Spiegati.”

“Pensava fosse un Taxi. Un Taxi giallo.” Calco sull’ultima frase, e se potessi tirare fuori il mio cellulare in questo momento gli farei una foto per ridere della sua espressione.

“Un Taxi? Pensava fosse un Taxi?”

“Già.” Confermo le sue parole, accendendo il PC davanti a me. Dopo pochi secondi, il telefono dell’ufficio squilla. Alice.

“Falla entrare.” E’ l’unica cosa che le dico, prima di riattaccare. Dall’esterno sentiamo entrambi il rumore dei tacchi sul parquet.

“Edward.” Emmett mi punta un dito contro, prima di proseguire. “Non so se posso chiamarlo destino, ma ti sei innamorato già una volta in questo modo. Cerca di non farlo ricapitare.” Alzo gli occhi al cielo, e penso solo a una cosa: che ha ragione.

E’ già successo. E mentre quella donna, che ha la parlantina più fluida che abbia mai sentito nella mia vita è entrata nella mia macchina pensando che fosse un Taxi, ho vissuto un deja vu. Una cosa che era già successa anni fa. E che ancora oggi mi porto dietro.



“Chi era?” Esme mi toglie il piattino vuoto dove c’era il sashimi da sotto il naso, passandolo alla nostra domestica. Sua dovrei dire, perché ormai non abito più qui da anni.

Chi era, eh? Forse la chiamata più esilarante della mia vita. No, non esilarante. Dovrei trovare un altro termine che sia più appropriato.

“Mamma…”

“Dimmi.” Si siede davanti a me, incrociando entrambe le mani sul tavolo.

“Credo di aver conosciuto una donna…”

“Credi?”

“No, in realtà l’ho conosciuta.” Dico più deciso. “Ma è strana.”

“Strana in che senso?”

“Strana come lei.” Indico la figura seduta sul tappeto vicino a mio padre.

Oh.” Esme ridacchia. “Allora è strana per te. E le strane per te sono un toccasana nella tua vita, Edward.”

Strana per me è divertente. Strana per me mi fa ridere. Ridere tanto. Strana per me equivale a cambiarmi la vita.

“Raccontami di lei.” Chiede mia madre, mentre giro tra le mie mani il bicchiere di scotch.

“Non c’è molto da raccontare, in realtà.” A parte che ho un mal di testa perenne da quando Isabella Swan è entrata nella mia vita.

“Okay, riproviamoci. Da quant’è che la conosci?”

“Neanche ventiquattrore.” La butto lì, mentre il sorriso di mamma si spegne un po’.

“Amore a prima vista?”

“E’ entrata stamattina nella mia macchina.” Lo confesso anche a lei, mentre mi guarda con un cipiglio incuriosito.

“Le hai dato un passaggio?”

“E’ entrata nella mia macchina pensando fosse un taxi. Un taxi giallo.” E’ la seconda persona a cui lo spiego oggi. La reazione di Esme è diversa da quella del mio amico, ma l’antifona è la stessa. Si porta una mano alla bocca, e i suoi occhi si fanno lucidi.

“Questo è destino, Edward.” Sussurra infine, riportando lo sguardo su mio padre e sulla bambina che gioca insieme a lui.

Luna.



Quattro anni fa ero impantanato nel traffico londinese, maledicendo tutti gli abitanti della città. In ritardissimo per l’appuntamento che avevo, e ancora nemmeno una macchina scorreva. C’era una luna bellissima quella sera, che si rifletteva sul parabrezza.

Lo ricordo come se fosse ieri.

Mentre imprecavo ancora più forte lo sportello posteriore della mia Maserati gialla si aprì, e una donna dalla pelle scura e il viso più impaurito che avessi mai visto si fiondò tra i miei sedili.

Señor, Señor! La prego, Señor!

“Scusi?”

La prego Señor! La niña esta in peligro! Señor!” E tra le sue braccia strette intravidi un fagottino ricoperto di sangue.

Un neonato.

La corsa in Ospedale fu tra le più estenuanti della mia vita. Ma valse a poco. Perché la signora che aveva scambiato la mia macchina per un taxi morì poco dopo, lasciando sola quella bambina. Chiamai Carlisle per farlo venire in Ospedale, e quando uscì dalla sala operatoria i suoi occhi parlavano senza che aprisse bocca.

“Edward, l’hai trovata da qualche parte?”

“E’ entrata in macchina mia. Pensava fosse un taxi. E’ morta perché non sono stato troppo veloce?”

Oh, no.” Carlisle mi passò una mano sulla spalla. “No, sarebbe morta lo stesso. La polizia ha scavato un bel po’ prima di scoprire qualcosa.”

“Chi era? Ha un marito, giusto?” Anche stavolta Carlisle non aveva bisogno di parole.

“No. Era una prostituta portoricana. C’è ne è voluto di tempo prima che le persone del ghetto dicessero qualcosa. Una vecchietta ha detto alla polizia che viveva per strada, e che sicuramente uno dei suoi clienti l’ha messa incinta. Ha partorito così, Edward. Da sola, in mezzo a una strada. Non avrai salvato lei, ma hai salvato quella bambina. Vieni, guarda.” Carlisle mi trascinò fino a un vetro che divideva una nursery.

“E’ quella lì. Ed è in ottima salute.” Indicò una bambina non troppo piccola viste le sue condizioni di nascita. Nera come la pece. Ma la cosa che mi lasciò esterrefatto fu un’altra: i suoi occhi. Verdi come due smeraldi. Verdi come i miei.

“Che fine farà?”

“Resterà per un po’ qui. Poi aspetteremo che gli assistenti sociali trovino qualcuno che voglia adottarla.”

“Chi non lo vorrebbe?”

“Edward, non è facile. Le famiglie che fanno parte di un ceto sociale alto non vogliono…”

“Cosa non vogliono, papà?”

“Una bambina di colore. E’ raro fare tutto nei termini legali e aspettare che adottino una bambina di colore. Se non trova dei genitori sarà affidata a qualche casa famiglia, o a qualche convento. Oh!

“Che c’è?”

“Aspetta che la portoricana ha detto qualcosa prima. Non ci ho capito molto, chiamo Esperenza.” Poco dopo mio padre torna con la sua collega.

Dile al caballero de el Taxi que se llamará Luna. Como el que nos protegió esta noche. Que Dios los acompañes para toda la vida.” Dice Esperanza, in perfetto spagnolo.

“Per dire?” Chiesi, con le idee ancora più confuse.

“Dì al signore del Taxi che si chiamerà Luna, come quella che ci ha protetto stanotte. Che dio abbia cura di loro.” Ricordo benissimo la sensazione che provai in quell’istante. E che mai mi ricapiterà in tutta la mia vita.

Il signore del Taxi.

“Papà?”

“Sì, Edward?”

“La adotto io.” Fu l’unica cosa che dissi.



“Papà! Papà!”

“Hey!” Tiro su Luna con una presa sola, issandola bene sul mio braccio. “Che vuoi mangiare per cena?”

“Rodrigo è vuoto!” Sorrido, pensando che Rodrigo il nostro frigo è vuoto. Sorrido ancora di più perché il nostro Rodrigo mi fa subito pensare ad Amerigo, il frigo di Isabella.

Tutto quello che sta succedendo in questi giorni è possibile? O è solo un brutto scherzo? E’ come se fossimo collegati da un filo invisibile, ed ora che è qui sembra colorarsi mano a mano.

E’ davvero possibile?

Gliel’ho detto oggi che l’amore non fa per me. Che due cuori e una capanna non esiste, non senza un duro lavoro dietro. Eppure è così spensierata. E la sua spensieratezza mischiata con la sua dote naturale di fare gaffes ha stravolto questi ultimi giorni.

“Pizza?”

“Pizza, sì!” I capelli di Luna sono un casco di ricci che si muovono a destra e sinistra. I capelli, la pelle nerissima, gli occhi verdi: è un mix tra un gene portoricano e africano. Non ci sono altre spiegazioni.

“Allora tu sistema tutti quei giochi sparsi per il salone. Io chiamo la pizzeria.” Fa il broncio, perché sa benissimo come comprarmi. “Okay! Allora vai a finire di giocare e io ordino la pizza.” Sorride stavolta, stampandomi un bacio in guancia prima di scendere dalle mie braccia.

Il mio primo amore è salito sulla mia macchina pensando fosse un taxi.

E’ davvero destino? Mi gratto la fronte, ma non faccio in tempo a prendere il telefono in mano che squilla.

Ti prego, no.

“Pronto?”

“Avvocato Cullen?”

“Sì?”

Oh, Edward.” La sua voce smielata quasi mi mette i brividi.

“Contessa, buonasera.”

“Ho una cosa urgente di cui parlargli. Può raggiungermi?”

“Ora?”

“Ha di meglio da fare?” Non le spiego che ho una figlia cui prendermi cura, perché sono davvero poche le persone che lo sanno. Non tengo Luna nascosta, la tengo tutta per me.

“In cosa posso esserle utile?”

“Una consulenza. Può raggiungermi?” Il suo tono non è più smielato come prima.

“Dove?”

“La villa in campagna!”

“La villa in campagna è molto lontana, Contessa. Ed è tardi.”

“Se ora ha da fare la aspetterò.” Ma non mi dire.

“Le farò sapere quando partirò da Londra.”

“Oh, magnifique! La aspetto, avvocato.” Attacco, alzando gli occhi al cielo. Io so cosa vuole la Contessa, alle nove di sera. E non voglio assolutamente farlo.

La prima persona che chiamo è Emmett. Rifiuta immediatamente la mia offerta, con un sonoro ‘mia moglie mi ammazza, convinci la Contessa a venire in ufficio domani.’ Ottimo.

La seconda persona che chiamo è Alice. Accetta immediatamente la mia offerta di venire a fare da babysitter a Luna. Con un ‘tanto Jasper è partito, non ho niente da fare. E amo quella bambina’.

La terza persona che chiamo è Isabella. E non le faccio nessuna offerta, perché è obbligata a venire con me.



Quando Isabella Swan apre la portiera della Maserati grigia di Carlisle sale al posto del passeggero. Davanti.

“Ciao.” Sussurra appena, richiudendosi la porta dietro si sé. E’ diversa. I capelli sono raccolti a metà e porta gli occhiali da vista. E’ la prima volta che la vedo con gli occhiali. Mi ricordo la frase che Alice mi disse un giorno: “Non ho bisogno degli occhiali, ma li metto quando non riesco a truccarmi bene.” E’ anche questo il suo caso?

Guido con il sottofondo della radio a farci compagnia, mentre nessuno dei due dice una parola. E quando nella villa in piena campagna la Contessa viene ad aprirci la porta nella sua mise, non c’è più nulla da intendere.


“Poteva venire da solo.” E’ il sussurro languido della Contessa, mentre chiude dietro di sé la porta dello studio. O libreria. Non so come chiamarlo, in realtà.

“Preferirei che la mia collega fosse presente.”

“Non credo che la sua collega voglia essere presente, invece.” Marca lei, non lasciando la presa della sua mano sul mio braccio.

“Lei è uno difficile avvocato. Mi piacciono quelli difficili.”

“Io sono qui per lavoro.”

“Può unire l’utile al dilettevole, sa?” Mi lancia un’occhiata maliziosa. “Ma se la mette così, parliamo prima di lavoro.” Si siede dall’altra parte della scrivania, mettendo davanti ai miei occhi un plico di foto. “Ho assunto un agente privato.”

“Cosa? Senza parlarcene?” Prendo le foto, e inizio a sfogliarle una a una. Quello nelle immagini un po’ sfocate è suo marito. Il suo quasi ex marito. Con una donna.

“Chi è questa donna?”

“L’agente privato ha detto che potrebbe essere la sua nuova compagna.” Che c’è di male? Lo penso senza esternarlo. Perché la Contessa può anche stare nel torto, eppure sono qui per perorare la sua causa.

“Cosa vuole farci con queste foto?” Le metto di nuovo in fila, appoggiandole sulla scrivania di marmo.

“L’assegno finale può trasformarsi in trecento mila dollari invece che duecento.” Trecento sacchi? “Solo se aggiunge una piccola cosa.”

“Non verrò a letto con lei, se è quello che intende.” Scoppia in una risata che fa rimbombare le pareti.

“Oh, quello lo farà senza i soldi avvocato. Ma non è quello che voglio.”

“E cosa vuole?”

“Togliere la potestà genitoriale a questo uomo.” E così dicendo, indica le foto sul tavolo. “Deve scomparire. Dalla mia vita e da quella di mia figlia.”

“Questa è una cosa grossa, Contessa.”

“Una cosa grossa che posso permettermi di fare, e lui no.”

“E sua figlia? Ha parlato con sua figlia?”

“Mi interessa davvero poco l’opinione di una bambina di dieci anni. Io decido per lei. E se dovrà ereditare tutto questo” dicendolo, indica con il dito tutto quello che è intorno a noi. “Deve rispettare le mie regole. Crescerà benissimo senza un padre. Ha dei maestri privati e cinque tate. La servitù ai suoi piedi. Non ha bisogno di un uomo del ceto medio basso che non potrà darle mai niente.”

“A questo punto crescerà anche senza una madre.” Non mi pento delle parole che escono dalla mia bocca. Mi stupisco, piuttosto.

“Questo non è affar suo.”

“In realtà lo è, se devo portarla in tribunale.”

“Quindi accetta?”

“Posso portarla in tribunale e far firmare a quell’uomo le carte del divorzio. Posso fare in modo che non tragga nulla di vantaggioso da lei, ma anzi, che debba dare un mantenimento a vostra figlia. Quello che non spiego… perché tutto questo astio? Contessa, se devo perorare la sua causa le ripeto una cosa che già le ho detto in ufficio: devo essere a conoscenza di ogni minimo particolare.” La vedo sbuffare, mentre apre un cassetto e tira fuori una cornice.

“La vede?” Nella foto sono presenti lei, suo marito e un’altra coppia.

“Cosa dovrei vedere?”

“Vede quel signore anziano, lì?”

“Lo vedo.”

“Non nota niente di diverso?”

Noto che indossa uno smoking. Noto che ha la barba bianca che gli spunta intorno al viso. Noto che… fa che non sia quello. Per favore.

“Oh, finalmente se ne è reso conto!”

“Spieghi.”

E’ nero. Il padre del mio ex marito. Non so come abbia fatto quella donna a sposarlo. Quella gente a casa mia è la servitù, non si fa servire a tavola.” Sento come se potessi spaccare questa foto nelle mie mani da un momento all’altro.

E’ lavoro, Edward. Ma è lavoro quando devi proteggere qualcuno, anche se non ha ragione. Lo fai, per lavoro. Non lo fai quando ti tocca nel personale.

“Penso che il problema sia risolto.”

“Oh, lo vede avvocato? Già ci intendiamo bene, noi due!”

“No, non ha capito. Lo studio Cullen&McCarty non si occuperà più della sua causa.”

“Sta scherzando?”

“Non mi sembra il posto e l’ora adatta per scherzare.” Annuncio, alzandomi dalla poltrona.

“Non esiste! E non è suo, quello studio! Desidero immediatamente parlare con l’avvocato McCarty!”

“Venga domani in studio.”

“Ora!”

“Lo chiami. Stia pur certa che l’avvocato McCarty sarà d’accordo con me.”

“Trecentomila dollari, avvocato! Non credo che possa farla franca così facilmente.”

“Lo chiami. Ora.”

Esco da quella stanza un’ora dopo aver parlato con Emmett. La sua faccia assonnata ha capito veramente poco, ancora di meno quando gli ho detto che non aveva bisogno di troppe spiegazioni. Gliele avrei date il giorno dopo. Appena mi trovo all’aria aperta mi sento più… sollevato. Come se avessi perso un peso enorme che gravava sulle mie spalle.

E penso che se Luna fosse qui ne direbbe una delle sue.

Papà, puzzi come la vecchietta del secondo piano che sembra un morto che cammina.



Mezz’ora dopo, in piedi come un coglione sulle strade di una campagna desolata rido come un ragazzino.

Non bacio uno che puzza come una vecchietta deceduta negli anni venti.” Sono state le sue ultime parole, prima di richiudersi la portiera alle spalle.

Ed è come se un altro pezzo di filo prendesse colore, poco a poco.



Note finali:

Mai, mai, e ripeto mai una mia FF aveva diviso i lettori un due fazioni. I primi: “Rido tantissimo, mi piace. Vai avanti così.” I secondi: “Scherzi? Una persona non può essere così stupida! Questa non è comica, è demenziale!”

Mi sono arrovellata il cervello in questi giorni. Mi piace da impazzire scrivere di questa Bella, perché rido anche io facendolo, tantissimo. Però poi ho anche pensato: questa storia non è nata per un mio piacere personale, come le altre. Questa è nata per voi, lettori. Un regalo per gli undici anni su EFP, un regalo per chi voleva che Taxi?! Diventasse una long da tempo.

Poi però mi sono detta una cosa: ho scritto di peggio. Ho scritto di un Edward che non ha le gambe in A place to stay. Ho scritto dell’attentato alle torri gemelle in Changes. Tutte cose non molto leggere, insomma. Ma lo feci con leggerezza, all’epoca. La leggerezza che prima di tutto mi faceva scrivere per me stessa, e poi per voi. Ho cercato di ritrovarla, quella leggerezza. Di non pensare: “cazzo, Taxi è nata come una one shot che ha fatto il botto. Le aspettative sono alte, troppo. E se cado nel ridicolo? E se da comica si trasforma in drammatica, perdendo la sua trama? E se è troppo comica?” Ho anche pensato: “La cancello.” Insomma, mai mi sono interrogata su una storia come su questa. Finché ho chiuso gli occhi e ho chiesto a me stessa di tornare la ‘scrittrice’ che scriveva solo per se stessa, contenta come una Pasqua mentre la sua mente creava cose che nemmeno mai io stessa mi sarei immaginata.

E così, è nato questo capitolo.

Perché il destino in quasi tutte le mie storie collega Bella e Edward. Ma il destino ha voluto anche far in modo che Taxi rivedesse la luce del sole dopo dieci anni, e quindi ha ancora più significato, tra queste pagine. Vorrei che Taxi fosse diversa. Vorrei che Taxi fosse tutto e niente: comica, drammatica, spensierata, divertente. Tutto e niente.

Mi impegnerò per farlo. Ci riuscirò? Non lo so.

Spero solo che questo capitolo vi sia piaciuto, quanto è piaciuto a me scriverlo.

Grazie per essere qui, e per aver letto.

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Capitolo 6
*** Sesto capitolo - Segretaria sexy ***


Sesto capitolo - Segretaria sexy

Bella


Apro gli occhi di scatto, cercando di abituarmi alla luce gialla che me li fa subito richiudere. Allora sbatto di nuovo le palpebre leggermente, cercando di capire cosa c’è intorno a me. Mura bianche, un odore di spirito allucinante e tutti quei biip che continuano a farmi girare la testa. Sono in Ospedale. Ci metto un po’ a rendermene conto.

Che ci faccio qui? Provo a muovere la testa verso sinistra, e capisco che il mio collo è bloccato da qualcosa. Mi sforzo un po’, fino a vedere che anche l’altro lettino della stanza è occupato.

Da Edward. Con gli occhi aperti e una benda che gli circonda la testa mi guarda con un cipiglio divertito in faccia.

“Buongiorno, bella addormentata. Ce ne hai messo di tempo prima di svegliarti.”


Quella stessa mattina…


Basta, ho deciso. Farò leva sulla mia forza di volontà, e appena arriverò in ufficio parlerò con Edward. Non mi sta bene tutto questo. Non mi stanno bene i baci rubati, non mi sta bene che ogni scusa è buona per prendersi gioco di me. Non che gli riesca difficile farlo, dopo avermi conosciuto veramente. Eppure non mi sta bene. Stamattina mi sono svegliata con questo pallino nella testa: devo far valere le mie idee. Devo dimostrargli che non esiste solo la Bella divertente, ma esiste anche quella cazzuta. Quella che è in grado di fare molte altre cose, oltre a quelle già dimostrate. E’ una settimana che lo vedo di rado in ufficio, mentre mi sono occupata delle scartoffie che mi faceva recapitare da Alice. Forse è anche questo che non mi sta bene. Essere stata messa da parte. Eravamo partiti col piede giusto, cause pro bono da sola e le altre con il mio aiuto. Ma l’unica cosa che ha fatto con il mio aiuto è stata farsi accompagnare dalla Contessa, mentre tenevo il moccio ad entrambi. Ho appurato che non è un serial killer, e non mi ha uccisa in mille pezzettini lasciandomi nella campagna inglese. Anzi, avrebbe di certo fatto altro. Ma non ha aggiunto niente in macchina, lasciandomi sotto casa con un semplice: “Grazie e buonanotte.” Io pensavo di essere strana, ma lui non scherza. Scendo con uno sbuffo le scale, pensando che sì, oggi è proprio il giorno giusto. Per entrare nel suo ufficio e parlargli. Per dirgli che sono stata spedita qui per un motivo, ma che posso redimermi dai miei sbagli iniziali. Ricominceremo da capo! Era da tempo che non sentivo questa positività dentro di me. Ma dura davvero poco, perché appena apro il portone il diluvio universale è la prima cosa che mi accoglie. Perché non tiro su le tapparelle quando mi sveglio? Perché diavolo non controllo il tempo fuori, prima di mettermi in ghingheri per il discorso dell’anno, eh? Sbuffo, e penso che non posso salire a cambiarmi. Penso anche che non ho un ombrello con me, e non ho abbastanza soldi da spendere per il taxi. E non posso arrivare in ritardo. L’unica soluzione che mi resta è quella di correre fino alla fermata della metro, sperando di non rompermi l’osso del collo con questi tacchi.

L’ho già detto che odio Londra, no? Beh, se non l’ho detto è così.

Io odio Londra.


“Bella…”

Non. Dire. Una. Parola.” Punto un dito contro Alice, mentre cerco di salvare il salvabile. Peccato che non ci sia niente da salvare. Sono fradicia. Ho i capelli attaccati al viso e vestiti sono ormai la mia seconda pelle.

Tesoro…” Cerca di trattenersi dallo scoppiare a ridere da un momento all’altro. “Posso aiutarti?” Domanda dalla sua postazione, con una piega impeccabile e un trucco da make up artist. “Perché non ti decidi a prendere una macchina?”

“Perché non ho il tempo di imparare a guidare di nuovo.” Sbuffo, gocciolando su tutto il pavimento della hall. “Alice, aiutami.” La mia è una preghiera, mentre il folletto si alza e la seguo fino ad una stanza dove non avevo mai messo piede.

“Cos’è questo posto?”

“Il mio ufficio.” Risponde, mentre tira fuori da un cassetto un phon da viaggio, un beauty-case e un cambio di vestiti.

“Hai un ufficio?” Chiedo accigliata, mentre poso la mia borsa e la mia valigetta bagnate come me per terra.

“Quando lo studio chiude e devo finire di lavorare vengo qui. Era l’ufficio di un altro legale, e quando se ne è andato Cullen e McCarty hanno deciso di darlo a me. Passo molte notti in questo ufficio.” Svela, passandomi un telo bianco. “Asciugati in bagno. Poi lavati il viso per togliere tutto quel trucco colato. Qualcosa di waterproof no, eh?”

Water-che?” Alza gli occhi al cielo sbuffando.

“Sei un caso perso. Menomale che ci sono io!” Saltella sul posto, indicandomi il piccolo bagno. Ci entro, iniziando a spogliarmi con calma. I brividi mi accolgono subito, e tremo. Mi manca solo l’influenza.

“Tieni, indossa questi.” Mi passa dalla porta un cambio, il suo cambio. Alzo un sopracciglio, guardandola dallo spiraglio della porta.

“Alice…”

“Che c’è?”

“Siamo molte diverse io e te.” Annuncio, guardando i vestiti nella mia mano. C’è proprio tutto. Un reggiseno, una camicia bianca, delle calze auto-reggenti che credo di non aver mai utilizzato in vita mia, e una lunghette nera.

“Ti entrerà tutto alla perfezione! Su, cambiati.” Non è più un consiglio, ma un ordine. Quando vedo la mia immagine riflessa nello specchio il mio primo pensiero è quello di dire ad Alice che sono malata. Che non potrò andare a lavoro oggi. Che faccia finta che non sia mai arrivata in ufficio.

“Bella?”

“Io non esco da questo bagno!”

“Bella, dai! E’ impossibile che non ti siano entrati.”

“Sono strizzata in questi vestiti. Io non esco.” Ribatto di nuovo, guardando l’espressione più sconsolata che potessi fare. Scherza?

“Alice, tu sei più bassa di me. Tu sei molto più magra di me. Tu non ti rendi conto…”

“Tesoro, puoi uscire da quel bagno? Ti prometto che se è troppo andrò io stessa a prenderti un cambio a casa tua.” Non so perché mi lascio convincere dalla sua voce soave. Ma lo faccio. Apro piano la porta del bagno, rivelandomi a lei.

“Su, dimmi cosa c’è che non va!” Dice, guardandomi dall’altro al basso.

“Cosa? Forse questo?” Indico la mia scollatura. I miei seni molto più sodi di quelli di Alice sono strizzati nel suo reggiseno, sicuramente una misura o forse anche due in meno della mia. Non riesco neanche ad allacciare la camicetta bianca fin sopra la scollatura, perché i bottoni non si congiungono. La gonna mi fascia il di dietro facendo vedere proprio tutto. E’ come se non la indossassi.

“Sei uno schianto, tesoro. Fossi in te brucerei tutti tuoi completi per iniziare a indossare quello.” Mi indica, sorridendo soddisfatta.

“Alice, non posso. Lo capisci? Non posso. Sembro la segretaria porno di un film a luci rosse. Quella che entra in ufficio e si stende sulla scrivania del suo capo.” Non so perché - o forse sì - ma arrossisco subito al pensiero. Perché non ho immaginato una segreteria porno qualunque. Ho immaginato me stessa mentre mi sdraio sulla scrivania di Edward. Era un giorno partito con positività, eh?

“Tesoro, per favore. Ti pare che se fosse stato troppo non te lo avrei detto? Comunque ho tutta la tua giornata già programmata. E non c’è niente di diverso dalle altre. Quindi starai chiusa nel tuo ufficio tutto il giorno. Ti giuro che se per la pausa pranzo ancora non ti sei abituata a quei vestiti, ti accompagno veramente a casa. Te lo giuro.” Anche stavolta mi lascio convincere. Perché sono così stupida? Eppure Alice è stata così carina da prestarmi i suoi vestiti, ed ora è dietro di me mentre asciuga i miei capelli. Dopo pochi minuti, sono con la faccia rivolta verso l’insù mentre si occupa del mio trucco. Non tutti lo avrebbero fatto. E di certo io devo imparare da questa lezione e portare un cambio nel mio ufficio. Perché non mi smentisco mai?

“Non ho una spazzola per i boccoli, ho cercato di allisciarli.” Annuncia, mentre mi dirigo di nuovo verso il bagno. Non riesco a muovermi troppo bene con questa gonna, passi lenti e studiati. Sudati, più che studiati. Ma quando arrivo di nuovo davanti allo specchio vorrei sprofondare. La famosa segreteria porno sarebbe più pudica di me. La matita nera contorna i miei occhi - io non lo faccio mai, se non mettere un po’ di mascara -, e un rossetto scarlatto segue benissimo le linee delle mie labbra. Appoggio le mani sul lavello, e respiro a fondo.

Tutto il giorno in ufficio, come i precedenti. Non vedrò nessuno a parte Alice.

Cosa potrebbe andare storto?

Ma mi dimentico sempre che il mio nome è Bella Swan.


Immersa fra tutte quelle scartoffie non mi sono resa conto che il tempo è passato così velocemente, non finché il telefono dell’ufficio suona e sobbalzo dalla paura. Se c’è una cosa che ho davvero imparato a Londra è quella di controllare lo schermo di qualsiasi telefono prima di rispondere.

Interno due uguale Edward. Quell’Edward che è una settimana che non mi chiama, e decide di farlo proprio oggi.

“Sì?”

“Isabella, lascia stare quello che stai facendo e vieni nel mio ufficio.”

“Cosa?!”

“C’è qualche problema?”

Edward…

“Io e Emmett siamo qui.” Non mi lascia il tempo di replicare, perché mi attacca in faccia. Ho le mani sudate, e le strofino sulla gonna di Alice.

Perché proprio oggi? Perché? E soprattutto, perché a diciotto anni i miei mi hanno permesso di farmi un tatuaggio sul mio petto, proprio il centro che divide il mio seno? E’ quello che mi domando, mentre cerco di avvicinare i lembi della camicia il più possibile. Ma non ci riesco. Perché quella camicia sembra scoppiare da un momento all’altro, e quel tatuaggio è molto visibile. Non solo la mia scollatura sarà la protagonista delle occhiate che riceverò, ma lo sarà ancora di più quel disegno. Conto fino a dieci e respiro profondamente prima di uscire dal mio ufficio. Alice mi lancia un’occhiata scettica, mentre le sussurro con il labiale un semplice ‘tu me la pagherai.’ Allarga di più gli occhi, cercando di farmi capire che lei non c’entra niente. Almeno è quello che spero. Busso piano alla porta di Edward, e la apro con ancora più lentezza. So già quello che mi aspetta. Ma di certo non lo immaginavo così plateale. Emmett è in piedi, e appena la serratura scatta si gira nella mia direzione. Resta fermo così, imbambolato come se vedesse una donna per la prima volta. La mascella di Edward invece sembra voler toccare terra da un momento all’altro. Dopo avermi fissato per tutta la mia lunghezza non solo una, nemmeno due ma ben tre volte, accascia le spalle sullo schienale della poltrona. So di essere rossa come un peperone, perché sento il sangue affluire in ogni parte del mio corpo.

Emmett!” E’ la voce di una donna a riportarci sul pianeta terra, che proviene dal divano alla mia destra. Una donna non bella, no. Una dea.

Amore!” L’avvocato sembra riprendersi subito dai suoi pensieri. “Tesorino, ti presento Bella. Direttamente da Seattle.” Si avvicina alla donna, stringendola una mano. “Bella, lei è Rosalie. Mia moglie.” Calca così tanto sulle ultime parole che penso lo faccia più per se stesso che per lei. Rosalie si alza, mostrando le sue gambe lunghe fasciate da un paio di jeans che le stanno a pennello. Si avvicina a passo lento verso di me, senza mai staccare lo sguardo dal mio. Sta marcando il territorio. Non le do tutti i torti, in fondo. Nell’ufficio del suo uomo si è appena presentata una segretaria porno. Non che io e Rosalie abbiamo qualcosa in comune, eppure il suo sguardo potrebbe incendiarmi da un momento all’altro.

“Rosalie.” Annuncia, allungandomi una mano. “La moglie di Emmett.” Ripete le parole di suo marito, ma con un tono ben diverso.

“Isabella. E’ un piacere conoscerla.” Stringo la sua mano, e sento che la sua stretta potrebbe sgretolarmi da un momento all’altro.

“Tu ora mi accompagni alla macchina.” Non usa un tono autoritario, eppure sembra che Emmett lo conosca molto bene. Perché non se lo lascia ripetere due volte, prima di alzare le spalle nella direzione di Edward ed uscire dalla stanza insieme a sua moglie.

“In cosa posso esserti utile?” Brava. Educata e coincisa. Se non fosse per questi vestititi, poteva essere la giornata perfetta per il mio grandioso discorso. Ma non so quanto possa prendermi sul serio, a questo punto.

“Accomodati.” Ecco, questo era proprio quello che non doveva succedere. Perché quando mi siederò la camicetta si allargherà ancora di più, e la gonna salirà sulle mie gambe. Nel mio ufficio non ho dato molto peso a questi fattori. Nessun problema se il pizzo del reggiseno usciva fuori e se il laccetto delle autoreggenti si lasciava intravedere.

Ma qui…

Trova la forza, Bella. Trovala.

Mi siedo, tenendo le mani ancorate ai lembi della gonna. In questo modo sembra non risalire più di tanto, eppure non posso fare a meno di notare lo sguardo di Edward. Lì, fermo in mezzo alla mia scollatura. Non so da quanto tempo mi sta guardando, mentre cerco di fare una cosa così semplice come sedermi.

“Edward. Puoi guardarmi negli occhi?” Li sbatte di scatto, come se si fosse svegliato da una trance momentanea.

“Dirlo non è difficile come farlo.” Butta di nuovo le spalle sulla sedia, afflosciandosi completamente.

“Mi dispiace. Ho avuto un problema stamattina.”

“Spero che la tua casa si sia allagata o che gli alieni stanotte abbiano rapinato l’intero guardaroba. Sennò no, non trovo una giustificazione.” Arrossisco, abbassando la testa. Mi sta esplicitamente dicendo che è troppo. Che tutto questo non fa al caso mio. Che la segretaria sexy non mi si addice come ruolo. Ma un conto è pensarlo, un altro è sentirselo dire. Respiro di nuovo a fondo, prima di aprire bocca.

“Ripeto, in cosa posso aiutarti?”

“Abbiamo un appuntamento nell’aula delle conferenze.” Annuncia deciso, sistemando i documenti che sono davanti a lui.

Di tutti i giorni, ma proprio di tutti, perché oggi? Perché?

“Ottimo. Di che si tratta?”

“Una video conferenza. Da Seattle. Con Aro Volturi.” Pronuncia l’ultima frase guardandomi dritto negli occhi. Io non ci voglio credere.

“Devo assolutamente partecipare?” Domando appena. Lui annuisce, prima di alzarsi e sorpassare la sua scrivania. Mi alzo anche io, cercando di abbassare con un colpo solo la gonna. Ma fa una cosa che mai mi sarei aspettata. Si toglie la giacca, mostrando i suoi muscoli tesi coperti da una camicia bianca.

“Che fai?” Chiedo quasi impaurita. Che la mia mise gli abbia dato l’ok senza che io dicessi nulla? No, non è possibile. Ma lo sta facendo. Si sta spogliando. Dio, Dio, Dio. Ma tutti i miei pensieri vengono interrotti quando mi passa il suo capo.

Mettila.”

“Cosa? Perché?”

“Mettila e basta.” Non conosco il suo tono autoritario, ma assecondo il suo gesto. La prendo per poi infilarmela. Arriva fino alle ginocchia, e mi copre completamente. “Andiamo.” Mi precede, e quando apre la porta dell’ufficio trova Emmett con una mano alzata che stava per bussare. Guarda prima lui senza giacca, e poi me con la sua giacca. Poi lo rifa. E lo rifa ancora.

“Non dire una parola.” E’ l’unica cosa che gli dice Edward, prima che tutti e tre ci avviamo verso la stanza delle conferenza. Quando passiamo davanti alla piccola reception di Alice, non posso non notare la sua faccia soddisfatta.


“Questo è un problema enorme, Cullen” Ripete ormai Aro per la milionesima volta. Siamo tutti e tre seduti intorno al lungo tavolo, mentre dallo schermo in alto vediamo una stanza molto simile a questa dove ci sono Aro e i suoi fratelli. Una stanza che conosco molto bene.

“E’ un problema che risolveremo noi. Qui, a Londra.”

“E invece mi dispiace non essere d’accorto con te.” Se c’è una cosa che non mi è assolutamente mancata di Seattle, è la voce viscida di Aro. “La Contessa è nostra cliente, ora.” Perché è proprio quello il motivo di questa call: la Contessa. Che non trovando un appoggio da Cullen&McCarty, si è rivolta al loro studio affiliato. A km di distanza. Ma non sembra essersi posta il problema, a quanto pare. “Mi dispiace per voi, se devo essere sincero. La pubblicità che vi farà quella donna di darà del filo da torcere, Cullen.” Il suo tono non sembra per niente dispiaciuto, però

“Noi laviamo i panni sporchi in casa nostra, Aro.” E’ Emmett a rispondere, anche se non è mai stato interpellato. La risata di Aro fa rimbombare anche queste pareti.

“Va bene, McCarty. Va bene. Ma non c’è da preoccuparsi, la Contessa sarà molto felice di vincere la sua causa. Eppure mi domando… perché non avete accettato? Non ha chiesto una cosa così difficile.” Anche se vorrei uscire da questa stanza, la domanda di Aro è l’eco della mia. Di quella che mi sto facendo da giorni, ormai. E’ perché Edward l’ha rifiutata? Ma non mi sembra così plausibile come scusa per rinunciare a tutti quei soldi.

“Come ho già detto, i panni sporchi li laviamo in casa nostra. C’è altro che vuoi aggiungere?” E’ sempre Emmett a parlare, ma non prima di lanciare uno sguardo fugace nella direzione di Edward. Lui è lì, fermo e pensieroso. Perché non ha accettato? La curiosità mi sta logorando.

“Sì, un ultima cosa.” Si schiarisce la voce, prima di mettere alla luce il suo sorriso maligno. Quello che conosco molto bene. “Ti trovo in forma, Isabella. Che l’aria inglese abbia cambiato le tue idee? Se così fosse, puoi tornare qui quando…” Ma la comunicazione viene interrotta da Edward, che sbatte il portatile chiudendolo con forza.

Tu. Nel mio ufficio. Adesso.” E’ l’unica cosa che dice, prima di alzarsi e andarsene.


“Voglio sapere solo come cazzo ti è venuto in mente di vestirti così.” E’ l’accoglienza che mi riserva, mentre chiudo la porta alle mie spalle. Non ho più la sua giacca, che tengo stretta nelle mie mani. La appoggio con calma sul bracciolo del divano.

“Sono i vestiti di Alice. Ma non credo di doverti dare spiegazioni.” Dico con calma. Ne ho abbastanza. Davvero abbastanza. Di essere trattata come una bambola di pezza. Di essere alla mercé di tutti, che sia per il mio bene o meno.

“Tu mi devi delle spiegazioni.”

“Io non ti devo proprio niente. Se non si tratta di lavoro, non ti devo niente.” Stringo i denti, e evito di puntargli un dito contro. E’ sempre Edward Cullen. E’ sempre uno dei miei capi.

“No, hai ragione. Allora potevi evitare di salire su quella cazzo di macchina. Potevi evitare di dar sfogo ai tuoi pensieri come se fossi il tuo migliore amico da una vita. Non mi devi niente, è vero. Dovevi solo comportarti da persona normale!” Io stamattina sono uscita da casa pensando a un discorso da fargli. Sono uscita da casa dicendomi che dovevo fargli capire che in me c’era di più, che non sono una persona così fittizia. Ma credo di aver sprecato abbastanza il mio tempo, e di non aver un’altra possibilità.

“Londra non ha niente per me.” Dico, cercando di ricacciare indietro il nodo che ho in gola. “Ti farò lasciare i fogli da firmare da Alice. Me ne torno a casa.”

“Quale casa?”

La mia. A Seattle.”

Tu non torni da Aro.” Il suo tono di voce è tagliente, mentre fa il giro della scrivania per arrivare difronte a me.

“Io faccio quello che voglio. Perché tu” e stavolta punto un dito proprio sul suo petto. “Tu non hai nessun potere su di me. Tu non decidi per me, solo io posso decidere per me. E se me ne voglio andare, me ne vado!” Alzo il tono delle voce, e l’ho spinto così tanto che arriva a toccare con al schiena il mobile di vetro dietro di lui.

“E cosa farai a Seattle, eh? Aprirai le gambe per Aro?” Allargo entrambe le braccia per strillare, dimenticandomi di un piccolo particolare. La camicia. Entrambi i due bottoni che erano chiusi per pietà sul mio seno saltano. Completamente. Ora non ha una visuale completa della mia scollatura. Ora ha la visuale completa del mio reggiseno. E’ un istante quello che ci separa dal guardarci negli occhi a baciarci appassionatamente. Non ha nulla a che fare con il primo bacio. Questo è un cercarsi continuo. I nostri denti cozzano, mentre faccio leva sulle sue spalle e mi do una spinta per salirgli in braccio.

Peccato dire che non sono una piuma, e che la gonna non mi permette di darmi lo slancio necessario.

Peccato dire che lo spingo così forte, che la sua testa sbatte su quello che c’è dietro di lui. E poi un solo rimbombo, perché la vetrina esplode.

La prima cosa che fa è darmi una spinta, allontanandomi da lui.

La seconda è posare una mano dietro la sua testa, riportandola poi davanti ai nostri occhi. Quello è sangue. Quello è davvero tanto sangue.

“B-bella?!” Ma non rispondo, perché credo di svenire.


Apro gli occhi di scatto, cercando di abituarmi alla luce gialla che me li fa subito richiudere. Allora sbatto di nuovo le palpebre leggermente, cercando di capire cosa c’è intorno a me. Mura bianche, un odore di spirito allucinante e tutti quei biip che continuano a farmi girare la testa. Sono in Ospedale. Ci metto un po’ a rendermene conto.

Che ci faccio qui? Provo a muovere la testa verso sinistra, e capisco che il mio collo è bloccato da qualcosa. Mi sforzo un po’, fino a vedere che anche l’altro lettino della stanza è occupato.

Da Edward. Con gli occhi aperti e una benda che gli circonda la testa mi guarda con un cipiglio divertito in faccia.

“Buongiorno, bella addormentata. Ce ne hai messo di tempo prima di svegliarti.”

C-che è…

“Che è successo?” Da voce ai miei pensieri, mentre annuisco. “Vuoi prima la parte in cui mi salti addosso o quella in cui cerchi di uccidermi?”

Non posso crederci.

“E-Edward…”

“Sì, scusa. Lo so, non c’è bisogno che ti sforzi.”

“C-come stai?”

“Bene, tutto sommato. A parte le schegge di vetro che hanno dovuto togliermi dalla testa. E dalle tue mani.” Aggiunge, mentre alzo la destra. E’ fasciata.

“P-perché sei così v-vigile…” Ma la mia frase viene interrotta dalla porta che si apre di scatto, mostrando il padre di Edward con un camice e… una bambina. Una bambina che gli salta addosso. Una bambina che urla la parola “papà”, prima di ricoprirlo di baci.

“Bella? Bella, tutto bene?”

“Non credo.” Sussurro appena, immaginando solo la mia faccia shoccata. “V-vedo tuo padre in camice e una b-bambina che non assomiglia molto che ti chiama p-papà. H-ho le allucinazioni.” Sussurro debole, sentendo la mia gola sempre più secca.

“Bella? Bella?” Ma stavolta non rispondo a quel richiamo. Perché svengo di nuovo.



Note finali:

Buonasera lettori! Non ho moltissimo da dire, se non un grazie immenso. Per la risposta allo scorso capitolo, perché mi avete fatto sentire tutto il vostro calore anche da lontano. Io vi adoro, e non smetterò mai di dirvelo! Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, e ho una domanda per voi. Chi mi risponderà correttamente, avrà uno spin-off di Taxi in esclusiva!

Secondo voi, che tatuaggio ha Bella in mezzo al suo seno? Sono sicurissima che ci potete arrivare!

Vi mando un abbraccio fortissimo, e grazie per aver letto!

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Capitolo 7
*** Settimo capitolo - Consegna a domicilio ***


Note finali importantissime!


Settimo capitolo - Consegna a domicilio

Bella


Non so ancora come sono riuscita a metabolizzare del tutto quello che è successo durante questa settimana. In realtà, non penso affatto di esserci riuscita. Le domande che rimbombano nella mia testa sono troppe, da troppi giorni. Dopo che ci hanno dimesso dall’ospedale ognuno è andato per la sua strada, senza aggiungere altro. E’ stata Alice a chiamarmi quella sera stessa, chiedendomi se avevo bisogno di qualcosa. Ma a parte le vertigini quando mi alzo troppo in fretta e quelle due ore che perdo ogni volta che mi devo lavare i capelli, è tutto nella norma. Alice ha anche aggiunto che avrei avuto una settimana libera, per riprendermi da quel piccolo incidente. Chissà se anche Edward ha la settimana libera come me? Chissà se la sua testa gli fa ancora male? Chissà chi è a conoscenza di quella bambina? Chissà…. Ma è proprio l’immagine di quella bambina che mi ha tenuta sveglia queste notti. Niente di più, solo quella folta capigliatura riccia e quegli occhi verdi che assomigliano così tanto a quelli di Edward. Se non fossero così verdi, stenterei a credere che sia sua figlia veramente. Eppure ha quel tratto distintivo… una sorta di marchio prestampato. Non ho mai sentito parlare a Seattle della figlia di Cullen. Mai. Mai una volta Jane l’ha nominata, e nominava Edward così tante volte invece. Che non lo sappia? E’ così diversa da lui che immagino come sia sua madre. Che Edward stia con quella donna tutt’ora? Che Jane fosse la sua amante da una botta e via durante i convegni? Sospiro rassegnata, mentre mi rigiro il telefono tra le mani. Basterebbe solo un messaggio. Nemmeno una chiamata, ma un semplice messaggio. Edward, come stai? Tutto bene? Eppure non trovo il coraggio di scrivere quelle poche parole. Anzi, le scrivo, ma non premo mai invio. Finisco sempre per cancellare tutto. E nemmeno lui si è fatto sentire, per la cronaca. Non che dovesse, eppure… eppure l’ho scaraventato contro una vetrina, facendola ricadere in mille pezzi sulla sua testa. Ho davvero attentato alla sua vita. Addirittura pensi di voler tu un messaggio, Bella? Sobbalzo quando il telefono stretto tra le mie mani inizia a suonare, e il cuore perde un battito. Peccato che…

“Signora Swan?” Signora…

“Sì?”

“Food Delivery, può dirmi dove si trova esattamente il suo palazzo?” Sbuffo, spiegando al ragazzo dove suonare. Nel mentre mi infilo le scarpe, e con il sotto del pigiama una canotta cerco qualcosa da mettermi sopra. Suona al citofono mentre cerco un giacchetto, ma alla fine prendo la prima cosa che mi capita sottomano. La giacca di Edward. La stessa giacca che mi ha prestato per la conferenza con Aro, e che mi sono ritrovata addosso sul mio lettino d’ospedale. Non gli ho chiesto spiegazioni, e lui di certo non me le ha date. Non l’ha nemmeno voluta indietro quando sono entrata nel taxi che mi riportava a casa. Un vero taxi. E io non l’ho di certo restituita, e nemmeno lavata. Sono patetica, lo so. Ma la stoffa è ancora pregna del suo profumo, e ogni volta che la indosso mi fa stendere i nervi tesi.

“Ecco a lei. Sono duecento e trenta centesimi.” Sbarro gli occhi, prima di scuotere la testa.

“No, si sta sbagliando.”

“Messicano per quattro persone. Giusto, no?” Scuoto la testa ancora più energicamente.

“Assolutamente no! Io ho ordinato del sushi per una persona.” Forse due, ma non lo aggiungo.

“Signora, questo è il suo indirizzo giusto?” Gira il palmarino nella mia direzione.

“No. Non è questo. E’ questo.” Indico la voce in basso.

Oh, cazzo.” E’ l’esclamazione che fa lui, alzando gli occhi al cielo. “Mi licenzieranno. Non so come chiederle scusa, signora. Mi farà di certo una recensione negativa. Questi soldi mi servivano solo per portare Ashley…” Farfuglia verso al fine, diventando rosso come un pomodoro.

“Come ti chiami?”

“Fred, signora.”

“Okay Fred, stai tranquillo. Possiamo trovare un modo per sistemare la situazione?”

“Non credo… L’altro ragazzo avrà già consegnato la sua cena. Si sono invertiti gli indirizzi. Sarà un casino enorme, io…”

“Oddio! Fred, ti prego non scoppiare in lacrime. Quanti anni hai?”

“Diciotto, signora.” Diciotto… io a quasi il doppio della sua età faccio molto peggio di lui. Posso arrabbiarmi? No, certo che no.

“Okay, alternative per non farti passare guai?” Domando, dondolandomi su un piede. Fa un freddo boia.

“Pagare questa cena e consegnarla al vero proprietario.”

Un ragazzino di diciotto anni mi sta fottendo?

“Che c’è dentro?”

“Messicano per quattro persone. Anzi, tre adulti e una bambina. Signora, la prego.” Gli occhi di Fred si fanno sempre più lucidi.

“Perché costa dannatamente tanto il messicano?” Sbuffo, tirando fuori la mia carta di credito.

Solo perché ho ricevuto la busta paga ieri. Solo per quello.

“Deve essere consegnato a Richmond, signora.”

Richmond… l’élite dell’élite. Non mi stupisce sapere perché hanno comprato un messicano da duecento dollari. Passo la carta sul pos portatile di Fred, mentre digito il codice velocemente.

“Io non so davvero come ringraziarla, signora.” Ha la testa abbassata mentre si fissa i piedi.

“Dimmi solo che potrò avere la mia cena.” Mi passa la busta stracolma di cibo, sorridendomi.

“La decima casa sulla destra, interno tre. Il cognome è Hale. Non so davvero come ringraziarla signora.” E mi lascia lì, prendendo la sua bicicletta e sfrecciando tra le strade buie di Londra. In piedi, con una busta che contiene una cena per quattro persone e che mi è costata duecento dollari. Le bollette di quel mese. Stringo il manico fino a sentire male.

Quel ragazzino mi ha davvero fottuto.



In preda a un raptus non ho abbozzato al fatto di aver speso appena cinque minuti fa duecento dollari che mi serviranno per cose molto meno futili. Per questo ora sono seduta sul taxi, avvolta nella giacca di Edward mentre stringo sulle gambe la busta con la cena. E’ ancora calda, e spero che ci rimanga a lungo. Sto andando a Richmond, dove all’élite non andrà bene ricevere un pasto freddo.

Che cazzo mi tocca fare…

“Mi dica dove fermarmi, signorina.”

“Vede qualche interno tre?”

“Credo sia quello.” Vedo che il tassista aguzza la vista, prima di mettere la freccia e girare in un vicolo cieco. Quella che si staglia davanti a noi è una villa molto rispettabile. Non eccessiva, una casa dove abiterei senza farmi nessun tipo di problema. Dai lampioni che la circondano noto che è verde acqua, con un grande giardino perfettamente curato.

“E’ questo. La aspetto qui?” Mi lancia un’occhiata di pura pietà dallo specchietto. E’ un signore perbene, sulla sessantina. Appena ha visto che sono entrata nella sua auto nella mia mise mi ha chiesto se andasse tutto bene. Se fossi scappata da un momento all’altro e avessi qualche tipo di problema. Ho negato fino all’ultimo, scuotendo la testa energicamente.

“Non si preoccupi. Ne chiamerò un altro.” So che se resta fermo il tassametro invece continuerà a camminare, e non posso permettermi anche un taxi da cento dollari. Gli lascio una bella mancia, mentre mi dirigo a passo spedito verso la porta in ottone. Hale, è quello che dice la targhetta d’orata sulla porta. Suono lievemente, ma nessuno mi apre. Ci riprovo altre e due volte, finché la maniglia gira. Quando la porta si apre del tutto non vedo nessuno. Devo abbassare lo sguardo di molti centimetri, prima di ritrovarmi davanti a una faccina che sorride divertita.

Io la conosco questa bambina… Non mi dire…

“Hey! Tu sei quella che ha fatto mbale a papà!” Dice, mostrandomi un sorriso perlopiù sdentato. Resto ferma lì, imbambolata a fissarla come un ebete.

“Peste, dove sei? Chi era?” E’ la figura di una bionda quella che si staglia dietro la bambina, che mi fissa con un cipiglio incuriosito in volto.

“Isabella? Isabella Swan?” Non so se lo sta chiedendo a me o a se stessa, per accertarsene. “Che ci fai qui?” Alzo le spalle, mostrandole il la busta stretta su entrambe le mie braccia.

“Ho la vostra cena. Spero che voi abbiate ancora la mia.” Sussurro infine.



“Emmett! Sei un troglodita!” E’ quello che strilla Rosalie mentre mi fa strada. La seguo con la bambina alle calcagne, che mi osserva sempre più divertita.

“Che ho fatto?”

“Ci hanno gentilmente riportato la nostra cena.” Annuncia, prima di dare uno scappellotto in testa al marito.

“Oh. E rivorrebbero la loro indietro?”

“La mia. Sì.” Parlo per la prima volta, mentre McCarty si gira nella mia direzione. Mi guarda allargando gli occhi, di certo non si aspettava di vedermi così.

“Bella? Che è successo? Stai bene?” Sembro davvero una povera disadattata? Sì…

“Mi hanno consegnato la vostra cena. Ho pensato che l’avreste rivoluta indietro…”

“Siediti, Bella. Stai tremando.” Rosalie mi indica uno sgabello intorno al piano cottura, dove i miei piedi non toccano terra una volta seduta.

“Mi dispiace dirti che Emmett si è mangiato il tuo sushi. Chiedi scusa.” La moglie le lancia un’occhiata di fuoco.

“Scusa, Bella. Non pensavo che qualcuno ce l’avrebbe portata indietro.” Vorrei dirgli che sono qui per i duecento dollari che per il mio sushi, ma le parole non escono dalla mia bocca.

“Non ti preoccupare. Io ci ho provato.” Sorrido, scendendo dallo sgabello. “Il messicano non mi piace, potete tenerlo voi.” Dico, sistemandomi meglio la giacca.

“Resta qui, Bella. Avrai fame, se sei venuta fino a qui per la tua cena. Ci siamo arrangiati con qualche cosa anche noi. E’ avanzato del purè di patate, lo vuoi?”

“Purè di zia Rose. Bleah.” E’ la vocetta che si intromette, mentre abbasso di nuovo lo sguardo. La bimba tiene l’indice teso verso di me, facendomi segno di no. Non so se dovrei fidarmi, eppure lo faccio.

“No, ti ringrazio Rosalie. Davvero.” Sussurro di nuovo, avviandomi da sola verso la porta. Stavolta è un’altra voce che mi ferma, però.

Resta.” Il lieve tocco che esercita sulla mia schiena riavvia il cortocircuito nella mia testa. Mi giro lentamente, e quando sono faccia a faccia con lui non ha ancora tolto la mano.

“I c-capelli?” Sussurro appena, allargando gli occhi a dismisura. Edward Cullen è rasato. Non del tutto, ma è rasato. Ingoio il nodo che ho in gola, e quasi potrei scoppiare da un momento all’altro.

“Non pensi che gli dia quel fascino da boss criminale?” E’ Emmett che parla, con il suo tono divertito.

“Resta. Anche perché Emmett e Rosalie se ne stavano giusto andando, vero?” L’occhiata che lancia è rivolta alla bionda, perché lo capisce al volo. Nel giro di pochi secondi prende la sua borsa, varie cianfrusaglie sul ripiano della cucina e il suo uomo per il colletto.

“Hey!” Borbotta lui, mentre lei lo trascina letteralmente via. Non prima di stampare un bacio sulla fronte della bambina.

“Isabella, è stato un piacere rivederti. Ciao ciao.” E ci lasciano, richiudendo la porta dietro di loro con un tonfo. Da fuori riesco ancora a sentire i lamenti di Emmett.

“Non dovevi. Eri a cena con i tuoi amici, non dovevi farlo per forza.”

“Nessuno mi ha forzato, te lo assicuro.” Il suo tono di voce è calmo, lieve. Poi allunga una mano, riportando una ciocca di capelli dietro il mio orecchio. La lascia per qualche secondo lì, ferma. E’ così maschio. E non che prima non lo fosse… ma questa acconciatura gli da davvero l’aria da maschio alfa.

“Hey bambina, vieni qui!” Dice, non prima di staccare la mano dal mio viso. Lo fa quando sento dei passi trotterellare verso di noi, e si abbassa per prenderla in braccio. Ora è alla mia altezza. Edward la tiene stretta tra le sue braccia, e cerco di notare le differenze. Sono molte di più delle somiglianze. Anzi, a parte gli occhi non c’è proprio nulla che possa far pensare che sia sua figlia.

“Bella, mi dispiace non aver fatto le dovute presentazioni l’ultima volta. Lei è Luna. E non vedeva l’ora di conoscerti.” Annuncia lui, posando lo sguardo divertito su sua figlia. L’Edward padre è così diverso. Così bello che potrei liquefarmi come un ghiacciolo al sole.

“Ciao piccola” Dico, tendendo una mano verso di lei. La accarezza piano, e poi fa una cosa che credo entrambi non ci saremmo aspettati. Stacca le manine da collo del padre, per buttarle di slancio su di me. Mi stringe forte, posando la faccia nell’incavo del mio collo. In questo momento Edward le tiene le gambe, e io le spalle. E’ contesa tra noi due.

Stono contenta di conoscerti Belllla.” Sussurra piano, facendomi il solletico con tutti quei capelli. “Stiamo amiche vero?” Dice tutto d’un fiato. Non che possa notare il rossore sulle sue gote visto il suo incarnato già scuro, ma vedo la sua aspettativa. La leggo nei suoi occhioni splendenti.

“Migliori amiche, promesso.” Annuncio, prima che Edward stavolta la lasci andare e che si attacchi del tutto a me. Posa le gambe intorno alla mia vita, e mi sorride sorniona.

“Migliori amiche.” Ripete le mie parole, e mi schiocca un bel bacio sulla guancia senza che le chieda nulla.

Non credo di aver mai provato questa sensazione in vita mia. Quando sembra che tutto sia allineato, e tu abbia trovato il posto giusto al momento giusto. Così mi sento in questa casa.

Al posto giusto.

Con le persone giuste.



“Scusa. E’ inarrestabile.” Un’ora dopo a svariati giochi sul tappeto fatti con Luna - dove non ho mai saputo dire di no -, Edward compare in cucina.

“E’ una bambina. E’ normale.” Sussurro appena, portandomi le gambe al petto. Ho aspettato che la portasse su dopo che si era addormentata con la testa posata sulle mie gambe, mentre le accarezzavo i capelli. Ho aspettato ferma e immobile sul divano, guardandomi di tanto in tanto intorno.

“Sento quel rumore…”

“Che rumore?” Domando, mentre Edward fa roteare l’indice vicino alla sua tempia.

“Le rotelline che girano nella tua testa. Domande che non hanno risposta.” Davvero sa leggermi così bene? Oppure è la mia espressione che parla da sé…

“Non voglio ficcare il naso nella vita altrui.”

“Credo che abbiamo già passato quel punto, tu no?” Annuisco piano, rendendomi conto che ne sono successe fin troppe. Dieci anni a Seattle non sono bastati, no. Poche settimane a Londra e la mia vita sembra quella di un’altra Bella Swan, vista dall’esterno.

“In tutto ciò, non hai mangiato nulla. Cosa posso offrirti?” Vedo che ci pensa su un attimo. “C’è quel purè avanzato che ha fatto Rosalie, se vuoi…”

“No, grazie. Luna non era tanto per la quale, quando Rosalie me l’ha proposto.” Fa un’espressione mezza disgustata, che conferma le parole di sua figlia.

“Ma devi mangiare qualcosa, Bella. Cosa ti preparo?”

“Non ho molta fame. In realtà non mi va niente di salato.” Lo sguardo di Edward si illumina solo per un istante.

“Faccio la cioccolata con marshmallow più buona dell’Inghilterra.”

“Ah sì? Se lo dice tua figlia non vale…” Sorrido divertita, mentre si imbrunisce un po’.

“Provare per credere.”

“Va bene.” Dico rassegnata, mettendomi in piedi. “Il tempo di una cioccolata e torno a casa.”

“A proposito… come sei arrivata fino a qui?” Domanda, prima di armeggiare con pensili e stoviglie.

“Un taxi.”

Oh.

“Che c’è?”

“Non credo che un taxi ti riporterà a casa, Bella.”

“Cosa? Perché?”

“Non hai letto i notiziari? Il telegiornale?”

“Perché, che succede?”

“Sta arrivando una bruttissima tempesta di neve. Anzi, sono più di due giorni che stanno dando l’allerta meteo.” Lo dice come se fosse un nonnulla, mentre gira il cacao nel latte. Io mi alzo di scatto invece, facendo stridere lo sgabello per terra.

“Che stai dicendo? Oh, Dio! Come ho fatto ad essere così stupida?” Come sempre, del resto. Certo che sapevo della tempesta di neve. L’ho letto sui notiziari, e soprattutto sia James che mio padre mi hanno chiamata più volte per ricordarmelo.

Non uscire.

Se vai a lavoro stai attenta.

Barricati dentro casa.

E io sono uscita per consegnare una cena pagata duecento dollari.

“Questa casa ha molte stanze. Puoi restare.” Dal suo tono percepisco che non me lo sta chiedendo.

“Non penso sia il caso. Un taxi ci sarà a quest’ora, no?” Tiro fuori il cellulare dalla tasca della giacca di Edward, ma prima di comporre il numero lui copre la sua mano con la mia.

Resta.” Sono due volte che me lo chiede stasera. Ho accettato la prima, ma ora…

“No. Davvero, non penso sia il caso.” Sbuffa, ma non toglie la mano.

“Non ti lascerò prendere un taxi alle undici di sera, da sola. Se potessi ti accompagnerei io, ma non posso nemmeno lasciare la bambina che dorme. Troviamo un compromesso.”

“Questo non mi sembra un compromesso. Mi sembra dover fare quello che mi stai dicendo tu.” Assottiglio gli occhi.

“Quello che ti sto dicendo io è per il tuo bene. Solo per quello.” Tiene lo sguardo fisso su di me, e dopo vari minuti lo distolgo e lascio cadere il telefono sul piano cottura.

“Domattina me ne andrò. Presto.”

“Se il tempo lo permette…” E’ l’unico sussurro che proviene, ma non ribatto. So che sarebbe inutile, davanti all’avvocato Cullen. Questa è una causa già persa in partenza. Continua a preparare la cioccolata, e dopo un po’ posa una tazza fumante davanti ai miei occhi. In alto galleggiano una manciata di marshmallow colorati.

“Tu non la bevi?” Domando, iniziando a girarla con il cucchiaio facendo affogare le caramelle morbide.

“No. Io qualcosa di più forte.” Annuncia, prendendo un bicchiere di scotch e versandoci un liquido color ambra. Lo manda giù tutto d’un sorso, e lo riempie di nuovo. Stavolta però lo sorseggia con più calma.

“Vai, sono pronto.”

“A cosa?”

“A tutte le tue domande.” Ne ho così tante che girano nella mia testa, che inizio con la più logica.

“Come ti senti?” Chiedo piano, prima di portarmi la tazza alle labbra. Non dirò mai che è la cioccolata calda più buona dell’Inghilterra… ma in realtà lo è.

“Come?” Il suo sguardo sembra sbalordito.

“Come ti senti? Dopo l’incidente. Ti chiedo di nuovo scusa, Edward. Volevo mandarti un messaggio, ma…”

Ma?

“Non avevo il coraggio.” Sbotto tutto d’un fiato, diventando rossa.

“Sei un essere così strano, Isabella Swan.” Dice, scrutandomi attentamente.

“E’ un pregio o un difetto?”

“Per me è un pregio.” Non so bene come classificare le sue parole. Le incanalo dentro di me, mettendole in un posto speciale.

“Allora? Come stai?”

“Bene.” Annuncia, posando il bicchiere sul tavolo. “Ho tolto ieri i punti di sutura. Mi resterà qualche cicatrice, ma i capelli ricresceranno.”

“Stai bene anche così.” Sussurro di nuovo, come una codarda. Indico la sua nuova acconciatura con la mano. Non che i capelli di Edward mi dispiacessero… ramati, non cortissimi. Da tirare. Eppure Emmett non aveva tutti i torti. Da quell’aria da boss criminale dal quale dovresti scappare a gambe levate. Eppure…

“Un’altra domanda?”

“Te l’ho detto, Edward. Non mi piace ficcare il naso nella vita degli altri.”

“Non lo stai ficcando. Ti sto dando il permesso.” Ci penso su, e vista da questa angolazione non ha tutti i torti.

“Dov’è la madre di Luna?” Stavolta butta giù il liquore di nuovo tutto d’un sorso.

“Sua madre è deceduta prima di darla alla luce. Non so chi sia suo padre biologico, invece.” Aggiunge infine, vedendo la mia espressione mortificata.

Non è suo padre. Non quello biologico.

“E l’hai…”

“Cresciuta io, sì.” Da una risposta alla mia domanda muta. “Non da solo. Ho avuto l’aiuto dei miei genitori, quello di Rosalie e Emmett ed anche quello di Alice si è rivelato fondamentale.”

“E Jane?” Non so come, ma quella domanda è letteralmente scappata dalla mia bocca.

“Che vuoi sapere di Jane?”

“In che rapporti siete?” Credo che abbia corretto la mia cioccolata con qualcosa, perché sennò non l’avrei mai chiesto.

“In un rapporto di stallo.” Allora si frequentano ancora…

“E con Luna?”

“Jane non sa di Luna.” Scandisce bene la frase. “In verità sei la prima donna che ha conosciuto che non fa parte della famiglia.” Quelle parole hanno una sorta di effetto afrodisiaco su di me. Cos’è, un messaggio nascosto? Dovrei trovarci dei segnali dentro?

“Perché?”

“Non lo so.” Pronuncia, alzandosi dallo sgabello davanti a me. Poche mosse, ed ora siamo una di fronte all’altro. “Non lo so davvero, Bella. Sto cercando di lavorarci.”

“Lavori su di me?” Sussurro appena, sentendo il suo profumo da ogni parte.

“Lavorerei volentieri su di te.” Arrossisco, dando vita al sorriso più smagliante che gli abbia mai visto. “Sei l’esatto contrario del mio tipo ideale, Bella.” Dice piano, posando la sua fronte sulla mia. La mano è appoggiata dietro al mio collo già da un po’.

“Mi consola saperlo.” Dico sarcastica.

E’ questo.” Annuncia, sempre piano.

“Cosa?”

“Il tuo modo di fare. Dire sempre le cose che pensi, senza renderti conto di chi hai davanti o meno. A me queso mi fa…”

“Ti fa cosa?” Stavolta lo sussurro a pochi centimetri dalle sue labbra. Il suo profumo è entrato in ogni angolo del mio corpo. Le sue mani calde potrebbero incendiarmi da un momento all’altro.

Impazzire. Mi fa impazzire.” Ma spezza la sua frase posando le sue labbra sulle mie. Sento il sapore dell’alcool che ha bevuto pochi minuti fa. Sento scariche elettriche andare dritte al cervello e anche più in basso, quando una delle mani si sposta sotto la giacca, per arpionarmi un fianco. Sento che si avvicina al mio sgabello sempre di più, facendo combaciare i nostri bacini.

E sento che stavolta non ci fermeremo in nessun caso.



Note finali:

Ritardo mostruoso, vi chiedo scusa!

Per chi mi segue su Facebook sa già cosa sto per dire: ho ricominciato a lavorare. Da un giorno all’altro la mia vita è ricambiata, proprio come è successo con l’inizio della quarantena. Abituarmi ad uscire di casa, a restare tutto il giorno con una mascherina, a tornare la sera molto stanca perché negli ultimi mesi la mia attività fisica era pari a zero. Mi sono dovuta riabituare a tutto, e da domani comincerò ufficialmente. Vi ho abituati a dei capitoli con una cadenza di 2/3 giorni, ma non posso più permettermelo. Quindi in queste due settimane ho lavorato su entrambe le storie che ho in corso, decidendo una programmazione settimanale. I capitoli di APTS arriveranno tutti i martedì, quelli di Taxi?! Tutti i giovedì. Lo so che oggi è domenica, ma vi avevo lasciati per troppo tempo senza leggere qualcosa. Il nuovo capitolo arriverà comunque sia giovedì. Ho stilato un bel piano per le storie, e le sto portando avanti mettendoci tutto il mio meglio. Per quanto riguarda lo spin off che avrei regalato a chi avesse indovinato il tatuaggio di Bella, cavolo ragazze, siete state davvero brave! Il tatuaggio di Bella è una Luna. Dopo la pubblicazione del capitolo risponderò alle recensioni dello scorso, ed entro giovedì vi arriverà uno spin off di 500 parole (su per giù). Ve lo invierò io stessa come messaggio privato!

Da domani potremmo ricominciare ad uscire… allora non vi dico più di restare a casa. Ma vi dico di fare attenzione. Se potete evitare delle cose, evitatele. So che molti sono stati lontani da famigliari, fidanzati e amici, ma arriverà il momento in cui saremo di nuovo tutti insieme come prima. Non vi nego che anche io domani andrò a trovare una persona a me carissima, ma lo faccio con la consapevolezza che entrambi siamo stati al sicuro a casa. Se ci fosse stato solo un piccolo dubbio, non ci sarei mai andata. Quindi state attenti. Potremmo ritrovarci col culo piantato sul divano quando meno ce lo aspettiamo, di nuovo.

Intanto vi mando un abbraccio grandissimo, a martedì con APTS.

E grazie per aver letto.

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Capitolo 8
*** Ottavo capitolo - Camcamini ***


Per lo spin-off vinto dalle ragazze che hanno indovinato il tatuaggio di Bella, vi ho mandato un messaggio in privato sulla casella di EFP!

Aspetto una risposta da: LurinskY, Suellen, crystal777 e Kahlan Amnell. Ragazze, mi serve la vostra email per inviarvelo in PDF!



Ottavo capitolo - Camcamini


Bella


No, no, no, no.”

“Che c’è?” Sussurra appena Edward staccando a fatica le sue labbra dalle mie.

“Questo non va bene.” Sospiro, posando le mie mani sul suo petto. Questo non va affatto bene. Mi ero ripromessa di fargli un certo tipo di discorso una volta. Forse è arrivata l’occasione per farlo.

Sto davvero rovinando un momento del genere? A quanto pare sì…

“Non va bene?” Alza un sopracciglio, sempre con le mani strette sui miei fianchi.

No no.” Alzo l’indice, muovendolo prima a destra e poi a sinistra. Sembra che sto parlando con sua figlia invece che con lui.

“Mi vuoi fare la morale? Voi farmi quel discorsetto della serie sei il mio capo e io sono la tua dipendente? Fai sul serio?” Allargo gli occhi, mentre noto che sta per scoppiare a ridere. Allora è vero. O è davvero bravo a leggermi oppure io non sono in grado di nascondere niente.

“Non è quello.”

“Allora cos’è?” Strofina il naso contro il mio, e la voglia di baciarlo è così tanta che non so come faccio a resistere.

“Che succederà dopo?”

“Pensi al dopo?” Ora le sopracciglia di Edward sono entrambe inarcate. “Davvero tu pensi al dopo?”

Tu? Con quel tono di voce?” Con la mano sulla sua spalla lo sposto di qualche centimetro. “Io non posso pensare?”

“Certo che puoi farlo… non intendevo quello…” Sbuffa, passandosi una mano sulla testa. Vedo che cerca i capelli da tirare, quelli che non ci sono più. Per colpa mia.

“Ti sei fatto un’idea sbagliata su di me, Edward.”

“Non credo proprio.” Ribatte lui.

“Invece sì. Pensi che sia la guastafeste di turno. Quella con cui ti farai due risate e una bella scopata. La stupidina che puoi rigirare a tuo piacimento. No no.” Alzo di nuovo l’indice, scendendo dallo sgabello. “Non è così. Io sono una donna intelligente e soprattutto indipendente. Non ho bisogno del tuo aiuto per far carriera. Certo… sei più simpatico di Aro.”

“Solo più simpatico?”

“Vabbè, anche più carino.”

“Carino? Solo carino?”

“Okay, okay!” Alzo le braccia. “Un bel pezzo di carne, ecco qua. Ti sta bene?”

“Pezzo di carne? Questa sembra una cosa che potrebbe dire quel tuo amico… quello lì… quello che doveva aiutarmi per scoprire la mia sessualità… com’è che si chiama?”

“James.” Dico, pensando che ha prestato veramente molta attenzione per tutte le telefonate che ho sbagliato non intenzionalmente. “Ma James non c’entra un bel niente. Qui si parla di me.”

“Dimmi quand’è che non si è parlato di te…” Sussurra appena che stento a sentirlo.

“Sono stata al centro dell’attenzione?”

“Bella che sbaglia taxi, Bella che sbaglia telefonata, Bella che sbaglia vestiti…” Dopo l’ultima affermazione mi tira un’occhiata non molto eloquente. Non che abbia tutti i torti eh… “Bella che sbaglia cena…”

“Okay, ho capito. Non continuare.”

“Per ora mi fermo qui. Ma ce ne saranno ancora, ne sono certo.”

“Cos’è, abbiamo invertito i ruoli? Fai lo spiritoso?” Non nasconde una risata, mentre allunga un dito verso di me. Lo posa al centro del mio petto, coperto dalla canotta nera. Spinge, fino a farmi sentire la pressione del suo dito.

“Perché hai quel tatuaggio?” Di tutte le cose che poteva chiedermi…

“Perché me lo chiedi?”

“Regola numero uno del perfetto avvocato. Mai rispondere ad una domanda con un’altra domanda.” Colpita e affondata.

“E’ una storia lunga e noiosa.”

“E visto che a quanto pare non vuoi perdere tempo a fare altro… ti ascolto.” Appoggia il gomito sul piano cucina, e di conseguenza il mento sulla mano. E’ fermo lì, mentre mi fissa e aspetta una risposta.

“Era il primo anno al college. Io e James siamo andati al college insieme, una sera… ma davvero lo vuoi sapere?” Dico, alzando gli occhi al cielo.

“Certo. E’ già molto interessante.” Sbuffo sonoramente. In fin dei conti sono stata proprio io ad ammazzare il momento.

“Ci siamo ubriacarti da far schifo ad una festa, ed erano giorni che dicevo che volevo farmi un tatuaggio.”

“Quindi l’hai fatto così? Senza pensarci?”

“Edward, stai cercando un messaggio nascosto in questo tatuaggio?” Semplicemente annuisce. “Allora mi dispiace deluderti. Non c’è. E’ andata che eravamo fuori dallo studio del tatuatore, un certo Alvaro. Mezzo spagnolo credo, non lo so. Parlava la nostra lingua a stento. Nemmeno so quanto fosse sicuro quel posto, anzi che non mi è venuta una malattia. Mi ha chiesto cosa volevo fare, e io non lo sapevo. James ha tirato fuori disegni tribali e draghi che sputano fuoco, ma volevo una cosa più sobria. C’era una donna lì con lui, che non parlava affatto la nostra lingua. Lei mi ha detto di tatuarmi una luna. Una mezza luna. Mi ha preso le mani e ha detto in spagnolo di tatuarmi una mezza luna.”

“Non le hai chiesto il perché?”

“Ad essere sincera, sì. E’ stato James a chiederglielo, si era opposto fin dall’inizio. Diceva che una luna non mi rappresentava, e che poi quella che ne voleva sapere di me? Lui mi conosceva molto meglio, e dovevo evitare di ascoltarla. Ma mi era sembrata molto seria… e poi ero ubriaca fradicia. Ha detto di tatuarmi solo una mezza luna, perché un giorno avrei trovato la mia luna piena. E così l’ho fatto. Fine del discorso. Nessun messaggio subliminale sotto.” Annuncio, mentre continua a fissarmi. “Ah, e la mia luna piena non è ancora arrivata. Quindi dopo sei anni giro con un tatuaggio consigliato da una signora spagnola mai più vista.”

“Per caso conosci il suo nome?”

“Edward, sei serio? Sono passati sei anni… cos’è, vuoi cercarla per farle causa e per avermi permesso di farmi un tatuaggio prima dei ventuno anni?”

“Nemmeno se ti sforzi?” Non vorrei farlo. Non vorrei sforzarmi a ricordare un nome che ho sentito solo una volta in vita mia. Ma sembra dipendere da quella risposta.

“Non aveva un nome comune… era tipo… aspetta…” Tiro fuori il telefono dalla tasca e mando un messaggio a James. “Qualcuno può aiutarci.” Dico, sventolando il telefono davanti a lui. Tre secondi dopo suona.

Perché lo vuoi sapere ora?


Perché lui deve essere sempre così? Proprio come me?


Ti prego, dimmelo. Domani ti racconto tutto. Dimmi che te lo ricordi. Scrivo di fretta, inviando il messaggio.


Certo che me lo ricordo. E chi se lo dimentica quella mi ha messo i brividi. Baci.


Maria Dolores Ortego.” Annuncio, girando il cellulare verso Edward. Mentre lo faccio arriva un altro messaggio, e lo rimetto sotto ai miei occhi prima che possa leggerlo.


Meglio conosciuta come Donna Dolores. La chiamavano così. Ti ricordi che poi se ne è andata in Inghilterra? Magari rincontri la megera a Londra, chi lo sa…


Cos’è, tutto d’un tratto ha voglia di parlare?

Donna Dolores.”

“Come?” Alzo di scatto il viso, puntandolo su quello di Edward. Impossibile che abbia letto il messaggio di James.

“Niente.”

“Sicuro? La tua cera fa pena…”

“Sicuro.” Dice lui, staccandosi dal banco della cucina. “Bella, ti dispiace se ti lascio un pigiama nella camera degli ospiti? Non mi sento molto bene.”

“Che succede?” Domando, mettendo una mano sul suo braccio. “Hai bisogno di qualcosa”

“Solo di sdraiarmi un po’. Ti dispiace?” E’ casa sua. Può dispiacermi? No, certo che no.

“Va bene. Grazie.” Sussurro appena, ma nemmeno mi risponde. Sta già salendo le scale due a due, fino a che non sento la porta di una camera sbattere.


Pensi che questo tatuaggio porti male? Digito velocemente.


Perché?


Perché sembra che Donna Dolores non smetta di perseguitarmi. Ah, la vita è proprio ingiusta JimmiJi! Ti chiamo domani XX



E’ il rumore che proviene dalla porta a farmi aprire gli occhi. Mi rendo conto che l’alba, perché una luce tenue entra dalle finestre semichiuse dalle tende.

Toc toc. Di nuovo. Mi alzo, coprendomi con il lenzuolo e mi avvio verso la porta. La apro, e di nuovo devo abbassare la testa di qualche centimetro per guardare quella piccola intrusa.

“Hey.”

“Bella…” I suoi occhi sono lucidi e il labbro inferiore è all’infuori. Dio, non dirmi che sta per scoppiare a piangere.

“Tesoro, che succede?”

“Non trovo papà…” Sussurra appena, mentre mi abbasso alla sua altezza. Ora tira su con il naso, e sulla sua guancia scende solo una lacrima solitaria.

“Non trovi papà? Non è in camera sua?” Fa segno di non con il viso.

“Non c’è da nessuna parte.” Butto un’occhiata all’orologio appeso al muro. Sono le sei e venti. Di mattina.

“Ora lo cerchiamo insieme. Aspetta un secondo.” Mi rinfilo la giacca di Edward sopra il suo pigiama, e con Luna in braccio faccio il giro della casa. Busso per cortesia alla sua camera, ma quando nessuno risponde entro e noto che il letto è vuoto e intatto. Impossibile che se ne sia andato. Che abbia lasciato la sua bambina qui con me. Da sola.

“Perché sei già sveglia?” Chiedo alla bambina, che intanto ha incastrato la sua testolina nell’incavo del mio collo.

“Perché volevo papà!” Giusta osservazione. Giro in lungo e in largo anche il piano inferiore, ma non lo troviamo da nessuna parte. Finché dalla finestra del salone noto una sagoma che sta… spalando la neve? Sta davvero ripulendo il cortile dalla tempesta alle sei del mattino?

“ECCOLO!” E’ l’urlo di Luna, mentre cerca di scendere dalla mie braccia. La metto a terra, ma la tengo ferma.

“Tesoro, fa davvero troppo freddo per uscire. Aspetti un secondo qui e lo vado a chiamare?” Spero di essere stata convincente, e capisco che ci sono riuscita quando annuisce piano senza muoversi. Io invece a grandi falcate raggiungo la porta di casa, ma quando esco sento il gelo impossessarsi di me. Fa un freddo micidiale. E la tempesta di neve non si fermerà a questo. Edward è ancora di spalle, mentre tira su valanghe di neve per creare un cumulo a pochi metri da lui.

Edward!” Si gira subito, e mi squadra dalla testa ai piedi.

“Ti sentirai male. Rientra.”

“Torna dentro con me.” Alza gli occhi al cielo, prima di darmi le spalle di nuovo e ricominciare a spalare. “Ti sentirai male anche tu!” Strillo, stringendo sempre più forte le mie braccia al petto.

“Sono coperto. Tu no.” In effetti ha ragione. Lui indossa un giaccone e una sciarpa che gli copre il collo, mentre io un banalissimo pigiama da uomo e la giacca di un completo.

“Perché togli la neve alle sei di mattina?”

“Perché hai detto che oggi volevi andartene. Sto cercando di fartelo fare.” Vuole così tanto mandarmi via?

“Troverò il modo di tornare a casa!” Urlo, dondolando su un piede. Le mie parole provocano una nuvoletta trasparente. Mi sentirò davvero male.

“Nessuno riuscirà a passare! L’intero quartiere è pieno di neve!”

“Se dovesse servire spalerò l’intero quartiere!” Continuiamo a parlare così, mentre fisso le sue spalle larghe.

“Non so che problema tu abbia, ma rientra in quella cazzo di casa! Tua figlia è preoccupata!” Strillo, indicando la casa dietro di noi. Penso che il mio indice possa congelare da un momento all’altro. Ma la parola figlia e preoccupata lo fanno tornare in se stesso. Butta la pala per terra, e mi raggiunge affondando i piedi nella neve dietro di noi. Una volta fuori alla porta cerca qualcosa nella tasca. In realtà lo fa più volte, iniziando a tastare tutte le tasche della giacca.

“Si congela, apri per favore?”

“Dimmi che hai preso le chiavi.” Il suo è solo un sussurro, che mi mette più freddo addosso di tutta la tempesta di neve stessa. Non ci voglio credere.

“No che non ho preso le chiavi!” Sbotto, alzando entrambe le mani al cielo. Stavolta apre la giacca, cercando nelle tasche all’interno. L’unica cosa che tira fuori è un fazzoletto usato.

“Non ci voglio credere…” Passa tutte e due le mani sulla sua testa, ma in assenza di capelli scivolano indietro, sulla nuca.

“Luna non è capace?”

“Luna è una bambina di quattro anni, Bella! Non arriva nemmeno alla maniglia!”

“Cazzo, stai calmo! Troviamo un modo.” Dico, guardandomi intorno. Ma la casa è solo circondata da neve. E di certo la neve non può aiutarci per spaccare una finestra o per aprire una porta.

Papà?” E’ la voce ovattata della bambina che arriva dall’altra parte della porta a farci smettere di battibeccare.

“Amore! Stai tranquilla ora entriamo!”

Papà! Posso mangiare i cereali intanto?

“NO! Non prendere nulla. Non ti muovere. Dove sei ora?”

“Dove vuoi che sia? Dietro alla porta!” Dico, alzando entrambi gli occhi al cielo. Penso che morirò di ipotermia oggi.

“Amore!” Strilla Edward, attaccandosi alla porta. “Voglio che ti metti seduta sul divano e resti ferma lì. Quando entreremo ti devo vedere seduta e ferma, chiaro?”

“Come pretendi che una bambina di quattro anni si metta seduta immobile? In una casa completamente da sola?!”

“Mi stai forse dicendo come fare il padre?” Sbuffo, allargando gli occhi.

“No. Ti sto dicendo che non lo farà!”

“Hai una soluzione migliore?”

“Luna?” La chiamo, attaccandomi alla porta e prendendo il posto di Edward.

Sì?

“Qual è il tuo cartone preferito?”

“Davvero vuoi parlare di questo in mezzo a una tempesta di neve?”

“Zitto!” Fulmino Edward con lo sguardo, mentre ripeto la domanda.

Masha e Orso.” Risponde lei.

“Masha e chi?” Arcuo le sopracciglia, girandomi verso Edward.

“Una bambina e un orso. Non chiedermi di spiegartelo, ti do un minuto sennò butto giù la porta!”

“Sei capace di prendere il telecomando ed accendere la tv? Questo è il momento adatto per guardare Masha e Orso quante volte vuoi. Non ci sarà papà a dirti di no!”

Sìììì!” E’ l’urlo della bambina, mentre sentiamo i suoi passetti che si allontanano dalla porta.

“Vuoi chiederle anche di mettere su il caffè e di prepararti un bagno caldo? Eh, Bella?”

“Lo so perché ieri sera ha acceso e spento la TV da sola. Perché quando una cosa non le piaceva, sempre da sola, cambiava canale. Tu perché pensi che tua figlia sia stupida?!”

“Io non…”

“Troviamo una cazzo di soluzione per entrare in questa casa! Non voglio morire congelata!” Ribatto, e lui non aggiunge altro. Ci tranquillizziamo un po’ quando sentiamo delle voci provenire dalla TV, e Edward mi conferma shockato che quello che Luna sta guardando è proprio Masha e Orso. Ah, gli uomini…

“Rompo una finestra con la pala!” Dico, battendo entrambe le mani come una bambina. E’ una soluzione ottima, no?

“Sono a prova di proiettile quei vetri.”

“Hai fatto costruire una casa blindata per tua figlia?!”

“Non è casa mia. Non l’hai letto il campanello? Hale. E’ casa di Rosalie.” Fa veramente troppo freddo, ma non posso fare a meno di notare un piccolo particolare.

“Scusami… tu ieri hai mandato via Rosalie e Emmett dalla loro casa?”

“Passiamo dopo alle spiegazioni? Se proprio devi continuare, la risposta è no. Ci avrei dormito io con mia figlia, ho avuto un problema da risolvere a casa mia. Se vuoi il continuo ti scrivo una lettera e te la invio per posta!” L’Edward nel panico più totale è molto più simile a me di quanto credevo.

“Okay, un’altra soluzione allora…” Mi allontano qualche metro dalla casa, guardandola dall’alto al basso. Le finestre sono a prova di proiettile. Non hanno una porta secondaria. Quella principale è blindata. Cos’è, Emmett voleva imprigionare la sua amata per sempre? Che cazzo gli è venuto in mente?

Pensa Bella, pensa. Pensa.

“Okay, ci sono.” In realtà no, perché è l’idea più stupida che mi sia mai venuta in vita mia. Potrei rischiare la vita.

“Cosa?! Parla, Bella!”

“Sei in grado di farmi salire sul tetto?”

“Cosa devi fare sul tetto? Segnali di fumo ai vicini? Con questa tempesta i vigili del fuoco potrebbero arrivare tra due ore!” Sbotta, toccandosi sempre più freneticamente la testa. Dio, fa che non gli venga un attacco di panico da un momento all’altro.

“Rispondimi e basta. Tu ce la fai?”

“Sì.”

“Okay. Luna?!” Strillo, avvicinandomi alla porta.

Sì?

“Noi siamo migliori amiche, giusto?”

Sì sì.” Dice piano, ma non mi sembra tanto convinta.

“Ecco Luna, la tua migliore amica Bella ti comprerà una cosa stupenda di Masha e Orso se ora la aiuti. Che ne pensi?” Ora sembra che abbia la sua attenzione.

Ma ho tante cose… Lo zaino sì, i quaderni, i colori, la bottiglia…

“Tesoro! Possiamo parlarne quando siamo in casa? Ti compro quello che vuoi. Te lo prometto.”

“Non fare promesse che non potrai mantenere.” E’ il sussurro di Edward, seguito dal suo sguardo tagliente.

Davvero davvero?!

“Davvero. Promesso. Ora mi puoi aiutare?”

Va bene.”

“Quanti cuscini ci sono sul divano?”

“Cazzo, Bella! Non sa contare!” Vero…

“Allora tesoro, prendi tutti i cuscini che sono sul divano e mettili sul camino.”

Cos’è il cammmmino?

“Che cazzo vuoi fare?” Parlano contemporaneamente, e vorrei davvero chiamare un taxi e scappare in questo momento.

“E’ quel posto dove esce il fuoco. Quello vicino alla televisione, capito?” Strillo, evitando la domanda di Edward.

Oh, dove nonno cucina la carne!”

“Bravissima!” Strillo, attaccandomi sempre di più alla porta. “Di bocca buona la bambina.” Sussurro poi a Edward, che ancora mi guarda stralunato.

Ce li metto Bella. Intanto penso anche al regalo che voglio…

“Pensiamoci dopo! Ora puoi farlo in fretta?”

Pff… va bene.” Sbuffa dall’altra parte della porta, come se lei stesse per morire congelata. E’ a tutti gli effetti la figlia di Edward.

“Non dirmi che vuoi fare quello che penso.”

“E che pensi?”

“Bella, non se ne parla. E’ alto tre metri. Chi ti dice che lei abbia messo davvero i cuscini lì sotto? Ti spaccherai una gamba! Anzi, con la fortuna che hai…”

“Potrei rimanerci secca. Tranquillo, ci so fare. Mi devi soltanto aiutare a salire.”

“Io non lascio che…”

“Edward, tua figlia è lì dentro sola da più di mezz’ora. Tu non ci passerai mai. Io sì. Quindi dammi quella cazzo di spinta e fammi salire.” Mi guarda contrariato per un po’, finché si decide e mi fa salire fino al tetto della casa. Cerco di tenermi alle mattonelle, cosa non facile visto che è tutto completamente coperto di neve. Arranco in alto, sforzandomi con tutta me stessa per non cadere. Non devo cadere. Ma so che lo farò una volta arrivata giù, se fino adesso non è successo niente. Butto un’ultima occhiata di sotto, e noto Edward attaccato alla porta che parla con sua figlia.

Morirò. Di certo questo sarà l’ultimo giorno della mia vita. Una misera vita fatta di cazzate e figure di merda. Ma la mia vita infondo è questo: un continuo slalom tra figure di merda. E questa sarà l’ultima. Non riuscirò nemmeno a morire degnamente.

E’ l’ultima cosa che penso.

E poi mi calo nel camino.



Il dolore atroce che provo alla gamba mi fa capire che non sono morta. Ma fa un male cane.

La cenere che mi entra nella bocca e nel naso facendo sì che respiri a fatica mi fanno capire che non sono di certo morta. La bambina che mi guarda con entrambe le mani appoggiate alla sua bocca mi fanno capire che non sono morta.

Tossisco, creando una nuvola di fumo intorno a me. Mi trascino fuori dal camino, portando dietro di me tutti i cuscini che Luna ci ha messo sopra. L’ha fatto veramente. Cerco di sorriderle, ma l’unica cosa che riesco a fare bene è alzare una mano per farle un piccolo gesto.

Wowww! Bella, ma tu sei l’aiutante di Babbo Natale?!” Stavolta rido davvero, tra il dolore alle ossa e quello al petto.

“Forse, tesoro.” Sputo la cenere, e le allungo una mano. “Mi devi aiutare. Mi devo alzare.”

“Oh, aspetta! Papà deve vedere che sei l’aiutante di Babbo Natale!” Zompetta felice verso la porta di casa, si alza in punta di piedi, gira il pomello e con un gesto che non le richiede troppo sforzo apre la porta.

La apre.

Apre la porta.

La porta, quella che volevamo scassinare.

La porta che non si apriva, quella che mi ha fatto calare da un cazzo di camino.

Lei la apre.

“Bella?! Bella?!” Edward mi cerca con lo sguardo, ma vede solo la sua bambina che sorride felice e poi me, sdraiata e coperta di cenere per terra.

“Chi ha aperto la porta?!”

“Io!” Dice lei tutta soddisfatta.

“E perché diamine non l’hai fatto prima?!” Edward si trattiene dallo strillare, me ne accorgo dai pugni stretti ai lati delle sue gambe.

“Voi mi avete detto di accendere la TV! Mi avete detto di mettere i cuscini lì!” Sbotta, indicando il camino dietro di me. “Non mi avete detto di aprire la porta! E io ho fatto tutto quello che avete detto!”

Mi butto di peso con la schiena sui cuscini, stringendo gli occhi. Coperta di cenere dalla testai ai piedi. Con una caviglia slogata.

E penso che al peggio non c’è davvero mai fine.



Note finali:

Buonasera lettori!

Scusate per l’orario, ma questo era davvero l’unico momento libero che avevo per pubblicare! Allora… prima parte del capitolo: ma Donna Dolores è davvero… non lo dico, ma potreste arrivarci anche voi!

Seconda parte del capitolo: la nostra Bella è tornata, più sfigata che mai. E sì, stasera vi ho voluto far conoscere anche Luna. Un bel peperino, anche lei ci farà ridere molto!

Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto, spero anche di sentirvi nelle recensioni! Vi mando un abbraccio grandissimo, a giovedì!

Grazie per aver letto <3

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Capitolo 9
*** AVVISO ***


AVVISO



Ciao lettori!

Ho pensato a tanti modi su come iniziare a spiegarvi, e credo di non averne trovato uno giusto nemmeno ora. Non sono sparita dalla faccia della terra, ci sono ancora. E io sto bene, se mi permettete di farvela passare così. Ma una delle persone più importanti della mia vita non sta bene. Negli ultimi mesi nella mia famiglia ha fatto capolino a bassa voce e senza nessun tipo di preavviso una malattia fin troppo conosciuta, e che lascia davvero poco alle parole. Le parole che hanno sempre fatto parte della mia vita, e che ora non trovo più. Nè in una giornata buia e né in una giornata di sole.

Non vi nego che ci ho provato a buttare giù qualcosa, ma tutto sembra privo di senso in questi giorni. Qui intorno c’è un aria tesa, fatta perlopiù di silenzi da parte di tutti. Le giornate andranno a peggiorare, lo ammetto. E i giorni/settimane/mesi a seguire saranno un calvario. Il mio tempo non è stato mai scandito dal contagocce, mai. Ho sempre cercato di far funzionare la mia giornata tra i miei piaceri e doveri. Ho sempre dato per scontato una mia mancanza a cena la sera, o del tempo passato a scrivere per ore davanti al pc, o un uscita in più con le amiche. Ora il tempo che ho - che abbiamo - a disposizione va passato in famiglia. Perché si tratta di un ultimo tempo, lasciatemi passare anche questa. Ultimi rintocchi.

Ho pensato di eliminare le storie in corso e darvi una spiegazione, ma poi ho capito che non dovevo farlo. Vi meritavate una buona spiegazione, e vi meritate di poter leggere i capitoli ogni volta che volete.

Le storie proseguiranno? Non lo so.

Non lo so è una risposta a tempo indeterminato, per ora. Perché se dovessi darvi una risposta stasera, quella risposta sarebbe no.

Magari un giorno vorrò ritornare a ridere e scherzare nei capitoli di Taxi?! E darvi anche un finale degno di nota per i miei Edward e Bella di APTS.

Io intanto vi ringrazio tutti dal primo all’ultimo. So che le mie storie vi hanno fatto compagnia nei momenti peggiori, quando voi eravate tristi e avevate bisogno di uscire dalla vita reale. Ora sono io ad aver bisogno di leggere per uscire dalla vita reale, di prendere il vostro posto per un po’.

Grazie per i messaggi che mi avete mandato in questi mesi - inconsapevoli di cosa stesse accadendo -, siete sempre stati di conforto.

Questo non è di certo un addio, perché la scrittura mi ha salvata in svariate situazioni. Ora so che non è il momento giusto, ma arriverà.

Quindi grazie, grazie e ancora grazie.

Vi voglio bene.

Tatiana.

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Capitolo 10
*** AVVISO FINALE ***


Il sette e il dodici maggio 2021 sarà passato esattamente un anno dall’ultima pubblicazione delle due mie fanfiction in corso: A place to stay e Taxi?!

In un anno cambiano tante cose, me lo sono sempre sentito dire. Ma a me non aveva mai toccato più di tanto questa frase. Sì, con il passare degli anni le cose cambiano, ma poi non così drasticamente. Nel 2020 ho scoperto che le cose cambiano davvero invece, dalla notte al giorno.

Vi avevo lasciato con un avviso il 23 settembre 2020, dicendovi che le mie storie sarebbe state interrotte per un periodo. Forse me lo sentivo dentro di darvi una spiegazione quel 23 settembre, perché le cose si erano messe male. Quattro giorni dopo, il 27 settembre 2020, ho perso mio padre. Non sto qui a spiegarvi le dinamiche, uno perché potrebbe anche non interessare, e due perché so bene di essere una piccola particella che fa parte di questo mondo. Ed è successo a me, certo, ma purtroppo c’è anche di peggio. Posso solo dirvi che quello che è successo mi ha cambiata drasticamente. Da qualche parte non ricordo dove, lessi che anche la tua vita termina insieme a quella della persona morta, per poi ricominciare da capo. Ed infatti è proprio così che mi sono sentita. La mia vita non è continuata, è solo cominciata di nuovo e diversamente. La rabbia e la frustrazione di aver perso una persona cara quando ero alla soglia dei miei ventisette anni, mi ha fatto capire che le cose non vanno poi sempre così bene. Forse l’ho capito troppo presto, e sicuramente ci sono persone che l’hanno capito ancor prima di me. Altre ancora, lo capiranno più tardi. E questo non per ammorbarvi, ve lo assicuro. Questo soltanto per dirvi che la persona che ha iniziato a scrivere A place to stay, due anni fa, non è più la persona che è davanti al pc ora. E non saprei proprio da dove continuare. E questa non è nemmeno una scusa, perché sono anche dell’opinione che tu, e solo tu, metti dei limiti a te stesso. Ed io in questi ultimi mesi ho messo il mio limite alla scrittura.

Ho sempre pensato “non posso continuare,” “non mi va più”, “da dove ricomincio, se non so nemmeno io se voglio iniziare?” Ma sono sempre stata una di quelle persone che non lascia le cose a metà. O non ci sono proprio, o vanno portate a termine. Questa trafila oggi per dirvi una cosa semplice, o forse non molto: APTS e Taxi?! Verranno eliminate in settimana. Taxi?! Verrà eliminata, forse perché il suo destino era rimanere una OS per sempre, e non so se vedrà di nuovo la luce.

A differenza sua, però, ad APTS sono troppo legata. Ed è una storia che potrebbe prendere una piega diversa ora, con dei sentimenti diversi. Sarà eliminata, ma con l’intenzione di essere riscritta e ripubblicata. Non parlo di “revisionare”, parlo di iniziare da zero. APTS è nel mio cervello, e deve avere una degna conclusione. Forse alcune cose all’interno cambieranno, ma vedrà di nuovo la luce.

Scrivere le fanfiction ora non è la mia priorità, ma scrivere in generale invece mi ha aiutata molto, se non infinitamente. Perdermi tra le parole, tra le dita che seguono una penna o i tasti della tastiera è stato un piccolo toccasana in un momento in cui davvero poco poteva aiutarmi.

Cerco di mettermi in carreggiata piano piano, e spero che capiate le mie parole. Perché alla fine dei conti, per noi lettori sono sempre le parole a smuovere il mondo.

Vi abbraccio fortissimo, e spero che stiate tutti bene.

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Capitolo 11
*** Nono capitolo - Foresta amazzonica ***


Se potete, vi consiglio di dare una rilettura ai capitoli precedenti.

Note a fine capitolo.


Nono capitolo - Foresta amazzonica


Bella


“E i regali?” Vorrei così tanto rispondere alla domanda della piccola bambina davanti a me, ma quello che riesco a sentire è solo un grandissimo dolore che parte dalla mia gamba ed arriva al cervello. “Papà, i regali?” Ripete di nuovo, quasi arrabbiata.

Luna…” Lo sguardo di Edward è impenetrabile, mentre passa da sua figlia a me: semi sdraiata su cinque cuscini e sporca di cenere. Lo shock dura veramente poco, perché sposta la bambina sul divano, si toglie il giaccone che indossa e si avvicina velocemente.

“Dimmi che devo fare…” Biascico, provando a tirarmi su. Ma il male è talmente lancinante che neanche le braccia riescono a darmi la forza.

“Come ti è venuto in mente?”

“Di certo non mi hai fermata.”

“Non pensavo che lo facessi davvero!”

No? La tua bambina era chiusa dentro una casa, da sola. Cos’altro avrei potuto fare?”

“Potevamo trovare un altro modo!”

“Se tu la controllassi di più, ti saresti reso conto che è in grado di aprire una cazzo di porta!”

Parolaccia!” Ci interrompiamo grazie all’esclamazione della piccola, che ci guarda incuriositi dal divano. Vorrei tanto ridere anche io, perché non voglio nemmeno immaginare la scena che ha davanti agli occhi. Suo padre e Bella che battibeccano. Mentre io sono dentro al camino.

“Vieni qui.” Si abbassa, e cerca di issarmi sulle sue braccia. Non ci riesce subito, perché digrigno i denti e mi lamento. “Fa male?” Davanti alla mia non risposta, si abbassa di più per guardarmi dritto negli occhi.

“Cazzo, Bella. Stai piangendo.” Me ne rendo conto solo quando me lo dice. Sento il viso bagnato e il naso che cola. Che scena raccapricciante. “Dobbiamo andare all’ospedale.” Rabbrividisco al pensiero.

N-no.”

“No?” Allarga gli occhi. “Non esiste un no. Dobbiamo andare in ospedale!”

“Con tutta la neve?” E’ Luna che ci interrompe di nuovo, e lo fa sempre nel migliore dei modi.

Cazzo!” Stavolta è Edward a dire la parolaccia.

Parolaccia!” Ed è di nuovo sua figlia a precisarlo.

“Tesoro, ora devi fare una cosa.” Dice Edward, puntando i suoi occhi in quelli di sua figlia. “Devi andare al piano di sopra e prendere tutti i cuscini che trovi in camera. Non portarli giù tutti insieme.” Non se lo fa ripetere due volte, perché come una scheggia corre di sopra, senza nemmeno sentire il “Fai piano!” Urlato da suo padre.

“Tu invece ora devi stringere forte i denti, perché ti tiro fuori di qui.” Annuisco soltanto. “Al tre.” Ma non fa in tempo ad arrivare al due, perché mi ha già spostata sul divano alla velocità della luce. Passa velocemente una mano sul mio viso per ripulirmi dalla cenere, e cerca di mettere la gamba nel miglior modo possibile.

“Ma la amputeranno, vero? Dio, la riabilitazione. Poi una protesi. Non sarò mai più in grado di camminare come prima. Perché sono così stupida? Perché?”

Stai zitta.” Sussurra ai miei piedi, mentre cerca di sfilarmi una scarpa.

“Zitta? Sto per perdere una gamba e devo stare zitta?”

“Non perderai la tua gamba.”

“No? E chi te lo dice? Tu sei un dottore? Non mi sembra. Tu sei un avvocato. Solo un cazzo di avvocato!”

“Te la stai forse prendendo con me?”

“Si!” Sbotto sofferente. “O forse no. Perché ti ho portato quella cena? Non potevo mangiarla io e starmene a casa mia?”

“I guai non sono iniziati ieri.” Sussurra lui, mentre mi tasta il ginocchio.

“Stai forse dicendo che io sono un guaio?” Ora alza la testa per puntare i suoi occhi nei miei.

“Sì, Isabella Swan. Lo sei.” Lo dice così seriamente che quasi potrei scoppiare a piangere di nuovo, ma stavolta non per il dolore. “E forse sei il miglior guaio capitato nella mia vita.” Annuncia con serietà, avvicinando una mano al mio viso. La posa lì, all’inizio dolcemente, ma poi la sua presa si fa più forte. Lo sento.

“Ora chiamo un dottore che può raggiungerci subito. Non muoverti di un millimetro.” Dice prima di alzarsi di scatto, e subito dopo strilla il nome di sua figlia, che scende piano piano dalle scale con due cuscini di Masha e Orso sotto le rispettive braccia.

“Eccoli papà!” Dice fiera, mettendoli prima sul divano e poi sedendocisi sopra. “Ora ho i miei cuscini per vedere il carrrtone!” Esordisce fiera, ed entrambi non possiamo fare a meno di soffocare una risata.



“Sei stata molto fortunata.” Dice l’uomo davanti a me, mentre finisce di steccare il mio ginocchio. Non ne ho capito un granché, tranne la cosa più importante: cioè che l’ho rotto. Ha cercato di fasciarlo al meglio, e quando il tempo migliorerà dovrò andare all’ospedale per mettere il gesso.

“Sarà per tanto tempo?”

“Un mese sicuramente.” Sbuffo così forte che trattiene un mezzo sorriso. “Potevi farti veramente male, Bella. Te la sei cavata con poco.”

“Con poco? Come posso andare a lavoro, ora? Carlisle, lei lo sa che è da appena una settimana che mi sono trasferita a Londra? Si rende conto?

“Per primo, non darmi del lei.”

“Giusto. Porta così bene i suoi anni che possiamo sembrare coetanei. O forse io porto male i miei.” Stavolta ride senza trattenersi.

“Ti ringrazio, Bella. Ma tu porti benissimo i tuoi pochi anni. E direi che dalle idee che ti vengono in mente, potresti dimostrarne molti di meno.”

“Tipo quelli di una ragazzina?”

“Sì, ma quelli di una ragazzina abbastanza matura. Non so chi avrebbe avuto il coraggio di calarsi da un camino. Forse nemmeno io.”

“Certo che l’avresti fatto. Per tua nipote, sicuramente.” Carlisle ripulisce le ultime cose intorno a lui con estrema calma.

“Farei di tutto per Luna, Bella. Ma non so se mi calerei mai da un camino alla cieca. Avrei provato altri modi, prima.” A sentirla così, soprattutto da un uomo più grande di me e vedendo il suo volto compassionevole so di aver fatto una grande cazzata.

“Per quanto riderete di me?” Mi lamento, alzando gli occhi al cielo.

“Non ce ne dimenticheremo facilmente, lo sai vero?” Gli occhi gli sorridono, e so che si sta sforzando molto per non scoppiarmi a ridere in faccia. Ma non facciamo in tempo in tempo a continuare, perché la porta della stanza si apre di scatto.

“Allora? Come sta?” Edward nemmeno si rivolge a me, perché il suo sguardo è dritto verso gli occhi di suo padre.

“Dovrà tenere la fasciatura finché il tempo non si sarà calmato. Poi vi aspetto in ospedale. Il gesso per un mesetto all’incirca.” Spiega a poche linee Carlisle, prima di prendere la valigetta con tutta la sua attrezzatura. “Riposo assoluto, Bella.” Lo dice con tranquillità, ma so benissimo che è un ordine.

“Promesso.” Sussurro appena, salutandolo con un cenno della mano. Idiota. Non l’hai nemmeno ringraziato.

“Devo andare a casa mia.” Dico, appena la porta si chiude dietro a Carlisle.

“Non hai sentito cosa ha appena detto mio padre?”

“Sì. Ma riposerò a casa mia.”

“Non esiste.” Sembra quasi che mi stia incendiando con il suo sguardo.

“Cosa dovrei fare?”

“Come pensi di occuparti di te stessa a casa tua? Da sola?”

“Ce la farò!” Edward si trattiene dall’alzare gli occhi al cielo, mentre apre un cassetto e mi avvicina quello che ha tra le mani. E’ uno specchio. Esito nel guardarmi, e mi rendo subito conto che facevo bene ad esitare. I miei capelli sono completamente arruffati, e la faccia… Dio, mi sono presentata davvero così davanti a Carlisle? Sono completamente nera. Il mio viso è ricoperto di cenere, e nelle poche parti in cui non c’è, è perché le mie mani l’hanno trascinata in altre parti. Butto lo specchio sul letto, e mi accascio completamente.

“Puoi ammettere che hai bisogno di aiuto?”

“E anche di una bella doccia.” Aggiungo, costringendomi a non aprire gli occhi.

“Vado a prepararti un bagno caldo. Ah, Bella?”

“Sì?”

“Sei anche consapevole che avrai bisogno del mio aiuto per lavarti, vero?” Lo dice come se non fosse niente di che, mentre cerco di abituarmi all’idea. Ti farai aiutare a metterti nella vasca, e poi ci penserai da sola. Entrerai in mutande e reggiseno, e poi lui uscirà. Lo chiamerai quando hai fatto. Ma è solo uno il pensiero che attanaglia la mia mente. Uno e uno soltanto. La foresta amazzonica.

“Edward?” Non apro gli occhi, perché non ho il coraggio.

“Sì?”

“Ho bisogno di una cosa.” Deglutisco, prima di sparlarla tutta insieme. “Unalamettahoipelinonsocomefare

“Cosa?”

“Una rasoio.” Scandisco infine, aprendo un solo occhio nella sua direzione.

“Un rasoio per cosa?”

“Per cosa, Edward? Per cosa?!”

“E’ questa la tua preoccupazione?” Domanda incredulo, ancora sull’uscio della porta.

“Sì.”

“Bella, come vuoi usare un rasoio? Lo sai che fare un bagno sarà già complicato?”

“Io non vado in giro così!” Sbotto, come se ne valesse la mia vita. Stavolta lo guardo bene in viso.

“E quindi?”

“E quindi, mi aiuterai tu! Visto che ti stai preoccupando così tanto, preoccupati anche per questa cosa, no?”

“Che significa?”

“Significa che se mi serve aiuto, raderai tu al suolo la mia foresta amazzonica!” Non so per quale motivo io lo abbia detto davvero e soprattutto ad alta voce, ma so che nessuno mi ripagherà mai da questa immagine: le sue gote arrossate, mentre non dice nulla ed esce in fretta e furia dalla stanza.

E’ Edward Cullen, Bella.

E’ il tuo capo.

E tu gli hai appena chiesto di radere al suolo la tua foresta amazzonica.

Nel vero senso della parola.




Note finali:

La vita non è facile e questo lo sappiamo tutti. Compresa io, che nel corso dell’ultimo anno sono stata messa veramente alla prova. La voglia di tornare a scrivere c’era, ma mai troppa. Forse perché troppo presa dai pensieri, che purtroppo non sono sempre belli. Ma l’altra sera, per puro caso, ho riletto Taxi. In un momento no, chiusa nella mia camera. E mi sono ritrovata a ridere. Ridere di gusto. Mi sono chiesta: ma l’hai davvero scritta tu? Non perché sia un bestseller, ma perché non ho trovato nei capitoli precedenti la persona che sono ora. Mi sono chiesta anche se sarei stata in grado di continuarla, perché una volta arrivata all’ottavo capitolo, anche io volevo sapere come andava a finire. Non sono una di quelle persone che usa schemi precisi. Scrivo di getto, e le parole per me sono un po’ come la fame: se quest ultima vien mangiando, le parole vengono scrivendo. E così, di getto, ad un girono dall’anniversario della morte della persona a me più cara in vita, ho ricominciato a scrivere.

Non so dirvi come sarà, se continuerà sulla lunghezza d’onda delle risate o se prenderà una piega un po’ più seria. Non lo so nemmeno io. Ma forse questo oblio un po’ mi piace. Ho ricominciato a scrivere Taxi perché è una FF più leggera, non so dirvi quando e come ricomincerò a rivedere APTS, l’altra mia storia in corso. L’unica cosa che mi sento di dirvi è di entrare in punta di piedi, perché è proprio quello che sto facendo io stasera. Piano, in punta di piedi cerco di riprendere pezzetto per pezzetto.

Non vi ho mai risposto, ma ho sempre letto tutte le parole che avete speso per me. E nemmeno un infinito Grazie basterebbe, ma se è l’unica cosa che posso darvi, prendetela da parte mia con tutto il cuore.

Grazie, grazie davvero.

Siete la mia famiglia online, e vi voglio tanto bene.

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Capitolo 12
*** Decimo capitolo - Destino | 2 ***


Note a fine capitolo


Decimo capitolo - Destino | 2


Harvard - Sei anni prima


Bella


Io e James camminiamo con i nostri libri stretti tra le braccia, mentre chiacchieriamo del più e del meno. La lezione di Diritto è appena finita, ed abbiamo un’ora libera prima che inizi la prossima. Viviamo della nostra routine del giovedì: dopo la lezione ci prendiamo quella mezz’ora per stenderci sul prato verde che circonda tutto l’edificio, mentre ripetiamo le materie più difficili o facciamo letteralmente a pezzi ogni persona che passa sotto il nostro radar. E’ il gioco che preferiamo, ed è proprio quello che iniziamo a fare appena ci sdraiamo all’ombra di un grande albero.

“Gonna blu e maglioncino fucsia. Dimmi che è uno scherzo.” Sussurra lui, indicando con un cenno della testa la ragazza che sta passando ora davanti a noi. Orribile.

“Cappello da cowboy e chitarra alla spalla. Siamo tornati negli anni ottanta?” Il mio amico trattiene una risata, ma non ci riesce benissimo.

“Guarda quella coda di cavallo come le tira i capelli. Ai lati non li ha più, gli avrà fatti cadere tutti.”

“Guarda invece lui, cappotto, maglione, jeans e… infradito!”

“Guarda loro due, la coppia dell’anno. Lei ha i pantaloni rossi e lui la t-shirt uguale. Lei la camicia di jeans e lui sotto… i jeans. Una coppia che scoppia…”

“Guarda lui, si è dimenticato di staccare l’etichetta dalla borsa!”

“Guarda il professore che ci prova con l’assistente ventenne. Ridicolo!” Scoppiamo entrambi a ridere, quasi tenendoci la pancia. Questo è uno dei nostri rituali… trovare le cose imbarazzanti delle persone. Immaginarci la vita che hanno, perché se indossano un Moncler e portano ai piedi delle infradito che vita potranno mai avere? Di certo migliore della mia…

“Ti rendi conto di quello che hai fatto stamattina tesoro?” Appunto… Affondo la testa tra le mani, diventando sempre più rossa. Quello che ho fatto stamattina era una cosa che non mi era mai capitata.

“Non ricordarmelo JimmiJi!

“Il professore si è incazzato un casino.” Quello che è successo stamattina ha del surreale. Ero alla mia lezione di Informatica, quando mi sono alzata per andare in bagno. Troppo presa dai miei pensieri sono rientrata in classe con la testa tra le nuvole, e mi sono seduta accanto a James. Accanto allo sguardo accigliato del mio amico, e sotto a quello indagatore di tutta la classe. Perché non era la mia aula. Ho interrotto la lezione di Arte di James, convinta di averlo con me in quella di Informatica. Mi sono seduta vicino a lui, ed ho ascoltato il professore parlare per ben dieci minuti. Ho capito di aver sbagliato quando il manichino umano, totalmente nudo, si è steso sul lenzuolo e mi ha fatto l’occhiolino.

“Perché sono così pessima? Perché?”

“Guarda la…” Mi blocca James, mentre alzo lo sguardo e lo punto dove è il suo. Un ragazzo si sta sbracciando verso di noi, più che altro verso di me. Ha entrambe le mani alzate, e le muove in alto. “Bella… ce l’ha con te.”

“Cosa?!” Mi volto nella sua direzione. “Non lo conosco, James.”

“Beh, lui sicuramente sì. E’ anche un bel tipo. Perché non vai lì?”

“Tesoro, no.”

“Dai!” Il mio amico mi da una botta su una spalla. “Sicuro ti conosce. Ti avrà vista a qualche lezione. Vai!” Sbuffo, ma mi alzo dopo la seconda spinta di James. Mi avvicino lentamente al ragazzo, e mentre cammino lo metto a fuoco. Veramente un bel tipo. Indossa la felpa della squadra di football, e sembra proprio che ci abbia appena giocato. I capelli sono un mezzo tra il rossiccio e il castano, e cadono sudati sulla sua fronte. Ha gli occhi semichiusi per via del sole, ma noto subito che sono verdi. Verdissimi.

“C-ciao.” Sussurro, arrivata a destinazione.

“Ciao?” Dice lui, non molto convinto.

“Dimmi.”

“Che ti devo dire?”

“Facevi dei segnali di fumo per chiamarmi… dimmi…”

“No, guarda. Non credo che…”

“Voi uomini siete tutti uguali.” Ribatto, mettendo entrambe le mani sui fianchi. “Fate tanto gli spavaldi da lontano e poi quando una si avvicina scappate. Perché sapete fare proprio quello, scappare sempre. Ah, come sarebbe bello un mondo di sole donne!” Borbotto, mentre vedo che allarga gli occhi e mi squadra dalla testa ai piedi. Ha anche un mezzo accenno di sorriso. “Ridi di me? Addirittura? Eppure due secondi fa a momenti ti si staccavano le braccia!”

EDWARD!” Entrambi ci giriamo, mentre una spilungona bionda che sembra Barbie Magico Mondo Del College viene verso di noi. “Tesoro, non ti avevo visto. Kate mi ha detto che mi stavi cercando.”

“Ho fatto dei segnali di fumo.” Risponde lui, per poi spostare di nuovo lo sguardo su di me. “A momenti mi si staccavano le braccia. Andiamo, amore.” Passa un braccio intorno alle spalle di Barbie, ed insieme si girano e se ne vanno.

“Allora? Chi era?” Sussulto, subito dopo aver capito che James era in agguato.

“La mia ennesima figura di merda.”

Perché il mio nome è già una garanzia.

Isabella Swan.



Note finali:

Sono passati più di venti giorni dall’ultimo capitolo, e chiedo venia. Sto cercando di organizzarmi nel migliore dei modi, e spero di riuscire a darvi almeno un capitolo/due a settimana.

Questo capitolo non è nuovo per alcuni, però. Vi ricordate lo spin-off che avevo promesso per chi indovinava il tatuaggio che aveva Bella al centro del petto? Beh, questo è proprio quello spin-off. Non potevo far aspettare altri giorni per un nuovo capitolo, quindi ho deciso di giocarmi un asso nella manica. Chiedo scusa a chi l’aveva già letto, e magari si aspettava qualcosa di nuovo. Arriverà, promesso!

Nella mia mente Taxi?! Era una FF di pochi capitoli, non so dirvi ancora quanti ne mancheranno alla fine. Però ogni cinque capitoli volevo mettere da parte il POV di Bella, e darvi quello di Edward. Non ci sono riuscita con questo, però vi ho portati indietro di qualche anno. E sì, fra questi due è proprio destino sin dall’inizio!

Colgo anche l’occasione per ringraziarvi tutti, dal primo all’ultimo. Sono felice di ritrovarvi su queste pagine, non immaginate nemmeno quanto.

Al più presto, vi mando un abbraccio fortissimo.

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