Omnia Mutantur

di MissOphelia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Angolo Autrice ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Mancanza ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Ritorno ***
Capitolo 4: *** Capitolo 2.0 - Cambiamenti ***
Capitolo 5: *** Capitolo 3 - Casa ***
Capitolo 6: *** Capitolo 4 - Mani ***
Capitolo 7: *** Capitolo 4.0 - Cicatrici ***
Capitolo 8: *** Capitolo 5 - Pensieri ***
Capitolo 9: *** Capitolo 6 - Contatti ***
Capitolo 10: *** Capitolo 6.0 - Vaniglia ***
Capitolo 11: *** Capitolo 7 - Partenze ***
Capitolo 12: *** Capitolo 8 - Scontri ***
Capitolo 13: *** Capitolo 9 - Equivoci ***
Capitolo 14: *** Capitolo 10 - Libri ***
Capitolo 15: *** Capitolo 11 - Rivelazioni ***
Capitolo 16: *** Capitolo 12 - Notizie ***
Capitolo 17: *** Capitolo 13 - Verde Gallese ***
Capitolo 18: *** Capitolo 14 - Rabbia ***
Capitolo 19: *** Capitolo 15 - Punizioni ***
Capitolo 20: *** Capitolo 16 - Ansia ***
Capitolo 21: *** Capitolo 17 - G.U.F.O. ***
Capitolo 22: *** Capitolo 18 - Gli Amanti ***
Capitolo 23: *** Capitolo 19 - Imprevisti ***
Capitolo 24: *** Capitolo 20 - Canzone ***
Capitolo 25: *** Capitolo 21 - Spiaggia ***
Capitolo 26: *** Capitolo 22 - Mare ***
Capitolo 27: *** Capitolo 23 - Immaginazione ***
Capitolo 28: *** Capitolo 24 - Quidditch ***
Capitolo 29: *** Capitolo 25 - Uragano ***
Capitolo 30: *** Capitolo 26 - Turbamento ***
Capitolo 31: *** Capitolo 27 - Istinto ***
Capitolo 32: *** Capitolo 28 - Sorpresa ***
Capitolo 33: *** Capitolo 29 - Fiabe ***
Capitolo 34: *** Capitolo 30 - Duello ***
Capitolo 35: *** Capitolo 31 - Cotte ***
Capitolo 36: *** Capitolo 32 - Tocchi ***
Capitolo 37: *** Capitolo 33 - MorsMorde ***
Capitolo 38: *** Capitolo 34 - Pozione Invecchiante ***
Capitolo 39: *** Capitolo 35 - Incarichi ***
Capitolo 40: *** Capitolo 36 - Compleanno ***
Capitolo 41: *** Capitolo 37 - Draghi ***
Capitolo 42: *** Capitolo 38 - Irritazione ***
Capitolo 43: *** Capitolo 39 - Risentimento ***
Capitolo 44: *** Capitolo 40 - Sentimenti ***
Capitolo 45: *** Capitolo 41 - Unione ***
Capitolo 46: *** Capitolo 42 - Tempesta ***
Capitolo 47: *** Capitolo 43 - Grimmauld Place ***
Capitolo 48: *** Capitolo 44 - Consapevolezza ***
Capitolo 49: *** Capitolo 45 - Diavolo in rosa ***
Capitolo 50: *** Capitolo 46 - Serpente ***
Capitolo 51: *** Capitolo 47 - Reclutamenti ***
Capitolo 52: *** Capitolo 48 - Aquila Reale ***
Capitolo 53: *** Capitolo 49 - Tiri Vispi Weasley ***
Capitolo 54: *** Capitolo 50 - M.A.G.O. ***
Capitolo 55: *** Capitolo 51 - Accademia ***
Capitolo 56: *** Capitolo 52 - Romania ***
Capitolo 57: *** Capitolo 53 - Sparizioni ***
Capitolo 58: *** Capitolo 54 - Ordine ***
Capitolo 59: *** Capitolo 55 - Irruzione ***
Capitolo 60: *** Capitolo 56 - Perdita ***
Capitolo 61: *** Capitolo 57 - Matrimonio ***
Capitolo 62: *** Capitolo 58 - Malfoy Manor ***
Capitolo 63: *** Capitolo 59 - Ferite ***
Capitolo 64: *** Capitolo 60 - Lettera ***
Capitolo 65: *** Capitolo 61 - La battaglia di Hogwarts ***
Capitolo 66: *** Capitolo 62 - Terrore ***
Capitolo 67: *** Capitolo 63 - Dolore ***
Capitolo 68: *** Capitolo 64 - Arrivederci ***
Capitolo 69: *** Capitolo 65 - Epilogo ***
Capitolo 70: *** R e M ***
Capitolo 71: *** Angolo Autrici ***
Capitolo 72: *** AVVISO ***



Capitolo 1
*** Angolo Autrice ***





Ciao a tutti e benvenuti nel nostro piccolo angolo.

Ophelia non è una sola persona, bensì siamo due ragazze (M&R) che ogni tanto si improvvisano "scrittrici", e questa è la prima storia che decidiamo di pubblicare, pertanto vi chiediamo di essere clementi ahaha.

Come avrete sicuramente notato si tratta di una fanfiction ambientata nel magico mondo di Harry Potter, a nostro parere uno dei capolavori dell'ultimo secolo.

Tuttavia, la nostra storia non si serve dei personaggi canonici, quelli principali, ma di quelli secondari, quasi marginali, in particolare di Charlie Weasley e, in secondo luogo di tutta quella che è la famiglia Weasley stessa. Vi chiederete il perchè di questa scelta, beh, non c'è un VERO e proprio motivo.

Abbiamo voluto giocare un po' con la fantasia, abbiamo voluto osare, creare luoghi, personaggi e immaginare come sarebbe stato vivere in questo mondo e come sarebbe stato raccontarlo dagli occhi di qualcun'altro, un personaggio totalmente nuovo, con una storia alle spalle, con delle idee, con un carattere, con dei sentimenti.

Allo stesso modo ci siamo focalizzate sul personaggio di Charlie, troppo poco considerato all'interno dei libri: chi è Charlie? Cosa prova e cosa ha provato?

Vi preghiamo di perdonarci qualora trovaste incongruenze con la storia stessa, purtroppo abbiamo dovuto maneggiarla, affinché gli eventi cardini potessero coincidere con quelli da noi raccontati.
Vi possiamo promettere che non l'abbiamo, comunque, stravolta totalmente, cercando di tener fede quanto più possibile.

La storia inizia dal prigioniero di Azkaban. 

La pubblicazione avverrà settimanalmente: uno, massimo due capitoli per volta.

Non vogliamo annoiarvi, pertanto non ci dilungheremo più di tanto. Speriamo di avervi incuriosito, o quanto meno di non avervi indotto ad abbandonare la lettura della storia.

Girate la pagina e immergetevi nel nostro flusso di pensieri, nel mare delle nostre menti, tra i vortici della nostra fantasia.

Vi abbracciamo forte. 

-Ophelia.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Mancanza ***


Helen Clark era una strega davvero intraprendente, dotata di gran carisma, riusciva quasi sempre a non demoralizzarsi, a non farsi schiacciare dalle situazioni, quelle negative in particolare. Aveva imparato a rimboccarsi le maniche, affrontando qualsiasi ostacolo le si ponesse davanti, qualsiasi difficoltà, e si poteva dire che ce n'erano state.
La sua vita era diventata particolarmente avviluppata a partire dall'età di otto anni, quando, poco prima della fine della Prima Guerra Magica, la madre era stata brutalmente uccisa da un gruppo di mangiamorte. Da quel momento in poi, Helen aveva dovuto prendere la situazione di petto, crescere, crescere quanto più velocemente possibile. Era stata costretta ad abbandonare il suo piccolo mondo infantile per essere trascinata in un altro, molto più grande e, sicuramente, più pericoloso.
Suo padre e suo fratello Jacob le erano stati vicini, nonostante quella mancanza fosse stata complicata per ognuno di loro. L'assenza di sua madre era palpabile quasi in ogni momento, in ognuna delle stanze della piccola casa sembrava mancasse sempre qualcosa.
La famiglia Clark riuscì, dopo tanta angoscia, a superare il momento di forte sconforto, a ripartire. Helen non avrebbe mai smesso di ringraziare la famiglia Weasley per questo. Arthur e Molly Weasley erano amici dei suoi genitori dai tempi di Hogwarts, per giunta abitavano a poche miglia di distanza, perciò era del tutto usuale trascorrere la maggior parte del tempo con loro, viaggiare insieme, organizzare cene e prendere parte a feste. Lei e Jacob erano letteralmente cresciuti con i Weasley: Jacob era nato pochi mesi dopo il secondogenito Charlie, motivo per cui i due, fin da piccoli, si erano sostenuti l'uno con l'altro, sviluppando un legame che poteva essere paragonato a quello tra due fratelli. Erano praticamente inseparabili e, per di più, appena iniziati gli studi ad Hogwarts, erano stati smistati entrambi in Grifondoro. Condividevano le stesse passioni: quidditch, amore per le creature fantastiche, per i draghi in particolare, non parlavano d'altro!
Helen, invece, era sempre stata legata ai gemelli, suoi coetanei d'altronde, ma a differenza di Jacob, lei non era stata smistata in Grifondoro, anzi, l'opposto, in Serpeverde. Poteva ancora ricordare quanto clamore avesse suscitato questo avvenimento nella sua famiglia: la prima Serpeverde di tutta la sua stirpe. Vi erano numerose dicerie sul conto dei discendenti di Salazar, ma Helen non se ne curava, difatti i suoi primi quattro anni erano trascorsi in totale tranquillità, a parte certi scontri verbali con qualche saccente Corvonero, ma nulla di cui preoccuparsi, o almeno nulla che la scomponesse più di tanto.

Si tuffò sul letto, emettendo un sonoro sbuffo.
Era stanchissima, aveva appena finito di sistemare nel baule l'occorrente per il ritorno, l'indomani sarebbe partita per tornare a casa, tra meno di una settimana sarebbe stato Natale.
Guardò il soffitto, indugiando per qualche istante.
"Natale" pensò "è tanto magico quanto...triste."
Le faceva sempre un po' male al cuore pensare di trascorrere un altro anno senza sua madre.

Scosse la testa, non voleva che i pensieri negativi si impadronissero della sua mente, ed era certa che anche sua madre non lo avrebbe voluto.

Decise di sistemarsi sotto le coperte. La stanza era vuota, le sue compagne erano già partite da qualche giorno, ma lei non aveva intenzione di rimanere sola a casa ad aspettare che il padre e Jacob tornassero.

Aveva paura, sì paura, ma non di qualcuno o di qualcosa, era l'idea di restare sola, sola in quella casa, ormai vuota, con la paura che avrebbe potuto trasfigurarsi e inghiottirla.
Il silenzio, l'assenza, la solitudine.
Si girò di scatto dall'altra parte, raggomitolandosi sempre di più sotto le coperte.
Di nuovo quei pensieri angoscianti si facevano spazio nella sua testa.
Fissò un punto impreciso della stanza.
"Jacob. Domani torna Jacob."
Le spuntò subito un sorriso.
Non vedeva Jacob da molto ormai, quasi un anno, le mancava così tanto suo fratello.
Era diventato un Dragonologista* e, poiché in Inghilterra gli allevamenti di draghi erano stati banditi da tempo, era stato costretto a trasferirsi in Romania, ma fortunatamente in compagnia di Charlie Weasley.
La sua lontananza le provocava un vuoto interiore a volte.
"Domani sarà qui. Io, lui e papà."
Improvvisamente le affiorò in mente di quella volta in cui il padre aveva provato a cimentarsi nella preparazione di una squisita (a detta sua) pietanza in stile babbano, facendo prendere fuoco a una padella; Helen aveva dovuto ricorrere all'incantesimo aguamenti per rimediare a quel disastro.
Rise.
Era proprio negato.
Questo ricordo sembrò confortarla al punto tale che le palpebre le si chiusero, mentre il sorriso era ancora stampato sul suo volto.

 

*Il Dragonologista è un Magizoologo, specializzato nello studio dei draghi.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Ritorno ***


Il fischio del treno destó Helen dal sonno. Non ricordava ne' come ne' quando si fosse appisolata, sapeva solo che il finestrino del vagone non era per niente comodo. 
Si portó le mani al volto, schiaffeggiandosi ripetutamente le guance, come se questo gesto potesse risvegliarla totalmente. 
Mentre emetteva un rumoroso sbadiglio, si girò e scrutò l'esterno. 
Erano arrivati. 
Il binario 9 e 3/4 della stazione di King's Cross brulicava di gente. Helen immaginava fossero tutte persone che attendevano l'arrivo dei propri figli di ritorno da Hogwarts. 
Vide una signora, appoggiata ad un uomo, probabilmente il marito, che sventolava animatamente la mano nella direzione del treno.
La prima volta che tornò per le vacanze natalizie, suo fratello e suo padre prepararono un imbarazzante cartello con scritto "HELEN SIAMO QUI". 
Sorrise. Che pazzi. 
Uno scuotere leggero la richiamó alla realtà. 
«Terra chiama Helen. Non vuoi mica tornare ad Hogwarts?» 
Era Adeline, la sua migliore amica. Una Grifondoro anche lei, dolce, disponibile, le voleva un gran bene. 
Helen la guardó mentre l'amica rideva, insieme ai Gemelli Weasley. Non era la prima volta che si trovava in quella situazione, Helen spesso si perdeva nel proprio mondo, nel proprio flusso di coscienza. 
«Secondo noi, tu pensi troppo.» disse Fred. 
«Già, pensi troppo.» continuó George.
I gemelli chiusero gli occhi, per poi iniziare ad agitare le mani verso di lei con movimenti ondulatori, come ad imitare la professoressa Cooman.
«Libera la mente Helen, libera la menteee.» 
Fecero volare scintille da chissà dove, per poi scoppiare a ridere. 
Helen fece altrettanto; i gemelli sapevano sempre come smorzare qualsiasi situazione e farla ridere. 
La voce metallica proveniente dalla stazione li avvisò dell'arrivo in banchina del treno e invitò i passeggeri ad affrettarsi prima della ripartenza. 
Prese il proprio baule e seguì i suoi amici, mentre si dirigevano verso l'uscita.
Scesero. Helen si guardó intorno sperando di non dover percorrere tutta la banchina prima di vedere una faccia familiare e di non doversi aspettare un chissà quale cartello o striscione di bentornata. 
Percorse qualche metro quando vide un agglomerato di teste color carota: i Weasley. Era incredibile come quella famiglia si distinguesse ovunque. 
Inizió a camminare nella loro direzione. 
"Se ci sono i Weasley, allora...
Non terminò nemmeno il pensiero che un paio di mani gli coprironi gli occhi. 
Trasalì, poi le analizzò, facendo scorrere le proprie dita lungo i contorni. Erano piuttosto grandi, un po' rovinate, forse graffiate, sicuramente mani maschili. 
Maschili e rovinate! 
Si voltó di scatto. 
«JACOB!» 
Si buttó tra le braccia del fratello. Finalmente, le era mancato tantissimo e era lí, non in una delle sue fantasie. 
Si fece invadere dal suo profumo così intenso. Era reale. 
Quando si staccò, lo guardò, notando quanto fosse cambiato. I suoi capelli castani erano cresciuti, sembrava diverso, più uomo. Per quanto fossero fratelli Jacob ed Helen non si somigliavano affatto: Jacob era molto simile al padre, capelli scuri e occhi chiari, alto e robusto (anche a causa del lavoro prettamente fisico che svolgeva); Helen, invece, era bionda con gli occhi chiari, non molto alta ed esile, il padre diceva che fosse uguale a sua madre da giovane. 
«Helen sei cambiata! Sei diversa, sei...cresciuta.» 
Jacob le prese la mano, facendola girare.
Era davvero contenta di poter passare il tempo con lui, aveva davvero tanto da raccontargli. 
Si voltò verso il padre, che nel frattempo aveva preso il baule e si era fermato ad assistere alla scena sorridente. 
«Ciao papà.» 
Abbracció anche lui. 
«Mi siete mancati.» 
«Anche tu tesoro. Credo sia ora di andare, altrimenti Arthur potrebbe lasciarci qui.» 
Rise, avviandosi poi in direzione della famiglia Weasley. 
Quel Natale non erano al completo, infatti solo Ginny e i gemelli erano tornati da Hogwarts, così come lei. Ron aveva espresso la volontà di passare il Natale al castello, in compagnia dei suoi amici Harry ed Hermione. Percy aveva detto ai genitori, in quanto caposcuola, che Hogwarts avesse bisogno del suo impareggiabile aiuto.
Poi c'era Charlie.
Helen lo fissó per qualche istante, era cambiato anche lui, molto: i capelli erano cresciuti e sembrava avessero vita propria per quanto fossero scompigliati, eppure gli donavano, pensò.
Anche il viso era cambiato: la mascella era diventata più prorompente, gli dava un'aria molto più virile. 
Era diverso, era piú...uomo.
Charlie le sorrise, forse lo aveva fissato più del dovuto. 
Distolse velocemente lo sguardo e sentì un leggero calore avampare a livello delle guance. 
«Avanti gente, tutti alla macchina.» 
Arthur Weasley sventolava la mano, come se fosse a capo di un gruppo di turisti. 
«Al bolide vorrai dire.»
Echeggiarono Fred e George.
Si diressero verso l'esterno della stazione, fino a raggiungere un'auto rossa. Era diversa da quella vecchia, dopo l'incidente dell'anno precedente, il signor Weasley aveva dovuto cambiarla, non che ne fosse dispiaciuto, su questa aveva apportato molte più modifiche e perfezionato il turbo invisibile (ovviamente ad insaputa della moglie). 
Iniziarono a sistemare i bagagli. 
«Allora, miei adorati FRED E GEORGE...» inizió la signora Weasley, alzando il tono della voce quando pronunció i nomi dei gemelli, i quali, notò Helen, indietreggiarono lentamente, acquistando una distanza di sicurezza dalla madre. 
«Sono ansiosa di sapere cos'è questa storia del signor Gazza!»
Molly si avvicinò lentamente. I gemelli si guardarono un istante, decidendo mentalmente chi dei due avrebbe dovuto esporsi per primo 
«È possibile...» dissero all'unisono «che, forse noi...» 
«Ripeto, forse» puntualizzò Fred. 
«...abbiamo piazzato una caccabomba nell'ufficio di Gazza.» completarono la frase. 
«Ma è una possibilità molto remota.» disse George 
«Nell'eventualità che fosse davvero successo, sarebbe stato per legittima difesa.» aggiunse Fred. 
«FRED E GEORGE!» Tuonò la signora Weasley, mentre acciuffava prontamente i figli, già in procinto di darsela a gambe. 
Li teneva per le orecchie. 
«COSA DEVE FARE UNA MADRE PER NON RICEVERE SEMPRE LETTERE DI AMMONIZIONE?» 
«Via via Molly, è stata una semplice bravata.» si intromise il signor Weasley. 
«Arthur non esistono scusanti!» 
Helen osservava la scena divertita, non era la prima volta d'altronde che si trova ad assistere al teatrino di mamma Weasley e i gemelli. 
«Mamma cara» Charlie si avvicinó sorridendo, poggiandole le mani sulle spalle.
Molly sembrò addolcirsi e lasció andare le orecchie dei due mascalzoni, i quali sgattaiolarono nell'auto prima che la donna potesse nuovamente posare l'attenzione su di loro. 
«Devi rilassarti. È il momento di andare a casa, non credi?» Continuò Charlie con voce melliflua. 
«Si tesoro, hai ragione. Forza forza, tutti in macchina.» disse, aprendo la portiera e sedendosi accanto al marito. 
Helen fece lo stesso, si meravigliava sempre di quanto in realtà quella macchina fosse spaziosa all'interno, grazie ad un incantesimo distensore.
Jacob e Charlie erano seduti alla sua destra, parlavano dell'ultimo drago con cui avessero avuto a che fare: Ironbelly Ucraino. Dall'altro lato i gemelli, i quali, vide, stavano architettando qualche nuova bravata. 
«E Arthur, mio ​​caro... non ti azzardare a far volare quest'auto.» 
«Ma Molly...»
«Non mi interessa!» 
Helen poggió la testa sulla spalla di Jacob. 
Il viaggio senza magia sarebbe stato più lungo del previsto, e la signora Weasley non ne avrebbe permesso in alcun modo, e per nessuna ragione, l'uso.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 2.0 - Cambiamenti ***


Charlie era tornato da qualche giorno, per lui rivedere casa era sempre un sollievo.
Quell'edificio tanto pericolante quando sicuro, tanto angusto quanto confortevole.
Quella mattina sarebbero dovuti andare a prendere i ragazzi di ritorno da Hogwarts insieme ai Clark.
E quando mai non facevano qualcosa insieme ai Clark, erano come dei componenti acquisiti della famiglia, ormai.
Si guardó allo specchio, cercando di dare una sistemata a quell'ingarbugliata massa rossa che aveva in testa. I suoi capelli: un caso perso.
Sbuffó, uscí dalla camera che era abituato a condividere con Bill, troppo impegnato per fare ritorno alla Tana, e scese di sotto, dove la madre lo accolse con un grosso sorriso.
«Buongiorno tesoro.»
La signora Weasley era indaffarata con gli incantesimi domestici, come suo solito. Stava cucinando un abbondante pranzo, notó, evidentemente avrebbero avuto ospiti, quasi sicuramente i Clark.
«Buongiorno figliolo.»
Il signor Weasley era intento a leggere la Gazzetta del Profeta, mentre sprofondava nella sua poltrona.
«Ciao papà.»
Prese qualcosa da mangiare dalla dispensa e si sedette.
«Goditi questa calma Charlie, tra poche ore la rimpiangerai.» affermó il padre, ridacchiando.
«Sicuro!» asserí Charlie, mentre, tranquillamente continuava a fare colazione.

Trascorsero circa due ore prima che Jacob e il signor Clark arrivassero a casa Weasley. Anche Helen, la sorella di Jacob, sarebbe tornata per le vacanze natalizie.
Helen aveva dimostrato un certo carattere sin da piccola, era intelligente e piuttosto carina, da quello che ricordava, era più di un anno che ne' lui ne' Jacob vedevano i propri cari.
«Charlie, sbrigati!»
Molly lo stava chiamando, dovevano andare. Indossò il giaccone ed uscì di corsa, serrando con un incatesimo la porta di casa.
Non che avessero paura di qualche visita indesiderata, ma temevano che gli gnomi avessero potuto intrufolarsi in casa per mettere a soqquadro la cucina, come era giá capitato una volta; mamma Weasley si era infuriata da morire. (come biasimarla).
«Heeeey Charlie.»
Era Jacob. Si avvicinò con un grosso sorriso stampato in volto.
«Come si vive senza di me?» 
«Magnificamente Jacob, magnificamente.» 
Ammise scherzosamente.
L'amico rise, dandogli una pacca sulla spalla.
«Prima o poi ti trasfigureró in un Asticello, almeno così non potrai russare.» continuó Charlie.
C'era del vero in quell'affermazione: Jacob russava come un trombone, non invidiava per nulla suo padre ed Helen, che avrebbero dovuto sorbirlo in quei giorni.
Si diressero verso l'auto ed una volta sistematisi, partirono.

Quasi non ricordava la stazione di King's Cross, aveva dimenticato quanto fosse caotica in quei giorni.
Non era più abituato al caos, alle persone che scorazzavano ovunque, che correvano contro il tempo pur di non perdere il proprio treno, che discutevano animatamente, che si salutavano con strette di mani, abbracci, baci.
Non era più abituato a quel tipo di vita, si sentiva un estraneo.
Raggiunsero il binario 9 e 3/4 attraversando il solito passaggio.
Anche quello gli sembrò strano.
"Da quanto tempo."
Questo primo pensiero gli balenó nella testa appena sbucó dall'altra parte del muro.
«Chissà come stanno i nostri piccoli.» disse la signora Weasley, stringendo le mani al petto.
«In perfetta forma, immagino, Molly.» rispose il signor Weasley.
«Per Merlino, spero che quei due furfanti non ne abbiano combinata un'altra delle loro prima di tornare.»
«Tranquilla Molly, c'è Helen con loro.» rispose Arthur, rivolgendosi poi al signor Clark «Tua  figlia è una delle poche che riesce a tenerli a bada, Thaddeus!» 
Il padre di Helen annuì, accennando un sorriso.
Il signor Clark era sempre stato un uomo piuttosto schivo, di poche parole, quasi l'opposto del signor Weasley, eppure la loro amicizia era una di quelle che durano per la vita.
Il treno era fermo in banchina già da qualche minuto, quando d'un tratto la signora Weasley inzió a sventolare le braccia.
«Eccoli! Ragazzi, siamo qui! Ginny!»
Tre teste rossicce si distinguevano dalla massa dirigendosi verso di loro.
Per tutti i draghi Irlandesi! 
Erano cresciuti molto, forse troppo.
Charlie non vedeva i fratelli da un anno ed ora?! Non poteva crederci, sembravano lievitati. Se non fosse stato per i caratteristici capelli color carota e i visi gremiti di lentiggini, avrebbe creduto che quelli non fossero davvero i suoi fratelli.
«Ma che avete bevuto quest'anno, una pozione dilantante o succo di zucca?»
«Charlieeeee!»
Era la piccola Ginny. Beh, non più tanto piccola. Si precipitó ad abbracciarlo, tenendolo stretto per qualche secondo.
«Noi burrobirra!» intervennero i gemelli, mentre si apprestavano a salutarlo con pacche sulla schiena.
Abbracció anche loro, gli erano mancati. Era un po' malinconico all'idea che non avrebbe potuto riabbracciare anche Ron e Percy.
Poi improvvisamente vide Jacob smaterializzarsi, per poi ricomparire alle spalle di una ragazza bionda, che, nel frattempo, si era fermata a pochi passi da loro.
Non la riconobbe immediatamente, ma collegò solo quando la vide gettarsi tra le braccia di Jacob.
Helen Clark.
La bocca di Charlie si schiuse, quasi automaticamente. 
Era diversa, era cambiata, era...cresciuta.
"È bellissima."
Charlie si accorse di star facendo la figura del babbeo, solo quando vide che anche lei lo stava fissando.
Sorrise instintivemente.
Avrebbe voluto salutarla, ma lei si giró immediatamente, volgendo lo sguardo altrove.
"Bene Charlie, ora penserà che tu sia una specie di maniaco."
Si rimproverò.
La voce del padre che li intimava a raggiungere l'auto, lo distrasse da quei pensieri. 
"Ma quale strana erba o bevanda  avranno somministrato a questi ragazzi durante quest'anno."
Alzò lo sguardo cercando nuovamente Helen, forse si era sbagliato, non poteva essere lei.
La vide. Si teneva stretta al braccio di Jacob, mentre proseguivano e scherzavano per chissà cosa. 
Era più alta, i capelli più lunghi e leggermente ondulati.
Era diversa, era più...donna.
Scosse la testa. Ma che andava a pensare.
La voce della madre gli arrivó quasi ovattata, era così assorto in se' stesso che non si accorse di essere arrivato alla macchina e nemmeno di come il battibecco tra mamma Weasley e i gemelli fosse iniziato.
«Mamma cara.» 
Le si avvicinò sorridendo, facendo cenno ai gemelli di filarsela.
«Devi rilassarti. È il momento di andare a casa, non credi?»
Sembrò funzionare, vide l'espressione della madre mutare dall'adirata alla...un po' meno adirata.
Si posizionarono tutti in macchina, la quale, grazie ad un incantesimo estensore, era diventata più spaziosa.
Era seduto vicino al finestrino, al suo fianco c'era Jacob.
Era felice, ritrovare la sorella lo aveva, in un certo senso, acquietato. 
Il suo sguardo ricadde nuovamente sulla ragazza bionda, che ora teneva poggiata la testa sulla spalla del fratello, tenendo gli occhi chiusi.
Charlie constató quanto i suoi lineamenti fossero perfetti, dolci, quasi come quelli di un cucciolo di unicorno.
Distolse fugacemente lo sguardo.
"Un cucciolo di unicorno?!"
Ma che stava pensando.
"Deve essere l'aria inquinata di Londra."
Guardò fuori dal finestrino.
Dannato smog!

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 3 - Casa ***


Helen si trovò davanti alla porta di casa sua.
Avevano lasciato i Weasley pochi minuti prima, dandosi appuntamento per ora di pranzo a casa dei rossi, Molly li aveva gentilmente invitati, come era solita fare ogni anno.
Rabbrividì, ma non per il freddo. Per quanto il clima fosse gelido, il tremore era dovuto a tutt'altro. 
Era l'essere tornata a casa, le faceva sempre uno strano effetto.
Casa.
Che strana parola, breve, ma con un significato immenso, racchiude in se' una serie di sentimenti infiniti.
Casa è accoglienza, è riparo, è amore, è sollievo, è vita, è famiglia.
Casa, per lei, è anche vuoto; quello che l'attanagliava, quello che non aveva intenzione di colmarsi, nè tantomeno di essere colmato. Non c'era cosa o persona che riuscisse cementare questo enorme pozzo che le si era creato in petto, proprio accanto al cuore. Era profondo e lei lo temeva, temeva di caderci dentro senza più riuscire ad uscirne.
Amava suo padre e suo fratello, di questo ne era certa, tuttavia loro non erano sempre presenti e per quanto lei li sentisse parte integrante della sua esistenza, non riusciva a ignorare quel senso di incompletezza che l'affliggeva.
Incompletezza
Che sensazione stupida.
«Chi è davvero completo, papà?»
La domanda le sfuggì di bocca quasi senza che se ne accorgesse.
Il padre le si fermò accanto, indugiando per un attimo. 
Teneva il baule sotto il braccio.
«Non esiste qualcuno che sia completo, Helen. Ognuno di noi è come un puzzle composto da infiniti pezzi, pertanto è impossibile averli tutti. Durante la vita cerchiamo quelli mancanti, aggiungendoli a quelli che già possediamo.» 
Si concesse una pausa, per poi continuare.
«Tuttavia, i miei pezzi non sono uguali ai tuoi, così come i tuoi non sono uguali a quelli di Jacob.
Sono diversi, siamo diversi.
Ognuno cerca i propri pezzi.
Io, ad esempio, posso dirti come il mio "pezzo mancante" fosse tua madre. Incontrando lei, mi sono sentito completo, intero.»
Helen, abbassó lo sguardo, fissando un punto indeterminato. 
«Ed ora che lei...non c'è più?»
«Rimane sempre il mio "pezzo mancante", Helen. 
Non importa che lei sia viva o morta, lei c'è, c'è sempre, ed è proprio qui.»
Pose il proprio dito a livello del cuore, abbozzando un lieve sorriso. Helen giuró di aver scorto le lacrime affioragli agli occhi.
«Io non credo che sia così.» 
Jacob si avvicinò, dopo aver  aperto la serratura della porta d'ingresso con un Alohomora.
«Io credo che non esista un pezzo mancante, ognuno di noi dovrebbe essere in grado di bastarsi da solo.
Insomma, io non ho necessariamente bisogno di qualcuno. Ho me e il mio lavoro.»
«Quindi hai i draghi.»
Costatò Helen, continuando a guardarsi le punte dei piedi.
Jacob la guardò, perplesso.
«I draghi sono il tuo "pezzo mancante", il tuo lavoro sono loro, infondo.»
«Beh, forse si.»

Si accomodarono finalmente all'interno. 
Helen fece un grosso sospiro, poi cominció a guardarsi intorno.
Era tutto come lo aveva lasciato, tutto uguale, come se il tempo lì dentro non fosse mai trascorso.
«Forse dovreste darvi una sistemata, faremo tardi al pranzo dai Weasley altrimenti.» disse il signor Clark, togliendosi il cappotto.
«Giusto!» Jacob si stiracchiò.
«IL BAGNO È MIO!»
Quell'affermazione improvvisa, allertò Helen. 
Non poteva permettere che Jacob si impossessasse della doccia prima di lei.
«NON ESISTE, JACOB!»
Non fece nemmeno in tempo a rispondere che il fratello si era già precipitato in direzione del bagno.
Corse lungo le scale cercando di superarlo, invano, perchè una volta arrivata al piano superiore, notó che lui era già davanti alla porta.
Le venne in mente una cosa.
Non appena vide la mano di Jacob in procinto di poggiarsi alla maniglia, trasfigurò quest'ultima in un porcospino. 
Lo sentì imprecare, mentre si teneva la mano dolente.
«Giochi sporco, Helen.»
Protestó lui.
Riportó la maniglia al suo normale stato.
«Lo so, ho imparato da poco.»
Sorrise, entrando nella tanto bramata stanza, mentre assaporava la dolcezza della vittoria.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 4 - Mani ***


«Helen ma quanto ci metti!»
Jacob e suo padre la stavano aspettando da più di dieci minuti.
Dovevano recarsi dai Weasley per il pranzo ed erano già in leggero ritardo.
«Arrivo.»
Prese la borsetta, nella quale aveva sistemato un paio di cose, compresa la bacchetta, si diede un'ultima sistemata ai capelli e corse al piano di sotto, chiudendosi la porta alle spalle.

Arrivare a casa Weasley non era difficile; percorrevano quelle poche miglia con naturalezza, con un fare così abituale da rendere quel camminare quasi automatico.
«Ecco i nostri ospiti!»
La signora Weasley li accolse con un sorriso, aprendo la porta con una mano, mentre con l'altra li invitava ad entrare.
Era sempre così gentile Molly, si era comportata con lei e Jacob quasi al pari di una seconda madre.
Helen le era molto riconoscente per tutto ció che aveva fatto.
«Buongiorno signora Weasley.»
Le rivolse un sorriso, porgendole il sacchetto con dentro il vino che suo padre aveva portato per il pranzo. 
«Un piccolo omaggio, signora.»
«Oh Helen, ci conosciamo da tempo, chiamami Molly.»
La guardò amorevolmente.
Poi le prese una mano, sollecitandola a girare su se' stessa.
«Per la barba di Merlino, tesoro, ma sei diventata una strega bellissima.»
Poi rivolse lo sguardo al signor Clark, ridendo.
«Thaddeus, fossi in te starei attento, qualcuno potrebbe rapirla.» aggiunse il signor Weasley, dando una pacca sulla spalla al padre di Helen, accompagnata da una sonora risata.
Sentí le guance diventare colorite per l'imbarazzo. Non era abituata a stare al centro dell'attenzione.
Per sua fortuna, venne "salvata" dai gemelli, i quali scendevano velocemente le scale, confabulando tra loro e tenendo in mano uno strano marchingegno.
Avrebbe dovuto ringraziarli per tutte le volte in cui erano riusciti a tirarla via dalle situazioni scomode, anche inconsapevolmente.
«Salve!» esclamarono all'unisono, come loro solito.
«Cos'è quel...coso?» la signora Weasley si avvicinò ai propri figli, tenendo le mani sui fianchi.
«Un esperimento.»
«QUANTE VOLTE HO DETTO CHE NON VOGLIO VEDERE QUESTI AFFARI DEMONIACI IN CASA?!»
I gemelli la ignorarono, indossando velocemente i cappotti e precipitandosi fuori dalla Tana.
«Amico mio!»
Questa volta era stato Jacob a parlare, andando incontro al secondogenito dei Weasley, Charlie.
Helen li osservò mentre si salutavano, il suo sguardo indugió sul rosso.
Era alto quanto Jacob, con una corporatura simile: robusta, muscolosa. Indossava un paio di pantaloni neri e uno dei tipici maglioni in lana della signora Weasley, con una grossa "C" gialla in petto.
Il maglione era bordeaux, sfumatura che faceva risaltare particolarmente i suoi capelli color carota. 
Erano parecchio scarmigliati, gli davano un'aria ribelle, sebbene Helen sapesse quanto, nonostante l'amore per l'avventura, Charlie fosse una persona pacata.
«CiaoHelen.»
La sua voce la riportò alla realtà.
Sbattè le palpebre come a destarsi da una specie di trance.
«Ciao, Charlie.»
Si rese conto che lo stava fissando, di nuovo, decise di distogliere lo sguardo altrove, improvvisando un'aria distaccata.
"Per Salazar, devo sempre fare la figura della stupida."
Proseguí verso la cucina. Desiderava vedere se la signora Weasley necessitasse di aiuto. Voleva rendersi utile.
"Complimenti, Helen." si rimproveró.

Il pranzo fu davvero abbondante, Molly aveva dato il meglio di se' stessa. Insieme alle varie portate, anche un bel po' di vino riempì i bicchieri.
Arthur Weasley e suo padre stavano ridendo per qualcosa, che lei, per quanto si sforzasse, non era stata in grado di comprendere.
«Allora quest'anno ci sono i G.U.F.O.»
Jacob si rivolse a lei e poi ai gemelli, mentre teneva sospeso un altro bicchiere di vino.
«Oh non ce lo ricordare.» asserí Fred.
Helen si trovò ad annuire con fare grave.
«Già.» aggiunse.
Non voleva per niente pensarci, anche perché se qualcuno le avesse chiesto chi avrebbe voluto essere, una volta finiti gli studi ad Hogwarts, non avrebbe saputo rispondere.
«E avete giá pensato a cosa fare nella vita? Insomma, dopo la scuola. Infondo mancano solo due anni.»
Ridacchiò, sorseggiando un altro po' di vino.
Per Salazar! 
Dannato Jacob e la sua lingua lunga. 
Era davvero incredibile quanto riuscisse a impiattare al meglio i discorsi che PROPRIO LEI non voleva affrontare.
"Due anni..."
Mancavano davvero solo due anni. 
«Noi vorremmo progettare scherzi.» inizió Fred.
«Si. Magari aprire un negozio tutto nostro.» continuò George.
«MA...è solo un'idea.» precisò, infine.
Ora sarebbe, toccato a lei, se lo sentiva.
«E tu Helen? Cosa vorresti fare dopo?» le chiese il signor Weasley.
Ecco lo sapeva.
«Non lo so.»
E non lo sapeva davvero.
Cosa avrebbe dovuto dire?!
Che avrebbe voluto fare l'auror cosí da stanare tutti i maghi cattivi e ripulire il mondo dalla malvagità?
Che avrebbe voluto insegnare ad Hogwarts per educare i piccoli maghi alle arti magiche?
Se c'era una cosa che Helen non amava fare, quella era mentire.
O almeno, farlo senza destare sospetti, mentre più occhi erano puntati su di lei.
«Ma come non lo sai tesoro? Forse sei indecisa tra qualche professione? Se vuoi noi possiamo aiutarti.»
La signora Weasley le si rivolse con fare amorevole.  
Si sentiva soffocare.
Che doveva dire? 
Quella conversazione non le andava proprio a genio.
In realtà lei aveva provato a pensare a qualche probabile impiego futuro negli ultimi mesi, ma si trattava di idee aleatorie.
«Forse potresti scrivere sulla Gazzetta del Profeta come tuo padre, o magari dedicarti all'insegnamento. Sai a me piace molto Babbanologia, potresti provare. Oppure il Ministero della Magia, come Arthur. Però se proprio devi scegliere ti consiglio qualche impiego ben pagato, sai noi...»
«Guaritrice.»
Le uscí di getto.
Interruppe quel frenetico flusso di parole della signora Weasley.
«Forse.»
Abbassó lo sguardo sul suo piatto. Mai come allora gli avanzi di cibo le erano sembrati un panorama davvero interessante.
«Beh, potresti anch-»
«Su mamma, non pressarla, d'altronde anch'io ero indeciso e confuso al mio quinto anno.»
Charlie interruppe la madre, intromettendosi così nel discorso.
Diresse poi lo sguardo da Molly a lei. 
Helen incrociò i suoi occhi per una frazione di secondo, poi abbozzò un sorriso.
Lui ricambiò, dirigendo poco dopo l'attenzione altrove.
Se non fosse stato per il caratteristico color carota e per la marea di lentiggini che gli tempestavano il viso, Helen avrebbe quasi detto di averlo visto arrossire.
Scacciò immediatamente quel pensiero.
Ci mancavano solo le allucinazioni, poi sarebbe stata pronta un ricovero diretto al San Mungo, e a quel punto si sarebbe trovata lì non come presunta guaritrice.

Il pranzo proseguí abbondantemente per almeno un'altra ora, e altrettanto abbondantemente proseguirono i brindisi a base di vino.
Erano tutti un po' brilli, notó Helen.
Guardò fuori dalla finestra.
Sembrava giá scuro, il cielo era coperto di nuvole, probabilmente quella notte avrebbe piovuto.
Sbuffó.
"Cosa dovrei fare?"
Gli altri commensali parlavano animatamente, ognuno di qualcosa accaduto in quegli ultimi mesi.
La tavola era un subbuglio di piatti, posate e portate avanzate, aveva bisogno di una ripulita.
«Signora Weas...ehm, Molly, posso aiutare a portare queste cose in cucina?»
Azzardò, almeno avrebbe avuto qualcosa da fare.
«Oh tesoro, non serve, dopo faccio io.»
La signora Weasley più rossa del suo normale colorito.
Colpa del vino, probabilmente.
«Insisto.» 
Helen si alzó, iniziando a impilare i piatti.
«Almeno fatti aiutare da qualcuno dei miei scansafatiche.»
«Oh, ma non ce n'è bisogno.»
«L'aiuto io.»
Charlie si alzò, prendendo qualche piatto e dirigendosi in cucina.
Helen raccolse qualche altra posata e fece lo stesso, muovendosi con cautela, nella speranza di non far cadere nulla.
Forse stava trasportando troppe cose.
Il pensiero della precedente conversazione sui probabili lavori, sul futuro e su quello che sarebbe voluta diventare, non l'aveva abbandonata nemmeno un secondo.
Per quando si ripetesse quanto quello non fosse il momento giusto per pensarci, continuava a farlo.
È come se la propria coscienza avesse voluto comunicarle qualcosa.
Come se lei stessa volesse...
Un urto.
La pila di piatti traballò per un istante.
Sentì delle mani posarsi prontamente sulle sue, le quali, nel frattempo cercavano di tenere ferma quella montagna di oggetti.
Non si rese immediatamente conto di cosa fosse appena accaduto, ma vide che Charlie Weasley era esattamente di fronte a lei e la guardava con occhi leggermente sgranati.
«Tutto a posto, Helen?»
Fissó per un istante le sue mani, ancora appoggiate sulle sue.
Erano forti.
Alzò subito lo sguardo.
«Si, tutto ok.»
Lui le tolse quella montagna di oggetti dalle mani, appoggiandoli poi sul piano della cucina.
Dannazione!
Si complimentó con se' stessa.
"Prima la figura della stupida, ora dell'imbranata. 100 punti a Serpeverde!"
Quel ragazzo avrebbe potuto perfettamente pensare che fosse una stramba.
Come biasimarlo!
Non che le importasse più di tanto cosa la gente credesse di lei.
L'osservò per un attimo mentre era di spalle.
Peró...

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Capitolo 7
*** Capitolo 4.0 - Cicatrici ***


Charlie stava togliendo i vestiti dal baule da viaggio, sistemandoli all'interno dei cassetti.

Aveva procrastinato quell'azione per tutti i giorni precedenti, ma prima o poi andava fatto.

«Ragazzi scendete forza, i Clark sono quasi arrivati!»

La voce della madre gli arrivó lontana, ma comprensibile affinché lui recepisse il messaggio.

Uscí dalla stanza, chiundendo la porta.

Scendendo le scale sentí la madre ammonire i gemelli con le solite urla.

"Staranno combinando qualcuna delle loro." pensò.

Appena giunto al piano terra, notò che Jacob e la sua famiglia erano già arrivati.

«Amico mio!»

Salutò il suo miglior amico con un abbraccio e una pacca sulla spalla, come era solito fare.

Tuttavia, la sua attenzione fu catturata da ció che stava avvenendo proprio a pochi metri da lui.

Mamma Weasley reggeva con una mano un sacchetto color oro, e con l'altra faceva girare Helen su se' stessa.

Aveva un morbido maglioncino color panna, lo aveva sistemato all'interno di una gonna nera che le arrivava a metà coscia.

Quando la ragazza volteggiò, quella descrisse una specie di cerchio, alzandosi leggermente con un vorticoso movimento.

"Ma che Merlino guardi, Charlie."

Si ritrovò a fissarla per un momento.

Di nuovo.

«Ciao, Helen.»

«Ciao, Charlie.»

Le sembrò un tantino distante, perché il suo sguardo cambiò subito direzione, volgendosi altrove.

"Ci credo, se ti metti a squadrare le ragazze..."

Forse non era più abituato alle persone. Con i draghi era più facile, con loro non si faceva tanti problemi, riusciva ad essere più spontaneo, più lui, più Charlie.

Guardò per un momento nella sua direzione. Stava parlando con Ginny.

Era diventata più alta, anche più slanciata.

Aveva i fianchi più pronunciati, le mettevano in risalto le curve sinuose.

Si voltò improvvisamente verso l'amico, focalizzandosi su qualcos'altro.

«Andiamo di la'?» propose Jacob.

«Ottima idea.» 

Davvero un'ottima idea, pensó.

 

La madre aveva intavolato un pranzo niente male, accompagnato da buon (forse un po' troppo) vino.

Charlie seppe contenersi, ne bevve un bicchiere, forse due.

Aveva imparato in quegli anni a mantenere un certo autocontrollo, cercando di non esagerare.

I primi anni in Romania, lui e Jacob, li avevano passati all'insegna della mancanza di regole, ammaliati dal fascino della vita autonoma ed indipendente.

Poi dovettero darsi una regolata.

Erano uomini, non ragazzini, non più.

L'amico, nonostante ciò, durante le feste, si era lasciato un po' trasportare dal clima gioioso del periodo. 

Difatti, era ubriaco.

«Allora quest'anno ci sono i G.U.F.O.» gli sentí dire, mentre si rivolgeva prima ai gemelli e poi a sua sorella.

Non volle sbagliarsi, ma gli sembrò che Helen avesse per un attimo alzato gli occhi al cielo, come se fosse stata...infastidita da quell'affermazione.

«Noi vorremmo progettare scherzi.» 

«Si. Magari aprire un negozio tutto nostro.» 

«MA...è solo un'idea.» 

Sorrise a quelle risposte. 

Non aveva dubbi. 

I gemelli avevano sempre manifestato la loro "passione" per gli scherzi, e poterne fare una vera e propria professione, era da sempre il loro sogno.

«E tu Helen? Cosa vorresti fare dopo?» 

Sentí il padre rivolgersi alla più piccola dei Clark.

«Non lo so.» rispose schietta.

In realtà non sapeva se fosse davvero schiettezza o solo un modo per liquidare quanto più velocemente la domanda.

«Ma come non lo sai tesoro? Forse sei indecisa tra qualche professione? Se vuoi noi possiamo aiutarti.»

La madre non demorse.

Non volle sbagliarsi, ma notò quanto la ragazza non fosse proprio a suo agio, come se fosse turbata dall'idea ansiosa del futuro.

«Forse potresti scrivere sulla Gazzetta del Profeta come tuo padre, o magari dedicarti all'insegnamento. Sai a me piace molto Babbanologia, potresti provare. Oppure il Ministero della Magia, come Arthur. Però se proprio devi scegliere ti consiglio qualche impiego ben pagato, sai noi -»

«Guaritrice.»

Era decisamente agitata.

Evidentemente la conversazione non stava prendendo proprio la piega sperata.

«Forse.» aggiunse, quasi sottovoce.

Forse sarebbe dovuto intervenire, in qualche modo.

Sapeva che la madre non avrebbe abbandonato il discorso facilmente, e non credeva che continuarlo fosse la cosa che Helen si stesse auspicando.

D'altronde lui, più di lei, forse di chiunque altro (a parte i suoi fratelli), sapeva quanto loquace fosse la madre, soprattutto su questo argomento, in particolare con "l'aiutino" di un po' di vino.

Non reggeva per niente.

«Beh, forse potresti anch-»

«Su mamma, non pressarla, d'altronde anch'io ero indeciso e confuso al mio quinto anno.» s'intromise.

Forse non era totalmente vero. Aveva da sempre voluto stare a contatto con i draghi.

"Vabbe' però per un periodo mi sono piaciuti anche i Tuoni Alati" giustificò così il suo intervento.

Rivolse lo sguardo dalla madre a lei.

Sembrava più rilassata, si notava dalla sua espressione.

Helen gli sorrise debolmente e lui ricambiò.

"È davvero bella."

 

Continuarono a pranzare, ridere, conversare. Non sapeva bene da quanto tempo fossero seduti a quel tavolo, aveva bisogno di sgranchirsi le gambe.

Guardò l'orologio.

Le 15:45.

"Il tempo vola quando ci si diverte."

«Signora Weas...ehm, Molly, posso aiutare a portare queste cose in cucina?»

La sua attenzione fu catturata di nuovo dalla picc...beh non più tanto piccola, Clark.

Si alzò, iniziando a riordinare alcuni piatti.

Doveva annoiarsi.

Immaginava che non avesse un granchè di cui parlare con nessuno di loro, a parte forse i gemelli, i quali però, costatò, vedeva ogni giorno.

«Oh tesoro, non serve, dopo faccio io.»

«Insisto.» 

Sembrava leggermente sovrappensiero.

«Almeno fatti aiutare da qualcuno dei miei scansafatiche.»

«Oh, ma non ce n'è bisogno.»

«L'aiuto io.»

In realtà non sapeva il motivo per cui si fosse offerto di aiutarla, evidentemente, a causa dell'eccessivo bisogno di alzarsi dalla sedia.

Raccolse alcuni piatti e si avviò nell'altra stanza.

Si appoggiò poi al piano della cucina, stiracchiandosi gambe e braccia.

Odiava stare seduto per troppo tempo, era come se i muscoli del corpo si fosse addormentati, atrofizzati quasi.

Lo infastidiva.

Improvvisamente sentí qualcosa urtargli la spalla, poi un tintinnio di posate, si girò di scatto e afferrò qualcosa: delle mani.

Helen trasportava una pila di piatti forse un po' troppo alta.

Evidentemente stava per perdere l'equilibrio.

Charlie aveva avuto i riflessi pronti, evitando che quella montagna di oggetti le cadesse di mano.

Aveva sviluppato quest'abilitá negli anni, d'altronde si sa', se lavori con le creature magiche, specialmente i draghi, devi possedere una certa prontezza.

«Tutto a posto, Helen?»

I loro occhi si incrociarono per un attimo.

Erano azzurri, sembravano uno specchio d'acqua.

Notó che lei aveva osservato per un attimo le loro mani.

Charlie non se ne era reso conto, ma le aveva ancora poggiate sulle sue. Erano lisce, fredde.

La liberó dalla pila di piatti, posandoli all'interno del lavello.

«Si, tutto ok.»

Poggiò di nuovo le mani sul piano della cucina, tirando leggermente sù le maniche del maglione e dandole le spalle.

Faceva un po' caldo.

"Sarà il vapore prodotto dalla cottura dello stufato." pensò.

Lei gli si avvicinò.

Improvvisamente sentí un lieve tocco sul braccio.

Helen stava tracciando con un dito il contorno di una cicatrice.

«Colpa di un drago eh?» gli domandò.

«Longhorn Romeno.» 

Un breve tremito gli percorse la schiena quando il dito di lei scense, descrivendo un percorso immaginario fino ad un'altra cicatrice.

Aveva una pelle liscia e vellutata, al contrario della sua.

La guardò.

Non comprendeva a pieno quello che stava accadendo, e nemmeno riusciva a comprendere cosa lui stesso stesse provando a quel contatto.

Era sempre Helen, la sorella di Jacob, la ragazzina che conosceva da una vita.

Ok, forse ora non più tanto ragazzina, ma che importava?

Era sempre lei.

«E questa?»

«Grugnocorto Svedese.»

Ricordava la provenienza di ogni cicatrice: come l'aveva ottenuta, quanto dolore gli aveva provocato.

«Un cucciolo.»

Lei interruppe quel contatto.

Un silenzio imbarazzante piombó tra loro.

«È bello che tu voglia fare la guaritrice.»

Lo fissó, perplessa.

Evidentemente voleva capire dove lui volesse arrivare, pensó Charlie.

«È un mestiere poco preso in considerazione. Dove lavoriamo noi, negli allevamenti di draghi, ne servirebbero tanti di guaritori, per tutte le volte che ci infortuniamo, eppure scarseggiano.»

Ricadde il silenzio. 

Helen continuava a fissarlo.

Forse aveva parlato troppo.

Cercava di captarle in quegli occhi criptici qualche sensazione.

«Ti volevo, beh, ringraziare per prima.» aggiunse improvvisamente.

Charlie non capiva.

«Prima?»

«Si. Non era proprio un discorso che avrei voluto affrontare.»

Lo aveva immaginato.

«Ah, per quello. Figurati.» le rispose Charlie, sorridendo e portando una mano dietro la testa.

Lei ricambiò il sorriso.

Fece per andarse, quando ad un certo punto si bloccó, rivolgendosi nuovamente al rosso.

«Perché hai mentito?»

Charlie la guardó, confuso.

Mentire?

«Mentire?»

«Si...beh, tu hai sempre saputo cosa voler diventare. Insomma, i draghi, le creature magiche...»

Ricordó ció che aveva detto.

Com'era quell'imprecazione babbana che aveva imparato poco tempo fa?

Ah si.

"Cazzo!"

Che doveva dire?

«No, cioè...si. Però c'è stato un periodo in cui ero interessato anche allo studio del Tuono Alato.»

Non era una bugia, forse solo una mezza veritá.

Lei gli sorrise, poi si incamminó nuovamente verso la sala da pranzo.

Charlie rimase per un attimo immobile, poi fece lo stesso.

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Capitolo 8
*** Capitolo 5 - Pensieri ***


Non riusciva a dormire.

Stava fissando il soffitto da...non sapeva quanto.

Forse un'ora o due.

I pensieri vorticavano confusi nella sua mente.

Si rigirò più volte nel letto, non riusciva a trovare una posizione comoda.

Un flash improvviso illuminó la sua stanza, accompagnato da un forte suono.

"Sta piovendo."

Aveva immaginato già precedentemente, mentre era a casa dei Weasley, che quella notte avrebbe piovuto.

Le riaffiorò in mente il discorso sui G.U.F.O. e i probabili impieghi futuri.

Il pensiero si spostò poi sullo strano incontro con Charlie.

Non sapeva per quale motivo gli avesse chiesto delle cicatrici, né tanto meno perché avesse avuto il sentore che lui stesse mentendo.

Non avrebbe mai potuto mentire per lei. Perchè farlo poi?

Eppure, il loro contatto, sia visivo che fisico, le aveva provocato qualcosa..

Non sapeva spiegarlo con esattezza.

Un piccolo brivido.

Evidentemente dovuto all'accostamento delle sue dita troppo fredde con il suo braccio, decisamente meno freddo.

Avvertì una sorta di scompiglio allo stomaco.

Indubbiamente fame, non aveva mangiato quasi nulla.

Sentiva il ticchettio delle gocce di pioggia che insistevano contro la finestra.

"Adoro questo suono."

Chiuse gli occhi e si lasció cullare come fosse una ninnananna, cadendo finalmente tra le braccia di Morfeo.

 

I giorni trascorsero piú velocemente di quanto si fosse aspettata.

Passó la Vigilia e pure Natale, di lí a poco sarebbe stato Capodanno.

L'ultimo giorno dell'anno era il suo preferito.

Il fatto di potersi guardare indietro, facendo il punto di tutti i successi e gli insuccessi raccolti durante l'anno che stava per terminare, le infondeva un senso di quiete. 

Poteva lasciarsi alle spalle tutto ciò che aveva influito negativamente sulla sua vita in quell'anno, trarre giovamento dalle vittorie, accantonare le sconfitte, imparare dagli errori, provando a non ricadervi.

E poi, guardare avanti, all'orizzonte del nuovo anno, animarsi di speranze e buoni propositi, fare progetti.

Sí, Helen aveva deciso di iniziare seriamente a pensare al proprio futuro. Doveva scavarsi dentro, guardarsi nel profondo e fare i conti con la sua essenza.

Chi voleva diventare?

Chi voleva essere?

L'idea della guaritrice non le diaspiaceva, tuttavia avrebbe voluto informarsi meglio riguardo questa ed altre professioni.

L'anno nuovo sarebbe stato un anno diverso, di svolta.

"Seh, lo dici tutti gli anni"

NO! 

Questa volta qualcosa sarebbe cambiato, se lo sentiva.

Doveva anche impegnarsi di più in Erbologia e Storia della Magia. Erano le materie che più odiava, non per un motivo particolare, ma perché l'annoiavano, non la motivavano per nulla.

Pensò ad Adeline. Le aveva mandato una lettera dalla Lapponia, lei e i suoi genitori avevano deciso di trascorrere il Natale lontano da Londra.

Allegata alla lettera c'era una foto che la ritraeva vicino ad una renna. Quell'immagine la faceva ridere quasi, non avrebbe mai immaginato Adeline avvicinarsi a nessun tipo di animale.

L'arrivo del 31 di dicembre, purtroppo, significava anche la fine delle vacanze ed il ritorno ad Hogwarts. 

C'erano dei pro e dei contro in questo.

I pro erano che, ovviamente, Helen avrebbe rivisto i suoi amici e sarebbe tornata ai Tre Manici di Scopa, le mancava quel posto, le mancava la burrobirra allo zenzero di madame Rosmerta.

I contro, invece, erano che sarebbe iniziato un nuovo trimestre, nuove lezioni, nuove verifiche. I professori sarebbero stati di sicuro più esigenti, dato che a fine anno avrebbero dovuto affrontare i G.U.F.O.

 

Helen prese il libro di trasfigurazione, doveva ripetere alcune cose. 

La McGranitt aveva annunciato, prima delle vacanze, che, una volta tornati, avrebbe somministrato loro un test di verifica delle competenze.

"Che pluffe."

Si sedette sul divanetto davanti al camino.

I ceppi di legno scoppiettavano e le fiamme si ergevano da questi.

Il padre era seduto sulla poltrona, proprio accanto a lei e, appena la vide, alzò gli occhi dal giornale.

«È passata la signora Weasley prima.»

«E?» lo invitò a continuare

«E ha detto che domani mattina aspetta te e Jacob. Intorno alle 9, se non erro.»

«Cosa dovremmo fare?»

«Non me lo ha detto, ma dovrai andarci da sola, Jacob deve accompagnarmi a Diagon Alley.»

«Mh, ok.», fece spallucce.

Il padre tornò al suo giornale.

Helen aprí il libro a pagina 134.

"Non so davvero cosa aspettarmi." pensò.

La signora Weasley sapeva essere misteriosa, quando voleva.

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Capitolo 9
*** Capitolo 6 - Contatti ***


Erano le 8:45 del mattino, alle 9:00 si sarebbe dovuta trovare a casa della signor Weasley per fare chissà cosa. 

Il padre non aveva accennato a nient'altro che avesse potuto far capire ad Helen il motivo di quell'adunata generale. 

"Sono anche in ritardo." pensò mentre si infilava un paio di jeans.

Il clima si era mantenuto stabile abbastanza durante quei giorni, non aveva più piovuto, nè tanto meno nevicato. Faceva comunque freddo, ma non eccessivamente.

Indossò il cappotto, avvolgendosi attorno al collo una sciarpa che richiamava i colori della propria casa, serpeverde.

Uscì di fretta, serrando la porta d'ingresso con un "Colloportus".

 

Non ci volle molto per arrivare a casa Weasley , avvicinandosi poco a poco all'abitazione, notò una massa di teste color carota radunate davanti al campo.

Si affrettò, cercando di mettere a fuoco i volti.

C'erano quasi tutti, tranne il signor Arthur che, probabilmente, doveva trovarsi al ministero.

«Oh ecco Helen!» esclamò Molly entusiasta.

La signora Weasley le si avvicinò, abbracciandola goffamente.

Gli sguardi degli altri componenti della famiglia si posarono su di lei.

C'erano quasi tutti, tranne la piccola Ginny.

Sentí le guance tingersi di rosso.

Non era per niente una persona introversa o tendente al sentirsi in soggezione davanti ad altri, ma essere cosí al centro dell'attenzione le faceva sempre un certo effetto.

«Buongiorno signora Weasley.» le sorrise.

«Molly tesoro, solo Molly.»

Dopo pochi secondi congiunse le mani, acquisendo un espressione più seria e assumendo la classica posizione di chi sta per spiegarti qualcosa.

«Allora..» iniziò, «Oggi vi ho voluti qui perchè avrei bisogno che voi mi aiutaste in una cosa.»

«Che tipo di...cosa?» domandó Helen.

Sperava vivamente che non le avrebbe chiesto di cucinare o preparare dolci.

"Che figura farei..." pensó tra sè

«Degnomizzazione, tesoro.» rispose lei.

«AHHH LO SAPEVO. Mi devi 5 galeoni, Fred!» esclamó improvvisamente George, porgendo la mano aperta al gemello.

«GEORGE!» lo rimproveró mamma Weasley.

«La de- cosa?» chiese Helen confusa.

Non aveva esattamente capito cosa avrebbe dovuto fare.

«Disinfestazione dagli gnomi.»

Questa volta a risponderle fu Charlie.

«Ci rovinano sempre il giardino, fanno dispetti, insomma, bisognerebbe cacciarli.» aggiunse poi il rosso, dopo poco.

"Bene..." si disse Helen sarcasticamente 

"Proprio ció che ci voleva"

Forse sarebbe stato meglio cucinare.

«Sai come si fa, mia cara?» le domandó Molly.

Lo sapeva? 

Forse si. 

Cioè teoricamente sapeva come cacciare uno gnomo, ma praticamente...

«Più o meno.» replicó.

«Non preoccuparti i miei figli sono abituati, ti mostreranno loro.» ribattè la signora Weasley.

«Forza, forza a lavoro.»

Battè le mani piú volte, sollecitandoli.

Helen era davvero incredula riguardo l'abilità che possedeva nel cacciarsi in situazioni a dir poco imbarazzanti.

Era consapevole del fatto che per cacciare uno gnomo bisognasse farlo ruotare tre volte sopra la testa, per poi lanciarlo lontano con non poca forza e lei, beh, non credeva di essere proprio tanto tenace.

Era piuttosto esile.

Non che fosse tutta pelle e ossa, ma nemmeno tanto erculea.

Mentre si dirigevano verso il giardino, i gemelli le si avvicinaro, uno a destra e l'altro a sinistra, come solevano fare.

In realtà Helen aveva imparato a riconoscerli anche da questo: George si collocava quasi sempre a destra, mentre Fred a sinistra.

«Allora Helen, hai mai lanciato uno gnomo?»

A parlare fu Fred, che, difatti era proprio alla sua sinistra.

«No, però posso provarci.»

«Per Merlino, pensavamo che non fosse la prima volta per te.» esclamò George.

«Perchè?» domandò.

Chissà cosa avevano in mente quei due.

«Devi sapere che io e Fred, ad ogni degnomizzazione, facciamo una gara a chi li lancia più lontano.» continuó George.

«È divertente! Ma vedi, attualmente siamo rivali. Se ti mostrassimo come si fa, rischieremmo di perdere» esclamò Fred, scrollando le spalle.

«Sono regole purtroppo.» fecero all'unisono, ridacchiando.

"Si, certo, come se a voi importasse qualcosa delle regole!" 

Pensò tra sé e sé.

Una gara.

Ci mancava solo una gara (che d'altronde avrebbe sicuramente perso) per rendersi ancora più impacciata e ridicola.

Non che le fosse mai sorto alcun problema su come si mostrasse ai gemelli. Loro conoscevano il meglio e il peggio di lei.

"Tuttavia.."

Si voltó per un attimo in direzione di Charlie.

"C'è anche Charlie..."

Ovviamente non le importava piú di tanto, però...

Però quel ragazzo l'aveva sicuramente già etichettata come stramba, non voleva che questa concezione di lei si rafforzasse.

«Accetti la sfida?» 

La domanda pronunciata all'unisono dai gemelli, la destó dai pensieri.

«Si.» azzardó.

Nonostante le mille paranoie che le occupavano la testa, lei era Helen Clark, lei era una serpeverde, non era nel suo modus vivendi rinunciare alle sfide.

«OTTIMO.» esclamarono poi i gemelli.

Si sistemarono in un lato del campo in cui, a detta di Fred, c'erano molti più gnomi.

Si misero, poi, alla ricerca di qualcuno. 

Helen ne acciuffó subito uno e aspettó che lo facessero anche i gemelli.

Si posizionarono a pochi metri di distanza l'uno dall'altro.

«Pronti..» inzió Fred.

Helen inizió a far vorticare lo gnomo sulla testa.

«Partenza..» 

Sentiva l'adrenalina scorrere nelle vene.

«VIA!» urló.

Caricó il lancio con tutta la forza che possedeva, compiendo gli ultimi giri e poi fece volare quell'esserino.

Vide il suo gnomo cadere poco dopo la recinzione, mentre quelli di Fred e George proseguirono impercettibili il volo.

«HO VINTO!» urló George.

Che fiasco!

Helen sbuffó sonoramente, mentre i gemelli si rivolgevano nuovamente a lei.

«Un po' deboluccia, la nostra piccola Helen.» 

Fred le si avvicinó, scoccandole un pizzicotto sulla guancia, poi rise.

«Sbagli il lancio.» le disse George, sorridendo.

«Vuoi una rivincita?» propose.

«No, no» rispose lei. «Provo a cercarne qualcuno da quell'altra parte.» aggiunse, indicando l'altro lato del giardino.

«Ok!» risposero all'unisono i due rossi. Poi George si rivolse al fratello. 

«Questa volta ci giochiamo 3 galeoni.»

«Ok ci sto.» 

Helen avrebbe voluto avere un po' del loro entusiasmo.

Odiava già gli gnomi.

 

Non aveva problemi nell'acchiappare gli gnomi, era agile, li afferrava prima che loro si accorgessero della sua presenza.

Il suo problema era il lancio.

Per alcuni dovette provarci più volte.

Era al terzo, forse quarto, gnomo e ne vedeva sbucare ancora parecchi.

Alzó lo sguardo al cielo, controllando la posizione del sole per capire che ore fossero.

"Probabilmente le 11." 

Ne afferró un altro, iniziò a farlo girare mentre quest'ultimo si dimenava.

«Mooollami, mooooollami.» 

«Oh per Salazar, ma stai zitto!» si lamentó Helen, lanciandolo poco dopo.

Riuscì a fargli sorpassare la recinzione e questo le provocó una fugace sensazione di soddisfazione.

«Sei crudele.»

Trasalì. Poi si voltó.

Aveva riconosciuto la voce: Charlie.

Si era avvicinato e rideva.

«Peró sbagli il lancio.» le disse, quando le fu abbastanza vicino.

«Lo so...» rispose lei.

Lo sapeva davvero, glielo avevano detto anche i gemelli.

Infatti aveva provato a farlo in modo differente: modificando l'angolazione, la direzione, la forza.

Ma nulla.

Charlie si abbassó, acchiappandone uno e inziando a farlo volteggiare sopra la testa.

I muscoli tesi delle braccia si intravedevano da sotto il maglione.

«Devi fare cosí, vedi?» 

Le si rivolse nuovamente, poi lanciò la piccola creatura.

«Capito?» 

Le sorrise debolmente e con fare premuroso, mentre aspettava che gli rispondesse.

«Non proprio.»

Si era distratta a guardare le sue braccia, senza focalizzarsi davvero su quello che le stesse mostrando.

«Mh...»

Si mosse, afferrò uno gnomo.

Glielo porse e lei lo prese.

Helen non capí bene cosa stesse accadendo, ne' tantomeno come fosse accaduto, perchè lui si era posizionato alle sue spalle.

Con una mano le cinse la vita, tenendola ferma, con l'altra le afferrò leggermente il polso della mano destra, con cui teneva lo gnomo.

Portò il braccio di Helen in alto, accompagnandolo nella rotazione.

La sua presa era forte, salda, ma non fastidiosa. 

Era un tocco gentile, come se avesse paura di farle male.

Sentiva di nuovo le loro pelli a contatto: quella di Charlie era più ruvida, leggermente callosa.

Il petto robusto di lui era premuto contro la sua schiena.

Il profumo del ragazzo le inondò le narici. Non riusciva a capire che fragranza fosse, ma somigliava all'odore del muschio, misto, probabilmente a quello di pino.

«Devi giocare di gambe. La forza risiede lí.» disse improvvisamente lui.

Tolse la mano dal fianco, picchiando lievemente la coscia di lei, indicando il punto in cui doveva concentrare la potenza.

Sentí le guance diventare un fuoco.

Helen si voltó a guardarlo, notando come lo sguardo di lui fosse già posato su di lei.

I loro occhi si incontrarono, restando lì per...

Non seppe dire quanto, per lei sembró un eternità.

Un brivido le percorse la schiena.

Sentiva il viso in fiamme.

Ma cosa le stava succedendo?

Era Charlie. Charlie Weasley.

L'amico di suo fratello, il ragazzo che conosceva da piccola, era solo...lui.

"Ed è davvero bello."

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Capitolo 10
*** Capitolo 6.0 - Vaniglia ***


La signora Weasley li aveva buttatu giú dai letti alle otto in punto, blaterando qualcosa sull'aiutarla con un piccolo lavoretto domestico.

Nonostante i tentativi dei gemelli di carpirle qualche informazione, lei non si era pronunciata fino a quando non li aveva visti tutti riuniti davanti al giardino.

E con tutti intendeva: lui, i gemelli ed Helen Clark.

Non capiva perché la madre avesse preteso anche la presenza di Helen, evidentemente doveva essere una faccenda non proprio "piccola".

Un'ipotesi iniziò a formarsi nella sua mente.

"Non mi dire che.."

La signora Weasley prese la parola, spiegando loro il perchè li avesse convocati tutti.

«Che tipo di...cosa?»

La Clark sembró, più che incuriosita, intimorita.

Beh, come darle torto, la madre sapeva essere un tumulto di sorprese quando voleva (anche negative talvolta).

«Degnomizzazione, tesoro.»

Lo sapeva!

«AHHH LO SAPEVO. Mi devi 5 galeoni, Fred!»

George sembró dare voce ai suoi pensieri. D'altronde, i Weasley erano abituati a quel "piccolo lavoretto domestico".

Si voltó verso Helen.

Ma lei? 

«La de- cosa?» chiese lei.

«Disinfestazione dagli gnomi.»

La Clark lo guardó, leggermente perplessa.

«Ci rovinano sempre il giardino, fanno dispetti, insomma, bisognerebbe cacciarli.» spiegó lui.

Dopo poco la madre li sollecitó ad iniziare il lavoro, prima che si fosse fatto eccessivamente tardi.

Mentre sceglieva la zona del campo da disinfestare, vide i gemelli portare con se' Helen in una regione del giardino praticamente opposta alla sua.

Immaginava che avessero voluto coinvolgerla in una delle loro gare di lancio.

"Povera Helen."

Sorrise, sapeva quanto competitivi sapessero diventare i gemelli quando si trattava di sfide.

«OTTIMO.» li sentì urlare.

Evidentemente aveva accettato.

Scosse la testa, continuando a sorridere.

"Buona fortuna, Helen."

 

Stava portando il conto di quanti gnomi fosse in grado di acchiuffare e lanciare.

Dieci, ed era passata poco meno di un'ora.

Un ottimo risultato, pensò.

La degnomizzazione poteva essere un perfetto allenamento, serviva applicare una cerca forza, sia nelle braccia che nelle gambe.

Aveva appena lanciato il suo unidicesimo esserino, quando sentì uno dei gemelli urlare con un certo entusiasmo.

«HO VINTO!» 

Era George.

La loro gara doveva essersi conclusa.

Si voltó nella loro direzione, in modo da capire cosa stesse succedendo, quando vide Helen scuotere leggermente la testa ed allontanarsi in direzione di un'altra parte del giardino.

Appariva leggermente spaesata, doveva essere la prima volta che partecipava ad una disinfestazione di quel genere.

Avrebbe voluto aiutarla, ma non gli sembrava il caso.

Afferró un altro gnomo che cercava di sgattaiolare via proprio davanti ai suoi piedi.

«Dove vai eh?» chiese retoricamente.

Inizió a farlo volteggiare.

Uno.

Due.

Tre.

Lanció.

Si protesse gli occhi con una mano, per evitare che il sole, o quantomeno i fiochi raggi, avessero potuto nascondergli la traiettoria del lancio.

Il suo sguardo si posó nuovamente sulla Clark.

Era notevolmente in difficoltà.

"Non credo se la prenda se provo ad aiutarla." pensó, mentre le si avvicinava.

Teneva la mano salda attorno alla piccola gamba di uno gnomo, il quale si dimenava, lamentandosi fastidiosamente.

«Oh per Salazar, stai zitto!»

Era piuttosto irritata e questo lo fece sorridere.

«Sei crudele.» le disse, ridendo.

Lei sussultó, non se lo aspettava.

«Peró sbagli il lancio.» aggiunse poi.

«Lo so...» gli rispose affranta.

Decise di mostrarglielo.

Si abbassó per afferrare un altro di quei fastidiosi esserini, iniziandolo a farlo roteare sopra la propria testa.

«Devi fare così, vedi?»

Lo tiró.

«Capito?»

«Non proprio.» rispose lei, incerta.

Forse doveva provare un approccio piú...pratico.

Uno gnomo stava uscendo dal proprio nascondiglio in quell'istante, lo agguantó.

Si avvicinó ad Helen, ponendoglielo e lei lo prese.

Si posizionò alle sue spalle, cingendole la vita, appongiando la mano sui suoi fianchi, quanto bastava per tenerli fermi.

Afferró il polso destro, accompagnando il braccio di lei verso l'alto, che accostato al suo, sembrava ancora più esile.

Però le donava quel suo essere gracile, come se necessitasse di protezione.

La presa non era forte, cercava di non esercitare troppa pressione per paura di farle male.

"Non voglio pensi che sia un selvaggio."

Ad un certo punto la guardó, analizzandone il profilo. Helen aveva lo sguardo fisso verso un punto indefinito, proprio davanti a lei.

Era in imbarazzo, lo aveva notato dalle scocche rosse che le si erano formate in viso.

Ne osservò i contorni: aveva un naso delicato e leggermente all'insù, le labbra rosee non troppo sottili nè troppo voluminose.

«Devi giocare di gambe. La forza risiede lì.» le disse.

Portó la mano sulla sua coscia, sperando che questo non la infastidisse, indicandole il punto esatto in cui doveva concentrare la potenza.

"Ha un buon odore" pensó.

Ed era vero. 

Sebbene fosse più alto di lei, poteva sentire l'odore che i suoi capelli emanavano.

Profumava di vaniglia.

Era una fragranza dolce, così dolce da solleticargli il naso, tuttavia, non spiacevole.

Rimase per un istante fermo, respirando quel dolce aroma.

Chiuse gli occhi per un istante.

Li riaprì, tornando immediatamente alla realtá.

Lei si voltó nella sua direzione e i loro sguardi s'incrociarono.

Notó che erano di un azzurro limpido, come quello del cielo senza nuvole.

Non sapeva quando quella ragazza  fosse diventata così bella.

E quando lui lo aveva notato, precisamente?

«Ehi voi due. Lasciatemi andaaaare, lasciateeemi.»

Il contatto visivo fu bruscamente e immediatamente interrotto dal lamentarsi e divincolarsi dello gnomo.

Helen abbassó subito lo sguardo, arrossendo visibilmente, era la seconda volta, mentre Charlie si scostó dalla ragazza, posizionandosi alla sua sinistra.

«V-vai, lancialo come ho fatto io prima.» 

Ma cosa gli era preso.

Lei annuì, continuando a rivolgere lo sguardo altrove.

Era imbarazzata.

La comprendeva perché anche lui si sentiva un attimo disorientato, come se gli si fosse presentata una nuova specie di drago, di cui lui non conosceva praticamente nulla e su cui era teoricamente impreparato.

La ragazza lanció lo gnomo, ma nuovamente il risultato non fu quello sperato.

Helen sbuffó.

«Vabbe' Charlie, ci rinuncio. Vado ad aiutare la signora Weasley con qualcos'altro.»

Fece per andarsene, quando lui le afferró il polso.

«No.» disse.

Fu un gesto istintivo.

Lei lo fissó visibilmente confusa.

«Ehm, scusa.» 

Molló la presa.

«Possiamo collaborare...se ti va, ovviamente.» propose lui.

Vide Helen tentennare.

Immaginava che l'avesse leggermente sconvolta con quel suo comportamento.

«Nel senso che tu potresti afferrarli e io lanciarli, che ne dici?» tentó di spiegare.

Una vocina nella sua testa sperava che lei accettasse l'invito.

Era forse il suo subconscio che gli parlava? Forse lui desiderava davvero che lei restasse?

«Non è una cattiva idea.» rispose lei, incurvando appena le labbra in un'espressione accondiscendente.

Charlie non sapeva perché, ma quando lei gli sorrideva, seppur leggermente, un piccolo brivido gli solleticava la nuca, espandendosi alla schiena.

Come una goccia che scorre lungo la spina dorsale, pizzicando vertebra per vertebra.

Lei si avvicinó.

Appena fu a poca distanza da lui, di nuovo il profumo di vaniglia gli inondó le narici.

Doveva essere questo il motivo per cui non voleva che se ne andasse.

Quell'aroma...lo aveva stregato, forse peggio di un Imperius.

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Capitolo 11
*** Capitolo 7 - Partenze ***


Helen stava correndo con il suo carrello verso il muro tra i binari 9 e 10 della stazione di King's Cross. 
Le faceva sempre uno strano effetto, per quanto fosse diventato un gesto abituale, ogni volta aveva paura di schiantarsi contro quei mattoni.
Passó subito dopo i Weasley, seguita a ruota dal padre e da Jacob.
C'erano tutti, anche se di lì a poco suo fratello e Charlie sarebbero dovuti tornare in Romania.
Chissà quando li avrebbe rivisti di nuovo.
Alzó lo sguardo in direzione del grande orologio che si trovava sulla banchina del binario 9 e 3/4.
Le 10:50, tra 10 minuti il treno sarebbe partito, nuovamente, alla volta di Hogwarts.
Sentiva la signora Weasley elencare un'infinita serie di raccomandazioni ai gemelli, pregandoli di non farle ricevere nessun'altra lettera d'ammonizione.
Si giró verso suo padre e suo fratello.
«Allora Helen ci ved-» 
Non permise a Jacob neppure di terminare la frase, perché gli si lanció tra le braccia, stringendolo forte e poggiando la testa all'altezza del petto.
«Quando tornerete?» chiese lei, restando in quella posizione.
«In estate io, Charlie...non lo so, presumo di si.» rispose.
Sentir nominare il secondogenito dei Weasley le fece un effetto strano.
Sentì il battito accelerare per un millesimo di secondo.
Ricordó la degnomizzazione e, in particolare, la sensazione che aveva provato stando a contatto con lui, standogli così vicina.
Forse la sua pelle si era abituata a quella sensazione, forse desiderava sentire ancora una volta il suo tocco.
Cacció via quei pensieri.
A volte la mente le faceva brutti scherzi.
Si staccó da Jacob, poi abbracció il padre.
Proprio mentre era stretta al signor Clark, gli occhi scattarono in direzione dei Weasley.
Lo sguardo ricadde su Charlie, fermandosi un attimo lì.
"Sta diventando un'abitudine." pensó.
E questa cosa le faceva un po' paura, non voleva in alcun modo maturare una minima cotta per lui.
"Assolutamente no."
Ma che pensieri le venivano in mente?! Era totalmente fuori discussione.
Era cresciuta, maturata, cambiata e sicuramente non era più una stupida ragazzina che s'infatuava del primo bel viso che vedeva.
E poi lui era Charlie.
Lo conosceva da una vita. Eppure, non aveva mai pensato alcuna di quelle cose che ora la sua mente si divertiva a propinarle.
I gemelli le si avvicinarono, attesero che avesse finito di salutare i suoi, per poi incamminarsi lungo la banchina.
Sperava di trovare qualche vagone tranquillo.
«Ciao tesoro, mi raccomando.» 
La signora Weasley l'abbracció.
«Non si preoccupi Molly, li tengo d'occhio io.» le rispose Helen, sorridendo.
Fece un cenno prima al signor Weasley e poi a Charlie.
«Ciao Helen.» fece lui.
Ebbe un fremito, sentendo il proprio nome pronunciato dal ragazzo.
Doveva essere sicuramente il freddo.
Il fischio della locomotiva, che segnava la pronta partenza, li indusse ad affrettarsi, così, dopo aver afferrato il proprio baule, seguì i gemelli fino all'entrata del vagone.

Stavano cercando uno scompartimento libero, ne avevano passati giá cinque.
Era un'impresa ardua, Helen se lo aspettava.
Erano appen entrati nel sesto vagone, quando una figura sorridente le si posizionó avanti.
«Eccovi finalmente!»
Adeline.
Le sembrava diversa, aveva il volto più rilassato.
Adeline era una ragazza magra, leggermente meno esile rispetto ad Helen, ma alta più o meno quanto lei. Aveva capelli corti, di un castano intenso, occhi color nocciola, che ispiravano sicurezza.
Sebbene Helen avesse appena lasciato la sua famiglia al binario, accanto alla sua amica si sentiva in un posto sicuro. 
Erano una bella squadra, loro due.
«Vi ho occupato dei posti.» continuó poi, invitandoli ad accomodarsi.
«Sei una salvezza, Adeline.» le rispose, salutandola con un abbraccio.
«HEY Helen.»
Non se n'era ancora accorta, ma seduto con loro c'era anche Lee Jordan, il quale si alzó immediatamente non appena la vide entrare.
«Ciao Lee.» rispose semplicemente lei.
Lui la guardava come era solito fare: pareva che le pupille avessero acquisito la forma di due giganti cuori.
Ebbene, Lee Jordan la corteggiava dal primo anno e, nonostante i suoi continui rifiuti, il ragazzo pareva non disposto a demordere. Prima i poi sarebbe arrivato ad utilizzare un filtro d'amore.
Da un lato ammirava la sua perseveranza, dall'altro la sua insistenza un po' la infastidiva.
Tuttavia, non gliel'aveva mai fatto pesare, era un bravo ragazzo dopotutto.
Doveva ammettere peró che un po' le piaceva essere desiderata in quel modo. Ogni volta che ne aveva l'occasione Lee le offriva una cioccorana, questo era sicuramente un vantaggio.
«HEY LEEE.» esclamarono i gemelli, come sempre, all'unisono.
Si sedettero subito accanto all'amico, blaterando qualcosa sulla progettazione di nuovi scherzi per il nuovo anno.
Diede un'ultima occhiata fuori dal finestrino prima che il treno si mettesse definitivamente in moto.
Squadrava le persone ferme sul binario che scuotevano le mani in direzione della locomotiva, come se stesse cercando qualcuno.
Forse stava realmente provando a trovare qualcuno con lo sguardo, e forse quel qualcuno era...
«Helen!»
Adeline la riportò alla realtà.
«Qualche volta mi farai entrare in quel mondo dove ti perdi ogni volta?» aggiunse scherzosamente.
«Mh, vedremo.» ribattè lei con lo stesso tono giocoso.
«Mi sei mancata.» riprese poi l'amica.
«Anche tu.»
Le sorrise. 
Le era mancata davvero.
Adeline sapeva capirla, non la giudicava, non lo aveva mai fatto, l'ascoltava, le era stata vicina quando ne aveva avuto bisogno.
Era la sua migliore amica.
Si conoscevano da quando erano bambine, le loro madri erano state a loro volta amiche.
«Hai qualcosa da raccontarmi.»
«Mh, non molto, tu?»
«Non era una domanda.» puntualizzó lei.
«Ti conosco, sai.»
La stava guardando con occhi vispi. 
Era incredibile quanto ormai sapesse leggerle i pensieri, quasi come se sapesse decodificare ogni suo atteggiamento.
Aveva qualcosa da raccontarle?
Non le sembrava, a parte il fatto che avesse passato quasi tutte le vacanze natalizie a studiare Incantesi e Trasfigurazione, e che aveva preparato dei biscotti commestibili (stranamente), e che aveva lanciato gnomi a destra e a manca, e che...
"E che Charlie..."
«Ho battuto otto volte Jacob a scacchi.» rispose.
«Otto volte???»
«Forse nove.»
Adeline rise, poi iniziò a girarsi i pollici, arrossendo lievemente.
Helen sapeva cosa quell'atteggiamento significasse, poteva voler dire una cosa soltanto: stava per chiederle di Jacob.
Anche lei aveva imparato a comprenderla, ad intrepretare ogni suo atteggiamento.
«E come sta? Intendo J-Jacob»
«Sta bene. Durante le prossime vacanze devi assolutamente venire a trovarci.»
«Sicuro, contaci!» rispose lei entusiasta.
Ora il binario 9 e 3/4 era divenuto un punto lontano.
Da ogni scompartimento provenivano schiamazzi e chiacchiere. Tutto quel rumore peró, non riusciva a tenere a freno i pensieri di Helen. 
Se c'era una persona di cui Helen si fidava ciecamente, quella era Adeline.
Eppure non le aveva ancora raccontato tutta la verità.
Una verità che, nel profondo, la turbava.

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Capitolo 12
*** Capitolo 8 - Scontri ***


Il viaggio durò ore, come al solito. 

Quando furono giunti a destinazione, l'oscurità avvolgeva la stazione. 

Helen aveva trascorso la metà del tempo con lo sguardo rivolto alle vaste campagne che ogni volta attraversavano.

Amava perdersi in esse, fantasticare, immaginare di correre attraverso i campi, con il vento che le scombinava i capelli, sfiorandole, pungente, la pelle del viso.

Immaginava immensi spazi gremiti di fiori variopinti, tutti diversi. 

Aveva un debole per i fiori da campo, adorava il loro profumo.

Quando ne trovava alcuni, era solita coglierli, formando dei piccoli mazzetti con cui adornava la propria camera.

A volte ne metteva qualcuno tra i capelli chiari.

Quando era piccola, sua madre le aveva insegnato a realizzare delle coroncine di fiori e a volte, nonostante avesse ormai quasi diciassette anni, si dilettava a crearne ancora.

Una volta arrivati ad Hogsmeade, ognuno si affrettó a prendere i propri bagagli, per poi assemblarsi in attesa delle carrozze magiche, che li avrebbero condotti fino all'ingresso di Hogwarts.

Mentre era in attesa, qualcuno la urtò bruscamente, facendole cadere il libro che stava reggendo.

«Non ti avevo vista, Clark.»

Era Erika Raylee.

«O dovrei chiamarti biscia?»

Una serie di schiamazzi accompagnarono quella domanda.

Erika era la serpeverde più odiosa della scuola, anzi dell'intero mondo magico.

Da quando Helen era stata smistata in quella casa, non aveva fatto altro che rinfacciarle il proprio disprezzo, non aveva fatto altro che ricordarle ogni giorno quanto fosse superiore.

Erika era una di quelle streghe che credevano fermamente nella superiorità del sangue puro, per questo, non aveva perso occasione di rinfacciarle come lei e la sua famiglia fossero traditori del proprio sangue, proprio come i Weasley.

Stupidaggini.

«Per Salazar, non sapevo che le oche potessero parlare.» ribattè Helen.

La vide avvicinarsi insieme al suo gruppo di scagnozzi senza cervello.

Proprio come lei d'altronde.

«Lurida biscia.» sputó Erika, con astio.

Le si avvicinò ancora di più con fare minaccioso.

"Tipico." pensò Helen.

Erika era più alta di lei e più robusta, aveva dei corti capelli neri e un'espressione perennemente astiosa, come se avesse saputo provare solo disprezzo per chiunque.

La presunzione era la cosa che più odiava di lei.

Non le importava ciò che le diceva, più che altro la infastidivano i suoi atteggiamenti ed il fatto che continuasse a provocarla. 

Prima o poi le avrebbe lanciato una fattura stendente.

D'altronde anche la sua pazienza aveva un limite.

«Non smetterò mai di dirtelo Clark, tu non hai nemmeno un capello degno dei discendenti dei serpeverde. Si, sarai anche una purosangue, ma guardati...»

La squadrò da capo a piede, posando poi quel suo sprezzante sguardo su Adeline, per poi passare ai gemelli, Lee ed infine di nuovo a lei.

«Passi il tuo tempo con questi stupidi Grifoidioti. Non sei una vera serpe Clark, sei solo un'inutile biscia.» continuò Erika.

Attendeva una sua risposta, una sua reazione.

Helen aveva imparato a controllarsi, evitando inutili discussioni con persone altrettanto inutili, proprio come la Raylee.

"Voglio essere superiore." si disse.

E lo voleva davvero.

Non aveva intenzione di abboccare, ne' di abbassarsi ai suoi livelli.

«Me ne farò una ragione, Erika.» rispose, sorridendole beffarda.

"Cogli di sorpresa il nemico, con una mossa che non si aspetta" le diceva sempre il padre.

Difatti, Erika rimase a fissarla per qualche secondo.

Era evidente che fosse a corto d'idee.

Le rivolse un ultimo sguardo carico di disprezzo, per poi girare le spalle e andarsene.

Adeline le si avvicinò, posandole una mano sulla spalla.

«Ma come fai a sopportarla?» le chiese.

«Abitudine.»

Aveva un piccolo ghigno stampato sul volto, simbolo di soddisfazione, merito della vittoria conquistata nella precedente battaglia verbale.

"1-0 per me, iniziamo alla grande."

Forse davvero avrebbe potuto aspettarsi qualcosa di buono da quel nuovo anno.

 

Le carrozze non tardarono ad arrivare e, dopo il breve tragitto verso il castello, con tanto di vista panoramica, gli studenti che rientravano, furono lieti di accomodarsi in sala grande, ricongiungendosi ai loro amici. 

La cena sarebbe stata servita di lì a poco.

Ogni volta che ritornava lì, anche dopo un breve periodo, si accorgeva di quante cose le fossero mancate.

Si rese conto di aver avuto nostalgia del soffitto incantato, ad esempio.

Quella sera il cielo era limpido, e regalava a tutti una vista chiara del firmamento.

Il tempo che la separava dall'ora di cena le permise a stento di congedare i suoi amici e recarsi nel suo dormitorio per posare i bagagli.

Facendo ritorno alla sala grande aveva provato a sistemare la divisa, come meglio poteva, stirandola qui e lá, con le mani. L'aveva indossata di fretta durante l'ultima mezz'ora di viaggio.

Non appena ebbe rimesso piede in sala, gettó uno sguardo al tavolo dei Grifondoro: Adeline stava conversando animatamente con i gemelli Weasley e con Ron.

Si diresse dalla parte opposta, al tavolo della sua casa, in cerca di due volti conosciuti.

Le bastó poco per individuare Ava Anderson e Logan Lewis.

Erano due delle poche persone con cui andasse d'accordo, o che perlomeno non avessero la mania del sangue puro.

Prese posto accanto ai due amici, che la salutarono gioiosi, chiedendole come avesse passato le vacanze.

Helen raccontó sommariamente gli avvenimenti che avevano caratterizzato il suo rientro a casa, senza scendere troppo nel dettaglio.

«E a te Logan? Sei rimasto qui, vero?»

Helen si rivolse all'amico seduto alla sua destra.

«Si, ma non è stato cosí noioso, ho fatto amicizia con alcuni Corvonero e ho anche scoperto qualcosa.» disse lui, assumendo un tono misterioso verso la fine.

Logan sapeva come catturare l'interesse delle due ragazze durante una conversazione.

«Sputa il rospo!» esclamò Ava ansiosa di sapere.

«Sputa che?» chiese lui, sgranando appena gli occhi.

«È un'espressione babbana, significa "muoviti a parlare".» spiegò velocemente Helen, altrettanto curiosa.

«Ah ok.» 

Logan si concesse una piccola pausa.

«Ho saputo dal professor Flitwick che stanno organizzando per quest'anno degli "incontri formativi".»

«E cosa sono?» chiese Ava.

«Da quanto ho capito una sorta di lezioni volte ad aiutarci nell'approccio al mondo magico del lavoro. Saranno tenute da persone che già si trovano in quel determinato ambito.»

«Potrebbe essere interessante.» commentò Helen.

«Ma non è ancora ufficiale, per cui..» continuò Logan, facendo segno loro di tenere la bocca chiusa.

«Acqua in bocca. Abbiamo capito.» asserrí poi Ava.

«Ma non ho mica l'acqua in bocca io...» rispose Logan confuso.

«Lascia perdere.» sbuffó infine Ava, accompagnando la sua affermazione con un gesto della mano.

La loro conversazione fu poi interrotta dal professor Silente che prese la parola, augurando a tutti gli studenti "Buon anno".

La cena ebbe inizio, ed Helen, come tutti gli altri studenti che avevano dovuto affrontare il lungo viaggio, ne fu lieta. 

Dopo aver riempito lo stomaco con una bella razione di patate arrosto e roast beef, aveva deciso di servirsi una porzione di budino al cioccolato.

Pensó che sarebbe stato meglio affogare i suoi pensieri in quel dolce squisito.

L'indomani le lezioni sarebbero ricominciate.

Il pensiero di dover affrontare prove di verifica, pratiche e teoriche, in vista dei G.U.F.O, le faceva accapponare la pelle.

Dopo cena aveva trascorso qualche minuto in cortile.

Una boccata d'aria era necessaria dopo tutto quel cibo.

Quando la stanchezza aveva cominciato ad appesantirle le palpebre, aveva salutato Adeline, di cui era in compagnia, e si era diretta insieme a Logan nei sotterranei.

Avevano attraversato insieme il passaggio, poi lo aveva salutato, camminando rapidamente attraverso la sala comune per recarsi nel suo dormitorio, senza badare a chi fosse seduto sul divano, davanti al fuoco caldo.

Quando si fu messa nel letto, sotto le coperte, era così esausta che quasi nessun pensiero fu capace di occuparle la mente. 

Forse solo uno.

La voce rassicurante di Charlie.

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Capitolo 13
*** Capitolo 9 - Equivoci ***


Il mese che seguì al loro rientro fu incredibilmente impegnativo.

Helen trascorreva i giorni tra le lezioni e i compiti da svolgere, tra le aule e la biblioteca.

 Madama Hooch le aveva proposto di prendere parte ai provini di Quidditch per il ruolo di cacciatrice, rimasto vacante dopo l'infortunio dell'ormai ex-giocatore David Anderson.

«Hai talento signorina Clark, dovresti provare» le aveva detto.

Tuttavia Helen aveva preferito declinare l'invito, in quanto già impegnata nel club di musica, il quale, d'altronde, nell'ultimo periodo, le stava sottraendo tantissimo tempo.

Riuscire a conciliare tutte le attività la stava facendo impazzire, anche perché questo le impediva di passare il tempo, che avrebbe voluto, in compagnia dei suoi amici, sebbene questi fossero altrettanto indaffarati.

Ormai i loro incontri si erano limitati ai soli giorni del fine settimana.

Sebbene il club di musica fosse divenuto l'ennesimo impegno, lei non ci avrebbe rinunciato mai.

Helen era davvero intonata, Adeline le diceva che, quando accompagnava la voce al pianoforte, sembrasse di ascoltare un usignolo. Si emozionava al punto tale da commuoversi.

Suo padre diceva che questo fosse un altro talento ereditato da sua madre e che lui, tra le tante cose, si fosse innamorato proprio della sua bellissima voce.

Lei gliela ricordava in tutto, ed Helen non poteva far altro che andarne fiera.

 

Febbraio arrivó più velocemente di quanto si aspettasse e di lì a poco sarebbe stato San Valentino, uno dei giorni che più odiava.

Non sapeva esattamente perché non sopportasse il famigerato giorno dell'amore, forse per l'ipocrisia che regnava sovrana in quella data.

Helen era fermamente convinta che non fosse necessario un determinato giorno per esprimere il proprio amore nei confronti di qualcuno.

Ogni giorno sarebbe potuto essere quello ideale, quello giusto, bisognava solamente trovare il coraggio di farlo, era semplicemente necessario credere in ció che si provava, nei propri sentimenti.

 

San Valentino arrivò, portando con sé lettere d'amore, appuntamenti, dichiarazioni e tutta quell'atmosfera rosea e sdolcinata.

"Che esagerazione."

Lo diceva ogni anno e, come da rituale, Helen aveva scelto di trascorre la maggior parte di quella giornata in biblioteca. Quasi come se avesse voluto nascondersi dalle canzoncine intonate da Peeves e dai cioccolatini che volavano a destra e a manca.

Amava quel posto: lí poteva godere di un silenzio rilassante, perfetto nel momento in cui era necessaria un po' di concentrazione.

Il professor Piton aveva assegnato loro una relazione in cui bisognava elencare e spiegare dettagliatamente tutti gli effetti indesiderati che una certa pozione, da lui attribuita, poteva causare.

A lei era capitato il Distillato di confusione.

Trovó ció che le serviva, poi si mise a sedere ad un tavolo piuttosto tranquillo.

O almeno cosí credeva, perchè dopo appena cinque minuti si accomodarono proprio di fianco a lei, i maghi meno quieti che Helen conoscesse.

«Ciao Helen, come stai?»

I gemelli Weasley si posizionarono ai suoi lati, spezzando quel meraviglioso silenzio che fino a poco prima vigeva.

«Che ci fate qui?» chiese lei immediatamente, cercando di parlare a voce più bassa possibile.

Quei due non venivano mai in biblioteca, ergo avevano qualche strana idea che frullava nelle loro (troppo) vivaci menti.

«Oh Helen anche a noi va tutto bene, come sei gentile a chiederlo.» disse Fred in tono visibilmente scherzoso.

«Abbassate quella voce» li rimproveró lei.

«Mica stiamo urlando? Ti risulta che stiamo urlando, Freddie?» controbattè George, alzando a più non posso il tono della voce.

«SHHHHHHHH»

Madame Pince li fulminó con lo guardo, stavano facendo troppa confusione.

«Oh che stai studiando?»

George afferró il libro che Helen stava consultato poco prima e inizió a sfogliarlo.

«Mmmh pozioni.» lesse, fingendo interesse.

«SI, sto studiando.» rispose lei leggermente infastidita.

«SHHHHHHH

Doveva aver urlato troppo.

«Ridammelo.»

«Solo se prometti di accettare la nostra proposta» continuó lui.

«Dammi il libro Cha-», si rese conto di ció che stava per pronunciare. «...George!»

Quando ebbe aggiustato il tiro, ebbe l'impressione che fosse troppo tardi.

George la fissó per qualche secondo, restituendole il libro poco dopo.

Dannazione, ma come aveva fatto a sbagliare nome.

«Chi è Cha?» le chiese subito Fred. «Forse intendi Cho Chang? Quella ragazza corvonero

I due gemelli si guardarono con fare interrogativo.

«Mica ti piacciono le ragazze, Helen?» domandó George.

«Sarebbe un bel problema, allora» proseguí Fred.

«Cosa?! No!»

Forse aveva alzato un po' troppo la voce, perchè vide Madame Pince rivolgerle uno sguardo decisamente indignato.

«Menomale.» asserirono poco dopo i due sollevati.

«Posso capire cosa siete venuti a fare?» 

Helen si stava leggermente irritando.

«Te lo diremo, ad una condizione: dobbiamo sapere chi è Cha.» inizió Fred.

«Ne vale il successo della nostra missione, capisci?» terminó poi George.

Helen ora li guardava interdetta.

«Ma che missione? Ma che state blaterando?»

I gemelli si scambiarono, nuovamente, sguardi d'intesa.

Poi George alzó gli occhi al cielo, portandosi una mano sotto al mento.

«Mh...Cha potrebbe essere Charlie!» 

S'illuminó, come se avesse appena pescato la carta vincente.

Si voltarono contemporaneamente nella sua direzione.

«Nella mia vita ho conosciuto solo due Charlie» inizió Fred «uno è Weasley, l'altro è Piggys.» 

E ora?

Che cosa doveva dire? 

E poi chi Salazar era Charlie Piggys?

«Helen, non ti facevo tipa da...uomo un po'...» cominció Fred.

«Beh, sai: un po' in carne, occhialoni, appassionato di scacchi...» proseguì George.

«Ma di chi state parlando?» 

Helen ora era visibilmente confusa.

«Di Charlie Piggys!» esclamarono all'unisono.

«Ma chi è Charlie Piggys?!?» domandó lei, esasperata.

Emisero un altro sospiro di sollievo.

«Menomale che non è Charlie Piggys.» dissero poi.

Helen voleva ribadire qualcosa, ma non sapeva esattamente cosa.

Avrebbe voluto porre fine a quel teatrino e continuare a studiare, ma si rese conto che non era nei piani dei due ragazzi, infatti li vide rivolgersi uno sguardo particolarmente complice.

Si sporsero entrambi nella sua direzione, osservandole per un attimo la schiena, come se fossero in cerca di qualcosa.

«Beh, non hai ali, ne' coda.» constató Fred.

«E non crediamo tu sputi fuoco, per cui...» George fece una breve pausa «non sei un drago.»

«Ma che perspicaci che siete.» ironizzó subito lei.

Dove volevano andare a parare? 

I gemelli le facevano davvero paura a volte.

«Charlie Weasley sarà una preda piú difficile da conquistare rispetto a Charlie Piggys, Helen.» le disse Fred.

Sentí le guance diventare rosse.

Aveva caldo, molto caldo.

Sarebbe voluta evaporare.

Non sapeva cosa dire.

Cosa avrebbe dovuto rispondere, ora? Ovviamente negare qualsiasi cosa a cui loro stessero alludendo, ma sentiva le parole bloccate in gola.

Ma perché? Che problemi aveva? Era la verità.

Forse.

"Per Salazar."

«M-MA CHE ANDATE BLATERANDO?!»

Aveva urlato senza nemmeno rendersene conto. Ora i gemelli la fissavano con dei sorrisetti beffardi stampati in volto.

Madama Pince si avvicinó al loro tavolo, a dir poco adirata.

«State disturbando la quiete! Ma che modi sono, fuori! Andate via, prima che vi silenzi con un incantesimo!»

Non poterono fare altro che obbedire.

Helen raccolse le sue cose, varcó l'uscita e si incamminò lungo la strada che l'avrebbe condotta al dormitorio: aveva bisogno di un posto davvero tranquillo per poter studiare.

I gemelli però le si pararono davanti, bloccandole il percorso.

«Aspetta, aspetta Helen. Ascoltaci.» disse Fred tenendola ferma.

«Va bene, ma fate presto.» cedette alla fine lei.

«Signorina Helen Clark, permettici di presentarti l'uomo giusto per te!» esclamarono entusiasti.

Improvvisamente George tiró fuori dalla tasca del pantalone una foto e con un tocco di bacchetta inizió a farla girare su se' stessa. Una serie di scintille colorate uscirono dalla figura, simili a piccoli fuochi d'artificio, tutt'intorno all'immagine.

Helen ora era realmente turbata.

«Un sorriso smagliante, pelle color cioccolato, occhi luminosi, capelli setosi.» 

George le cinse le spalle, indicandole con una mano, mentre parlava, la foto rotante, come se stesse vendendo un prodotto.

Helen mise a fuoco il volto sulla foto: Lee Jordan.

Tutto quello le sembrava uno spot pubblicitario.

Alzó automaticamente gli occhi al cielo.

Per Merlino, doveva aspettarselo.

«Questo bellissimo e simpaticissimo giovane ti invita ad un appuntamento sabato pomeriggio ai Tre Manici di Scopa.» 

Fred e George rivolgevano entrambi lo sguardo su di lei, in attesa di una risposta.

«Sul serio? E Lee non poteva chiedermelo personalmente?» fece lei, alzando un sopracciglio.

«Ha pensato di affidarsi a noi.» risposero i gemelli, fieri.

«Mai scelta fu più appropiata...» fece sarcasticamente. «La mia risposta è comunque no, mi spiace.»

Cosí facendo si liberó dalla stretta di Fred, avviandosi verso la propria, tanto desiderata, sala comune.

«Dai Heleeen.» 

Li sentí lamentarsi alle sue spalle, ma non volle aggiungere altro.

Non lo faceva per cattiveria, ma non voleva illudere in alcun modo Lee, e si augurava che prima o poi avrebbe capito che tra di loro non poteva esserci altro se non una semplice e sana amicizia.

Aveva bisogno di raggiungere quanto prima i sotterranei, riprendersi da quel turbolento episodio e rimettersi, infine, a studiare, sperando in nessun'altra interruzione.

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Capitolo 14
*** Capitolo 10 - Libri ***


Quella mattina i corridoi brulicavano di studenti: chi tranquillamente chiacchierava, chi si confrontava, chi studiava, chi addirittura, senza che il signor Gazza se ne accorgesse, si esercitava in qualche incantesimo.

E poi c'era lei, che correva zigzagando tra la gente, chiedendo "permesso" e scusandosi a destra e a manca per tutte le volte che aveva quasi buttato per aria qualcuno.

Era in ritardo per la lezione di Difesa contro le Arti Oscure e non aveva intenzione di essere causa di detrazione di punti per i Serpeverde.

Entró nell'aula affannata, cercando con gli occhi il professor Lupin: non era ancora arrivato, per fortuna.

Tiró un sospiro di sollievo e si sedette accanto ad Ava, salutando poi con un gesta della mano Adeline, seduta all'altra fila.

Ancora ansimante per l'infervida corsa contro il tempo, ringrazió la compagna per averle tenuto un posto. 

Mentre sistemava sul banco il libro e il calamaio, il professor Lupin fece il proprio ingresso, salutando tutti con un sonoro "Buongiorno."

Mentre l'insegnante si dirigeva verso la cattedra, Logan la chiamó picchiettandole la spalla.

«Oggi hai battuto il tuo precedente record di ritardi: esattamente 2 minuti prima del prof.» le disse, ridendo.

Helen lasció cadere il discorso con un gesto della mano: non era mica colpa sua se la mattina, appena svegli, il tempo scorresse più velocemente rispetto al resto della giornata.

«Allora ragazzi, oggi vi parleró di alcuni incantesimi di difesa.» agitó la bacchetta e il gessetto inizió a scrivere sulla lavagna.

«Primo tra questi: il FreddaFiamma.»

Il professor Lupin fece una pausa, rivolgendosi poi ai suoi studenti.

«Qualcuno di voi ha idea di cosa sia?»

Helen aveva ipotizzato qualcosa ma non fece nemmeno in tempo a formulare una frase di senso compiuto, che la Raylee alzó la sua odiosa mano.

«Non ci vuole una Pozione Intelligenza per capirlo, è un incantesimo che 'Fredda una Fiamma', per cui immagino la renda inoffensiva.» asserrí lei con quel tono da finta 'so tutto io' che Helen detestava.

Avrebbe voluto imitare quella sua stridula voce oppure chiedere a Fred e George di lanciarle delle Pallottole Puzzole, ma si contenne.

«Ottimo signorina Raylee. 5 punti a Serpeverde.» rispose poi il professore.

Helen immaginava la faccia compiaciuta di Erika e il suo ego arrivare a livelli incredibilmente elevati.

«Questo incantesimo raffredda il fuoco e lo rende innocuo. Attenzione peró, non spegne il fuoco, lo rende solamente inoffensivo.»

Il professor Lupin inizió a sfogliare le pagine del libro, indicando loro, poco dopo, quella da cui leggere.

«Se riusciste a padroneggiarla bene, sareste addirittura in grado di fermare le fiamme di un drago, un Grugnocorto Svedese, tanto per dirne uno.» aggiunse, sorridendo.

Helen trasalì al suono di quel nome, lo aveva già sentito.

Fissava le parole del manuale, senza vederle davvero, mentre la sua mente cominciava a vagare tra i ricordi.

Rimembró di quel pomeriggio a casa Weasley, quando aveva chiesto a Charlie delle sue cicatrici.

Ecco dove lo aveva sentito.

"Lo aveva nominato lui." pensó.

Una gomitata la destó dai pensieri, mentre la voce del professore le arrivó quasi ovattata.

«Signorina Clark, mi sa dire come veniva utilizzato questo incantesimo nel periodo della Caccia alle Streghe?» 

Helen sentiva gli occhi dell'intera classe puntati su di lei. Riuscì a percepire le risatine soffocate di Erika e la sua combriccola.

Mise in moto il cervello, che quella mattina stava funzionando particolarmente a rilento.

Non poteva assolutamente fare brutta figura.

Adeline la stava fissando con uno sguardo misto tra preccupato e investigatore.

Improvvisamente si ricordó di una cosa che aveva ascoltato, nei suoi pochi momenti di attenzione, alla lezione di Storia della Magia.

«Credo per salvarsi dalle fiamme dei roghi» rispose, ipotizzando.

«Crede bene.» ribatté il prof continuando a guardarla. «Ma non si distragga più.» 

Le rivolse un piccolo sorriso e lei tiró un sospiro di sollievo: il secondo, ed erano solo ad inizio giornata.

 

Helen era immersa tra gli scaffali della biblioteca da quasi un'ora, era sgattaiolata fuori dalla Sala Grande prima che qualcuno si potesse accorgere della sua assenza. 

Aveva bisogno di un libro e non voleva che gli altri le facessero domande a cui lei non avrebbe voluto rispondere, come, magari, il perchè lo avesse preso.

"Ma dov'è?!" si domandava, mentre passava il dito da una copertina all'altra, scorrendo gli occhi sui titoli. 

Non stava utilizzando la bacchetta, perchè in realtà non era sicura di cosa stesse esattamente cercando.

"Forse questo..." si disse sottovoce, sfilandone uno dallo scaffale.

Dovette alzarsi leggermente sulle punte per raggiungerlo.

Era un libro con una vecchia copertina, leggermente consumata, di un colore scuro e abbastanza impolverato. 

Helen passò delicatamente una mano sulla superficie, togliendo lo strato di polvere in modo da poter leggere con più chiarezza il titolo:

 

"Tutto ciò che non sai sui Draghi."

 

Lo aprì e iniziò a sfogliarlo garbatamente, poi lesse alcune parti nel mezzo:

 

"Il Nero delle Ebridi ha scaglie ruvide, occhi viola brillante, una fila di creste basse ma affilate lungo la schiena e ali simili a quelle di un pipistrello. Può raggiungere i nove metri di lunghezza e la sua coda termina con una punta a forma di freccia.

Ma ció che davvero non sapete di questo drago è che..."

 

Forse avrebbe dovuto prenderlo in affitto e dare un'occhiata durante gli intervalli tra una lezione e l'altra, oppure la sera, prima di coricarsi.

Girò le pagine fino ad arrivare a quella su cui solitamente si apponeva la firma con la data di consegna. 

 

"Charlie Weasley. 

Data di consegna: 4 Maggio"

 

Il suo cuore accelerò per un momento e non seppe nemmeno lei per quale motivo. 

Sfiorò con la punta del dito quelle lettere, seguendone il contorno. Era l'unico nome presente lì e questo la fece sorridere. Immaginó che il secondogenito dei Weasley, nei suoi anni ad Hogwarts, avesse letto tutto ciò che era presente in quella biblioteca riguardo ai draghi. 

Anche suo fratello era un appassionato, ma non riusciva minimamente ad immaginare Jacob entrare in quel posto, né tantomeno leggere un libro: era un tipo molto più...pratico, ecco.

Helen, in quell'ultimo periodo, aveva maturato una curiosità per i draghi, ma non era dettata dalla passione per questo genere di creature magiche, poteva dire fosse più spinta da un desiderio di conoscenza, come se non volesse risultare impreparata, magari con lui, o semplicemente alle lezioni di magizoologia. 

"Sicuramente per le lezioni." pensó.

Hagrid parlava sempre di draghi e lei avrebbe potuto fare una buona impressione, anzi voleva!

Richiuse il libro, dirigendosi verso Madama Pince, la quale appuntò la data in cui lo aveva preso in prestito, per poi proseguire in direzione del dormitorio.

 

Il giorno seguente Helen si svegliò, come al solito, tardi, nonostante le continue sollecitazioni di Ava ad alzarsi. Dopo essersi data una sistemata, controllò l'orario di lezioni:

 

Ore 8.00 Trasfigurazione con Corvonero.

Ore 11.00 Pozioni con Grifondoro.

Ore 15.00 Lezioni di erbologia con Tassofrasso. 

 

Aveva un bel po' di tempo libero.

Si voltò a guardare il libro che aveva preso dalla biblioteca e lo pose nella cartella: avrebbe potuto leggerlo dopo pranzo, prima della lezione con la professoressa Sprout.

 

La lezione di trasfigurazione fu particolarmente impegnativa, la professoressa McGranitt continuava a ripetere quanto fosse necessaria un'assoluta serietà durante le lezioni, non sottraendosi dal ricordare loro dell'avvento dei G.U.F.O.

Quella di Pozioni, invece, particolarmente noiosa: si trattava di uno di quegli incontri con specialisti del mestiere. 

Quel giorno si presentò un tizio particolarmente strambo che incominciò a spiegare come preparare una pozione contro il mal di denti. 

Helen non seguì nemmeno una parola di quel che aveva blaterato, il suo pensiero era rivolto altrove.

Guardò l'orologio: le 11.55.

A breve quello strazio sarebbe terminato, sarebbe andata a pranzare in Sala Grande con i suoi amici e poi, finalmente, avrebbe avuto modo di poter leggere il libro. 

Abbassò lo sguardo verso la borsa poggiata a terra, dalla quale s'intravedeva l'oggetto del suo interesse.

"Chissà dove lo leggeva Charlie." pensò, mentre quello strano mago annunciava la, tanto attesa, fine di quella lezione.

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Capitolo 15
*** Capitolo 11 - Rivelazioni ***


Helen pranzò piuttosto velocemente quel giorno e, dopo aver conversato quanto bastasse per non destare inutili sospetti, si congedò con la scusa di voler riposare prima di affrontare le lezioni pomeridiane. 

Afferrò le proprie cose e mentre attraversava la Sala Grande, gettò un'occhiata all'interno della borsa per accertarsi che il manuale sui draghi, che aveva preso in prestito il giorno prima dalla biblioteca, ci fosse ancora. Percorse il corridoio con passo svelto, guardandosi ogni tanto attorno, per controllare che nessuno la stesse osservando. Accelerava, ma quando si accorgeva di star quasi correndo, rallentava. Voleva passare inosservata. 

Il cortile non era pieno come negli orari di punta, immaginava che fossero ancora tutti nella Sala Grande o nei propri dormitori.

Si sedette in un posto un pochino più appartato, appoggiò la borsa accanto a lei, tirando fuori il libro. Rilesse il titolo, rivolgendo poi la sua attenzione alla pagina delle firme.

Charlie Weasley. 

Data di consegna: 4 Maggio.

Helen Clark.

Data di consegna:

 

Era presente anche il suo nome, ora, nonostante la data di consegna non fosse ancora stata inserita. Rimarcò col dito prima il nome del ragazzo, lievemente, e poi il suo, notando l'accostamento delle scritture, quanto i loro nomi fossero vicini, proprio come lo erano stati loro il giorno della degnomizzazione.

"Helen. Charlie." 

Lesse mentalmente, abbozzando un piccolo sorriso, quasi compiaciuto, per poi ricordare il motivo per cui fosse sgattaiolata lì: leggerlo.

Non certo perdersi nelle sue fantasie, questo poteva farlo anche in altre occasioni.

"Come le lezioni di Storia della Magia" si disse.

Helen non capiva esattamente perchè si stesse comportando così, era tutto così nuovo per lei, e più ci pensava, più negava che non fosse assolutamente possibile il fatto che lei si fosse presa una cotta per Charlie Weasley, per il migliore amico di Jacob, per il fratello dei Gemelli.

Girò la pagina, iniziando la lettura del primo capitolo:

 

"PROLOGO

I draghi sono enormi creature magiche classificate come livello XXXXX dal Ministero della Magia (cioè estremamente pericolosi, uccisori di maghi ed impossibili da addomesticare)."

 

Helen notò che accanto alla prima riga era stata disegnata una freccia, al termine della quale era stato poi inserito a mano un appunto.

 

"E dall'ultimo decreto varato dal Ministero della Magia, è severamente proibito commerciare le loro uova." 

 

Helen rilesse la nota più volta per assicurarsi che quello che stesse pensando non fosse un'altra delle sue infondate ipotesi: quella era la scrittura di Charlie. Tornò alla pagina iniziale per confrontare le due scritture e ne ebbe la conferma.

Charlie aveva scritto quella frase. Aveva una scrittura particolare, piccola e stretta, tuttavia leggibile.

Era così immersa nei suoi pensieri da non accorgersi che si fosse avvicinato qualcuno.

«Cosa leggi?»

Era Adeline.

Helen per poco non saltò per lo spavento, richiuse subito il libro, provando (inutilmente) a nasconderlo sotto il mantello.

«Mi hai spaventata.» protestò.

«Ti stavo osservando.» ribattè l'amica sedendosi accanto a lei.

«Mi stai forse spiando?» domandò Helen, alzando un sopracciglio.

«Più o meno. Sei strana ultimamente, appena hai un minuto libero scappi via e sparisci. Posso capire cosa nascondi?»

Lo sguardo di Adeline si posò prima sul libro, che Helen tentava di celarle e poi nuovamente a lei, dopodichè continuò il suo interrogatorio, non lasciandole nemmeno il tempo di rispondere.

«Che cos'è?» si protese verso il manuale. «Fammi vedere.»

«No.» asserì immediatamente Helen, allontanandolo quanto più possibile.

Stava iniziando a sentire caldo, non sapeva cosa dire che cosa fare: Adeline sapeva essere particolarmente testarda quando voleva.

«Ma perchè?» chiese l'amica, guardandola dritta negli occhi.

Helen non rispose, ne' riuscì a sostenere quello sguardo a lungo.

«Accio libro.» 

Helen non fece nemmeno in tempo a trattenerlo, che il manuale sfiló da sotto il suo mantello, precipitando prontamente nelle mani di Adeline.

Troppo tradi per cercare di afferrarlo o di sbraitare, nel tentativo di farselo ridare: avrebbe solamente alimentato ulteriormente la curiosità della mora.

Le restava una sola cosa da fare: negare.

"O dirle la verità" ammise a sé stessa.

Adeline era la sua migliore amica, non l'avrebbe mai giudica e forse avrebbe anche potuto consigliarla in qualche modo, o meglio, avrebbe potuto aiutarla a capire; perchè Helen non comprendeva lo strano motivo per cui ultimamente si comportava come se avesse qualcosa da nascondere agli altri.

Adeline l'avrebbe aiutata a comprendere quei sentimenti, non a nasconderli.

Piuttosto, era a lei stessa che stava celando la realtà, cercava di evitare domande da parte dei suoi amici per il semplice fatto che non avrebbe saputo cosa rispondere.

Adeline osservò la copertina del libro, perplessa, dopodiché iniziò a sfogliarlo, ritornando poi alla pagina su cui venivano apposte le firme.

La guardò, aveva lo sguardo di chi crede di aver capito tutto.

«Draghi? Da quanto in qua ti piacciono i draghi?» le chiese.

«È solo curiosità.» rispose lei, iniziando a mordersi il labbro nervosamente.

Adeline sembrò quasi non tener conto di ciò che Helen avevesse appena affermato, infatti osservò nuovamente la pagina aperta che aveva davanti, per poi continuare.

«O meglio...» fece una pausa.

I grandi occhi marroni della migliore amica si posarono nei suoi, aveva l'espressione di chi cerca di ricordarti che è praticamente inutile far finta, perché ti conosce meglio di chiunque altro, come le proprie tasche.

«Da quando in qua hai una cotta per Charlie Weasley?»

Quella frase le sembró un Expelliarmus.

Adeline l'aveva disarmata, ed Helen se lo aspettava.

Cercò di trovare qualche plausibile scusa che l'avrebbe tirata fuori da quella situazione, almeno temporaneamente, ma fu del tutto inutile.

«E non provare a mentirmi.» le ordinò.

Forse poteva confonderla: rispondendo alla domanda...con un'altra domanda.

«Perchè credi che mi piaccia il fratello dei gemelli?»

Non chiamarlo per nome avrebbe aiutato Helen a dissimulare il suo probabile interesse nei confronti del ragazzo.

«Perchè hai preso un libro sui draghi quando non ti sei mai interessata alle creature magiche prima d'ora.» 

«E allora? C'è sempre una prima volta, no?»

Doveva mantenersi sulla difensiva.

«Certo come no, guarda caso proprio dopo le vacanze di Natale, proprio un libro sui draghi e d'altronde, proprio preso in prestito da Charlie Weasley.»

«È solo una casualità.»

Si mantenne vaga.

«Andiamo, ti comporti in modo da settimane, hai sempre la testa tra le nuvole e ogni volta che senti un qualsiasi nome che possa assomigliare a 'Charlie', ti agiti o diventi rossa come un pomodoro.» sentenziò Adeline, richiudendo il libro e deponendolo, con un po' troppa forza sul muretto.

Se avesse potuto fulminarla con lo sguardo, lo avrebbe fatto: era furiosa, a tratti ferita. 

Helen immaginava che l'avesse delusa in qualche modo, perchè in cuor suo sapeva di averla tenuta all'oscuro di ciò che stava provando, ciò che si sforzava così tanto di negare, in primis a sè stessa.

«E non cercare di confondermi con i tuoi giri di parole. Per Merlino, Helen, sei come una sorella! Davvero credi che, dopo 17 anni, io non abbia imparato a capirti? E non voglio indurti a dirmi ciò che non vuoi, ma perchè nasconderti, mentirmi?»

Adeline si era avvicinata e le aveva preso le mani, non staccando mai i propri occhi dai suoi. 

Helen potè, in parte, leggere quali fossero le emozioni delll'amica in quel momento: si sentiva tagliata completamente fuori dalla sua vita. 

In effetti, lo aveva fatto davvero, si era chiusa nel proprio mondo, serrandolo con molteplici incantesimi di chiusura.

Tuttavia, quel suo atteggiamento, non solo la stava facendo impazzire, perchè non aveva avuto modo di confrontarsi con nessuno riguardo quell'argomento, ma l'unica cosa che aveva ottenuto era un enorme fossato, che lei stessa si era costruita, che la separava dal resto dei suoi amici, da Adeline, da chi forse poteva aiutarla a trovare una risposta, che nemmeno lei stessa riusciva a darsi.

«Adeline, m-mi dispiace.»

«Di me puoi fidarti Helen, lo sai vero?»

Annuì.

Poteva davvero fidarsi di lei, lo aveva sempre fatto e non comprendeva davvero il perchè ora non ne avesse avuto il coraggio. 

Prese coscienza di ciò che era accaduto, decidendo così di raccontare all'amica tutto, ogni  cosa, ogni sensazione, ogni episodio che avesse potuto, in qualche modo, farle capire qual che lei stesse sentendo. 

Non trascurò alcun dettaglio.

«Non capisco cosa sia questa...'cosa' che mi accelera il battito ogni volta che penso a lui, ai draghi, ai momenti in cui abbiamo parlato, siamo stati vicini, al suo profumo. 

Non lo so, davvero.»

«Io direi che questa 'cosa' è semplicemente l'essere innamorati.»

Adeline rise. Immaginó l'espressione che il suo viso avesse assunto all'ascolto di quella frase.

«Se essere innamorati è cosí... Per Salazar!» 

Si portó una mano alla fronte, iniziando a massaggiare le tempie.

Non terminò la frase, ma il gesto fu sufficiente ad Adeline per comprendere cosa stesse intendendo, esplodendo, poi, in una grossa risata.

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Capitolo 16
*** Capitolo 12 - Notizie ***


Passarono circa due mesi dalla conversazione che Helen ebbe con Adeline, non ritornarono sull'argomento, forse troppo prese, ognuno dalle proprie attività.

Più si avvicinava il periodo dei G.U.F.O, più aumentavano le incombenze scolastiche.

Nonostante ció, riuscì comunque a ritrovarsi spesso con i propri amici.

Helen aveva deciso che mai più avrebbe tenuto all'oscuro i suoi compagni da ció che tormentava la sua mente, che frustrava il suo animo; tanto è vero che palesare i propri turbolenti pensieri ad Adeline, si riveló una specie di cura: si sentiva più leggera, svuotata da un immenso peso.

Parlare con loro era un potente antidoto contro i mostri della sua mente, contro le sue mille e mille paranoie, la rassicurava, la tranquillizzava, l'alleggeriva.

Quel pomeriggio si era data appuntamento con Logan ad Ava ai Tre Manici di Scopa, li avrebbe raggiunti direttamente alla locanda, perché prima sarebbe stata impegnata con il club di musica.

Quest'ultima si riconfermó ulteriormente un'ottima compagna di vita. Helen riponeva nelle melodie ogni sua emozione, negativa o positiva che fosse; era un ottimo svago e lo sarebbe sempre stato per lei, cantare e suonare la rasserenava.

Si diede una leggera sistemata, indossando una semplice giacchetta di jeans, ormai erano in primavera inoltrata e l'inverno, risultava, pertanto, già molto lontano.

 

Entrò all'interno del locale, dando un'occhiata attorno in cerca degli altri. Non appena li vide, si avvicinò loro, sedendosi proprio accanto a Logan. Discussero del più e del meno, delle lezioni, degli ultimi gossip: si diceva in giro che una delle oche della combriccola di Erika Raylee fosse stata vista in compagnia di un Tassorosso più piccolo e questo aveva destato scandalo tra le componenti della compagnia delle galline, che, pertanto, avevano deciso di farla fuori dal loro esclusivo gruppo. Questa notizia fece ridere Helen, la quale non riusciva davvero a capacitarsi di quanto sapessero essere ridicole, ma perfide allo stesso tempo. Non avrebbe mai voluto avere niente a che fare con nessuna di loro.

Logan attirò nuovamente l'attenzione delle ragazze con una informazione fresca di corridoio; Helen non si meravigliava che fosse lui a riportare tutte le novità, considerato che avrebbe voluto scrivere per la Gazzetta del Profeta. Pensava che avesse un particolare talento nel fiutare ogni cosa che avrebbe potuto fare scalpore.

«Ho sentito che la prossima settimana avremmo una di quelle lezioni orientative di magizoologia e, attenzione attenzione...» fece una breve pausa, afferrando le braccia delle due ragazze, protraendosi verso di loro «Probabilmente porteranno un drago!»

Helen ed Ava si guardarono con occhi sgranati per poi rivolgere, nuovamente lo sguardo a Logan, che sorseggiava la sua burrobirra con finta nonchalance e modestia, come chi ha appena sganciato la bomba giornalistica del secolo.

«COSA? MA CI VOGLIONO FORSE MORTI?»

Ava era particolarmente scossa, sventolava il tovagliolo contro il viso come chi ha particolarmente caldo o, per l'appunto è abbastanza agitato.

Helen pensó stesse andando in iperventilazione.

Quella notizia, a dire il vero, aveva scombussolato anche lei: in che senso i draghi? E poi se avessero portato i draghi, forse con loro ci sarebbe stato anche suo fratello?

"O Charlie?"

Per poco non le andò di traverso il tortino che stava mangiando: doveva assolutamente dirlo ad Adeline.

Si alzò velocemente, afferrando la giacca di jeans che aveva apposto sulla sedia libera accanto a lei.

«Dove vai?» le chiese Logan.

«Avevo dimenticato di avere una cosa da fare UR-GEN-TIS-SI-MA.» rispose lei.

Li salutò con un gesto, congedandosi repentinamente, dirigendosi poi verso il cortile, era sicura di trovare lì l'amica.

 

Adeline, come aveva previsto, era proprio in cortile, leggeva un libro appoggiata ad una colonna, all'ombra di un albero. 

«Devo assolutamente dirti una cosa.»

Le si avvicinó e senza darle neanche il tempo di rendersi conto di cosa stesse davvero succedendo, le afferró un braccio, inducendola a seguirla.

«Per Merlino, Helen!» si lamentó lei, non opponendo peró resistenza.

Quando furono in un posto abbastanza lontano da occhi ed orecchie indiscrete, Helen lasció la presa, sbuffando sonoramente.

«Faremo una lezione speciale con i draghi.» si interruppe un attimo, vedendo subito l'espressione della compagna mutare. 

«Ergo, se ci sono i draghi...»

«C'è Jacob!» rispose lei, chiudendo con un tonfo il libro che poco prima era aperto tra le sue mani.

Helen alzó gli occhi al cielo: aveva per un attimo dimenticato la secolare cotta di Adeline per suo fratello, forse troppo presa dalla sua per...Charlie.

Faticava ancora ad ammetterlo, pur sapendo quanto fosse vero.

«Probabilmente si, ma se c'è Jacob...»

Si interruppe nuovamente, sperando che l'amica capisse a volo.

«OH GODRIC.» esclamó lei.

«ESATTO!» ribattè Helen con un gesto di assenso.

«Se c'è Jacob vuol dire che...devo assolutamente prepararmi e truccarmi e mettere qualcosa di più carino, Merlino, ma dovremmo tenere le divise.» 

Adeline inizió ad agitarsi, toccandosi prima i capelli, poi il viso, portando le mani all'altezza del volto, mordicchiando freneticamente le unghie.

Helen scosse leggermente la testa, sorridendo.

«Io intendevo Charlie, scema.» disse poi.

«Oh giusto.» rispose poi Adeline, ridendo a sua volta. «E allora questo vuol dire che devo assolutamente prepararti e truccarti, aiutarti a scegliere l'abbigliamento più adatto. Magari potresti indossare la divisa in modo più sbarazzino...» Adeline fece per aggiustarle il colletto della camicia, Helen le bloccò le mani, poi disse:

«Frena! Non sappiamo niente»

«Lo sapremo solo quel giorno, immagino.» aggiunse l'amica.

Helen annuí.

Passarono ancora un po' di tempo in cortile, a fantasticare su cosa sarebbe potuto accadere.

Sul fatto che avrebbero potuto vedere un...Drago. 

Un vero drago.

Questa prospettiva inquietava la maggior parte degli studenti, in effetti.

Poi ad un tratto, Adeline le propose di fare un salto da Mielandia. 

La maggior parte degli studenti si era recata ad Hogsmeade quel pomeriggio.

Il sole picchiava sul castello e, evidentemente, la prospettiva di continuare a leggere il suo libro in cortile, non doveva esserle parsa così allettante.

Fu così che si avviarono giù per la collina, dirette al villaggio.

 

Mielandia era stata invasa da una miriade di studenti. Tra tutti loro spiccavano le solite due teste arancioni: Fred e George.

Mentre Adeline si diresse al bancone per chiedere delle cioccorane e dei fagioli tutti i gusti +1, Helen fu intercettata dai gemelli.

«Guarda guarda! Non dovresti essere in biblioteca a studiare qualcosa?» la punzecchió Fred.

«Teoricamente, anche voi due dovreste essere al castello a scrivere quella relazione che la professoressa Sinistra ci ha assegnato» li rimbeccó.

I gemelli non furono per niente scossi, anzi, continuarono a mangiare i bignè al cioccolato, che gli avevano imbrattato metà della faccia.

«A cosa servono gli amici, se non per aiutarti a scrivere dei compiti che non farai?» proferì George.

Helen sbuffó e li fulminó con lo sguardo.

«È meglio che vi diate una mossa, a meno che non vogliate ricevere una bella strillettera»

Helen li minacció, tenendo il dito puntato verso i loro nasi. I gemelli deglutirono.

«Beh Helen, è stato un piacere incontrarti» cominció George

«E vorremmo anche restare qui, a parlare della lezione sui draghi che dovremo affrontare» ridacchió Fred sotto i baffi

«Ma adesso, noi, dobbiamo proprio andare. Altrimenti Baston potrebbe rimpiazzarci con due nuovi battitori» completarono all'unisono.

Helen si chiese come fossero in grado di prevedere l'uno le parole dell'altro.

Fu così che i gemelli, salutando da lontano Adeline, si congedarono.

"Vorremmo stare qui a parlare della lezione sui draghi che dovremmo affrontare" si ripetè in mente, che simpatici.

Quando Adeline fu di ritorno con caramelle e cioccorane, uscirono dal negozio e temporeggiarono lì qualche istante.

«Ti hanno detto qualcosa di interessante?» domandó Adeline.

«Erano solo Fred e George, che interpretavano Fred e George»

Fece spallucce, cacciandosi una caramella tutti i gusti alla bocca.

«Che schifo! Calzini sporchi» fece, sputacchiando ovunque.

Adeline non la smise di ridere fino a quando non furono tornate al castello.

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Capitolo 17
*** Capitolo 13 - Verde Gallese ***


Quella mattina Helen si svegliò prima del solito. Si rigiró per circa un'ora tra le lenzuola del proprio letto, fino a quando non decise che una doccia rigenerante sarebbe stata sicuramente una scelta migliore per iniziare col piede giusto la giornata.

Quando Ava notò che si fosse alzata prima di lei, per poco non pensò di star sognando ad occhi aperti.

Helen cercò di rendersi quanto più carina possibile, sistemò i capelli che, sebbene lei continuasse a spazzolarsi vigorosamente, non accennavano a stare in ordine, anzi, tendevano all'ondulato verso le punte.

Indossò la divisa, provando a renderla più presentabile del solito, poi aspettò che Ava finisse di prepararsi per scendere.

Questa cosa che fosse lei, per la prima volta, ad aspettare l'amica, turbò particolarmente quest'ultima, che più volte si pizzicó la faccia per verificare che quella che stava vivendo fosse, effettivamente, la realtà.

Incontrarono Logan nella Sala Grande e, non appena ebbero finito la colazione, si unirono agli altri Serpeverde, dirigendosi poi verso la Riserva delle Creature Magiche. 

Più si avvicinavano alla meta, più Helen sentiva il cuore battere velocemente, sebbene lei non sapesse chi sarebbe stato il loro coach in quella lezione di orientamento. 

Si guardò attorno in cerca di Adeline o dei gemelli, ma non vide nessuno dei suoi amici Grifondoro, in realtà, non vide nessuno studente di quella casa.

Dovevano essere già alla Riserva, pensò.

Per sua sfortuna, però, notò Erika Raylee, accompagnata come sempre dalla sua odiosa combriccola. L'oca stava guardando proprio nella sua direzione e non appena i loro sguardi si incrociarono, lei le rivolse una smorfia di scherno.

Tipico della Raylee, ormai Helen non dava più peso ad alcuna provocazione della mora.

Arrivarono nel luogo della lezione e la prima cosa che Helen fece fu quella di cercare nuovamente con lo sguardo qualsiasi dettaglio avesse potuto rivelarse la presenza o meno del Weasley.

Gli studenti della casa di Godric erano già sul posto, come Helen aveva precedentemente ipotizzato.

Li avevano divisi in due gruppi: Grifondoro e Serpeverde nel primo, Tassorosso e Corvonero nel secondo. Questo per non creare confusione, ne' tantomeno un affollamento che potesse, in qualche modo, infastidire il presunto drago.

Erano tutti leggermente spaventati all'idea, ma, allo stesso tempo, entusiasti.

Piccole esclamazioni di stupore inondarono l'aria, non appena videro la creatura, rinchiusa nella gabbia.

Doveva essere sicuramente un cucciolo, ma nonostante ciò aveva un aspetto davvero mistico, maestoso. Le squame riflettevano la luce, i suoi occhi erano attenti a ogni cosa lo circondasse.

In qualche modo Helen riusciva a comprendere l'interesse che il fratello e Charlie avevano da sempre covato nei confronti di quelle straordinarie creature.

Notò immediatamente Adeline e i gemelli, tra i giovani maghi ammassati ad una certa distanza di sicurezza dalla gabbia e si avvicinò loro, seguita dai compagni Serpeverde, riuscendo cosí a conquistare una posizione migliore, quasi in prima fila.

Non c'era nessuno nei paraggi, solo Hagrid che sembrava troppo intento a rivolgersi al drago come se fosse stato un piccolo bambino da intrattenere ed accudire.

«Chi ci farà la lezione?» chiese improvvisamente Ava, dando voce a quello che in quel momento era, probabilmente, il pensiero di tutti.

«Ho sentito dire un allevatore, un vecchio.» rispose Logan.

Gli occhi di quasi tutti erano rivolti su di lui, quasi come in attesa di ulteriori informazioni.

«E che vecchio!»

La voce isterica della Raylee indusse tutti a posare gli sguardi prima su di lei, che, vide Helen, con un gesto della mano si diede una sistemata alla frangia, poi al soggetto che era appena comparso proprio davanti a loro, venendo avanti dagli alberi.

Helen credette di aver sentito il cuore perdere un battito, come se avesse, in qualche modo, smesso di pompare sangue al resto del corpo. Al cervello in particolare.

Una parte di lei avrebbe voluto che fosse così, l'altra, invece, sembró rimpicciolirsi, di fronte alle sensazioni che stava provando.

Era Charlie!

Forse Helen si aspettava una scelta del genere da parte dei professori. Far venire lui, un ex-studente di Hogwarts, nonchè esperto di quelle Creature magiche, era stata una scelta azzeccata.

Afferrò la mano di Adeline, che, in quel momento, si trovava proprio accanto a lei e la strinse forte, sentendo poi la compagna chiuderla attorno alla propria, come a trasmetterle sicurezza.

I suoi occhi incontrarono per un attimo quelli di Charlie e questa volta, sentì il cuore rimbalzarle nel petto. Ebbe l'impressione di averlo in gola.

Non poteva continuare a farle questi scherzi, tra aritmie e decelerazioni improvvise.

Poi lo vide sistemarsi quell'informe massa di capelli color carota, accennado un piccolo colpo di tosse.

«Buongiorno ragazzi» cominciò «Io sono Charlie, Charlie Weasley.»

«Ed io sono Erika, Erika Raylee. Ciao Charlie.» 

L'oca più odiosa dell'intero mondo magico s'intromise come suo solito.

Helen avrebbe voluto sgozzarla.

La vide rigirarsi i corti capelli tra le mani, continuando a tenere gli occhi fissi sul rosso.

«Peccato che nessuno te lo abbia chiesto.» la rimbeccó Helen.

Non seppe controllarsi, le parole le uscirono di getto.

Sentiva la rabbia montarle in petto: non la sopportava.

«Questa non me la voglio perdere.» sghignazzò Fred, seguito a ruota da George, che offrí al fratello una Gelatina Tuttigusti +1.

«Avanti ragazze, lasciate che il signor Weasley inizi la lezione.»

Hagrid provò, a modo suo, a placare gli animi, appena vide che la Raylee fosse sul punto di controbattere.

«Solo Charlie, Hagrid.» disse con modestia, per poi rivolgersi nuovamente alla mora Serpeverde.

«Ciao Erika.» proferì con estrema gentilezza.

Helen rimase sconcerta, irritata da quell'eccessiva compostezza nei confronti di quella detestabile vipera. 

Perché avrebbe dovuto essere cosí compíto con quella lí?

«Come credo voi abbiate capito, io sono un Dragonologista, nonché un Magizoologo specializzato nello studio dei draghi. Mi è stato chiesto, pertanto, di illustrarvi di cosa mi occupi e per farlo, ho deciso di portarvi questa creatura magica, che voi tutti conoscete come Drago.»

Helen era incantata, non capiva perchè ma Charlie in quelle vesti, emanava un'aurea cosí affascinante.

«Davvero fratellone? Io pensavo fosse uno snaso con le ali.» rise George, seguito a ruota da Fred e Lee.

Che idioti, pensò lei.

«George...» lo rimproverò lui, mantenendo però un tono allegro.

Era sereno, notò Helen, evidentemente si sentiva davvero a suo agio, d'altronde era consapevole del fatto che quello fosse il suo mondo.

«Dicevo» fece una breve pausa, portando l'attenzione, con un gesto della mano, al cucciolo di drago, che nel frattempo mordicchiava le sbarre.

«Il termine "drago" è molto generico, ne esistono di varie specie, questo è: un Verde Gallese Comune.»

Helen aveva letto qualcosa in merito, ma preferí ascoltare ciò che il ragazzo aveva da dire.

«I draghi di questa specie sono caratterizzati da un colorito verdognolo chiaro, come potete notare. Solitamente vive nelle riserve a lui dedicate sulle montagne del Galles. 

Ha un ruggito particolarmente melodico e delle fiammate sottili. Le uova sono marroni macchiate di verde. 

È uno dei meno pericolosi, in quanto risulta davvero raro che attacchi gli essere umani.»

Charlie era un'enciclopedia vivente, se si parlava di draghi.

Helen si diede un'occhiata intorno, notando quanto tutti pendessero dalla sue labbra: erano incredibilmente interessati. Forse non solo al drago.

«Bene.» disse poi sfregando le mani «Bando alle chiacchiere, passiamo alla pratica.»

Charlie posò lo sguardo su di loro, indugiando per qualche millesimo di secondo su Helen.

«IN CHE SENSO...PRATICA?» tuonò improvvisamente Ava, che sembrò ulteriormente dar voce ai pensieri di tutti, perfino quelli di Helen.

Non capiva davvero cosa Charlie intendesse per...pratica.

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Capitolo 18
*** Capitolo 14 - Rabbia ***


Charlie aveva parlato di pratica.

Questa parola destò un certo timore negli studenti: nessuno di loro si era mai avvicinato ad un drago.

Lui, però, non prestando attenzione al brusio di fondo, lanciò un incantesimo scudo, con grande maestria, che avrebbe difeso gli spettatori da eventuali attacchi imprevisti.

Helen vedeva gli altri maghi intenti a capire cosa il dragonologista stesse facendo, quando si allontanò per un attimo, prendendo un sacco, che a lei pareva non pesare particolarmente, dal quale, poco dopo, Charlie ne estrasse un qualcosa avvolto in un panno scuro.

«Non posso mostrarvi come effettuare un incantesimo difensivo, perchè non sarebbe particolarmente sicuro, ne', tantomeno, credo ne sareste capace, ci vuole molta pratica» iniziò lui, continuando a tenere quell'oggetto sconosciuto in mano.

«Pertanto, vi farò vedere come nutrire un drago

Detto ciò, scoprì, tirando via il tessuto nero, quella cosa che aveva con sè: un pezzo di carne.

Nel farlo, si scorciò le maniche della maglia, rivelando i muscoli delle braccia e con essi, anche le cicatrici.

Helen rimase a fissarle per qualche secondo: ricordava il contatto della sua pelle con quella del ragazzo, la sensazione che aveva provato al tocco, il contrasto tra la sua, così liscia e fredda, e quella del rosso, così ruvida e calda. Fuoco contro il ghiaccio.

Ora Charlie, stava, con l'aiuto di un euforico Hagrid, tagliando in due quello che doveva essere il cibo della creatura alle loro spalle. Appena ebbero finito, si rivolse nuovamente a loro.

«Qualcuno vuole provare?»

Nessuno si mosse, nemmeno Helen, per quanto potesse essere in parte affascinata dai draghi, non si era mai avvicinata ad uno in carne ed ossa. D'altronde, si aggiungeva il fatto che, in presenza di Charlie e con gli occhi di tutti puntati addosso, sarebbe sicuramente arrossita a tal punto da assumere lo stesso colorito dei capelli dello stesso Weasley.

«Pss, Helen, dovresti andare tu» bisbiglió Fred, dandole un colpetto sulla spalla per spronarla.

«Non vi succederà nulla, ve lo posso garantire.» cercò di rassicurarli.

Lo sguardo del rosso vagava in cerca di qualcuno che accennava ad avvicinarsi.

«Lo faremo insieme.»

Quando proferì l'ultima frase, il suo sguardo si posò su di lei. Helen notò qualcosa nei suoi occhi, come ad invogliarla a farsi avanti, come a dirle: "Non preoccuparti, ci sono io."

Intanto Adeline, con l'aiuto di George, aveva preso a spintonarla, affinché potesse avanzare. 

Era piuttosto fastidioso.

Lei avrebbe voluto, davvero, solo che non poteva, non poteva assolutamente divenire lo zimbello degli altri, nè tanto meno permettere alla Raylee di ridere del suo imbarazzo, si conosceva ed era più che certa di cosa sarebbe accaduto se fosse andata.

«Vengo io!»

Helen aveva riconosciuto quella voce, come avrebbe potuto non identificare la stridula e odiosa voce di Erika Raylee? 

Quest'ultima più che camminare in direzione di Charlie, sembrò sfilare. Ancheggiava con un fare così forzatamente sensuale, che Helen dovette impegnarsi molto per non scoppiare a ridere.

Tuttavia, se da una parte quella scena la divertiva alquanto, dall'altra avrebbe voluto lanciarle una Fattura Gambemolli.

Helen si sentí infastidita dal fatto che l'oca si fosse proposta, perché era consapevole del fatto che quello fosse solo un modo per mettersi in mostra, in quanto mai la Raylee si sarebbe, in altri casi, sporcata le mani con carne cruda, né tanto meno avrebbe mai avuto un tale interesse verso una creatura magica.

Una volta avvicinatasi a Charlie, questi le fece indossare dei guanti, porgendole poi il cibo del drago, che la mora prese con un'aria visibilmente disgustata.

«Sai che tipo di carne è questo?» chiese poi il rosso, rivolgendosi prima alla ragazza e poi a tutti loro.

«Di animale, è evidente» rispose lei, come se avesse appena rivelato qualcosa di eclatante.

Che stupida, pensò.

«Di pecora. I Verde Gallesi sono ghiotti di questo animale.» s'intromise Helen.

Ora aveva gli occhi di tutti puntati nella sua direzione, persino quelli di Charlie, che aveva assunto un'espressione stupita, meravigliata, come se non si aspettasse una tale risposta da lei.

Questo, notò, lo fece sorridere, ed Helen se ne compiacque.

Erika, invece, la fissava con uno sguardo astioso, per cui decise di rivolgersi proprio a lei, sfoggiandole un ghigno beffardo.

«Quindi, Erika, fossi in te, starei attenta, potrebbe scambiarti per il suo pranzo.»

Una risata generale si levò dal gruppo di giovani maghi e streghe, ed Helen provò un senso di soddisfazione inondarle il petto.

Giuró di aver visto anche Charlie ridere sotto i baffi.

Era quello che quella viscida si meritava .

Prima che gli animi si surriscaldassero ulteriormente, Hagrid intervenne, facendo in modo che la lezione potesse continuare nel verso sperato:

«Per favore, state buoni. Non vi rendete conto del privilegio che avete? Dovreste ringraziare il signor...cioè, Charlie, per la sua disponibilità».

«Nessun problema, Hagrid. Continuiamo adesso» fece Charlie, incentivando il gruppo di studenti a prestare nuovamente attenzione.

«Come ci è stato gentilmente suggerito, questa è carne di pecora. Adesso, Erika, mettiti qui accanto a me, dobbiamo procedere con cautela»

«Tutta quella che vuoi, Charlie» rispose lei, con atteggiamento spudoratamente adulatorio.

I due si avvicinarono di poco al drago, il quale non appena vide il cibo nelle mani della ragazza, iniziò ad agitarsi, battedo le ali ed emettendo piccoli versi, come se avesse intuito che fosse arrivata per lui l'ora del pranzo.

Vide la Raylee ritrarsi istintivamente. 

Helen si chiedeva come mai la creatura non le avesse già morso un dito.

Charlie poggiò una mano sulla spalla della mora, avvicinandola di poco a se' ed accompagnando, con l'altra, quella della ragazza in direzione della gabbia.

Helen provò una specie di rabbia montarle dentro a tal punto da sembrare che del fumo le stesse fuoriuscendo dalle orecchie, come se avesse appena bevuto una Pozione Peperita.

Il drago azzannò il pezzo di carne, inghiottendolo in un sol movimento della testa.

Erika emise un piccolo gridolino, aggrappandosi repentinamente al petto di Charlie, come a proteggersi.

Helen ora sentiva ribollirle il sangue nelle vene: ma come riusciva quell'asina giuliva ad irritarla in qualsiasi modo e in qualunque situazione?

Sentí poi i gemelli applaudire e fiaschiare.

«Bravo Charlie!» dissero.

«Deve essere bello fare il dragonologista.» aggiunse poi, George.

«Già, si attirano le ragazze!» concluse poi Fred, che si conquistò una bella gomitata nelle costole da Angelina Jhonson.

Helen avrebbe voluto, mai come in quel momento, lanciare un Incantesimo Silenziatore ai suoi due amici, sebbene consapevole che stessero scherzando. 

In quel momento lei era più che furiosa, infastidita...quasi gelosa.

«Raylee, ci stavamo tutti preoccupando per la tua incolumità.» la beffeggiò «Per tua fortuna non ti ha scambiato per il proprio pranzo.» concluse poi, con finta premura.

Nuovamente ci fu un'ondata di risate generali, si voltò ad osservare prima la Raylee, la quale si era irrigidita dalla rabbia e poi i suoi amici, che continuavano a sghignazzare.

Si sentiva particolarmente soddisfatta.

«STUPEFICIUM!»

Non fece nemmeno in tempo a capire cosa stesse succedendo che un lampo colorato partí dalla bacchetta di Erika Raylee.

«PROTEGO.»

Helen era pietrificata, aveva gli occhi sgranati e gli arti fissi lungo il corpo.

Quella meschina l'aveva colpita alle spalle.

Era sicura di non essere stata lei a proferire l'incantesimo protettivo.

Si voltò leggermente e notò la bacchetta di Charlie puntata nella sua direzione, mentre lui sembrava decisamente essere sbiancato.

L'aveva prottetta.

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Capitolo 19
*** Capitolo 15 - Punizioni ***


Charlie ringraziò, per l'ennesima volta, i propri riflessi, perchè gli permisero di evitare una tragedia.

La ragazza, o meglio, come aveva detto lei di chiamarsi, Erika, dopo esser stata punzecchiata da Helen, si era adirata a tal punto da lanciarle uno schiantesimo. Tra l'altro proprio mentre la bionda era distratta e, per giunta, di spalle.

Un gesto vile, pensò Charlie.

Non appena vide un lampo colorato dirigersi verso la Clark, proferí l'incantesimo di protezione, senza realmente capire cosa stesse accadendo, né per quale motivo.

Helen era impietrita, rigida, come se l'avesse colpita un Petrificus Totalus, più che uno Stupeficium.

Si rese conto dal modo in cui lo guardò, che si fosse davvero presa un bello spavento.

Le credeva, non capitava mica tutti i giorni di essere attaccati in un momento di distrazione.

Cadde un silenzio tombale, tutti gli studenti non proferivano parola, piuttosto facevano rimbalzare gli sguardi da Charlie, ad Erika, ed infine alla stessa Helen.

La Raylee teneva ancora puntata la bacchetta contro la Clark, abbozzando un piccolo ghigno compiaciuto, come se si sentisse soddisfatta. Seppur il proprio incantesimo non fosse andato realmente a segno, aveva, in qualche modo, dimostrato di cosa fosse capace; aveva fatto comprendere alla propria rivale di non sfidarla, mai più.

Erika aveva giocato sporco, e dal mondo in cui impugnava la sua bacchetta, Charlie avrebbe potuto scommettere che, se si fosse ripresentata un'altra occasione, quella ragazza lo avrebbe rifatto, senza indugiare.

«O-ok Ok, la lezione è finita, ragazzi...» 

La tensione accumulatasi nell'aria venne rotta da Hagrid, che sembrava, anzi non sembrava, era molto agitato. Il suo faccione, roseo e ricoperto dalla barba ispida, era tutto sudato.

Si muoveva quasi a scatti, non sapendo esattamente cosa fare, ne' tantomeno cosa dire.

La folla di studenti iniziò ad allontanarsi incerta, tra bisbigli e occhiatine. Charlie vide Helen finalmente muoversi dalla posizione che aveva assunto, appena accortasi di ciò che le fosse, o meglio, fosse potuto accadere.

I suoi fratelli, insieme ad altri ragazzi le si avvicinarono, domandandole come si sentisse e se stesse bene.

Helen annuiva solamente, Charlie immaginava fosse ancora sbigottita.

«L-la signorina Raylee e pure la signorina Clark dovrebbero restare. Già, si...» disse Hagrid, domandandosi mentalmente perché le sue lezioni fossero sempre così turbolente.

«Perchè?» chiese la mora, sfrontata.

Charlie capí che quella ragazza doveva essere un tipo davvero...difficile da sopportare.

«Aiuterete me e il sign...Charlie in alcune faccende. Come punizione, si, cioé, i-io sono il professore e posso farle queste cose, quindi...una punizione.»

Hagrid non sembrava molto sicuro delle sue parole, anzi, pareva stesse piú autoconvincendosi di poter fare una cosa del genere, che altro.

Vide l'espressione delle due ragazze mutare in modo repentino, sembravano incredule di una tale presa di pozione del mezzogigante.

«M-ma...» provó a lamentarsi Helen.

«Non si discute, altrimenti sono costretto a riferire al Direttore della vostra Casa.»

Charlie raggeló al solo pensiero, il professor Piton avrebbe potuto rinchiuderle in una segreta per il resto della notte se fosse venuto a conoscenza dell'accaduto, o peggio, se avesse saputo del rifiuto, da parte delle due Serpi, di restare in castigo. Esigeva sempre grande disciplina dagli studenti della sua casa.

Le due ragazze, evidentemente, dovettero avere la sua stessa intuizione, perchè abbassarono gli occhi, senza proferire più parola.

 

Tutti gli studenti si dileguarono in pochi minuti, lasciando solo le due streghe in loro compagnia.

Charlie se ne stava fermo su due gambe con le braccia conserte, aspettando che Hagrid spiegasse loro in cosa consistesse questa punizione.

«Ho chiesto a Charlie di aiutarmi in alcune faccende, ma sei mani...no aspettate.»  Hagrid iniziò a contare, alzando un dito per ogni persona presente «volevo dire otto mani» si corresse, «Sono meglio di quattro. Erika tu verrai con me» disse poi rivolgendosi alla mora «mi darai una mano con le zucche giganti. Helen tu invece affiancherai Charlie, con gli snasi.»

«MA PERCHE' LEI  PUO' ANDARE CON LUI?» protestó subito la Raylee.

«P-perchè ho deciso così» si giustificò Hagrid 

«Forza andiamo, prima che arrivi il prossimo gruppo.»

Stranamente la ragazza non ribattè ulteriormente, rassegnandosi; forse aveva effettivamente capito di non avere scelta.

Poco dopo si allontanarono alla volta della casa del mezzogigante.

Erano rimasti solo lui ed Helen, la quale non aveva proferito parola, né tanto meno aveva alzato lo sguardo dalle punte delle sue scarpe. Charlie non riusciva a comprendere se fosse imbarazzata, totalmente disinteressata o, addirittura, annoiata.

Quella ragazza era un vero e proprio enigma e, a volte, decifrare quel suo comportamento criptico gli sembrava impossibile, era più semplice addestrare un Dorsorugoso di Norvegia.

«Stai bene?» azzardò lui

Si voltò, finalmente nella sua direzione: aveva attirato la sua attenzione.

«Si.» rispose semplicemente lei.

«Bene.» un silenzio imbarazzante calò tra loro, non era di certo la prima volta.

«Allora andiamo.» disse infine.

 

Dopo essersi procurati il necessario, si diressero verso l'area della Riserva dedicata gli Snasi. Questi non erano numerosi, eppure sembrava lo fossero, per quanto correvano, si rotolavano: erano ovunque e in nessun posto, contemporaneamente.

Appena li videro arrivare con il cibo, si precipitarono immediatamente ai loro piedi. Due di loro si poggiarono uno sulla sua spalla, e l'altro su quella di Helen, la quale sembrò per un attimo sobbalzare, ma la vide subito sorridere in direzione della creatura ed accarezzarla con delicatezza. 

Si incantò per un attimo ad osservare la scena: lo snaso si faceva coccolare dalla bionda, per poi subito afferrare il cibo che lei gli aveva offerto. Helen continuava a sfoggiare un sorriso che Charlie ritenne essere uno dei più belli che avesse mai visto. Era così dolce, raggiante e allo stesso tempo coinvolgente, a tal punto da contagiare anche lui.

La imitò. 

Helen cominció a dare da mangiare al resto dei piccoli animaletti, sebbene fosse quasi impossibile vederli stare fermi. Sembravano quasi innocenti.

Si, quasi, perchè non lo erano affatto.

«Hey» disse Charlie afferrando un piccolo snaso «Ridaglielo

«Cosa?» chiese lei, perplessa.

Helen lo stava guardando con fare interrogativo, Charlie si aspettava una reazione del genere.

Spronò nuovamente la creatura con un pizzicotto sul ventre, solo così questo tirò, da sotto lo strato di pelliccia, la catenina d'oro che Helen poco prima portava agganciata al collo.

«Ecco bravo.» si complimentò Charlie, mentre lo snaso riusciva a sfuggire alla sua presa.

Si rivolse poi verso Helen, porgendole la collanina con una mano, mentre lei continuava a guardarlo con lo sguardo di chi non ha esattamente capito come fosse potuto accadere, e lui non le avrebbe dato tutti i torti, in quanto solo un occhio esperto sarebbe stato in grado di accorgersene: gli snasi, creature particolarmente furtive.

Lei prese la catenina, provando a rimetterla, volgendo poi le spalle a Charlie.

«Puoi agganciarla, per favore?»

gli chiese, spostando tutta la massa di biondi capelli da un lato della spalla.

«Oh, certo» rispose lui.

Afferró le due estremità, cosí piccole nelle sue mani, che pensó di non riuscirci. Si fece più vicino, per poter osservare meglio l'aggancio.

Il corpo di Helen emanava un certo tepore. 

Passando le estremità attorno al collo di lei, fu impossibile non sfiorare quella pelle candida, non percepire il pulsare delle sue vene. Il cuore le batteva forte, notó. Ebbe l'impressione di sentire quei tonfi, nel silenzio che li circondava.

Sfioró i biondi capelli morbidi e si domandó quale sensazione si provasse ad affondarvi le mani.

"Charlie Weasley, ma cosa vai pensando?" domandó a sè stesso.

Con un leggero sforzo riuscì ad agganciare quella catenina sottile. 

Avrebbe voluto impiegarci più tempo.

Il contatto con Helen aveva un qualcosa di benefico.

Quando lei si fu voltata, le sue guance erano dipinte di un rosa tenue. 

«Grazie, Charlie» fece, inclinando gli angoli della bocca.

Il suo nome non gli era mai sembrato tanto bello.

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Capitolo 20
*** Capitolo 16 - Ansia ***


L'incontro di orientamento, e la conseguente "punizione" con Charlie, avevano piacevolmente interrotto la routine di Helen, che le era piombata addosso nuovamente.
Aveva raccontato ad Adeline di ciò che era successo con il Weasley. Persino i gemelli avevano inteso qualcosa, infatti se ne uscirono con: «Che bella punizione che ti è toccata, Helen! Mica come quelle che danno a noi».
Tuttavia, quei pensieri felici, e la sensazione di avere ancora il tocco di Charlie sulla pelle, furono rimpiazzati da qualcosa di molto più imminente: i G.U.F.O.
Mancava circa un mese e mezzo a quell'evento, ma Helen aveva la sensazione di dover studiare e ripetere almeno un miliardo di cose. Avrebbe voluto ampliare la mente con un incantesimo di estensione irriconoscibile.
Ciò che la preoccupava più di tutto era il fatto che, guardandosi intorno, vedesse studenti consapevoli di ciò che avrebbero voluto fare: chi voleva lavorare al ministero, chi voleva scrivere per un giornale, chi aveva l'aspirazione di diventare pozionista.
Lei, invece, non aveva ancora deciso cosa avrebbe voluto diventare, motivo per cui le toccava studiare ogni singola materia in modo minuzioso. Doveva puntare in alto, e sentiva di potercela fare.
Aveva deciso di organizzare un piano di studi in modo da non tralasciare nulla. La sua intenzione era quella di occupare ogni ora libera, tranne quelle destinate alla musica, suo unico svago, con l'apprendimento e la pratica. 
C'erano materie davvero difficili da tenere a mente, un esempio era antiche rune, oppure materie in cui lo studiare pagine e pagine non bastava, come divinazione.
Sebbene Helen preferisse studiare da sola, nel silenzio più assoluto, decise di includere nel suo programma anche i suoi amici. Riteneva che quello studio così intenso meritasse una nota di leggerezza. Le uniche persone con cui non era in grado di studiare erano i gemelli: non riuscivano a stare seduti per più di qualche minuto, e ogni occasione era buona per svignarsela. Immaginò la faccia disperata della signora Weasley, che aveva ricevuto almeno altre due o tre lettere di ammonizione.
Così aveva deciso di studiare pozioni, astronomia ed erbologia con i suoi compagni Serpeverde. Insieme ad Adeline e Lee si dedicò a difesa contro le Arti Oscure, cura delle creature magiche ed antiche rune. 
L'insegnamento di difesa contro le Arti Oscure di quell'anno era stato abbastanza esaustivo, se non fosse stato per le presenza saltuarie del professor Lupin. Helen aveva ipotizzato soffrisse di qualche malattia, dal momento che spesso si presentava a lezione pallido e in condizioni pessime.
Per le altre materie preferì fare da sè, incantesimi, in particolare, non le dava grossi problemi. Aveva una certa dimistichezza.
Oltre agli esami, i giovani serpeverde doverono sopportare anche il pessimo umore del Professor Piton, che immaginava già chi avrebbe vinto la coppa delle case quell'anno. Nonostante la consapevolezza, però, l'uomo non mancava di rimproverare anche la minima incompostezza: come una camicia spiegazzata o una gonna più su di qualche centimetro.
All'esterno il sole illuminava il parco. Il mese di Maggio stava portando con sé delle giornate meravigliose, quanto calde. I fiori erano sbocciati, ed Helen avrebbe voluto essere sulle rive del lago a collezionarli, ma non poteva permetterselo, non quell'anno. 
Le piaceva stendersi sotto gli alberi a godere di quel fresco, ma le estenuanti ore sui libri non le lasciavano altro tempo.
Per di più, notò, che nessuno degli altri studenti fosse incoraggiato ad uscire, dal momento che i dissennatori pattugliavano i confini della scuola, in cerca del famigerato Sirius Black. 
Lei non si era granchè interessata a tutta la vicenda. Molte cose le erano giunte alle orecchie, attraverso i corridoi, oppure grazie ai gemelli. La conclusione era una soltanto, come sempre: il giovane Potter aveva qualcosa a che fare con tutto quello.
Fatto sta che tutta la situazione che Hogwarts, ritenuto il posto più sicuro ci potesse essere, stava affrontando, non era delle migliori.

Era una giornata identica alle altre quando, anche la professoressa Sprout, decise di incutere timore nelle menti, già abbastanza turbate, di tutti gli studenti.
Aveva intavolato anche lei il discorso riguardo l'importanza dei G.U.F.O.
«Spero che vi stiate impegnando duramente per questi esami. Ricevere un G.U.F.O in erbologia potrebbe tornarvi molto utile» aveva detto, con aria insolitamente severa. Helen vide i gemelli scomparire quasi sotto ai tavoli della serra.
Uscendo da lì, ebbe l'occasione di prendere una bella boccata d'aria. Gli spostamenti di aula in aula erano l'unica occasione che aveva per scambiare con i suoi amici parole che non fossero: "A cosa serve l'incantesimo Evanesco?" "Come si prepara un Distillato Sgonfiotto?" e altre mille domande.
Logan le si affiancó. La Raylee, che passava accanto a loro in quell'istante, fece una smorfia. Tutti i serpeverde, o quasi, erano consapevoli del fatto che avesse un debole per il ragazzo; vederlo accanto alla sua acerrima nemica la mandava su tutte le furie.
«Tu che sei sempre informato su tutto, Lewis, sai qualcosa sui nostri presunti esaminatori?» gli chiese Helen, curiosa. Il ragazzo scosse la testa vigorosamente.
«Io ho saputo da una ragazza Corvonero che l'esaminatore di Antiche Rune è particolarmente pretenzioso» si intromise Adeline.
"Più di Piton?" pensó Helen, tra sé e sé.
Un istante dopo i gemelli le si pararono dinanzi, sbarrandole la strada. Avevano le mani colme di fiori variopinti.
«Questo é per scusarci con te per essere stati insopportabili» cominció Fred, mettendole un fiore azzurro dietro l'orecchio destro.
«Questo perché ti vediamo particolarmente nervosa, Helen. Non ti farebbe male avere un fidanzato, capisci, vero?» continuó George, facendo un cenno a Lee, che camminava poco distante da loro. Poi le poggió un fiore rosa dietro l'altro orecchio, mentre Helen sbuffava vigorosamente.
«Certo che vuoi due siete testardi» proferì Helen, mentre i gemelli le giravano intorno, lanciandole fiori addosso.
«Hai ragione Helen, dopotutto a te piacciono gli uomini più grandi, forzuti...» ironizzó George.
«...Con i capelli rossi magari!» fecero all'unisono.
Helen battè un piede per terra, sfilando via i fiori che le adornavano le orecchie, facendola sembrare una fata della foresta. I gemelli si fermarono, poteva essere peggio della signora Weasley quando voleva.
«Non so cosa stiate blaterando voi due...» parló con tono minaccioso, puntando il dito verso i loro nasi, «...Ma sarebbe meglio se impiegaste il vostro tempo in biblioteca. Fossi in voi mi aspetterei una bella strillettera» ghignó, drizzandosi nelle spalle.
«Non avrai mica scritto a nostra madre?»
I gemelli sembravano profondamente turbati.
«Potrei averlo fatto» proferì Helen, mantenendosi vaga.
I gemelli si guardarono per un istante, poi le porsero i pochi fiori che gli erano rimasti tra le mani.
«Per la bellissima Helen. La nostra migliore amica e più convinta sostenitrice.» la aduló Fred.
«Ti conosciamo così bene da sapere che ami questi fiori, vedi?» continuó George con fare ruffiano.
Le labbra di Helen si schiusero in un sorriso. 
Annusó quel mazzolino variopinto, li avrebbe messi sul comodino della sua camera. 
I gemelli sapevano sempre come salvarsi, probabilmente perché avevano passato la loro vita intera ad evadere da situazioni di quel tipo. Ci sapevano fare davvero.
«Voi due» sospiró Helen. «Se non ci foste, vi dovrebbero inventare».
Poi Ava, che si trovava più in alto rispetto a loro, li chiamó, incentivandoli a muoversi. I tre, ridendo, risalirono verso il castello.
Qualche minuto dopo furono inghiottiti dal buio dei sotterranei, dove li attendeva un'impegnativa lezione di pozioni.

 

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Capitolo 21
*** Capitolo 17 - G.U.F.O. ***


Helen si sentiva piuttosto agitata. 
Aveva trascorso quel giorno interamente in biblioteca, immersa tra libri e pergamene. In solo pensiero che mancassero poche ore ai G.U.FO. le metteva particolarmente ansia.
Non era l'unica, però, tutti gli studenti del quinto e dell'ultimo anno, i quali, invece, avrebbero dovuto affrontare i M.A.G.O, erano impegnati tra ininterrotte ripetizioni teoriche ed esercitazioni pratiche. Si vedevano fogli volare da una parte all'altra.
La professoressa McGrannit era stata chiara:
«O vi concentrate nello studio, o non passerete mai questi esami per accedere alle classi successive» aveva detto, più categorica che mai.
Per capire quanto fossero intimoriti i ragazzi dagli esami, bastava pensare che addirittura i gemelli Weasley furono visti studiare e che, la Raylee avesse, per la prima volta nella sua vita, messo piede in biblioteca, provando ad inserire qualche nozione nel cervello di gallina che si ritrovava; missione che, per Helen, sembrò tanto ardua quanto impossibile.
Adeline era divenuta notevolmente intrattabile in quell'ultimo periodo, perchè se c'era una cosa che mandava in tilt il sistema nervoso dell'amica, questa era proprio l'ansia pre-esami. Helen, tuttavia, riusciva a comprenderne a pieno lo stato d'animo, anche lei era davvero preoccupata. Sebbene si fosse impegnata tantissimo, aveva paura, non tanto di essere rimandata, quello lo riteneva poco possibile (forse), ma di deludere le proprie aspettative in merito. Voleva dare il massimo, essere una delle migliori, sentirsi fiera del proprio lavoro e dei risultati raggiunti.

Il fatidico giorno arrivò, come tutte le cose che, nella vita, sembrano insormontabili. 
Quella notte Helen non aveva chiuso occhio e questo la  turbò notevolmente: aveva paura di non riuscire a rendere come avrebbe voluto, o peggio, di non ricordare nulla a causa della stanchezza.
La prima prova a cui i giovani maghi si dovettero sottoporre, fu quella di una delle materie obbligatorie: Incantesimi. L'inizio era previsto per le 9 in punto ed Helen, come quasi mai nella sua intera esistenza, non solo si presentò puntuale, ma addirittura, circa trenta minuti prima dell'orario stabilito. Una folla di studenti aspettava che gli esaminatori aprissero le porte della Sala Grande per permettere loro di accomodarsi. Intanto Helen, ripeteva mentalmente tutto ciò che le sarebbe servito per rispondere correttamente ai quesiti.
La prova scritta era strutturata in questo modo: c'erano circa sessanta domande, sia a risposte multiple, che aperte, a cui gli studenti avrebbero dovuto rispondere nell'arco di due ore. 
Non era impossibile, ma nemmeno una cosa tanto semplice, ed Helen era piuttosto consapevole di questo, per tale motivo, si era adoperata al massimo delle sue potenzialità.
Si sentiva sufficientemente pronta, nonostante gli occhi le bruciassero a causa della notte insonne.
Pochi minuti dopo, gli esaminatori permisero ai ragazzi di entrare nella sala e prendere posto, ognuno al proprio banco. Erano stati distanziati gli uni dagli altri e , a ciascuno di loro sarebbe stata, a breve, affidata una penna a cui era stato apportato un incantesimo anti-imbroglio, cosicché non avessero avuto la minima possibilità di copiare.
Alle 9:00 in punto, non un minuto di più, né in meno, un uomo di mezza età, con occhiali e capelli scuri, che indossava abiti piuttosto formali, agitó la bacchetta e dalla pila, posiziona proprio di fianco a lui, iniziarono a volare dei fogli, diretti verso di loro. Una copia per ogni studente.
La distribuzione dei compiti duró davvero poco e dopo circa due minuti, ogni di loro aveva davanti a sé il foglio con i quesiti.
Si guardó attorno ed incroció prima lo sguardo di Adeline, che, nel frattempo, si mordicchiava le unghie delle mani, poi quello di George, che, al contrario, sembrava davvero tranquillo, tanto che le fece l'occhiolino, alzando il pollice come per assicurarle che fosse tutto ok.
«Avete due ore a partire da ora.» tuonó l'uomo, schioccando le dita e rovesciando poi una clessidra, collocata sul grande tavolo alle sue spalle.
Helen notó che poco dopo quel gesto le domande comparvero sul foglio. Impugnó la sua piuma e inizió a leggere, cercando di mantenere la calma.
In quell'ultimo periodo aveva scoperto di avere una certa predisposizione per Incantesimi, apprendeva con una facilità pazzesca, tanto è vero che la prova d'esame non le risultó per nulla difficile. Apponeva crocette con la stessa rapidità con cui lo snaso le aveva rubato la catenina quando era con Charlie.
"Non è il momento di pensare a lui!" si rimproveró, scuotendo la testa.
Arrivó all'ultima domanda prima di quanto si aspettasse.
"Scrivere l'incantesimo usato per alimentare le fiamme." lesse mentalmente.
"Facile" pensó "Alimentes Flames."
Scrisse la risposta di getto, dando, poi, una piccola ricontrollata al compito.
Quando alzó gli occhi, per la prima volta dopo l'inizio dell'esame, vide tutti gli altri studenti chinati, ognuno sulla propria prova. Nessuno aveva ancora terminato, era stata la prima.
Un misto di gioia e preoccupazione le invase il petto, due potevano essere le opzioni: o era stata decisamente brava o aveva sbagliato praticamente tutto.
Cercó di non farsi cogliere dall'ansia, si alzó e, sotto lo sguardo sbalordito di alcuni ragazzi, consegnó.

Quello stesso pomeriggio dovettero affrontare l'esame pratico della medesima materia.
Questa volta, invece della Sala Grande, si diressero nell'aula dove comunemente seguivano le lezioni. 
Sostenevano la prova uno per volta con un esaminatore esterno, probabilmente lo stesso che Helen aveva visto quella mattina stessa.
Mancava solo una ragazza, poi sarebbe toccato a lei. Quei minuti sembravano non passare mai, interminabili, mentre ripeteva in mente tutti i possibili incantesimi che avrebbero potuto chiederle.
Quando il suo turno arrivó, Helen capì davvero che, in alcuni casi, l'attesa di qualcosa, la rende più complicata di quel che realmente sia, difatti, il suo esame fu davvero eccezionale, tanto che il Signor Grendyth, che presiedeva la commissione, le fece i complimenti, in quanto uno dei migliori fino al quel momento osservati. Il professor Flitwick sarebbe stato fiero.

Anche gli altri G.U.F.O. non si rivelarono particolarmente difficili. L'unica complicazione, che poi riuscì ad arginare al meglio, le si presentó durante la prova di Storia della Magia. Nonostante avesse davvero appuntato e schemazzito qualsiasi evento di rilevante importanza, la cronologia, con le corrispettive date delle vicende storiche, non era proprio il suo forte, tuttavia, non credette di essere andata proprio male.

I risultati non tardarono ad arrivare. 
Quando ormai, dopo una serie di turbolenti avvenimenti di cui Hogwarts si vide protagonista quell'anno, furono finalmente a casa, ad Helen arrivó una missiva. 
Appena consegnatale, capì subito di cosa si trattasse, già dal fatto che non avesse riconosciuto il gufo: non era Errol, né tantomeno Tivy, ma quello di Adeline.
Tolse subito la busta che portava legata alla zampa, srotoló la pergamena e lesse:

HELEN CLARK HA CONSEGUITO:
Astronomia: O
Antiche Rune: O
Aritmazia: E
Cura delle creature magiche: O
Incantesimi: E
Difesa contro le arti oscure: O
Divinazione: O
Erbologia: A
Storia della Magia: A
Pozioni: O
Trasfigurazione:O

Un enorme sorriso le si allargó sul volto: li aveva passati tutti.
Era davvero soddisfatta, ora la sua estate sarebbe potuta iniziare per davvero.
Ad un tratto sentì degli strilli provenire dalla casa dei Weasley. Fu in grado di distinguere la voce di Molly, sebbene si trovassero distanti.
Evidentemente i gemelli non avevano avuto i suoi stessi risultati.
Si affacció alla finestra della cucina.
I gemelli stavano correndo verso casa sua, procedendo a grandi salti, più felici che mai, e facendo svolazzare tra le mani delle pergamene.
«Vi avevo giá dato per morti» gridó Helen, ridendo forte.
«Ti riferisci alle urla che hai sentito? In realtà sono quasi sicuro fossero di gioia» ironizzó Fred.
George le mostrava le pagelle da lontano, chiaramente Helen non poteva decifrare la scrittura da quella distanza.
«IN DUE ABBIAMO TOTALIZZATO BEN SEI GUFO!» esultarono, riprendendo a saltare da una parte all'altra.
Le vacanze stavano cominciando per tutti loro.

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Capitolo 22
*** Capitolo 18 - Gli Amanti ***


Helen era a lezione di Divinazione.

Aveva scelto di seguire quella materia, insieme anche ad Aritmazia, perchè la predizione del futuro l'affascinava da sempre.

Misticismo e mistero erano tra le cose che più stimolavano la sua curiosità e il suo interesse.

La lezione del giorno riguardava la lettura dei tarocchi, la professoressa Cooman diceva che era possibile predire eventi prossimi in base a quale carta una persona scegliesse.

La stramba professoressa optó poi, dopo una quasi interminabile spiegazione, per una dimostrazione pratica e, percependo una vena di scettismo in quasi tutti i suoi studenti, decise, tra gli altri, di sceglier proprio Helen, che, al contrario, sembrava alquanto interessata.

«Ohh signorina Clark...» inizió con voce petulante «scelga una di queste carte.» terminó, posizionando le carte dinanzi a lei, rivolte in modo tale che non potesse vederne la figura.

Helen esitó un attimo: solitamente, quando veniva posta davanti ad una scelta, soleva scegliere sempre qualsiasi cosa si trovasse alla sua destra, che fosse stata la strada di un bivio, o due bicchieri posizionati su un tavolo.

Tuttavia quel giorno volle osare, rompere la propria routine, girando così una carta che si trovava proprio alla sua sinistra, in basso.

La carta raffigurava un uomo, una donna e uno strano essere alato alle loro spalle, sullo sfondo una specie di giardino.

«OOOH OO-H, GLI AMANTI.» esclamó la Cooman, balzando in piedi, facendo trasalire la maggior parte dei propri studenti, compresa Helen. Sapeva essere molto drammatica.

«Questa carta ci ricorda la forza del potere dell'Amore» disse d'un tratto, aggiustandosi con un dito gli occhiali sul naso. «Di fronte al vero amore dobbiamo essere nudi, cioè sinceri ad autentici, pronti a donarci interamente, affinchè riesca ad emergere la parte migliore di noi.», fece una breve pausa, avvicinandosi ad Helen e fissandola dritta negli occhi. «Al tempo stesso la decisione di abbandonarci all'Amore richiede sempre una scelta da parte nostra, la scelta di non cedere alla paura, ma seguire ció che il nostro cuore realmente desidera.». La professoressa si allontanó, per poi sospirare e puntare un dito tremante nella sua direzione «L'insegnamento principale di questo Arcano, signorina Clark è, dunque, che solo attraverso una scelta coraggiosa, giunge la possibilità dell'Unione».

 

Era con Charlie nel salotto della Tana, non c'era nessuno, ma non ricordava esattamente perchè, nè dove gli tutti gli altri fossero andati.

Il rosso era girato di spalle, immobile.

«Charlie?» lo chiamó.

«Oh eccoti Helen, ti aspettavo.»

Si voltó, iniziando ad avvicinarsi.

Continuava.

Era vicino, pericolosamente vicino, per poco i loro nasi non si sfioravano.

Helen sentì le guance avvampare.

Lui sorrise, accarezzandole lievemente il volto con la mano.

Sentiva il suo respiro caldo sulle proprie labbra.

Era irrigidita, totalmente, come sotto l'effetto di una Fattura.

Poi Charlie si mosse, azzerando lo spazio tra di loro.

La stava baciando, ed Helen non esitó a ricambiare.

Era un bacio passionale, bramoso, non come quelli sdolcinati, di cui si leggeva nei libri.

Charlie l'attiró a sé, inducendola, con un movimento del corpo, a sedersi sul divano.

Helen aveva le mani avvinghiate alla sua maglietta.

Poi lui, non staccando le loro labbra, portó una mano all'altezza della sua coscia, accarezzandola, per poi, con un lento movimento, cominciare a salire.

 

Alzó di scatto la testa dal cuscino, svegliandosi di soprassalto.

Stava sognando.

Si sfregó gli occhi con forza, mettendo a fuoco ogni oggetto presente nella stanza.

Non c'era nessuno, era tutto al proprio posto.

Cercó di ricordare che giorno fosse.

"Probabilmente martedì." pensó.

Da quando erano iniziate le vacanze estive, aveva perso letteralmente la concezione del tempo, ormai, un giorno valeva l'altro.

Aveva caldo, particolarmente. Il mese di luglio si riveló uno dei più afosi degli ultimi 10 anni.

Scese dal letto. Sentiva dei rumori provenire dal piano terra: dovevano essere il padre e Jacob.

Aprì la finestra, stiracchiandosi ed emettendo un rumoroso sbadiglio.

«Helen sembri un leone.»

Abbassó lo sguardo e vide i gemelli proprio sotto casa sua.

«Ma che ci fate qui?» domandó, cercando di pettinarsi i capelli con le dita.

«Siamo venuti ad invitarti a trascorrere una bellissima giornata in nostra compagnia.» rispose George.

«Come se potessero essere bellissime le giornate con voi.» rise lei. «Dove andiamo?» chiese, subito dopo.

«Scendi e lo vedrai.» ribattè Fred.

«Mhh, datemi dieci minuti.»

«Ma che siano dieci peró Helen!» urlarono poi i due in coro.

Helen sbuffó, richiundendo la finestra.

Si guardó allo specchio: aveva i capelli arruffati e dei solchi enormi sotto agli occhi.

"Forse venti minuti." pensó, entrando poi in bagno per una bella doccia fredda.

 

Furono trascorsi anche più di venti minuti, quando Helen varcó la porta della propria camera. Nell'attesa i gemelli si erano accomodati in salotto, insieme a suo padre, suo fratello e Charlie.

Helen non era stata avvisata del fatto che ci fosse anche lui, quantomeno avrebbe optato per dei vestiti più carini.

Infatti aveva indossato un semplice pantaloncino di jeans ed una canotta con bretelle sottili in tinta unita, di un azzurro chiaro precisamente.

Aveva i capelli raccolti in una treccia da cui, benché si fosse sforzata di sistemarle, fuoriuscivano sempre le due ciocche più corte, che andavano a ricaderle sul volto, solleticandole gli occhi.

«Buongiorno.» disse, cercando di non incrociare lo sguardo di Charlie. Sentiva i suoi occhi fissi su di lei. Interruppe il loro animato discorso sul quidditch.

«Per Godric Helen, avevi detto dirci minuti...» si lamentó Fred.

«Non dieci moltiplicati per quattro.» aggiunse poi George.

«Una donna si fa attendere.» ribattè subito lei.

Pochi istanti dopo Helen uscì dalla sua abitazione in compagnia dei gemelli, di Charlie e Jacob, che a quanto sembrava, conosceva giá i loro programmi.

«Qualcuno potrebbe dirmi dove siamo diretti?» domandó, continuando ad avanzare, affiancata dai gemelli. George prese parola: «Charlie deve comprare delle cose a Diagon Alley, e aveva previsto di invitare tuo fratello. Noi ci siamo auto invitati, e abbiamo deciso di far venire anche te. Non siamo forse i migliori amici del mondo?»

Helen scosse la testa, divertita. Una bella passeggiata a Diagon Alley era ció che ci voleva; per di più era diverso tempo che non vi metteva piede.

«Useremo la metropolvere per arrivarci» puntualizzò Charlie, che camminava dietro di lei, affiancato da Jacob.

Suo fratello, poi, le afferró la vita, cogliendola d sorpresa. Le stampó  un bacio sulla guancia, dicendo: «È sempre bellissimo averti di nuovo a casa».

 

 

Diagon Alley brulicava di gente.

Helen cercava di avanzare tra le persone, senza perdere di vista i gemelli, che pareva divenissero ogni giorno più alti. Aveva impiegato qualche secondo per ripulire il viso dalla fuliggine del camino. Ora, specchiandosi nella vetrine dei negozi, le sembrava di avere la faccia pulita.

Ad un certo punto Charlie, che conduceva il gruppo, si arrestó. Si erano fermati proprio dinanzi alla gelateria Florean; Helen amava il loro gelato.

«Allora, io e Jacob abbiamo alcune commissioni da sbrigare» cominció Charlie, con un fare autoritario che non gli addiceva per nulla. «Ci vediamo qui tra due ore esatte, intesi?». 

«Comandi!» fecero i gemelli, portando una mano alla fronte, come se stessero obbedendo ad un generale. Helen mascheró una risata.

Prima che potessero incamminarsi, Charlie afferró il polso di lei, con il suo solito modo gentile. «Tienili d'occhio tu, non mi fido molto» le raccomandó, con aria premurosa. Helen lo rassicuró: «Stai tranquillo, sono in buone mani»

«Non che avessi dubbi» specificó il rosso.

Prima di lasciarle il polso la tiró più a sè.

«Aspetta...» fece, strofinandole una guancia con il pollice. «Fuliggine» rise, mostrandole il pollice sporco. Helen cercó di non arrossire. Gli sorrise in segno di ringraziamento e si voltó verso i gemelli, che la fissavano di sottecchi.

 

Le ore che passó in loro compagnia furono a dir poco fantastiche. Trascorsero del tempo da Florean a mangiare un gigantesco gelato, che sembró avergli congelato il cervello. Dopodiché si recarono al "serraglio stregato" ad ammirare gli animali esposti all'esterno. In ultima battuta, prima di ricongiungersi con gli altri, i gemelli rimasero a fissare la vetrina di "Accessori di prima qualità per il quidditch", costringendo Helen lì con loro.

Erano rimasti particolarmente attratti da alcune mazze da battitore di ultima produzione, che promettevano un maggiore impulso ed una forza maggiore nel lancio.

Quando si fu ricongiunta con il fratello, gli raccontó di ció che avevano fatto e Jacob fece lo stesso con lei.

Il sole era alto nel cielo quando, con malinconia, fecero tutti ritorno a casa.

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Capitolo 23
*** Capitolo 19 - Imprevisti ***


Helen non riusciva a comprendere perché i giorni estivi trascorressero così velocemente. Le vacanze non erano mai abbastanza per recuperare.
Si trattava di una legge non scritta per cui il tempo in estate, a differenza di quello durante il periodo scolastico, volasse, letteralmente.
Quella mattina, mentre stavano facevano colazione, un gufo planó dalla finestra. Non era uno dei soliti, le sembró sconosciuto, ma non al fratello, il quale si issó improvvisamente in piedi e ancora prima di inghiottire il boccone che ancora masticava, si diresse verso il pennuto, aprendo subito la lettera.
Da ciò che aveva intuito, Jacob aveva ricevuto una lettera dalla Romania, dai suoi superiori. Aveva ricevuto un incarico importante: intercettare un traffico illegale di uova di drago che, sospettavano, avesse luogo proprio  in Inghilterra, probabilmente ai confini con la Scozia.
Il signor Clark aveva deciso di partire insieme a Jacob, per lui quello poteva essere un potenziale articolo da prima pagina, non si sentiva parlare di mercato nero di draghi da un bel po' di tempo.
Andare lì, e vivere i fatti in prima persona, avrebbe comportato la stesura di un qualcosa di davvero argomentato.
Non poteva, a parer suo, farsi scappare un'occasione del genere.
Tuttavia, non vollero in alcun modo lasciare Helen da sola a casa, proprio a causa delle dicerie sul conto di Voi-Sapete-Chi che ultimamente imperversavano il mondo magico.
«Non è sicuro Helen!» gli aveva risposto lui, dopo i continui inviti a non preoccuparsi, espressi dalla ragazza.
Così, il signor Clark decise di appellarsi ancora una volta ai Weasley, perché era sicuro che avrebbero potuto contare su di loro. Avrebbe dovuto trovare un modo di sdebitarsi prima o poi.

In poche ore Jacob organizzó tutto ció che gli sarebbe servito; lo stesso fece suo padre.
Fatto ció, con le valigie alla mano, accompagnarono Helen a casa dei Weasley, già messi al corrente della situazione. 
La ragazza era dispiaciuta profondamente. Giá i Weasley dovevano fronteggiare i loro problemi, e lei non avrebbe mai voluto essere un peso, ma d'altra parte Molly aveva un cuore immenso.
Si rassicuró mentalmente, promettendosi che avrebbe fatto il possibile per aiutarla.
Quando i tre bussarono alla porta, furono accolti dal caldo sorriso di Arthur, che rasserenó il signor Clark, dicendogli che era sempre un piacere poter godere della compagnia di sua figlia. A quella serie di lodi, si unirono anche quelle della signora Weasley, che descrisse Helen come una ragazza tranquilla e assennata.
Charlie, nel frattempo aveva percorso le scale a tutta velocità, piombandosi su Jacob e augurandogli buona fortuna per la missione, ricordandogli quanto fosse fiero.
Quando i suoi due accompagnatori furono partiti, lei mise piede nella Tana, trascinando con sè la valigia che aveva preparato in brevissimo tempo. Conosceva quella casa come le sue tasche, e già ipotizzava quale camera le sarebbe spettata.
Seduti in cucina c'erano Percy e Bill, il secondo la salutó sorridendo e andandole incontro, Percy invece le fece un cenno con la mano, troppo intento a lucidare la sua bacchetta.
Non furono passati neanche due minuti, che i gemelli si fiondarono giù per le scale per andarle incontro.
«Lasci fare a noi, signorina Clark. La scorteremo nella sua suite» proferì Fred con una strana voce. Poi prese la sua valigia, mentre George le poneva il braccio come avrebbe fatto un maggiordomo.
Helen riuscì a stento a salire le scale; rideva a crepapelle guardando quei due comportarsi in quello strano modo.
Volse lo sguardo in alto, molto in alto, dal momento che la casa contava sette piani. Charlie era sulla cima di quelle scale zigzagate. Ebbe l'impressione che la stesse osservando da lassù. 
"Non farti strane illusioni" si ripetè.
Anche Ron e Ginny scesero a salutarla, e furono felici di scortarla, come se non bastassero giá Fred e George, fino alla stanza degli ospiti.
«Come mai sei qui?» domandó Ron
«Affari segretissimi, Ronald» lo rimbeccó George.
Quando furono arrivati al sesto piano, abbastanza affaticati dalla salita, Ginny fece strada a Helen, sebbene lei fosse fin troppo consapevole dell'ubicazione della camera. Questa si trovava dritta di fronte alle scale, tra la stanza dei due fratelli maggiori, Charlie e Bill, e quella dei gemelli.
Si domandó come avrebbe fatto a starsene serena, con Fred e George come vicini di stanza.
Quando tutti si furono dileguati, Helen chiuse la porta della camera e aprì la piccola finestra, cosicché potesse entrare un po' d'aria. Lo spazio non era molto grande, ma la stanza era accogliente, conteneva lo stretto necessario: un letto di legno scuro, le cui lenzuola erano state appena cambiate, un cassettone in tinta e uno specchio a muro.
Ripose nel cassettone le poche cose che aveva portato con sè, poi, dopo essersi data una sistemata allo specchio, scese le numerose rampe che la separavano dalla cucina.
Quando entró, la signora Weasley era intenta a sbucciare una grossa quantità di patate.
«Non era necessario mi facesse il letto, Molly. Avrei potuto pensarci io» fece Helen, sentendosi in colpa.
«Sciocchezze mia cara!» 
Senza neanche chiederglielo, le si sedette vicino, si munì di coltello e prese ad aiutarla. 
«Helen, non è necessario. Vai a cercare i gemelli, oppure vai in camera da Ginny» le propose Molly.
Ma lei fu irremovibile, come se non avesse sentito. Si limitó a sorridere.
« Stasera avevamo pensato di cucinare all'aperto» riprese, entusiasta.

Anche quella giornata passó velocemente.
Helen si era dilettata nei lavori di casa, aiutando il più possibile la signora Weasley ad allestire l'esterno per quella sera. Solo durante il pomeriggio, si era concessa una partita a scacchi con Ron, perdendo miseramente. 
Quando l'ora di cena si fu avvicinata, il signor Arthur insieme a Charlie, Bill e i gemelli presero ad armeggiare davanti ad uno strano aggeggio babbano che, a detta sua, veniva utilizzato per cuocere la carne.
Lei, insieme alla signora Weasley, Percy e i due piccoli della famiglia, ebbe cura di apparecchiare la tavola, che per i così tanti posti a sedere che contava, assomigliava ad una di quelle della Sala Grande, attorno alla quale si riunivano le varie Case.
«Per Merlino Arthur, ma è necessario usare quella 'cosa'?» disse la signora Weasley al momento della cottura, avvicinandosi al gruppo di uomini. «Non sarebbe meglio utilizzare un semplicissimo incantesimo?»
«Oh no cara, è molto più divertente così!» ribattè lui, tossendo poco dopo per la quantitá di fumo che quell'arnese emanava.
«Si mamma, lasciaci fare» intervenne George.
«Sei in buone mani!» aggiunse poi Fred, impugnando una grossa forchetta.
Ron si rivolse ad Helen, sussurrandole all'orecchio: «Questa è la volta buona che saltiamo in aria!».

Nonostante i baldi giovani della famiglia Weasley avessero rischiato di appiccare un incendio diverse volte, la cena fu più che soddisfacente. 
Non smise nemmeno un attimo di ringraziare i coniugi Weasley per la loro ospitalità, promettendo di sdebitarsi in ogni modo possibile.
«Perchè non ci canti una canzone, tesoro?» propose la signora Weasley, poco dopo aver terminato di mangiare.
«Si, ti prego Helen» le disse poi Ginny, congiungendo le mani davanti al proprio volto.
«Ma non ho il pianoforte...» cercó di divincolarsi lei, un po' imbarazzata.
«E che problema c'è, lo trasfiguriamo!» ribadì entusiasta il signor Weasley, concentrandosi e agitando poi la bacchetta e trasformando una delle sedie in un vero e proprio piano, che ora stava al centro del prato.
"Favolosa la magia!" pensó Helen.

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 20 - Canzone ***


I Weasley l'avevano pregata di esibirsi in una piccola performance canora e, nonostante fosse incredibilmente imbarazzata, decise di accettare; era il minimo che potesse fare.
Il signor Arthur aveva trasfigurato una sedia in un pianoforte, quando lei aveva fatto notare l'assenza di quello strumento, con il quale era solita accompagnarsi.
Tutte le teste fulve si disposero davanti a lei, con occhi puntati nella sua direzione, in particolare quelli di Charlie, notò, sembravano più penetranti del solito, come se non avesse voluto farsi sfuggire nemmeno un minimo dettaglio di ogni suo movimento, di ogni sua parola, di lei.
Mentre pensava a quale canzone scegliere, si sedette dietro lo strumento, posizionando le mani suoi tasti e schiarendosi, poco dopo, la voce.
I primi accordi risuonarono nell'aria. Nessuno proferiva parola, neanche i gemelli, che solitamente avevano qualcosa da puntualizzare. Erano tutti in attesa della sua voce.

I gotta take a little time, a little time to think things over.
I better read between the lines, in case I need it when I'm older.

Chiuse gli occhi, lasciando che la musica la conducesse per mano.

Now this mountain I must climb, feels like the world upon my shoulders.
Through the clouds I see love shine, it keeps me warm as life grows colder.

Sentiva ogni parola entrarle nel petto, come se ogni nota fosse in sincrono con il suo cuore, con ogni battito.

In my life there's been heartache and pain.
I don't know if I can face it again
Can't stop now, I've traveled so far, to change this lonely life.

Queste frasi le facevano tornare in mente tutto il dolore che aveva provato, risvegliando quei sentimenti che albergavano nel profondo del proprio animo.
Sentí una piccola lacrima scivolare dalle palpebre ancora abbassate, non riuscí a trattenerla.
Cantare, per lei, era esprimere ciò che normalmente non era in grado di fare.

I want to know what love is, I want you to show me.

Aprí gli occhi e la prima persona che cercò con lo sguardo fu Charlie.

I want to feel what love is, I know you can show me.

Lui la guardava attentamente.
Lo sentiva vicino, come se avesse posato una mano sul suo cuore.
Lo leggeva dalle sue iridi.

I'm gonna take a little time, a little time to look around me.
I've got nowhere left to hide, it looks like love has finally found me.

Sembrava che un filo invisibile, fatto di note ed accordi, li stesse collegando.
Un filo, che man mano diveniva sempre più corto, lei lo percepiva.

In my life there's been heartache and pain.
I don't know if I can face it again.
Can't stop now, I've traveled so far, to change this lonely life.

Non era imbarazzata, sostenere il suo sguardo non l'agitava, non ora.

I want to know what love is, I want you to show me.
I want to feel what love is, I know you can show me.
I want to know what love is, I want you to show me
I know you can show me.

Le pareva che lui stesse osservando minuziosamente ogni suo gesto: i modi con cui lei proferiva ogni singola sillaba, ogni pausa.
Ogni immagine che si formava nella sua mente, pareva crearsi anche in quella di Charlie.
Forse era magia.

Let's talk about love, I want to know what love is.
The love that you feel inside, I want you to show me.
And I'm feeling so much love, I want to feel what love is.
No, you just can't hide, I know you can show me.

In quel momento non le importava se gli altri si fossero accorti del loro continuare a fissarsi.
In parte avrebbe voluto che lui fosse in grado di comprendere tutto ciò che avrebbe dovuto.

I want to know what love is, I know you can show me.
I want to feel it too, I want to feel what love is.
I want to feel it too, and I know and I know, I know you can show me.

Gli sorrise e lui ricambiò.
Aveva capito.

Show me love is real, I want to know what love is.

Abbassò gli occhi, cantó le ultime parole, suonando le note finali.
Applausi echeggiarono nell'aria. Persino Percy batteva le mani. Quando Helen si fu alzata, accennando un piccolo inchino, vide mamma Weasley asciugarsi una piccola lacrima.
«Per Godric tesoro mio, mi hai fatto emozionare.» disse poi, dirigendosi verso di lei.
La strinse forte ed Helen ricambiò l'abbraccio. Molly era stata da sempre come una madre per lei, trovarsi nelle sue braccia aveva un che di rassicurante.
«Grazie Molly.» disse, ancora incastrata in quella stretta.
«Grazie a te, piccola Helen.»
I gemelli continuarono ad applaudire e ululare per almeno altri cinque minuti.
«Bravissima Helen!» ripetevano in coro.
"I soliti esagerati" pensó lei.
Poi Helen si offrì di sparecchiare la tavola, quindi prese ad andare e venire dalla cucina, con le mani impegnate dai piatti.
Solo alcuni istanti dopo si rese conto che Charlie si trovasse alle sue spalle. Per poco non gli precipitò addosso.
«Non sapevo avessi una voce così...», non completó la frase. «Era una bella canzone, comunque»
«Una canzone babbana» specificó Helen.
Poi Charlie le si fece vicino, e la ragazza trattenne il fiato istintivamente, rendendosi conto che le stava togliendo alcuni piatti dalla mano sinistra.
«Fai attenzione, potresti farti male» disse, con tono di rimprovero, poggiando quella pila nel lavabo.
«Potrei farci l'abitudine, a questa cosa che mi aiuti a sparecchiare» gli fece notare, ironica.
«Potresti» rispose, liberando l'altra mano dai piatti che restavano.
La luce del tramonto, che filtrava dalla finestra, gli fece lampeggiare gli occhi. I toni purpurei gli tinsero i capelli di riflessi dorati. 
I polpastrelli del Weasley sfiorarono quelli di lei, nell'intento di aiutarla. Un brivido le salì fino alla nuca. Ebbe l'impressione che avesse ridotto di qualche centimetro la distanza tra loro.
Poi Ginny corse in cucina, urlando gioiosa:
«Stanotte ci saranno le stelle cadenti! Helen accompagnami a prendere delle lenzuola, ci sdraieremo all'aperto»
La sua euforia era coinvolgente. Tiró Helen per il braccio, mentre Charlie la guardava allontanarsi, sorridendo.

Il cielo quella sera aveva un qualcosa di magnifico.
Erano tutti stesi sul prato, tranne Percy, che non aveva trovato allettante quell'idea.
La signora Weasley aveva un aspetto rilassato, piuttosto insolito.
Bill indicava a Ginny alcune stelle, pronunciando i loro nomi.
«Beh Helen, se non fossimo stati bocciati in astronomia potremmo fare lo stesso» sospiró Fred, guardando George, divertito. Erano stesi accanto a lei, su un grande lenzuolo verde.
«Vi voglio bene, ragazzi» disse, senza pensarci su.
Se aveva superato gli eventi turbolenti della sua vita era stato anche grazie a loro, e alla leggerezza con cui si comportavano.
«Suvvia Helen! Non c'è bisogno di essere sentimentali» fece George, prendendola in giro.
«E poi anche noi ci vogliamo bene!» parlarono all'unisono, scompigliandole i capelli contemporaneamente.
Helen sorrise, volgendo lo sguardo al cielo.
Il buio abbracciava le campagne circostanti, ma le stelle inspiravano sicurezza. 
Sembrava che il firmamento fosse il riflesso della sua vita, quella notte. Gli astri che avevano illuminato il suo cammino le stavano accanto, e il suo pensiero arrivó anche a Jacob e suo padre; si chiese se stessero bene.
Charlie era poco distante, teneva una mano dietro la nuca, l'altra sul petto. Accanto a lui c'era Ron, perso con gli occhi nel cielo, o forse nei suoi pensieri. 
Ad un tratto, un fascio luminoso attraversó l'oscurità.
Sua madre le aveva sempre detto che le stelle cadenti fossero in grado di far avverare i desideri, ma forse non sapeva realmente cosa il suo cuore desiderasse, o cosa il futuro avesse in serbo.
Chiuse gli occhi, poi li aprì.
Volse lo sguardo a Charlie, che la stava osservando a sua volta.
 

INFO: La canzone è "I Want To Know What Love Is" di Foreigner del 1984.

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Capitolo 25
*** Capitolo 21 - Spiaggia ***


Due giorni erano trascorsi da quando Jacob e suo padre erano partiti.

Sperava non avessero avuto problemi, non sapeva nulla di loro, non le era arrivato nessun gufo e, nonostante comprendesse la segretezza della missione affidata al fratello, era ugualmente preoccupata.

Quella mattina era scesa in salotto prima del solito, desiderava aiutare la signora Weasley a preparare la colazione.

La trovó intenta, come sempre, negli incantesimi domestici e, con sorpresa, notó che stava confezionando quello che sembrava un pranzo a sacco; sul tavolo c'erano alcuni tramezzini e una miriade di altri cibi, avvolti accuratamente.

«Buongiorno Molly» le disse avvicinandosi.

«Buongiorno tesoro, hai dormito bene?» chiese lei, sistemando un altro fagotto in uno zaino posto sul tavolo.

«Si» rispose. «Andate da qualche parte?» domandó, cercando di rendersi utile in qualche modo.

«Andiamo tutti al mare oggi, mia cara. A Sidmouth Sea Front!» esclamó, infine, entusiasta.

Sidmouth era una località balneare che si trovava a meno di un'ora dal loro villaggio, Ottery St. Catchpole.

Spesso, in estate, quando erano più piccoli, il padre ci portava lei, suo fratello e, a volte, si univano a loro i componenti della famiglia Weasley.

Risultava piuttosto strano per lei andarci ora, dopo così tanto tempo, senza la sua famiglia.

«Molly ma io non ho portato un costume...» inizió lei, ma fu subito interrotta da un gesto della mano della signora Weasley.

«Rimedieremo, cara.» ribattè la rossa.

E in effetti, risolsero il problema in men che non si fosse detto. Mamma Weasley aveva alcuni costumi di quando, come amava dire lei, era una giovane strega, spensierata e molto piú carina, i quali, dopo una bella sistemata, sembravano andarle a pennello.

Ne scelse uno molto semplice, bianco, che le fasciava l'intero addome, lasciando scoperta la schiena.

«Mi ricordi tua madre.» le disse, ammirandola. «Sei bella quanto lei, piccola mia.» 

Helen aveva visto delle foto della madre da giovane ed era davvero una ragazza stupenda, d'altronde, essere paragonata a lei, le riempiva il cuore di gioia.

Chiunque la descriveva come una donna affascinante, intraprendente ed estremamente dolce, ribadendo, ogni volta, quanto le somigliasse, anche se Helen, sebbene la cosa la rendesse felice, non ne era del tutto sicura.

Non si sentiva affascinante, forse intraprendente, ma sicuramente non dolce...

 

Partirono abbastanza presto, come stabilito dal signor Weasley, il quale, sempre piú esperto del mondo dei Non Maghi, disse che giungere a destinazione troppo tardi non avrebbe per nulla giovato, perchè, come recitava un detto Babbano:"Chi tardi arriva, male alloggia."

Nonostante non fosse altrettanto competente in materia, non ci mise molto a comprendere cosa volesse dire quella frase, che si riveló anche piuttosto veritiera.

Infatti, l'arrivare ad un orario decente, permise loro di usufruire di una collocazione ottimale, vicinissima alla riva e pure abbastanza appartata.

I maschi di casa Weasley, non appena sistemate le loro cose sulla sabbia, si diressero correndo in direzione del mare, lanciando le loro magliette per aria, accompagnati dalle intimazioni, per nulla considerate, della signora Weasley, che ordinava di raccogliere immediatamente gli indumenti.

Percy invece fu molto più cauto rispetto a loro.

Helen si tolse i vestiti, restando in costume. Cercava di non dare troppo nell'occhio, si sentiva leggermente in imbarazzo. Era in momenti come quello, che avrebbe desiderato la compagnia della sua migliore amica.

Si mise a sedere accanto a Ginny e Molly, su un telo che quest'ultima aveva apposto sulla sabbia, prendendo il libro che aveva deciso di portare con se' e che, poco prima, aveva appoggiato accanto alla piccola Weasley.

Stava leggendo le gesta di uno dei cavalieri vissuti nell'epoca di Merlino: Lancillotto. 

Era una lettura appassionante, ricca di avventura, amore e magia.

Aprì il manoscritto all'ultima pagina letta, che aveva indicato inserendo un fiore essiccato come segnalibro.

Credeva che quella fosse la parte più bella della storia in cui si narrava dell'amore tra il giovane e la bellissima regina Ginevra.

 

Helen era così immersa nella lettura da non accorgersi del fatto che qualcuno dei Weasley si fosse appena seduto accanto a lei.

«Che leggi?»

Quella voce la fece quasi sobbalzare, inducendola a tornare da Camelot al mondo reale.

Si voltó e notó Charlie, con la pelle ancora intrisa di salsedine, i mossi capelli gocciolanti.

Non capiva cosa le avesse impedito di rispondere immediatamente; se fosse stata colpa del sole che si riflettava sulla pelle chiara e lentigginosa, se dei capelli tirati indietro in quel modo, se del suo petto nudo, ma Helen non riuscì a non restare, per un attimo, incantata a fissarlo.

Si riprese, rivolgendo poi lo sguardo verso l'orizzonte.

«Storie di Camelot.» rispose, fingendo disinteresse.

Non poteva fargli capire quanto pendesse dalle sue labbra, aveva pur sempre un certo orgoglio da difendere e non incrociare il suo sguardo, le sembró un buon modo per cominciare.

«Merlino?» domandó lui, girando la testa in direzione del mare, proprio come lei.

«Non solo, ci sono le storie di re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda.» inizió lei, riaprendo il libro dove aveva interrotto «Ora sto leggendo di Lancillotto e Ginevra.» 

«E chi sono?»

I loro sguardi si incontrarono di nuovo, c'era interesse in quello di Charlie. Desiderava davvero sapere, come se avesse voluto entrare, farsi un giro, in qualche modo, nel suo mondo.

Helen glielo lasció fare, le pareva una cosa più che giusta, infondo lei aveva provato a fare la medesima cosa con lui.

«Sei sicuro di volerlo sapere davvero?» lo stuzzicó «O lo fai solo per educazione?» 

Il ragazzo sorrise e lei fece lo stesso.

«Sono curioso, ti ascolto.» 

Lo vide poggiare il peso del corpo all'indietro, poggiandosi sui gomiti.

«Lancillotto era il più valoroso e fidato cavaliere del re.» inizió Helen, tenendo ancora gli occhi fissi davanti a lei. 

«Ginevra, invece, regina, moglie e donna per cui l'impavido uomo perse la testa, innamorandosene perdutamente.» 

Per una frazione di secondo incroció lo sguardo di lui, ritornando subito al punto precedente.

«Lui la salvó eroicamente da Melegant, nemico del regno, e dal quel momento i due si innamorarono follemente, tanto da non riuscire a stare lontani l'uno dall'altra, cercando svariati modi per vedersi e amarsi segretamente.»

Fece una pausa.

«Peró...» intervenne il giovane Weasley, con tono riflessivo «E che cosa accadde? Si sposarono?»

Helen sospiró malinconicamente, accennando un piccolo sorriso. Poi si voltó a guardarlo, notanto quanto lui volesse realmente sapere quale fosse il finale di quella storia.

Se ne compiacque, era...bello stare con lui, parlargli in quel modo, quasi a volergli insegnare.

«Magari... I due non furono abbastanza prudenti.» continuó lei.

«Re Artù scoprì il tradimento della regina e condannò a morte Ginevra. Lancillotto riuscì a scappare e volendo liberare l'amata, attaccó Camelot, che fu distrutta, mentre re Artù rimase ucciso. Tuttavia, alla scoperta della morte di Ginevra, Lancillotto, fu colto da tale sconforto da rifugiarsi nella vita spirituale.» concluse, voltandosi di nuovo in direzione del ragazzo, il quale continuava a studiarla con lo sguardo.

«Perdere l'amore deve essere stato devastante per lui.» costató Charlie. Prese tra le mani il libro e cominció a sfogliarlo. Il suo tocco era leggero persino su quelle pagine.

«Lo credo anch'io.» ribattè infine lei.

Il silenzio si insinuó tra loro, un silenzio frastornante e non solo per le tante parole che avrebbero voluto dirsi, ma perchè poco dopo Fred e George piombarono su Helen, afferrandola di peso e trascinandola in acqua.

«Ora valuteremo le tue doti acquatiche.» esclamò George tenendola ferma su una spalla.

«George lasciami andare!»

Stava sferrando pugni sulla spalla del ragazzo, ma non sembró fare un granchè effetto.

«Agli ordini, fanciulla!»

Effettivamente George lasció la presa, ma solo per lanciarla in acqua, senza grosso preavviso.

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Capitolo 26
*** Capitolo 22 - Mare ***


I gemelli avevano afferrato Helen, trascinandola in acqua con loro.

Charlie era rimasto seduto lì, guardando la scena divertito: la bionda cercava di divincolarsi, provando, con dei colpi sulla schiena, ad indurre George a lasciarla andare.

La leggera brezza marina gli increspava i capelli ramati, sentiva goccioline di acqua salata sfiorargli la pelle calda.

Chiuse gli occhi, ispirando l'aria pura che lo circondava. Gli era mancato il mare, erano anni ormai che non appropinquava a quella spiaggia, che riteva, d'altronde, un pezzo della propria infanzia.

Quando li riaprì, vide che Helen era, per un attimo, uscita dall'acqua, irata per il tuffo che i gemelli le avevano fatto fare, maledicendoli.

Si fermó a guardarla: aveva un costume bianco che le calzava perfettamente, lasciando scoperti alcuni punti ed esaltando le forme.

Fred e George continuavano a schizzarla e tirarla in acqua, nonostante lei cercasse di sfuggire loro in ogni modo. 

Quella scena lo faceva ridere moltissimo, sapeva quanto i fratelli potessero essere vivaci, e quando si trovava lontano da casa gli mancava averli intorno.

Helen finalmente era riuscita a svignarsela, allontanandosi dal bagnasciuga, mentre urlava ai due qualcosa come: "Se vi avvicinate di nuovo, vi crucio."

Charlie rise, quei tre insieme erano uno spettacolo di comicità assoluta.

La bionda, che ora aveva le spalle rivolte al mare, alzó leggermente la testa in direzione del sole, chiudendo gli occhi e passandosi le mani tra i capelli bagnati, buttandoli all'indietro.

Charlie rimase incantato, sembrava uno di quegli esseri mistici che i babbani chiamavano "angeli". L'accostamento dei colori: biondo dei suoi capelli, bianco del costume e l'azzuro del mare sullo sfondo, risaltava la sua figura, rendola tanto bella, di una meraviglia delicata. 

Sebbene si trattasse di una dolorosa bellezza, e di un tocco che per Charlie era letale, ardente, a lui sembrava fosse così vulnerabile da aver bisogno di protezione.

Magari da qualcuno, magari da lui.

Quel pensiero lo indusse a rivolgere lo sguardo altrove, non capiva davvero cosa stesse cercando di comunicargli il proprio subconscio, e qualsiasi essa fosse, non era possibile.

"Tuttavia..."

La guardó di nuovo: questa volta, da ció che aveva intuito, era stata reclutata come arbitro per la  gara di nuoto che Fred e George avevano velocemente indetto, insieme al più giovane Ron.

"...lei sembrava volesse dirmi qualcosa."

Ripensó alla canzone di qualche sera prima, non aveva potuto rimuoverla dalla mente. Ricordó il testo, le parole, il modo in cui lei le aveva pronunciate, e il modo in cui lo aveva guardato, come non avesse mai staccato gli occhi da lui, come se stesse rivolgendo a lui ognuna di quelle, come se avesse avuto qualcosa da dichiarargli.

Rifletté su quanto lei fosse cambiata, ma non solo fisicamente, quello era più che evidente e anche alquanto concreto; ma piuttosto intellettualmente.

Come riuscisse a strutturate discorsi di un certo calibro e conversazioni degne di essere ascoltate. Era affascinato da quante cose sapesse, sia del mondo magico, che di quello babbano, senza mai vantarsene. 

Quella ragazza amava il sapere, amava conoscere, amava ogni cosa di cui era ancora all'oscuro. Charlie lo aveva notato dai suoi occhi vispi, sempre attenti ad ogni minimo dettaglio. 

Era venuto a conoscenza grazie a Fred e George del fatto che avesse conseguito ben dieci G.U.F.O., incredibile.

Il sole ormai alto nel cielo, picchiava sulla pelle, che sentiva bruciare lievemente, bisognosa di acqua fresca.

Si diede una piccola spinta, issandosi in piedi, scuotendosi la sabbia attaccata al costume.

Helen era ferma in riva al mare, con i piedi nell'acqua, mentre osservava così attentamente il procedere della sfida tra Fred, George e Ron, tanto da non si accorgersi di lui, fin quando non le si fu avvicinato da dietro, pizzicandole leggermente i fianchi, per spaventarla.

Infatti, come aveva previsto, la ragazza sobbalzò, voltandosi bruscamente nella sua direzione, cercando di capire chi fosse stato a farle quel terribile affronto. Non appena lo vide, la sua espressione mutò. 

Charlie rise, era buffissimo il mondo in cui i lineamenti del suo viso fossero cambiati così velocemente.

«Charlie...» disse solamente lei.

«Cosa? Cruci anche me?» la sfidò lui, beffardo.

«Non che avessi di certo paura di farlo.» rispose lei, mantenendo il suo stesso tono.

«Oh, non che avessi dubbi in merito» ammise lui.

Sapeva tenergli testa.

Helen sorrise e lui si sentì, come alla Riserva delle Creature Magiche, rapito, incatenato.

«Sei...una delle ragazze più belle che abbia mai visto.»

Non seppe come quell'affermazione gli fosse sfuggita dalla bocca così repentinamente.

I loro occhi non si staccarono gli uni dagli altri, poi lei curvó leggermente la bocca, facendo una smorfia.

«Una?» lo provocò.

«La più bella» ammise lui, sorridendo, mentre continuava a fissarla.

«Mh...» rispose lei, rivolgendo poi lo sguardo in direzione del mare. «Avrei preferito che mi avessi detto 'la più intelligente'» aggiunse poi, ridendo e guardandolo per una frazione di secondo, giusto il tempo di osservarne la reazione.

Dopodicchè entrò di nuovo in acqua, raggiungendo i gemelli e lasciandolo solo sul bagnasciuga, ancora leggermente scosso dalla precedente affermazione di lei. Helen era così, criptica, indecifrabile, lo lasciava sempre in balia di mille domande senza alcuna risposa: un enigma.

Aveva la capacità di farlo sentire un perfetto idiota. E lui non lo era. Per lavorare con i draghi si dovevano avere tante qualità, e la stoltezza non rientrava per nulla tra queste. Eppure lei ci riusciva.

La guardó avanzare nell'acqua a grandi bracciate, raggiungendo gli altri. Il modo in cui il suo corpo snello sfiorava la superficie del mare, conduceva la sua mente verso numerosi pensieri. Avrebbe voluto afferrare quelle gambe, che si muovevano rapide per stare a galla. 

Si chiese che sapore avesse la sua bocca, inumidita dall'acqua salata.

E non si rimproverò per quei pensieri, come aveva fatto sino a quell'istante.

 "I due si innamorarono follemente, tanto da non riuscire a stare lontani l'uno dall'altra" ripensó alle parole di Helen su Ginevra e Lancillotto.

Si lanció in acqua, trovando sollievo da quel caldo asfissiante. Si mosse in direzione dei suoi fratelli e della ragazza. 

Notó che i gemelli stavano cercando di lanciare Helen, questa volta con il suo consenso.

George la teneva in equilibrio sulla spalle, stringendola con le mani.

Fred gridó: «Uno...due...tre!».

George lasció la presa, ed Helen saltó in acqua, gridando a sua volta, sotto lo sguardo divertito di Ron e Fred.

Quando ritornó su, tossiva forte. 

Charlie si preoccupó, mosse istintivamente le braccia, annullando la distanza che teneva dal gruppo.

«Ma siete impazziti?!» inveì contro i gemelli, cosa che non era proprio da lui. I due lo fissarono straniti.

Poi si rivolse ad Helen, con premura : «Stai bene?».

Helen, che tossicchiava ancora, sputando acqua, annuì. 

«Mi è entrata dell'acqua nel naso» spiegó, ridendo appena.

«Pensavo che...» cominció, ma i gemelli lo interruppero.

«Credevi che volessimo affogarla?» rise Fred.

«Rilassati Charlie, per un attimo sembrava che Perce si fosse impossessato di te!», concluse George.

Helen lo guardó con un'espressione stranamente dolce. 

Aveva avuto uno slancio di protezione nei confronti di lei, che doveva essersene accorta.

"Sono io" pensó, "Sono io che devo proteggerla".

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Capitolo 27
*** Capitolo 23 - Immaginazione ***


Charlie aprì gli occhi lentamente. Come suo solito Bill aveva scostato le tende, ed ora un raggio di luce gli feriva gli occhi. 

Suo fratello non si trovava nel letto accanto, doveva essersi già alzato; si sarebbe dovuto recare a Diagon Alley, gli aveva detto, prima di addormentarsi. 

Era un duro lavoro fare lo spezzaincantesimi.

Guardó l'orologio appeso al muro.

Aveva i capelli umidi, la schiena sudata, necessitava di una doccia.

Per un attimo ricordó la giornata precedente: la gita al mare, i fantastici tramezzini di sua madre...Helen.

Sorrise come un idiota. 

Non la vedeva dalla sera prima; infatti appena  tornati dalla spiaggia, la ragazza li aveva ringraziati per la fantastica giornata, poi era salita nella sua camera, bisognosa di una bella dormita, scusandosi dal momento che non avrebbe preso parte alla cena.

Era stata un'uscita stancante quanto bellissima in effetti.

Si mise a sedere, stiracchiandosi.

Passó una mano tra i capelli e si grattó la barba, che aveva bisogno di una sforbiciata.

Senza aspettare oltre, si diresse al bagno del quinto piano, dal momento che gli unici altri due su quel livello fossero annessi l'uno alla camera dei gemelli, l'altro alla camera degli ospiti, dove quasi sicuramente Helen stava ancora dormendo.

Non appena ebbe chiuso la porta, si liberó della canottiera inumidita e del resto degli indumenti, poi entró in doccia. 

Il primo impatto con l'acqua fredda lo aiutó a svegliarsi. Si passó più volte le mani sul viso.

Aveva la sensazione che i capelli fossero ancora intrisi di salsedine.

"Salsedine" pensó.

La sua mente gli riportó davanti la figura di Helen: il costume bianco che avvolgeva la vita, i capelli biondi accarezzati dal vento. 

Ogni cosa la riportava, inesorabilmente, nei suoi pensieri più profondi.

Pensó a quelle gambe ambrate, che si agitavano in acqua, alle sue dita affusolate, abili sul pianoforte, quanto sulle pagine di un libro. 

Avrebbe voluto stringerle. Avrebbe voluto stringere forte lei, interamente.

Condusse poi i suoi pensieri altrove, chiedendosi come stesse Jacob. 

Erano diversi giorni che era partito, e cominció a chiedersi se avesse trovato qualche risposta.

Charlie era l'unico, a parte il signor Clark, a sapere dove Jacob si trovasse, ma non poteva dirlo a nessuno. Voleva mandargli un gufo, e forse era arrivato il momento di farlo.

Fermó il getto d'acqua, si avvolse un asciugamano alla vita, mentre con un altro strofinó i capelli il più possibile. Aveva rinunciato a metterli in ordine.

Impiegó pochi minuti ad aggiustarsi la barba e, fatto ció, si diresse nuovamente in camera, dove si vestì rapidamente. Poi, munendosi di piuma e pergamena, cominció a scrivere:

 

"Come stai? E tuo padre?

Hai scoperto qualcosa?

Tua sorella sta bene, sapevo lo avresti chiesto.

Manda indietro un altro gufo per rispondere

                                                                      -C.       "

 

Ovviamente Charlie non aveva potuto menzionare nè il proprio nome, nè quello dell'amico, nella remota possibilità che il gufo potesse essere intercettato.

Avvolse il rotolo, si affacció alla finestra e, portatosi due dita alla bocca, fischió. Il loro gufo, abbastanza malandato, atterró sul davanzale. 

Charlie assicuró la piccola pergamena alla sua zampa, lasciandolo andare in cielo.

 

Quando fu sceso in cucina, rimase sorpreso da una bella scena: Helen stava aiutando sua madre a preparare la colazione. Aveva i capelli in disordine, indossava una leggera camicia da notte celeste. 

In sottofondo c'era uno dei brani preferiti di sua madre, che, infatti, si scatenava insieme alla bionda.

Charlie tossicchió per annunciare il suo arrivo.

La musica cessó, e le due si voltarono verso di lui.

«Buongiorno tesoro» esclamó la signora Weasley, piuttosto euforica. Helen gli sorrise, impegnata a girare nella padella l'ennesimo pancake. Ne avevano preparati una trentina, notó Charlie.

«Nessun'altro è sceso per colazione?» chiese, cercando di apparecchiare la tavola.

«Solo Bill. Tutti gli altri dormono ancora, tuo padre incluso. Questa bella signorina si è offerta di aiutarmi», volse lo sguardo ad Helen, che stava spostando la padella nel lavandino. Nello sporgersi, la veste le si era sollevata di qualche centimetro, l'occhio di Charlie era caduto proprio lì. 

Si battè una mano sulla fronte, strofinandosi gli occhi.

"Charlie, autocontrollo" lo invoglió la sua coscienza.

«Vado a svegliare gli altri, non possono perdersi una simile colazione» fece, lanciandosi nuovamente per le scale.

Dopo numerose proteste da parte di Percy e dei gemelli, che avrebbero voluto dormire ancora, tutti i Weasley si trovarono di sotto, a godere di quella splendida colazione. E lui, anche della splendida cuoca, che ora discuteva con i gemelli dall'altra parte del tavolo.

 

Le ore centrali della giornata passarono veloci. 

Charlie aiutó suo padre con alcuni lavori, con il pensiero fisso alla lettera che aveva mandato a Jacob, domandandosi quando avrebbe ottenuto risposta.

Nel pomeriggio, il figlio di Amos Diggory, il giovane Cedric, si era recato a casa loro per discutere di alcune cose con Arthur. 

«Vorrei sapere davvero cosa vi fanno mangiare in quella scuola!» asserì Charlie, rivolgendosi ai gemelli, che stavano confabulando qualcosa nel frattempo.

«Ali di pipistrello» rispose George, piuttosto ironico.

«Anche Cedric è cresciuto molto» notó Charlie, osservandolo da lontano, mentre dialogava con Arthur.

«Già...» fece Fred. «Fa giá conquiste il nostro Diggory»

«Una ragazza corvonero» sospiró George.

Poi gli occhi di quei due si accesero in un battibaleno, l'idea che avevano in testa prese forma.

Si fissarono un attimo e dissero insieme: «Partita di quidditch!». Charlie li guardó un istante, inarcando il sopracciglio.

«Avanti Charlie, dicci se non è un'idea fantastica» lo sfidó George.

«Credevo sapeste contare, voi due. Siamo pochi, non potremmo giocare. E anche se aveste pensato di invitare Cedric a restare con noi, e so che lo avete fatto, saremmo dispari, dato che Perce non giocherà mai» spiegó tutto d'un fiato.

«Hey Cedric!» lo chiamó Fred. «Ti andrebbe di restare per una partita di quidditch?».

Il giovane tassofrasso fu entusiasta di quell'idea, Fred poi gli si avvicinó per accordarsi.

«Allora non avete capito? Siamo dispari, Percy...» cercó di ribadire Charlie, ma George lo mise a tacere con un gesto della mano, poi disse: «Chi ha parlato di Percy? Su, vai a chiamare Helen» lo spronó suo fratello.

«Helen?» gli fece eco Charlie, George annuì.

A quel punto Charlie non parló oltre, si alzó dalla sedia, scostandola, e si diresse ai piani superiori.

"Helen?" meditó. "Giocare a quidditch?".

Ripetendosi mentalmente queste domande, giunse al sesto piano, dove si trovava la stanza degli ospiti.

Fece un respiro, preparandosi alla reazione della bionda, e battè le nocche contro la porta.

«Helen, sono Charlie, posso entrare?» domandó.

Dall'interno non arrivó alcuna risposta.

Charlie bussó di nuovo. Ancora nulla.

Forse stava male? Oppure aveva perso i sensi? O semplicemente stava dormendo. 

Spinse la maniglia delicatamente, la porta si aprì, ma all'interno della camera non c'era nessuno.

«Dove Merlino si è...» sussurró, ma prima che avesse potuto concludere, come dando risposta alla sua domanda, Helen uscì dal bagno, chiaramente inconscia della sua presenza.

Il corpo era avvolto da un asciugamano bianco, piuttosto corto, che non lasciava molto spazio all'immaginazione. Aveva i capelli bagnati, pettinati all'indietro. Le gocce d'acqua scivolavano sulla pelle morbida. Era rimasto a fissarla, con le labbra dischiuse.

Poi Helen si accorse di lui, e urló dallo spavento, portandosi una mano al petto.

Charlie urló a sua volta, istintivamente, portandosi le mani agli occhi.

«Scusa, io...» cercó di formulare una sentenza, ma non gli venne nulla in mente. Era come paralizzato.

Poi scostó le mani, non seppe neppure lui perché, e fisso spudoratamente Helen, che aveva le guance tinte di rosso.

«Cosa ci fai qui, Charlie?» la sua voce era piuttosto pacata, per la situazione incresciosa.

«I gemelli vogliono fare una partita di quidditch, serve un giocatore» spiegó, cercando di guardare altrove, sebbene fosse difficile.

Avrebbe voluto essere una di quelle goccioline che le scivolavano lungo corpo.

«Ma io non ho mai giocato...» 

Prima che potesse protestare, Charlie la fermó con un gesto, ribattendo: «Lo hanno proposto loro, io sono solo il messaggero, come un gufo», si portó una mano dietro la nuca, rise imbarazzato.

Helen sbuffó, fissandolo.

«E va bene!» si arrese. «Ma che nessuno si aspetti nulla». Charlie sorrise.

«Beh, allora, ecco... vestiti e, ci vediamo di sotto», la voce gli si strozzó in gola. 

Con fatica staccò gli occhi dalla ragazza, e si voltó per uscire, ma Helen lo richiamó un istante: «Charlie, chiudi la porta quando esci», sorrise, un velo di sarcasmo tinto sul volto.

Charlie fece come gli era stato detto.

Non appena fu uscito, tiró un sospiro.

Era sudato, un po' per il caldo, un po' per la situazione appena passata.

Se fino ad un secondo prima si era chiesto che senso avesse fare la doccia a quell'ora, il caldo gli suggerì che era stata, in realtà, una giusta pensata.

Forse doveva ringraziare il mese di Luglio, per avergli fatto omaggio di quella stupenda visione.

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Capitolo 28
*** Capitolo 24 - Quidditch ***


Helen rimase a fissare la porta che Charlie si era appena chiuso alle spalle, uscendo.

Non riusciva a capacitarsi di ció che fosse appena accaduto: lei era avvolta in un asciugamano, appena uscita dalla doccia, e lui era entrato, lui era stato lì e l'aveva guardata, forse più di quanto avesse voluto o dovuto, ma l'aveva fissata per piú di venti secondi, senza dire una parola, con la bocca schiusa.

Aveva i capelli bagnati, pettinati all'indietro e un asciugamano che le avvolgeva il corpo, lasciando scoperte le spalle, le braccia e gran parte delle gambe.

Si rese conto di essere ancora in piedi, imbambolata nel bel mezzo della stanza, sbattè le palpebre piú volte, uscendo da quello stato di trance in cui era caduta e, ancora del tutto stupita, inizió a vestirsi.

Faceva piuttosto caldo, per cui decise di optare per un pantaloncino di jeans a vita alta e una canotta lilla con un grande "WOW" bianco, stampato in petto.

 

Quel pomeriggio era particolarmente afoso, l'aria sembrava irrespirabile, rarefatta, le si bloccava in gola come a non voler proseguire il suo percorso verso i polmoni, provocandole un certo affanno.

O forse era per qualche altro motivo.

Il pensiero di Charlie nella sua camera, mentre lei era coperta solo da un misero asciugamano bianco, le provocava un vuoto a livello dello stomaco. 

Questa sensazione l'aveva accompagnata lungo il tragitto attraverso la Tana e verso il giardino.

Arrivó lì e vide un gruppo di persone raggruppate tra due alberi. Si fece vicina a loro.

Non appena fu poco distante, Fred e George l'accolsero a braccia aperte, sotto gli occhi di tutti gli altri.

«Finalmente!» esclamó George.

Si diede un'occhiata intorno per capire chi fosse presente, cercando, in ogni modo, di non incrociare lo sguardo di Charlie, che, a sua volta, lo teneva basso, come se neanche lui avesse voluto, come se fosse imbarazzato.

Tuttavia, lo sforzo fu alquanto vano poichè, quando Fred le chiese se Charlie le avesse detto il motivo per cui l'avessero convocata, i loro occhi si incrociarono, nuovamente, anche se per una breve frazione di secondo.

«Si.» rispose poi, rivolgendosi all'amico, con una voce stranamente rauca.

«Ok bene» disse poi il gemello, congiungendo le mani «Faremo due squadre, quattro contro quattro, senza cercatori.»

Le afferró poi le spalle, inducendola a fare qualche passo indietro, fino a Cedric Diggory, che evidentemente si era unito a loro per la partita.

«Tu, Helen, starai in squadra con Cedric, Bill e George.» spiegó. «Charlie, Ginny e Ron, sono con me.»

«Come ci organizziamo per i ruoli?» chiese Cedric.

«Mh, ci saranno: un portiere, un battitore e due cacciatori per squadra.» rispose Fred.

«Invece degli anelli, utilizzeremo gli spazi tra i rami di questi due alberi.» aggiunse George, indicando le due piante.

«I ruoli?»

Questa volta a parlare era stato Charlie, ed Helen sentì di nuovo quella sensazione allo stomaco, come se ci fosse qualcuno che si stesse divertendo a pizzicarle continuamente le pareti gastriche.

«Ogni squadra si disporrà come meglio crede, ci diamo dieci minuti per pianificare tattiche e schemi vari.» chiuse Fred.

A questo punto ognuno si avvicinó ai propri compagni di squadra, in modo tale da potersi consultare e assegnare i ruoli.

«Allora» inizió Cedric. «io direi: Bill portiere, George battitore e io ed Helen cacciatori, che ne dite?» chiese poi, subito seguito da cenni di assenso.

«C'è solo un piccolo problema.» si intromise lei, attirando l'attenzione di tutti «Io non so giocare.» concluse.

Avevano dato tutti per scontato che lei fosse una giocatrice di Quidditch, quando in realtà non era affatto cosí. Sì, seguiva quello sport, ma non si era mai cimentata prima d'ora in una partita, ed il massimo che avesse fatto, erano un paio di avvitamenti a lezione di volo.

«Che problema c'è.» intervenne Cedric. «Ti faccio vedere io, non è difficile.» disse, mentre un grosso sorriso si fece largo sul suo volto.

Helen lo fissó un istante. Diggory era una dei ragazzi più "ambiti" di Hogwarts.

Poco dopo, ognuno di loro si muní di scopa e il ragazzo tassorosso la invitó a seguirlo, un po' più in disparte rispetto al resto del gruppo.

Le chiese di mostrargli come montasse, dispensandole consigli sulla posizione delle mani e del busto, in modo tale da tenersi salda al manico e non cadere nel caso qualcuno l'avesse urtata.

Improvvisamente, lui si portó proprio dietro di lei, congiungendo le proprie mani con quelle di Helen, ancorate al manico.

«Datti una spinta, voliamo. Ti faccio vedere una manovra.» disse lui.

Sentiva il fiato del ragazzo sul collo e questo la fece rabbrividire.

Si issarono in aria. Sentì le mani di Cedric stringersi ancora di più attorno alle sue. 

Istintivamente le venne da cercare Charlie con lo sguardo. Lo trovó, stava guardando proprio verso di loro.

Non seppe il perchè, ma fu come se se lo fosse aspettato.

Gli occhi di lui, anche a quella distanza, sembravano fuoco. Si domandó come mai il suo manico di scopa non stesse ancora bruciando, diversamente dalla sua pelle sotto quegli occhi inquisitori.

 

Dopo aver effettuato e perfezionato qualche virata insieme a Cedric, entrambi raggiunsero il resto dei componenti della squadra, pronti per iniziare.

«Sei stata bravissima, Helen. Apprendi velocemente.» disse lui, cingendole la vita, per qualche istante, in segno di affetto.

Reclutarono Percy come arbitro, il quale sembrava abbastanza scocciato.

La partita inizió.

Helen cercava di supportare Cedric il più possibile, volandogli accanto o, quanto meno in prossimità.

Riuscì a mettere a segno qualche punto, anche se la maggior parte del tempo fu impegnata a scansare i bolidi che Fred si divertiva a tirarle contro. 

Aveva deciso che lei sarebbe stata il suo bersaglio preferito.

D'un tratto qualcosa, uno scontro, attiró la sua attenzione: Charlie aveva urtato Cedric, fino a quell'istante in possesso della pluffa, arrivando per poco a disarcionarlo.

Gli sottrasse la palla, segnando poco dopo ed esultando con un vigore, tale che Helen non seppe spiegarsi se fosse stato realmente per i punti conquistati o per il fatto di esser uscito vittorioso dallo scontro con Cedric.

Si stava comportando in modo strano, notó Helen.

Non era da lui.

Il match terminó con la vittoria della sua squadra, con un punteggio di 150 a 140.

La regola era che chi fosse arrivato ad un massimo di 150 punti, avrebbe vinto.

Mentre Fred e George litigavano per alcuni falli non fischiati da Percy, del tutto disinteressato, a favore dell'una o dell'altra squadra, Cedric le si avvicinó.

«Dovresti tentare i provini come Cacciatrice.» notó sorridente.

«Me lo ha detto anche Madame Hooch, ma le ho risposto che avevo già il club di musica.» ribadì lei, scuotendo la testa, dopo essersi sciolta la coda fatta poco prima dell'inizio della partita.

«Cosa hai detto anche a Madama Hooch?»

Era Charlie, che, intanto, si era affiancato a lei e Cedric.

«Di non poter entrare nella squadra della scuola, a causa di altre attività.» rispose, abbassando lo sguardo, che, invece lui, teneva fisso su di lei.

Poi Charlie, fece un'altra cosa che Helen non si sarebbe mai aspettata da lui, rivolgendosi al ragazzo tassorosso.

«Mi hanno detto che hai fatto conquiste tra le Corvonero, Cedric.» disse con un sorriso che le sembró piuttosto forzato.

«Beh» il moro si portó una mano dietro la nuca «Diciamo di si.», rise imbarazzato.

La conversazione fu, fortunatamente, pensó Helen, interrotta da Bill che fece notare a tutti quanto si fosse fatto tardi, invitandoli ad andarsi a preparare in vista della cena.

Helen credette che mai proposta piú allettante fu formulata: una doccia era quello che ci voleva, dopo un pomeriggio piuttosto movimentato.

Si voltó un attimo verso Charlie, che nel frattempo si era sfilato la maglietta, lasciando i muscoli in vista, utilizzando l'indumento per asciugarsi le goccioline di sudore che gli scivolavano dai capelli.

Questa volta avrebbe chiuso la porta con un incantesimo.

Forse.

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Capitolo 29
*** Capitolo 25 - Uragano ***


Helen aveva bisogno di un'altra doccia, la terza di quella giornata. Era sporca di terra e sudore

Poco dopo la fine della partita, si precipitó nella sua stanza, chiudendo la porta con un incantesimo e iniziando a svestirsi.

L'acqua fredda sulla pelle le provocava sempre una piacevole sensazione. Si strofinó a fondo, più volte, tutto il corpo, facendo scivolare la piccola spugna rosa, intrisa di bagnoschiuma alla vaniglia, su ogni centimetro della sua pelle, divenuta ambrata, a causa del sole.

Amava l'odore della vaniglia, così dolce, inebriante; sperava vivamente che, al suo passaggio, anche le altre persone fossero in grado di percepirlo.

Si sbrigò, asciugandosi velocemente, indossando un semplice e comodo abitino azzurro, con un paio di scarpette basse bianche.

Diede una rapida sistemata ai capelli e scese al piano di sotto, raggiungendo i coniugi Weasley.

Arthur stava armeggiando con qualche specie di oggetto babbano, come suo solito.

Con sua sorpresa, Percy e Bill avevano già apparecchiato la tavola. La madre doveva avergli fatto una bella strigliata sul fatto che lasciassero fare, puntualmente, tutto alla loro ospite.

La signora Weasley era in cucina, e stava controllando la cottura di quella che sembrava una gigante torta salata.

«Serve aiuto, signor Weasley?» domandó Helen, appropinquandosi al tavolino del soggiorno.

«Non darti pensiero, mia cara. Piuttosto siediti fuori ne frattempo, tira un bel venticello».

La ragazza decise di seguire quel consiglio.

Non si era mai visto un caldo così umido.

Così, dopo aver afferrato "Storie di Camelot"  dalla mensola del soggiorno, su cui lo aveva collocato il giorno prima, si diresse verso l'esterno dell Tana. 

Il sole stava tramontando, dipingendo il cielo d'arancio e illuminando il paesaggio sottostante con colori caldi e tenui, una visione che le trasmetteva un senso di pace e serenità. 

Si accomodò su una panchina di legno, proprio vicino alla porta d'ingresso, accavallando le gambe per stare più comoda. Aprì il libro alla pagina che aveva contrassegnato col solito fiore essiccato, iniziando a leggere proprio la parte della storia in cui Lancillotto veniva a conoscenza della morte di Ginevra.

Lesse alcune righe, poi i suoi occhi si fissarono all'orizzonte, oltre le campagne.

Per quanto amasse la lettura, non riusciva a concentrarsi, aveva la mente altrove: alla partita. Ripensò a Cedric e ai suoi modi fin troppo gentili nei suoi confronti, ma ancor peggio, ricordò lo sguardo fulminante che Charlie aveva rivolto loro mentre insieme provavano una nuova manovra, di quando egli stesso si fosse scontrato con il Tassofrasso; sembrava lo avesse fatto intenzionalmente, considerando poi la spropositata esultanza. 

Una serie di domande le tempestavano la mente, partendo dal perchè avesse tirato in ballo l'argomento 'ragazze', menzionando la nuova conquista del Diggory tra le Corvonero. 

Che ne sapeva lui? 

E poi, per quale motivo tirarlo fuori in quel momento, in sua presenza? 

Con la coda dell'occhio intravide una sagoma varcare la porta d'ingresso di casa Weasley, alzò lo sguardo e, come se fosse uscito direttamente dai suoi pensieri, incrociò quello di Charlie, che era in piedi, fermo con le mani appoggiate sui fianchi e le gambe leggermente divaricate, poco distante da lei. 

Come si aspettava, questi si avvicinò e fece per sedersi. Lei si scostò leggermente, facendogli spazio, proprio accanto. Poggió i gomiti sulle ginocchia, inclinando in avanti il busto e incrociando le mani davanti alla bocca, sovrappensiero. 

Aveva una maglietta bianca che gli andava più stretta a livello delle spalle massicce e una bermuda beige, che gli arrivava quasi alle ginocchia. 

Si era rasato la barba, notò, tuttavia i capelli restavano sempre una massa informe, del vivace colore, la quale, Helen da sempre pensava, gli donasse particolarmente.

Il ragazzo continuava a guardare dritto davanti a se', non accennando a proferire alcuna parola. 

C'era un silenzio assordante tra di loro, carico di pensieri, infuso di parole non dette.

Un leggero venticello scompiglió i capelli di entrambi, ed Helen fu costretta a sistemarsi dietro un orecchio, con un veloce gesto della mano, una ciocca, volatale sul viso. Si strinse nelle spalle.

Continuava ad osservare Charlie, aspettando una qualche sua reazione, che non arrivó. 

C'era qualcosa che lo sconvolgeva, che imperturbava nella sua mente Lei lo percepiva.

Da un po' di tempo a quella parte, Helen aveva imparato a leggere i suoi movimenti, carpirne le intenzioni, comprenderne gli stati d'animo, ed ora lui sembrava particolarmente pensieroso.

«Cosa ti turba, Charlie?» azzardó lei.

Non si rese conto di aver parlato davvero, le parole le uscirono come un sussurro, come se le avesse proferite più a se' stessa che a lui.

«Niente.» rispose secco, non rivolgendo ancora lo sguardo verso di lei.

Lo sentiva distante, per la prima volta, e non ne comprendeva il motivo, non gli sembrava di aver fatto nulla.

"Forse è scosso da qualche cosa che non riguarda te." le suggerì una vocina nella testa, ed Helen decise di darle ascolto.

Tuttavia, era frustante far finta di nulla, era cosí vicino fisicamente, ma allo stesso tempo così lontano da lei. 

Avrebbe voluto essere una Legilimens in quel momento, entrare nella sua testa, esplorarla, per venire a conoscenza di ció che lo affliggeva.

Charlie non si era mosso da quella posizione, sembrava stesse totalmente ignorando la sua presenza e questa cosa la infastidì leggermente.

"Nessuno puó far finta che io non esista." pensó.

Non era presunzione, ma semplicemente orgoglio.

Spinta da questo sentimento, afferró la mascella di Charlie con una mano, inducendolo, con un movimento secco, a voltarsi verso di lei.

Lo guardó dritto negli occhi, accorgendosi che quelli fossero leggermente sgranati: non se lo aspettava.

Continuarono a fissarsi un tempo indefinito, non seppe esattamente quanto.

«Che cosa ti turba?» ripeté la domanda con più convinzione, come a fargli capire che non accettasse assolutamente né alcuna menzogna né, tantomeno, un'assenza di risposta.

«Tu.» ammise lui, restando in quella posizione, con la faccia ancora incastrata nella morsa delle dita di Helen.

«Io?» chiese, titubante, mollando di poco la presa.

Non capiva, perchè lei, cosa lo aveva infastidito?

«Charlie, ma io non ti ho fatto nien-»

Il ragazzo si sporse in avanti, azzerando la distanza tra i loro volti. 

Le loro labbra si unirono, prima con un leggero tocco, sfiorandosi delicatamente, poi lui le premette con più vigore. Helen restó per un attimo inconscia di ció che stava accadendo, poi chiuse gli occhi, rispondendo al bacio, con più vigore.

Sentiva la pelle ardere a causa di quel contatto, avrebbe voluto portare le proprie braccia attorno al collo di lui, ma si sentiva irrigidita, come un pezzo di legno.

Sentì il profumo di Charlie inebriarle i sensi, più di quanto lo stesso bacio non avesse fatto.

Il giovane Weasley spostó poi la propria mano, prima sul collo, dopo posandola sul fianco di lei e avvicinandola ancor di più grazie a un movimento brusco, accompagnato da una lieve pressione.

Sembrava essere entrata in uno vortice. Il tempo attorno a lei pareva essersi fermato, mentre un burrascoso urgano imperversava nel suo stomaco, sempre più violento, sempre più impetuoso.

Tuttavia avrebbe voluto che quel momento non fosse mai terminato.

Ma, come ogni cosa bella, finì. Fu interrotto dalla voce della signora Weasley, che invitava tutti ad accomodarsi per cena.

Charlie si staccó, dolcemente, tenendo ancora per pochi secondi gli occhi chiusi. 

Quando li riaprì, li tenne fissi in quelli di Helen e lei per la prima volta si concentró ad analizzarne i colori: sembravano due pozze d'acqua.

Non si era mai soffermata sulla loro bellezza.

Avrebbe voluto ricongiungere le loro labbra, ma lui si alzó, offrendole una mano per issarsi in piedi, l'accettó.

Per tutta la sera Charlie non posó più le sue iridi blu su di lei, né tantomeno le rivolse la parola, lasciandola in balia delle sue paranoie.

Che lo avesse di nuovo sognato?

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Capitolo 30
*** Capitolo 26 - Turbamento ***


Charlie continuava a tastarsi le labbra, incredulo.

Persino dopo la cena, che aveva trascorso cercando di evitare gli occhi di Helen, quella sensazione non lo aveva abbandonato.

Sentiva ancora la bocca di lei, le sue morbide labbra, contro le sue.

Entró in camera sua, sbattendo la porta. Afferró i capelli, portandoli indietro.

Era arrabbiato, turbato, confuso.

No, confuso no, lui era certo. 

Era certo di ció che la sua mente, ed il suo corpo, anche il suo cuore, provó ad azzardare, volessero.

Prese a fare su e giù per la stanza. 

A momenti il pavimento si sarebbe consumato, a causa dei pesanti passi. 

Di lì a poco forse sarebbe precipitato al piano di sotto, nella camera di Ron. E se stesse già precipitando?

Certo, aveva provato interesse per qualche altra ragazza prima di Helen, non poteva negarselo.

Ma aveva saputo gestirlo, lui aveva saputo gestirsi.

Aveva sempre vantato un grande autocontrollo, per poi? Per poi perderlo, smarrirlo nel nulla a causa di una ragazza.

Era sempre riuscito a scacciare via dalla propra vita ogni cosa che non fosse il suo lavoro, o la dedizione, ma perché quella volta era così difficile?

Aveva la mente piena di domande, a cui non riusciva a rispondere.

O forse la risposta era davanti ai suoi occhi?

"Sei un idiota, Charlie" si accusó, ripensando a quel bacio.

Sentì le labbra ancora bollenti, vogliose nuovamente di quel contatto. 

Lui l'aveva baciata. 

E sapeva di non aver fatto mai cosa più giusta, e contemporaneamente più sbagliata.

Si lasció andare sul letto, cercando di ordinare gli eventi, i fatti, i sentimenti.

Tutto lo portata ad una sola risposta: lei.

Un ticchettio contro la finestra lo distrasse dal violento turbine dei suoi pensieri. 

Un gufo bruno insisteva contro il vetro, Charlie si precipitò ad aprire e a sganciare la pergamena dalla sua zampa.

La srotolò subito, con le mani che tremavano per tutto l'accaduto di quella sera.

 

"Sono sulla pista giusta. 

Papà sta bene e anche io. 

Da un bacio a mia sorella.

Ti scriveró presto.

Non preoccuparti, ti voglio bene. 

                                                                       -J.           "

                       

Quel "da un bacio a mia sorella" gli fece sprofondare lo stomaco nei calzini.

Cosa aveva appena fatto? 

Aveva baciato la sorella del suo migliore amico, di quello che avrebbe definito fratello, più che amico.

E poi i gemelli, loro non lo avrebbero mai perdonato.

Aveva scatenato una tempesta e ora doveva rimediare.

"Ora tu vai lì, e le dici che è stato un incidente" pensó, convincendosi di ció. 

Aveva cominciato ad annuire.

Si diresse alla porta, poi tornó indietro.

"No! Non andarci" gli suggerì la sua coscienza.

Tiró un pugno nel muro, che fortunatamente rimase illeso, emettendo un gran boato.

I gemelli, senza preavviso alcuno, si affacciarono nella stanza, aprendo la porta repentinamente.

«Tutto bene, Charlie?» chiesero all'unisono, spostando gli occhi dal muro alla sua mano.

«Perché hai colpito il muro?» gli domandó George, inarcando le sopracciglia.

«Era...storto» proferì incerto.

«Storto?» gli fecero eco. «Come fa un muro ad essere storto?»

«Sentite, voi due, io allevo draghi, non costruisco mica le case» ribatté, poggiandosi al muro, con fare naturale e quasi altezzoso.

 I gemelli lo fissarono un instante, poi si scambiarono uno sguardo, richiudendo la porta lentamente.

Sentì le gambe troppo molli, per restare lì, nel mezzo della stanza.

Si mise a sedere sul bordo del letto.

Era inquieto, come non lo era mai stato.

Non aveva vissuto quello stato emotivo neppure una volta, neanche in ambito lavorativo, e per uno che alleva draghi è dirla lunga!

Necessitava di bere, aveva la gola secca, come dopo una folle corsa sotto il sole rovente.

Si precipitò oltre l'uscio della sua stanza, aprendo la porta con una forza tale, che avrebbe potuto staccarsi.

I gemelli, che si trovavano davanti alla porta della loro stanza, sussurrando qualcosa, si fermarono prontamente, e lo fissarono.

«Tutto bene Charlie? Sembra che tu abbia visto il Ghoul della soffitta» osservarono i gemelli, divertiti, più che preoccupati.

Lui li ignoró, lanciandosi verso la cucina.

Quando fu entrato, notó che sua madre si trovava ancora lì, infatti gli sorrise non appena lo vide.

Il ragazzo prese da bere e si rinfrescó la gola. 

Aveva in bocca un sapore metallico.

Forse quel bacio aveva avuto degli effetti collaterali.

«Ancora in piedi?» aveva domandato a sua madre, che stava sfogliando un libro di ricette. Lei annuì.

«Qualcosa non va, tesoro?», sua madre sapeva leggergli dentro.

«No, sto bene» mentì. «Ho sentito Jacob, lui e Thaddeus stanno bene»

«È una splendida notizia. Vai a dirlo ad Helen, immagino le faccia piacere saperlo» lo invitó Molly.

«Magari domani» sospiró Charlie, abbassando lo sguardo.

Molly lo studió con lo sguardo, poi, senza aggiungere nulla, lo sorprese, abbracciandolo forte.

«Vai a riposare Charlie, hai il volto stanco»

 

Charlie seguì il consiglio di sua madre.

Salì nuovamente in camera, e non fu sorpreso di trovare Bill, intento nella lettura di qualcosa.

Si cambió rapidamente e si mise a letto, sotto le lenzuola leggere.

Prese a fissare il soffitto, con una mano dietro la nuca. La mente era rapita da quella paranoie.

La sua testa sembrava essere troppo piccola, per contenere tutti quei pensieri.

Decise di provare a dormire, la notte lo avrebbe aiutato, come aveva fatto altre volte nelle decisioni difficili.

Tuttavia, di chiudere occhio non se ne parló proprio.

 

La mattina dopo, quando Charlie si dovette forzare a scendere dal letto. Aveva addosso solo qualche scarsa ora di sonno, e lo si evinceva dai segni attorno agli occhi. Aveva una pessima cera.

Scese le scale, che scricchiolarono sotto il suo peso. 

Era tutto tremendamente silenzioso.

Non appena fu un cucina, si soltanto servì del tè; non aveva appetito.

Sua madre entró in cucina, dall'esterno, portando sulla spalla una grossa cesta di biancheria appena lavata.

«Charlie ho preparato dei biscotti, sono lì, se li vuoi», la donna indicó il piano della cucina.

«Non ho molta fame» rispose secco.

«Sei sicuro di stare bene? Hai il volto pallido» osservò sua madre, prendendo a piegare le lenzuola.

Charlie ignoró quelle parole, non aveva bisogno di qualcuno che gli facesse presente quanto avesse un aspetto pessimo.

Il silenzio fu spezzato dai suoi fratelli, che scendevano le scale per mettere qualcosa sotto i denti. Notó che erano scesi tutti, tranne Helen.

Perché non era lì? 

Forse neanche lei aveva dormito, o forse stava male?

Non volle chiedere nulla. 

Ma come se avesse potuto scrutarne i pensieri, sua madre chiese:

«Tesoro, dato che i tuoi fratelli stanno facendo colazione, porteresti questa biancheria ad Helen?»

Charlie non aveva potuto rifiutarsi, così, sotto lo sguardo ammiccante dei gemelli, aveva risalito le scale, per l'ennesima volta, con la sensazione di star andando a compiere una missione suicida.

Il suo stomaco mugolò ed il battito prese ad accelerare.

Quando fu davanti alla porta, posó a terra il cesto con le lenzuola candide, e bussó forte, poi spinse la maniglia. La porta si aprì, rivelando Helen, che stava con i gomiti poggiati alla finestra, così soprappensiero da non rendersi, prontamente, conto della sua presenza. Quando si fu voltata nella sua direzione, Charlie si sentì trafiggere dai suoi occhi.

Ragione o istinto? Chi doveva ascoltare?

«Ti ho portato della biancheria pulita» disse, alzando il cesto e poggiandolo sul letto. «E volevo dirti che Jacob mi ha chiesto di riferirti che stanno bene».

Lei non gli staccó gli occhi di dosso. Era come sentirsi sotto inquisizione.

"Ragione o istinto?" si domandó nuovamente.

Lei era lì, nella sua camicia da notte, in quella veste a tratti trasparente. Il profumo di vaniglia, i capelli mossi, quella vita stretta, che avrebbe voluto afferrare.

«Charlie io...» fece Helen, per cominciare.

Ma lui aveva giá trovato una risposta: Istinto. 

Con due ampie falcate si era mosso nella sua direzione, e ora stava a pochi centimetri da lei.

Si era dato un'ultima vana possibilità di resistere.

Sentiva il suo respiro corto sul viso, gli occhi che saettavano da una parte all'altra, chiedendo di giungere ad una tregua. Indugió qualche istante sulla sua bocca. Poi accadde.

Charlie spinse le sue labbra contro quelle di lei, prendendole dolcemente il collo tra le mani, che poi spostó tra i suoi morbidi capelli. 

La spinse contro il muro, e lei non si fece intimidire: gli strattonò i rossi capelli, ricambiando con più forza quel bacio, che si tramutó in passione, in un turbine di bramosia. 

Si trovarono avvinghiati l'uno all'altra.

A quel punto la bionda schiuse leggermente la bocca, permettendo alla sua lingua di entrare. Iniziarono una danza sincronizzata e Charlie sentiva sempre più il fuoco ardere sotto la propria pelle, il sangue ribollire nelle vene.

Le afferró la vita, ricordando da quanto desiderasse farlo. 

Sfioró la sua coscia, risalendo con un leggero tocco, quasi come un solletico. La sua pelle era setosa.

Alzó di poco la veste, continuando il suo percorso verso l'alto, arrivando agli slip della ragazza. 

Ne accarezzó delicatamente il contorno, sfiorando la pelle sensibile dell'inguine, vicino alla sua intimità.

La sentì sussultare sotto le proprie mani.

Charlie staccó le proprie labbra da quelle della ragazza, aprendo gli occhi e studiandola.

Ragione.

Ritrasse prima la mano, poi anche se stesso, scansandosi, ma continuando a tenere gli occhi fermi su di lei.

«S-scusami Helen.» le sussurró con voce rauca.

Si voltó, uscendo repentinamente dalla stanza, sbattendo la porta.

"Ora sei un uomo morto, Charlie."

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Capitolo 31
*** Capitolo 27 - Istinto ***


Helen si sentiva invasa da mille emozioni. 

Quando le labbra di Charlie si unirono nuovamente alle sue, un fremito le percorse tutta la schiena. 

Sentiva di volerlo davvero, quel contatto, lo desiderava.

La spinse contro il muro e lei afferrò i suoi disordinati capelli, stringendoli vigorosamente tra le mani.

Il corpo del giovane Weasley premeva contro quello di lei, contro la sua camicia da notte, forse troppo sottile, dato che riusciva a percepire le curve dei muscoli, sotto la maglietta fine del ragazzo.

La lingua di lui era insistente, e lei la lasciò entrare.

Era in balia di una tempesta di sensazioni tanto strane quanto belle. 

Lo stomaco non aveva intenzione di cessare quel subbuglio, si rivoltava e agitava come il mare d'inverno.

Charlie era fuoco puro, ma non scottava affatto, anche quando, con un leggero tocco, risalí la sua coscia fino all'inguine, scostandole la veste e accarezzandole dolcemente la pelle.

Un fremito le percorse tutta la schiena, mentre lei si fece più vicina a lui, aggrappandosi di più alla sua schiena, spinta da una sete di contatto, di lui.

Charlie, tuttavia, d'un tratto si era scostato, scusandosi, ed uscendo dalla stanza, lasciandola sola, con i capelli scompigliati e la bocca socchiusa, ancora intrisa del sapore di lui. In balia di mille pensieri.

Le braccia le erano ricadute lungo i fianchi esili, quasi private della loro vitalità, dell'ardore con cui, pochi istanti prima, stringevano l'addome, poi le spalle,  del ragazzo, che quella mattina aveva deciso di regalarle un risveglio piuttosto particolare.

 

Trascorsero ben due giorni da quel memorabile episodio, che aveva segnato particolarmente Helen, tanto da indurla a pizzicarsi spesso la faccia per verificare che non stesse vivendo uno dei suoi sogni.

Ma no, non lo era, questa era la realtà e bisognava ammettere, pertanto, che non fosse poi così male.

La nota dolente, tuttavia, era il fatto che Charlie, per quei due lunghissimi giorni, avesse fatto di tutto per evitarla, rivolgendolo a stento un saluto la mattina a colazione e la sera prima di rintanarsi nella propria camera.

Non capiva il motivo di quel suo modo di fare, d'altronde, fino a prova contraria era stato lui a baciarla.

"Ma a te è piaciuto, e non poco." le ripeteva costantemente la vocina nella sua testa.

Risultava dura, per lei, ammettere che sí, aveva più che gradito e sì, lo avrebbe volentieri rifatto; malgrado ciò doveva tener conto di un'ulteriore costatazione: Charlie la stava ignorando, totalmente, e Helen riusciva solo a pensare a quanto ció la infastidisse.

Ció nondimeno tutta quella situazione, tutte quelle sensazioni, tutti quei pensieri che l'attanagliavano, erano totalmente nuovi, non li aveva mai provati, non sapeva come gestirli, non sapeva, pertanto, come comportarsi.

Desiderava lanciare una monetina che avrebbe deciso per lei.

Testa o cuore. 

Non ci sarebbero stati mezzi termini.

Testa o cuore.

Se si fosse appellata alla Testa, allora avrebbe riflettuto, in primis sul comportamento di Charlie, negativo o positivo che fosse, e in secondo luogo, sul suo stesso modo d'agire: lo aveva provocato o, semplicemente, sbloccato?

Se avesse avvalorato la scelta di seguire il Cuore, avrebbe semplicemente smesso di pensare,  non tenendo conto di ciò che era stato o che sarebbe potuto essere. Avrebbe svuotato la mente, risalendo le scale fino alla sua camera e, non appena, avesse aperto, si sarebbe gettata tra le sue braccia e contro la sua bocca. 

In ogni caso, c'era una cosa che accomunava entrambe le scelte e quella era, indubbiamente: parlargli.

Solo dopo averlo fatto, sarebbe stata in grado di decidere, non solo a quale delle due alternative ricorrere, ma se ne fosse valsa la pena o meno.

C'era una possibilità, che avrebbe, in ogni caso, dovuto tener conto, ovvero che lui si fosse tirato indietro, considerando tutto un grosso errore.

Lei lo avrebbe accettato, assecondandolo, in tal caso, cercando di non battere ciglio, preservando una delle cose a lei più care: l'orgoglio.

 

Helen aveva deciso che quella sera, dopo cena, gli avrebbe parlato, lo avrebbe fatto, non le importava il come, né il dove.

Appena terminato il proprio pasto, Charlie si alzò da tavola, portando il piatto con gli avanzi in cucina, rivolgendo loro un breve saluto, per poi dileguarsi sulle scale.

Helen aspettò pochi secondi, prima di allontanarsi a sua volta, salendo in fretta fino al piano dove si trovavano sia la sua camera che quella del rosso.

Non appena vi mise piede, lo ritrovó proprio dinanzi a lei, con un asciugamano sulla spalla, intento a chiudere la porta della propria camera.

Non si era accorto di lei, forse troppo immerso nei propri pensieri o, cosa più probabile, ignorando la sua presenza.

Helen sospiró, camminando nella sua direzione, quando finalmente lui alzó lo sguardo e i loro occhi si incontrarono, di nuovo.

Helen si sentì sciogliere, come una candela sotto l'effetto di un'intensa fonte di calore.

Lui era la fiamma, il fuoco, l'incendio.

Il ragazzo abbassó lo sguardo, continuando il percorso in direzione delle scale, sbarrate, peró dal corpo, seppur esile, della stessa Helen.

Cercó di scansarla e per un attimo lei glielo permise, poi si giró di scatto.

«Charlie aspetta.» disse con voce ferma.

Lui si voltó, osservandola, senza dire una parola, aspettando solamente che lei parlasse.

«Devo parlarti.» continuó la bionda.

Lui annuì.

«Potresti quanto meno rispondere.» asserrí lei, infastidita, allo stesso tempo anche abbastanza ferita.

Non poteva, per nessun motivo al mondo, baciarla e poi comportarsi così, lei era...Helen Clark.

Lei non avrebbe permesso a nessuno, tantomeno a Charlie, di comportarsi così.

«Dimmi.» rispose il rosso, che fingeva disinteresse.

Sí fingeva, Helen era sicura che fingesse, la fatica consisteva nel capirne il motivo.

«Charlie, TU NON PUOI.» affermó la ragazza, impetuosamente, a denti stretti.

«Non posso cosa?» 

Ma faceva sul serio?

Aveva forse bevuto una Pozione Obliviosa?!

Helen percepiva una strana sensazione di rabbia montarle in petto, si sentiva impotente.

«Non..», il suo stomaco era in caduta libera.

«Non puoi assolutamente e ripeto, ASSOLUTAMENTE, baciarmi e poi ignorarmi per due giorni, per Salazar!» sbottó lei, era stanca di rimuginare su cosa dire o come farlo, avrebbe semplicemente seguito l'Istinto, come aveva sempre fatto.

In quel caso, l'Istinto coincideva, in parte con il Cuore.

Nuovamente Charlie rivolse lo sguardo altrove, forse era un modo per evitare la conversazione.

«Helen, io ho sbagliato.»

Ecco, se lo aspettava.

Quanto possono essere prevedibili le persone? 

«Che vuol dire?» cercava una spiegazione.

«Vuol dire che non posso.» rispose secco lui, continuando a non guardarla.

«Perchè? Perchè non puoi?» 

Si sentiva esplodere. Pronunció quelle parole con una tale esasperazione che mai, prima d'ora, l'aveva assalita.

«Helen perchè tu sei la sorella di Jacob e io non posso approfittare di te, non posso fargli questo.» fece una breve pausa «Nè a lui nè ai gemelli. Capisci?» ammise il ragazzo, tenendo ancora gli occhi bassi.

Gli si avvicinó, afferrandogli le mani.

«Ti stai approfittando di me?» gli chiese, con una sorta di premura, mista a gentilezza.

«Helen..»

«Rispondi.» 

«No.» 

Finalmente alzó lo sguardo, incontrando il suo.

«E allora?» chiese retoricamente.

Gli strinse di più le mani, posizionandogliele, poi, attorno alla propria vita.

«A me non frega nulla di qualsiasi cosa possano dire Jacob, o i gemelli o chiunque altro.»  lo rassicuró lei, con una tale convinzione da meravigliare anche se stessa.

Si protrasse in avanti, baciandolo.

Fu lei a farlo questa volta e lui rispose, come Helen sperava che facesse.

Era stata lei a prendere in mano la situazione, ribaltando i ruoli, esprimendo ció che provava per lui, seguendo l'Istinto, seguendo il Cuore.

Avrebbe voluto non staccarsi mai da quella danza perfetta e meravigliosa delle loro lingue, ma dovette farlo, perché sentì la voce dei gemelli provenire dalle scale.

Si staccó, continuando a fissare Charlie negli occhi, abbozzandogli un sorriso, per poi precipitarsi in camera, lasciando lì, sulle scale in balia di Fred e George.

Richiuse la porta in fretta, appoggiando la schiena contro quest'ultima.

Sentiva il respiro affannoso, forse a causa del fatto che avesse baciato Charlie in completa apnea.

Lo aveva baciato e questa volta, volontariamente.

Sorrise.

Si sentiva come se le avessero somministrato l'Amortentia.

Era forse questo il sapore dell'essere innamorati?

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Capitolo 32
*** Capitolo 28 - Sorpresa ***


Come Helen aveva previsto, gli oziosi giorni estivi stavano volando via, veloci come mille nimbus 2001, non dandole il tempo di realizzare quanto il sesto anno si stesse avvicinando.

Il penultimo. Deglutì.

Non aveva ancora deciso quali corsi seguire, nè tantomeno aveva controllato a quali di questi avesse possibilità di accedere. 

Venivano fissate delle prerogative sulle quali gli studenti venivano selezionati, in quanto idonei o meno, a frequentare i corsi in vista dei M.A.G.O.

Alcuni professori erano più rigidi di altri in merito: c'era chi accettava dalla O in sù, chi voleva solo eccellenze, chi di una misera A non se ne faceva nulla.

Il fatto che lei non avesse le idee chiare in merito a quale strada prendere, non le era di grande aiuto. Anzi, non la rassicurava per niente.

"Potrei davvero fare la guaritrice" pensó. 

Realizzando, poco dopo, che l'idea lavorare in un ospedale per tutta la vita non fosse così allettante.

Voleva viaggiare, esplorare, interfacciarsi con la realtà, bella o brutta che fosse.

 

Era trascorsa metà della mattinata, quando Helen si mise a sedere sulla panchina lignea della veranda, contemplando un libro gigante e qualche pergamena che, secondo Percy, l'avrebbero aiutata a capire cosa il futuro avesse in serbo per lei.

Cercó di non pensare ai ricordi legati a quell'esatto posto: era lì che Charlie l'aveva baciata la prima volta. 

Piuttosto, si immerse nella lettura di quello che sembrava un grosso elenco di mestieri del mondo magico.

«Allora, come procede?», Percy si era affacciato a vedere se si stesse impegnando a seguire il suo consiglio.

«Benissimo! Credo che mi daró al contrabbando di uova di drago» ironizzó lei.

Percy aveva assunto un'espressione preoccupata, quasi astiosa, era evidente non avesse compreso l'ilaritá.

«Perce, sto scherzando», lo vide tirare un sospiro di sollievo.

«Ah, menomale», si era portato una mano al petto, come avesse appena evitate un infarto. «Se proprio non dovessi trovare un impiego, io avró bisogno di una segretaria quando saró ministro della magia».

Helen aveva riso di gusto, Percy invece era rimasto impassibile, probabilmente faceva sul serio.

Poi corrugó la fronte e rientró in casa, perplesso da quelle risate, anche un po' offeso.

Helen inarcò il sopracciglio, esterrefatta da quell'affermazione. 

"Segretaria?" le aveva fatto eco la sua mente.

Aveva nuovamente abbassato gli occhi su quel tomo ingiallito quando, come se non fosse bastato Percy, uscirono fuori anche Bill e i gemelli.

«Helen, sei una delusione! Non starai mica studiando?!» la rimproveró George. 

Fred le strappó il libro dalle mani, lei protestó.

«Suvvia Helen! Ti assumeremo nel nostro negozio di scherzi, non preoccuparti» Fred aveva cercato di rassicurarla, ma si era beccato un'occhiataccia.

«Cosa vi fa credere che io sia tagliata per servire qualcuno? Avete avuto un'indigestione?»  rise lei, con fare orgoglioso.

Voleva distinguersi per le sue qualità, non essere seconda a qualcuno.

I gemelli fecero una smorfia, prendendo la ricorsa verso il giardino, alla ricerca di qualche bravata da ideare. 

Bill rimase lì, facendosi, successivamente, posto accanto a lei.

«Questi sono i tuoi G.U.F.O.?» le chiese il ragazzo, prendendo delicatamente la pergamena, che teneva poggiata sulle ginocchia; Helen annuì.

«Peró! Niente male davvero! Ho avuto gli stessi G.U.F.O. anche io, quando ero ad Hogwarts» asserì, sorpreso.

«Sapevi già cosa avresti voluto fare?» domandó Helen, con aria piuttosto affranta, pronta alla solita risposta. Poi Bill si toccó il mento, pensandoci, di contro disse: «In realtà no. Avevo qualche idea, ma nulla di certo». Gli occhi di lei si accesero.

Finalmente qualcuno che potesse comprenderla.

«Sembra che tu abbia la stoffa dello Spezzaincantesimi, guardando i tuoi voti» continuó.

«Bill, mi perdonerai, ma non so molto di questo lavoro...»

«Ti spiegherò tutto quello che vuoi» l'aveva rassicurata lui.

Così aveva cominciato ad illustrarle qualsiasi cosa in merito, raccontandole anche delle sue esperienze in Egitto. 

Le spiegó di come lo Spezzaincantesimi fosse una delle professioni più rilevanti alla banca magica internazionale Gringott. 

La professione consisteva nel controincantare, spezzare quindi, le maledizioni in tombe antiche e luoghi d'importanza storica. 

Helen fu molto sorpresa di sapere che quella professione comportasse la difesa di siti magico-storici, sarebbe stata un'ottima esperienza per girare il mondo.

Bill però la mise in guardia, facendole presente che si trattasse di una professione molto pericolosa, sia per gli incontri spiacevoli in cui ci si poteva imbattere, che per le maledizioni stesse.

Poi il rosso le aveva detto, entusiasta: «Qui viene il bello!», spiegandole che, durante l'addestramento da Spezzaincantesimi, venisse insegnata una tecnica particolare: la Tracciatura, una sorta di Vista, che peró, non implicava la predizione del futuro. 

«Un Tracciante riesce a leggere le trame magiche, seguire le Tracce degli incantesimi, anche vecchie di millenni: l'abilità si attiva spesso da sola, poiché le menti di noi Spezzaincantesimi sono immerse in un flusso magico per ore ed ore, per riconoscere qualsiasi tipo di incantesimo, buono o malvagio» aveva concluso così il suo parlare.

Helen era estasiata, le sembrava non ci fosse nulla di più giusto. Come diamine aveva fatto a non pensarci prima? 

«Mettimi alla prova, Bill» chiese la bionda d'un tratto. «Chi meglio di te puó capire se ho la stoffa».

Bill parve pensarci su, poi disse, con grande convinzione: «E va bene. Lascia che pensi a come possa farlo peró».

Poi, scusandosi, corse via, a rimproverare i gemelli, che stavano dando filo da torcere alle povere galline della signora Weasley.

A quel punto, con un gran sorriso in volto, Helen si diresse in camera, a riporre tutto quel cartaceo.

Quando fece per scendere nuovamente le scale, una mano la trattenne. Avrebbe riconosciuto ovunque quella presa: Charlie. Un brivido la percorse.

«Come mai quel sorriso?» chiese, scrutandola.

Ma prima che la ragazza avesse potuto solo pensare di rispondere, uno scoppio provenne dalla cucina.

I due si precipitarono giù, insieme.

Al centro del salotto si erano materializzati Jacob e il signor  Clark. 

Helen sentì il cuore pieno di gioia.

Corse, precipitandosi tra le braccia di suo fratello, che la sollevó da terra.

«Sorellina» sussurró lui, inspirando forte, inebriato da quel profumo che sapeva di casa.

Helen aveva riservato lo stesso trattamento anche a suo padre, sebbene lui non avesse avuto la forza di issarla da terra.

Quando si fu voltata, Charlie stava abbracciando Jacob, ma la sua espressione non era poi così serena.

Helen comprese subito che, sebbene gli avesse fatto quel discorso, Charlie non sarebbe stato in grado di affrontare presto suo fratello.

Tempo al tempo.

 «Felici della sorpresa?» chiese Jacob, retoricamente.

Charlie ed Helen si scambiarono uno sguardo.

Lei sarebbe tornata a casa sua, per di più proprio ora che i suoi pensieri, e i sentimenti, avevano cominciato ad acquisire una forma.

«Felicissimi!» proferirono  con i denti stretti, all'unisono, come avrebbero fatto i gemelli.

L'ambiente circostante sembrava essersi congelato.

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Capitolo 33
*** Capitolo 29 - Fiabe ***


"Nelle profondità dell'acqua limpida una pietra liscia recava le seguenti parole:

 

'Datemi il tesoro del vostro passato.'

 

Messer Senzafortuna cercò di attraversare il ruscello a bordo del proprio scudo, ma lo scudo affondò. Le tre streghe lo tirarono fuori dall'acqua, poi tentarono a loro volta di superare il torrente con un balzo, ma il torrente non le lasciava passare, e intanto il sole scendeva sempre più basso nel cielo. "

 

Voltò la pagina, sistemandosi il libro sulle ginocchia.

 

"Pertanto si tratta di un riflesso sul significato del messaggio sulla pietra. Amata fu la prima a comprendere: con la bacchetta estrasse dalla propria mente tutte le memorie dei giorni felici passati con l'amante fuggito e le lasciò cadere nell'acqua. Il torrente le portò via un passaggio di pietre affiorò. Le tre streghe e il cavaliere finalmente raggiunsero la vetta. "

 

Tenne il segno con la punta del dito indice, correndo rapidamente tra le righe.

 

"Messer Senzafortuna s'inchinò e mostrò la Fonte ad Amata, ma ella 

scosse il capo: ogni suo rimpianto per l'amante l'era stato portato via dal ruscello e ora capiva quanto egli fosse stato crudele e infedele, e che essersene liberata era una ragione bastante per essere felice. 

«Buon signore, siete voi a dovervi bagnare, in ricompensa della vostra cavalleria!» disse a Messer Senzafortuna. 

Così il cavaliere sferragliò negli ultimi raggi del tramonto e si bagnò nella Fonte della Buona Sorte, esterrefatto di essere stato scelto tra gli ultimi e. stordito dalla propria incredibile fortuna.

Quando il sole scese oltre l'orizzonte, Messer Senzafortuna uscì dall'acqua della Fonte rivestito della gloria del suo trionfo e, con la sua armatura arrugginita, si gettò ai piedi di Amata, che era la donna più gentile e più bella mai posato gli occhi. Fulgido di successo, le chiese la mano e il cuore e Amata, non meno felice di lui, capì di aver trovato l'uomo che li meritava. "

 

Era la parte della storia che preferiva.

 

"Le tre streghe e il cavaliere scesero insieme dal colle, un braccetto, e tutti e quattro vissero a lungo felici e contenti, senza mai sapere né sospettare che l'acqua della Fonte non possedeva alcun incantesimo."

 

Helen arriva al punto finale, poi richiuse il libro. 

Quella mattina aveva deciso di rileggere qualcuna delle "Fiabe di Beda il Bardo", trovato per caso tra gli scaffali della propria camera. Qualunque famiglia del Mondo Magico ne possedeva almeno una copia e, sicuramente, qualsiasi mago o strega, ne aveva sentito parlare almeno una volta. 

Tra le tante novelle, aveva scelto proprio quella della " Fonte della Buona Sorte", la sua preferita. 

Dalla prima volta in cui l'aveva letta, Helen ne aveva tratto un insegnamento importante: nessun incantesimo, fonte o pozione sarebbe stata necessaria ad arginare gli ostacoli lungo il percorso, verso il raggiungimento di un obiettivo. La vera magia, la vera forza risiedeva in ogni persona. 

In ognuno di noi.

Proprio come il cavaliere, che ottenne il riconoscimento del proprio coraggio, anche Amata, la quale aveva avuto fiducia in lui, trovò un uomo degno di amore; allo stesso modo, le altre streghe riuscirono a trovare, dentro loro stesse, la risposta a ciò che stessero cercando e la cura a ciò che le tormentasse.

Controlló che ora fosse dall'orologio sul comodino, drizzandosi immediatamente in piedi. Doveva sbrigarsi, a breve avrebbe dovuto incontrare Bill Weasley. 

Il primogenito della famiglia Weasley le aveva dato un appuntamento davanti al giardino della Tana, dicendole di doverle mostrare una cosa che sicuramente avrebbe suscitato in lei un certo interesse. 

Helen non sapeva di cosa si trattasse, era piuttosto curiosa.

Si vestì velocemente, con i primi indumenti che le capitarono a tiro, uscendo di casa subito dopo. 

Percorse ad ampie falcate il tratto di strada che la separava dal traballante edificio di cui, ormai, dopo tanti anni, si sentiva parte integrante.

Ritrovava, nella Tana, l'idea di casa. Ogni cosa che fosse associata al concetto di famiglia, amore, protezione, era rinvenibile nei Weasley stessi: da Molly e Arthur, ai gemelli, a Charlie, a tutti gli altri figli; ognuno di loro occupava un posticino irremovibile nel suo cuore, anche Percy.

 

Non appena fu arrivata a destinazione, Helen vide Bill, che fece segno di raggiungerlo. 

«Buongiorno Helen» le disse, una volta avvicinatasi. 

«Buongiorno Bill» rispose con un sorriso. 

Dopo circa due minuti, vide i gemelli precipitarsi verso di loro con un certo entusiasmo, particolarmente sospetto. 

«Buongiorno alla più bella e brava strega del Mondo Magico!» esclamarono, posizionandosi, come sempre uno alla sua destra e l'altro alla sua sinistra. 

«Cosa sono tutte queste adulazioni?» chiese, alzando un sopracciglio, palesemente divertita. 

«È solo la verita» risposero in coro, facendole un occhiolino. 

Helen scosse il capo, non sarebbero mai cambiati! 

«Allora Bill?» si rivolse poi al più grande dei Weasley, che, intanto osservava la scena con un largo sorriso stampato in volto. 

«Bene Helen, poichè hai mostrato un certo interesse verso la professione dello Spezzaincantesimi ...» fece pochi passi indietro, impugnando la bacchetta. «Voglio mostrarti delle cose, sei pronta?» 

Fece un cenno del capo, come ad invitarla a mettersi in posizione. 

Helen lo fissò per un attimo confusa, non sapeva bene cosa fare. 

«Cosa dovrei fare?» chiese, del tutto perplessa. 

«Duellare» ribattè Bill, come se fosse la cosa più normale del mondo. 

Helen estrasse la propria bacchetta, confidando in essa e nelle proprie capacità.

Legno di faggio e nucleo di crine d'unicorno, capace di svolgere magie di un'arte e una finezza che raramente era riscontrabile in altri legni. Da qui deriva il suo prestigio, aveva detto il signor Olivander, quando la stessa bacchetta l'aveva scelta, al suo primo anno. 

Sentì i gemelli emettere ululati, neanche fossero lupi mannari, distanziandosi e iniziando un sgranocchiare delle Api Frizzole. 

«Expelliarmus!» gridò Bill, cogliendola di sorpresa. 

La bacchetta le volò di mano, lasciandola disarmata. 

«Avete già finito?» domandò Fred deluso. 

La presenza dei gemelli l'aveva distratta, come al solito. 

«Un buon Spezzaincantesimi, Helen, non abbassa mai la guardia»l'ammonì il suo avversario, continuando a tenere lo sguardo fisso su di lei. «Da un momento all'altro potresti dover affrontare una Maledizione, ricorda» disse, infine. 

Riprese la bacchetta da terra. Tuttavia, non appena si mise in posizione, pronta per contrattaccare, Charlie fece il suo ingresso, avvicinandosi. 

«Che succede qua?» Chiese. 

«Bill ed Helen, duellano» rispose George, masticando, questa volta, delle Caramelle Mou. 

«Oh bene» ribattè, prendendo poi una gelatina dal pacchetto di Fred. 

Sembrava stessero assistendo ad uno spettacolo, o meglio, ad una partita di Quidditch ed era risaputo che, Helen, non sopportasse affatto di essere così tanto al centro dell'attenzione.

Tuttavia, non poteva fare la figura della debole streghetta alle prime armi con la magia, non davanti a Charlie. 

Strinse forte la propria bacchetta, divaricando leggermente le gambe per avere più stabilità. 

«Ricominciamo!» esclamò. 

Avrebbe dato modo loro di vedere di che pasta fosse fatta Helen Clark!

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Capitolo 34
*** Capitolo 30 - Duello ***


«Expelliarmus!» lanció Helen, con un fluido movimento. Il suo avversario fu pronto, e si protesse abilmente.

«Davvero Helen? Replichi le mie mosse? Su, fammi vedere cosa sai fare!» la spronó, piantando i piedi.

«Rictusempra», giocó la sua seconda carta; questa volta Bill fu spinto indietro, contorcendosi per la sensazione di solletico.

Si ricompose, guardando Helen negli occhi, continuando a sfidarla in quel modo.

«Stupeficium!» fece poi, squarciando l'aria con un grido.

Gli occhi dei gemelli e quelli di Charlie si spalancarono alla vista del fascio rosso, emesso dalla bacchetta del loro fratello maggiore.

Helen fu scattante, rispose con un: «Protego».

Una scarica di adrenalina la percorse.

Il bagliore si infranse contro lo scudo invisibile, prodotto da lei.

"Davvero Bill, vai giù così pesante!?" si chiese, consapevole del fatto che quell'incantesimo avrebbe potuto farle perdere i sensi.

«Dai Helen, attacca!!» avevano suggerito i gemelli, lanciandole addosso delle Api Frizzole.

Helen li folgoró con gli occhi.

Voleva giocare duro? Bene. Non ci pensó due volte.

«Everte statim!», battè il piede a terra per l'impeto.

Bill si difese, ma lei ritentó una seconda volta, e fu contenta si fosse trattato di una giusta pensata: il corpo del ragazzo, come privo di attrito, fu scagliato bruscamente indietro, e andó a sbattere per terra.

I suoi vestiti si sporcarono di terra.

Senza rimettersi in piedi, rispose con un: «Levicorpus!».

Helen si ritrovó appesa per le caviglie, ringraziando di non aver indossato un vestito.

Doveva allenare i propri riflessi, magari Charlie avrebbe potuto aiutarla.

«Appena saró scesa, voi sarete i prossimi!» minacció i gemelli, che ridevano a crepapelle. L'espressione del secondogenito, invece, trasmetteva una tensione crescente. Helen lo vide stringere la mano intorno alla propria bacchetta, ma prima che avesse potuto agire in suo aiuto, sebbene si trovasse a testa in giù, puntó gli occhi sul suo sfidante, proferendo: «Tarantallegra»

Bill non fu rapido nel difendersi, infatti le sue gambe cominciarono a muoversi a scatti, in una danza scoordinata. Vide i gemelli sputare le caramelle, presi dalla ridarella. Giuró di aver visto, anche da quell'angolazione, il volto di Charlie aprirsi in una risatina.

«Liberacorpus», puntó la bacchetta ai suoi piedi, sospesi a mezz'aria. Repentinamente cadde al suolo, atterrando sulle ginocchia.

Non appena ebbe ripreso coscienza, vide che Bill, non più costretto dalla fattura a ballare freneticamente, le puntava la bacchetta contro, più vicino.

Se non avesse conosciuto il maggiore dei Weasley così bene, avrebbe detto che sarebbe stato pronto a farla fuori.

Lo aveva sottovalutato.

Il ragazzo prese a lanciarle contro un incantesimo dopo l'altro, ed Helen prese a pararli, avvertendo la debolezza nelle braccia. Cominció a indietreggiare, a muoversi in tondo, provó a resistergli in ogni modo, ma ad un certo punto perse la concentrazione.

Bastó, a Bill, un semplice "Expelliarmus" per portare a termine quel duello.

Helen cadde a terra, le gambe le tremavano, ma era felice. 

Era riuscita a tenergli testa.

Bill le tese una mano, lei si lasció aiutare.

Dall'altra parte i tre Weasley applaudivano e fischiavano, facendosi vicino a loro.

«Davvero niente male Helen. Hai fegato, devi affinare solo la tecnica. A volte il miglior modo di difendersi è attaccare» si complimentó Bill, offrendole consiglio.

Il sudore le scendeva lungo la schiena, ma un senso di soddisfazione le pervadeva l'animo.

«Sei destinata a questo posto. La nostra piccola Helen non è più tanto piccola», Bill le aveva circondato affettuosamente le spalle con un braccio.

«Hai un del talento» ammiccó Charlie, mantenendo una certa discrezione.

Avrebbe voluto scoccargli un bacio, proprio lì, davanti a tutti.

I suoi occhi addosso le avevano infuso sicurezza durante quel combattimento, senza essi, non avrebbe avuto tanto fervore.

Poi la sua attenzione si spostó su un maestoso gufo, che aprendo le ali, si faceva strada attraverso le nuvole chiare, verso di loro.

I cinque aguzzarono la vista, cercando di capire se stesse portando qualcosa, ma solo quando si fu poggiato sulla spalla di Helen, facendola sussultare un attimo, si resero conto che stringeva un pezzetto di pergamena.

La ragazza lo srotolò, impaziente di sapere cosa ci fosse scritto, e non appena lo vide, i suoi occhi scintillarono:

"Guarda in alto

                                   -A. "

 

Volse gli occhi al cielo, impazienti di scrutare qualcosa all'orizzonte, o meglio, qualcuno.

Gli altri, seppur non capendo, fecero come lei.

I gemelli si fecero ombra con le mani, cominciando a roteare le teste in modo buffo.

«Psss, Helen, cosa stiamo guardando?» bisbiglió Fred.

La ragazza gli aveva passato il biglietto, Fred aveva sgranato gli occhi, passandolo poi a George, che aveva assunto la stessa espressione.

«Non vorrai dire che...» fecero i due all'unisono, ma prima che avessero potuto formulare ipotesi, qualcosa si mosse nel cielo.

Era Adeline.

Si muoveva in picchiata verso di loro sulla sua scopa, alla quale aveva agganciato i bagagli.

Quando si fu fatta più vicina al suolo, cominció a urlare: «PISTAAA».

Tutti si spostarono di lato, mentre la ragazza cercava di frenare la sua scopa da viaggio, tirando il manico verso di sé. 

L'atterraggio non fu perfetto, neanche lontanamente.

Adeline ruzzolò a terra, ma non appena si fu rimessa in piedi, sotto lo sguardo preoccupato di tutti, esclamó, aprendo le braccia: «Sorpresa!».

Helen le corse incontro, stringendola il più forte possibile.

«Tu sei...» cominció Helen, apprensiva.

«Pazza? Lo so bene. Il mio sedere ha la forma di un manico di scopa» continuó lei.

«Stai bene? Ti sei fatta male?», Bill si era rivolto a lei, piuttosto preoccupato; Adeline annuì.

I gemelli la strinsero in un forte abbraccio, e anche Charlie la salutó cordialmente.

«Dobbiamo ammetterlo Adeline, hai fatto davvero un bell'ingresso, ne prendiamo atto» ammiró George.

«Papà mi ha concesso di usare la scopa da viaggio...» spiegó, massaggiandosi la spalla dolorante per la caduta. «Forse dovevo esercitarmi di più nell'atterraggio».

Dopo essersi intrattenute ancora un po' con i Weasley, Adeline ed Helen si diressero verso la casa di quest'ultima, trascinandosi i bagagli e la scopa.

Lungo il tragitto discussero del più e del meno, e in particolare dei corsi per ottenere i M.A.G.O.

Helen professó la volontà, da poco maturata, di voler diventare spezzaincantesimi, e prese a narrare del duello appena avuto con Bill. 

Adeline con grande gioia disse che avrebbe voluto diventare Auror, e lei non ne era rimasta sorpresa, visti i valori di giustizia, ed il coraggio che le accomunava. Entrambe erano felici e consapevoli, e non c'era niente di più rassicurante.

Il loro legame era destinato ad essere, ad esistere per sempre, entrambe sapevano che le loro strade si sarebbero ritrovare in ogni frazione di tempo.

Adeline strinse le spalle di Helen con un braccio, poi fece «Mi sei mancata tanto, sai? Chissà quante cose devi raccontarmi, te lo leggo in faccia».

Helen le sorrise, dandole conferma di quell'ipotesi, ma avrebbero avuto tutto il tempo. Quella notte sarebbe stata insonne per entrambe, probabilmente.

«Allora...», Helen la vide arrossire, non appena ebbe iniziato. «Come sta Jacob...Ha qualche nuova fiamma?».

Helen rise. 

«La fiamma è dentro le tue guance piuttosto, sei rossa come un peperone!». Adeline le schiaffeggió il braccio, imbronciandosi.

«Scherzo!», Helen alzó le mani in segno di resa.

Arrivarono fuori casa sua. 

Jacob era in giardino, tutto intento a lucidare i suoi stivali stringati. Non appena le vide, un sorriso gli rischiaró il volto.

Helen potè sentire il respiro di Adeline venire meno per un momento.

«Adeline! Helen!», si precipitò verso di loro.

Guardó le loro mani, impegnate dai bagagli, e subito si rese utile.

«Lascia pure Adeline, ci penso io», tese le mani verso le sue, per liberarla da quel peso.

Adeline sembró paralizzata, così Helen ritenne giusto intervenire: «Potresti poggiarli in camera mia?». Jacob annuì, rivolgendo alla mora un ultimo sorriso ed entrando in casa.

«Finit... ah no, non sei sotto l'effetto di un Petrificus» ironizzó Helen, schioccando le dita davanti alla sua faccia, ancora sognante.

«Ride bene chi ride ultimo, cara Helen, oppure dovrei dire "ho-occhi-solo-per-il-rosso-allevatore-di-draghi

Poi entrarono in casa, spintonandosi a vicenda.

Ora il cielo sembrava essere più sereno, nessun'altro avrebbe tranciato le nuvole a bordo di una scopa da viaggio.

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Capitolo 35
*** Capitolo 31 - Cotte ***


Helen riteneva che, dopo aver affrontato un periodo piuttosto intenso e stressante, una giornata di svago in compagnia dei tuoi migliori amici, fosse proprio l'ideale.

Difatti, quella mattina lei, Adeline e i gemelli, avevano deciso di recarsi a Diagon Alley per procurarsi tutto ciò che fosse stato utile per la finale di Coppa Del Mondo di Quidditch, la quale, si sarebbe disputata di lí a poco.

Mancavano solo venti giorni e tutto il Mondo Magico era in gran subbuglio: Irlanda contro Bulgaria, una delle sfide più attese. La squadra rosso-nera vantava una serie di successi consecuitivi nei precedenti gironi, grazie alla presenza di uno dei più forti Cercatori di tutti i tempi: Viktor Krum. 

Tuttavia, la stessa Irlanda, che aveva battuto il Perù nella recente Semifinale, possedeva una delle formazioni d'attacco più potenti e organizzate, assalivano e confondevano le difese avversarie, andando a segno, quasi sempre grazie alla sorprendete giocata del loro Cacciatore, Troy.

Fred e George tifavano Irlanda, come la maggior parte di loro, ad eccezione del piccolo Ron e del suo miglior amico Harry, i quali, simpatizzavano per la squadra bulgara.

Grazie alla metropolvere riuscirono ad arrivare tutti facilmente a destinazione, nonostante Helen avesse giurato di aver sentito Fred esclamare "Notturn Alley". Si sarebbe pur sempre aspettata una bravata del genere da uno dei gemelli, i quali, erano da sempre stati spinti da una strana curiositá verso quel posto. 

Si trattava di un vicolo buio e malsano che portava fuori dalla stessa Diagon Alley, nel quale sia Molly che Arthur avevano sempre vietato, ai propri figli, l'ingresso, in quanto vi si recavano principalmente maghi e streghe dediti alle Arti Oscure o al contrabbando di oggetti magici illegali. 

Malgrado ció, i gemelli avevano sempre mostrato un certo desiderio nel conoscere cosa vi si nascondesse e il fatto che si stessero recando a Diagon Alley senza i propri genitori, avrebbe in qualche modo facilitato la loro impresa. Tuttavia, Helen fu alquanto contenta di averli trovati al giusto focolaio, intenti ad aspettare il suo arrivo, ultima dei quattro ad aver utilizzato la metropolvere.

Come si aspettavano, Diagon Alley, era invasa da bancarelle piene zeppe di oggetti di tifoseria: da cappelli, a sciarpe, guantoni e, addirittura, striscioni. 

«Che cosa ci serve?» chiese Adeline.

«Tutto!» risposero in coro i gemelli, ai quali brillavano gli occhi alla vista di tutti quei gadget.

Helen si avvicinó ad un venditore, il quale, appena la notó, le si precipitó contro.

«Signorina signorina, qui abbiamo tutto quello che le serve per la AT-TE-SIS-SI-MA finale della coppa del mondo!» esclamó l'uomo, prendola sotto braccio ed inducendola a seguirlo verso un estremo del bancone, sul quale era esposta la merce.

«Solo per lei, IN ESCLUSIVA, una rappresentazione in miniatura del FA-VO-LO-SO cercatore bulgaro: Viktor Kruim!» disse poi, mostrandole una figura di pochi centrimenti del giocatore, in sella ad una scopa, che si muoveva in direzione di un minuscolo boccino.

Piú che favoloso, ad Helen sembrava spa-ven-to-so.

Improvvisamente il mini-Krum sembró levarsi in volo sempre più in alto. 

Il venditore lo agguantó.

«Eheh, deve stare attenta.» fece un sorriso forzato, riposando l'oggetto «Potrebbero fuggire via AH-AH-AH.»

Fortunatamente per lei, fu salvata dalla prontezza dei gemelli Weasley, che l'agguantarono, declinando le continue avances dell'uomo, e la trascinarono via, proseguendo il percoso sull'affollatissima via principale.

 

Nel giro di poche ore finirono le compere, ritrovandosi sommersi di gadget di ogni tipo, che, se non fosse stato per Adeline e il suo l'incantesimo estensore alla borsa, non avrebbero saputo davvero dove mettere.

Ripercorrendo il corso in direzione del focolaio, utilizzato da loro come trasporto, Fred si fermò improvvisamente ad osservare l'interno di un particolare negozio: Telami e Tarlatane.

Questa cosa le parve piuttosto strana, considerato il fatto che si trattasse di un atelier frequentato esclusivamente dalle antiche e nobili famiglie purosangue.

Aveva il naso completamente spiaccicato contro la vetrata, come se avesse visto un nuovo modello di manico di scopa o peggio, un campione di Quidditch in carne ed ossa.

«Fred da quanto in qua ti interessano gli abiti costosi?» lo beffeggió lei, non ottenendo nessuna risposta.

George ridacchió, scuotendo leggermente la testa.

«Oh non è affascinato dai vestiti, Helen, ma da qualcos'altro. O meglio, qualcun'altro!» rispose lui, continuando a sorridere.

Helen colse il suggerimento al volo, inarcando le labbra a sua volta.

Adeline li guardava con fare interrogativo, non riusciva a comprendere, fino a quando lei ed Helen non ebbero sbirciato all'interno del negozio, pozionandosi accanto a Fred, il quale non si era mosso neanche di un centimetro da quella posizione.

Helen intravide una ragazza con dei lunghi capelli neri, di profilo su un piccolo palchetto. 

Indossava della stoffa, mentre una sarta piuttosto grassottella le girava intorno, intenta a cucire e spillare quà e là.

La riconobbe: la regina delle Serpi, la chiamavano, era Grace Fawley. 

Era la cotta secolare di Fred, da sempre e in tutti modi, aveva cercato di fare colpo su di lei, mettendosi in mostra con ogni mezzo a sua disposizione, invano. La Fawley era una delle ragazze più ambite della scuola, bella, ricca e facente parte delle Sacre Ventotto. 

Aveva capelli scuri e occhi verdi, con poche lentiggini sul naso, che mettevano ancora più in risalto i particolari colori.

«Freddie dai andiamo, faremo tardi!» lo incalzó George.

Finalmente il rosso si staccó dal vetro, continuando a camminare accanto a loro con un espressione inebetita.

Helen non capiva proprio come facesse a piacergli quella lá, non era odiosa quanto la Raylee, peró, non era nemmeno poi così simpatica.

«Smetterai mai di avere una cotta per quella lí?» chiese Adeline, come se le avesse strappato le parole di bocca.

«No, credo mi abbia affatturato!» rispose Fred, portandosi le mani al petto in modo plateale, poi si rivolse nuovamente alla grifondoro «E tu smetterai mai di avere una cotta per Jacob?» la punzecchió.

Adeline divenne rossa come un peperoncino, abbassando lo sguardo e iniziando a girarsi i pollici; gesto tipico di quando si trovava in imbarazzo.

«B-beh, io...» balbettó.

«Dai dai, vi accettiamo lo stesso, anche con le vostri platonici amori.» scherzó Helen, cercando di smorzare la tensione.

In realtà, non fece altro che ripercuoterla su se' stessa, perchè George le si avvicinó, cingendole le spalle con un braccio.

«Le tue non sono poi tanto platoniche eh, Helen?» chiese lui, sorridendo.

Fred le diede una piccola gomitata, strizzando l'occhio nella sua direzione.

Non ricordó esattamente in quale preciso momento, nè come, ma sentì la propria faccia infuocarsi, come in prenda all'ardemonio.

I gemelli risero, seguiti a ruota da Adeline.

«Helen, Helen, ti conosciamo fin troppo bene.» cominció Fred.

«E conosciamo ancora meglio...lui.» George terminó la frase, lasciando intendere perfettamente a cosa, o meglio a chi, si riferisse.

Era inutile continuare a nasconderlo o negare, loro sapevano, loro lo avevano sempre saputo, fin dall'inizio.

«Sei un libro aperto Helen.» continuó George.

«Soprattutto in sua presenza!» esclamó, poi Fred.

Helen non rispose, in realtà avrebbe voluto, era solo che non riusciva, le parole sembravano bloccate in gola.

Adeline la guardava sottecchi. Conosceva quello sguardo, voleva dirle "I gemelli ti hanno messa spalle a muro."

«E noi crediamo..» riprese Fred 

«Che tu gli piaccia, e molto anche!» terminó George.

Tra le tante cose che Helen avrebbe potuto chiedere loro, la domanda più stupida uscì dalle sue labbra.

«...a c-chi?» 

I gemelli si guardarono un istante.

«A CHARLIE OVVIAMIENTE!» esclamarono all'unisono.

Ecco.

Lo avevano detto, avevano pronunciato il suo nome.

Era in trappola.

Anzi forse no.

Si sentí leggera, come se un grosso macigno, che prima era collocato proprio sul suo stomaco, fosse volato via.

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Capitolo 36
*** Capitolo 32 - Tocchi ***


20 Agosto 1994

 

Il fatidico giorno della finale di Coppa del Mondo, giunse in men che non si fosse detto.

L'entusiasmo era palpabile nell'aria, in ogni particella che componeva l'atmosfera stessa.

Quella mattina avrebbero dovuto incontrare i Weasley e i Diggory alla Tana, in modo tale da organizzare il viaggio e la permanenza in vista della partita stessa. Il signor Arthur aveva accennato al fatto che avrebbero dovuto dividersi, affinchè non si creassero problemi con la passaporta. Ognuna delle tre famiglie avrebbe portato, inoltre, una tenda da viaggio che sarebbe servita loro per accamparsi durante la notte.

Helen, nonostante fosse alquanto emozionata all'idea di partecipare ad un evento di tale calibro, non mancó di svegliarsi tardi quella mattina, come al solito. 

Il padre, il fratello ed Adeline si erano già recati dai Weasley e lei dovette lavarsi e vestirsi in fretta con la speranza che non l'avessero lasciata lì con Molly. 

Chiuse l'ingresso di casa con un incatesimo protettivo e diregendosi a passo piuttosto svelto lungo il breve tratto di strada che separava la propria casa da quella dei Weasley. 

Il cielo era ancora buio.

Non era per niente abituata alle corse mattutine, soprattutto munita di zainetto e gadget di tifoseria, tanto è vero che poco prima di entrare, si chinó sulle proprie ginocchia, ansimante, cercando di riprendere fiato.

Era deciso: da settembre avrebbe iniziato ad allenare il proprio corpo alla resistenza fisica, non poteva mica fare la figura della pappa molle?!

Sarebbe divenuta una spezzaincantesimi. 

Si sistemó al meglio i capelli, che si erano leggermente arruffati a causa della corsa, varcando, poco dopo, la porta d'ingresso.

«Buongiorno a tutti.» disse, notando quanto il salotto dei Weasley desse l'impressione di essere pieno, più del solito.

Erano presenti anche i due migliori amici del piccolo Ron, Harry ed Hermione. Helen credeva che fossero davvero dei ragazzini fantastici e la loro amicizia le ricordava un po' quella tra lei, i gemelli ed Adeline.

La signora Weasley stava, come al solito, gridando contro i gemelli e le loro caramelle "Mou Mollelingua".

Notò Ginny, che per lei sarebbe rimasta sempre piccola, fissare Harry senza che lui se ne accorgesse, troppo preso a conversare con l'ultimo dei maschi di casa Weasley. 

A quella scena Helen abbozzò un sorriso, constatando quanto la rossa fosse, tutto sommato, simile ad Adeline quando poneva i suoi occhi su Jacob.

O a sé stessa, quando fissava il fratello della ragazza.

Tuttavia, tra le tante persone che gremivano la stanza, mancava proprio Charlie.

Lo cercó con lo sguardo, mentre si avvicinava al tavolo attorno a cui gli altri si erano riuniti.

Nulla.

Sperava che non si sentisse male, o che non fosse stato richiamato in Romania e che, quindi, in entrambi i casi, non sarebbe andato con loro alla partita.

"Se avesse avuto un imprevisto di lavoro, Jacob te l'avrebbe detto." pensó tra se'.

Il che era vero, per cui, escluse a priori l'idea.

Sebbene il pensiero di lui non l'abbandonasse un secondo, cercó di concentrarsi sui discorsi dei presenti, i quali erano intenti a pianificare i tempi e i modi del viaggio. 

«Ciao dormigliona.» la etichettó Adeline, che sembrava sprizzare felicitá da tutti i pori.

Immaginava che fosse riuscita in qualche modo a passare del tempo, o quanto meno a conversare con Jacob, glielo leggeva dal sorriso stampato sul volto.

«Noi faremo parte del secondo gruppo.» disse poi, cercando di spiegare le modalità secondo cui si sarebbero spostati.

«Io, tu, papà e Jacob?» chiese Helen.

«Si, Charlie, Bill e Percy si materializzeranno più tardi. I Diggory andranno con il signor Weasley» rispose lei, ammiccandole non appena pronunció il nome del secondogenito Weasley.

In effetti, ora notava l'assenza anche degli altri due.

Adeline sorrise, evidentemente perché i suoi occhi si erano letteralmente illuminati all'ascolto. Come potesse quel ragazzo, ogni volta, infonderle una tale vitalitá, una tale gioia, davvero non riusciva a comprenderlo. 

Si conoscevano da sempre, ed era come se ad un tratto i loro destini si fossero incrociati, predestinati a quello.

Una cosa però era certa: Charlie sarebbe venuto alla partita e questo, l'acquietò, scacciando le sue infondate paranoie. 

 

«Bene Thaddeus, io e i ragazzi utilizzeremo la passaporta sulla sinistra, voi prendete l'altra. Ci vediamo tra mezz'ora!»

Il signor Weasley decise di portare con se' il trio di piccoli grifondoro, Ginny, i gemelli e i due Diggory, mentre loro li avrebbero raggiunti a distanza di circa trenta minuti.

Una volta che il primo gruppo fu partito, Helen decise di rientrare, avvicinandosi a Molly, ancora intenta a sistemare cose all'interno delle sacche che avrebbero dovuto portarsi dietro.

Si guardó attorno.

Charlie ancora non c'era.

"Ma dove Salazar è finito?" 

Cercó di distrarsi da quel pensiero, ormai diventato fisso per lei, rivolgendosi alla signora Weasley.

«Buongiorno Molly, ti serve aiuto?» si offrí, la vedeva abbastanza indaffarata.

«Oh no tesoro, tranquilla.» rispose lei, continuando a muoversi freneticamente, inserendo cibo e indumenti all'interno delle borse.

Poi si fermó di scatto.

«Forse una cosa sola, cara.» disse lei, invitando a seguirla.

Si chinó poi, prendendo una cesta da terra.

«Potresti solo posare questa cesta nella camera dei gemelli?» le chiese, porgendogliela.

Helen annuì, reggendo l'oggetto in questione e salendo a poco le scale fino al sesto piano.

Durante la salita incontró Bill, troppo assonnato per dire qualsiasi cosa.

Entró nella stanza dei gemelli, nella quale sembrava che qualcuno avesse lanciato un Bombarda Maxima. L'avevano lasciata davvero in pessime condizioni. Agitó la bacchetta, cercando di rimediare quanto più possibile al soqquadro, appoggiando poi la cesta su uno dei due letti.

Uscì, chiudendosi la porta alle spalle, quando vide aprirsi, improvvisamente, quella della stanza affianco. Rimase immobile per un istante e sentì il cuore fuggirle dal petto, perchè sapeva che, avendo appena incontrato Bill, non poteva che essere Charlie.

Difatti, a varcare la soglia fu proprio il dragonologista, che, si voltó subito nella sua direzione, abbozzando un sorriso. Sembrava essersi appena svegliato.

Era a petto nudo e questo fece arrossire Helen, la quale abbassò lo sguardo, cercando di concentrarsi altrove. Avrebbe voluto piazzare lì le sue mani, sentire le sue pulsazioni sotto i polpastrelli.

«Buongiorno» disse lui, avvicinandosi ed infilandosi, contemporaneamente, una maglietta.

«Ciao Charlie» rispose lei, molto più a proprio agio ora che si fosse coperto.

«Avevo sentito dei rumori nella camera dei gemelli, dato che sono già partiti, pensavo fossero degli gnomi» spiegò lui, quando fu già molto vicino.

Helen ispirò a fondo quel profumo di muschio che lo seguiva ovunque andasse.

Le alzò il mento, facendo in modo che i loro occhi potessero incontrarsi e la baciò.

Helen assaporò quel bacio. Le era mancato in quei giorni, premendo più forte le proprie labbra contro quelle del rosso, che, con un netto movimento la bloccò contro la porta della stanza dei gemelli.

Non aveva mai provato una sensazione più bella dello stare a contatto con Charlie, del permettere alle loro lingue di incontrarsi, danzare, volersi.

Entrava in un universo sconosciuto, ogni volta. Sentiva un desiderio immenso nascerle dentro: la brama di lui.

Helen fece scivolare le proprie mani sotto la maglietta, percorrendo, dolcemente, la linea della sua schiena. Si staccarono per un attimo, riprendendo fiato, ma non ci volle molto affinché le loro bocche si rincongiungessero nuovamente.

Riusciva a percepire da ogni bacio quanto Charlie amasse quei momenti, tanto quanto lei, e ciò incrementava la felicità, la gioia che li caratterizzava.

Charlie le afferrò la vita portandola sempre più vicino a sé, sentiva il corpo del ragazzo come fossero divenuti una sola persona. Sentiva il suo bacino ossuto spingerla contro la porta.

Poi lui si staccò dalle sue labbra, lasciandole una scia di baci lungo tutta la linea del collo.

Sentiva la barba, seppur corta, pizzicarle la pelle.

Le mani del ragazzo si insediarono piano all'interno dei suoi pantaloncini, soffermandosi ai margini degli slip, come aveva fatto la volta precedente, a incrementare quel desiderio.

Helen sentiva il suo corpo pulsare, fremere.

Poi lui sorpassò anche l'ultima barriera che lo separava dalla sua intimità, iniziando ad accarezzarla dolcemente, facendola sussultare, seppur in modo lieve.

La guardó per un istante, appoggiando la propria fronte su quella della ragazza. 

Lei lo baciò, piano, prima le labbra, poi la guancia, poi la piega tra il viso e il collo, stringendolo più forte a se'.

Voleva dirgli di non smettere, non smettere mai.

Charlie approfondí il tocco, mosse le dita, seguendo un certo ritmo.

Helen sentiva brividi percorrerle tutta la schiena, tremiti lungo la spina dorsale, nel ventre, nelle gambe.

Il rosso proseguiva con movimenti continui, ma delicati, voleva farla impazzire, Helen ne era sicura.

Il cuore le batteva all'impazzata.

Tum tum.

Ne riusciva a sentire il suono.

Tum tum.

Chissà se anche Charlie era in grado di ascoltarne il battito.

Era in una bolla di piacere, così intenso, cosí bello, da non riuscire quasi a regolarizzare il proprio respiro.

Poco dopo, un'esplosione di mille percezioni le invase il corpo, fino alla punta delle dita, mentre lui continuava a baciarle il collo, poi la bocca.

Una scarica di corrente.

Si fece scappare un piccolo gemito, aggrappandosi repentinamente ai capelli di Charlie, che ritrasse la mano.

Appoggiò nuovamente la propria fronte su quella di Helen, abbozzando poi un piccolo sorriso.

Entrambi si desideravano, lo sentivano, Helen lo percepiva e pensò che forse sarebbero andati oltre se non avessero sentito le voci degli altri al piano terra che si preparavano per la partenza.

Helen si ricompose, aggiustandosi il pantaloncino e i capelli in disordine, non allontandosi però da Charlie, che la teneva ancora bloccata contro la porta.

«Sei la ragazza più intelligente che io abbia mai incontrato, Helen Clark» le disse, sorridendo.

Helen inizialmente non capí il perchè di quella frase, poi collegò: era stata lei stessa a suggerirglielo quel giorno al mare.

Sorrise a sua volta.

«E tu sei il ragazzo più ruffiano che io abbia mai incontrato, Charlie Weasley.»

Lo baciò, questa volta delicatamente, appoggiando solo le proprie labbra su quelle del ragazzo.

Sentiva di aver trovato in quella schiena, segnata dalle cicatrici, il posto più sicuro dell'universo.

Si sentiva la strega più felice dell'intero Mondo Magico.

 

 

 

 

Piccolo Angolo Autrice:

Ciao a tutti, come state? Speriamo bene! Siamo arrivate a metá storia e ci sentiamo super euforiche. Pian piano iniziano a definirsi i contorni dell'intera vicenda e ci addentriamo sempre piú nel cuore della stessa.

Vi sta piacendo? 

Ci terremmo a ringraziarvi di tutto, davvero, grazie.

Fateci sapere qualsiasi cosa voi pensiate, magari lasciando un piccola stellina; ve ne saremo grate.

Un bacio 💋.

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Capitolo 37
*** Capitolo 33 - MorsMorde ***


Passati diversi minuti, il signor Clark condusse loro a Stoatschead hill. Si trattó di una camminata piuttosto faticosa, in salita, ma quando Helen scorse da lontano una vecchia scarpa malridotta, capì fossero arrivati, quella era senza dubbio la passaporta.

Jacob camminava di fianco ad Adeline, chiedendole qualcosa ogni tanto. Helen, invece, muoveva meccanicamente gli arti, con il pensiero rivolto a quanto accaduto prima. Si prospettava una bellissima giornata.

Quando fu ora, afferrarono tutti la passaporta, che con un vorticoso movimento, e un forte strattone, li condusse a destinazione.

Jacob ed il signor Clark atterrarono in piedi, mentre le due ragazze rotolarono poco lontano.

Quando Helen si fu rimessa in piedi, spolverandosi i vestiti, non potè credere ai suoi occhi: una vasta distesa, tappezzata di tende da campeggio.

«Questa era quella delle sette e venticinque» proferì qualcuno. Helen notó si trattasse di un uomo che in mano teneva una lunga lista.

Suo padre gli pose la scarpa che avevano usato, dandogli il buongiorno, l'uomo, che pareva scocciato, la gettó di fianco, in una mischia di passaporte usate.

«Clark...Clark... primo campeggio, vi riferirete al signor Robert»

«Grazie Basil... buona giornata allora!» lo salutó il signor Clark.

Di lì a poco furono giunti a destinazione.

Il signor Roberts sembrava piuttosto confusi da quella grande calca di gente, ma ebbe cura di consegnargli una mappa del campeggio, spiegargli la loro esatta posizione, dicendo: «Siete accanto ad una famiglia di persone con capelli rossi, non potete sbagliare!» rise il babbano, continuó sbagliando pronuncia: «Weezly, se non erro».

Helen constató quanto i Weasley fossero inconfondibili.

Un uomo, appena sopraggiunto lo oblivió. Gli occhi del signor Roberts divennero vacui e, dopo ció, riscosse il pagamento da Jacob, che aveva maggiore dimestichezza con quegli strani soldi babbani.

Quando ebbero raggiunto la posizione esatta, accanto alla tenda dei Weasley, montarono le loro due con qualche difficoltà, ma con l'aiuto di Arthur, che non aveva assolutamente voluto usare la magia.

Poi Adeline ed Helen posarono le loro cose all'interno. Si trattava di una tenda abbastanza spaziosa, all'interno era come un monolocale, con un piccolo bagno, due modesti letti ed un tavolo; sarebbe senz'altro bastato per una notte.

Fu dopo poco essersi ricongiunte ai gemelli, che le due amiche si lanciarono all'esplorazione del campeggio.

La vasta pianura brulicava di persone, maghi e non.

C'erano ex alunni di Hogwarts, tra i quali Helen riconobbe il vecchio capitano dei grifondoro, studenti da scuole straniere, che parlavano con uno strano accento francese, e bambini, ignari della magia, che si inseguivano da una parte all'altra.

Fred e George, che lavoravano da un po' a degli articoli alquanto bizzarri, si vantavano di una della loro ultime invenzioni: la bacchetta trabocchetto.

Una bacchetta finta, che fosse in grado di urlare e tramutarsi in un pollo di gomma; Adeline non la smise di ridere da quando l'ebbe vista.

Doveva ammetterlo, i suoi due migliori amici vantavano un certo genio, e altrettanta determinazione.

 

Poco prima di pranzo, sopraggiunsero anche i tre maggiori dei Weasley. 

Percy aveva la sua solita aria altezzosa, di chi avesse troppo da fare, inoltre andava alla ricerca di importanti funzionari.

Bill era emozionato alquanto.

Charlie indossava una maglietta con i colori della squadra irlandese. Sebbene avesse provato imbarazzo, avrebbe voluto rivederlo a petto nudo, con le linee dei muscoli che sembravano tracciare strade e sentieri.

Durante il primo pomeriggio, si recarono tutti a fare un giro tra gli stand dei gadget di tifoseria.

Fred e George avevano precedentemente comprato qualcosa Diagon Alley, ma Helen li vide smaniosi.

Tuttavia non avrebbero potuto prendere altro, dal momento che, non essendoci Molly, avevano scommesso contro Ludo Bagman sulla vittoria dell'Irlanda, e la cattura del boccino da parte dell'avvenente Krum.

Trovarono comunque modo di divertirsi, tormentando Percy, come loro solito, e cacciandosi in molti affari. 

Dissero di aver sentito che quell'anno ad Hogwarts sarebbe successo qualcosa di importante, ma non seppero dire altro. Adeline ed Helen non ci avevano creduto, dal momento che erano soliti scherzare in quel modo.

Charlie compró una bella coccarda verde, che, notó Helen, contrastava il colore fulvo dei suoi capelli.

Passandole accanto le aveva sfiorato una mano, facendola rabbrividire.

Non appena furono tornati alle tende, un grosso GONG annunció l'inizio della partita, così, acchitatati dei loro gadget, tutti si diressero allo stadio.

Si creó una grande calca, ed Helen fece fatica a non perdere di vista il signor Weasley e suo padre, che avevano i biglietti per assistere al match.

Dopo che ebbero superato i controllori, Helen si guardó intorno, cominciando la risalita verso la tribuna, che si trovava molto in alto.

Il signor Weasley stava spiegando qualcosa sullo stadio, sul tempo impiegato a ergerlo e sugli incantesimi antibabbani praticati su esso.

La ragazza teneva un orecchio teso verso quella spiegazione, mentre si impegnava a salire le scale senza inciampare in qualcuno, o nei tappeti viola che adornavano i gradini.

Volgendo lo sguardo verso l'immenso campo illuminato, Helen si sentì mancare. Erano davvero in alto, e trovarsi insieme ad una moltitudine di maghi, riuniti lì con lo stesso ardore, era piuttosto suggestivo. C'erano cori, sventolii di bandiere, ed un enorme cartellone pubblicitario che ritraeva messaggi differente ogni istante, da "BLUEBOTTLE: UNA SCOPA PER TUTTA LA FAMIGLIA" a "SOLVENTE MAGICO DI NONNA ACETONELLA PER OGNI TIPO DI SPORCIZIA".

Adeline le diede una gomitata, come a farle notare l'immensità di tutto quello.

Non ci volle molto all'inizio della partita.

Fred e George cominciarono a sbracciarsi, gridando a gran voce.

Ci fu l'ingresso delle mascotte, seguito da un breve spettacolo: Veela e lepricani, per la Bulgaria e l'Irlanda rispettivamente, poi la presentazione dell'arbitro, ed infine Bagman urló uno ad uno i nomi dei giocatori che entravano in campo, sulle loro costose scope. 

Entrarono prima quelli bulgari, ed un grande urlo accompagnó il nome di Krum, che aveva un certo fascino. 

Poi toccó a quelli irlandesi, e lo stadio quasi cadde per il gran baccano. Helen urló e fece sventolare il suo cappello, sotto gli occhi divertiti di Charlie.

La partita cominció, e l'Irlanda fu subito in vantaggio.

Fu tutto un susseguirsi di mosse, finte e subdole azioni, come la finta Wronsky di Krum, che riuscì quasi a mettere KO il cercatore avversario.

Poi le rispettive mascotte cominciarono a darsi battaglia, mentre al di sotto, la partita continuava a disputarsi con ferocia.

Terminó solo quando il cercatore bulgaro ebbe acciuffato il boccino, ci fu un gran fracasso.

Sullo schermo comparve la scritta: "BULGARIA: CENTOSESSANTA, IRLANDA: CENTOSETTANTA", accompagnato dalle grida di Bagman.

Helen esultó insieme agli altri Weasley, tranne Ron, che peró era entusiasta della presa di Krum.

Poi vide i gemelli correre via, a riscuotere il loro premio.

 

Quella sera regnava una bella atmosfera.

Quasi ogni mago aveva acceso un fuocherello, ed Helen canticchiava qualcosa per Adeline, seduta lì.

Lei e Charlie si scambiavano delle occhiate, mentre lui intratteneva un discorso sulle gomitate e i falli non fischiati, con suo padre.

Tutto sembrava così perfetto. Quella giornata era stata fantastica, e una bella dormita l'attendeva, dato che il bagliore del fuoco aveva reso le sue palpebre pesanti.

Quando fecero tutti per sistemarsi nelle rispettive tende, Helen avvertì un silenzio insolito, seguito da rumori, ma non rassicuranti, non il frusciare degli alberi, ma urla, lamenti. 

Adeline le scoccó un'occhiata terrorizzata, e si precipitarono fuori.

Un'esplosione di luce verde illuminó la scena. Una folla di maghi, incappucciati, avanzava verso di loro, con le bacchette rivolte al cielo, infliggendo pene ai poveri babbani, e a chiunque gli si facesse davanti.

Mangiamorte, serró i pugni.

«JACOB! PORTA CON TE LE RAGAZZE, ALLA FORESTA!» urló il signor Clark.

Dalle tende dei Weasley uscirono tutti, ma Helen vide Charlie e soltanto lui, che sembrava pronto a combattere per il ministero.

"Charlie, no!" pensó Helen, una lacrima le rigó il volto, pensando alla sorte toccata alla madre.

Lui sembró leggerle la mente; si avvicinó all'amico e gli poggió una mano sulla spalla, poi parló, anche a voler rassicurare Helen: «Ascolta tuo padre Jacob, vai con i miei fratelli, portale alla foresta, ci vediamo lì. Io staró bene».

La ragazza sentì il mondo crollare sotto i suoi piedi, gli occhi non potevano staccarsi dall'orizzonte, dove una guerriglia stava iniziando.

Tese la sua mano nel vuoto, come a voler afferrare Charlie, ma lui, incentivato da suo padre, insieme ai suoi fratelli, si dirigeva verso quella calca.

Arthur invitó anche il signor Clark a perorare quella causa, e lui non si fece intimidire. Scoccó un bacio sulla fronte di Helen e seguì i Weasley.

«Papà, no!» gridó Helen. Adeline e Jacob la trattennero, poi il fratello le parló, rassicurandola: «Staranno bene Helen, ora dobbiamo andare!».

Prese per mano le due ragazze, e corsero verso la foresta, il più veloce possibile.

Dinanzi a loro c'erano i gemelli, a cui era stato raccomandato di badare alla sorella. Ebbe paura di perderli in quel tumulto. E una preoccupazione si impossessó di lei, quando non vide il piccolo Ron con i suoi amici. Ma continuò a correre, il cuore in gola, le gambe stanche.

Adeline inciampó brutalmente, gridando di dolore.

«Corri Helen! A lei ci penso io» la spronó Jacob, così fece, lasciandosi i due alle spalle.

Quando fu al sicuro tra gli alberi, si accasció a terra.

Aveva il volto sudato, la gola secca, la bocca metallica. Sentiva la paura, l'adrenalina. 

Si asciugó la fronte con il palmo, ripensando a quei maghi senza volto, al male che avevano fatto in passato, a sua madre, al mondo magico.

Non poteva essere così, non di nuovo.

Si sentì sola. 

Non vedeva i gemelli o Ginny.

La paura si impossessó di lei.

Poi una voce, rauca, quasi pacata, come un sussurro, pronunció qualcosa: morsmordre. 

Un teschio luminescente comparve nel cielo, Helen avrebbe riconosciuto ovunque quel simbolo: il marchio nero.

Cercó di farsi coraggio nella notte buia.

Corse verso destra, con la bacchetta sguaiata dinanzi, per farsi luce. C'erano giovani maghi che piangevano, chi sembrava perso come lei.

Poi in lontananza li vide: i gemelli, con Ginny accanto.

«FRED! GEORGE!» gridó, e i loro occhi si illuminarono.

Le corsero incontro, sollevandola da terra, stringendola forte. 

«Helen! Non ti abbiamo visto più, eravamo preoccupati» 

«Adeline è caduta, Jacob mi ha intimato di procedere! Ho avuto tanta paura» confessó, stringendoli nuovamente, e facendo lo stesso con Ginny.

«Charlie... Bill...» farfuglió, con la preoccupazione in volto.

«Staranno bene» la rassicuró George.

Poco dopo, al limitare della foresta, comparve Jacob, che portava Adeline in braccio, aveva il piede distorto. Helen si precipitò verso di loro, stringendoli forte.

«Adeline, stai bene?»

«Una distorsione» disse a denti stretti.

Sentì di soffrire insieme a lei. La sua espressione era dolorante, gli occhi umidi. Poi Jacob la adagió a terra.

«Adeline, adesso stringi i denti, ti farà male» fece Jacob, visibilmente dispiaciuto. Poi pronunció: «Emendo». Il piede, con un sonoro crack riprese la posizione fisiologica, la ragazza cercó di non urlare, mentre Helen le stringeva le mani.

«Grazie Jacob» fece poi, a nome di entrambe.

Suo fratello verificó che stessero tutti bene, poi, insieme a loro, attese.

Senza sapere se fosse un vano aspettare.

Le urla in lontananza parvero fermarsi poco dopo.

Ma tutti guardavano il cielo terrorizzati. Il marchio nero illuminava i loro volti di una luce verde, insieme a quella delle tende, che bruciavano con gli alberi della pianura.

Poi qualcuno urló, ma non di paura stavolta, di gioia.

Ginny si precipitò verso i fratelli: Percy, Charlie e Bill avanzavano verso di loro.

Charlie aveva del sangue sulla guancia, la maglietta di Bill era strappata, persino Percy aveva perso la sua aria di superiorità, avevano timore.

I fratelli Weasley si riunirono, tra urla e lacrime di gioia, tranne Ron.

Helen si sentì mancare nuovamente, dove era finito? Con i suoi amici forse? 

E suo padre?

Poi le braccia di Charlie la circondarono; Helen fu colta di sorpresa da quella stretta, ma la ricambió, intrecciandosi al collo di lui.

«Ho avuto paura» confessò lei, stringendosi più forte a lui, mentre una lacrima sfuggí al suo controllo, rigandole il volto.

«Sono qui» sussurrò Charlie.

«Restaci» gli disse, con una voce rotta dal pianto. 

Si era sentita cadere il mondo addosso, terrorizzata dall'idea che non lo avrebbe più rivisto.

«Non vado da nessuna parte» 

Le diede un bacio tra i capelli, furtivo, veloce.

Ora si sentiva al sicuro.

 

Quando tutti si furono ritrovati, ed ebbero fatto ritorno alle tende, o almeno, quello che ne restava, le sue gambe smisero di tremare.

La paura aveva regnato sovrana quella notte, e qualcosa le diceva che quel segno nel cielo non promettesse nulla di buono.

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Capitolo 38
*** Capitolo 34 - Pozione Invecchiante ***


Regno Unito, Settembre 1994

 

Il ritorno a scuola, dopo l'accaduto, fu piuttosto turbolento. Al ministero stesso si era diffuso un gran panico, ed Helen non riusciva a lasciare che quelli fossero affari per adulti.

Non riusciva a pensare ad altro, se non al marchio nero. Fissava Adeline, con lo sguardo perso oltre il finestrino del treno, ed aveva l'impressione che la paura si fosse impossessata di lei da quella notte.

Helen era forte peró, e cercava di consolare i suoi amici, sebbene il ricordo di quella notte la tormentasse nei suoi sogni, anche durante il minimo stato di dormiveglia. 

Udiva il canto di sua madre, e poi quella voce gelida, la stessa che aveva evocato il marchio.

Sull'espresso non si parló d'altro se non di un qualcosa che sarebbe accaduto ad Hogwarts; tutti sembravano entusiasti. I maghi più giovani, tra i quali Draco Malfoy, si divertivano a mettere in giro voci, ma solo il preside Silente avrebbe potuto confermare tutte quelle dicerie.

I gemelli, di fronte a lei, tenevano il broncio, vittime della truffa di Bagman, che aveva ripagato la scommessa con l'oro dei lepricani, che era scomparso poco dopo. Erano giorni che stavano così.

Quando furono seduti tutti in sala grande, e gli studenti più grandi ebbero fatto il proprio ingresso per essere smistati, avvolti nei loro mantelli scuri, in contrasto con involti pallidi e ansiosi, Helen volse gli occhi al soffitto. Fuori il tempo era pessimo, una grande tempesta era in arrivo.

Il cappello parlante recitó la sua filastrocca, e la sala risuonó di applausi. Pareva che quel pezzo di stoffa riuscisse sempre a spronare tutti a resistere, ad amare. Ma resistere a cosa? Cosa si stava preparando là fuori?

Helen cacció via quei pensieri, e si godè lo smistamento, battendo le mani ai nuovi serpeverde, mentre al tavolo dei Grifondoro i gemelli fischiavano per il disappunto. Il fantasma del barone sanguinario scoccó un'occhiata di sfida a Nick-Quasi-Senza-Testa

«Di un po' Logan, sai qualcosa di questo grande evento?» gli chiese Ava, sussurrando, Logan sorrise arguto, facendole segno di fare silenzio.

Poi, Silente prese la parola, e tutti tacquero per ascoltare le tanto attese novità.

Cominció il discorso con le solite raccomandazioni sulla foresta e gli oggetti proibiti che Filch aveva aggiunto alla sua lista, per poi dare una notizi che sconvolse tutti gli accaniti: quell'anno il campionato di quidditch non si sarebbe svolto, ma prima che avesse potuto spiegare i motivi, un tuono assordante riecheggió nella sala e le porte si spalancarono, rivelando un inquietante uomo, che camminava appoggiato ad un bastone.

Un lampo lo illuminó: aveva lunghi capelli brizzolati, un mantello nero da viaggio e, cosa più inquietante, aveva viso pieno di cicatrici, un pezzo di naso mancante e un occhio finto, blu, che roteava freneticamente. Silente li illuminó sull'identità di quello straniero: il nuovo insegnante di difesa, Alastor Moody, detto Malocchio, un ex-auror.

Un vociare si diffuse lungo ogni tavolo, ma il preside riprese a parlare, annunciando che quell'anno, proprio lì, ad Hogwarts, si sarebbe tenuto il torneo Tremaghi. A quel punto, Fred fece, incredulo, a voce troppo alta: «Sta scherzando!». La tensione si ruppe, e tutti scoppiarono a ridere, persino i serpeverde, e anche Grace, la cotta di Fred, constató Helen.

Poi il suo discorso riprese, spiegando le origini del torneo, da chi fosse composta la giuria, quale fosse il regolamento, e ovviamente che ci fosse un limite di età (diciassette anni, e questo generó grande malcontento). Il volto dei gemelli tornó ad  imbronciarsi nuovamente, vedendosi svanire la gloria davanti agli occhi, ma Helen era sicura non avrebbero lasciato perdere la causa così facilmente.

Anche lei era molto emozionata all'idea di poter passare un anno intero con degli studenti stranieri: quelli di Beauxbatons, francesi per la maggior parte, e quelli di Durmstrang. Sarebbero arrivati lì in ottobre, con i loro presidi, e ad Halloween si sarebbero scoperti i nomi degli sfidanti.

 

Quel mese voló via in fretta: tra le lezioni alquanto particolari del professor Moody, che aveva qualche rotella fuori posto, l'eccitazione generale, mista al nervoso della vicepreside,  per l'arrivo degli ospiti e la solita quantità di compiti, senza tener conto della raccomandazioni per i M.A.G.O.

Tutti i professori erano divenuti asfissianti.

Con l'arrivo delle altre scuole, tutto parve scoppiare, per poi riprendere la calma.

Ci fu un grande banchetto, e tutti gli studenti ebbero modo di fare amicizia. Helen stessa conversó interessata con una certa Fleur Delacour, dell'accademia di Beauxbatons, mentre la maggior parte delle ragazze sbavava dietro al cercatore bulgaro Viktor Krum di Durmstrang.

Al termine del banchetto venne dichiarato ufficialmente aperto il Torneo Tremaghi, chiunque avesse voluto prendere parte, età permettendo, avrebbe dovuto inserire il proprio nome nel calice, un contratto magico vincolante a tutti gli effetti.

Seppe da alcune voci di corridoio che Cedric Diggory si era proposto come campione per Hogwarts: questo cosa la rese in parte contenta per lui, in parte preoccupata; non si trattava di una partitella di quidditch, la sfida era davvero pericolosa, persino per esserci in palio ben mille galeoni.

Seppure contrariate, lei e Adeline stavano aiutando i gemelli a fabbricare della pozione invecchiante, dal momento che i due si fossero messi in testa di oltrepassare la linea dell'età. Questo le costringeva, oltre a svolgere l'abituale carico di compiti, a recarsi nel bagno delle ragazze del secondo piano, dove Mortilla Malcontenta era solita stazionare, per preparare quella mistura. Avrebbero dovuto farcela per Halloween.

Helen aveva sottratto alcuni ingredienti dalla dispensa, e se Piton l'avesse scoperto, probabilmente sarebbe stato peggio affrontare lui che le prove del torneo.

Fu così, che durante uno dei pomeriggi trascorsi nel bagno, Adeline ebbe qualcosa da dirle; aveva un sorrisetto dipinto in volto.

«Come mai così allegra?» domandó Helen, battendole un pugno sulla spalla.

«Ho qualcosa da dirti, mi perdonerai per non aver parlato prima?», la bionda annuì e si predispose all'ascolto.

«Vedi, da quando sono arrivata a casa tua, io ho parlato molto con Jacob, é stato...beh...credo di aver sfiorato il cielo con un dito. Abbiamo passato notti intere a ridere, a scambiarci esperienze, sogni...» raccontó, con occhi acquosi e sognanti.

«Ma c'è dell'altro, immagino» ipotizzó Helen.

Adeline le diede ragione con lo sguardo, arrossendo lievemente, poi proseguì:

«La notte della partita, quando sono arrivati i mangiamorte - la sua voce sembró spezzarsi - lui mi ha salvato, e se non ci fosse stato non so come avrei fatto. 

«Helen lui mi ha baciata... cioè, insomma, anche io ho baciato lui. E io, io non so descrivere quello che ho provato. Mi ha dato la forza, mi ha infuso coraggio, più di quanto me ne serva per essere Grifondoro».

La tensione in quella stanza si allentó, Helen la strinse forte. Adeline e Jacob, insieme, questa prospettiva le piaceva molto. Non furono necessarie altre parole, perché lei capiva benissimo cosa fosse quel sentimento, così indefinito, eppure così deciso.

Ovviamente, come previsto, la pozione invecchiante si rivelo un fiasco, facendo crescere ai gemelli soltanto lunghe barbe bianche.

La notte di Halloween fu più movimentata di quello stesso anno. Furono nominati i campioni per il torneo: Fleur Delacour, con la quale Helen non mancó di complimentarsi, mentre passava del tempo con lei in cortile; Viktor Krum, per la gioia di molte; Cedric Diggory, con cui Helen aveva passato qualche ora in biblioteca di recente, e pertanto fu presa dalla preoccupazione. Ma al termine, il calice aveva dato un quarto nome, che nessuno si sarebbe aspettato: Harry Potter, troppo piccolo anche solo per pensare di prendere parte a quella gara.

La sala grande aveva taciuto, ma i giorni a seguire furono colmati da voci, insulti nei confronti del giovane Potter, sfavorito rispetto a Cedric, e invidie.

Persino Fleur, parlando con Helen, si disse alquanto amareggiata. Neanche i presidi delle scuole la presero bene: Karkaroff e Madame Maxime sembravano sprizzare dissenso da tutti i pori.

Per di più, a peggiorare le cose, ci furono gli articoli di una giornalista odiosa: Rita Skeeter, che il padre di Helen conosceva bene, e detestava. Era solita scrivere bugie. 

Ma furono solo questi fatti a turbarla: fuori dalle mura della scuola, in cui tutti si sentivano al sicuro, molti maghi cominciavano a sparire misteriosamente. Sembrava l'inizio di qualcosa di oscuro.

L'unica luce, che fu in grado di allietare le menti di tutti, fu l'invito della McGrannit a restare a scuola per Natale, in vista di un grande evento che avrebbe avuto luogo: il Ballo del Ceppo.

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Capitolo 39
*** Capitolo 35 - Incarichi ***


Romania, 10 Novembre 1994

Charlie quella mattina non ebbe un bel risveglio. 
Aveva sognato i Mangiamorte, guidati da Colui che non deve essere nominato, fare razzie, uccidere maghi e babbani e ancor peggio, distruggere Hogwarts, fare del male ai suoi cari sotto il suo sguardo, senza che lui potesse muovere un dito. Era paralizzato, come colpito da un Petrificus Totalus, mentre guardava gli altri morire, senza poter far nulla per savarli, ma cosa peggiore, aveva visto Helen venire torturata sotto i suoi occhi.
Si alzò di scatto dal letto, dirigendosi in bagno, e si lavó la faccia con acqua fredda, speranzoso che quest'ultima avesse potuto scacciare quelle immagini dalla sua mente.
Notò il letto di Jacob vuoto.
Guardò l'orologio: le 7:30.
Doveva muoversi, altrimenti avrebbe fatto tardi.

L'allevamento di draghi in cui Charlie lavorava era uno dei più grandi al mondo, forse l'unico tanto attrezzato. 
Si trattava di un'enorme valle, protetta da svariati incantesimi difensivi, affinché i draghi potessero essere salvaguardati, ma allo stesso tempo contenuti, in modo da non nuocere.
Il posto pullulava di dragonologisti come lui, e ne conosceva la maggior parte. Condividevano la stessa passione, per cui non gli era risultato affatto difficile stringere amicizia con alcuni di loro.
Una volta varcato l'ingresso, un suo superiore gli andò subito incontro, sembrava andasse molto di fretta, come sempre, d'altronde.
«Signor Weasley, ho un lavoro per lei.» gli disse, iniziando a sfogliare freneticamente un'agendina, che tirò fuori dalla tasca del pantalone.
«Mi dica signor Romanov» 
«Ho bisogno che lei, il signor Clark e i signori Garth e Framley, mi prepariate tre...no, mi scusi, quattro draghi», alzò lo sguardo. «Devono essere portati in Inghilterra, alla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts» 
Charlie sgranò gli occhi. 
Quattro draghi ad Hogwarts? Che ne dovevano fare?
«Mi scusi signore, posso chiederle il motivo?» azzardò lui, pur sapendo quanto il proprio capo fosse infastidito nel dare troppe spiegazioni.
Difatti, storse il naso.
«Il torneo Tre Maghi. Credo che lei e i suddetti signori siate i più adatti a questo compito, considerando il fatto che abbiate frequentato quella scuola.» rispose lui, richiudendo la sua agenda e facendo per andarse.
«Ah, signor Weasley, nessuno degli studenti dovrà sapere del vostro arrivo, confido in lei.» 
Dettò ciò, si allontanò, senza dare nemmeno il tempo al ragazzo di rispondergli.

Radunò i colleghi quanto più velocemente possibile, aveva intenzione di partire quanto prima, voleva tornare ad Hogwarts, voleva rivedere i fratelli, voleva rivedere Helen.
"Per tutti i Verde Gallesi, è un pensiero fisso!"
E lo era davvero. Charlie in questi due mesi non aveva fatto altro che pensare a lei, alle sue labbra, al suo profumo. Gli mancava ogni cosa di quella ragazza, ogni centimetro della sua pelle liscia. 
Lo aveva affatturato, ne era sicuro, Charlie non riusciva più a riconoscersi, ma cosa peggiore era che non fosse spaventato affatto.
Gli mancava e non lo negava.
Il solo pensiero di poterle stare vicino, anche solo per qualche giorno, lo motivava, lo rallegrava, desiderava fare al più presto i bagagli.
Potersi occupare dei suoi draghi e, allo stesso tempo,essere con lei, sembrava quasi surreale, eppure non lo era affatto.
Gli altri dragonologisti lo raggiunsero, attendendo di sapere il motivo di quella convocazione.
«Ragazzi, buongiorno.» inizió lui, rivolgendosi ai colleghi, mentre indossava i suoi guanti magici anti-scottatura.
«Dobbiamo preparare quattro draghi per il Torneo Tre Maghi»
guardò poi Jacob, a cui era spuntato un grosso sorriso «Jacob, tu e Grath occupatevi del Petardo Cinese e del Verde Gallese, io e Framley ci occuperemo dell'Ungaro Spinato e il Grugnocorto Svedese.»
Annuirono.

La notizia di Hogwarts lo aveva messo davvero di buon umore. Fischiettava mentre avanzava insieme agli altri, lungo percorso in direzione del drago più pericoloso dei quattro. Temeva un po' per chi avrebbe dovuto affrontarlo, non sarebbe stato facile, tutt'altro.
Soffiava un leggero vento che gli scompigliava i capelli; aveva iniziato a fare davvero freddo, l'inverno si avvicinava sempre di più.
«Weasley ma cos'è questa gioia che sprizzi da tutti i pori? Hai forse trovato una ragazza?» chiese improvvisamente Grath, ridendo, seguito a ruota dagli altri due.
Charlie per poco non si strozzò con la propria saliva.
Non fece in tempo nemmeno a metabolizzare la domanda e formularne una risposta, che Jacob si intromise.
«Chi Charlie?! Ma se ha occhi solo per i draghi» rise di gusto.
Charlie sentí una fitta allo stomaco.
Qualsiasi parola gli morí in gola, riuscendo a malapena ad abbozzare un sorriso forzato in direzione dell'amico, senza nemmeno avere il coraggio di guardarlo negli occhi.
Si sentí la persona più orribile dell'intero continente, anzi del pianeta. Jacob era sempre stato un fratello e ora gli stava celando la cosa che forse lui, più di chiunque altro, avrebbe dovuto sapere, cioè che fosse follemente innamorato di sua sorella Helen.
Sí, perchè Charlie Weasley era impazzito per quella ragazza, la stessa che conosceva da anni e che aveva sempre avuto sotto ai propri occhi, senza mai accorgersi di quanto lei fosse stata la persona di cui necessitasse, che volesse accanto a lui.
«E tu Jacob?» 
Questa volta Grath si rivolse proprio al giovane Clark, destando Charlie dai pensieri.
«Oh beh, cioè non so, però forse...» rispose lui, leggermente imbarazzato, portandosi una mano dietro la nuca, sorridendo.
Si voltò verso di lui con gli occhi sgranati.
In che senso Jacob aveva una ragazza?
«N-non guardarmi cosí, non è nulla» disse frettolosamente lui, cercando di giustificarsi.
Charlie fece finta di nulla, non era proprio nella condizione di esprimere alcun tipo di giudizio, ne' tanto meno considerazioni.

Quando finalmente la giornata si concluse, Charlie e Jacob tornarono al loro piccolo alloggio poco distante dall'allevamento. Non riusciva a proferire neanche una parola, si sentiva a disagio, in difetto.
Si esatto, proprio in difetto.
Avrebbe voluto parlargli.
Avrebbe dovuto.
«Charlie comunque per la questione della ragazza..» inizió Jacob rompendo il ghiaccio, come se gli avesse letto i pensieri.
Si sentí affondare, cadere nel vuoto, in un pozzo senza fondo.
Ora gli avrebbe detto di non osare più toccare la sorella e avrebbe avuto anche ragione; aveva tradito la sua fiducia.
«..i-io credo di provare un certo interesse per...per l'amica di Helen, cioè dico, hai capito no di chi parlo?» 
Si voltò a fissarlo, aspettando una sua risposta, che lui non riuscí subito a formulare, troppo preso a riprendersi dallo spavento precedente.
Aveva creduto volesse parlare di lei, di Helen, tuttavia ascoltare il suo nome gli fece comunque uno strano effetto.
«Adeline?» rispose semplicemente.
«Si» rispose lui.
«È davvero una ragazza in gamba» aggiunse poco dopo.
«Lo è, si.» 
Cadde uno silenzio imbarazzante tra di loro.
Avevano sempre parlato di qualsiasi cosa, dai draghi al quidditch, alla scuola, ai semplici fatti di cronaca, ma mai, mai, di ragazze.
«Domani sarà il compleanno di Helen, dovrei mandarle un regalo» riprese Jacob, quasi riflettendo ad alta voce.
Charlie ebbe un sussulto.
Voleva mandarle qualcosa, magari un regalo? Cosa si regalava a una donna? Una maglia? Una sciarpa? Una cioccorana?
Forse una lettera sarebbe bastata.
Cosa avrebbe dovuto scrivere?
'Ciao Helen buon compleanno', con affetto Charlie' ?
Oppure qualcosa più simile a 'I miei più sinceri auguri, distinti saluti, Charlie Weasley'?
Scosse leggermente la testa.
Troppo cordiale, non avrebbe dovuto mica mandarla alla McGrannit la lettera?!
Magari semplicemente sarebbe stato oppurto scriverle quanto gli mancasse, quando i giorni sembrassero privi di un reale significato senza di lei.
Tuttavia non voleva sembrarle eccessivamente...sdolcinato, sapeva che ad Helen avrebbe dato, in qualche modo, fastidio.
«Jacob» disse improvvisamente.
«Dimmi Charlie» rispose lui, intento a preparare il necessario per una doccia.
«Ti devo parlare...di una cosa.»
Non poteva più tirarsi indietro, non si sarebbe privato del proprio coraggio, prima o poi avrebbe dovuto affrontare la questione.
Jacob lo fissava, aspettando che parlasse.
Fece un grosso sospiro, portandosi le mani tra i capelli.
«Si tratta di...Helen.»
Aveva pronunciato il suo nome e questa cosa gli provocó un senso di leggerezza.
Un altro sospiro.
Doveva farsi forza.
Lo sguardo di Jacob sembrava allarmato, si stava sicuramente preoccupando dell'incolumitá della sorella.
«Jacob, io...sono innamorato di tua sorella. E non biasimarmi ti prego, non odiarmi, ma non posso ignorare i miei sentimenti, quello che provo per lei, non posso. Dì che mi capisci, pronuncia una qualsiasi parola»
L'ultima frase sembrava più un'implorazione, una richiesta di perdono.
Jacob si sedette di fronte a lui, guardandolo fisso negli occhi, senza dire una parola.
Non lo aveva mai visto cosí serio, era sicuro che da un momento all'altro gli avrebbe lanciato un Avada Kedavra.
«Da quando?» chiese poi.
«Non lo so...» rispose semplicemente lui.
Non lo sapeva davvero, era successo e basta.
Jacob sospiró.
«Quanto? Quanto ne sei innamorato?» domandó, continuando a non staccare i propri occhi da quelli di Charlie.
«Tanto» ribattè subito lui.
Non aveva avuto esitazioni nel dargli quella risposta.
Jacob continuó a fissarlo per qualche secondo, muto, poi si alzó, avvicinandosi.
Charlie poteva vedere tutta la sua vita proiettata avanti agli occhi, come un film. 
Sarebbe morto a breve, ucciso dal proprio migliore amico: una fine vile.
Jacob gli posó una mano sulla spalla, poi sorrise, lasciando Charlie perplesso.
«Bene» disse solamente, allontandosi ed entrando poco dopo in bagno, chiudendosi la porta alle spalle.
Era rimasto immobile, seduto sul proprio letto, incredulo.
Era vivo?
Per Godric!

 

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Capitolo 40
*** Capitolo 36 - Compleanno ***


"Ciao Helen, come stai?
Spero bene. 
Volevo augurarti un buon compleanno e dirti che ho parlato con Jacob, di te, cioè di me e te, più di me che di te.
Insomma, hai capito.
Non posso immaginare quale possa essere la tua reazione, mi auguro non tale da Cruciarmi per questo.
Mi dispiace che non ti sia potuta proporre per il Torneo Tre Maghi! Merlino, per 10 giorni!
Non mancheranno occasioni.
A volte ti penso.
- Charlie.

P.S. 
A volte, spesso."

Helen rimase a fissare tali parole per quelle che le sembrarono ore, con un sorriso stampato in faccia, come se le avessero lanciato un Divversiò.
Era nella sua stanza del dormitorio femminile Serpeverde, quando le era stata recapitata questa lettera, tra le altre in cui, parenti lontani, le auguravano un buon compleanno, dei regali da Jacob e il padre.
"A volte ti penso."
Rileggeva più e più volte quella frase.
"A volte, spesso." aveva aggiunto lui.
Percepiva il cuore traboccante di gioia, tanto da poter scoppiare da un momento all'altro. Si nutriva di quella bellissima sensazione, non avrebbe potuto ricevere notizia più bella. 
Riusciva ad avvertire una sorta di connessione tra di loro, un collegamento, un'unione.
Il secondogenito dei Weasley ormai occupava la sua mente da oltre due mesi, pertanto, venire a conoscenza che per lui fosse lo stesso, la faceva sentire meno sola, meno distante da lui.
Avrebbe dovuto dirglielo: esprimergli tutto quello che provava quando era con lui, ma soprattutto, quando non lo era.
Quel senso di vuoto che l'attanagliava, quel desiderio di congiungere nuovamente le proprie labbra con le sue, di quanto non fosse mai sazia di lui, di quanto fosse per lei un pensiero fisso.
La sua assenza sembrava farle mancare il fiato.
Voleva rispondere a quella lettera, subito.
Cercó nella stanza un pezzo di pergamena, tirando fuori piuma e calamaio.
Scrisse le prime parole.
"Caro Charlie, sono Helen."
Cancelló. Accartocció il foglio, gettandolo via.
«Non va bene.» mormoró tra sé e sé.
Prese un altro foglio di pergamena e ricominció.

"Ciao Charlie, io sto bene (dopo la tua lettera ancora meglio), spero sia lo stesso anche per te.
Mi auguro che Jacob abbia reagito bene, altrimenti credo, più che altro, di Cruciare lui, appena lo vedró.
Ti ringrazio degli auguri di buon compleanno (ritengo che ora lo sia davvero) e non preoccuparti per la questione del Torneo, non credo mi sarei proposta ugualmente. 
Io ti penso molto spesso.
Mi manchi tu.

-Helen.

P.S.
Molto spesso equivale a sempre."

Rilesse più e più volte, poi decise di inviarla.
La ripiegó mettendola nella tasca della divisa, uscendo, poco dopo, dalla stanza e dirigendosi alla guferia.

Se avesse dovuto descrivere quel compleanno con una parola, avrebbe scelto: bizzarro.
Dopo aver mandato la lettera a Charlie, tornò in camera, trovando Ava e le altre due compagne di stanza sveglie. L'amica le saltò al collo, abbracciandola, intonando poi un "Happy Birthday". Più che intonando avrebbe dovuto dire: stonando.
Con le altre due non aveva mai avuto un chissà quale rapporto. Si trattava di Grace Fawley, la famosa cotta di Fred e un'altra ragazza serpeverde, che affiancava la prima ovunque, sembrava la sua ombra ed era anche piuttosto irritante. Tanto è vero che non le rivolse neanche la parola, mentre la Fawley, stranamente da come Helen si aspettasse, le regalò un sorriso accompagnato da un "Buon Compleanno".
Incredibile! Questa doveva dirla a Fred!

Appena misero piede in Sala Comune, incontrarono Logan, che vedendo Helen le si avvicinò tenendo in mano quella che sembrava una rivista. Gliela porse e lei notò che si trattasse del Settimanale delle Streghe
«Io e Ava pensavamo che forse dovresti cambiare genere di lettura, ogni tanto. Insomma basta libri noiosi della biblioteca, prova qualcosa di più...frizzantino!»
Helen sfogliò il giornale, ringraziandoli poi con un sorriso.

Mentre camminavano tra i corridoi, dirigendosi verso la Sala Grande, Logan si stava lamentando di quanto la Raylee fosse divenuta una vera zecca; gli girava sempre intorno, in cerca di attenzioni, invano.
«Quando lo capirà che mi piacciono i ragazzi?» chiese, retoricamente, alzando gli occhi al cielo.
«Forse quando non avrà più quel cervello bacato che si ritrova» rispose Helen, ridendo.
«Quindi mai, mi spiace Logan» aggiunse Ava, facendo spallucce, mentre varcavano l'ingresso della sala grande.

La colazione durò meno del previsto; avevano anticipato la lezione di Incantesimi, per cui gli studenti del sesto anno, sia Serpeverde che Tassorosso, dovettero sbrigarsi.
Proprio mentre salivano le scale a passo piuttosto svelto, Cedric Diggory, che andava nella loro stessa direzione, le si accostò.
«Ciao Helen, buon compleanno!» esclamò, rivolgendole un sorriso smagliante.
«Grazie Cedric! A breve ci sarà la prima prova, come ti senti?» chiese lei. Era curiosa di sapere cosa provasse uno dei due campioni di Hogwarts.
«Emozionato e preoccupato, in parte» rispose lui.
«Beh allora, buona fortuna!» disse infine Helen, arrivata davanti alla porta d'ingresso dell'aula.

Non aveva ancora visto nè Adeline, nè i gemelli e ciò poteva voler dire soltanto una cosa: stavano tramando tra loro.
La lezione di incantesimi terminò dopo due abbondanti ore; il professor Filius era sempre più esigente, come tutti gli altri, d'altronde.
L'anno prossimo avrebbero dovuto affrontare i M.A.G.O!
Proseguí tra i corridoi, fino ad arrivare al cortile.
Si guardò attorno più volte in cerca dei tre grifondoro, ma di loro nessuna traccia. La cosa che la insospettí maggiormente, era che all'appello mancasse anche Lee Jordan.
Che fossero stati messi in punizione per qualcosa?
Poco dopo, le si avvicinarono nuovamente i due serpeverde ed Ava propose loro di fare un salto da Mielandia. Helen accettò volentieri, avrebbe avuto modo di compare una piccola torta o qualche dolce per festeggiare.
Si strinse all'interno del cappotto, iniziava a fare davvero freddo. 
Camminarono, conversando sull'insolito comportamento di Hagrid nei confronti della direttrice di Beauxbatons, Maxime, e degli sguardi che si rivolgevano l'un l'altro.
Una volta arrivati e fatti i dovuti acquisti, il commesso li salutó, augurando poi ad Helen un buon compleanno.
Questa cosa le risultó alquanto strana e sospetta.
Come faceva il signor Flume a sapere del suo compleanno?
Appena furono usciti dal negozio, Logan propose di fare un salto ai Tre Manici di Scopa per brindare in onore della stessa Helen.
Anche questo fu per lei piuttosto ambiguo.
Poco dopo aver varcato la soglia d'ingresso, Helen fu cosparsa di coriandoli e scintille, mentre delle persone raggruppate davanti a lei iniziarono a cantarle in coro un "Happy Birthday".
Mise a fuoco i volti e notó in prima fila proprio le persone che stava, inutilmente, cercando da quella mattina: Adeline, i gemelli e Lee Jordan.
C'erano anche Ron e i suoi amici, Harry ed Hermione; notó anche la presenza di Fleur Delacour, insieme ad altre streghe e maghi francesi con cui Helen aveva stretto amicizia in quei giorni.
Non avrebbe mai associato la loro assenza ad una festa a sorpresa.
Adeline le si avvicinó sorridente con in mano una torta.
«Esprimi un desiderio!» disse, protraendo il dolce verso di lei.
Helen chiuse gli occhi.
"Vorrei non poter perdere nessuna delle persone che amo." 
Poi soffió, accompagnata da applausi e schiamazzi.

Sulla strada del ritorno a castello, i gemelli la presero in disparte, tenendo le mani dietro la schiena.
«Abbiamo due regali per te!» esclamarono all'unisono, mostrandole, poi, due pacchetti.
«Quale vuoi aprire per primo?» chiese Fred.
Helen non sapeva che aspettarsi.
Squadró le due confezioni, optando per quello di George.
Lo aprí e ne estrasse delle Cioccorane e altre gelatine di cui non aveva mai sentito parlare.
«Cioccorane perchè sono le tue preferite» inizió George «E queste sono delle Mou Mollelingua, uno scherzo di nostra invenzione, puoi usarle contro la Raylee e il suo gruppetto» spiegó lui «Sono collaudate, funzionano, le abbiamo provate su quell'antipatico del cugino di Harry!»
Helen scosse la testa, mentre scartava l'altro pacchetto, da cui, invece ne tiró fuori un calzino, da uomo presumeva, date le dimensioni del piede.
«Oh un calzino. Singolo e, per giunta da uomo. Grazie ragazzi, mi sarà molto utile.» disse lei, sarcastica.
I due si scambiarono sguardi di intesa, sorridendo sornioni.
«Oh Helen non è un semplice calzino» ribadí Fred.
«È un calzino di Charlie!» continuó George, con aria entusiasta.
«Così non sentirai mai la sua mancanza!» 
Helen rimase immobile a fissare l'indumento.
A volte si chiedeva come venissero loro queste strane idee.
«Non sono mica un elfo domestico?» ribattè lei, ridendo.
Inserí i regali in tasca, continuando il percorso di ritorno insieme ai due. Disse a Fred di Grace e dei suoi auguri di compleanno, il che fece brillare gli occhi del rosso, che inizió a raccontare loro di come le avrebbe chiesto di andare al ballo con lui.
«Ma non verrebbe mai..» costató lei.
«Tentar non nuoce!» esclamó lui in tutta risposta, mentre George continuava a scuotere il capo.

La giornata si concluse nel più strambo dei modi. Una volta entrata nella propria camera, trovó sul proprio letto un centinaio di rose rosse e blu.
Il suo cuore inizió ad accelerare: che fosse un regalo di Charlie?
Frugó tra i mazzi in cerca del biglietto, lo trovó.
"Rose rosse, rose blu, il mio cuore batte forte quando ci sei tu! 
-Il tuo, Lee Jordan."

Helen sospiró, portando una mano alla fronte.
Doveva aspettarselo.

 

Piccolo Angolo Autrice:
Helen è nata l'11 novembre che, udite udite, coincide con la data di nascita di una di noi (Ross), ergo è una Scorpione ♏️ (immaginate il caratterino) 😜

 

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Capitolo 41
*** Capitolo 37 - Draghi ***


Era un freddo pomeriggio di Novembre, quando gli studenti si riversarono verso il parco, dove era stata allestita un'arena per la prima prova.

Tutti erano ansiosi di scoprire cosa i campioni avrebbero dovuto affrontare, e qualcosa disse ad Helen che la risposta si celava dietro alle grosse tende variopinte che si scorgevano il lontananza.

Avvertiva una forte tensione allo stomaco, dal momento che anche Cedric fosse in gara.

Solo dopo che ebbe preso posto, aguzzó la vista.

L'arena era costituita da suolo roccioso, chissá quanto tempo ci avevano messo ad allestirla.

I campioni si trovavano in una delle tende, impegnati a scoprire quale fosse il loro destino.

Helen avanzó delle ipotesi: forse era una prova di volo, un combattimento, forse dovevano dimostrare di saper adoperare correttamente gli incantesimi.

Qualche istante dopo, Bagman uscì dalla tenda, prendendo posto laddove fosse stato più adatto a fare la telecronaca. I gemelli gli lanciarono sguardi infuocati, rancorosi per la trappola che gli aveva teso alla coppa del mondo.

Poi la folla sussultó, quando vide due uomini trascinare, fuori dalla tenda più grossa, un drago, e assicurarlo con delle catene.

DRAGHI? Era questa la prova?

Il suo stomaco si contorse.

Si scambió uno sguardo con Adeline, preoccupata quanto lei, e poi con i gemelli, estasiati.

Helen riconobbe si trattasse di un Grugnocorto Svedese, ne aveva lette abbastanza sui draghi; immancabilmente il suo pensiero fu Charlie. 

Chissá da dove fossero provenissero quelle creature, se non proprio dalla Romania.

Qualche istante dopo, la gara era iniziata.

Bagman ruggì il nome di Cedric, che usciva dalla tenda, più determinato che mai, sebbene la sua espressione lo tradisse, poiché appariva pallido e sembrava in punto di svenire. Gli occhi della folla trottarono dal ragazzo a ció che avrebbe affrontato, poi ci fu un gran fracasso, tra applausi di incoraggiamento, urla, fischi. La folla sembrava essere divenuta una sola entità.

Helen trattenne il fiato per quindici minuti esatti, il tempo che Cedric impiegó a sottrarre al drago un bell'uovo d'oro. Tiró un sospiro di sollievo quando lo vide uscire dal campo; aveva azzardato, trasformando una pietra in cane, per distrarre il drago: un grande rischio, ma ne era uscito con qualche bruciatura soltanto.

Krum sfidó un Petardo Cinese, Fleur, che fu molto coraggiosa, un Gallese Verde.

Il peggio toccó al giovane Potter, che ebbe a che vedersela con un Ungaro Spinato che avrebbe voluto abbrustolirlo volentieri.

Quando la prova fu finita, tutti esplosero in applausi fragorosi. Poi attesero l'attribuzione dei punteggi.

Helen ora si era calmata, e in compagnia dei suoi amici si accinse a scendere dalle gradinate.

I gemelli commentavano la prova ancora emozionati, ripercorrendo le azioni di Harry, che aveva richiamato la sua lucente firebolt con un incantesimo di appello.

«Harry è stato fantastico, ma quel drago con me non avrebbe avuto scampo» proferì George, dandosi delle arie.

Adeline, invece, accennó al coraggio di Fleur, unica concorrente donna in gara.

Mentre risalivano per il castello, Adeline si guardó indietro, verso l'arena, aguzzando la vista.

«Ragazzi, scusatemi un secondo, credo di aver lasciato una cosa sulle gradinate» fece la mora, precipitandosi di corsa verso il luogo appena lasciato.

Helen scrollò le spalle, mentre i gemelli si guardarono interrogandosi a vicenda.

 

Adeline si era precipitata di corsa in discesa, senza pensare bene a cosa stesse facendo. Con la sua vista acuta, le era parso di scorgere un volto fin troppo familiare. Il cuore le era quasi esploso in petto.

Draghi. Qualcuno doveva averli portati, ed il volto che aveva visto le sembrava centrare quel contesto.

Non appena fu tornata lì, scontrandosi con una calca di studenti che prendevano la direzione opposta, si diresse verso la tenda più grande, non curandosi che non fosse il suo posto, o che potessero esserci limitazioni.

Quando ebbe scostato da parte il tessuto, e fu entrata, non potè credere ai propri occhi.

Jacob Clark.

Non disse nulla, inspiró forte per la sorpresa, lanciandosi di corsa verso il ragazzo, che non appena la vide, assunse un'espressione stranita.

La ragazza gli si lanció tra le braccia, e lui ricambió quella stretta, prendendole il viso tra le mani.

«Jacob!» esclamó sorpresa. Lui le fece segno di abbassare la voce.

«Cosa ci fai qui? E perché tua sorella non ne sapeva niente?»

«Il nostro superiore ci ha raccomandato di mantenere massima segretezza riguardo alla prova» spiegó lui.

«Io...sono felice di vederti» ammise la ragazza, arrossendo.

Jacob le sorrise, sfiorandole la guancia con il pollice.

«Anche io, ma non devi dirlo a nessuno, ti prego» 

«Non posso nascondere questa cosa ad Helen, Jacob» disse lei secca.

Non avrebbe mai potuto mentire alla sua migliore amica; dal momento che la prima prova era andata non c'era bisogno di mantenere il segreto.

Jacob alzó gli occhi al cielo.

«Sai essere fastidiosa» proferì lui, tirandola tra le sue braccia.

«Vieni al castello, lei sará felice di vederti» sussurrò al suo orecchio. Jacob non se lo fece ripetere, si fece condurre per mano su per la collina.

 

 

Helen si era seduta in sala grande, in attesa che Adeline fosse di ritorno. Guardando verso la grande porta, peró, non vide solo la sua amica, ma anche qualcuno di inaspettato, che la costrinse a strofinarsi gli occhi per accertarsi che non fosse una disillusione.

Si precipitò verso Jacob, incredula, attonita.

«Sorellina!» la salutó, stampandole un bacio sulla fronte.

Helen sapeva che ci fosse qualcuno dietro quei draghi, e vedere suo fratello lì ebbe un qualcosa di rassicurante, rispetto a tutto ció che stava accadendo all'esterno.

Nel frattempo il professor Moody passó accanto a loro, guardandoli con quell'inquietante occhio roteante. Jacob guardó lo guardó con un'espressione disgustata alquanto.

«Chi è quello?» sussurró alle due.

«Il professor Moody, ci insegna difesa contro le arti oscure» gli rispose Helen.

«Non me la conta giusta...» proferì, guardando nella direzione dell'uomo, che barcollava, a causa della gamba artificiale.

«Allora, imbecille, perché non dire nulla alla tua sorellina?», Helen gli tiró un pugno sulla spalla.

«Beh vedi, io e Charlie...».

Ma prima che suo fratello avesse potuto completare quella frase, favorendo una spiegazione, Helen parve pietrificarsi.

«Charlie? C'è anche lui?» domandó, con tono di collera. Jacob annuì piano.

«Tu ne sapevi qualcosa?» si rivolse ad Adeline, che al contrario di suo fratello, scosse la testa.

Serró i pugni.

Lui era lì, a pochi passi da lei, e non le aveva detto nulla?

E allora quelle parole che le aveva scritto? La mancanza? Tutte bugie.

Uscì dalla sala grande con passi insistenti, tali che avrebbero potuto essere uditi dai sotterranei. 

Sapeva dove andare.

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Capitolo 42
*** Capitolo 38 - Irritazione ***


Helen stava avanzando a grandi falcate lungo la discesa che portava alla casa di Hagrid. Sapeva che lo avrebbe trovato lì.

Teneva le braccia rigide lungo il corpo e i pugni serrati. Non avrebbe permesso a nessuno di prenderla in giro.

"Prima dice di pensarmi e poi arriva ad Hogwarts, senza dire nulla!" disse tra sé e sé.

Era arrabbiata, delusa.

Si mordeva forte le labbra.

"Ho dovuto sapere di lui da Jacob!" 

Il solo pensiero che il fratello avesse trovato un momento, un solo piccolo momento per andare a salutare Adeline, la faceva imbestialire.

Certamente non si riteneva una di quelle ragazze particolarmente noiose o oppressive, ma non aveva bisogno di parole aleatorie. Non necessitava affatto di sentirsi dire di mancare a qualcuno, se poi quel qualcuno, non appena si presentasse l'occasione, non corresse da lei.

Non significava essere pretenziosi, significava, semplicemente, supportare le parole con i fatti.

Arrivata alla casa del Mezzogigante, inizió a battere, forse con troppa forza, i pugni sulla porta.

Sentì dei passi all'interno, per cui decise di farsi un po' più indietro, incrociando le braccia al petto.

Hagrid aprì. Lo vide leggermente spaventato, evidentemente la potenza con cui aveva bussato, aveva trasmesso una certa urgenza.

«Oh ciao Helen!» la salutó con un grande sorriso, rilassando i muscoli tesi.

Non si era mossa di un millimetro, nè tantomeno aveva cambiato posizione.

«Ciao Hagrid» rispose, secca.

«Ti va un té? È successo qualc-»

«Dov'è?» lo interruppe subito lei, corrugando la fronte ancora di più.

La guardava perplessa.

Stava per ribattere, quando lo vide alle spalle di Hagrid, dirigersi verso l'ingresso.

Helen si attizzò subito, puntando ancora più i piedi a terra.

«Oh ciao Charlie, ci sei anche tu? Che sorpresa!» disse con finto stupore.

«Vediamo un po', quand'è che saresti arrivato, sentiamo. Tipo una settimana fa?» continuò, mantenendo lo stesso tono.

Lasciava trasparire tutta la sua irritazione.

Vide Hagrid scansarsi, permettendole di fulminare meglio, con lo sguardo, Charlie, il quale sembrava essere stato colpito da un incantesimo Confundus.

Faceva il finto tonto, ma lei non avrebbe abboccato.

«R-ragazzi mi sono appena ricordato di dover assolutamente...dare da mangiare ai Porlock!» 

Hagrid sembró aver percepito la tensione nell'aria e fece per andarsene, ma prima si rivolse a Charlie, abbassando leggermente il tono della voce.

«Psss Charlie, sembra più pericolosa di un drago!» sussurrò, portandosi una mano all'altezza della bocca.

Helen fece un colpo di tosse, non distogliendo gli occhi dal rosso.

«S-si...certo! I Porlock mi aspettano.» 

Detto ciò sgattaiolò via, più veloce di quanto Helen avesse creduto, urtando brutalmente le pentole appese al soffitto.

Charlie avanzò nella sua direzione, mentre lei continuava a restare ferma con le braccia incrociate.

«Hel-»

Lei si mosse di scattó, puntandogli un dito contro, con far minaccioso.

«Oh no, tu ora mi ascolti» esordí a denti stretti.

«Lasciami almeno spieg-» provò a dire lui, ma invano, perchè lei lo bloccò nuovamente.

«Ora parlo io», lo vide sorridere. «E non c'è niente da ridere, Charlie.»

Fece alcuni passi verso di lui, che, invece indietreggiò leggermente.

«Quando avevi intenzione di dirmi che eri qui? Fra tipo, non so, un mese?» vide che stava provando a ribattere, ma non glielo permise, zittendolo con un gesto della mano.

«Ho dovuto sapere da Jacob che ci fossi anche tu. E poi, per Salazar, Charlie!» fece una breve pausa, ispirando, come a calmarsi, per poi riprendere «Mi scrivi 'ti penso', 'mi manchi'» pronunció quelle frasi imitando la sua voce, in modo derisorio. «E poi sei qui, Merlino, Charlie, sei ad Hogwarts, e non me lo dici?!»

Aveva alzato di poco la voce nel pronunciare l'ultima parte, mentre sentiva gli occhi riempirsi di lacrime.

Era ferita, delusa, arrabbiata.

Cercó di trattenerle, non poteva piangere davanti a lui, anzi, non poteva piangere per lui, per nessun ragazzo lo avrebbe fatto, mai.

Era furiosa, continuava a fissarlo con occhi che avrebbero lanciato un Incendio, se avessero potuto.

Le sembrava un pretesto stupido per litigare, ma non sapeva perché la ferisse tanto. Era così? Il sentimento, tenerci a qualcuno, era davvero così?

«Posso spiegare?» chiese Charlie.

Lei annuí, era proprio curiosa di sapere cosa avesse da dire in sua discolpa.

«Ci è stato ordinato di non dire nulla, fino al termine della prima prova. Gli studenti non avrebbero dovuto sapere dei draghi» disse con un tono piuttosto calmo.

Questo destabilizzó Helen, come se lui avesse penetrato i molteplici scudi difensivi che lei stessa aveva issato.

«Se non mi credi-»

«No, ti credo» disse semplicemente lei, rivolgendo lo sguardo altrove.

Tentennava.

Aveva forse tratto troppo presto delle conclusioni?

Poi notó che, in realtà, la prima sfida fosse terminata da un bel po', ore addirittura.

Era infastidita, di nuovo.

Chi voleva prendere in giro?

Si voltó verso di lui, ghiacciandolo con lo sguardo.

«Sono trascorse ore» puntualizzó Helen, alzando in mento.

«Si è vero» affermó il dragonologista.

Si è vero? Ma che Salazar di risposta era? 

Sentì un senso di rabbia montarle in petto, rumorosa, prepotente, avrebbe potuto sputare fuoco, se solo fosse stata un drago.

«E quindi?» lo incitò lei.

«E quindi cosa Helen? Che devo dirti?» domandò lui, agitandosi.

Helen sentí una lacrima tornare a riaffiorare nei propri occhi, ma questa volta non riuscí ad impedirle di ricadere, solcandole il viso.

Se l'asciugò velocemente.

«Niente» rispose lei, mordendosi leggermente le labbra, cupa in volto.

Charlie, che nel frattempo, si era allontanato da lei, riprese a parlare.

«Avevo delle cose da fare Helen, io sto lavorando» disse poi il rosso, gesticolando.

«Ma se eri da Hagrid!» sbraitò lei, indicando, con un gesto della mano, il posto su cui prima era seduto lui.

Era al limite.

«Si ero da Hagrid, perchè stavamo discutendo di una questione legata alla collocazione dei draghi, Helen!» protestò Charlie, allargando le braccia in modo plateale.

Una questione.

Una stupida questione non gli aveva permesso di trovare un minuto, un solo minuto per strapparle un bacio, una stretta, una parola.

«Ma Jacob...»

Le parole le morirono in gola, mentre stringendo i pugni, un'altra lacrima le rigò una guancia.

«Ma Jacob cosa Helen? Io sono a capo di questo gruppo, ho una certa responsabilità, più cose di cui preoccuparmi. Se qualcosa andasse storto, sarei io a pagarne le conseguenze. Capisci?» sbuffò sonoramente, portandosi una mano tra i capelli, poi tornò a rivolgersi a lei.

«Mi vuoi ad Azkaban?» domandò in modo retorico, puntando i suoi occhi in direzione di Helen.

«No» rispose lei, semplicemente.

«Bene, allora?»

Allora cosa, allora lasciami in pace? Era questo che intendeva, che voleva?

Si guardò attorno disorientata.

Aveva superato il limite.

Forse avrebbe dovuto finire li' la questione, facendo finta che nulla fosse successo.

Si, avrebbe dovuto, tuttavia non lo fece, perché il suo orgoglio prese il sopravvento. 

Si sentiva...messa da parte, ferita.

«Bene» ribattè, infine, lei.

Girò le spalle al ragazzo, percorrendo la strada del ritorno, non permettendogli di ribattere.

Un peso le gravava sulla gabbia toracica.

O semplicemente voglia di fargliela pagare.

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Capitolo 43
*** Capitolo 39 - Risentimento ***


Charlie stava mettendo in sicurezza la zona attorno ai draghi, insieme a Jacob e gli altri due dragonologisti. Sarebbero partiti il giorno seguente, poco dopo l'alba.

Un anno prima, in occasione delle stesse vacanze di Natale aveva rivisto Helen.

Era arrivata la Vigilia e gli faceva davvero uno strano effetto passarla ad Hogwarts, dopo tutti quegli anni. Un senso di nostalgia gli pervase la mente; successivamente al diploma la sua vita si era complicata abbastanza: il lavoro, per quanto fantastico fosse, era diverso, più faticoso, meno protetto.

Quella scuola era per lui una seconda casa, così come lo fosse stata per tutti i maghi prima di lui e lo sarebbe stata per quelli dopo.

Un luogo sicuro.

Quella sera si sarebbe tenuto al castello il famoso Ballo del Ceppo. Ricordava benissimo l'anno in cui aveva partecipato lui stesso ad un ballo al castello, sembravano essere passati secoli da allora. Ci andó con Nymphadora Tonks, sua grandissima amica, ora auror. In realtà glielo chiese lei, nessuno desiderava presentarsi con la Metamorfomagus, perchè etichettata come una delle ragazze meno femminili, più goffe e sbadate dell'intera scuola, tuttavia Charlie le voleva bene, ritenendola, da sempre, una delle donne più in gamba che avesse mai conosciuto.

 

La signora Weasley, aveva mandato dei vestiti eleganti a tutti i suoi figli, persino a lui, venuta a sapere che si trovasse ad Hogwarts e che fosse stato invitato, insieme ai suoi colleghi, a prendere parte al Ballo del Ceppo. Non avrebbe, ovviamente, potuto invitare nessuno studente; erano lí in veste di ospiti e avrebbero preso posto al tavolo dei professeri, come magizoologi professionisti.

"Charlie Weasley, un esperto dragonologista."

Percepì il petto riempirsi di fierezza, suonava davvero bene!

Indossó i pantaloni eleganti e la camicia, che, d'altronde fece un po' fatica ad abbottonare, forse perché doveva essere appartenuta a Bill o al padre, i quali avevano un torace più piccolo rispetto al suo.

C'era anche un cappotto, un po' vecchio, ma, tutto sommato, non male.

Si specchió, sistemando con le mani le pieghe del pantalone. 

Stette a guardarsi per qualche secondo di troppo; era da tanto che non indossava qualcosa che non fosse la sua divisa, o meglio, che fosse qualcosa di elegante.

Si sentiva un po' a disagio, un pezzo di legno, non essendo in grado di muoversi con una certa disinvoltura.

«Non ti riconosco amico mio!» rise Jacob, che, come lui, tutto agghindato e pronto per il ballo.

«Nemmeno io» rispose lui, sinceramente.

"Merlino mandamela buona" pensó tra se.

Sperava solo di non fare brutte figure.

 

La Sala Grande era gremita di studenti, non solo inglesi; c'erano i francesi di Beauxbatons e i bulgari dell'Istituto Durmstrang. Tra quest'ultimi Charlie notó il famoso Cacciatore della nazionale: Viktor Krum. 

Desiderava scambiare due chiacchiere con lui, appena ne avrebbe avuto l'occasione.

Si guardava intorno, notando Fred e George con le corrispettive dame, poi Ginny e, infine, Adeline, accompagnata da un ragazzo che Charlie riconobbe come Lee Jordan, l'amico dei gemelli.

Mancava Helen. Per quanto si sforzasse di cercarla con lo sguardo, non riusciva a trovarla.

Dopo un abbondante banchetto, le danze vennero aperte dai quattro vincitori in gara. Harry Potter ballava con una ragazza indiana, Cedric Diggory con una ragazza asiatica. Notò anche che Viktor Kruim danzava, invece, con Hermione Granger, sotto lo sguardo accigliato di Ron. Quella scena lo fece sorridere: cacciarsi in particolari situazioni, specialmente con le ragazze, doveva essere una specialità dei Weasley.

Ripensò ad Helen e al suo sguardo carico di rabbia, la stessa che le aveva fatto versare delle lacrime. Charlie le aveva notate, nonostante lei avesse cercato di nasconderle.

Avrebbe dovuto parlarle, dirle che non era sua intenzione urtarla a tal punto, se solo l'avesse trovata.

Poi ad un tratto la vide tra le tante coppie che si muovevano a passo di danza, proprio davanti a lui.

Era con un ragazzo che lui non aveva mai visto. Si soffermò a guardare, prima, la mano con cui lui la cingeva, poi il modo in cui la guardava, di come lei ridesse e sembrasse a proprio agio, avvinghiata a quel mago.

Sentí un senso di fastidio, misto a rabbia, impossessarsi di lui, in petto.

Si focalizzò poi sulla figura di lei, snella, avvolta in un vestito, che le lasciava scoperte le spalle e parte della schiena, di un verde smeraldo che risaltava il colore dei suoi occhi e il biondo dei suoi capelli, i quali erano quasi tutti raccolti, tranne alcune ciocche che le ricadevano sul viso, contornandone le dolci linee.

La gonna dell'abito era lunga, fino al pavimento e, quando il ragazzo la fece girare su se' stessa, Charlie notó che avesse uno spacco, il quale scopriva quasi l'intera gamba destra.

Era bellissima, tanto da lasciarlo immobile, a bocca aperta, a fissarla; aveva quasi dimenticato la presenza del partner della bionda, che continuava ad attrarla a se' ad ogni passo.

Era tentato di raggiungerli e chiedere cortesemente a quel mago di allontanarsi e lasciarla ballare con lui.

E lo avrebbe fatto, se non si fossero avvicinati i propri colleghi, intraprendendo una conversazione che Charlie non riuscí proprio a seguire, troppo concentrato a pensare a cosa avrebbe potuto fare quel ragazzo se lui non fosse intervenuto.

"E se prova a baciarla? O peggio..."

Scacciò via i pensieri. Impossibile, Helen non lo avrebbe permesso.

Ad un certo punto, si avvicinarono loro anche i gemelli ed Adeline, la quale, scoccò un bacio sulla guancia di Jacob, che le cinse la vita, tirandola accanto a se'.

Di Helen, nessuna traccia.

«Mia sorella?» chiese poi Jacob, reggendo un bicchiere.

Charlie si voltò verso di lui, attendendo una risposta di Adeline, la quale, prima di parlare, lo guardò tentennante.

Questa cosa spaventò un po' Charlie.

«L-lei è, credo, con quelli di Beauxbatons» 

La prima reazione del rosso fu cercarla con lo sguardo tra il gruppo di maghi e streghe francesi, collocati nella zona opposta della Sala Grande.

La vide brindare sorridente con il ragazzo del ballo, il quale si chinò all'altezza dell'orecchio di lei, sussurrandole qualcosa, alla quale Helen rise di cuore.

Charlie inziò a sentire davvero molto caldo, tanto da allentare il nodo della cravatta, che sembrava volerlo soffocare.

Continuava a fissarla, mentre lei non osava rivolgere, neanche per sbaglio, lo sguardo nella loro direzione.

Lo stava ignorando.

Improvvisamente un'idea fece capitolino nella sua testa.

Voleva giocare? Βene! Charlie Weasley non si tirava mai indietro dinanzi ad una sfida.

Domava i draghi, lui.

Se ci teneva tanto, lo avrebbero fatto, ma ad armi pari.

Notò con la coda dell'occhio un gruppo di ragazze continuare a fissarlo e, allo stesso tempo, bisbigliare qualcosa tra di loro; tra queste, ne riconobbe una: Erika.

Era la ragazza con cui Helen aveva discusso il giorno in cui lui si era recato ad Hogwarts per la lezione sui draghi.

Le si avvicinò, offrendole un bicchiere di champagne.

«Tu sei Erika» disse, sorridendole.

«E tu sei il dragonologista, Charlie Weasley» rispose lei, prendo il bicchiere dalle sue mani e studiandolo con sguardo ammiccante.

La invitò a ballare, cercando di avvicinarsi al posto in cui era Helen, in modo tale che lo vedesse.

Funzionò.

Non appena il rosso attirò a sé la Raylee, la bionda si voltò, mutando la sua espressione in un attimo e sgranando gli occhi.

Charlie avvicinò, ancora di più, a sè la ragazza, abbozzando un sorriso, che, in realtà, era più di soddisfazione.

Avrebbe potuto dire che per poco Helen non si fosse fatta cadere il bicchiere da mano, tanto dello stupore.

La vide irrigidirsi e serrare i pugni.

Era furiosa.

Era riuscito nel suo intento, ora avrebbe capito cosa avesse voluto dire provare a farlo ingelosire.

Sí, ingelosire, perchè Charlie Weasley era geloso di lei.

Lo era, se un mago sconosciuto la teneva stretta a se', le sorrideva sornione e, soprattutto, posava le sue luride mani dove non doveva.

Continuò a danzare con Erika, che, nel frattempo gli stava parlando di qualcosa, che Charlie, nuovamente, non ascoltò, troppo preso da Helen e dalle sue reazioni.

Avrebbe scommesso cento galeoni che la Clark, orgogliosa com'era, avesse trascinato il francese in pista, continuando lo loro muta battaglia. Invece, la vide scusarsi con il resto del gruppo e allontanarsi a grandi falcate, sebbene i tacchi la rallentassero.

Charlie agí d'istinto: lasciò Erika, scusandosi a sua volta, e la seguí, zigzagando tra la folla.

Senza di lei, tutto quello non avrebbe avuto senso.

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Capitolo 44
*** Capitolo 40 - Sentimenti ***


Aveva le lacrime che le scendevano incontrollate, rigandole le guance. Nonostante lei cercasse di asciugarle con il dorso della mano, continuavano a straripare dai suoi occhi gonfi, come fossero fiumi in piena.
Charlie aveva invitato a ballare Erika Raylee, la persona che Helen più detestava, la stessa che, ogni qualvolta ne trovasse l'occasione, trasformava i suoi giorni ad Hogwarts in un inferno.
Ora era avvinghiata a lui, gli sorrideva e, cosa peggiore, lui ricambiava, le permetteva di guardarlo in quel modo, di desiderarlo.
Aveva avvertito il cuore spezzarsi in mille piccoli frammenti; aveva sentito una fitta allo stomaco, come se qualcuno le avesse appena sferrato un pugno, percependo subito una sensazione di nausea crescere sempre di più.
Lei non era mai stata così, non piangeva per i brutti voti e quelle cose lì, ma poteva un sentimento ridurla allo stremo? Sì.
Corse via dalla Sala Grande, non guardandosi indietro, trattenendo il fiato in cerca di un po' d'aria che le riempisse i polmoni, sentiva il respiro mancarle.
Si riversó nei corridoi, continuando la sua folle avanzata, rallentata dai tacchi.
Inizió a sentire un dolore a livello delle caviglie, estendersi fino ai talloni, pertanto, decise di fermarsi per sfilare le scarpe, appoggiandosi ad un muro, in modo da non cadere.
Le gambe sembravano non reggerla più, come se volessero abbandonarsi, crollare.
Proprio mentre era di spalle, sentí il rumore di alcuni passi e sperò non fossero quelli del signor Gazza o, peggio, del professor Piton.
«Helen».
Una voce, molto più simile a un sussurro,  sembró trapassarle il petto con la stessa forza di un coltello affilato.
Restó ferma per qualche secondo prima di voltarsi. Non avrebbe mostrato a lui le sue debolezze, non avrebbe permesso a nessuno di prendersi gioco di lei.
Lo vide a pochi metri di distanza; sembrava avesse corso, perché aveva un leggero fiatone, la cravatta totalmente slacciata e la camicia leggermente sbottonata.
Era agitato.
Helen mantenne, invece, una certa compostezza, incrociando le braccia al petto, mentre con la mano sinistra reggeva le proprie scarpe, notando che, senza di esse, aveva perso qualche centimetro di troppo.
Era a piedi nudi, ma non le importava. 
«Oh Charlie, ma che ci fai qui? Corri, la tua dama potrebbe sentire la tua mancanza»
Aveva assunto un tono ironico e pungente.
Helen Clark non era affatto una biscia, come tanto amava ricordarle la Raylee; Helen Clark era una serpe, con del veleno vero,  in grado di utilizzarlo nei momenti ritenuti opportuni.
E questo era uno di quelli, doveva difendersi, doveva attaccare, per proteggersi.
«Anche il tuo bell'accompagnatore francese» ribattè subito lui.
Lo aveva notato e aveva deciso di fare la medesima cosa, cercando di farla ingelosire con Erika.
Peccato per lui che avesse sbagliato la scelta della dama, perché quella, più che farla ingelosire, l'aveva irritata, nauseata, parecchio.
Lo vide avvicinarsi, tuttavia non si mosse di un millimetro, era stanca di scappare, allontanarsi, lo avrebbe affrontato e se lui avesse continuato con quei suoi atteggiamenti, beh, avrebbe finito lí qualsiasi cosa loro avessero cominciato.
O almeno questo credeva, ma ne era spaventata.
Helen era abituata, allenata, al dolore, ci aveva convissuto per molti anni, sapeva cosa significasse sentirsi il mondo cadere addosso, sapeva come affrontare lo sconforto.
Dopo la morte di sua madre, niente l'aveva più toccata, scalfita.
Tranne lui. Charlie Weasley aveva fatto breccia nelle sue difese, aveva fatto irruzione prima nella sua testa, poi nel cuore.
Ora si sentiva delusa, ferita dall'unica persona a cui lei avesse permesso di entrare, a cui lei, infondo avesse teso una mano, aiutandolo a sorpassare le mura che da molto tempo la difendevano.
Il motivo per cui lei glielo avesse permesso non le era ancora chiaro; era stufa di nascondersi, di aver paura di esporsi, di aver paura di soffrire ancora, annegando nuovamente in quel mare che si portava dentro.
Ma lui era riuscito a stare a galla, lui non era affondato in quel mare, non aveva indietreggiato alla vista delle onde.
E ora...era pentita, perchè pensava che forse, sarebbe stato meglio non farlo accedere, non fargli attraversare le porte del suo cuore, chiuderle con un dannato incantesimo, ergere fortificazioni su fortificazioni, salvaguardare quel poco della propria anima che le restava, marcia.
Le lacrime sembravano non voler sentire ragioni, ricominciando a solcarle il viso. Non cercava neanche più di fermarle, non ci sarebbe comunque riuscita.
Charlie era a pochi centimetri da lei, non proferiva parola, solamente, la guardava.
Poi con la punta del pollice le asciugó una goccia salata, riversatasi sul volto.
Fu un tocco leggero, delicato.
«Helen non piangere»
Lo disse con una tale dolcezza, che la fece rabbrividire.
Bastava poco, davvero poco per toccare con un dito, per vedere, colpire, quel punto vulnerabile che tanto voleva celare, che tanto voleva riparare dalle intemperie che imperversavano la sua vita, da sempre.
Aveva la bocca pastosa e mille cose che desiderava dirgli, ma riuscí solo a pronunciare una frase.
«Mi sono innamorata di te» glielo confessò con un filo di voce. «Sono innamorata di te, ma davvero. Con te io mi comporto in un modo che non mi appartiene, non sono logica, razionale, come mio solito, mi faccio manipolare come un burattino dalle mie emozioni, dai miei sentimenti, dalle cose che provo per te e, per Salazar, Charlie, io non lo so cosa siano!» si fermò un attimo, notando il ragazzo abbozzare un sorriso. «Mi riempi Charlie, tu mi riempi di mille cose; mi sembra di guardare, per la prima volta, il mondo che mi circonda a colori, un mondo che per me è sempre stato in bianco e nero.»
Le lacrime non smettevano la loro impervida corsa verso il basso, ma a lei non importava, perché venivano dal cuore; era rimasta nuda di tutte le sue difese e a coprirla, solo quell'elegante abito verde. 
"Dobbiamo essere nudi dinanzi al vero amore" le parole della Cooman le rimbombarono tra le tempie.
Gli prese il volto tra le mani senza che lui riuscisse a formulare una qualche risposta e lo baciò, intensamente, come ad accertarsi che lui fosse lì davvero, come spaventata che potesse andarsene da un momento all'altro, fuggire, lasciarla lì, a combattere contro la tempesta che lei stessa aveva scatenato.
Si staccò, appoggiando la fronte su quella di Charlie, il quale aveva posato le proprie mani su quelle di Helen, accarezzandole, baciandole dolcemente.
«Charlie, non ferirmi, non più di quanto abbia fatto la vita. Illogicamente ti ho fatto oltrepassare le difese che ho eretto, minuziosa, in tutti questi anni, attorno al mio cuore e credo di aver sbagliato..» sospiró, come a riprendere fiato, aveva pronunciato quelle frasi troppo velocemente «Ma ti prego, sii lo sbaglio giusto, sii quello più ragionevole che io possa fare.»
Charlie la strinse forte, azzerando, nuovamente, le distanze tra le loro labbra. Non era un bacio normale, in questo Helen percepì qualcosa di forte, di vivo: amore.
Ma cos'era l'amore? Helen non lo sapeva, eppure giurò di averlo sentito.
Avvertì sicurezza, protezione, dolcezza.
Lui separò per un attimo la sua bocca da quella della ragazza.
«Non posso immaginare cosa tu abbia passato o provato in questi anni, ma una cosa la so, Helen, che legarmi a te è la cosa più sensata, più bella, che io abbia mai fatto. Credimi. E non ti faccio promesse che non posso mantenere, come il non deluderti, ritengo sia inevitabile, ma ti prego, Helen Clark, permettimi di provarci; permettimi di starti vicino, non allontanarmi, non respingermi. Permettimi di amarti.»
Helen piangeva ancora, ma non di tristezza. 
Un grosso sorriso le si allargò in volto. Un sorriso che fu beato delle labbra del rosso, come un meccanismo chiave-serratura. 
Continuava a baciarlo, in apnea, non riusciva a credere che tutto quello fosse vero. Desiderava donarsi completamente a quell'amore, provare cose mai provate prima, voleva lui, lui e solamente lui. Avrebbe continuato ad intrecciare le loro lingue per ore, quando udì dei passi farsi sempre più vicini. Riconobbe le voci: il signor Gazza e il professor Piton.
«Dannazione, se ci vedono, è la fine: mi espelleranno dalla scuola» disse allarmata.
Afferrò il polso di Charlie, inducendolo a seguirla. 
Il suono dei passi si faceva vicino, sempre di più.
Estrasse la bacchetta, pronunciando un'Alohomora, aprendo la porta della prima stanza che le si presentò. Sentiva il cuore battere all'impazzata, il respiro affannato. Non si accorse subito di dove fossero entrati, poi si guardò attorno, focalizzando. 
Era l'aula di Divinazione.




 

Piccolo Avviso: 

Ci scusiamo per l'inconveniente, ma per sbaglio abbiamo dimenticato di pubblicare un capitolo, il 36. Abbiamo appena rimediato all'errore, se volete leggerlo ora è presente.

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Capitolo 45
*** Capitolo 41 - Unione ***


Charlie non aveva compreso da subito dove lei lo avesse trascinato, la vide semplicemente aprire una stanza, entrandoci di scatto. Stava respirando affannosamente e sembrava allarmata.

«Hel-» 

Gli fece segno con il dito di tacere, avvicinandosi alla porta e poggiando un orecchio su di essa.

Lui si guardó attorno. Riconobbe l'aula tappezzata di cuscini e drappi porpora, come quella in cui  la professoressa Cooman svolgeva le proprie lezioni di divinazione.

Helen stette immobile per qualche secondo, poi emanó un sospiro di sollievo.

«Scampato pericolo» sussurró allegra, riavvicinandosi a lui.

Quella ragazza aveva aperto il suo cuore a lui, a Charlie Weasley e lui si sentiva in dovere di proteggerlo, di proteggerla.

Ammiró la sua bellezza, di come quel vestito le risaltasse ogni punto del corpo, ogni sinuosità .

Percepiva un desiderio crescergli dentro, proprio come la mattina della partita, ma questa volta era diverso, non voleva approfittare di un momento di debolezza, di fragilitá della stessa ragazza.

Helen gli si avvicinó, poggiandogli le mani sul petto, alzandosi leggermente in punte, in modo tale da far congiungere le loro labbra. Il contatto con lei, gli provocava sempre un formicolio a livello del basso ventre. La bionda approfondì il bacio, intrecciando le loro lingue, premendo contro il suo torace. Non sapeva per quanto avesse potuto reprimere i propri istinti, la brama di lei sembrava più forte del proprio autocontrollo.

Sicuramente Helen non stava contribuendo a ció, soprattutto quando lo spinse a indietreggiare fino ad una delle panche presenti nell'aula. Le mani di lei tracciarono un percorso in discesa a partire dal petto fino alla cintura, sfiorando leggermente il cavallo dei pantaloni.

«Helen» disse staccandosi dal bacio. «Cosa stai facendo?» 

Lei sorrise, ricominciando a baciarlo lentamente; Charlie era sicuro di aver visto una vena di malizia in quel suo gesto. Tuttavia, cercó in tutti i modi di contenersi, nonostante sentisse la sua virilità iniziare a premere all'interno dei pantaloni eleganti.

Sentiva caldo, poi freddo, probabilmente stava sudando.

Prese a baciarle il collo, lentamente, mentre lei gli afferrava i capelli, spingendo il proprio bacino contro quello del rosso. Il suo sguardo ricadde sulla scollatura del vestito, che sembrava essersi scomposta, lasciando ancora più scoperto il petto della ragazza, che, notó, era sprovvisto di reggiseno.

Cercó di concentrarsi altrove.

«Helen, ti avviso che non so per quanto tempo riusciró ancora a controllarmi..» le disse, con voce rauca, all'orecchio.

La vide sorridere, nuovamente.

Voleva davvero farlo impazzire.

Poi lei lo guardó intensamente, sotto la luce della luna che filtrava dai vetri colorati. Charlie notó quanto i suoi occhi fossero vispi, vogliosi.

«E allora non farlo, no? Non controllarti» rispose lei, con un tono di finta innocenza che a Charlie fece saltare anche l'ultimo neurone, che ancora provava, invano, a tenere a bada i suoi istinti.

Con un gesto della mano le sciolse i capelli, che le ricaddero sulle spalle, allacciando nuovamente, le loro labbra. 

Lei prese ad armeggiare con i bottoni della camicia, sfilandogliela e passando subito alla cintura, in modo per niente impacciato, il che sorprese Charlie.

Le tiró giú il vestito, che ricadde a terra con un piccolo tonfo, lasciandola solo con gli slip.

Si coprì istintivamente i seni, su cui ricadevano alcune ciocche bionde, con un braccio, arrosendo leggermente. 

Vedere le sue guance diventare rosse, gli fece pensare che forse stava correndo troppo, avrebbe dovuto darle il tempo necessario per sentirsi pronta a lasciarsi guardare; per questo non le disse nulla, avvicinando semplicemente, scoccandole un bacio sulle labbra, poi un altro e un altro ancora.

Poi prese il braccio della ragazza e lo portó attorno al proprio collo, facendo congiungere i loro petti nudi: il suo, segnato di cicatrici e ustioni e quello di lei, liscio e perfetto. La strinse forte a se', in modo da infonderle sicurezza.

Infine la bionda sembró riprendere il controllo della situazione, riuscendo ad aprire la lampo dei pantaloni di Charlie, tirandoli giù piano. 

Ora che era solo in intimo, la sua erezione era più che evidente, premeva per uscire.

Lui la voleva, la desiderava, la bramava, ma non solo, non era solo passione la sua, era qualcosa di più. Unione. Lui avrebbe voluto intrecciare anima e corpo con Helen.

La issó di peso, lei allacció le gambe attorno alla sua vita, poi la adagió dolcemente su uno dei divanetti dell'aula. 

Si prese un attimo per guardarla, era davvero la ragazza più bella che avesse mai visto: i suoi capelli biondi, le guance rosse, i contorni della sua bocca, dei suoi seni sodi, dei suoi fianchi. Si posizionó sopra di lei, cominciando a lasciarle una scia di baci umidi sulla sua pelle liscia, percorrendo le linee del suo collo, discendendo fino ai suoi capezzoli. La sentì sussultare leggermente al contatto con la sua lingua.

Risalì, guardandola dritta negli occhi.

«Helen sei sicura?»

 

 

«Si, Charlie» gli rispose, con una voce che non lasciava trasparire molta sicurezza. Ma lei lo era davvero, era sicura, sicura di donarsi interamente a quel ragazzo. Lo bació, lasciando le sue labbra su quelle del rosso per qualche secondo in più.

Poi gli sorrise e lui ricambió.

Quanto era bello, con quei suoi capelli scompigliati e il viso lentigginoso, con quel suo petto muscoloso, ruvido al tatto, ma vissuto. Un brivido le percorse la schiena, non appena Charlie si fermó con la scia di baci proprio nella zona del basso ventre; alzó gli occhi e incroció quelli di Helen, che annuì in segno di assenso.

Il ragazzo le sviló, allora, l'ultimo indumento che lo separava dalla propria intimitá, poggiandolo poi a terra, insieme al resto dei vestiti. 

Le accarezzó le gambe con i polpastrelli, spronandola a divaricarle e prendendo a baciarla anche lì, provocandole delle scosse di piacere, che mai, prima d'ora, Helen aveva provato.

Un gemito le scappó, aggrappandosi ai capelli di lui.

Ad un certo punto, si sollevó dal suo corpo, e sfiló anche il suo ultimo indumento. Tornó su, posizionandosi tra le sue cosce esili, intrecciando i loro occhi. Si trovava all'altezza del volto di Helen, che, intanto era rimasta immobile in quella posizione.

«Helen...» sussurró Charlie, a pochi centrimetri dal viso di lei. Sembró una preghiera.

«Charlie, sono sicura, mai stata più sicura di così» asserrì lei, scoccandogli un altro bacio.

Quello sembró essere il segnale definitivo, perchè a quel punto sentì il membro del ragazzo iniziare a spingerle dentro lentamente, come se avesse paura di farle male.

Era incredibile con quanta dolcezza lui la toccasse, baciasse, cosa che non si sarebbe mai aspettata da un dragonologista.

Sentí una fitta incredibile, infondersi per l'intero ventre, quando lui fu finalmente dentro di lei. Helen si morse le labbra con forza, cercando di reprimere un gridolino di dolore, conficcando le unghie nella schiena del ragazzo. Si sarebbero aggiunte alle cicatrici che aveva già.

«È-» fece per chiedere lui, ma fu subito interrotto dalla bionda: «La mia prima volta, si» completó la frase, sforzandosi di non mostrarsi sofferente.

Respirava piano, con le labbra schiuse.

«Vuoi che tolga, o...f-faccia qualche incantesimo per-» continuó, poi lui, con un tono preoccupato.

Helen sorrise, baciandogli la guancia e scuotendo la testa.

«No Charlie, non serve» 

Questo sembró tranquillizzarlo.

Voleva godersi ogni momento, ogni singola sensazione a pieno, sentire ogni dolore, ogni piacere, ogni cosa. 

Charlie intraprese un ritmo prima lento e poi pian piano più veloce.

Avvertiva scosse elettriche percorrerle ogni angolo del corpo, il respiro caldo e ansimante di lui sul proprio collo, i loro bacini sincronizzati in una danza di piacere. Lo teneva stretto a se', mentre i loro corpi si incastravano perfettamente, come fossero stati pezzi dello stesso puzzle.

Poi sentì una valanga di piacere esploderle nel ventre, emettendo un gemito, seguito poco dopo da Charlie, che si teneva sollevato con la forza delle braccia. Le mise una mano dietro la testa, tra i capelli che sembravano fili d'oro.

Stettero qualche secondo in quella posizione, poi lui la guardó, sorridendole e premendo un bacio sulla sua bocca.

«Ti amo Helen Clark»

L'amava? 

Helen percepì lo stomaco agitarsi e il cuore fare salti mortali nel proprio petto.

Si avvinghió al collo di lui, scoccandogli più e più baci, uno dopo l'altro.

Rise, appoggiando la propria fronte su quella del ragazzo.

«Anch'io, Charlie Weasley»

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Capitolo 46
*** Capitolo 42 - Tempesta ***


Il ballo e tutti gli eventi di quella notte magica restarono un bellissimo ricordo.

Ad Helen sembrava di aver vissuto una fiaba, era certa ne esistesse una babbana riguardante un ballo, un principe e una scarpetta di cristallo.

Ma Charlie non era un principe, e lei non era una dama che avesse bisogno di essere salvata.

Avevano bruciato insieme, consumandosi come candele, ed Helen non poteva smettere di ricordarlo.

Non c'era angolo del castello che non le riportasse alla mente il vigore, la presa, il corpo e l'anima del ragazzo.

L'anima, si, perché sentiva di averla toccata.

I suoi modi, così tenaci, eppure così delicati con lei, le tornavano alla mente in ogni momento. Al buio dei sotterranei, o alla luce del parco.

Di fronte al vero amore lei si era spogliata, in ogni modo possibile, e adesso le mancava sentirsi così vulnerabile, una contraddizione, per lei che era così temprata.

La quotidianità era tornata a gravarle addosso, noiosamente. In quegli ultimi giorni era solita sedere in cortile con Adeline, ma nessuna delle due riusciva a concentrarsi, finivano per guardare il cielo pensierose, e ricadere nelle beffe dei gemelli.

«Ah, l'amore!» rise Fred.

«Tu stai zitto, mister sbavo-dietro-a-Grace»

George rise di gusto.

«Cavolo Freddie, Helen ha proprio ragione».

Per fortuna, a infrangere quella routine asfissiante, c'era l'ansia del torneo.

Tutte e tre le scuole sfidanti erano in fervore, a volte più dei campioni stessi, ignari del loro destino.

La seconda prova era stata un crescere di attesa: si era tenuta sui fondali del lago nero, e la povera Fleur non era riuscita a portarla a termine; Helen aveva cercato di confortarla.

Le lezioni con il professor Moody, oltretutto, erano divenute, per quanto strane, molto interessanti. Aveva una specie di malsana ossessione per le maledizioni senza perdono, e aveva provato ad insegnare alla classe come resistere alla maledizione imperius.

Adeline era estasiata di avere a che fare con un ex-auror, infatti, non mancava mai di trattenersi in classe per chiedere qualcosa, ed il professor Moody l'aveva quasi presa in simpatia.

Helen cercava di apprezzarlo nel migliore dei modi, dal momento che la difesa contro le arti oscure fosse fondamentale per diventare spezzaincantesimi.

«Quella roba che beve, non me la conta giusta» proferì Helen, affiancando Adeline in corridoio.

«Paranoica come Jacob! Ogni volta che mi scrive una lettera, mi raccomanda di tenermi lontana da Moody» sospiró l'amica.

 

A parte le verifiche, lo studio e le ansiogene prove del torneo tremaghi, quell'anno sembró volare.

Helen si disse soddisfatta per le cose apprese, e ogni giorno più consapevole di dove il suo futuro l'avesse condotta.

Aveva scambiato lettere con Charlie durante tutto l'anno scolastico, e per san Valentino le fece recapitare una meravigliosa rosa rossa, singolare, quanto lei. Una rosa eterna.

Poco dopo era giunto il compleanno dei gemelli, che avendo finalmente 17 anni, potevano far impazzire la signora Weasley, persa la traccia. 

Per di più, insieme a loro ed Adeline, aveva passato discretamente l'esame di materializzazione, sebbene, doveva ammetterlo, i gemelli fossero più bravi di lei in quest'ultima. Forse per la loro naturale propensione a pianificare bravate. Li vide confabulare sul come avrebbero potuto materializzarsi in casa per spaventare Percy.

Tuttavia, se da una parte quell'anno aveva riservato tanta felicità e un nuovo sentimento, d'altra parte, il finale, diversamente dalle fiabe, era stato tutt'altro che lieto.

Il signor Crouch era scomparso, morto probabilmente, e tante altre cose strane accaddero, per poi culminare nell'ultima prova del torneo.

Helen non avrebbe mai dimenticato il momento in cui Harry Potter era comparso nell'arena, accolto dagli applausi entusiasti, dalle urla gioiose di Hogwarts, brandendo la coppa tremaghi in una mano, ma nell'altra il corpo di Cedric.

Helen aveva urlato il suo nome, constatando che fosse altrove, lontano da loro, da quel mondo crudele. Aveva gli occhi sbarrati, e Harry non riusciva a staccarsi da lui, fu necessario l'intervento di Silente.

«È tornato...È tornato!» ripeteva Harry, scosso dal pianto. 

Helen fu una delle poche che colse quelle parole, come i gemelli, che sembravano congelati. 

Il ministro Fudge si fece vicino al punto in cui Harry era atterrato, pallido in volto.

Helen sapeva chi fosse tornato, e si sentì mancare.

Aveva ricordato la notte alla coppa del mondo, e poi tutti i bei momenti condivisi con Cedric durante quell'anno, e non poteva credere stesse accadendo.

Non avrebbe mai dimenticato, e non avrebbe neanche provato a farlo, il volto di Cedric Diggory, freddo e senza vita, con la luce verde ancora dipinta negli occhi; quegli occhi ridenti, ora vuoti.

Le urla straziate di Amos Diggory riempirono l'aria, ed Helen si sentì mancare, i gemelli la presero al volo, mentre sentiva le gambe venirle meno.

Hogwarts aveva vinto la coppa tremaghi, ma aveva perso uno dei migliori studenti che avesse avuto: un giovane leale, pronto ad aiutare gli altri, disposto a mettersi in gioco per dare onore alla sua scuola.

Il professor Moody si era scoperto essere un impostore: Barty Crouch Junior, un seguace di Voldermort, nonchè figlio di Bartemius Crouch, morto proprio per mano di suo figlio.

Adeline era sconvolta, e con lei Helen, che aveva nutrito un certo sospetto.

Neanche Hogwarts era un luogo sicuro?

Le sembrava l'inizio di qualcosa di terribile.

Poco dopo quel giorno, Silente annunció l'evidenza al banchetto di fine anno, schierandosi contro il ministero, che rifiutava di credere alla realtà:

Cedric era morto per mano di Voldemort. Lui era tornato, non c'erano mezzi termini.

E solo Harry Potter poteva conoscere e portare con sè quella sofferenza. Probabilmente lo avrebbe fatto per sempre.

Fuori di lì le persone sparivano, le loro vite erano spezzate, il cielo si rabbuiava.

Una tempesta era in arrivo.

 

Quando fu giunto il giorno di lasciare il castello per fare ritorno a casa, in vista dell'estate, Helen avvertì una fitta al petto. Erano notti che non dormiva, ripensando a tutto l'accaduto. 

Sua madre era morta così? Con la stessa espressione di Cedric? Non poteva toglierselo dalla testa.

Avrebbe voluto restare ancora lì, nel suo dormitorio, in quel castello che, quell'anno, le aveva regalato momenti fantastici. Aveva paura di lasciare quel posto, come se avesse potuto scomparire, come se stando lì avesse potuto vivere nei ricordi, così distanti dai terribili eventi che si stavano preparando.

L'incertezza del futuro incombeva su di lei, come pronta a schiacciarla.

Le lacrime le ricaddero copiose sulle guance, mentre chiudeva il baule, assicurandosi ci fosse tutto.

Poi il suo sguardo si posó sulla rosa che Charlie aveva stregato per lei, era appassita da giorni, ed Helen conosceva il motivo:

"Quando sarai felice, questa rosa apparirà bellissima, ricordando a te quanto mi riempi di gioia, ogni volta che mi regali un sorriso.

Quando sarai triste, lei soffrirà con te, ricordandoti che la felicità puó fare ritorno, anche quando ci sembra di brancolare nel buio.

Ti amo Helen.   "

Lei non era felice in quel momento, aveva paura forse, o era angoscia; eppure quella rosa sarebbe tornata vivace, come avrebbe fatto lei.

"Charlie" pensó, stringendola al petto.

Charlie l'aspettava a casa, e con lui la sua famiglia.

Si asciugò il volto e, guardando la stanza un'ultima volta, uscì, facendosi fluttuare il baule dietro.

Il sesto anno era concluso, e ora il settimo l'attendeva. 

Una nostalgia l'attanagliò, contemporaneamente ad un senso di eccitazione: poco ancora e si sarebbe lanciata nel mondo magico del lavoro, affiancata da Bill.

Nella sala grande gli studenti stranieri salutavano i loro amici, promettendo che li avrebbero scritti.

Sembrava tutto così lontano, così felice.

Tutti si scambiavano baci e abbracci, addii e arrivederci.

Era un grande tumulto.

Fleur le si avvicinò, baciandole le guance in modo gentile, comprendendo quello stato d'animo.

Lo stesso fecero alcuni dei suoi amici francesi, ed un paio di Durmstrang con cui Helen aveva passato del tempo.

Fu triste nel vederli andare via, ma anche lieta, per il bei momenti vissuti insieme.

Poi i francesi si congedarono, prendendo posto nella carrozza, trascinata da maestosi cavalli alati; i bulgari scomparvero nel lago nero, a bordo della grossa nave scura.

La folla di studenti di Hogwarts si affrettó alla stazione di Hogsmeade. 

Helen camminava da sola, soprappensiero come sempre, ma fu prontamente affiancata da Adeline, che le prese la mano, stringendola.

«Terra chiama Helen!» fece come suo solito, ridendo appena.

«Helen io so come ti senti, perché anche io mi sento così» continuò. La bionda la guardó, aveva gli occhi gonfi e stanchi, come i suoi. «Io non ho paura, perché saremo insieme» le sussurró.

Helen lasció cadere il baule e la strinse forte, istintivamente.

Si lasció andare lì, tra le braccia della sua amica, che le accarezzó i capelli. Si capivano a vicenda, come sempre. Adeline aveva compreso il motivo di quel turbamento.

Non riuscì a dire altro, ma non furono necessarie parole.

Quando i gemelli furono sopraggiunti, facendosi carico dei loro bauli, con la solita gentilezza, Helen notó fossero piuttosto allegri. Si chiese come facessero.

«Harry ci ha dato il suo premio, abbiamo mille galeoni!» fecero insieme, non stando più nella pelle.

Le ragazze furono felici della notizia, si trattava di una delle poche note positive.

«La gente ha bisogno di ridere, potremmo pensarci noi» proferì Fred, con un velo di malinconia.

Helen sorrise ai due, che le circondarono le spalle, come a dirle che ci fossero, che la capissero, sebbene sapessero mascherare il dolore dietro agli scherzi.

Quando ebbero preso posto sul treno, che si mise in moto repentino, alla volta di King's Cross, Helen capì che l'attendeva un'altra estate, ma da questa, non sapeva cosa aspettarsi.

Strinse le mani dei tre amici, guardandoli negli occhi uno per uno.

«Qualsiasi cosa accada, io ci sono».

All'esterno del treno, da nuvoloni plumbei, la pioggia cominció a cadere.

Per la seconda volta sul mondo magico incombeva una terribile minaccia.

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Capitolo 47
*** Capitolo 43 - Grimmauld Place ***


Le prime settimane dopo la fine del suo sesto anno furono alquanto cupe. La morte di Cedric Diggory era stata causa di grande sconvolgimento. Non riusciva a mangiare, né a risposare; i suoi sogni erano tempestati di incubi, nei quali, ogni volta, le si ripresentava il volto senza vita del giovane tassorosso. 

Helen aveva paura, angosciata da quello che sarebbe potuto accadere nei mesi successivi, ma non tanto a se' stessa, piuttosto alle persone a cui voleva bene. Jacob e Charlie non sarebbero tornati dalla Romania e ciò la preoccupava; qualcosa si era messo in moto, qualcosa di molto brutto. I Weasley sembravano altrettanto allarmati, sconvolti, soprattutto ora che Percy aveva deciso di andarsene di casa una volta per tutte, dopo aver litigato con il signor Weasley, esprimendo la sua completa fedeltà al Ministero, che, d'altronde, cercava in ogni modo di celare il ritorno di "Colui che non deve essere nominato", o meglio, di smentire qualsiasi voce in merito. 

Il padre di Helen, che scriveva per la Gazzetta del Profeta, aveva provato più volte a far pubblicare dei propri articoli in merito, invano. Nell'ultimo periodo aveva, addirittura, ricevuto minacce di licenziamento, se solo avesse nuovamente tirato in ballo la questione in qualcuno dei suoi articoli. 

Persino la Gazzetta sembrava essersi schierata contro il vecchio Silente.

Erano in pericolo, tutti loro. Helen aveva sentito parlare il signor Clark di un'organizzazione segreta, la quale sosteneva il professor Silente e di cui facevano parte vari maghi e streghe, tra cui i suoi ex-professori di Difesa contro le Arti Oscure: Remus Lupin e Malocchio Moody, il vero questa volta. Helen capí che le cose si stessero facendo particolarmente serie quando, uno dei primi giorni di quell'estate, il padre la intimò di raccogliere e sistemare, nel modo più veloce possibile, tutte le cose che le fossero servite per una permanenza, molto lunga, lontana da casa. 

Non osò chiedergli il motivo, dal momento che lo vide piuttosto agitato, non le avrebbe comunque detto altro se non "Sbrigati, Helen"; lo conosceva troppo bene.

Dopo quel giorno, dovette condividere una camera Ginny e l'amica di Ron, Hermione Granger, al numero dodici di Grimmauld Place, a Londra. 

Si erano tutti trasferiti in quel posto, poiché secondo il signor Arthur e suo padre, le loro case non erano più tanto sicure, soprattutto dopo tutti gli avvenimenti che stavano avendo luogo, in particolar modo, al Ministero. C'era chi si ostinava a negare in ogni modo il ritorno del mago più pericoloso degli ultimi cent'anni, tra cui lo stesso Ministro della Magia, Fudge, il quale, a detta dei gemelli, stava usando Percy per spiare la stessa famiglia Weasley, da sempre fedele a Silente, il quale, era considerato, pertanto, una sorta di minaccia all'autorità dello stesso ministro. I Weasley, cosí come lei e suo padre, credevano fermamente a ciò che il giovane Potter aveva visto, e ignorare quella notizia, credeva, non poteva che essere da stupidi. 

Helen aveva visto il terrore negli occhi di Harry, nelle iridi di chi ha guardato in faccia la morte, mentre si rifiutava di lasciar andare il corpo inerme di Cedric. 

Il pensiero del giovane Diggory continuava a lacerarle il petto; non riusciva a superare la vista di quello sguardo vuoto.

Helen, cosí come gli altri ragazzi, non poteva prendere parte alle riunioni dell'Ordine della Fenice, perchè troppo giovane. Tuttavia, riusciva comunque ad ascoltarne qualche conversazione grazie alla nuova invenzione dei gemelli: le Orecchie Oblunghe. Scoprirono che il professor Piton ne faceva anch'egli parte, agendo però in segreto. Anche Bill era tornato, dopo essere stato assunto per un lavoro più sedentario, alla Gringott, dove, d'altronde, i gemelli dicevano che avesse incontrato e avvicinato Fleur Delacourt. C'era anche una strega che lei non aveva mai visto, un po' bizzarra: Nymphadora Tonks, le sembrò di aver capito che si chiamasse. E immancabilmente Kingsley Shacklebolt, un noto auror.

Tuttavia la ricezione dei discorsi durò ben poco, fino a quando, per l'appunto, Molly non decise di lanciare un incantesimo Impertubabile contro porta della cucina, cosicché non riuscissero ad origliare più nulla. Nonostante ciò a loro era stato affidato il compito di disinfestare le camere della casa, così decisero di dividersi in due gruppi: Ron, Ginny, Harry ed Hermione nel primo, lei, Fred e George, nel secondo. 

 

Quel giorno sarebbe toccata loro la soffitta, George diceva che ci fosse un Occamy nascosto in quella zona della casa, ma Helen non gli credeva affatto.

Si vestí in fretta, salendo le scale fino all'ultimo piano, notando che i gemelli non fossero ancora arrivati. Sentí alcuni rumori, provenire proprio da dietro la porta; si avvicinò lentamente, abbasando cautamente la maniglia e brandendo la propria bacchetta con una mano.

Fece un passo in avanti, cercando di mettere a fuoco il contenuto della stanza. 

«Buongiorno Helen!» 

Improvvisamente, Fred e George si materializzarono proprio alle sue spalle, esclamando quella frase con voce fin troppo alta.

Helen trasalí e per poco con li colpí con uno schiantesimo, tanto dallo spavento.

«MA NON POTETE SALIRE LE SCALE, PER SALAZAR?!» sbraitò lei, mentre sentiva ancora il cuore sfuggirle dal petto.

«Oh un po' arrabbiatina la nostra piccola Helen, stamattina» disse Fred, sorridendo.

«Charlie ti ha detto di aver trovato una strega rumena?» sghignazzò George.

Helen sentí le guance diventare rosse, sferrando, poco dopo, un pugno sul braccio di quest'ultimo.

«Smettetela di prendermi in giro» mise il broncio, rivolgendo poi le spalle ai due rossi.

«Ma noi mica ti prendiamo in giro, vero Fred? A noi Charlie ha detto cosí» continuò con una voce seria, che indusse Helen a dubitare che fosse davvero un'altra delle loro bravate.

Davvero Charlie aveva trovato qualcun'altra? Non si sarebbe meravigliata, chissà quante belle dragonologiste ci fossero in Romania.

«Per la barba di Merlino George, forse non dovevamo dirlo...» aggiunse Fred, portandosi una mano alla bocca.

Helen si voltò scrutando i loro volti: sembravano alquanto ponderati.

Le parve di aver sentito il proprio cuore perdere un battito.

Che fosse vero?

«Quando? Quando ve l'ha detto?» chiese con voce quasi tremante.

Effettivamente non sentiva Charlie da giorni, forse settimane, non aveva più risposto alle sue lettere, ne' aveva piú avuto sue notizie.

"Si è scocciato di me, lo immaginavo, che stupida" pensò.

«Mai» rispose Fred, ridendo, seguito a ruota dal fratello.

«Godric sei proprio sotto l'effetto di un Filtro d'amore, Helen!»

Continuarono a ridere, mentre lei avrebbe voluto schiantarli sul posto, ma si trattenne, nonostante fosse per lei molto difficile farlo.

 

Iniziarono a dare una ripulita a quella stanza, nella quale erano ammassati tanti di quegli oggetti, di diversa provenienza e diversa epoca, che sembrava di stare all'interno di una delle tombe egizie, in cui Bill era solito lavorare, o uno di quei negozi in cui si vendevano cimeli di famiglia o oggetti antichi.

«Ci vorranno giorni!» si lamentò lei, cercando di spostare un vaso che sembrava cosí fragile da frantumarsi al solo sguardo.

Sentirono la porta aprirsi cigolante e una figura con i capelli rossi fece il suo ingresso.

Helen per poco non fece cadere l'oggetto che reggeva con tanta cautela. Era Charlie. 

Cosa ci faceva lí? Non doveva essere in Romania? E perchè non le aveva detto che sarebbe tornato?

«Hey Charlie!» 

Sentí i gemelli salutarlo, poi fissarla per un attimo, mentre lei era rimasta immobile in quella posizione, non credendo ai propri occhi.

Si scambiarono sguardi d'intesa e dopo un piccolo ghigno, fecero per andarsene.

«Io e George abbiamo appena ricordato di dover ascoltare un'importantissima conversazione. Vero George?» 

«Oh si Freddie! Le nostre Orecchie Oblunghe ci aspettano!» 

«Le cosa?» chiese Charlie, alzando un sopracciglio.

I gemelli, che avevano ormai raggiunto la porta, s'illuminarono.

«La nostra ultima favolosa invenzione!» risposero all'unisono, uscendo poco dopo, chiudendosi la porta alle spalle.

Helen si meravigliò di come non si fossero smaterializzati, come solevano.

Il suo sguardo si posò nuovamente su Charlie, ancora vicino all'ingresso.

Sorrideva.

«Ciao Charlie» disse, felice.

Quanto le era mancato.

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Capitolo 48
*** Capitolo 44 - Consapevolezza ***


«Ciao Charlie» 

Helen aveva proferito quelle parole con una tale gioia da non riuscir a trattenersi dal corrergli incontro, allacciargli le braccia al collo e incrociare i propri occhi con quelli del rosso, prima di azzerare la distanza che ancora separava le loro labbra.

Fu un bacio dolce, ma allo stesso tempo intenso, uno di quelli che dai alla persona che ami, uno di quelli che dai a chi non vedi da cosí tanto tempo, uno di quelli che ti provoca un'esplosione di gioia nella gabbia toracica, che cerca invano di trattenere il cuore.

Si staccó, tornando a guardarlo, nuovamente, mentre lui continuava a stringerla a se'.

«Perchè non mi hai detto che tornavi?» chiese, ma non era arrabbiata, ne' infastidita, era solo...felice, troppo per rovinare quel momento con inutili questioni.

«Non potevo Helen, papà dice che è possibile controllino le nostre lettere, che ci tengano d'occhio» rispose lui con fare grave.

Aveva ragione, Helen lo sapeva bene, era rischioso mandare gufi, poichè chiunque avrebbe potuto intercettarli. Aveva capito da tempo che qualcosa stesse accadendo, qualcosa di davvero importante; il trasloco, l'arrivo di tutte quelle persone che lei non aveva mai visto prima, le riunioni, l'aria tesa che si respirava in ogni stanza di quella casa, a lei ancora del tutto sconosciuta.

«Cosa sta succedendo Charlie?» 

Era una domanda che in realtà esprimeva tutt'altro; lei sapeva benissimo cosa stesse accadendo, ma desiderava sentirlo dire da lui, come a confermare ogni suo sospetto, come ad accertarsi che quello non fosse solo un brutto sogno, un lungo incubo.

«Noi crediamo che...Harry abbia ragione, Helen. Tu-sai-chi è tornato.» 

Percepí paura nella sua voce, la stessa che aveva provato lei, la stessa che continuava a provare ogni qualvolta dovesse anche solo alludere a quel nome, ogni qualvolta le tornassero in mente la terza prova del torneo o i mangiamorte alla finale della Coppa del Mondo di Quidditch, le razzie, le uccisioni, la morte che quest'ultimi lasciavano al proprio passaggio, la madre.

Abbracciò Charlie, lo strinse forte, aveva paura che potesse smaterializzarsi improvvisamente, che potessero portarglielo via da un momento all'altro.

«Ti ricordi cosa ti dissi la notte dell'irruzione dei mangiamorte il giorno della partita?» gli chiese, mentre rimaneva aggrappata a lui, come fosse l'unica ancora di salvezza nell'oceano di sconforto e terrore che la circondava.

«Volevi che restassi con te» rispose lui. Lo ricordava davvero, questo fece sorridere Helen.

«Esatto» alzò gli occhi, incontrando i suoi. Un bagliore si celava in essi, l'oscurità sembrava smorzata

«Non lasciarmi sola, resta accanto a me, resta vivo.» 

Aveva la voce leggermente tremolante; non osava per niente immaginare cosa ne sarebbe stato di lei, se avesse perso qualcun'altro, qualcuno che amava.

Lui la baciò, tranquillizzandola. Helen si sentiva forte, affiancata da lui, quasi invincibile. Tra le sue braccia si sentiva protetta, al sicuro, a casa.

Tuttavia, la permanenza di Charlie non durò a lungo. Il ragazzo le spiegò che quella in cui soggiornavano non era altro che la casa di Sirius Black e che quest'ultimo non fosse un criminale, bensí un membro dell'Ordine, cosí come Charlie stesso, il padre di Helen, tutta la  famiglia Weasley. Le spiegò che questa, cosí come lei avesse già intuito, fosse un'organizzazione segreta a sostegno di Silente, che stava cercando di radunare quanti più membri possibili, anche all'estero. Ed era proprio questo il suo compito. Charlie, insieme a Jacob, si occupava di reclutare maghi e streghe che fossero interessati a perorare la loro causa. 

«Dobbiamo essere pronti ad un'eventuale attacco, Helen» aveva detto lui «Se è vero che 'Colui che non deve essere nominato' è tornato, non resterà nascosto ancora per molto, tempo un anno ed uscirà allo scoperto, e noi dobbiamo essere preparati ad affrontarlo»

Il solo pensiero la faceva rabbrividire, cose strane si stavano verificando e significavano solo una cosa: dolore.

Molte persone avrebbero perso la vita e molte altre avrebbero sofferto per la perdita di qualcuno.

 

L'estate era quasi al termine e l'inizio del suo ultimo anno si stava avvicinando. Una nostalgia la opprimeva.

Non era riuscita a sentire suo fratello Jacob, l'unica volta che ebbe contatti con lui, fu tramite Charlie, che fece recapitare lui una lettera, e si curó di fare da intermediario. Con Adeline le andò anche peggio: non potevano vedersi, perché Grimmauld Place doveva restare segreta a tutti coloro che non facessero parte dell'Ordine e l'amica, come lei e i gemelli, era troppo giovane per unirsi all'organizzazione, pertanto non fu possibile per loro incontrarsi, nè tanto meno scriversi. Le giornate sembravano non trascorrere mai, Helen aveva terminato di leggere tutto ciò che era stata in grado di portare con sè al momento del trasloco, compresi i manuali scolastici.

Quel giorno, tuttavia, mentre vagava per le stanze della casa, ne trovò una con alcuni scaffali ricolmi di libri. Si avvicinò per scrutarne qualcuno, con l'intento, magari, di trovare qualcosa di nuovo da leggere.

Erano antichi, pieni di polvere, molti dei quali scritti in latino o in un'altra strana lingua che Helen non riuscí proprio a decifrare, poichè scritta con strani segni: non erano Rune Antiche e nemmeno una lingua moderna.

Ne adocchiò uno. Questo era scritto in latino, ma presentava una traduzione di ogni pagina.

Lesse il titolo: Le Metamorfosi di Apuleio.

Sfogliò alcune pagine e vide che, in molte di queste, c'erano delle parti evidenziate, doveva essere appartenuto a qualcuno che molto tempo prima aveva abitato quella casa.

Decise di prenderlo, sarebbe sicuramente stato più interessante del Manuale di Pozioni.

 

Quella stessa sera Helen aveva inziato a leggere il libro trovato e dalla biografia capí che Apuleio, in realtà, fosse stato un mago, scoperto da Babbani e condannato. Tuttavia, quest'ultimo, riuscí a non essere processato grazie ad un'orazione difensiva chiamata "De Magia". O almeno cosí credevano i Non Maghi. In realtà sul libro era esplicitato il fatto che Apuleio avesse usato un Obliviate su tutta la giuria presente, riuscendo ad uscirne indenne.

Prima di cominciare la vera e propria storia, che da come capí dalla prefazione, narrasse di un uomo che provava un'insaziabile desiderio di vedere e praticare la magia: dopo essersi spalmato una pomata magica, si ritrova trasformato accidentalmente in asino. Si focalizzò su alcune frasi sottolineate. La colpí una in particolare, che recitava: 

 

"Si sa che la fiamma del crudele Amore, quando è ancora tenue, col suo primo calore procura piacere, ma poi, alimentata dalla consuetudine, divampa in un incendio incontrollabile e divora completamente gli uomini."

 

Il "crudele Amore" l'aveva etichettato lo scrittore. 

Che sia davvero dannato l'amore? Che prima ti avvolge nella sua dolce stretta, per poi attanargliarti sempre di più fino a soffocarti? Che ti lascia navigare nelle sue acque limpide e, infine, ti annega, lasciandoti sprofondare nei più oscuri  abissi?

Che ti scalda con le due docili fiamme, che divampano, fino a bruciarti anima e corpo?

Ti inganna l'amore. Ti ammalia; con i suoi canti soavi, ti avvicina e quando sei ad una giusta distanza, ti pugnala, ti attacca, senza lasciarti via di scampo.

"Eppure non è sempre cosí" pensò tra se'.

No, non lo era. Bastava pensare all'amore incondizionato che il padre provava e continuava a provare per sua madre, oppure a quello tra i coniugi Weasley.

L'amore non sempre ti distrugge, a volte ti ripara, ti cambia, ti completa.

Lesse un piccolo appunto a mano, scritto sulla pagina successiva.

 

"Omnia mutantur, nihil interit 

Tutto cambia, niente muore

-Ovidio."

 

Si soffermò su quelle parole. 

Era vero. 

Tutto cambia.

Tutto era cambiato e continuava a cambiare anno per anno, nella sua vita, in meglio e in peggio.

C'erano cose che l'avevano fatta crescere, che l'avevano fatta maturare come strega, come donna, come figlia. Aveva affinato le proprie abilità, limato lati del suo carattere, imparato a non dare nulla per scontato, ad apprezzare gli affetti, chi ti era stato e continuava ad esserti vicino, sia nei momenti felici, che in quelli tristi. Aveva imparato ad amare. Amava Charlie, lo amava davvero, non poteva che essere quello il sentimento che provava ogni qualvolta fosse con lui; anche solo stargli vicino la riempiva di gioia. Aveva appreso quanto fosse importante per lei l'amicizia e la vicinanza di Adeline, i gemelli, i suoi compagni Serpeverde, Ava e Logan e altri ancora, che anche solo con una parola o un semplice gesto, avevano contribuito a farla stare meglio.

Niente muore.

Effettivamente Helen non aveva dimenticato assolutamente nulla di ciò che era stato, cioè che era stata prima di quei cambiamenti. La Helen di adesso non era poi tanto diversa dalla Helen di allora.

Il pensiero ricadde sulla madre, su Cedric; loro non sarebbero mai davvero morti, finché la loro memoria fosse stata viva nelle menti e nei cuori di chi era stato loro vicino, di chi li aveva conosciuti, amati, vissuti. Tuttavia, nemmeno Voldemort era deceduto, anzi, era pronto a procurare altra morte, altro dolore, altra guerra. Sentí il cuore riempirsi di rabbia, mista a paura. Era terrorizzata, non poteva negarlo, né a sé stessa, né alle persone che ogni giorno la circondavano di affetto.

Vide la rosa di Charlie, iniziare ad appassire, significava tristezza. 

Alcune lacrime le solcarono il viso, ma lei le asciugó immediatamente con un gesto della mano. Era il momento di essere forti, di combattere, non certo di piangere. 

Riabbassó lo sguardo, che poco prima teneva rivolto alla finestra, sul libro, immergendosi nuovamente nella lettura, l'unica, forse, in grado di confortarla in quel momento buio.

 

 

 

 

INFO: Apuleio è uno scrittore Romano, vissuto nel II secolo d.C, autore di varie opere, tra cui il De Magia, grazie al quale si difese dalle accuse di stregoneria; le Metamorfosi, nel quale narra della storia un uomo, trasformatosi in un asino a causa di un uso scorretto della magia, e del viaggio in cerca di un antidoto che potesse farlo tornare, nuovamente, umano. Si ricorda quest'opera anche per la novella di Amore e Psiche, raccontata allo stesso protagonista, da una vecchia, incontrata durante una delle tante peripezie.

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Capitolo 49
*** Capitolo 45 - Diavolo in rosa ***


Regno Unito, Settembre 1995

"Finchè la discordia non vinse gli affetti
facendosi forte dei nostri difetti.
Le Case che furon già i quattro pilastri
del Forte di Hogwarts causaron disastri.
Ognuna a ogni altra nemica da odiare,
la pace per sempre sembró tramontare.
...
Da allora dissolta fu la compagnia:
tre erano a Hogwarts, il quarto andó via.
Ma fra queste Case, da che se ne andó,
l'antica armonia giammai ritornó.
...
Pensate ai pericoli, i segni leggete,
La Storia ha dei moniti, li conoscerete.
Un grande nemico, esterno e mortale,
potrebbe annientarci: il rischio è reale.
Per batterlo, amici, la strada è una sola:
restiam sempre uniti e salviamo la scuola!"

La canzone del Cappello Parlante di quell'anno era stata più cupa e piena di moniti del solito.
Helen non riusciva a togliersi quelle parole dalla testa, mentre la Sala Grande esplodeva nel solito applauso, questa volta più incerto, accompagnato da sussurri. Si erano create due fazioni: chi credeva che Harry avesse ragione e che stesse dicendo la verità, e chi lo negava. Non doveva passarsela bene per nulla il ragazzo Grifondoro.
Come se i pensieri non fossero già abbastanza, si presentó loro la nuova insegnante di difesa contro le arti oscure, che esordì con un fastidioso «Hem hem», interrompendo Silente in modo scortese.
Helen constató si trattasse di una strega dall'aspetto poco simpatico: aveva una faccia da rospo, occhi vispi e sporgenti, corti capelli ricci, in cui aveva incastrato un cerchietto rosa, in tinta con il coprispalle che indossava. Qualcosa le disse che fosse stata scelta dal ministero: una così non poteva essere opera di Silente.
«Non vedo l'ora di conoscervi tutti e sono certa che saremo ottimi amici!» fece la donna. 
Fu in quell'istante che Helen comprese che in lei non ci fosse nulla di buono, fu una sensazione fulminante.
Volse lo sguardo al corpo insegnanti, seduto al tavolo dietro di quella: la McGrannitt e la Sprout erano piuttosto accigliate e infastidite dalla presunzione con cui parlava, elogiando il ministero e i suoi metodi retrogradi. L'intera sala borbottava, bisbigliava, rideva. I gemelli erano intenti a scherzare tra loro, e illuminare gli altri studenti sui loro nuovi progetti.
Una cosa era certa: se l'anno era iniziato in quella maniera, Helen cominció a temere il peggio per la sua fine.
E avrebbe dovuto anche affrontare i M.A.G.O.
Si domandó se le cose avessero potuto essere peggio e, dopo appena qualche giorno, la risposta a quella domanda le apparve chiara: sì.
Dolores Umbridge, non solo non insegnava nulla che non fosse leggere sterilmente dei capitoli dal libro di difesa, ma era stata nominata, secondo il decreto didattico numero ventitre, Inquisitore Supremo, il che le conferiva un certo potere, come decidere delle sanzioni ed emanare nuove leggi.
Adeline era sconvolta quanto lei da quella situazione; come potevano pensare di diventare spezzaincantesimi e auror rispettivamente, senza nessuno a far loro da guida, da mentore per davvero?
Oltretutto non avrebbero potuto dire nulla, dal momento che la professoressa "facciadirospo", come solevano chiamarla, provava un certo piacere ad assegnare punizioni, e fosse ben felice di farlo.
Ci mancava solo una detenzione che avrebbe inficiato la loro condotta in vista degli esami finali.
A quel malcontento si aggiungevano gli articoli improponibili della Gazzetta del Profeta, in cui venivano elogiati i metodi della Umbridge e screditati quelli di Silente.
Helen notó che a suo padre lasciassero scrivere poco e nulla: gli aggiornamenti sul clima e, come a voler tirare su il morale delle persone, notizie di nuove nascite nel mondo magico e interviste insignificanti.
Era sicura che dietro tutto quello ci fossero i mangiamorte; dopotutto l'impostore "Moody" aveva insegnato loro tutto ciò che fosse necessario conoscere sulla maledizione imperius, e Helen sapeva che fosse anche per merito di quest'ultima che regnasse uno stato di calma apparente.
Per il potere conferitole dal ministero, la Umbridge cominció a sottoporre a revisione tutti gli insegnanti. Divenne fastidioso doverla sopportare, con i suoi «Hem hem» anche al di fuori delle sue ore di lezione, e ancor di più divenne scomodo per alcuni professori, non in grado di tenerle testa. 
La Cooman era tra questi, difatti non venne presa particolarmente sul serio, differentemente dalla McGrannitt che non si fece scalfire minimamente. 
Sembrava che quel "Diavolo in rosa" fosse venuto a portare scompiglio lì, cominciando a favorire alcuni studenti rispetto ad altri, e ponendo domande a tutti sui vecchi insegnamenti, come se il preside avesse voluto celare qualcosa alle istituzioni.
Una mattina aveva persino fermato Helen, chiedendole cosa ne pensasse di Silente, con il suo solito squittire; la bionda aveva risposto, sovrastandola, senza mezzi termini:
«Il migliore che Hogwarts abbia conosciuto, senza dubbio!».
I gemelli, differentemente da lei, cercavano di fronteggiare quel regime con le loro invenzioni: Merendine Marinare
Si trattava di diversi prodotti, che per un motivo o un altro, fossero in grado di offrire uno stato di malattia apparente per marinare le lezioni. Helen si compiacque di quel loro talento, dopotutto erano geniali a modo loro.
«Altro che geniali, Helen» proferì George, scuotendo la testa
«C'è ancora tanto da migliorare, ci sono alcuni effetti collaterali...», i gemelli si scambiarono un'occhiata imbarazzata.
«E poi...noi potremo aver...ma non volutamente...causato un'emorragia a Katie Bell, durante gli allenamenti» fecero insieme, pronti a difendersi dalla furia di Helen.
«VOI AVETE FATTO COSA!» tuonó Helen, incenerendoli con li occhi
«Cavolo, quando vuoi sai essere peggio della mamma!» le rispose Fred, cercando di addolcirla con una caramella viola, che Helen rifiutó categoricamente.
Le conversazioni con loro, peró, per la maggiore, riguardavano l'Ordine della Fenice, e ipotesi su come la società si stesse preparando.
Helen non aveva più sentito Charlie, e la cosa la metteva di pessimo umore. Riusciva ad avere qualche notizia di lui, e occasionalmente di suo fratello, solo tramite i gemelli.
George le spiegó che i draghi andassero protetti, poiché sarebbero divenuti un'arma potente nelle mani nemiche.
Tutto il quadro che si era dipinto, la situazione nascente, turbava Helen come null'altro, non poteva starsene lì, con le mani in mano, avrebbe voluto fare qualcosa di concreto.
La soluzione ai suoi problemi si presentó lampante: Hermione e Ron, insieme ad Harry, stavano pensando di istituire una società, un gruppo, simile all'Ordine, per preparare i ragazzi al terribile destino che incombeva su di loro. La Umbridge si rifiutava di far praticare loro la difesa contro le arti oscure? Bene, loro avrebbero trovato una soluzione.
E quale migliore insegnante di Harry Potter, che aveva guardato in faccia il male?
Fu così, che durante il primo weekend ad Hogsmeade, lei, Adeline e i gemelli, si recarono alla "Testa di porco" per incontrare gli altri studenti, interessati a resistere a quel regime istituito dal ministero.
Helen notó la presenza di suoi coetanei e non, di alcuni volti a lei noti: c'era Angelina Jhonson, nuovo capitano della squadra di Grifondoro, accompagnata dalle sue cacciatrici; la Jhonson era solita passare del tempo in compagnia dei gemelli. Poi Ginny Weasley, Cho Chang e Luna Lovegood, una ragazza corvonero dalla pelle bianca come il latte.
Dopo una serie di domande e battibecchi tra Harry e gli altri, fu istituito l'ES: Esercito di Silente.
Tutti i partecipanti firmarono un foglio e giurarono fedeltà e, soprattutto, di non farne parola con nessuno. 
Helen notó una certa diffidenza nei suoi confronti da parte di alcuni tassofrasso, infatti un pregiudizio era radicato nei confronti dei serpeverde, ma i gemelli presero le sue difese, garantendo per lei.
Potter si offrì di insegnare loro ció che sapeva sulla difesa, nell'eventualità avessero dovuto combattere.
Per Helen fu uno spiraglio di luce; stare a guardare non era mai stato da lei.
Si sentiva parte di qualcosa, qualcosa di forte, che avrebbe potuto agire contro quella quiete, scoprire gli altarini, fronteggiare l'ingiusto.
Se là fuori l'oscurità si stava muovendo, preparando la sua avanzata, anche loro, controparte, avrebbero dovuto mobilitarsi.
Così l'ES, che aveva reclutato diverse persone, cominció a incontrarsi di lì a poco, in una stanza che Helen non aveva mai visto, al settimo piano, detta "stanza delle necessità", che compariva a chi ne avesse bisogno davvero.
Lungo le pareti c'erano librerie di legno, a terra, cuscini di seta, poi scaffali su cui erano disposti strumenti comunemente impiegati dagli auror.
Sembrava di essere in un sogno.
Un sogno in cui avrebbero potuto riscattarsi concretamente, puntare le bacchette contro il nemico: che fosse Voldemort, o il ministero.
O che magari fossero la stessa cosa.

 

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Capitolo 50
*** Capitolo 46 - Serpente ***


Helen si svegliò di soprassalto, madida di sudore.

Una sensazione schiacciante le gravava sul petto, come una brutto monito.

Ava dormiva nel baldacchino accanto, colmando il silenzio di respiri ritmici.

Helen prese un sorso dal bicchiere poggiato sul comodino, poi si adagió nuovamente sul materasso.

Era diventato improvvisamente scomodo.

Chiuse gli occhi, pensando alla giornata che aveva passato appena, nella speranza di liberarsi di quel presentimento.

Quel giorno l'incontro dell'ES era andato molto bene: si erano concentrati su schiantesimi e avevano ripassato alcuni incantesimi precedentemente appresi. 

La Umbridge ovviamente si era opposta ad una qualsiasi possibile cospirazione, facendo capo al Decreto Didattico numero ventiquattro:

"Nessuna organizzazione, società, squadra, gruppo o circolo può esistere senza previa conoscenza e approvazione dell'Inquisitore Supremo."

A parte questo, c'era da ammetterlo, Harry Potter era un ottimo mentore, e sotto la sua guida sarebbero stati tutti in grado di evocare presto un patronus. Helen non stava nella pelle, a che ricordo felice avrebbe dovuto appellarsi? Una sfilza di bei momenti si fecero spazio nella sua mente. 

Sentì il battito rallentarle, il sonno prendere possesso di lei nuovamente, quella sensazione che pareva un macigno non l'abbandonó tuttavia, ma fu mascherata dai sogni che occupavano i suoi pensieri adesso.

 

Helen mise piede fuori dalla sala comune dei serpeverde, con una valigia che ospitava tutto il necessario per fare ritorno a casa, o come si era pensato, alla Tana, in vista del Natale. Quelle festività sarebbero state diverse senza Charlie, o Jacob, e anche senza il solito clima di allegria.

Hogwarts come ogni anno, era in procinto di essere addobbata; il professor Flitwick correva da una parte all'altra, e Helen fu abbastanza sicura che Hagrid stesse trasportando un grande pino da qualche parte.

Tuttavia, fu sorpresa di non vedere nè gemelli, nè Ginny e neppure Ron, con i quali avrebbe dovuto fare rientro. 

Poi, dopo aver perlustrato la Sala Grande e i corridoi adiacenti, persino il cortile, una presa le afferró la camicia; fu tutto così rapido, che non ebbe il tempo di capire chi fosse stato, ma pochi istanti dopo, constató si trattasse di Adeline.

«Ma sei impazz...» cominció Helen, ma l'amica le impedì la parola, coprendole la bocca con una mano.

«Helen...Arthur Weasley è stato ferito...è stato un serpente» farfuglió, sconvolta come non mai.

«Hermione Granger mi ha fermato nella sala comune per dirmelo. I Weasley sono al quartier generale, o probabilmente al San Mungo»

Helen si sentì venir meno. Arthur Weasley. Non poteva essere. Pensó alla povera Molly, alla paura che avesse provato.

«Come sta?» domandó istintivamente 

«Helen non c'è tempo, devi andare lì. Vai da Piton, lui saprà dirti cosa fare» poi Adeline si affrettó, dandole un bacio sulla guancia e stringendola forte.

La vide correre in direzione dell'uscita: sarebbe tornata a casa, e avrebbe preso l'espresso dalla stazione di Hogsmeade.

Piton. 

Pensó Helen, poi si affrettó alle scale, trascinando il bagaglio alla meno peggio.

Sapeva dove lo avrebbe trovato: al ripostiglio, nel corridoio degli Arazzi. 

Mentre si dirigeva lì, alcuni dipinti cercarono di raccomandarle di non correre troppo, ma invano.

Helen correva così veloce, che avrebbe potuto lanciare per aria qualsiasi persona le si fosse parata dinanzi. Pensava ai gemelli, a come si sentissero, al signor Weasley, sperando fosse ben lontano dalla morte, e a Molly, che non avrebbe mai voluto perdere neanche un pezzo della sua famiglia; era il suo incubo peggiore.

Quando fu arrivata al ripostiglio, trovó Piton, quasi ad aspettarla. I capelli neri e oleosi gli circondavano il viso giallastro, conferendogli un aspetto torvo, cupo, anche più del solito. Helen si sentì sotto inquisizione, dinanzi al suo penetrante sguardo.

«Sistemi quella camicia» la ammonì a denti stretti.

Era pur sempre il direttore di serpeverde. Helen cercó di stirare le pieghe con le mani.

«Io... ecco» cominció Helen, ma venne zittita per la seconda volta in quella giornata.

«Risparmi chiacchiere inutili, signorina Clark, e non si aspetti alcun trattamento di favore» scandì bene le parole, una per una. Helen era abituata a quel modo di fare così distaccato, a tratti si chiedeva se quell'uomo avesse un cuore.

Poi il professore la invitó ad entrare, serrando la porta con un incantesimo. Come Helen aveva ipotizzato, Piton stava facendo l'inventario, suo solito prima delle feste, per essere certo che qualche studentello non sgraffignasse alcuni dei suoi preziosi ingredienti.

Il professore prese una vecchia ampolla scheggiata, recitando: «Portus», con un tono piuttosto gelido e indifferente. Arthur era un membro dell'ordine, come poteva non interessargli un minimo?

Mentre Helen lo guardava, capì il perché si fosse svegliata con quel brutto presentimento.

«Ha mai preso una passaporta?» domandó; Helen annuì. «Bene, questa la condurrà lì, sanno del suo arrivo». Senza pensarci troppo, Helen chiuse la man attorno a quell'oggetto, e prima di scomparire, auguró a Piton buone feste, ma la sua espressione non mutó di una virgola. La fissó solamente, con il solito cipiglio.

 

Helen atterró con un tonfo sul pavimento di quella che era stata la casa della dinastia Black. Pensó che tutti stessero dormendo, vista la notte movimentata che avevano vissuto. Era sicura che quell'odioso elfo domestico sarebbe sopraggiunto da un momento all'altro, ma ad assicurarsi che quel rumore non fosse qualche intrusione, fu Sirius.

«Helen!» esclamó, aiutandola ad alzarsi con un gesto della mano. Le faceva ancora strano vederlo lì, dopo aver osservato a lungo tempo il suo volto, spiaccicato sulla foto segnaletiche. Sirius era infinitamente gentile in realtà.

«Stai bene? Vieni, ti faccio mangiare qualcosa. Stanno tutti dormendo». Sirius le fece strada fino alla cucina, e la ragazza non accennó a rifiutare: il suo stomaco brontolava forte.

Sirius le servì una razione di uova e pancetta croccante, e lei mangió in silenzio, forse troppo impaurita per chiedere informazioni di alcun tipo.

Voleva sapere dove fosse suo padre, come stesse il signor Weasley, come si fosse sentita Molly.

«Sirius, dov'è mio padre?» chiese poi, non potendone più di quel silenzio.

«È con Arthur al San Mungo, è rimasto con lui, cosicché Molly potesse tornare. Anche Bill è con loro» spiegó, Helen si sentì rassicurata. «Tra poco Tonks e Moody vi porteranno lì, non temere».

Dopo aver mangiato a sufficienza, Helen si materializzó, con uno scoppio, al piano di sopra.

Entró piano nella stanza in cui aveva alloggiato durante l'estate, notando che Ginny stesse ancora dormendo. Posó il bagaglio sul letto, si sfiló l'uniforme e la sostituì con altri vestiti.

Guardó il volto assopito della rossa, rimboccandole un po' la coperta; doveva essere stata una lunga notte, traboccante di ansie e preoccupazioni.

«Helen» la chiamó qualcuno dal corridoio. La bionda riconobbe quella voce, o quelle voci, così si lanció fuori silenziosamente, quanto velocemente, cercando di non destare gli altri ospiti della casa.

Non appena vide i gemelli, balzó verso di loro, riempiendoli di baci.

«Vacci piano Helen, Charlie potrebbe essere geloso!» ironizzó Fred, appoggiato da George che aggiunse: «Chi non sarebbe geloso con due fusti come noi a fargli la concorrenza».

Helen rise appena, con il cuore pieno di letizia; si trovava con i suoi migliori amici, le cose sembravano essere già migliorate.

«Allora? Come state voi? E lui? Come è successo?» domandó tutto d'un fiato.

I gemelli la rassicurarono, sebbene fossero anche loro piuttosto scossi.

«Ha rischiato di morire per davvero...»

«È stato merito di Harry, ha avuto una specie di visione»

«Noi crediamo stesse facendo qualcosa per l'Ordine, anzi ne siamo certi»

«...E poi questo serpente gigante lo ha attaccato. Merlino Helen! Quando la mamma ci ha detto che fosse ancora vivo, abbiamo temuto il peggio»

«Avevamo paura ci lasciasse».

 Helen li strinse di nuovo, circondandoli con le esili braccia. «Ora va tutto bene» sussurró loro.

 

Tonks e Moody ebbero cura di scortarli attraverso Londra, conciati come dei babbani.

Helen non era mai stata al San Mungo, e non aveva idea fosse in quello che all'apparenza sembrava un vecchio magazzino. Una strega, molto annoiata, all'accettazione, indicó loro la strada. Tutti si affrettarono dietro a Molly, che come suo solito, si preoccupó molto per Helen, chiedendole come stesse, anche in una circostanza del genere.

Quando furono al piano giusto, Helen scorse suo padre in lontananza, e gli si appropinquò, con le gambe magre che si muovevano rapidamente.

«Papà!» esclamó, lanciandosi tra le sue braccia. 

«Anche tu mi sei mancata, Asticello», era molto raro la chiamasse così, ma Helen notó quanto avesse avuto nostalgia anche di quel particolare.

Si era sentita così distante da tutto.

«Facciamo entrare prima loro, noi andremo dopo» suggerì l'uomo, accarezzandole i capelli amorevolmente. Era sereno ora che sua figlia si trovava con lui.

Quando i gemelli furono usciti, molto più tranquilli, Helen si avvicinò loro. 

Tonks, Moody e Molly erano dentro, suo padre si era recato alla sala da tè dell'ultimo piano, per bere qualcosa di caldo.

«Come sta?» domandó, analizzando i loro volti, alla ricerca di una qualche sensazione.

«Meglio, ma il sangue non accenna a fermarsi» fece George

«E non vogliono dirci nulla. Secondo noi papà stava tenendo d'occhio qualcosa»

«Si, giá, qualche missione sicuramente»

«Ma possiamo rimediare a questa carenza di notizie!» conclusero i due all'unisono, sorridendo beffardamente e tirando fuori delle orecchie oblunghe.

 

Poco dopo Helen, che nel frattempo si era recata al piano di sopra per chiamare suo padre, scese nuovamente, e potè finalmente incontrare il signor Arthur, che non aveva un'ottima cera.

«Signor Weasley» sospiró. «Sono così felice che stia bene» gli prese le mani. Era per lei un secondo padre, si poteva dire. L'uomo sorrise, ed Helen seppe che non si era perso d'animo.

«Ti ringrazio mia cara, anche se non potró tornare a casa per le vacanze» ammise lui, piuttosto rattristato. Le bende che aveva attorno agli arti erano macchiate di un vivo rosso.

«Ma cosa l'ha attaccata? Un serpente? Come è stato possibile?» domandó, incuriosita da tutto quello.

«Non darti pensieri, mia cara, ora sto bene. Tuo padre mi ha tenuto compagnia prima, insieme a Bill, mi è stato di grande aiuto» la rassicurò lui. Ma Helen seppe che non avrebbero mai potuto dirle la verità in merito a quella notte. Volse uno sguardo a suo padre, compiaciuta delle parole del signor Weasley. Finalmente quel brutto presentimento si dissolse, rimpiazzato da una sensazione migliore.

Adesso era sicura che anche la signora Weasley stesse meglio, il peggio sembrava passato.

O forse il peggio doveva ancora venire.

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Capitolo 51
*** Capitolo 47 - Reclutamenti ***


Charlie aveva saputo dell'aggressione, da parte di un serpente, di cui era stato vittima suo padre. Lo avevano ricoverato al San Mungo ed era venuto a conoscenza dell'accaduto tramite una lettera, speditale dal fratello Bill. Non riceveva più notizie da settimane; immaginava quanto fossero tutti, tanto preoccupati, quanto indaffarati. Avrebbe voluto tornare, stare accanto alla propria famiglia, tuttavia, sapeva bene quanto fosse  poco possibile e di quale importante compito fosse stato incaricato: reclutare nuovi maghi propensi ad unirsi all'Ordine.

Quella notte non era riuscito a chiudere occhio, pensava al padre, cosa avesse provato alla vista del suo aggressore: probabilmente paura, scorrergli nelle vene, terrore, scaturito dal pensiero di cosa gli sarebbe accaduto di lí a poco, una morte agghiacciante.

Aveva pensato a loro? Ai suoi figli? A sua moglie? A cosa avrebbe lasciato?

Poi gli venne in mente la madre e la sensazione percepita alla vista del loro orologio, che non segnava l'ora, ma lo stato di salute di ogni membro della famiglia Weasley. Immaginava quanto lo sconforto, alla vista delle lancette del marito, l'avesse invasa, trafiggendole il petto. 

Ma forse non lo aveva notato, si auguró.

Conosceva bene sua madre e sapeva che, come qualsiasi altra madre e moglie, si preoccupava della salute di tutto loro, mettendo il loro bene davanti al proprio. Per questo avrebbe fatto di tutto, avrebbe persino dato la vita, per difendere anche un solo componente della famiglia. Immaginava i propri fratelli, ad Hogwarts, mentre venivano a conoscenza dell'aggressione; ognuno di loro aveva reagito sicuramente in modo differente, ma Charlie di una cosa era sicuro, che , per quanto la loro famiglia fosse stramba e fossero tutti diversi tra loro, una cosa li accomunava: la paura di perdersi. 

"Persino Percy" pensò, tenendo gli occhi fissi al soffitto, mentre ricordava il litigio tra il fratello e il padre, avvenuto durante quella stessa estate.

 

Quella sera, di una rigida giornata di febbraio, Charlie avrebbe dovuto incontrare due maghi alla "Taverna del drago", piccola locanda che si trovava proprio nel villaggio, l'unico, nei pressi dell'allevamento in cui lavorava. 

Era teso, davvero molto. Sapeva quanto fosse complicato convincere altre persone a mettersi in gioco, ad esporsi, a schierarsi a favore di una causa, soprattutto senza prove concrete. Durante tutto il giorno aveva cercato di apparire quanto più rilassato possibile, ma se c'era una cosa che Charlie Weasley proprio non sapeva fare, quella era dissimulare i propri stati d'animo. Nonostante ciò dovette cercare in ogni modo di non destare sospetti, soprattutto in presenza del proprio capo. Il signor Romanov si comportava stranamente negli ultimi mesi, Charlie era convinto lo tenesse d'occhio, anzi, che tenesse d'occhio tutti coloro che avrebbero potuto essere schierati dalla parte di Silente; le voci erano arrivate in fretta ovunque. 

Quell'uomo non aveva un bel carattere, questo era risaputo, ma non sembrava comunque sè stesso, come se fosse stato affatturato, stregato, o meglio, come se fosse sotto la maledizione Imperius. 

Charlie, dopo mesi di attenta osservazione, ne era quasi sicuro; d'altronde, quale cosa più vantaggiosa, per i Mangiamorte, tenere sotto controllo un uomo a capo di un intero allevamento di draghi?

Non aveva, tuttavia, ancora informato Jacob dell'incontro che avrebbero avuto quella sera stessa, glielo avrebbe riferito poco prima di andare; conosceva l'amico troppo bene per sapere che non sarebbe riuscito a trascorrere la giornata senza far trapelare qualcosa dai propri atteggiamenti, era un libro aperto, proprio come la sorella.

Gli venne in mente Helen, quanto gli mancasse il suo profumo, la sua pelle, la sua bocca, i suoi soffici capelli. Aveva bisogno di lei; aveva bisogno di averla a fianco. Charlie Weasley aveva conosciuto l'amore, appreso cosa volesse dire innamorarsi, amare qualcuno a tal punto da avere nostalgia di lei, ogni qualvolta vedesse qualcosa che potesse ricordargliela. 

Poche settimane prima, Charlie stava leggendo un piccolo opuscolo intitolato "I Draghi nella letteratura" e si imbattè in un paragrafo, in cui era menzionato Re Artù, un uomo, forse l'unico, capace di aver ucciso un Nero Delle Ebridi. Alla vista di quel nome, a Charlie venne in mente Helen, la spiaggia e poi, il loro primo bacio, alla Tana. Un leggero brivido gli percorse la schiena, poi una stretta allo stomaco: aveva paura per lei. Sperava che stesse bene, avrebbe voluto avere sue notizie. Essere lontani gli provocava un vuoto immenso, si sentiva impotente. Non avrebbe potuto difenderla, proteggerla, nel caso qualcuno o qualcosa avesse voluto farle del male; lui non sarebbe stato lí, non lo avrebbe evitato e se  le fosse accaduto davvero una qualsiasi cosa, lui non se lo sarebbe mai perdonato, pur sapendo che non ci fosse altro modo, per loro, se non stare divisi; avrebbero avuto tutto il tempo per stare insieme, una volta che le cose si fossero sistemate.

 

Stava nevicando, un freddo gelido si insinuava nelle ossa, congelando persino gli organi interni.

Tuttavia Charlie e Jacob sembravano tutt'altro che infreddoliti. Ogni qual volta fosse necessario incontrare nuovi maghi, i due non riuscivano stare sereni, si preoccupavano, avevano timore di fallire. 

Il sangue gli ribolliva dentro.

Entrambi sapevano bene che ogni esito negativo sarebbe stato un punto a loro svantaggio, a svantaggio dell'intero Ordine. Avevano bisogno di nuovi membri in grado di supportarli in caso di un eventuale attacco di Colui-che-non-deve-essere-nominato e del suo esercito di Mangiamorte. Charlie sapeva bene che i seguaci di Voldemort, allo stesso modo di quelli di Silente, stessero reclutando nuove teste pronte a schierarsi dalla parte dell'oscurità. Arrivarono alla taverna all'orario stabilito: le 22 in  punto. Una volta entrati, Charlie si guardò intorno, coprendosi il volto con il cappuccio del mantello, che aveva tirato su prima di varcare la porta d'ingresso. Jacob lo imitò; avrebbero dovuto essere poco riconoscibili, mantenendo un profilo basso, quanto più possibile.

Incrociarono gli sguardi di due uomini posti in fondo alla sala, seduti attorno ad uno dei tavoli; li raggiunsero, passando attraverso le persone che ballavano e bevevano in mezzo alla stanza.

Si sedettero proprio di fronte a loro.

«Parola d'ordine?» chiese l'uomo alla destra.

«Enidro» rispose Charlie, intravedendo, poco dopo, un piccolo sorriso abbozzarsi. 'Enidro' significava Ordine, letto al contrario, un termine semplice quanto difficile da comprendere, che avrebbero potuto utilizzare come messaggio criptato, un po' allo stesso modo in cui si usavano nella stessa Hogwarts per entrare nei dormitori delle proprie Case.

L'uomo che prima aveva parlato, continuò, questa volta incrociando lo sguardo di Charlie:

«Voi dovete essere i figli di Arthur e Thaddeus. Bene.»

Aveva degli occhi di un nero profondo, che sembravano gelare chiunque incontrassero, che luccicavano come insetti. Aveva una profonda cicatrice che gli attraversava tutto il volto, una barba grigia e dei capelli brizzolati. L'altro uomo, invece, era calvo, con occhi marroni e una barba ispida. 

«Ragazzo» iniziò l'uomo calvo. «Noi siamo andati via dall'Inghilterra, anni fa, per lo stesso motivo per cui voi ci state proponendo di tornare», fece una breve pausa «Cosa ti fa pensare che potremmo accettare?»

Il tono del mago non era per nulla confidenziale, era palese che non si fidassero di loro, almeno non totalmente.

«Non vi chiediamo di tornare, solo di sostenerci, nel caso in cui...Voi-sapete-chi decidesse di uscire allo scoperto e attaccare» spiegò Charlie, guardandosi attorno e abbassando la voce nel momento in cui dovette alludere a Voldemort. 

«Chi ve lo dice che sia davvero tornato? Non avete prove» intervenne l'uomo alla destra.

«Avete sentito dell'attacco dei Mangiamorte alla finale di Coppa del Mondo di Quidditch?»

Questa volta a parlare fu Jacob, il quale, notò Charlie, aveva un'espressione piuttosto preoccupata.

«Si certo che l'abbiamo sentito, ma quelli sono fanatici, potrebbe essere stata solo frutto della lor-»

«Hanno evocato il Marchio Nero» lo interruppe Charlie.

L'uomo sembrò cambiare espressione, scambiandosi un'occhiata con l'altro, tornando poi sul dragonologista, come aspettando che continuasse a parlare.

«E poi ci sarebbe dell'altro» si interruppe, forse per creare la giusta atmosfera o semplicemente per analizzare le espressioni suoi volti dei due maghi.

«Il ragazzo» abbassò nuovamente la voce «Harry Potter, lui è con noi, dice di averlo visto. Dopo l'ultimo incontro del Torneo Tre Maghi è comparso con il corpo di un altro concorrente, il figlio di Amos Diggory. La coppa era stata trasformata in una passaporta e la gara, manomessa da Crouch Jr».

Gli occhi dei suoi interlocutori erano sgranati.

«Potter? Il ragazzo della cicatrice?» chiese l'uomo calvo.

«Proprio lui» asserrí Charlie

«E voi gli credete?» domandò, questa volta, il mago con il volto sfregiato. 

«Che senso avrebbe non farlo?» rispose deciso lui. Aveva gli occhi puntati in quelli dell'uomo, il quale sembró tentennare; poi guardò nuovamente il compagno.

«Vogliamo crederci, vi diamo il nostro appoggio, ma torneremo in Inghilterra solo se strettamente necessario.» accordó il mago alla sinistra.

Charlie sorrise, mentre Jacob tirava fuori una piccola pergamena e una piuma.

«Apponete una firma qui» disse poi il fratello di Helen.

I due maghi fecero come richiesto e appena terminato, Jacob si preoccupò di far sparire tutto il prima possibile, in modo tale da non attirare sguardi indiscreti.

Poco dopo si avvicinò una ragazza bruna, con un grembiulino allacchiato in vita. Si trattava di Esme, la cameriera della locanda.

«Posso portarvi qualcosa, signori?» chiese, sfoggiando un cortese sorriso.

«Burrobirra con zenzero, per me» asserrí Charlie, un po' soprappensiero, tanto da non ascoltare neanche cosa gli altri avessero ordinato, ma si trattó probabilmente di whisky incendiario.

«Come piace ad Helen» disse improvvisamente Jacob, guardandolo ed incurvando le labbra leggermente.

Sentire il nome della ragazza lo destò dai pensieri, inducendolo a fissare l'amico con fare interrogativo.

«Helen prende sempre burrobirra con zenzero» spiegó lui, emettendo, poco dopo, un sospiro.

 «Mi manca» aggiunse Jacob, tenendo lo sguardo dritto avanti a se'.

«Anche a me» ammise Charlie, senza alcuna vergogna.

Gli mancava davvero e non lo avrebbe negato.

Quando furono arrivate le bevande, Charlie issò il boccale, alla salute dei due nuove membri dell'Ordine.

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Capitolo 52
*** Capitolo 48 - Aquila Reale ***


Se Helen avesse dovuto scegliere un termine per quel Natale, sarebbe stato: fuori dalle aspettative.

Il quartier generale di Grimmauld Place si era rivelato molto accogliente. Tutti si erano impegnati a decorarlo al meglio, al punto tale che anche le teste imbalsamate dei vecchi elfi domestici furono addobbate con finte barbe e cappelli rossi. 

Fu un Natale molto diverso dagli altri, all'insegna delle assenze, ma nonostante questo, Molly lo rese speciale con i suoi tipici maglioni variopinti, che Helen amava alla follia. La facevano sentire a casa.

Infatti fu molto contrariata quando vide la signora Weasley piangere per il fatto che Percy avesse mandato indietro il suo. Helen cercó di tirarle su il morale, dopotutto Percy era sempre stato un tipo particolare, con un ego spropositato. I gemelli furono più diretti, asserendo che Percy fosse un: «ammasso di cacche di ratto».

Un susseguirsi di alti e bassi contraddistinsero quei giorni, ma un pensiero fisso occupó la mente di Helen: ovviamente Charlie. Si chiese come avesse passato il Natale, se lì facesse così freddo da screpolargli le mani, rendendole più ruvide del normale. Avrebbe voluto vederlo materializzarsi lì, forse lo avrebbe persino baciato sotto al vischio; ma lui non c'era, e non poteva esserci. 

E poi Jacob, il suo porto sicuro, la sua fortezza, sangue del suo sangue. Quell'anno non gli avrebbe fatto un regalo, e non ne avrebbe ricevuto uno da lui.

Ma non importava dei regali, era tutto fugace in fin dei conti. Helen comprese più di sempre, che a contare davvero fosse il calore umano.

E lei avrebbe voluto, con quel calore, preservare Charlie dai tempi gelidi.

I gemelli la capivano, erano gli unici; le rivolgevano occhiate consolatorie ogni volta che scorgessero un minimo velo di nostalgia nei suoi occhi chiari. 

 

Al termine delle vacanze, Moody e Tonks, scortarono tutti loro ad Hogwarts, servendosi del nottetempo. 

Helen non ci era mai salita, e quella, ne fu abbastanza sicura, fu anche l'ultima volta che vi metteva piede sopra. Il viaggio era stato un susseguirsi di sterzate, frenate e brusche curve; constató che, come lei, anche Ron fosse verdognolo in viso.

Quando il bus li ebbe lasciati ad Hogsmeade, la tentazione di baciare il suolo per la felicità fu incontenibile. Ma fu spazzata via, non appena tutto loro ebbero rimesso piede nella scuola, dove ad attenderli, oltre alle altre responsabilità, vi fosse Dolores Umbridge.

A sconvolgere, peró, la vita degli studenti, più del resto, e più della donna-in-rosa, fu una notizia che comparve sui giornali poche mattine dopo il rientro: Evasione in massa da Azkaban, e la colpa di questo fu attribuita a Sirius. Da non credere.

Un vociare si estese dal tavolo dei professori alla sala grande. Tutti erano tesi, tranne la Umbridge, che cacciava alla bocca grandi cucchiaiate di porridge.

Ma come faceva ad essere così tranquilla? 

"Beh, hanno trovato il capro espiatorio, come al solito" si rispose. 

Come facevano a ignorare l'evidenza? Voldemort era tornato, e i dissennatori erano passati alla sua schiera. Eppure tutti fingevano di non vedere; forse perché la realtà faceva molta più paura di quello scenario di falsa tranquillità.

Le lezioni dell'ES registrarono un certo miglioramento dopo quella notizia. Tutti presero ad impegnarsi con maggior fervore, probabilmente sentendosi sotto pressione. Era come se ognuno di loro percepisse il fiato dei mangiamorte sul proprio collo.

«Non temere Helen, non appena saró un auror, quei tipi dovranno cominciare a temere» la rassicurò Adeline, con un tono scherzoso.

Oltretutto, sembrava che, dopo una pubblicazione straordinaria sul Cavillo, in cui Harry raccontava tutto ció che fosse accaduto alla finale Tremaghi, la gente avesse cominciato a rinsavire; per quanto la prospettiva di credere che voi-sapete-chi fosse tornato, apparisse tremenda, negarlo era anche peggio.

In tutto quel caos i gemelli si stavano dando da fare. Avevano perfezionato le già note merendine marinare, e avevano lanciato tra gli studenti una nuova invenzione: cappello decapitante.

Helen fu ben felice di notare come le loro pensate fossero in grado di rallegrare le persone, persino in tempi del genere. Con soli due galeoni, molti studenti dal primo anno a salire, si accaparrarono quegli strambi copricapi a punta, ornati di piume rosa.

 

Era un tranquillo pomeriggio di venerdì, quando Helen, piuttosto pensierosa, stava prendendo una boccata d'aria sul ponte coperto. Aveva gli occhi persi oltre le chiome della foresta, che si scorgeva in lontananza, quando il vento cominció a soffiare forte, costringendola a tornare all'interno del castello. Amava i suoi momenti di solitudine.

In poco tempo fu nel cortile dell'orologio, decisamente più riparato dalle folate gelide. 

Tre ragazzi del primo anno si divertivano con i cappelli decapitanti; erano di tre diverse case e questo scaldó il cuore di Helen, pensando alla canzone che il cappello avesse intonato all'inizio dell'anno. Poi ad un tratto le loro risate cessarono, ed Helen sentì uno scalpitio nella direzione opposta.

Volse lo sguardo in quella direzione, constatando che  dei tre fosse rimasto un solo giovane tassofrasso, immobile, con il cappello tra le mani. Dinanzi a lui c'era quella vecchia megera della Umbridge. Helen si avvicinò prontamente.

«Chi ti ha dato questo cappello?» domandó lei, strappandolo dalle mani del ragazzino.

Helen si interpose tra loro, rispondendo impettita: «Sono stata io!».

La donna fece un passo indietro, guardandola dall'alto in basso.

«Hem hem» si schiarì la voce. «E lei, dove lo ha preso?» domandó, più adirata di prima. Sentì il ragazzino indietreggiare alle sue spalle, sperando avesse avuto la decenza di correre lontano da lì.

Poi una voce risuonó nel cortile vuoto; una voce che lei non si sarebbe mai aspettata di sentire.

«In realtà, gliel'ho prestato io». Grace Fawley la affiancó, scuotendo la chioma scura. Helen non si sarebbe mai aspettata una cosa del genere.

«E lei, signorina Fawley, dove lo ha preso?» parló a denti stretti, ma Grace non si fece intimidire.

«L'ho trovato, ma non ricordo dove» proferì, scrollando le spalle. La Umbridge emise una risatina stizzita.

«Voi due, credete che io non sappia a che gioco state giocando? E da lei, signorina Fawley, non me lo sarei mai aspettato... Cosa penserà suo padre di questa vicenda?» parló con tono falsamente dispiaciuto. «Venite con me, mie care, vi insegneró a non avere più questa presunzione».

Giró i tacchi, invitando le ragazze, che si scambiarono un'occhiata, a seguirla.

Helen pensó che avrebbe potuto schiantarla alle spalle, ma non le conveniva peggiorare la sua sorte. Si era messa già in un bel pasticcio. E con lei c'era Grace, l'ultima persona che avrebbe immaginato di avere accanto. E l'aveva anche difesa.

«Adesso imparerete... Sono io l'inquisitore supremo!» bofonchiava quell'antipatica della Umbridge, mentre salivano le scale, dirette verso il suo ufficio. Helen deglutì, come minimo avrebbe ricevuto una punizione.

«Professoressa...» provó Grace, ma quella faccia-da-rospo la zittì con un gesto della mano, aggiungendo: «Ancora un'altra parola, e non vedrete i M.A.G.O. neanche dal telescopio della torre di astronomia».

Gli studenti le guardavano passare, scuotendo la testa, dispiaciuti per quello che sarebbe toccato loro.

Quando furono nell'ufficio dell'inquisitore, Helen avvertì un senso di nausea, era tutto così rosa.

La donna si mise a sedere dietro alla scrivania, versandosi del tè, e invitando le due ad accomodarsi dinanzi a lei.

«Cosa vuole fare nella vita, signorina Clark?» squittì quella, puntando i suoi occhietti in quelli di Helen. La ragazza ci pensó su, non le avrebbe mai detto la verità. 

«Voglio lavorare al ministero, naturalmente» fece con un tono palesemente irrisorio

«Allora dovrá imparare che, al ministero, come qui ad Hogwarts, esistono dei superiori, e che lei non dovrà mai impicciarsi negli affari che non le riguardano» spiegó lentamente, con una voce fastidiosamente melliflua.

«E lo stesso vale per lei, chiaramente, signorina Fawley».

Le due si scambiarono un altro sguardo, mentre la Umbridge prendeva una serie di piume da un cassetto della scrivania.

«Adesso, voglio che scriviate per me: "Non devo intromettermi"» fece, ponendo loro le piume e dei fogli di pergamena dalle sfumature rosa.

«L'inchiostro?» domandó Grace, con tono secco.

Un sorriso da orecchio a orecchio si aprì sul viso della donna, aveva un che di malefico, poi rispose: «Mia cara, non è necessario».

E così le due cominciarono a scrivere, e bastarono pochi istanti per rendersi conto del motivo per il quale l'inchiostro non servisse. Con un dolore acuto, la frase si impresse sul del dorso della mano, come un monito perenne. Nessuna delle due parló, strinsero i denti, sopportando quel forte bruciore che dilaniava la pelle chiara di entrambe.

Quando la loro pelle fu sufficientemente scavata da quell'incisione, la Umbridge le congedó con un sorriso, quasi felice del suo lavoro.

Non appena furono fuori, si affrettarono ai sotterranei, senza dire una parola. Solo quando furono sufficientemente lontane, Helen sbottó: «Quella vecchia megera, lei meriterebbe una punizione!» 

«Puoi dirlo forte» la supportó Grace.

Poi le afferó il polso, cogliendola di sorpresa, e tirandola dietro ad un pilastro, per nascondersi da altri sguardi.

«Tieni questa, ho letto che puó essere utile» così dicendo, le passó una boccetta di essenza di Purvincolo. Helen sgranó gli occhi: la regina delle Serpi che le dava aiuto per la seconda volta.

«Comunque quei capelli decapitanti sono davvero... particolari» aggiunse, sorridendo. Non l'aveva mai vista sorridere probabilmente.

«Grace, io ti ringrazio, ma sul serio non...», Helen si rese conto di star parlando al vento, Grace l'aveva preceduta, allontanandosi, verso i sotterranei.

Guardó la boccetta che aveva tra le mani, sorrise a sua volta. Era stato tutto così bizzarro, ma senza di lei, probabilmente le cose sarebbero potute andare peggio. Era certa che se Silente avesse saputo di quella vicenda, avrebbe spedito quella donna malefica il più lontano possibile.

 

 

Quella sera Harry aveva annunciato ai membri dell'ES che si sarebbero esercitati con i patronus; tutti avevano accolto la notizia con gioia, prendendo a impegnarsi e a seguire i consigli di Harry.

Per evocare un patronus si doveva essere estremamente concentrati su un ricordo felice, il più felice possibile.

Helen si prese il suo spazio, portando la bacchetta davanti a sè e chiudendo gli occhi.

Cominció a passare in rassegna una serie di ricordi felici, ricordi che per lo più riguardavano sua madre, la sua voce rassicurante, le volte in cui la portasse a prendere il gelato da Florean o il modo in cui metteva a letto lei e Jacob la sera, baciandogli la fronte. Ma c'era un problema: quei ricordi erano abitati anche dalla mancanza, dal vuoto, dalla tristezza; per quanto rappresentassero momenti di gioia, non erano abbastanza.

Poi Helen pensó agli ultimi avvenimenti, a Charlie. 

Si, Charlie. La sera in cui le aveva detto che l'amava.

Le loro labbra unite in un bacio.

«Expecto patronum» sussurró, con un sorriso in volto, pensando a quegli istanti in cui si era sentita così viva. Una scia argentea uscì dalla bacchetta, prendendo la forma di una maestosa aquila reale, che voló in tondo nella stanza. Harry la guardó compiaciuto. 

Quello era il suo patronus, quello era il suo ricordo felice. Fu un attimo di felicità immensa, seguito dal panico più assoluto: la Umbridge aveva scoperto tutto e stava andando lì.

Harry gridó a tutti di correre via, spronandoli, ed Helen non se lo fece ripetere. Afferró Adeline e si lanciarono verso la porta, poi fuori, poi lungo le scale. Si fermarono quando furono sufficientemente lontane da quel caos, ansimanti per quanto veloce avessero corso, con me gambe che tremavano.

Se fosse stata scoperta, Helen avrebbe rischiato seriamente, dopo la recente punizione.

Una serie di domande le invasero la mente, ma in particolare una: cosa sarebbe successo ora?

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Capitolo 53
*** Capitolo 49 - Tiri Vispi Weasley ***


L'esercito di Silente era stato scoperto e quest'ultimo si diceva fosse scomparso proprio davanti agli occhi del Ministro e della Umbridge, la quale, era stata ora nominata Preside. Giravano, inoltre, parecchie voci a riguardo: che Harry e un'altra ragazza, Marietta, fossero stati gli unici studenti presenti; che Silente avesse steso lo stesso Fudge, faccia-da-rospo e due Auror. Addirittura, Helen, sentí dire da alcune ragazze del secondo anno che il Ministro fosse stato ricoverato al San Mungo, con una zucca al posto della testa.

Quella mattina di Aprile, Helen trovò tutte le mura del castello tappezzate di avvisi: 

 

 "PER ORDINE DEL MINISTERO DELLA MAGIA

Dolores Jane Umbridge (Inquisitore Supremo) sostituirà Albus Silente in qualità di Preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts."

 

 Le cose non sarebbero potute  andare peggio di cosí, i restanti mesi nella scuola furono un continuo decadere.

Circa una settimana prima sia Helen che Grace erano state sottoposte a una delle medioevali punizioni della Umbridge; aveva sentito la pelle bruciare posando l'inchiostro sulla pergamena, come se quest'ultimo fosse stato una lama, che scalfiva sempre più in profondità. Scacció, scuotendo la testa, il ricordo di quell'orribile momento.

Si passò un dito sulla cicatrice. Non le faceva più male, più che altro, ogni tanto pizzicava, ma era un fastidio sopportabile, in confronto al dolore dei giorni precedenti, cosí acuto, da indurla a ricorrere, piú e piú volte, all'essenza di Purvincolo.

Ripensò a come Grace l'avesse appoggiata; Helen non avrebbe mai creduto possibile un'azione del genere da parte della Regina delle Serpi, che, per la seconda volta, l'aveva colta di sorpresa.

"Forse non è poi come gli altri la descrivono" pensó tra sè e sè, avvolgendo la mano in delle bende pulite ed uscendo poco dopo dalla stanza.

Il cielo della Sala Grande era nuvoloso, ciò significava che il tempo fuori non fosse sicuramente dei migliori. Si sedette al tavolo dei Serpeverde e proprio mentre stava afferrando del bacon croccante, una persona le si sedette a fianco. Pensò subito che fosse Ava, o Logan.

«Buongiorno» disse Helen, senza nemmeno voltarsi, dando il primo morso alla sua colazione.

«Ciao Helen» 

Sgranò gli occhi, riconobbe la voce e si voltò immediatamente: era Grace.

«Oh, ciao Grace.» replicò, cercando di ingoiare il boccone senza strozzarsi. Le era sembrato più che strano il fatto che la mora si fosse nuovamente avvicinata a lei, considerando quanto risultasse sempre restia ad ogni tipo di contatto con persone che non fossero nella sua cerchia elitaria.

«Devo parlarti» disse, senza mezzi termini. Helen notó che anche lei portasse una benda attorno alla mano.

La sua espressione non sembrava allarmata, ma dal tono che aveva usato, Helen percepí una certa urgenza.

«Oh si dim-» iniziò lei, interrotta subito da un grande e forte boato.

Un'esplosione.

Tutti gli studenti si riversarono nei corridoi, precipitandosi a capire cosa fosse accaduto; Helen e Grace fecero lo stesso.

Un caos incredibile regnava tra le mura della scuola: draghi formati da scintille, sfrecciavano nei corridoi, emettendo vampe roventi e botti assordanti. Grandi girandole rosa sibilavano nell'aria, come dischi volanti e razzi dalle lunghe code di luccicanti. Bengala tracciavano parolacce per aria. Intanto streghe e maghi ridevano, correndo a destra e a manca; professori uscivano dalle aule, alcuni urlavano furibondi, altri erano spaventati, altri ancora sembravano addirittura divertiti. Helen notò la McGrannit incurvare leggermente le labbra, prima di invitare alcuni giovani a rientrare nelle corrispettive classi. 

Un lampo illuminò la sua mente: i gemelli. 

Si voltò, cominciando a camminare a passo spedito attraverso il corridoio.

«Dove vai?» chiese improvvisamente Grace, seguendola. Cercava di starle dietro, scansando qualche botto che sfrecciava in prossimità delle loro teste.

«Dai responsabili» rispose, velocemente, abbasando prontamente il capo, quando una stella argentata rimbalzò sul muro proprio accanto a loro.

 

Helen percorse, a passo svelto, gran parte della scuola, con Grace alle calcagna, in cerca di Fred e George. Sapeva che fossero stati loro a provocare tutto quel caos, ne era certa. Non fu facile trovarli, ma appena li vide sgattaiolare fuori da un passaggio dietro ad un arazzo, urló i loro nomi con un tono molto simile a quello della signora Weasley. A volte le sembrava di immedesimarsi davvero in lei. I gemelli, che erano di spalle, si irrigidirono, voltandosi poco dopo, sfoggiando uno smagliante sorriso. 

«Guarda qui chi abbiamo George, due bellissime ragazze» esclamó Fred, strizzando l'occhio in direzione di Grace, la quale, sembró incurvare leggermente le labbra.

Helen non capiva davvero cosa le stesse succedendo, non sembrava lei.

«Ho notato Freddie» aggiunse George, avvicinandosi a loro, insieme al fartello. «Come possiamo esservi d'aiuto signore?» chiese poi, congiungendo le mani al petto.

«Siete stati voi, vero?» intervenne subito lei, incrociando le braccia e rivolgendo loro uno sguardo torvo.

Notó che Grace aveva assunto la sua stessa posizione e anche lei sembrava piuttosto indignata.

"Sempre piú strano" pensó.

«Ma certo! Vi è piaciuto? Straordinario vero? Avete visto che piroette?» inzió George, con occhi sognanti, mentre imitava con i movimenti delle mani le capriole compiute dai razzi, che ancora si sentivano risuonare all'interno della scuola.

«I Fuochi Forsennati Weasley!» esclamó Fred, entusiasta «Ora, peró, signore abbiamo esaurito le scorte, quindi se volete aggiungervi alla lista delle prenotazioni, sono cinque galeoni per Spari Standard...mh, facciamo quattro galeoni. Trattamento di favore solo per voi!» concluse poi, tirando dalla tasca della divisa un pezzo di carta.

«VOI DUE! MA SIETE...» inveì Helen, non riuscendo a trovare le parole giuste per definire i suoi amici.

«Deficienti! Sconsiderati!» sbraitó Grace, che era ancora accanto a lei. Si avvicinó ai due gemelli, puntando un dito verso di loro, principalmente, notó Helen, verso Fred.

«Ma avete idea delle conseguenze? Ma cosa avete in quel cervello? Cacca di Porlock forse?» continuó la mora con fare minaccioso. Helen rimase a bocca aperta, non credeva ai propri occhi, da quando in quà la Fawley si preoccupava cosí tanto della sorte dei gemelli? Doveva ammettere, peró, che avesse ragione. Cosa passava loro per quelle teste bacate?

«Questa è forte!» rise Fred. «Cacca di Porlock. Non pensavo che una come lei usasse questo linguaggio, signorina Fawley» ironizzó poi, sorridendo in direzione della ragazza, la quale non si mosse minimamente.

«Verrete espulsi, lo sapete questo?» chiese poi, togliendo le parole di bocca ad Helen, la quale si limitó solamente ad annuire.

«A noi non interessa continuare il percorso accademico, non più.» rispose George, più serio di quel che realmente fosse.

Nè Helen nè Grace fecero in tempo a ribattere, che Fred afferró la mano bendata della Fawley, la quale cercó di ritrarla, invano.

George posó poi uno sguardo su quella di Helen e nonostante lei provasse a nasconderla sotto al mantello, la notó.

«Cosa vi hanno fatto?» chiese Fred, preoccupato, non staccando gli occhi da Grace. Nessuna delle due ragazze rispose. Helen non era in grado di guardarli, teneva gli occhi bassi, fissi sul pavimento.

Poi Fred, tolse la medicazione dalla mano della Fawley, imitato da George.

«Non devo intromettermi» lessero lentamente, all'unisono.

«In cosa vi siete intromesse?» chiese George, allarmato e curioso.

Helen cercó di spiegare in breve l'accaduto, di come la Umbridge le avesse punite con quei suoi modi così retrogradi.

I due gemelli si scambiarono sguardi d'intesa, poco dopo la fine del racconto.

«George credo proprio che io e te abbiamo altre cose a cui pensare, oltre alla scuola» asserrí Fred, continuando a guardare la frase incisa nella pelle candida della mora.

«Oh lo penso anch'io, Freddie» ribattè George, deciso.

Helen, sebbene non avesse capito a cosa stessero alludendo, era sicura non fosse nulla di buono. Non diedero loro il tempo di aggiungere altro, che con un cenno del capo le salutarono, percorrendo poi il corridoio in direzione dei loro dormitori.

 

Le vacanze di Pasqua trascorsero tra punizioni, lezioni e preoccupazione. Tuttavia, Helen sembrava sollevata dal fatto che i gemelli non avessero architettato nessuna delle loro bravate. 

"Almeno non si sono messi nei guai"  pensó quella sera, mentre si coricava.

Ma forse aveva parlato troppo presto. 

Difatti, pochi giorni dopo Fred e George attuarono uno dei loro scherzi, il più epico di tutti, che fu in grado di renderli delle vere e proprie leggende nella storia di Hogwarts. Si sarebbero guadagnati anche il rispetto di Peeves il Poltergeist.

Quel giorno, mentre tornava dalla lezione di Aritmazia, Helen notó un ammasso di studenti, tutti accalcati in una zona del quinto piano. Una volta avvicinatasi, vide che la Umbridge minacciava Fred e George, i quali sembravano essere gli artefici della palude che infestava tutto il pavimento.

Helen alzó istintivamente gli occhi al cielo, emettendo un sospiro.

"Ci risiamo" pensó.

«Scoprirete molto presto cosa succede a chi combina guai nella mia scuola» cinguettó la Umbridge, compiaciuta. 

Helen era davvero preccupata.

«Sa una cosa? Credo proprio di no» replicó Fred, ricevendo conferma dal fratello poco dopo.

Accadde tutto così in fretta che Helen non riuscì a comprenderne a pieno le dinamiche.

I gemelli richiamarono le loro scope, che sfrecciarono, ancora legate alle catene e ai pioli, fino ai due proprietari, i quali vi montarono sopra immediatamente.

«A mai più rivederci» disse Fred alla professoressa Umbridge, decisamente sbigottita.

«Si non si disturbi a darci sue notizie» ironizzó poi George.

Fred guardó la folla silenziosa e attenta.

«Se a qualcuno servisse una Palude Portatile, identica a quella che avete visto all'opera, si presenti al numero 93 di Diagon Alley: TIRI VISPI WEASLEY!» annunció a gran voce, aggiungendo che quella fosse la loro nuova sede.

I due si librarono in volo, sotto le urla isteriche di faccia-da-rospo, che incitava il signor Gazza ad acciuffarli. I gemelli diedero direttive a Peeves su come continuare a tormentare la vecchia megera, per poi sfrecciare fuori dal portone.

Helen rimase a bocca aperta, nonostante un senso di soddisfazione le inondasse il petto.

Lo avevano fatto davvero!

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Capitolo 54
*** Capitolo 50 - M.A.G.O. ***


La fuga dei gemelli Weasley sembrò essere l'innesco, se non la causa di tutto il caos che regnò nei mesi successivi. Molti studenti iniziarono a ribellarsi alla Umbridge, che pareva non riuscir più a tener a bada nè i maghi e le streghe, i quali continuavano a servirsi delle Merendine Marinate, lasciate da Fred e George, ogni qualvolta avessero lezione con lei, nè i continui scherzi di Peeves, che continuava a rovesciare banchi, armadietti, sedie, combinando guai a destra e a manca. Aveva mantenuto fede alle direttive lasciategli dai gemelli, poco prima di varcare il portone d'ingresso a bordo delle loro Tornado.

Nonostante il clamore suscitato da questo avvenimento, Helen non poteva non tener conto di una cosa: a breve avrebbe avuto i M.A.G.O, gli esami finali, che le avrebbero conferito il diploma e un posto di lavoro nel Mondo Magico. In quei due anni, aveva chiarito le sue idee in merito, affinando le sue conoscenze in Aritmazia, Incantesimi, Difesa delle Arti Oscure e Antiche Rune, discipline che le sarebbero servite per la carriera di Spezzaincantesimi. Aveva avuto molti dubbi sul proprio futuro, ma, grazie anche all'aiuto di Bill Weasley, che le aveva illustrato tutti i pro e i contro della professione, aveva deciso. Le sarebbe piaciuto davvero viaggiare per il mondo in cerca di tesori appartenuti a maghi e streghe, milioni di anni prima, scoprire tombe, misteri; lo trovava entusiasmante. Il primogenito dei Weasley era stato piuttosto chiaro sui pericoli che avrebbe potuto incontrare durante i sopralluoghi: maledizioni antiche a protezioni di luoghi importanti, maghi oscuri, che non avrebbero esitato a sferrarle contro un Avada Kedavra. Questo in parte la terrorizzava, ma, allo stesso tempo le dava la carica giusta; avrebbe corso il rischio.

 

Le settimane trascorsero così velocemente che ad Helen sembrò fossero volate, incalzate da qualche sorta di strano incantesimo temporale. Il giorno tanto atteso arrivò, ma in verità lei era piuttosto tranquilla, differentemente da Adeline, che dovette farsi somministrare una dose di pozione rilassante. Aveva acquisito una certa maturità, un autocontrollo in grado di tener a bada la propria ansia da prestazione; aveva addirittura dormito tranquillamente quella notte, o quantomeno in modo poco agitato. Helen non era più in grado di provare il vero senso di quiete. Aveva sempre la mente infestata da mille pensieri negativi, che, purtroppo, non erano per niente legati alla sua carriera accademica. Forse, per la prima volta nella sua vita, era riuscita a comprendere cosa intendessero e provassero i gemelli, quando avevano ammesso di avere tutt'altre preoccupazioni; preoccupazioni che andavano ben oltre quelle scolastiche. Le loro vite erano tempestate di paura, non certo per gli esami finali, che Fred e George, d'altronde, non avrebbero sostenuto, ma per tutto ciò che fosse al di fuori di quel castello, tutta l'oscurità che li avrebbe invasi una volta catapultati nel mondo reale, quello senza incantesimi protettivi, quello che non avrebbe indugiato a colpirti, anche alle spalle. Helen avrebbe dovuto prepararsi ad affrontare un duello più grande di quelli combattuti all'ES. 

Le prove scritte furono abbastanza difficili, tuttavia, sentiva di non essere andata cosí male, anzi, era stata in grado di rispondere a tutti quesiti presenti, scrivendo più di cinque righe ad ogni domanda aperta. Era soddisfatta. Il pomeriggio si tennero gli esami pratici, allo stesso modo dei G.U.F.O, e quelli, andarono alla grande, senza alcuna complicazione o inceppo. Mostrò agli esaminatori la massima destrezza nel padroneggiare tecniche e conoscenze, acquisite in quegli anni, nelle discipline scelte. 

«Signorina Clark, lei cosa vorrebbe fare?» le chiese, a fine prova, l'esaminatore di Difesa contro le Arti Oscure.

«Spezzaincantesimi» asserrí lei, decisa. Non voleva mostrare tentennamenti.

«Siamo sicuri» iniziò lui, volgendo lo sguardo prima ai colleghi, poi, nuovamente a lei. «Che la Gringott sarà fortunata ad averla» concluse, sorridendole sotto i folti baffi.

Helen si rassicurò, sentendo un senso di soddisfazione esploderle in petto.

 

I risultati dei M.A.G.O. giunsero molto prima rispetto a quello dei G.U.F.O, questo per preparare i ragazzi e dare loro il tempo materiale per contattare le corrispettive sedi lavorative, registrarsi negli elenchi appositi o iscriversi ai corsi formativi di perfezionamento. 

Quella sera avrebbero dovuto partecipare alla rituale cerimonia del diploma, organizzata per recare un ultimo saluto a tutti i ragazzi del settimo anno, che avrebbero lasciato la scuola, inserendosi nel così detto mondo dei maghi adulti. Helen era più che sicura del fatto che quest'anno non sarebbe stato per nulla come gli altri. Il fastidioso senso di rigore e compostezza della Umbridge avrebbe negato qualunque tipo di festeggiamento, se non un semplice banchetto, forse, qualche applauso e, sicuramente, un noiosissimo discorso in cui avrebbe elogiato il Ministero e suoi perfetti metodi d'insegnamento. 

Helen percepiva il cuore scalpitare nel petto, a breve sarebbe giunto un gufo con i risultati dei M.A.G.O. Il momento tanto atteso arrivò e non appena ebbe finalmente la pergamena tra le mani, cacció un grosso sospiro, srotolandola lentamente, ad occhi chiusi. Quando li riaprì, lesse lentamente:

 

HELEN CLARK HA CONSEGUITO:

 

Antiche Rune: O

Aritmazia: E

Incantesimi: E

Difesa contro le Arti Oscure: O

 

Sorrise da orecchio ad orecchio, prendendo a saltellare per tutta la stanza del dormitorio, dove era sola. Avvertì gioia, sollievo, sensazione che non percepiva da tempo. Era un sentimento di pura euforia; la consapevolezza di avercela fatta, di essere arrivata ad un obiettivo, dopo i tanti sforzi, i tanti dubbi, le tante paranoie. Aveva superato tutti i suoi momenti di titubanza, le volte in cui non si fosse sentita all'altezza di quella professione, le incertezze. La cosa che più la rendeva fiera del proprio risultato fu il fatto che fosse tutto frutto del proprio sacco.

Sì, Bill le aveva dato delle direttive, ma lei si era rimboccata le mani, aveva passato i pomeriggi a studiare in biblioteca, le mattine intere ad esercitarsi. Sapeva che il percorso sarebbe stato solo in salita di lì in avanti, ma era troppo contenta per pensare a cosa sarebbe potuto andare storto e non avrebbe permesso a nessuno, tanto meno a quella megera vestita di rosa di rovinarle la serata.

 

La Sala Grande era addobbata con i colori di tutte le Case, in quanto non si trattasse ancora della cerimonia di fine anno, per cui la Casa vincitrice non era stata ancora annunciata, anche se Helen era certa fosse la propria, considerando i punti che la Squadra d'inquisizione, formata quasi solo da Serpeverde ed ideata dalla stessa Umbridge, stesse detraendo, anche ingiustamente. 

Non era così che Helen avrebbe voluto vincere, non giocando sporco. Non erano tutti come la Raylee e il suo gruppetto di arpie, sebbene molte voci avessero voluto far credere il contrario. Lei stessa aveva costatato, dopo l'esperienza con Grace, che non è la famiglia da cui provieni, nè l'epiteto che ti viene affibbiato, a fare il mago o la strega. 

Mai giudicare un libro dalla copertina, avrebbero detto i babbani, ed Helen non poteva che concordare.

Poco prima dell'inizio della cena, come aveva previsto, la Umbridge si alzò in piedi e dopo aver pronunciato un Sonorus, iniziò a parlare.

«Hem hem» la sua voce stridula perforò le orecchie di Helen, e non solo.

 «Buonasera studenti e studentesse!» squittì. Tutti i presenti tacquero, rivolgendo gli sguardi alla donna, che sorrise compiaciuta.

«Bene, bene. Siamo qui stasera per conferire il diploma finale agli studenti del settimo anno, che d'ora in avanti potranno servire il Ministero nel migliore dei modi, come veri maghi e streghe! Il Ministro Fudge è lieto di farvi sapere quanto sia orgoglioso e felice di accogliere nuovi giovani pronti a proteggere il nostro Ministero con tutte le proprie forze!»

Terminò il suo stupidissimo discorso, iniziando a battere i polpastrelli delle mani, in una specie di applauso, imitata poi dal resto dei professori e studenti, mentre un finto sorriso le si allargò in volto. La odiava. 

 

Il banchetto proseguì senza eccessivi festeggiamenti, anzi, senza alcun festeggiamento. La sala sembrava vuota; si mangiava in silenzio, scambiando ogni tanto qualche chiacchiera sottovoce. Non c'era alcuna gioia, tutt'altro. Verso la fine della cerimonia faccia-da-rospo, cominciò a passeggiare tra i tavoli della Sala Grande, sempre con quella detestabile aria soddisfatta. Dopo una breve sosta al tavolo dei Grifondoro, in cui appuntò alcuni comportamenti sbagliati, sottraendo poi cinque punti ad una ragazza del terzo anno a causa di una camicia, a detta della megera, troppo fuori posto, si fermò accanto a lei.

«Signorina Clark, mi hanno detto che ha conseguito ben quattro materie, vedo che la mia punizione è servita a qualcosa» disse con quella sua insopportabile voce.

Helen le rivolse un sorriso forzato, sperando se ne andasse. Sentiva la rabbia ribollirle nelle vene.

«Allora lavorerà al Ministero, cara?»

Cara? Quella fastidiosa signora, perennemente abbigliata in rosa, aveva forse battuto il cervello contro uno di quegli stupidi quadri di gatti che aveva nel suo ufficio? 

Helen per poco non si strozzò con il boccone che stava masticando.

«Neanche per sogno» rispose astiosa la bionda, mantenendo un'espressione di finta gentilezza.

Vide gli occhi della Umbridge rimpicciolirsi e riservarle uno sguardo a dir poco infastidito.

«Che simpatica che è signorina Clark» rise, rivolgendosi poi a Grace che sedeva poco distante da lei. «Prenda esempio dalla signorina Fawley, lei sarà presto nell'Ufficio degli Affari Interni, un'aspirazione degna di nota!»

Helen vide la mora abbassare lo sguardo nel proprio piatto.

Detto ciò, la Umbridge continuò la sua inquisitoria passeggiata tra i tavoli contornati di studenti.

Augurando il peggio a ciascuno di loro.

 

La cena finalmente terminò ed Helen non vedeva l'ora di tornare al proprio dormitorio, dove credeva di restare per tutta la successiva settimana di pausa, riservata a tutti coloro che avessero affrontato gli esami del quinto o settimo anno. Avrebbe dovuto inviare un gufo al Ministero, in cui richiedeva di iscriversi al corso d'addestramento per Spezzaincantesimi. Assorta nei suoi pensieri, non si accorse di Adeline, che le si affiancò, richiamando poco dopo la sua attenzione.

«Adeline!» la salutò, abbracciandola. Non la vedeva da giorni, immaginava si fosse rintanata nella torre dei Grifondoro, fino a che non fossero arrivati i risultati. 

«Com'è andata?» le chiese, staccandosi, poco dopo.

L'amica incurvò le labbra, assumendo un'espressione a dir poco entusiasta. Tirò fuori dalla divisa la propria pergamena, porgendola ad Helen. 

«HO SUPERATO TUTTI E CINQUE I M.A.G.O, HELEN!» esclamò, emettendo felicità da ogni poro della pelle.

«Complimenti Adeline, sono felicissima per te!» 

Lo era davvero, era davvero orgogliosa dei risultati ottenuti dalla propria migliore amica.

«A te, tutto bene?» domandò, ridimensionando, momentaneamente la gioia. 

«Si, tutte e quattro le materie» rispose lei, con un sorriso.

Adeline le afferrò le mani, iniziando a saltellare.

«SONO TROPPO CONTENTA HELEN! Ora ci tocca superare l'addestramento. Manderò un gufo domani, ANZI QUESTA STESSA SERA!» urlò poi, continuando la sua serie di salti di gioia.

«HEY VOI DUE, CHE STATE FACENDO? NEI DOMITORI SUBITO!» 

Le due ragazze si voltarono in direzione della voce, che riconobbero come quella del sign. Gazza, il quale si avvicinava con fare minaccioso, seguito a ruota dalla propria gatta.

«O sarò costretto a prendere i moduli nel mio ufficio! VIA!» gridò, agitando quella che sembrava una mazza da Battitore.

Helen ed Adeline se la diedero a gambe, ridendo, salutandosi poco dopo, dirette, ognuna, al proprio dormitorio.

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Capitolo 55
*** Capitolo 51 - Accademia ***


Sebbene gli ultimi momenti ad Hogwarts avessero donato ad Helen tanta gioia, quei giorni furono altrettanto caratterizzati da un'ondata di panico.

Tutti i giornali ne parlavano. Ogni testata, ogni titolo raccontava di una sola cosa: Voldemort era tornato, e tutti ora ci credevano. 

Helen stava leggendo l'articolo pubblicato da suo padre stesso, compiaciuta di vederlo in prima pagina. Lo stesso ministro aveva assistito al ritorno di colui che non deve essere nominato, all'interno del ministero, per giunta.

La verità era venuta a galla, e il mondo magico verteva in uno stato di sconforto e terrore. Tutto pareva chiaro ora: le sparizioni, i comportamenti ingiustificati di molti maghi e streghe.

Più di tutto quello, a sconvolgere Helen, fu la morte di Sirius, ucciso per mano di sua cugina Bellatrix Lestrange. Non se lo sarebbe aspettato mai, ma si era affezionata ai suoi modi gentili, a Grimmauld Place e alle squisite colazioni che preparava. Una lacrima le rigó la guancia, pensando a come si fosse sentito il povero Harry, travolto da tutto quello. 

"Almeno ora gli credono" pensó Helen.

Un senso di perdizione le schiacció il petto.

Là fuori l'attendeva il mondo reale, avrebbe detto addio alle rassicuranti barriere del castello, alle aule accoglienti nelle quali aveva vissuto i drammi adolescenziali, alla biblioteca con tutti i tomi polverosi. 

All'esterno c'era un mondo caratterizzato da crudeltà, odio, mancanza di scrupoli. La prospettiva di abbandonare quel posto sicuro proprio in quell'istante, non era rasserenante, ma si fece coraggio. Sarebbe stata più utile là fuori.

Trascorse l'ultimo giorno a camminare per il castello, non lo avrebbe mai dimenticato. Deambuló ovunque, sfiorando le pietrose pareti, contando i passi, che non le sarebbero sembrati mai abbastanza. Suonó per l'ultima volta il pianoforte dell'aula di musica. Lasció che un pianto di gioia, mista a tristezza, le inumidisse le guance, ripensando ai ricordi che avrebbe conservato per sempre: lo smistamento, i momenti con Adeline e i gemelli, il romanticismo sfrontato di Lee Jordan, il ballo del Ceppo, la notte con Charlie nell'aula di divinazione. Aveva paura che quella scuola avesse potuto risentire di ció che stava accadendo, una sensazione così brutta da raggelarle il sangue. 

Si sarebbe incatenata lì con un incantesimo, pur di vegliare su quel luogo felice.

Salutó quel castello, guardando il dormitorio che l'aveva accolta per un ultimo istante, ringraziando ogni singolo attimo passatovi; poi salutó l'Espresso ed il binario 9 3/4, quando ebbe messo piede a King's Cross, forse l'ultima volta per un lungo tempo.

Adeline le strinse la mano, come era solita fare.

«Helen» fece, aveva le lacrime agli occhi. «Grazie, amica mia, per tutto ció che è stato nostro»

«Su, dai, non ci stiamo mica separando» cercó di sdrammatizzare lei, mordendosi le labbra per non scoppiare a piangere.

«Lo so, questo non accadrà mai, voglio che tu lo sappia» rispose, singhiozzando tra una parola e un'altra. «Come voglio che tu sappia che mi hai regalato dei momenti bellissimi».

Adeline la strinse, avrebbe voluto tenerla al sicuro. Helen sapeva benissimo quali fossero i timori dell'amica: entrambi i loro mestieri le avrebbero esposte a molti rischi, e forse aveva paura che qualcosa di più forte avesse potuto separarle.

«Tu non mi perderai, lo hai capito?» la rimproveró Helen, stringendola di più.

Dopo quell'abbraccio, preferirono non parlare. 

Adeline avrebbe frequentato l'accademia degli Auror, Helen avrebbe affrontato l'addestramento da Spezzaincantesimi alla Gringott.

Ognuna delle due prese la propria direzione, con una silenziosa promessa nel cuore.

La Tana sarebbe divenuta il nuovo quartier generale dell'Ordine, ora che Sirius era altrove, lontano dal mondo dei vivi.

Helen poteva tornare a casa sua, dove suo padre l'attendeva, sebbene facente parte dell'ordine, lontano dal pericolo più degli altri, più dei Weasley.

Attese il nottetempo, sebbene si fosse ripromessa di non prenderlo più, e quando fu salita, guardó la stazione allontanarsi. 

«Grazie» bisbiglió appena, poi sorrise.

 

 

Helen era tornata a casa da un giorno soltanto, era più vuota del solito. Non c'era Jacob, non c'era il solito baccano proveniente dalla Tana; c'era suo padre, che fu contento di rivederla dopo tutto quel tempo. L'accolse baciandola, congratulandosi per i risultati conseguiti, commosso. Poi la mise alla prova, facendole recitare una serie di incantesimi protettivi attorno alla loro dimora.

«Niente male, signorina Spazzaincantesimi» si complimentó, ammirandola.

L'indomani, un gufo lasció una lettera per Helen, proveniente dal Ministero, contrassegnata dal sigillo dorato.

Non si era mai ritenuta una persona ansiosa, ma in quel momento le mani presero a tremarle, al punto tale che fu difficile aprirla per svelare il contenuto.

Ma Helen sapeva già che lì dentro vi fosse il suo futuro. Fu presa dalla voglia di correre alla Tana, festeggiare con i gemelli, ma loro non abitavano più lì; un senso di malinconia le montó nel petto, ma lo scacció, aprendo la busta con un gesto secco e leggendo il contenuto della pergamena:

 

"Gentilissima signorina Clark,

Vogliamo informarla che, presa visione della sua brillante carriera scolastica, dei suoi titoli e della lettera di raccomandazione per eccelsa condotta sottoscritta dal docente Severus Piton, la commissione di smistamento ha accettato la sua richiesta per l'addestramento da Spezzaincantesimi.

Il corso di addestramento si terrà alla banca internazionale Gringott, dove le sarà fornito un alloggio e tutte le informazioni necessarie, oltre a quelle giá in suo possesso.

È invitata a presentarsi nella sede sopraindicata il prossimo lunedì.

Le allego la lista dei tomi necessari.

Cordiali saluti.

                                                                

                                                    -Mary Palmateer "

 

Piton aveva scritto una lettera di elogio? Per lei? Helen non poteva credere ai suoi occhi; aveva sempre visto quell'uomo come un connubio di astio e antipatia, eppure non era così, non del tutto almeno.

Quella lettera aveva portato un misto di sentimenti, tra i quali preoccupazione: c'erano così tante cose che doveva fare prima di partire.

 

 

I pochi giorni che restavano furono impiegati da Helen per comprare il necessario e spendere del tempo con suo padre, che sarebbe rimasto solo; questo la rattristava parecchio.

La prospettiva di non poter avere vicine le persone che amava le metteva malinconia.

Trovandosi a Diagon Alley ne approfittó per fare visita ai gemelli, che non vedeva da tempo, e al loro nuovo negozio, dal quale rimase estasiata. 

I gemelli avevano realizzato qualcosa di meraviglioso: l'interno era variopinto e stracolmo di persone che ridevano felici. Helen ripensó alle parole di Fred, la gente aveva bisogno di quelle risate.

C'erano moltissimi articoli, ognuno contraddistinto da una propria singolarità, che riempivano gli scaffali fino al soffitto. I due erano in piedi al centro del negozio, su una scala lignea, urlando le offerte del giorno; si illuminarono in viso quando la videro.

«Helen!» esclamarono. «Finalmente ti vediamo, signorina»

«Adeline è passata ieri, domani partirà per l'accademia. Ci chiedevamo quando saresti venuta, anche tu, ad ammirare la nostra bellezza» disse Fred, alludendo al negozio e allargando le braccia in modo plateale.

«Abbiamo saputo dei tuoi risultati, congratulazioni!»

«È stato Bill a dircelo! Infatti ti abbiamo preparato dei regali».

Non le lasciarono il tempo di dire nulla, che le porsero due pacchi, apparsi dal nulla. Helen gli sorrise, aprendoli curiosa. Uno conteneva un mantello scudo, e i gemelli spiegarono che saperla al sicuro, e proteggerla nel loro piccolo, li avrebbe fatti stare sereni; l'altro, invece, era la pomata "Annullaforuncoli Garantito Dieci Secondi".

«Che simpatici!» fece lei, con sarcasmo

«Non ringraziarci. Bill era pieno di brufoli quando cominció l'addestramento » Fred ricambió quell'ironia.

«Sii prudente Helen, e vieni a trovarci ogni volta che puoi» raccomandó George, parlando a nome di entrambi.

«Grazie ragazzi, non sarà lo stesso senza di voi»

«Noi ci saremo sempre, Helen» rispose Fred, accarezzandole i capelli. Poi si strinsero in un tenero abbraccio, ripensando ai vecchi momenti trascorsi.

 

 

Era ormai una settimana che Helen si trovava alla Gringott. L'addestramento era piuttosto faticoso, doveva ammetterlo, ma non si lasció scoraggiare neanche un istante; la determinazione era una delle sue qualità.

Sorprendente e diversamente da ció che si aspettava, la banca internazionale dei maghi aveva un'intera ala sotterranea, paragonabile ad una vera e propria accademia, che ospitava gli aspiranti Spezzaincantesimi. C'erano due dormitori: uno maschile e uno femminile, abbastanza accoglienti, una piccola aula studio, e un paio di sale per le lezioni frontali. 

Un posto quasi confortevole, e apparentemente sconosciuto a tutti, se non fosse stato per i folletti che si comportavano in modo distaccato e burbero con tutti i maghi e le streghe.

Il primo giorno erano stati accolti da una degli addestratori: Darlene Barron, una bellissima donna sulla trentina, che aveva ispirato, e cercato si demoralizzare tutti loro con un discorso:

«Là fuori sono tempi bui, tanti dei nostri migliori sono scomparsi. Capirete bene che fare questo lavoro non è semplice, per nulla, quindi se volete mollare, quella è la porta - la indicó con un gesto della mano - Servono grande forza e altrettanta energia aurica, valuteremo se sarete capaci e pronti per affrontare questo mestiere. I migliori saranno selezionati per delle missioni speciali, è chiaro che abbiamo bisogno di nuovi Spezzaincantesimi il prima possibile. Dimostrate di essere capaci e sarete premiati, prendete l'addestramento con leggerezza e capirete di aver fatto un sbaglio a mettere piede qui. Buona fortuna a tutti».

Helen era riuscita da subito a stringere amicizia; per quanto la competitività fosse schiacciante, quelle ore estenuanti di studio necessitavano di essere alleggerite. Aveva conosciuto due ragazzi, uno dei quali, ricordó, provenisse da Hogwarts, l'altro dalla scuola americana di Ilvermorny, e una ragazza che aveva studiato a CasteloBruxo: Louis Sutton, Jayden Marsh e Holly Garcia si chiamavano. Tra i tre, notó in Jayden un certo potenziale, sarebbe stato un valido rivale.

Sotto la guida della signorina Darlene cominciarono ad intraprendere lo studio dei rituali base di purificazione e dei principali controincantesimi, accompagnato da un'analisi parallela della storia, della cultura materiale e della topografia antica.

Non mancarono anche allenamenti fisici, a base di duelli, con altri addestratori, nei quali Helen si distinse particolarmente, anche merito di Bill, guadagnandosi una certa stima. 

Dopo diversi mesi passati lì, Helen cominciò ad ergersi tra i suoi colleghi, e a far parlare di sè, conquistando anche le lodi della signorina Barron, che scatenarono l'invidia altrui.

L'autunno era ufficialmente arrivato, e lei aveva passato brillantemente le verifiche di fine estate a cui erano stati sottoposti, motivo per cui non fu molto sorpresa quando seppe che uno degli amministratori, il signor Lederberg, richiese la sua presenza dinanzi alla commissione.

«Si è distinta particolarmente signorina Clark, dobbiamo ammetterlo. Il signor William Weasley ci aveva giá parlato di lei, ma ora abbiamo avuto la conferma delle sue parole. Saremmo lieti di offrire, a tre dei nostri migliori studenti, la possibilità di effettuare un sopralluogo, per come dire, una prima esperienza lavorativa sotto la supervisione di un esperto. Una delle tre destinazioni è la sua»

«Grazie signore, è una grande opportunità, non la deluderó» proferì lei, reprimendo l'istinto di saltare sul posto, come avrebbe fatto con Adeline.

«Essendo stata la migliore puó scegliere fra tre mete: Messico, Romania o Grecia. I dettagli della mansione le saranno spiegati sul posto»

Helen parve non pensarci troppo, sapeva dove il suo cuore la stesse conducendo: «Romania, signore».

«Molto bene. Prepari un bagaglio, partirà questo pomeriggio. La signorina Barron la accompagnerà alla passaporta, il suo mentore la attenderà lì».

 

 

«Beh, vedo che avete incarnato il concetto di passaporta» ironizzó Helen, cercando di smorzare l'aspetto burbero di Darlene.

Si erano smaterializzate sulle rive di un lago; davanti a lei c'era una vera e propria porta, sospesa nel mezzo della acque. 

Era stata costretta ad indossare un vestito blu, che le conferiva un aspetto piuttosto antiquato, al fine di mescolarsi con la popolazione locale.

Strinse il bagaglio che aveva portato, in cui aveva risposto pochissimi indumenti, e si diresse al passaggio. L'acqua gelida le bagnó i piedi.

"Davvero geniale questa trovata!" pensó indispettita.

«Allora, a presto!» esclamó Helen, sorridendo gentilmente alla donna, che ricambió appena; sembrava scocciata.

Afferró la maniglia, a forma di ferro di cavallo, di quella strana porta semidistrutta.

Prima di scomparire Darlene le raccomandó, con sua grande sorpresa, di essere prudente; ma ora il vuoto la risucchiava, la strattonava, la portava lontano.

Il suo cuore era come una bussola, pensó, e in quel momento puntava ad un posto, un posto vicino a Charlie.

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Capitolo 56
*** Capitolo 52 - Romania ***


Romania, Ottobre 1996

 

Helen atterrò perfettamente in piedi, questa volta. Aveva capito che viaggiare con una passaporta fosse molto più semplice dello smaterializzarsi. Aveva fatto pratica e, ormai, poteva dirsi perfettamente capace di farlo senza finire a gambe all'aria, una volta arrivata a destinazione. Quella strana porta di legno sparì, improvvisamente, con un risucchio. Si guardò attorno, tenendo la propria valigia in una mano. Era in un piccolo borgo, molto antico, circondato da valli e montagne, dalle quali svettava un alto castello che incombeva sulle poche abitazioni sottostanti. Aveva un aspetto alquanto lugubre, trasmetteva un senso di imponenza e mistero; doveva essere proprio quella la sede a cui era stata assegnata. Soffiava un leggero vento che le scompigliava i capelli, sollevandole lievemente i bordi del vestito; il sole era quasi del tutto tramontato, le giornate si stavano accorciando. Era ormai Ottobre inoltrato, anche gli alberi stavano iniziando a tingersi dei classici colori autunnali, spogliandosi delle proprie foglie, che fluttuavano nell'aria, ricadendo sul suolo, dove formavano tappeti variopinti. Poco più di un mese e avrebbe compiuto diciotto anni, età che, per i Babbani, rappresentava la porta d'accesso al mondo degli adulti. Un colpo di tosse la destò dai pensieri, facendola trasalire per un momento. Vide una figura avvicinarsi a lei: un uomo. 

«Lei deve essere la signoria Clark» disse con voce rauca «Io sono il signor Gray, William Gray»

Si avvicinò a lei, tenendo le braccia dietro la schiena, poi le tese una mano. Helen ricambiò la stretta, riuscendo, così, a guardarlo in volto. Era un uomo con occhi piccoli e neri, dai capelli grigi incolti e una barba irsuta, del medesimo colore, ma quello che colpì particolarmente Helen, fu una cicatrice che gli solcava il volto, da parte a parte. Non immaginava come avesse fatto a non perdere un occhio, né tanto meno il dolore che avesse provato nel momento in cui se la fosse procurata.

«Piacere, Helen Clark» rispose lei, educatamente.

«So bene chi sei, la figlia di Thaddeus Clark, il giornalista» continuò l'uomo. 

Lei annuí.

«Sono la Spezzaincantesimi inviata dalla Gring-» provò a dire, ma fu subito interrotta dal vecchio

«So anche questo» 

Poi le rivolse le spalle, non dando neanche il tempo ad Helen di rispondere. 

Iniziò a camminare, facendo segno con una mano di seguirlo.

«Mi segua, signorina Clark, le mostrerò dove alloggerà durante la sua permanenza in questo posto. E sia chiaro...» la guardò con la coda dell'occhio, proseguendo lungo le strade del piccolo paesino «Rispetti ogni mia indicazione, non voglio guai» chiarì con tono autoritario, svoltando, poi, in un vicoletto alla sua destra, seguito a ruota da Helen, la quale sembrava piuttosto disorientata.

 

La stanza era confortevole, non troppo spaziosa, ma neppure angusta; ci si sarebbe abituata. Era semplice, presentava un letto singolo con un piccolo comodino adiacente. Le pareti erano vuote e di un marroncino, che emanava un certo calore; un caminetto spento era incastrato in una di queste e la finestra, che era coperta da tende piuttosto polverose, dava sul vicolo in cui era collocata la locanda, probabilmente l'unica dell'intero villaggio. Di fronte al letto c'era una porta, dalla quale si accedeva al bagno, anch'esso di ridotte dimensioni. Helen poggiò la valigia sul materasso, notando quanto quest'ultimo fosse intriso di pulviscolo.

«Lei alloggerà qui, come il resto dell'equipe» disse il signor Gray, che era alle sue spalle.

«Quanti ne siamo?» chiese lei, voltandosi.

«Con lei, sei Spezzaincantesimi» fece una breve pausa «Signorina Clark, c'è una cosa che le devo dire» socchiuse la porta alle sue spalle. «Non è sicuro neanche in Romania, le consiglio di non mandare lettere compromettenti a suo padre o altri» disse poi, con tono cupo.

«Compromettenti?» domandò perplessa.

«Noi due siamo...alleati Clark, suo fratello può confermarlo» Sentir nominare Jacob le fece sgranare gli occhi. Vide l'uomo tirare fuori dalla tasca un foglio di pergamena, iniziando a scrivere qualcosa, porgendoglielo poco dopo.

 «Domani mattina alle 8 in punto al castello, sia puntuale, non accetto ritardi» aggiunse, uscendo, poco dopo, dalla stanza e  chiudendosi la porta alle spalle.

Helen lesse il biglietto:

 

"Non nominare MAI l'Ordine. Esiste una parola segreta per questo: ENIDRO. 

Tuo fratello Jacob e Charlie Weasley stanno reclutando maghi in queste zone. L'unico modo per mettersi in contatto con loro è andarvi personalmente. 

Ne riparleremo.

Brucia il biglietto."

 

Leggere il nome di Charlie e Jacob le fece rimbalzare il cuore dal petto, stavano bene. Questa cosa la tranquillizzò e sapere di averli vicino la sollevava. Si avvicinó al camino, pronunciando un Incendio, in modo tale da accendere le fiamme. Gettò il biglietto tra i tizzoni; rimase a fissare la carta diventare nera e carbonizzarsi, fino a scomparire definitivamente.

 

La mattina successiva Helen si presentò in orario, forse anche prima. Non aveva chiuso occhio tutta la notte, a causa dei molteplici pensieri che le infestavano la mente, aveva tante, troppe domande: come stava Jacob? I capelli gli erano cresciuti? Aveva sentito Adeline? 

E Charlie? Gli era mancata? Avrebbe voluto gettarsi tra le sue braccia, baciarlo, concedersi un'altra notte colma di piacere, passione ed amore insieme; dormire avvinghiata a lui, senza paura di essere scoperti, senza preoccupazioni, solo per poche ore, senza il terrore di Colui-che-non-deve-essere-nominato, dei suoi seguaci e di tutto ciò che stesse succedendo attorno.

Quando Helen raggiunse il posto stabilito, notò che il signor Gray, fosse già lì con altri Spezzaincantesimi, tutti più grandi di lei. Non appena la vide, le fece cenno di avvicinarsi, presentandola al resto del gruppo, che le rivolse un caloroso 'Benvenuta'. Il proprio mentore la invitò a seguirlo, mentre si dirigeva verso l'entrata dell'imponente castello, il quale emanava un'aurea piuttosto spettrale, che, anche a causa del pungente freddo mattutino, la fece rabbrividire. Non conosceva nulla che riguardasse quel luogo, ne' tanto meno le erano stati illustrati i dettagli della missione.

«Signorina Clark, cercheró di spiegarle in breve la storia del Castello di Bran e cosa ci facciamo noi qui, mi stia bene a sentire» iniziò il vecchio, fermandosi dinanzi al grande portone d'ingresso.

«I Cavalieri Teutonici, nel XIII secolo, iniziarono a costruire un fortino in legno a guardia della valle che da secoli permetteva il transito dei mercanti in questa zona. Nel 1377 Luigi I d'Ungheria riconobbe alla popolazione sassone residente quì, la libertà di erigere a proprie spese una struttura fortificata in pietra che sarebbe poi divenuta il castello di Bran, nome del villaggio in cui risiediamo. L'importanza strategica del castello ne fece uno strumento prezioso anche per i potentati cristiani che regnavano sui Principati Danubiani: Bran venne infatti temporaneamente occupato ed utilizzato sia dal principe Mircea il vecchio, che da suo nipote, Vlad l'Impalatore».

Il signor Gray si interruppe, guardandola poco dopo.

«Si dice che Vlad non abbia mai lasciato nè il castello, nè tanto meno Bran»

«Fantasmi?» chiese Helen, instintivamente.

«Peggio» rispose lui, con un tono grave «Vampiri».

Helen sgranò gli occhi; non avrebbe mai pensato che durante la sua formazione si fosse trovata in un posto infestato da vampiri.

Il signor Gray, agitò la bacchetta e il portone d'ingresso si aprì, cigolando.

«Tuttavia» riprese, «La famiglia Tepes non abita più questo castello da anni».

Proseguivano lungo i corridoi bui e tetri del piano terra. Le pareti erano tappezzate di quadri, ritratti di famiglia o paesaggi, che raffiguravano quella che doveva essere la valle vista dallo stesso castello. Helen ebbe il sentore che quelle figure la stessero guardando, un po' come quelle nelle cornici ad Hogwarts, ma probabilmente erano quadri normali. Salirono delle larghe scale in pietra, che collegavano il piano terra a quello superiore. Il signor Gray, pronunciò un Lumos ed lei lo imitò. Mentre proseguivano lentamente, Helen notò una grande sala da pranzo, in una delle stanze, con un grandissimo lampadario di cristallo che pendeva dal soffitto e un enorme arazzo che, pensò Helen, dovesse rappresentare una battaglia. Si fermarono ad un certo punto, dinanzi a una buia discesa, di cui non riusciva a vedere il fondo. 

«Questo è un passaggio segreto» iniziò il signor Gray «Secondo i goblin della Gringott, dovrebbe portare alla stanza delle ricchezze, appartenute ai Tepes» fece una pausa, mentre continuava a fissarla «Non vede niente, signorina Clark? Si concentri» la incitò lui.

Helen aguzzò la vista, focalizzando la propria attenzione sulle strette scale che portavano verso il basso. Poi capí. Riuscí a scovare delle leggere tracce argentate che sembravano delineare quella che era una piccola porta, posizionata proprio alla fine dei gradini. Fu, tuttavia fugace, perchè il flusso di magia scomparve subito, le girò la testa per l'intenso sforzo che andava ben oltre le sue attuali competenze; era ancora una principiante.

«Occultamento Etrusco» riuscì comunque a riconoscerlo.

Il vecchio annuí.

«Esattamente» asserrí, voltandosi, tornando nuovamente suoi propri passi. Helen fece lo stesso.

«Quindi i vampiri stanno proteggendo qualcosa, celato a sua volta dall'incantesimo. Il tesoro di famiglia, non c'è dubbio» affermò, notando un piccolo sorriso allargarsi sul volto del mentore. Aveva fatto centro.

«Perspicace signorina Clark» si complimentò il vecchio. «Spero lei abbia altrettanto fegato, come suo fratello, o il suo fidanzato»

Helen si bloccò, gelata, irrigidita come se l'umiditá che regnava in quel luogo, o la stessa Maledizione, l'avessero colpita, atrofizzandole i muscoli.

«F-fidanzato?» balbettò, poco dopo.

L'uomo incurvò, nuovamente le labbra, continuando a camminare lungo il corridoio.

«Il figlio di Arthur Weasley, Charlie» rispose lui, come se fosse la cosa più ovvia dell'intero mondo magico. «So molte più cose di quanto crede, signorina Clark. Ora si sbrighi, o saró costretto a rimandarla in Inghilterra!» la rimproverò ed Helen non se lo fece ripetere una seconda volta, si mosse, raggiungendolo con due ampie e veloci falcate.

Fidanzato.

Non aveva mai pensato a Charlie in quel modo, ma la cosa la destabilizzò abbastanza, perchè sentiva il cuore sfuggirle dal petto, accaldandosi, sentendo le guance diventare rosse, e non era certo a causa della corsa.

«Signor Gray, ma io non sono ancora in grado di spezzare incantesimi, sono stata mandata qui d'urgen-»

«Non spezzerà incantesimi» la interruppe lui. «Lei si occuperà di analizzare e tracciare la pianta del castello, di fare rapporto alla Gringott e, magari, di scovare qualche altro luogo d'interesse, nei dintorni» spiegò il vecchio varcando nuovamente il portone d'ingresso.

Helen alzò il braccio, accecata dalla luce del sole, coprendosi gli occhi, che sembravano essersi abituati al buio che regnava nel castello.

 

 

 

 

 

INFO: Il castello di Bran esiste davvero, collocato in Transilvania e conosciuto come il Castello di Dracula, nonchè Vlad l'Impalatore stesso. I paesaggi descritti e gli ambienti del fortino sono frutto della nostra fantasia. La storia, tuttavia, è quella originale, presa e trascritta da varie fonti.

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Capitolo 57
*** Capitolo 53 - Sparizioni ***


«Charlie!»

Jacob irruppe nella camera ansimante, con gli occhi sgranati e la paura dipinta in volto. 

Charlie, si issò subito in piedi, voltandosi e fermandosi a fissarlo un attimo; sembrava aver corso, doveva essere successo qualcosa.

«Grath è scomparso, insieme ad un altro dragonologista, lo spagnolo, mi sembra» spiegò il moro, mentre le parole gli uscivano a fatica dalla bocca. 

Charlie sentì la preoccupazione iniziare prendere possesso della propria mente, insieme ad una serie di ipotesi su come fosse potuto accadere, o meglio, chi potesse essere stato l'artefice, e tutte lo portavano a Voldemort; tutti i suoi sensi gli indicavano che solo lui, con il suo seguito di maghi oscuri, fosse stato in grado di fare una cosa del genere. La medesima cosa, Charlie ne aveva avuto notizia, era accaduta a Diagon Alley: Florean Fortescue e il signor Ollivander erano svaniti, come risucchiati dal tempo.

Non riusciva a ragionare con lucidità: che fossero stati rapiti o uccisi? Che si fossero volontariamente uniti all'esercito di Colui-che-non-deve-essere-nominato? O fossero, invece, stati costretti a farlo? Magari perchè avevano bisogno di nuove reclute o, forse, per avere un accesso diretto all'allevamento, quindi ai draghi. Poi si ricordò del signor Romanov e il fatto che sembrasse essere sotto Imperius.

"Per quello hanno lui. E allora perchè?" pensò tra sè e sè, spostando gli occhi velocemente da una parte all'altra, mentre cercava di trovare una risposta ai tanti quesiti, che la stessa mente gli sottoponeva. Era scosso.

«Forse avevano scoperto qualcosa...» ipotizzò Jacob, il quale aveva continuato a fissarlo in silenzio, con sguardo attento e che, come solitamente succedeva, pareva avergli letto nella mente, seguendo i suoi ragionamenti.

«Jacob» disse, tornando a guardare l'amico «Dobbiamo avvisare gli altri dell'Ordine, almeno qui in Romania». Si mosse in direzione della giacca, afferrandola dalla sedia e infilandola velocemente.

«Dobbiamo informare il signor Gray e il signor Whiter» continuò, mentre indossava gli stivaletti, allacciandoli con un tocco della bacchetta. «Ci penso io, andrò oggi stesso. Ho bisogno che tu resti qua Jacob, devi tenere d'occhio questo posto, è chiaramente nel mirino di Tu-sai-chi. Devi proteggere gli altri e i draghi» concluse poi, poggiando una mano sulla spalla del ragazzo, il quale si limitò ad annuire. Charlie uscì dalla stanza, doveva trovare una passaporta, non lasciare alcuna traccia reperibile, smaterializzarsi sarebbe stato troppo rischioso.

 

Arrivò a destinazione quasi del tutto intatto, aveva solo i capelli più scompigliati del solito e il colletto della giacca alzato. Era stato un viaggio turbolento, non era più abituato ad usare quel tipo di trasporto; d'altronde aveva sempre avuto qualche problema con qualsiasi mezzo che non fosse una scopa, o al massimo il Nottetempo. Ricordò il suo primo esame di Materializzazione, quando finí su una signora che stava facendo la spesa, che fiasco! Rise malinconico, consapevole di quanto gli mancassero i tempi di Hogwarts. 

Si diede una sistemata, iniziando a percorrere i vicoli, ormai bui di quel borgo dall'aria spettrale. Impugnò la bacchetta, continuando a camminare cautamente. Aveva aguzzato tutti i sensi, pronto a reagire al minimo segnale sospetto. Gli era stato riferito, durante il loro precedente incontro, che al villaggio di Bran ci fosse una sola locanda ed era proprio lí che il signor Gray e il collega Whiter alloggiavano, insieme alla loro equipe di Spezzaincantesimi. C'era un freddo pungente, tipico di quel luogo, immerso totalmente nelle montagne. Sfregò le mani attorno alle spalle, cercando di prendere calore, quando vide una piccola insegna illuminata, che si muoveva, cigolando, a causa del soffiare del vento. 

'Locanda del Vampiro' 

Quel posto era davvero tetro, per non parlare del pessimo nome.

«Bel nome per accogliere i visitatori» bofonchió ironico, mentre con una mano spingeva la porta d'ingresso.

 

La sala era piuttosto piccola, tuttavia sembrava accogliente. Non era molto affollata, solo due tavoli erano occupati e Charlie notò che ad uno di questi, sedeva proprio il signor Gray, affiancato da un mago calvo, che Charlie riconobbe come Adam Whiter, l'altro membro dell'Ordine.

Charlie si avvicinò loro, i quali, non appena lo videro, si scambiarono sguardi preoccupati; sapevano bene che il suo arrivo non presagisse nulla di buono.

«Ho brutte notizie per voi signori» disse subito, sedendosi di fronte ai due uomini.

«Parola d'ordine» s'intromise il vecchio; aveva dimenticato quanto fosse prudente William Gray.

«Enidro» rispose il rosso, con naturalezza.

Vide i due emanare un sospiro di sollievo, focalizzandosi nuovamente su di lui, attendendo che continuasse a parlare.

«Sono scomparsi due dragonologisti, di cui uno, sono sicuro, non si sarebbe mai schierato dalla parte di...Voi-sapete-chi» spiegò lui, cupo, cercando di prestare attenzione alle parole proferite.

«Il numero dei maghi, di cui non si sa più nulla, sale a dieci. Si stanno muovendo.» costatò il signor Whiter e Charlie non potè far altro che esserne d'accordo. Sapeva benissimo anche lui, seppur non volesse ammetterlo, che tutte quelle sparizioni potevano significare solo una cosa: Voldemort stava avanzando, muoveva i primi passi, anche se ancora nascosto nell'ombra, nell'oscurità.

Trascorsero il resto della serata discutendo di alcuni possibili piani di fuga, nel caso le cose si fossero complicate. Avrebbero dovuto trovare il modo di unirsi agli altri membri in Inghilterra e non sarebbe stato per niente facile. Charlie si scaldò con uno stufato caldo, offertogli dai due Spezzaincantesimi, accompagnando il pasto con una burrobirra. Avrebbe preso una stanza per la notte, non riteneva fosse sicuro viaggiare a quell'ora, da solo d'altronde.

«Credo che andrò a coricarmi, partirò domani. Permettete, signori» cercò di congedarsi lui, alzandosi lentamente dal posto in cui poco prima era seduto.

«Signor Weasley» lo chiamò l'uomo con la cicatrice «Io credo che tutte le stanze siano occupate» aggiunse, mentre Charlie lo fissava perplesso.

«Tuttavia, non credo che per lei sia un problema condividerla con una persona, di sua conoscenza, d'altronde» continuò il vecchio, accennando un sorriso.

Era confuso, non capiva a chi si stesse riferendo.

Forse Bill? Era lì anche lui?

«L'ultima camera in fondo alle scale» disse, infine, continuando a sorridergli. Charlie non ribattè, semplicemente si limitò a seguire le indicazioni.

 

Si fermò dinanzi alla porta indicata, fissandola per qualche secondo, poi bussò. Indugiò un attimo, prima di battere il pugno contro il legno della stessa. L'adrenalina sembrava scorrergli freneticamente nelle vene, mentre sentiva dei passi provenire dall'interno.

E se fosse stata una trappola? Se lo avessero ingannato? 

Scacciò via le paranoie; non era possibile, se ne sarebbe accorto se gli avessero mentito.

Tuttavia, il cuore sembrava non voler decelerare.

La porta si aprí lentamente, rivelando una esile figura femminile, coperta, quasi completamente, da una camicia da notte bianca.

«Helen...»

Pronunciò il suo nome con un filo di voce.

Non riusciva a credere ai propri occhi, lei era lí, davanti a lui, in carne ed ossa. Aveva i capelli biondi raccolti disordinatamente, con alcune ciocche che le ricadevano sul viso e si strofinava gli occhi, come se fosse stata appena svegliata.

Era bellissima anche cosí, notò.

La ragazza ci mise qualche attimo per realizzare cosa stesse realmente accadendo, prima di gettarsi tra le sue braccia. La strinse, senza dire una parola. Rimasero in quella posizione per un po', poi lei lo invitò ad entrare, chiudendo la porta della stanza.

«Ti ho svegliata?» rise lui, mentre Helen non cessava di guardarlo con un espressione incredula, pareva non riuscire a credere al fatto che lui fosse proprio accanto a lei.

«Non importa» rispose dolcemente. Gli era mancata la sua voce.

«Che ci fai qui, Charlie?» chiese con un tono preoccupato, immaginava che anche lei sapesse che la sua presenza fosse portatrice di cattive notizie.

Tuttavia Charlie non volle turbarla, per cui le sorrise, protraendosi verso di lei e cominciando a baciarla lentamente. Sembrò rassicurarsi, ricambiando senza alcuna esitazione. 

«Che ne dici se rimandiamo a domani le chiacchiere?» le propose sottovoce, scoccandole un altro bacio, tenendole le mani.

Helen annuí, incurvando le labbra, aiutandolo a sfilarsi la giacca, poi la maglia, gettando entrambi gli indumenti ai piedi del letto, su cui si sedettero. Lui le sciolse i capelli, proprio allo stesso modo in cui aveva fatto quella notte nell'aula di Divinazione, lasciando che le ricadessero sulle spalle. Erano diventati più lunghi di come li ricordava; lei sembrava diversa, cresciuta. Gli si strinse lo stomaco al pensiero, non la vedeva da mesi, non la toccava, non la baciava.

«Helen mi sei mancata, non sai quanto»

La vide sorridere e approfondire il loro contatto. Un brivido gli percorse la schiena, era la sensazione della pelle liscia di lei a contatto con la propria, il tocco delle sue dita affusolate, sottili, che si muovevano sulla cintura. Con un movimento rapido, la spinse supina sul letto, togliendole la veste velocemente. Non era come l'ultima volta, quando aveva temuto anche solo di sfiorarla, attento ad ogni gesto sbagliato, che avrebbe potuto rovinare, sfregiare quel corpo perfetto. Questa volta era riverso, la afferrava, la stringeva a sè. Questa volta era diverso, c'era passione, brama, desiderio di aversi, di abbracciarsi, di completarsi, incastrare perfettamente ogni parte di loro, essere in lei. Le si distese sopra, facendo combaciare i propri corpi. La guardò negli occhi e non ebbe bisogno di cercare conferma, non stavolta, non più. Iniziò a muoversi prima lentamente e poi con un ritmo sempre più veloce. 

Charlie le stringeva il bacino ossuto; sembravano parte di un meccanismo di ingranaggi.

Ansimava, ma il piacere sovrastava la stanchezza, andava ben oltre ogni sforzo, ogni senso di estenuazione. Lei si aggrappava a lui, come se fosse l'unico porto sicuro nel mare in tempesta che stavano attraversando, da cui cercavano, entrambi, di non essere travolti. Continuò fin quando non percepì una scossa percorrergli il corpo, emise un verso gutturale, sdraiandosi accanto a lei, poco dopo. Posò gli occhi sulla sua figura di profilo, osservando quanto i contorni fossero perfettamente delineati, come scolpiti da un artista. Era sudata. La luce della notte la faceva splendere, la sua pelle era paragonabile alle squame lucenti di un Nero delle Ebridi.

Si sentiva leggero, svuotato da ogni pensiero negativo, da ogni tipo di preoccupazione. Helen era la sua cura, l'antidoto a tutti i veleni, ai malesseri fisici e non, che complicavano la sua vita.

«Perchè mi guardi?» chiese lei, sorridendo. 

«Perchè mi va» rispose semplicemente, avvicinandosi a lei e stampandole un bacio sulla guancia. Charlie si rintanò sotto le coperte, stringendola a se'. Faceva freddo, ma il corpo di lei emanava tepore. Helen si avvinghiò a lui, chiudendo gli occhi.

«Papà un giorno mi disse che ognuno di noi cerca dei pezzi mancanti, come fossimo tutti un enorme puzzle. Non serve la magia per risolverlo, peró» pronunciò la frase con un filo di voce. «Tu sei il mio pezzo mancante, Charlie» sbadigliò

«Come la mamma lo era per lui».

Dopodicchè, strofinò leggermente la guancia contro il suo petto, cadendo in un sonno profondo.

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Capitolo 58
*** Capitolo 54 - Ordine ***


Helen schiuse gli occhi lentamente, qualcosa le solleticava la pelle; Charlie stava tracciando una scia di baci sul suo collo. Era certa non potesse esserci risveglio migliore. Gli passó una mano tra i capelli, sorridendogli.

«Buongiorno» bofonchió, guardando la sveglia che stava poggiata sul comodino: erano le sei, piuttosto presto. Accanto alla sveglia c'era la rosa che Charlie le aveva regalato; la portava sempre con sè.

Era più radiosa del solito, di un bel rosso vivo.

Helen lasció un bacio sulla bocca di Charlie, accarezzandogli la guancia ruvida, per poi mettersi a sedere, con un sorriso stampato in volto.

«Per quanto resterai qui?» domandó Charlie, spostandole una ciocca dietro l'orecchio

«Fin quando avranno bisogno di me».

Le stampò un bacio sulla spalla, Helen rabbrividì.

«E allora fagli capire che sei indispensabile, come lo sei per me».

Con un gesto che la colse di sorpresa, Charlie le afferró la vita, facendola sedere a cavalcioni su di lui, che stava con la schiena poggiata alla spalliera dura del letto. Helen apprezzó quel modo, il fatto che stesse sopra di lui, e lo guardasse negli occhi, perdendosi in quelle sfumature. Era stata lontana da lui troppo tempo.

Rimase lì a pensarci un attimo, e per un istante soltanto desideró non essere parte della resistenza. Si chiese cosa avesse potuto provare, a vivere quel tumulto come una comune strega. Tutto ció che avesse scelto, aveva comportato plurime conseguenze: la lontananza dalle persone che amava in primis. Forse avrebbe potuto vedere Jacob prima di tornare, prenderlo in giro ancora. 

D'altra parte non vedeva suo padre da troppo tempo, nè Adeline.

Adeline.

Chissà come stava.

Poi Charlie si schiarì la gola, in procinto di dire qualcosa.

«Helen, non sai quante volte ti ho pensato e quante avrei voluto scriverti, dirti che stavi andando alla grande, che mi mancavi. Ho saputo che non è stato un ultimo anno con i fiocchi, ma ero convinto che ce l'avresti fatta comunque, e guardati ora. Helen Clark, io sono fiero di te»

Helen sentì i polmoni espandersi a pieno, riempita di quella gioia. Lui l'aveva pensata, avrebbe voluto vederla, averla accanto.

«Anche tu mi sei mancato, Charlie, solo Merlino sa quanto» sospiró, allacciandogli le braccia al collo e baciandolo ancora e ancora.

Avrebbe voluto congelare il tempo intorno a quella stanza, restare così per sempre.

«Io ti amo Helen, voglio che tu lo tenga a mente, sempre» 

«Ti amo anche io, Charles Septimius Weasley»

«Usare addirittura il secondo nome! Colpo basso Clark» osservó, rovesciandola sul materasso e sovrastandola, Helen, di contro, gli afferró la vita, cingendolo con le gambe esili. Charlie prese a baciarle il collo, poi le clavicole, le spalle, il seno.

Una serie di brividi scossero Helen.

Come aveva fatto a stargli lontana tutto quel tempo? Come aveva fatto a resistere a quella carenza?

Ma poi la risposta apparve lampante: l'amore è capace di tutto, persino di questo.

 

 

Quando Charlie fu andato via, Helen si vestì rapidamente, non voleva essere in ritardo per nessun motivo. Differentemente da ció che si aspettava, il signor Gray l'attendeva appena all'esterno della locanda, per incamminarsi insieme alla fortezza.

«Ha dormito bene, signorina Clark?» domandó l'uomo con un velo di sarcasmo; era stato chiaramente lui l'artefice dell'incontro con Charlie.

Helen sorrise, poi rispose: «La ringrazio».

«Non è facile sopportare la distanza delle persone che amiamo, non è così?», Helen annuì timidamente.

«Se volesse vedere nuovamente il ragazzo, le consiglio la materializzazione, so che è molto brava, e la valle è poco distante da qui» 

«Chiedo scusa, signor Gray, lei stesso ha detto di prestare attenzione, mi ha fatto intendere che non volesse guai»

«Ha ragione signorina, lei è qui per ottemperare al suo ruolo, che, per l'appunto, deve essere la sua priorità. Tuttavia, sono sicuro che sarà cauta»

Helen rimase colpita da quelle parole, non si aspettava tanta indulgenza; non sapeva neanche quanto tempo sarebbe rimasta lì. 

Poi l'uomo la studió con lo sguardo, continuando quel discorso:

«L'amore è un potente antidoto a tutto, signorina Clark. C'è bisogno di amore ora come ora», volse gli occhi verso i nuvoloni plumbei che avanzavano contro di loro, con lo sguardo perso.

«Hanno portato via qualcuno anche a lei, dico bene?»

L'uomo non rispose, continuando a camminare.

 

I giorni che seguirono furono molto produttivi: Helen si distinse, con grande passione in ció che faceva, sentendo un'energia aurica crescerle dentro. Percorse il perimetro e gli interni del castello più volte, tracciando una serie di piante.

Il signor Gray si stava rivelando, non diversamente da ció che si fosse aspettata, un ottimo mentore. Coglieva sempre l'occasione di passarle qualche nuova nozione: l'argomento di quella mattina erano stati gli horcrux, definiti dal suo mentore come una "chiave per l'immortalità", se non un potente tipo di magia oscura. Il lavoro di Helen fu molto utile agli altri spezzaincantesimi, giorno dopo giorno stava diventando per lei più facile rilevare incantesimi e sortilegi antichi.

«Ottimo lavoro con queste mappe. Se vuole perlustrare uno dei piani, faccia pure. Faró rapporto di questo alla commissione» le aveva detto il mentore, trattandola da pari.

La risposta della commissione, a grande sorpresa, non tardó ad arrivare. 

Era appena cominciata la settimana, che il signor Gray la convocó con una certa urgenza.

Tra le mani teneva una lettera, che lì per lì destó in Helen preoccupazione.

«La commissione mi ha spedito questa stamattina. Congratulazioni signorina Clark! Hanno prolungato la sua permanenza qui per i servigi che sta rendendo. Verrà pagata chiaramente, trattandosi di altri due mesi. Ritornerà alla banca per l'anno venturo» spiegó il signor Gray. La bionda non poteva credere alle sue orecchie, restare lì tutto quel tempo? Lì vicino a Charlie? Ringrazió il suo buonsenso per aver praticato un incantesimo estensore nel bagaglio che aveva portato.

«Io... Non so davvero cosa dire, grazie» farfuglió, stringendo la mano dell'uomo, che sorrideva sotto la barba irsuta. 

«Ringrazi sè stessa. Saró io a fare le veci dei suoi addestratori qui»

Helen era un concentrato di emozione, un turbine di propositi le occupava la mente.

«Ho mandato qualcuno ad avvertire suo fratello e Charlie Weasley, immagino voglia vederli» ipotizzó, Helen annuì; se avesse proferito parola, ne sarebbe uscito solo un gridolino emozionato.

«Che aspetta? Vada, oggi il suo aiuto non è richiesto!» la incentivó.

Helen non se lo fece ripetere due volte.

Non appena fu all'esterno della locanda, nascosta da occhi indiscreti, impugnó la bacchetta e fu risucchiata dall'aria, che la risputó in un luogo sconosciuto: la valle dei draghi.

Si guardó intorno e prontamente riconobbe un volto, che avanzava verso di lei celermente: Jacob.

Presero a correre l'uno verso l'altra, e quando furono a metà, Helen staccó i piedi da terra e con un balzo gli si allacció alla vita, stringendolo con tutte le sue forze. I due scoppiarono a piangere, increduli.

Jacob le accarezzó la testa affettuosamente. Era più di un anno che non lo vedeva, le era mancato il suo profumo, i suoi capelli lunghi, la sicurezza che le dava.

«Jacob» sussurró, tenendoglisi stretta.

«Complimenti sorellina, complimenti per dove sei arrivata».

Si presero del tempo per parlare di quanto le cose fossero cambiate, ed Helen ne approfittó per chiedergli se avesse sentito Adeline.

«L'ho sentita qualche giorno fa l'ultima volta, non le lasciano spedire molte lettere. In realtà la stanno massacrando, c'è bisogno di Auror competenti là fuori».

Helen fu scossa da quelle parole, ma conosceva la sua migliore amica, era un osso duro.

La gioia di aver rivisto suo fratello fu come una boccata di aria fresca, aveva sempre avuto bisogno della sua presenza, e avrebbe avuto l'occasione di stargli vicino, forse anche per le feste di Natale. Il cuore le traboccó di gioia.

 

 

I mesi che seguirono trascorsero con una certa velocità, purtroppo.

Aveva colto a pieno ogni momento con Charlie: ogni volta che si vedevano era impossibile non cedere a vicenda, recuperare tutto il tempo che avevano perso, stando lontani. Ebbero modo di parlare di qualsiasi cosa.

Sotto l'aspetto lavorativo, Helen si disse soddisfatta, vista la quantità di cose che aveva appreso, nonché i progressi con la Tracciatura. Oltretutto comprese quanto fosse difficile scovare tesori, con tutte le false tracce lasciate per confonderli.

Ebbe la fortuna che sia il suo compleanno, che quello di Charlie, capitassero in quell'arco temporale, e non mancarono di passarli insieme.

Non era il giusto momento per scambiarsi regali, questo era evidente, ma entrambi sapevano che contasse molto più la presenza, l'esserci. In effetti erano i primi compleanni che passavano insieme, ed Helen speró ce ne fosse una lunga serie ancora.

«Spero di festeggiare così tutti i prossimi compleanni» fece Helen, stampando un bacio sulla bocca di Charlie. Jacob, che aveva passato la giornata con loro, si era congedato fasullamente per lasciargli un po' di intimità.

Per il suo compleanno, Charlie l'aveva ospitata alla valle, e lei era stata felice di aiutarlo nelle sue mansioni, mantenendo sempre una certa discrezione per non destare sospetti. Il rosso non la perse di vista neanche un secondo.

 

Stavano davanti al caminetto, stesi sul tappeto, avvinghiati.

«Vorrei stare così per sempre» proferì Helen, stampando un bacio sul petto nudo del suo amato.

«Fallo» rispose lui, in modo diretto. «Fallo Helen, resta qui». La bionda sorrise, tirandosi un po' su con la schiena.

«Posso restare stanotte» ammiccó, passandogli una mano tra i capelli.

«Idea allettante, ma io volevo dire un'altra cosa, anzi, vorrei tu mi facessi una promessa» si mise a sedere anche lui, guardandola dritta negli occhi. Helen sembró sciogliersi sotto quello sguardo.

«Promettimi che non mi lascerai mai solo. Giura che resterai accanto a me. Helen, resta, resta viva» pronunció quella preghiera disperata, circondandole il viso con le mani ed Helen percepì una fitta al cuore. Charlie aveva paura.

«Te lo prometto», poi suggelló quell'accordo con un bacio e un altro ancora, e furono travolti nuovamente in un vortice di passione.

Il giorno del compleanno di Charlie, questi si recó alla locanda dove stava Helen, che gli aveva preparato una gigante torta. Trascorsero insieme quella giornata, come fecero per l'ultimo dell'anno, che segnava il ritorno di Helen alla banca. Le vacanze di Natale, sebbene trascorse in compagnia delle persone che amava, e che non vedeva da tempo, furono caratterizzate da un senso di malinconia. Sarebbe stato difficile abituarsi nuovamente a quelle mancanze, ma fu necessario.

Salutó Charlie e Jacob prima di partire, ringraziando di cuore il signor Gray per tutto ciò che le avesse insegnato. Intravide qualcosa di paterno in lui.

Poi prese la passaporta per fare ritorno all'accademia, e in men che non si fosse detto, si ritrovó al lago, da dove era partita. Ad attenderla c'erano la signorina Darlene, per nulla cambiata, e una marea di rapporti, responsabilità e cose da apprendere.

Concluse che preferiva di gran lunga lavorare sul campo, rientrando con fatica in quella routine.

 

 

Un ragazzo dai capelli argentei percorreva i corridoi di pietra. Una porta gli compariva dinanzi e lui entrava, con l'incertezza dipinta in viso...

 

Helen si svegliò di soprassalto, due mani calde la scuotevano forte.

«Svegliati Helen!» riconobbe la voce come quella di Bill Weasley. Cosa ci faceva lì? Per giunta nel dormitorio femminile?

«Bill...» fece lei, con gli occhi pesanti. Fuori era buio ancora.

«Alzati Helen, devi venire con me»

«Con te, dove? E poi come hai fatto ad entrare?»

«Ti spiegherò strada facendo, ma devi alzarti»

Helen si tiró su, l'adrenalina fluiva nelle vene.

Mentre Bill l'attendeva fuori, si vestì rapidamente, indossando il mantello scudo che i gemelli le avevano regalato. Una volta pronta, lo affiancó fuori dall'edificio.

«Ci materializzeremo, prendi la mia mano»

Neanche il tempo di farlo, che furono al villaggio di Hogsmeade. 

Helen volse gli occhi al castello: il marchio nero aleggiava sulla struttura. Il sangue le si raggelò nelle vene. I mangiamorte erano lì, e il sogno che stava facendo probabilmente c'entrava qualcosa.

«Helen, i mangiamorte sono entrati ad Hogwarts» cercó di spiegarle, mantenendo la calma.

Come poteva essere così calmo? Helen si sentì esplodere.

«Quasi tutti i membri dell'Ordine sono qui per combattere» continuó il ragazzo.

Ma Helen proprio non capiva. Perché anche lei si trovava lì?

«Perchè anche io, Bill?» chiese con tono disperato. Il ragazzo curvó le labbra a quella domanda.

«Sei parte dell'Ordine della fenice, Helen», il petto le si gonfió. «Nel caso in cui tu non l'abbia ancora capito».

Era il momento di lottare.

 

 

 

Piccolo Angolo Autrici:

Ciao a tutti i nostri lettori, speriamo voi stiate bene e che la storia vi stia piacendo. Stiamo volgendo al termine, man mano i contorni si delineano tutti, speriamo davvero che tutto sia di vostro gradimento. Facteci sapere! 
Una bacio grande. ❤️
😘

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Capitolo 59
*** Capitolo 55 - Irruzione ***


Helen mise piede ad Hogwarts insieme a Bill e altri membri dell'Ordine della Fenice, si trovò catapultata in una battaglia senza nemmeno rendersene effettivamente conto. Uno studente, Draco Malfoy, che lei ricordava bene, aveva usato un armadio svanitore, collegato al negozio Magie Sinister, per far entrare nella scuola dei Mangiamorte. Gli studenti erano in pericolo e il loro compito era quello di difenderli. Helen non avrebbe mai permesso a quegli orribili e spietati mostri di distruggere quel castello, nè tantomeno di sfasciare, sconvolgere la vita di qualcun'altro, così come avevano fatto con la sua, portandole via la madre. Sentiva di avere una grossa responsabilità gravare sulle sue spalle, tuttavia, sapeva in cuor suo di essere pronta a portare questo fardello chiamato "Giustizia". Stare dalla parte di Silente, voltare le spalle all'oscurità, combattere a fianco delle persone che amava; non avrebbe desiderato sorte migliore. Correva tra i corridoi, schivando colpi a destra e a manca, cercava di appellarsi ai riflessi, alle capacità, che aveva imparato ad acquisire durante tutta la sua permanenza nella stessa scuola e che aveva poi affinato in quei mesi di addestramento come Spezzaincantesimi. Si guardò attorno, c'erano quasi tutti: Bill intento a difendersi dai colpi di un Mangiamorte con dei denti affilati, che Helen riconobbe essere Fenrir Greyback, uno spietato lupo mannaro la cui faccia era impressa su tutte le foto segnaletiche. Adeline e Jacob si guardavano le spalle a vicenda, ormai erano una coppia, non solo in battaglia. Parevano anticipare e prevedere l'uno le mosse dell'altro, come se avessero sempre combattuto assieme, fianco a fianco. 

Avrebbe voluto averla rincontrata in circostanze diverse; l'accademia degli auror l'aveva cambiata molto, ma non aveva mai visto la sua migliore amica così felice, al pari di quando aveva rivisto suo fratello dopo quasi un anno; poteva solo immaginare la gioia dello stringersi, del non essersi persi, d'altronde anche lei, provava esattamente le stesse sensazioni con Charlie. Questi stava affrontando, affiancato dalla signora Weasley, un altro mago con un naso adunco e dei capelli corti e neri, che sentì chiamare da Molly, Amycus Carrow. Una strega bassa, con una capigliatura folta e intricata, stava salendo le scale in direzione della Torre di Astronomia, divertendosi, intanto, a distruggere tutto ciò che incontrava lungo il suo cammino.

Helen decise di seguirla, doveva cercare di fermarla, o quanto meno rallentarla. Impugnó la sua bacchetta e si fece coraggio, conosceva differenti diversivi per bloccare la sua avanzata, sperava di guadagnare tempo, distrarla, in modo tale che non avesse potuto nuocere ad alcuno studente; era di questo che Helen si preoccupava. Sapeva fin troppo bene cosa volesse dire perdere qualcuno per mano di un Mangiamorte. 

«Dove credi di andare, lurida biscia» 

Helen s'irrigidí di colpo. Aveva riconosciuto la voce, la conosceva fin troppo bene, tagliente e appuntita come la lama di un coltello. Si voltó, ritrovandosi Erika Raylee alla sinistra, mentre avanzava lentamente in sua direzione, rigirandosi la bacchetta tra le mani. Un ghigno stampato in volto le conferiva un aspetto ancora più odioso del normale.

«Ciao Erika» disse, stringendo la presa attorno alla propria bacchetta. Si stava preparando ad uno scontro, era inevitabile che si verificasse. Sarebbe stato diverso dai soliti duelli scolastici, la Raylee non avrebbe avuto nessuno a imporle limiti, d'altronde, neanche quelli l'avevano fermata quel giorno alla Riserva; se non fosse stato per Charlie, Helen avrebbe riportato danni davvero gravi, permanenti, forse incurabili. Notó quanto fosse cambiata, anche fisicamente. Indossava un pantalone nero, con una maglia del medesimo colore; i suoi capelli erano cresciuti rispetto a come li ricordava, li teneva raccolti in una coda, che lasciava scoperto il viso spigoloso della mora. Sembrava essere ancora più alta, forse anche a causa degli stivali che portava. 

«INCENDIO!» 

Erika continuó ad avvicinarsi, puntando la bacchetta contro di lei, mentre una scia di fiamme e calore divampava da quest'ultima.

Helen parava e scansava i colpi, indietreggiando, fino a toccare il muro con le spalle. La Raylee rise.

«Sei sempre stata debole, Clark» sputó lei, con il solito disprezzo che le apparteneva.

Continuava a proteggersi, guardandosi attorno, in cerca di una via di fuga. Vide poi, tra le macerie delle pareti colpite prima dall strega con i capelli neri, un masso di modeste dimensioni. Lo sollevó, lanciandolo contro la Raylee, che per scansarlo, abbandonó per un attimo Helen, la quale trovó il tempo necessario per recuperare spazio. 

«Depulso!» esclamó, approfittando del momento di distrazione di Erika, la quale, rinsaví immediatamente, pronunciando un 'Protego' e ridendo sonoramente, subito dopo.

«Tutto qui, moscerino? Questo ti hanno insegnato alla Gringott? Che delusione» la scherní la mora.

Helen sentiva la rabbia ribollirle dentro e questo le fece perdere la lucidità necessaria da non riuscire a difendersi dallo 'Stupeficium' scagliatole contro dalla Raylee. Quando il lampo rosso la investì, lei sentì qualcosa attutire il colpo, facendola semplicemente indietreggiare di qualche metro, piú che scagliarla al suolo, priva di sensi, come avrebbe immaginato.

Toccó il punto esatto in cui la scia luminosa l'aveva colta, stringendo la stoffa tra le mani. 

Il mantello scudo

Fred e George l'avevano, inconsapevolmente, salvata da morte certa. Questo le infuse sicurezza, forza. Raccolse tutta la determinazione e il coraggio che possedeva, rivolgendo la sua bacchetta verso la Raylee. Non le avrebbe permesso di stenderla, nè di trionfare. Era diventata una sporca Mangiamorte, una strega malviagia, non meritava indulgenza da parte sua.

«Expelliarmus!» pronunció l'incantesimo con tutta la potenza che avrebbe potuto mettere nella voce. Vide la bacchetta della mora volarle via dalle mani, con stupore della ragazza, che ora era immobile, dinanzi a lei, con la bocca socchiusa, disarmata.

Helen si camminó verso di lei, tenendo il braccio teso, pronta a riattaccare, se fosse stato necessario. 

«Perchè ti sei unita a loro?» chiese, non abbassando la guardia. Non sapeva se si stesse preoccupando per lei o fosse semplice curiosità.

«Io mi schiero sempre dalla parte dei vincenti, sporca traditrice del tuo sangue!» rispose la Raylee sprezzante. Avrebbe voluto colpirla, senza esitazione, senza pietà, come lei avrebbe sicuramente fatto, nel caso i ruoli fossero stati invertiti. Ma era proprio questo il punto: Helen non era Erika, non era una Mangiamorte e mai lo sarebbe stata. Non voleva ribassarsi ai suoi livelli, non era quel tipo di strega.

«Lo vedi questo?» continuó la mora, scoprendosi il braccio, su cui era impresso il Marchio Nero. «Sai cosa significa questo, Clark? Immagino di no, come potresti» sogghignó con astio.

«Questo è il simbolo della cattiveria, della malvagità, della morte!» ribattè lei con la voce leggermente tremante, continuando a stringere la bacchetta, ancora puntata verso la Raylee, trasmettendosi sicurezza.

«Sbagliato» fece un sospiro, come se stesse cercando di mantenere la calma «Questo è il simbolo della purezza, cara la mia signorina sono-disgustosamente-innamorata-del-dragonologista» rise, mentre Helen sentiva di non riuscir più a controllarsi, l'avrebbe schiatantata da un momento all'altro.

«Questo è il simbolo della rinascita, del mondo che costruiremo, senza Babbani o schifosi traditori come te» aggiunse lei, fiera.

Helen stava per ribattere, quando sentí dei passi provenire dal corridoio alle spalle di Erika. Accorse una donna, che afferró la Raylee per un braccio.

«Dobbiamo andare ragazza!» esclamó, con una vena di entusiasmo sulla voce. Non sembrava nè scossa, nè allarmata, non mostrava alcuna preoccupazione e ció fece gelare il sangue ad Helen. Era una Mangiamorte anche lei, lo notó dal marchio che portava sul braccio. 

«È morto! SILENTE È MORTO!» continuó, facendosi sfuggire una risata isterica poco dopo.

Helen rabbrividì, si sentì venir meno le gambe, come se il pavimento le fosse crollato sotto i piedi, non reggesse piú il suo peso. Vide la Raylee raccogliere la propria bacchetta, rivolgendosi nuovamente a lei.

«Hai sentito Clark? Ora chi vi proteggerà?» 

Helen non riusciva a proferire parola; una serie di pensieri le vorticavano nella mente, formavano turbini. Non riusciva a credere alle proprie orecchie, non poteva essere possibile, stavano mentendo.

Sentì lo stomaco contrarsi e un senso di nausea, accompagnato da una fitta a livello dell'addome.

Erika rideva. Le scaglió contro un altro schiantesimo, che riuscì a parare, non seppe con quale forza, vedendo poi le due donne correre via, percorrendo a grandi passi il corridoio che conduceva all'uscita.

«Helen!» Adeline la raggiunse, poggiandole una mano sulla spalla. Non seppe dire se il richiamo dell'amica fosse stato un urlo disperato o altro, ma non ci fu tempo per chiederselo. Era certa avesse sentito anche lei; era certa sapesse che il loro amato preside fosse morto.

Non era possibile.

La mora la strinse forte, cingendola da dietro. 

Poi guardarono negli occhi, entrambe in procinto di scoppiare a piangere, senza proferire parola.

Ogni lettera sembrava essersi fermata alla gola. 

Ogni parola si sarebbe tramutata in urlo.

Dal cortile della torre di astronomia, le grida e i lamenti di Hagrid colmavano la notte, disturbavano le stelle, stracciavano il firmamento, riducendolo a pezzi.

Le due ragazze rimasero lì, con le gambe tremanti, ad ascoltare quel lamento straziante, senza avanzare un passo, senza dirsi nulla.

Avrebbero voluto assistere a quella scena per crederci, ma avrebbero voluto evitarlo per sperare fosse tutto un sogno.

Albus Silente ora riposava altrove. Li aveva lasciati anche lui.

Ma chi aveva avuto il coraggio di ucciderlo?

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Capitolo 60
*** Capitolo 56 - Perdita ***


Piton.

Helen sentì il sangue arrestarsi. 

Fuori da lì si udiva un suono bello quanto straziante: il canto di una fenice.

Piton, il direttore della sua casa, il burbero professore di pozioni, l'uomo che non provava amore, forse era davvero così.

Tutto quel tempo Piton aveva mentito all'Ordine, aveva ingannato ognuno di loro, Silente stesso, per poi infliggergli il colpo mortale.

Stentava a crederci.

Si era ricreduta su Piton dopo la lettera di raccomandazione; non si era mai sbagliata tanto.

Harry aveva raccontato loro tutta la scena, tutto ció che i suoi occhi avevano dovuto subire.

Ciascuno dei presenti stentava a credere a cosa fosse accaduto, e si incolpava per come le cose fossero andate.

Ora si trovavano in infermeria, dove Bill giaceva dolorante, gravemente sfregiato da Grayback. Era assistito da sua madre, e dalla bellissima Fleur, che Helen fu contenta di rivedere. Ma forse non era il momento per la gioia. Un istante prima Charlie e Jacob avevano portato via lei e Adeline dal corridoio, come pietrificate, incapaci di fare qualsiasi cosa.

Avevano impedito vedessero il corpo di Silente, ma Helen immaginó comunque il suo volto, contornato dalla barba chiara, come assopito. Quella figura le si ripropose in mente più volte.

Non avrebbe più sentito parlare del grande Albus Silente, che aveva sconfitto uno dei maghi oscuri più potenti, che aveva lavorato con Flamel in persona, che amava la musica da camera e che era sempre in grado di spronare gli studenti con un bel discorso di inizio anno. 

Erano sconvolti.

Tonks, Lupin, la McGranitt; Charlie aveva gli occhi gonfi, Jacob stava poggiato a lui, piangendo per quanto appena successo.

Ginny, Ron, Hermione e una ragazza, che Helen ricordó come Luna, cercarono di ricostruire gli eventi.

La vita di tutte le persone, lì e fuori, era stata segnata da quell'evento.

Helen non prestava attenzione a ció che stesse accadendo intorno a lei, aveva gli occhi sbarrati, persi oltre i pensieri. 

Adeline lì accanto singhiozzava ininterrottamente, ora tra le braccia di Jacob.

Charlie le si fece vicino, attirando per un istante gli sguardi degli altri. Avrebbero scoperto di loro? Bene. Non le importava nulla, perché solo l'amore in quel momento avrebbe potuto attenuare quel senso di perdizione. Il rosso le avvolse le spalle con un braccio, stampandole un bacio tra i capelli.

Era felice di rivederlo, ma avrebbe preferito non fosse accaduto così.

Poi le porte si spalancarono, e suo padre entró.

Helen non era mai stata così felice di vederlo. Camminó a passi silenziosi verso i presenti, affiancandosi a lei e a Charlie, toccando la spalla del ragazzo in segno di affetto, come a ringraziarlo.

Erano lì; tutte le persone che avrebbe voluto affianco erano esattamente lì, eppure c'era qualcosa, qualcosa che le dava amarezza.

Ripensó al marchio nero sospeso sulla scuola. Ripensó alle luci della battaglia.

Sua madre era andata via così? Era andata via come aveva fatto Silente? 

Si morse il labbro, cercando di non cedere. 

Era stata una lunga notte.

 

 

Qualche giorno dopo, come deciso dall'Ordine, fu organizzato un degno addio per il professor Silente.

Il funerale si sarebbe tenuto sul lago. Il sole era alto nel cielo, ma il mondo intorno sembrava essere congelato.

Il tepore del sole accarezzava il viso di Helen, mentre osservava una calca di studenti muoversi verso la fila di sedie, guidati dai direttori delle rispettive case.

Fu un pugno nello stomaco notare che Piton fosse stato sostituito da un altro.

Tutte le sedie erano rivolte verso una tavola di marmo bianco, che rifletteva la luce solare di quella giornata estiva.

Uno straordinario assortimento di persone stava  seduto su metà delle sedie: vecchi e giovani, ma tutti accomunati da un'espressione triste e pensierosa. Lei era seduta vicino agli altri membri dell'Ordine. Accanto a lei c'erano Charlie e Adeline, che le stringevano le mani, Jacob e i gemelli, in delle bellissime giacche di pelle di drago.

Davanti a lei c'erano Kingsley Shacklebolt, Malocchio Moody, Tonks, con una spiccata capigliatura rosa, che teneva la mano di Remus Lupin, il Signor e la Signora Weasley, suo padre accanto a loro, e infine Bill, ancora dolorante, sorretto da Fleur. Oltre a loro, Helen riconobbe anche l'odiosa Dolores Umbridge, e il nuovo ministro Scrimgeour.

Sotto la verde acqua chiara un coro di sirene aveva cominciato a cantare qualcosa di molto triste, che pareva un lamento disperato, simile a quello emesso dalla fenice. Poi Hagrid, visibilmente scosso e con le lacrime agli occhi, portó tra le braccia il corpo di Silente, avvolto in un drappo viola, ornato di stelle dorate. Helen scoppió in lacrime senza rendersene conto, unendosi a Hermione, Ginny e Adeline, che singhiozzavano più forte, ogni volta che Hagrid avanzava di un passo. Quella giornata era divenuta improvvisamente gelida.

Anche i centauri sbucarono dalla foresta a porgere l'ultimo saluto; poi un mago, vestito di nero e con i capelli arruffati tenne un discorso in sua memoria.

Non appena questi ebbe finito di parlare, alcune grida si levarono dalla folla. Alte e bianche fiamme avvolsero il corpo di Silente e il tavolo su cui giaceva. Un fumo bianco salì a spirale nell'aria disegnando vortici. Poi il fuoco svanì, al suo posto c'era una bianca tomba di marmo, che custodiva il corpo di Silente ed il tavolo su cui riposava.

Helen poggió la sua testa sulla spalla di Charlie.

Ogni cosa era cambiata, stava cambiando, e avrebbe continuato, ma lui era lì.

Charlie era lì con lei. E per un istante non contó nient'altro.

 

 

 

                                                           Little Whinging, 27 Luglio 1997

                                                                

 

Helen girava in cerchio a cavallo della sua scopa; Adeline poco lontano stava facendo lo stesso.

Aspettavano, ottemperando al loro dovere.

L'ansia cresceva.

I cieli sopra Little Whinging erano nuvolosi, ma le due non si perdevano di vista, entrambe avvolte in pesanti mantelli neri.

Conoscevano il piano di Moody in modo abbastanza dettagliato. Harry doveva essere trasferito alla Tana quella notte, ma avendo ancora la traccia addosso, non avrebbe potuto usare la materializzazione, così Alastor aveva ideato un piano insieme agli altri membri dell'Ordine: sei di loro avrebbero bevuto la polisucco per trasformarsi in Harry e confondere i mangiamorte, nell'eventualità fossero di ronda; ognuno dei sette Harry sarebbe stato accompagnato da un'altra persona, a bordo di una scopa o di un thestral, o nel caso del vero Harry, una motocicletta, sui cui il signor Weasley aveva messo le mani. Si sarebbero dovuti trovare tutti alla Tana entro un'ora dalla partenza.

Mancavano pochi minuti al via. Helen guardava l'orologio, con la sensazione che il tempo non passasse mai. Adeline le si fece vicino repentinamente, in procinto di ripetere il piano per la millionesima volta; non avrebbe mai voluto deludere Moody.

«Allora, il vero Harry con Hagrid, l'Harry che va con Arthur è in realtà Fred, quello che va con Kingsley è Hermione, con Tonks...»

«C'è Ron, con Bill c'è Fleur, con Moody, Mundungus, e per finire George con Lupin» completó Helen, come stesse pronunciando una filastrocca.

Adeline le sorrise, guardandosi intorno freneticamente. I cieli sembravano sgomberi da qualsiasi nemico. Era troppo strano.

«Helen» la richiamó poi. «Loro non avranno pietà di noi» le ricordó. Sapeva bene cosa l'amica avesse voluto suggerirle: il momento di disarmare era finito, ora si doveva uccidere.

Si strinsero la mano, poi tornarono ad allontanarsi, pronte a seguire il piano.

Passarono pochi momenti prima che qualcosa nel cielo cominciasse a muoversi. Helen aguzzó la vista: delle figure incappucciate, apparse dal nulla, planavano verso il basso: Mangiamorte.

Ma come facevano a saperlo?

Neanche il tempo di lanciarsi un occhiata, che Adeline partì all'inseguimento, alzandosi di più nel cielo, seguita da Helen, che viró verso sinistra.

I sette Potter con i relativi accompagnatori si levarono in alto, ignari di ció che li attendesse.

In un batter d'occhio, il cielo si riempì di lampi verdi e rossi, che partivano da una bacchetta all'altra.

Helen individuó soltanto la scopa che portava Fred; viaggiavano tutti così distanti. 

Con gli occhi traboccanti di rabbia si lanció nella battaglia, sferzando colpi e infliggendone altri.

Le nuvole ostruivano la visuale, rendendole difficile agire con precisione.

Poi fu un istante, ed Helen si trovó fiancheggiata da uno di quelli, il respiró le mancó. Puntó la bacchetta, ma con grande stupore, constató si trattasse di Grace Fawley; il cappuccio le era scivolato dal volto, e mostrava due occhi impauriti. Era una mangiamorte anche lei? 

Qualcosa suggerì ad Helen che non fosse ció che lei voleva. Gli occhi erano intrisi di paura, di incoscienza, nulla a che vedere con l'odio che aveva visto in quelli della Raylee, con la brama di oscurità.

La stava quasi fiancheggiando senza fare nulla, come se l'avesse riconosciuta. Si guardarono, poi quella le fece cenno con la testa, un cenno che voleva significare: "Vai, non ti feriró".

Ed Helen non ci pensó su; incredula, si lanció nuovamente nella battaglia.

 

 

Helen rotoló giù dalla scopa, atterrando su un letto erboso. In lontananza vedeva delle luci: la Tana. Era viva.

Poco dopo, con uno scoppio, Adeline le piombó accanto. Soltanto loro due avrebbero dovuto materializzarsi, avendo più di diciassette anni e non essendo direttamente coinvolte nel trasporto.

Rimasero lì un istante, a capacitarsi di quanto fosse accaduto, a respirare. Poi si tirarono su, stringendosi in un silenzioso abbraccio e avviandosi, fiacche, verso la casa dei Weasley.

Bill era arrivato prima di loro, con Fleur al seguito, gli altri erano lì fuori, tranne i gemelli. Le due furono accolte dalla signora Weasley, che emise un sospiro di sollievo, stringendole a sè.

Poi entrarono in soggiorno ed Helen volse lo sguardo al divano, precipitandosi verso George, che vi era disteso sopra. Era vigile, ma non aveva più un orecchio e dalla ferita perdeva sangue di un rosso intenso. Quale incantesimo avrebbe riparato a quello? Nessuno; probabilmente Molly aveva già tentato, ma la magia oscura aveva lasciato un segno.

Helen lo strinse forte, una lacrima le rigó la guancia.

Adeline fece lo stesso con Fred, confortandolo con una stretta, perché immaginava come si stesse sentendo a vedere suo fratello così malridotto.

«È stato Piton» bisbiglió Fred

«Sto bene Helen, non preoccuparti» fece George con voce flebile

«Fin troppo direi! Ha appena fatto una tremenda battuta sulle orecchie... Romano, Georgie, davvero?».

Ma il simpatico e repentino scambio di battute tra i gemelli fu interrotto dalla notizia che Malocchio fosse morto. Bill e Fleur l'avevano visto precipitare dalla scopa.

Adeline lì accanto scoppió a piangere disperatamente, accasciandosi a terra, ed Helen seppe perché: l'amica era profondamente affezionata all'auror e a tutte le cose che le aveva insegnato, si poteva dire fosse il suo modello.

Sembrava che la morte li affiancasse ogni momento, pronta a prenderli tutti, uno alla volta, senza preavviso alcuno.

Helen si precipitó da lei, stringendole il volto tra le mani.

«Adeline, ascoltami, si è sacrificato per tutti noi. Tu diventerai come lui un giorno, sarai anche migliore, ed io, lo giuro, saró lì a guardarti».

Tutti i presenti, addolorati da quella perdita, brindarono al guerriero caduto con del Whisky Incendiario. Ma quel gesto non sarebbe bastato a rendere onore all'uomo e combattente, che Moody era stato.

Poi Helen guardó oltre la finestra. In lontananza vedeva casa sua: le luci erano ancora accese, suo padre stava bene.

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Capitolo 61
*** Capitolo 57 - Matrimonio ***


I preparativi del matrimonio di Bill e Fleur procedevano regolarmente, nonostante li attorniasse un clima per niente festoso. Era trascorso più di un mese dalla morte di Silente e la situazione, da allora, non aveva fatto altro che degenerare: tutti i più validi componenti dell'Ordine della Fenice stavano perdendo la vita. Uno tra questi Moody, Auror e membro dell'organizzazione, ucciso dai Mangiamorte durante il trasferimento di Harry alla Tana. Helen si aspettava di vederlo ritornare da un momento all'altro, ma così non fu.

George era stato gravemente ferito al punto da perdere un orecchio; avrebbe riportato, sicuramente, danni permanenti all'udito. La vista di Grace l'aveva particolarmente scossa; quella ragazza voleva comunicarle qualcosa che a parole non avrebbe potuto fare, nel suo sguardo aveva visto spavento, paura. Non l'aveva colpita, semplicemente si era limitata a farle un cenno in direzione di George. L'aveva aiutata, di nuovo; era stata dalla sua parte, di nuovo. Sembrava stesse combattendo una lotta interiore, dalla quale non riusciva ad emergere, a venirne fuori. Helen ipotizzò che, in realtà, la Fawley fosse stata costretta a schierarsi, forse a causa del suo nome, del fatto che la sua famiglia fosse sempre stata dalla parte di Voldemort, oppure semplicemente per difenderli, o meglio, difendersi.

La signora Weasley era stata, inizialmente, contraria ai festeggiamenti, ritenuti da lei inopportuni, considerando l'aria che si respirava, intrisa di incertezza e paura. La morte sembrava essere per loro una fedele compagna.

Tuttavia, pareva essersi, a poco a poco, ammordita sulla questione, accettando la cosa; forse aveva capito anche lei che sarebbe stato un valido espediente per cercare di estraniarsi dalla realtà oscura. Avevano bisogno di ridere, divertirsi, anche solo per un giorno. 

 

Quella mattina, Helen aveva cercato di aiutare quanto più possibile; affiancó Fred e George, i quali erano stati incaricati di affiggere palloncini e fiori per tutto il tendone.

«Ma perchè noi?» si erano lamentati, quando Molly aveva lasciato loro gli addobbi.

«Avanti ragazzi, è cosí romantico!» commentó Helen, mentre afferrava i palloncini, girando su se' stessa con aria sognante. I gemelli assunsero un'espressione disgustata.

«Quando tu e Charlie vi sposerete» non appena Fred pronunció la frase, Helen per poco non cadde «Io e George non vogliamo essere coinvolti in questo» sorrise poi, con lo sguardo fisso su di lei, completamente arrossita.

Si occuparono di intrecciare fiori bianco e oro attorno ai pali di sostegno, appendendo decorazioni del medesimo colore in più punti del gazebo. Helen creó un enorme grappolo di palloncini dorati, che i gemelli posizionarono proprio nel punto esatto in cui Bill e Fleur si sarebbero promessi amore eterno. 

Impegnarsi in quei preparativi le aveva fatto bene, l'aveva rallegrata, per dei brevi momenti aveva dimenticato l'orrore di ció che fosse accaduto, le aveva infuso una strana positività, una fiducia nella stessa vita, che da tempo le era mancata. 

L'amore.

Incredibile come quel sentimento riuscisse a guarire tutte le ferite, anche quelle che non smettevano di sanguinare, che non avevano intenzione di rimarginarsi, che continuavano a bruciare, provocando dolore. Questi tagli che ancora le laceravano il cuore erano stati inferti dalla perdita, a partire da quella di sua madre, fino a Moody. Eppure, quando era con Charlie, con suo padre e Jacob, con i Weasley, o semplicemente, quando guardava Bill e Fleur amarsi, scambiarsi sguardi complici, innamorati, lei riusciva non dare peso alle preoccupazioni. 

 

L'arrivo degli invitati era previsto per le tre di quello stesso pomeriggio, la signora Weasley sembrava un tornado di entusiasmo, rimproverava i propri figli, affinché aggiustassero i colletti delle giacche o stirassero le pieghe delle camicie. Sentí Fred lamentarsi spesso di quanto fosse fastidioso indossare quegli abiti, accennando anche al fatto che la signora Weasley avesse pianto per l'assenza di Percy. Helen comprendeva davvero il dispiacere di non avere tutta la famiglia riunita ad un evento tanto lieto. Costrinse addirittura Charlie, testimone di Bill, appena rientrato dalla Romania, a tagliare i capelli, in occasione sia del matrimonio, che del compleanno di Harry. Helen credeva che stesse molto meglio con quel nuovo taglio, gli dava una maggiore freschezza, mettendo il risalto il suo bel viso.

«Ma che bel giovanotto!» gli aveva detto, appena terminata la rasatura.

«A me piacevano prima» si era lamentato lui, tenendo il broncio, cosa che aveva fatto ridere Helen; sembrava un bambino. Gli aveva scoccato un bacio veloce e lui aveva incurvato le labbra, rilassando la fronte, fino a poco prima corrugata.

«Visto Helen? Ora sí che sembra un mago a modo, non un selvaggio» aveva poi costatato la signora Weasley, interrompendoli, mentre guardava compiaciuta il lavoro svolto.

«Hai davvero ragione Molly!» aveva, quindi, risposto lei, mentre Charlie continuava a sbuffare.

 

Per l'occasione, Helen decise di indossare un semplice abitino blu, che le arrivava sopra le ginocchia. Le fasciava l'intero busto, lasciando scoperte le spalle e parte della schiena, aprendosi sul petto con una scollatura morbida, non troppo profonda; la gonna le ricadeva ampia sulle cosce formando delle pieghe. Raccolse i capelli in una treccia laterale, dalla quale sfuggivano le solite ciocche odulate, contornandole il viso. Non appena gli invitati fecero il loro ingresso in sala, ogni membro della famiglia Weasley si preoccupó di accogliere una parte di questi, mostrando loro dove accomodarsi, proprio come era stato ordinato da Molly. Fred e George si precipitarono prontamente dalle graziose cugine di Fleur, facendo sorridere la stessa Helen con i loro tentativi di parlare francese. 

«Tu saresti la figlia di Thaddeus Clark?» abbaió una donna anziana. «Dovresti mangiare un po' di più, signorina» la rimproveró.

«Zia Muriel andiamo, il tuo posto è di lá» Ron la prese sottobraccio, rivolgendosi poi alla bionda: «Scusala Helen» aggiunse dispiaciuto, ma allo stesso tempo leggermente irritato; Helen gli sorrise.

Una volta fatte entrare tutte le persone che avevano ricevuto l'invito, si posizionarono lateralmente, lasciando cosí lo spazio necessario affinchè gli sposi potessero percorrere il corridoio principale. Vide entrare per prima i coniugi Weasley, particolarmente scalpitanti, poco dopo fecero il loro ingresso Bill e Charlie, accompagnati da un fischio di Fred. Seguí Fleur insieme al padre, Monsieur Delacourt. Helen incroció lo sguardo di Charlie per un momento, era davvero affascinante nel suo abito elegante. Lui le strizzó un occhio, facendola arrossire.

«Oh signorina non mi sembra il momento per scambiarsi queste occhiatine» sussurró zia Muriel, rimproveranda, poco prima dell'inizio della cerimonia d'unione. 

 Gli sposi, terminato il comune rituale che sugellava il loro amore, aprirono le danze. Tutti gli invitati si precipitarono in pista; vide Hermione e Ron, Jacob e Adeline, Ginny e Lee, che stranamente non l'aveva pregata di ballare con lui, evidentemente Fred e George gli avevano riferito qualcosa. Sussultó, sentendo qualcuno cingerle la vita, inducendola a voltarsi.

Era Charlie.

«Mi hai spaventata» rise lei, colmando immediatamente le distanze tra le loro labbra.

«Mi concede questo ballo, signorina Clark?» chiese lui, staccandosi dal bacio. Helen sorrise e annuí. Voleva danzare con lui, baciarlo in pubblico, mostrare a tutti quanto lo amasse. Si diressero verso il centro della stanza, volteggiando insieme agli altri invitati, scambiandosi qualche parola, alternata a teneri baci.

«Un giorno» inizió Charlie, stringendola di più a sé. «Anche noi» concluse, guardandola dritta negli occhi. Helen sapeva che alludesse al matrimonio e questo la fece agitare, per quanto bella fosse la prospettiva.

«Che ansia» disse istintivamente

«Perchè?» chiese lui, ridendo poco dopo alla buffa espressione che il viso di lei aveva assunto.

«Io...sarei una pessima moglie» ammise, leggermente imbarazzata.

Charlie non rispose, si limitó a scoccarle un altro dei suoi baci.

 

La cerimonia continuó tra balli, canti, cibo e champagne. Charlie l'aveva lasciata con Adeline, che aveva trascorso il resto del pomeriggio in compagnia del fratello di Helen, per raggiungere Hagrid ed un altro mago basso e tozzo, con i quali inizió a bere, affiancato dallo stesso Jacob. 

«Come va, Hel?» le aveva chiesto, dopo un sorso di succo di zucca.

«Non mi lamento. Dopo il matrimonio torneró alla Gringott» rispose «Tu come farai, Adeline?» le domandó poi.

L'amica stava per rispondere, quando improvvisamente qualcosa di grosso ed argento piombó in mezzo alla pista, attraversando la tenda. Un patronus emerse da quella luce, sotto gli occhi di tutti.

«Il Ministero è caduto. Scrimgeour è morto. Stanno arrivando» 

Helen sentì il cuore arrestarsi. Sapeva benissimo chi stesse arrivando. Pochi attimi dopo una moltitudine di Mangiamorte si fiondó su di loro, mentre il panico si scatenava tra i presenti. Maghi e streghe si smaterializzavano, superando le barriere protettive, ormai infrante; urla e schiamazzi infestavano l'ambiente circostante; vide alcuni membri dell'Ordine issare le bacchette al cielo, pronunciando incantesimi difensivi. Cercó di fare lo stesso, ma il braccio le tremava come fosse preso da spasmi. Aveva paura. Il clamore, sorto a causa dell'attacco, le confondeva i sensi, avvertiva la testa girare, l'ambiente circostante volteggiare; sentiva di star perdendo l'equilibrio, le voci le arrivavano ovattate. Inciampó su qualcosa, quando due mani possenti l'afferarono poco prima che toccasse il suolo.

«Helen stai bene?» 

Charlie aveva evitato che cadesse e ora la guardava con occhi sgranati, visibilmente agitato.

«Sto bene» disse semplicemente, stringendosi al rosso.

Tra quelle mani, si sentì lontana dal braccio della morte.

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Capitolo 62
*** Capitolo 58 - Malfoy Manor ***


Tutti gli ospiti erano svaniti in men che non si fosse detto. Tonks e Lupin avevano fatto lo stesso; se il ministero era caduto nelle mani sbagliate, sarebbe stato meglio si fossero nascosti. Helen li osservó mentre si stringevano la mano e venivano risucchiati dall'aria, un attimo prima, festosa.

Alcune persone, vestite in modo piuttosto elegante, si materializzarono al centro del tendone. Bill e Fleur si stringevano a vicenda, visibilmente urtati. 

"Quello doveva essere il loro giorno".

Charlie si paró dinanzi ad Helen, come per farle scudo con il suo corpo. 

Quelle persone venivano dal ministero, ma non volevano sicuramente agire per il loro bene, erano lì per un motivo. Helen si guardó intorno in cerca di Harry, Ron o Hermione; nessuno di loro c'era. Tiró un sospiro di sollievo, stringendo la presa intorno alla bacchetta. 

Il gruppo di "funzionari" avanzava verso di loro con prepotenza.

I coniugi Weasley e suo padre stavano dinanzi a tutti loro.

«Perdonate l'interruzione» fece uno di quelli, con un sorriso beffardo. «Auguri agli sposi comunque!», quella smorfia non gli si levó dal volto. Bill spinse Fleur dietro di sé, afferrandole il braccio, pronto a difendere sua moglie.

«Suvvia Runcorn! Saremo rapidi, solo qualche domandina» proferì una voce femminile.

Helen quasi scattó in quella direzione, riconoscendo la voce come quella di Dolores Umbridge.

"Lurido rospo" pensó.

Sentì la mano sinistra pizzicare, come a ricordarle il dolore della punizione inflittale da quella megera.

Ma ora non doveva rispettarla, non più. Il primo passo falso e Dolores Umbridge sarebbe finita schiantata oltre le campagne del Devon.

«Cosa vi porta ad interrompere una cerimonia così importante?» domandó pacato il signor Weasley, che, lavorando al ministero, riconobbe alcune di quelle persone.

«Siamo sulle tracce di Harry Potter. Come dovreste sapere, è un ricercato adesso» squittì, mostrando loro una foro segnaletica. Helen sentì Ginny trattenere il respiro.

«Lui non è stato qui» fece Arthur calmo.

La Umbridge divenne rossa in volto; le sue guance facevano pendant con il tailleur fucsia che indossava.

«Bene bene, sarà meglio che vi interroghi uno alla volta» constató lei. Molly Weasley, che fino a quel punto era stata tranquilla, scattó in avanti, puntando la bacchetta verso quella.

«Non credo proprio! Lei non torcerá un solo capello ai miei figli, e neanche ai presenti. Se ne vada via, Harry Potter non è stato qui» ringhió a denti stretti.

Il maggiore dei Weasley intervenne nella disputa: «Nostro padre lavora da anni al ministero, abbiamo giá i nostri guai, non avremmo motivo di procurarcene altri».

La Umbridge sembró indispettita. I suoi occhi saettarono su Helen, la bocca si aprì in un sorriso maligno, stava per istigarla, ma lei fu più rapida.

«Se ne vada ora. Ha interrotto un matrimonio, non si sarebbe dovuta intromettere» proferì, marcando le parole finali. Il sorriso svanì dalla faccetta tonda della Umbridge, ma prima di congedarsi, colpì forte con le parole: «Se così stanno le cose. Ma badi bene, signora Weasley, se dovessi venire a sapere che mi avete mentito, torceró ai suoi figli ogni capello, fino all'ultimo»

Poi si smaterializzarono. Tutti i Weasley corsero dalla loro madre, in collera per la minaccia subita.

«Non vi succederà niente, quanto è vero che mi chiamo Molly Weasley» bisbiglió ai suoi ragazzi, stringendoli a sè. Persino i gemelli avevano la tristezza dipinta in volto.

Lei strinse Jacob e suo padre, imitando i Weasley.

«Sei stata molto coraggiosa» si complimentó Jacob

«Non sei più una bambina» si compiacque il signor Clark, tirandola a sè.

«Spero Harry stia bene» sospiró lei, incerta su dove fossero andati. Volse gli occhi nel punto in cui prima stava la Umbridge, speró non riuscisse mai a rintracciarli.

 

La mattina dopo, Charlie e Jacob avrebbero dovuto fare ritorno in Romania.

Helen viveva con l'ansia che qualcosa di brutto potesse accadere ad entrambi, così lontani da casa e così vulnerabili.

Prese ad aiutare Charlie a preparare il bagaglio; preferirono farlo senza magia, in modo da creare del tempo insieme. Prima che il ragazzo avesse potuto prendere  le ultime cose, per raggiungere Jacob in salotto, Helen gli afferró il braccio, annullando la distanza dal suo viso. Lo bació ancora una volta. 

Fu un momento intenso, un beato oblio. Lo bació come fosse l'ultima volta; un contatto caratterizzato da amore implodente, che avrebbe potuto distruggerli, e la paura di perdersi. 

Assaporó le sue labbra, cercando di coglierne ogni dettaglio. Inaló il suo profumo. Gli passó una mano tra i capelli, per poi allacciargli le braccia al collo. Lui la sollevó da terra leggermente, cingendole la vita.

«Mi mancherai» gli sussurró Helen con voce tremante. «Promettimi che tornerai da me»

«Te lo prometto» le scoccó un altro dolce bacio. «E tu giurami che non ti caccerai in nessun guaio, o niente che possa farti del male» la imploró con tono preoccupato. Helen si sciolse a sentire il tono della sua voce.

«Te lo prometto».

Scesero in salotto, dove Jacob e Adeline si stavano sussurrando qualcosa, tenendosi le mani.

Anche l'amica aveva un bagaglio pronto, sarebbe stata presa sotto la protezione di Tonks e Kingsley, dal momento che l'accademia degli auror fosse passata nelle mani nemiche e lei sarebbe stata un mezzo per ottenere informazioni, in quanto membro dell'Ordine.

Quando entrambi furono pronti per andare, Helen prese la mano di Charlie un ultima volta

«Ti amo Charlie». Le sembrava fosse il momento di ricordarglielo. 

Lui le rispose, sorridendo: «Anche io ti amo, Helen».

Un attimo dopo non c'erano più.

Quella mattina Helen dovette salutare anche Adeline, Bill e Fleur, che si sarebbero spostati nella loro nuova casa, e i gemelli, che avrebbero fatto ritorno al loro appartamento sopra al negozio. La Tana sembró immensamente vuota, ed Helen si sentì proprio allo stesso modo.

 

                                                               Regno Unito, Febbraio 1998

 

Trascorsero mesi, giunse il nuovo anno e arrivó il gelido inverno. Helen passó il compleanno senza Charlie, diversamente da come avrebbe voluto, ma si convinse che sarebbero stati insieme il prossimo. Era stata, da Agosto, alla Gringott, portando avanti la sua formazione da spezzaincantesimi. Non passó un secondo senza pensare a come stessero gli altri.

Poi un noioso pomeriggio, la signorina Darlene, anch'ella schierata dalla loro parte, la mandó a chiamare, riferendole che ci fosse una visita.

Helen fu sollevata di vedere Bill, che silenziosamente la condusse all'esterno, senza dare nell'occhio e, presala per mano, come aveva fatto giá una volta, la portó altrove con una materializzazione.

Quando Helen ebbe toccato terra, si rese conto di essere alla Tana; il cuore, come sempre, fece una capriola nel petto.

«Stiamo organizzando una missione, abbiamo ritenuto necessario ci fossi, almeno tu».

Cosa voleva dire "Almeno tu?", era morto qualcuno? Non le pareva di aver appreso una notizia del genere, da quelle che le erano state trasmesse; poi entrando in salotto, si rese conto che fosse piuttosto vuoto.

Suo padre non c'era, e Lupin, molto stressato e pallido, a causa della gravidanza di Tonks, anch'ella assente, le spiegó che si trovasse sul posto di lavoro, per non destare sospetto con le numerose assenze.

Oltre a Remus, c'erano solo i coniugi Weasley, Bill e Kingsley. E Adeline? Ma soprattutto, cosa avevano in mente?

Poi Kingsley si schiarì la voce, illuminandola sulle intenzioni che avessero, con la sua voce grave: «Dobbiamo fare un incursione a villa Malfoy. Non sarà una missione facile, e deve essere rapida. Dobbiamo capire chi delle persone scomparse è stato portato lì, e a quale scopo. Non sappiamo neanche dove sia Harry in questo momento, e ritengo che così arriveremo a scoprire se è già nelle mani del nemico»

Dopo quelle parole si aprì una disputa sul fatto che si stesse trattando di una missione suicida, di una missione che avrebbe portato il malcapitato dritto nella tana del lupo. 

Helen ci pensó un istante, confusa dalle voci dei presenti che litigavano per chi avesse dovuto sacrificarsi. Kingsley non avrebbe certamente potuto, era troppo noto al ministero; il signor Weasley aveva giá rischiato la pelle una volta; Bill aveva una moglie ora, ed Helen avrebbe preferito ne restasse fuori; Molly era la colonna portante della famiglia, non le avrebbe mai permesso di sacrificarsi; Remus, lui stava per diventare padre.

Collegó tutti i punti. C'era un motivo per il quale si fosse trovata lì, nel mezzo di quella faida. 

Lei era sconosciuta agli occhi dei mangiamorte, era la più esile, e abbastanza brava nella tracciatura.

Certo, aveva promesso a Charlie di non gettarsi nel braccio della morte, ma mentre la mente si soffermava su quella promessa, il cuore scattó in avanti. Non era più una bambina.

«Andró io» fece secca. Le voci degli altri si arrestarono.

«Non se ne parla!» ribattè Arthur.

Ma Helen spiegó loro del perché, mandare lei, fosse la scelta più adatta. Fu così convincente che agli altri sembró inutile continuare a discutere, lasciarono che facesse la sia scelta, a malincuore. Poi Kingsley le illustró il piano.

 

 

L'indomani pomeriggio Helen strisciava tra le siepi di Malfoy Manor, nascosta da un incantesimo di disillusione, cercando di raggiungere l'ingresso, o quantomeno le finestre, lontano dalla vista nemica. Alcuni pavoni bianchi passeggiavano in giardino, indisturbati, ignari della sua presenza. Si aspettava delle barriere difensive attorno alla struttura, ma non accusó nulla, i nemici dovevano essere molto sicuri di ció che stessero facendo. L'idea che dentro quella casa ci fosse Voldemort in persona la fece rabbrividire, ma non poteva tirarsi indietro. Si appostó dietro ad un cespuglio di rose bianche, che le offriva la vista di una parte di ció che stesse accadendo dentro.

Un brivido partì dalla sua mente per l'effetto della tracciatura. Vide delle orme argentee sotto al suolo, come si trattasse di una cantina, o meglio, delle prigioni. Cercó di concentrarsi, riuscendo ad avvertire la presenza di qualcuno. C'erano dei prigionieri lì sotto. Ma chi?

Proprio mentre era focalizzata su quel pensiero, un rumore di pesanti passi sul terreno ghiaioso la distolse. Un gruppo di mangiamorte scortava l'ennesimo condannato, che si dimenava, urlando a gran voce. Helen rabbrividì.

Forse fu troppo azzardata nell'abbassare la guardia, che qualcuno la colpì con un incantesimo che le immobilizzó le gambe, facendo svanire la disillusione. Helen tremó, pensando che la morte stesse per averla con sè, ma poi riconobbe la persona che lo aveva scagliato: Grace Fawley.

«Helen?» bisbiglió, inginocchiandosi dietro alla matassa di fogliame. «Ma sei impazzita? Devi andare via di qui» la rimproveró quella.

Helen fu meravigliata della reazione della mora.

«Che ci fai tu qui, dovrei chiedere» controbattè la bionda

«In realtà mi nascondo sempre dietro a queste siepi...»

«Intendo qui, con i mangiamorte!»

«Cosa ti aspettavi Helen? Mio padre è uno di loro»

«Ma tu non lo sei».

Grace parve sciogliersi a quelle parole; con un gesto della bacchetta dissolse la catene invisibili che si erano attorcigliate alle gambe di Helen.

«E tu? Cosa ci fai qui? Cercavi di scoprire qualcosa? Ti diró io tutto quello che vuoi sapere, ma devi andare via!» la pregó ancora Grace.

Poi trascorse un instante tra quelle parole così rassicuranti, e qualcosa che lo fu molto meno.

Un lampo luminoso colpì repentinamente Helen, ferendola al braccio, incidendolo con un taglio estremamente profondo. Non potè controllarsi, strilló dal dolore. Oltre la siepe c'era un uomo alto, con uno sguardo maligno, pungente. 

«Bene Grace, vedo che hai colto sul fatto un visitatore, il signore oscuro ne sarà felice, la darà in pasto al serpente» fece quello, che doveva essere suo padre. La testa cominció a vorticarle, sentì un freddo improvviso. Era quella la sensazione che si provava? Era così la morte?

Poi vide un altro lampo di luce e Grace le si fece vicino, scuotendola forte.

«Presto Helen! Dimmi dove dobbiamo andare», il tono della sua voce era disperato.

Helen trovó l'ultimo barlume di forza che le restava, si sentiva sempre più debole.

«I Weasley...la Tana» bisbiglió, cercando di non chiudere gli occhi.

«Stai con me, resta viva»

Rimembró che anche Charlie le avesse detto quelle parole. Ripensó a lui, alla sua promessa.

Poi tutto intorno divenne buio, come se l'ambiente si fosse ristretto. Grace l'aveva stretta, facendo pressione sulla ferita.

La stava portando in salvo.

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Capitolo 63
*** Capitolo 59 - Ferite ***


Helen era stordita e sanguinante, sentiva la ferita sul braccio bruciarle e il dolore divampare a tal punto da provocarle conati di vomito. Il sangue continuava a sgorgare, sembrava il fuoco che arde le foreste, prendendo gli alberi uno ad uno, senza la benchè minima intenzione di arrestare la propria corsa. La vista di quel denso liquido rosso, che le scorreva caldo sulla pelle, le fece più volte perdere i sensi. Non ricordava bene come fosse riuscita ad arrivare alla Tana, solo che Grace l'aveva aiutata. Si erano smaterializzate e, con la poca lucidità che ancora possedeva, aveva dato indicazioni alla Fawley sulla posizione in cui andare. Poco dopo aver varcato la zona difesa dagli incantesimi protettivi, nuovamente eretti attorno all'ormai quartier generale dell'Ordine, Grace l'adagiò a terra, cercando di fermare l'emorragia con qualche goccia di Essenza di Dittamo. Helen gridò. Le sue urla strazianti si propagarono per tutto l'ambiente circostante, attirando l'attenzione dei Weasley, i quali si precipitarono all'esterno, correndo immediatamente verso di loro. Un bruciore lancinante le attraversava l'arto ferito, facendole formicolare le dita delle mani, mentre la testa continuava a girare.

«Svelti, dobbiamo portarla dentro, è ferita» sentì dire alla signora Weasley, mentre qualcuno, che Helen riconobbe come il padre, la issò di peso, trasportandola all'interno, stendendola poi sul tavolo della sala da pranzo. Vedeva le persone sfocate, non riuscendo a distinguere correttamente i volti, le sembrò di scorgere Fred avvicinarsi a Grace, accarezzandole la guancia con una mano e lei appropinquarsi a Molly, cercando di recarle aiuto. Le voci le arrivavano ovattate, confuse, sentiva solo la signora Weasley impartire ordini a qualcuno, evidentemente proprio agli stessi gemelli, mentre disinfettava la ferita di Helen con dell'acqua, tamponando lentamente. 

«Sembra che il sangue si sia fermato» disse poi, rivolgendosi a Grace. «Dobbiamo chiudere il taglio. Prendimi la bacchetta e il dittamo, figliola.»

Grace si alzò, facendo come richiesto, mentre Molly accarezzò i capelli di Helen, la quale cercava di restare vigile, non focalizzandosi sul dolore che non accennava a diminuire. Non appena la Fawley tornò e la signora Weasley poggiò la bacchetta sulla pelle lacerata, Helen si morse intensamente le labbra, mentre delle lacrime cominciarono a rigarle il viso, una dopo l'altra. Chiuse gli occhi, provando a trattenere un grido di dolore.

«Avanti Asticello, sii forte» le sussurrò il padre, infondendole forza mentre le stringeva una mano.

«Forza Helen, tieni duro» la incitò Fred, accostandosi alla bionda, imitato, poco dopo, da George.

 

 

Il bruciore si era trasformato ora in un semplice fastidio, Grace le aveva fasciato il braccio con delle bende, delicatamente. Il peggio sembrava essere passato.

«Grazie» le mormorò Helen con una fievole voce. La mora sorrise, terminando poi la medicazione.

«Non ringraziarmi, se non fosse stato per te, io-» 

Il suo sguardo si posó per un attimo su Fred, tuttavia non riuscì a finire la frase, perchè delle voci provenienti dall'ingresso, annunciarono l'arrivo di qualcuno. Nonostante lo stordimento, Helen riconobbe quella del signor Weasley e quella di...

«Charlie!» esclamó Molly, pulendosi le mani macchiate, ancora un po', di sangue. Gli andó incontro, abbracciandolo.

«Come stai tesoro, tutto bene? Sei stanco? Ci sono novità?» gli chiese, forse con troppa premura, senza ricevere, peró, risposta.

Charlie guardava dritto di fronte a se', in direzione di Helen. C'era sangue un po' ovunque, sulla tavola, sugli stracci usati da Molly e Grace per disinfettare la ferita, sui vestiti della stessa ragazza, la quale era ora appoggiata sulla poltrona, su cui di solito sedeva il signor Arthur. 

Non riuscì a sostenere il suo sguardo; abbassó per cui gli occhi, tenendoli immobili su un punto fisso del pavimento. Una strana tensione caló nella stanza e la signora Weasley sembró accorgersene.

«Bene bene» disse spezzando il silenzio. «Arthur, Thaddeus, ho bisogno di parlare con voi. La signorina che ha portato Helen ha sicuramente da dirci qualcosa» concluse poi, rivolgendosi a Grace, la quale annuì, seguendola fuori dalla sala da pranzo.

«Io e Fred, abbiamo degli scherzi da mettere a punto» azzardó George, dirigendosi verso l'uscita.

«Si, infatti, per i Tiri Vispi!» confermó Fred, scansando Charlie che era rimasto fermo in mezzo alla stanza. Varcarono la porta poco dopo, chiudendosela alle spalle.

Erano rimasti soli. Helen non riuscì a guardarlo, sapeva cosa gli passasse per la mente. Era sicuramente venuto a conoscenza della missione per cui si fosse proposta, a causa della quale avrebbe potuto tranquillamente lasciarci la pelle, se non fosse stato per Grace.

«Come stai?» azzardó lei, miseramente, perchè poco dopo vide Charlie passarsi nervosamente la mano tra i capelli, che, notó, gli fossero ricresciuti.

«Come sto io? Come stai tu? Che Merlino ti è passato per la testa Helen?» inveì lui. La ragazza alzó finalmente lo sguardo, incrociando quello del rosso.

Aveva gli occhi sgranati, preoccupati, ma allo stesso tempo sembrava alquanto irritato, come sfiduciato da qualcosa. Helen non rispose, si limitó semplicemente a fissarlo. 

«Me lo avevi promesso Helen! Mi avevi giurato di non cacciarti nei guai! Come dovrei stare io, spiegamelo, se ogni volta che sono lontano tu provi ad ucciderti?» chiese retoricamente, agitando le mani nella sua direzione. Aveva notato come le vene del collo pulsassero sotto la ruvida pelle. 

«Provare ad uccidermi...» ripetè lei, sorridendo sarcastica. «Io non ho manie suicida, Charlie, io SONO un membro dell'Ordine, proprio come te, Jacob, i gemelli» ribadì, alzandosi di scatto dal divano, cosa che le fece girare vertiginosamente la testa.

«Questo non ti giustifica dall'esserti gettata a capofitto in una missione impossibile!» la rimproveró Charlie.

«Missione impossibile?»

Helen sentì la rabbia montarle in petto, non riusciva a credere che il ragazzo che amava non avesse abbastanza fiducia in lei, nelle sue capacità. Aveva ritenuto, giá in partenza, impossibile un suo successo. Si sentiva screditata, sminuita, sottovalutata. Se i membri dell'Ordine avevano accettato di mandarla a Malfoy Manor, un motivo doveva, pur sempre, esserci.

«Beh, tesoro, gli altri non la pensavano come te, quando hanno approvato la cosa» continuó lei, piantando i piedi a terra, non staccando gli occhi da quelli del rosso. Questi, sbuffó sonoramente, allontanandosi di qualche passo.

«Non mi interessa degli 'altri', per Godric! A me importa di te, di te che non hai idea di quello che c'è là fuori, né di quello che fai, di te che vuoi fare l'eroina della situaz-»

«L'EROINA CHARLIE? Io so benissimo cosa mi aspetta fuori, so bene quello faccio. Tuttavia, gli 'altri'» indicó la porta, «Scorgono potenzialità in me che TU non vedi o non vuoi vedere» abbaió, puntandogli un dito contro.

«Io sono una Spezzaincantesimi, appartengo anch'io a quest'organizzazione, posso dare il mio contributo» proseguì, sentendo la ferita iniziare a pulsare, evidentemente si stava agitando troppo. Charlie si fece scappare una risata isterica, sembrava avere i nervi a fior di pelle.

«Non morendo, peró»

«Anche morendo, qualora servisse» ribattè subito lei, con voce titubante, guidata più dall'orgoglio, che dal coraggio.

«Tutto questo è ridicolo» affermó lui, portandosi le mani tra i capelli, si diresse poi verso l'uscita.

«Quando riuscirai a capire quanto sia difficile per me amarti se continui a metterti in pericolo, fammelo sapere» disse, sbattendosi la porta alle spalle.

Helen aveva percepito delusione nella sua voce, allo stesso tempo, stanchezza, dettata tanto dal viaggio, quanto, forse, dal bisogno di terminare quella discussione. Non appena Charlie fu scomparso oltre l'ingresso, Helen sprofondó nuovamente nella poltrona, lasciandosi cadere a peso morto; avvertiva le gambe smettere di reggerla, tremare. Cercó di trattenere le lacrime, inutilmente, perché queste iniziarono a ricadere impervie sulle sue guance, solcate da quelle rapide di acqua salata. Singhiozzava, con gli occhi gonfi, non riuscendo a smettere, mentre ripensava alla discussione avuta con Charlie. Non poteva credere che lui avesse ritenuto 'difficile' amarla, non voleva pensare che si fosse agitato così tanto, solo perché lei aveva provato a dare il proprio contribuito, aveva cercato di farsi valere, aiutare. 

Il ragazzo si fermó per una sola notte, aveva semplicemente il compito di aggiornarli sulle nuove sparizioni di colleghi dragonologisti. La mattina successiva, all'alba, partì, senza salutare nessuno, se non i genitori. Quando Helen si sveglió chiese di lui a Molly e la donna la informó della sua ripartenza. 

 

Trascorsero settimane senza avere alcuna notizia né di Charlie, né di Jacob, non che la cosa fosse diversa dai mesi precedenti al litigio, ma il semplice fatto di essersi lasciati così bruscamente le provocava un senso di vuoto nel petto. 

'Quando riuscirai a capire quanto sia difficile per me amarti se continui a metterti in pericolo...'

Quelle parole le rimbalzavano nella testa, materializzandosi davanti ai suoi occhi, tutti i giorni, dopo quella sera. 

Quanto era complicato amarla? Per un attimo provò ad immedesimarsi nel panni del ragazzo, cercando di comprendere cosa potesse provare lui, in quel momento, come si fosse sentito quando aveva appreso dell'incarico affidatole. Doveva ammettere che quest'ultimo non fosse stato affatto semplice, aveva comportato pericoli elevati, ma lei sapeva benissimo a cosa sarebbe  andata incontro e, con la giusta consapevolezza, si era proposta. Pensava che Charlie si fosse ormai reso conto del fatto che lei non fosse più una bambina; non aveva bisogno di protezione, lui non doveva proteggerla da tutti i mali che avrebbe potuto incontrare una volta messo il naso fuori dalla porta di casa. Lei desiderava un compagno, un alleato, non una guardia del corpo. Helen voleva che lui l'affiancasse, la supportasse, le fosse vicino. Voleva lottare con lui, fianco a fianco, non alle sue spalle, non nascosta dietro la sua ombra. Era capace di farlo; le potenzialità che aveva duramente acquisito nell'anno trascorso, glielo avrebbero permesso, aveva imparato tanto, era cresciuta, era una donna. La questione che le faceva più rabbia era proprio che lui non avesse creduto in queste capacità, nella sua crescita professionale, in lei, cosa che, invece, avevano fatto gli altri, compreso suo padre. Nessuno avrebbe inviato una strega incapace in una missione di tale calibro, non avevano certamente perso il senno.

'...fammelo sapere.'

Tuttavia, sapeva quanto Charlie ci tenesse ed era sicura che la sua reazione fosse strettamente correlata alla paura di perderla. Lui l'amava, glielo aveva ripetuto più e più volte ed Helen era sicura che non mentisse, che non lo dicesse superficialmente; lui ci credeva, ci credeva davvero, glielo leggeva nelle pupille, percepiva la gioia diffondersi nei suoi occhi chiari ogni qualvolta la incontrasse.

Trascorsero alcuni giorni, poi Helen si decise.

Si mise a sedere alla scrivania della stanza che aveva condiviso con Ginny ed Hermione, per tutta la sua permanenza a casa Weasley. Si procurò un pezzo di pergamena, tirando fuori la piuma con il calamaio abbinato.

Gli avrebbe scritto una lettera.

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Capitolo 64
*** Capitolo 60 - Lettera ***


"Caro Charlie,

Avró sprecato almeno un migliaio di fogli per scrivere queste parole. Il pavimento della camera di Ginny è coperto da un tappeto di pergamene accartocciate e, se tua madre lo vedesse, comincerebbe a strillare persino con me.

So che a volte amarmi puó sembrare difficile... Lo hai detto tu stesso, insomma.

Sono caparbia in certi momenti; ma se decido di fare una cosa, è perché ritengo di esserne capace.

Non voglio rimproverarti per ció che hai detto, non anche io, ma se non avessi fatto ció che ho fatto, avrei passato la vita a rimproverare me stessa per l'essere rimasta dietro al sipario, a lasciare che qualcun'altro combattesse per me, per le cose in cui credo.

Avrei vissuto con il rimorso di aver mandato Remus o Bill, due futuri padri, a rischiare la vita; avrei vissuto con l'incubo di aver mandato tua madre verso un destino triste, e come avreste fatto voi senza di lei, se qualcosa le fosse accaduto?

Non ho bisogno di giustificare le mie azioni, so di averti fatto una promessa, e di averla infranta; ma ad un certo punto arriva il momento di agire, e io sono qui, sono viva, ed è ció che dovrebbe contare.

Ti ho promesso di restare viva, e l'ho fatto, con ogni parte di me stessa.

L'angoscia di non poterti rivedere mi accompagna come una fedele amica. La paura di perderti è forte, e so che ci spinge a fare cose che non vorremmo. 

Non credere che non ti capisca, che abbia tradito la tua fiducia.

Voglio che tu sappia che anche io ho bisogno di proteggerti, come tu ne hai di proteggere me. Ho bisogno che lottiamo fianco a fianco, se ci sarà da lottare. Vorrei che fossimo una cosa sola, più di quanto lo siamo giá stati.

Quando tutto questo sará finito, non vorró stare lontana da te neppure per un momento; ma ora, lascia che io possa lottare accanto a te.

Ti amo Charlie, torna presto.

                                                                   Tua, Helen   "

 

Charlie rilesse quella lettera ancora e ancora, continuando a tirare pugni alla scrivania vicino alla quale era seduto. In un impeto di rabbia accartocciò la pergamena, pentendosene un istante dopo, e restituendole, con un colpo di bacchetta, la forma originaria.

Come aveva potuto dirle che amarla fosse difficile? Come aveva potuto solo farglielo credere?

Si alzó in piedi, prendendo a fare su e giù per la stanza. 

"Helen mi aveva fatto una promessa e l'ha infranta", realizzó, cercando una giustificazione a quel turbamento.

Amava Helen, ma aveva timore, una paura di perderla che lo avrebbe portato a fare qualsiasi cosa, persino a fare appello a quel minimo di orgoglio che possedeva. Lui non era orgoglioso, non lo era mai stato; Molly si era fatta in quattro da sempre per infondere ai suoi figli virtù al pari dell'umiltà.

Bastava così poco per mandarlo in bestia? 

"È così quando ami qualcuno" gli suggerì la sia coscienza. 

Helen era in grado di farlo impazzire. Avrebbe voluto gridarle contro e contemporaneamente stringerla a sè con tutte le sue forze, temendo fosse l'ultima.

Mentre era funestato da quei pensieri, Jacob irruppe nella stanza piuttosto sudato, Aprile volgeva al termine e le giornate più calde sopraggiungevano.

«Charlie ti dispiacerebbe occuparti...», ma si interruppe prima di finire, studiando l'espressione dipinta sul volto del rosso, e facendo saettare lo sguardo da lui alla lettera che si trovava sulla scrivania. «È successo qualcosa? Notizie dall'ordine? Helen e Adeline stanno bene?» domandó preoccupato, divenendo bianco come un cencio. Charlie scosse la testa.

«Nulla di importante»

«Puoi parlarmi di tutto ció che ti passa per la testa, Charles, lo sai» gli ricordó Jacob, sorridendogli.

Fu impossibile per Charlie non vedere, percepire, nel sorriso dell'amico, quello di Helen. Erano così diversi, eppure così simili.

Con il pensiero di lei che gli tornó in mente, decise fosse meglio uscire da lì.

«Ti ringrazio, ma sto bene, davvero» mentì, avviandosi verso la porta.

Avrebbe fatto un salto alla locanda; un goccetto di Whiskey incendiario sarebbe stato d'aiuto.

«Vado a fare quattro passi. Appena saró di ritorno, medicheró Len»

«Chi è Len?» domandó Jacob, visibilmente confuso

«È il nome che ho dato all'Ironbelly» ammise, chiudendosi la porta alle spalle, senza troppe spiegazioni.

 

 

Charlie mise piede nella locanda semivuota. Il titolare era dietro al bancone, intento a lucidare alcuni bicchieri. Quell'ora di pomeriggio era piuttosto insolita per bere. La tradizione inglese l'avrebbe definita come ora del tè, sicuramente non di un potente alcolico.

Si guardó intorno; ad un tavolo infondo gli parve di riconoscere il signor Gray. Era tempo che non lo vedeva, quindi decise di accomodarsi dinanzi a lui.

L'uomo, in modo pacato, gli rivolse uno sguardo amichevole, ma che si tramutó in preoccupazione pochi istanti dopo, aspettandosi brutte notizie.

«Non si preoccupi, sono qui solo per bere» puntualizzò il rosso, mettendosi comodo sulla panca di legno scuro.

«Come procedono le ricerche al castello?» gli chiese gentilmente, rievocando il ricordo di Helen

«Andrebbero meglio se i miei collaboratori non continuassero a scomparire. Le persone si stanno schierando, Charlie»

«Ognuno fa le proprie scelte» sospiró il ragazzo, scrollando le spalle.

«Peró, devo ammetterlo, le mappe che la signorina Clark ci ha lasciato ci sono particolarmente di aiuto, un lavoro estremamente preciso. Come sta a proposito?» domandó cortesemente Gray, che si era particolarmente affezionato alla giovane spezzaincantesimi.

Charlie si incupì, come se una grossa nuvola gli avesse appena oscurato il volto, per l'ennesima volta.

Il titolare si avvicinó loro per chiedergli cosa avessero voluto bere, salvandolo dal dover rispondere. Con un gesto della bacchetta portó gli ordini al tavolo, ricevendo il pagamento dai due, poi si congedó, tornando alla sua postazione.

«All'amore» fece Gray, alzando il bicchiere.

Charlie fu titubante, poi ricambió quel gesto, bofonchiando a sua volta: «All'amore».

Quando il whiskey ebbe attenuato un minimo i suoi pensieri, bruciandogli la gola piacevolmente, si sentì meglio. 

«Come procede all'Enidro?» domandó l'uomo, poggiando il bicchiere sul tavolo 

«Non ho molte notizie. So solo che c'è una nuova alleata, una ex-mangiamorte» bisbiglió, avvicinandosi a lui. Gray fece una smorfia soddisfatta.

«Non ha risposto alla mia domanda sulla signorina Clark» gli fece notare l'uomo, accennando un sorrisetto divertito. «Non ne vuole parlare?»

«Beh...ecco, lei sta bene» asserì secco.

L'uomo mugugnò, bevendo un ultimo sorso dal proprio bicchiere.

«Venga, facciamo quattro passi» propose Gray. Charlie avrebbe voluto starsene da solo a pensare, ma si vide costretto ad accettare la proposta con finto entusiasmo.

Quando furono usciti dalla locanda, si incamminarono per le viottole circostanti, silenziosamente. Un vento fresco scuoteva i capelli del ragazzo dandogli sollievo.

«Charlie» fece l'uomo ad un tratto, con una voce più gentile del solito. «Non so cosa sia accaduto tra te e la signorina Clark, ma so riconoscere quando due persone condividono un forte sentimento».

Il suo tono divenne confidenziale e, sebbene Charlie si aspettasse la solita predica, cercó di prestare attenzione a quel discorso, che parve essere importante.

«Tanto tempo fa, anche io ho amato qualcuno, si chiamava Brienne, e forse parlare di amore è riduttivo, perché ció che provavo quando ero con lei, non l'ho più provato con nessun'altra persona.

La conoscevo da sempre, ma sono stato troppo stupido, egoista e orgoglioso per ammetterlo. Ho sprecato il tempo, che avrei potuto passare con lei, a pensare che avrei rovinato tutto: la nostra amicizia, il nostro futuro, i differenti sogni che conservavamo.

Perché ti sto raccontando questo? Una cosa di cui non parlo mai? Perché il tempo è prezioso, soprattutto il tempo passato ad amare.

La morte è alle nostre spalle ogni istante, ora più di sempre, pronta a rapirci, e noi cosa possiamo fare? Niente contro di essa. 

Peró possiamo vivere, e quale miglior modo di vivere, se non farlo tra le braccia della persona che vorremmo accanto?

Non essere orgoglioso, non sprecare questi attimi, nessuno te li restituirá, ama, azzarda, perdona e lascia che le persone che ami vivano, facciano le proprie scelte, perché solo così saprai chi sono davvero»

William Gray aveva gli occhi lucidi, la voce gli era divenuta tremante nel rievocare certi ricordi. Charlie fu colpito da quel discorso perché aveva smosso la sua coscienza. Lui non aveva mai amato nessuna come Helen, forse non aveva mai amato, e sentire quelle parole gli fece mancare la terra sotto i piedi.

«La ringrazio, signor Gray» bisbiglió Charlie, con lo sguardo perso

«Chiamami William» rispose l'uomo, poggiandogli una mano sulla spalla amichevolmente.

«E poi, cosa è successo con Brienne, se posso saperlo»

William sorrise malinconicamente.

«L'ho persa, le basterà sapere questo».

 

 

Qualche sera dopo Charlie si mise a sedere alla scrivania, munito di calamaio e pergamena, per scrivere una lettera ad Helen. Sebbene fosse iniziato il mese di Maggio, all'esterno il cielo era scuro, un grande temporale era in arrivo.

Non appena ebbe posato la piuma sul foglio, la porta si spalancó, e una grossa folata di vento sollevó il foglio dalla superficie lignea.

Charlie volse lo sguardo in direzione della porta: sull'uscio c'era il signor Gray, aveva il volto pallido e teso. Il ragazzo si rizzó in piedi; pochi istanti dopo, anche Jacob irruppe nella stanza, con un'espressione di sconvolgimento.

«Hogwarts» disse Jacob, riprendendo fiato dopo la corsa che aveva fatto per arrivare lì.

«Il professor Lumacorno ci invita a combattere» continuó William

«È cominciata Charlie, è cominciata la battaglia» proferì Jacob in ultima battuta, con la voce spezzata e colma di paura.

Radunarono gli alleati, mandando un messaggio con i loro patronus. 

Poi si smaterializzarono alla volta di Hogsmeade.

Charlie speró di non vedere Helen, avrebbe voluto saperla al sicuro, lontano dalla battaglia, dai pericoli. Ma d'altra parte avrebbe voluto vederla, per dirle quanto l'amava, e che non avrebbe voluto separarsi da lei mai più dopo quell'ultima guerra.

Avrebbe scelto lei, se esserci o meno, e questa volta Charlie avrebbe combattuto al suo fianco.

Difendendola e facendosi difendere.

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Capitolo 65
*** Capitolo 61 - La battaglia di Hogwarts ***


Hogwarts, 2 Maggio 1998

 

Helen si ritrovò nella Sala Grande assieme ai Weasley, Adeline, suo padre e gli altri membri dell'Ordine, tra cui Remus Lupin e Kingsley. 

La McGrannit aveva ordinato ai Prefetti di portare gli studenti minorenni delle proprie Case verso il punto di evacuazione, guidati da Madama Chips e Gazza, mentre quelli maggiorenni, se avessero voluto, sarebbero potuti restare per combattere.

Erano in guerra. 

L'esercito dei mangiamorte avanzava all'esterno del castello, guidato da Voldemort stesso. Improvvisamente una voce riecheggiò per tutta la stanza, invitando i presenti a consegnare Harry Potter entro la mezzanotte di quello stesso giorno. Questi si aggirava tra il tavolo dei Grifondoro in cerca di qualcosa, o forse di qualcuno. La voce di una ragazza Serpeverde che Helen, riconobbe come Pansy Parkinson, incitò gli altri ad acciuffare il ragazzo, il quale fu accerchiato dai membri della casa Grifondoro e Tassofrasso, per la maggior parte, pronti a difenderlo nel caso qualcuno avesse osato attaccarlo. Helen brandí la bacchetta a sua volta; sapeva che Harry fosse la chiave di tutto, non avrebbe permesso che gli accadesse qualcosa, anche a costo di schierarsi contro la sua stessa Casa. La McGrannit riuscí a placare gli animi, invitando i Serpeverde ad accomodarsi fuori dalla Sala Grande per primi, seguiri poi da molti Corvonero e alcuni dei restanti Tassofrasso.

Poco dopo, Kingsley salí sulla pedana, rivolgendosi a tutti coloro che erano rimasti, spiegando il piano concordato dagli insegnanti di Hogwarts e i membri dell'Ordine: i professori Flitwick, Sprout e McGrannit avrebbero condotto gruppi di combattenti verso la torre di Astronomia e quelle di Grifondoro, Corvonero; Lupin, il signor Weasley e lo stesso Kingsley, invece, verso l'esterno; mentre Fred e George si proposero per la difesa dei passaggi segreti. Helen si affiancò a loro. Grazie a suoi due migliori amici, aveva acquisito una certa conoscenza delle varie vie d'accesso alla scuola, anche quelle sconosciute al resto degli studenti; avrebbe potuto dare un funzionale contributo. Adeline e suo padre furono indirizzati al gruppo che avrebbe composto l'avanguardia esterna. Poco prima di raggiungere i gemelli e il resto del proprio schieramento, s'avvicinò a quei due. Il padre le andró incontro, per poi stringerla forte tra le braccia, come fosse la sua bambina, come fosse ancora un fragile asticello. Le scoccó un bacio tra i capelli, restandole abbracciato. Suo padre era diventato l'ancora a cui si aggrappava, il porto sicuro in cui si rifugiava da anni, ormai. Thaddeus Clark aveva fatto di tutto, qualsiasi cosa fosse in suo potere per crescere al meglio i propri figli, per tenerli al sicuro, per non far mancare loro nulla, soprattutto affetto, coltivando, allo stesso tempo, la propria carriera lavorativa al meglio. Era un uomo di tutto punto, stacanovista, legato alla famiglia, capace di educarla e sostenerla, in ogni situazione affrontata, buona o cattiva che fosse. 

«Sta attenta, piccola mia» le disse, afferrandole le spalle e guardandola dritta negli occhi. Ad Helen sfuggí una lacrima, non lo aveva mai visto tanto preoccupato. Il pericolo era reale, palpabile, concreto; il pericolo era a pochi passi da loro.

«Ci vediamo dopo papá» gli posó le mani a livello delle guance. «Ti voglio bene».

Lui le sorrise, prima di raggiungere il signor Weasley. Adeline, che era rimasta immobile a guardare la scena, proprio di fianco a loro, le si gettó tra le braccia, a sua volta, stampandole un bacio sulla guancia.

«A dopo Hel, tieni gli occhi aperti» le consiglió, accennando un sorriso malinconico.

«Anche tu amica mia» si strinsero ancora, prima di recarsi, ognuna al proprio battaglione di combattimento.

 

Helen si affiancò ai gemelli, i quali, nel frattempo, avevano messo su una piccola squadra, che avrebbe avuto il compito di difendere i passaggi segreti. Quest'ultimi erano molteplici, tuttavia, loro sembravano essere abbastanza per proteggerne la maggior parte.

Si avvió attraverso il corridoio centrale insieme a Fred e George, i quali erano tesi come corde di violino; la loro naturalezza, la leggerezza che li caratterizzava pareva scomparsa. Avevano paura, come tutti, come lei. Guardarono fuori da una delle finestre: una cupola difensiva si stava formando attorno al castello, mentre una serie di incantesimi, provenienti dalla parte opposta, continuavano a schiantarsi sulla barriera invisibile.

Helen vide i gemelli pietrificati dinanzi a quella visione, prese le mani di entrambi posando lo sguardo prima sull'uno e poi sull'altro. Avevano gli occhi lucidi, come specchi d'acqua, contro cui lampi luminosi, provenienti dell'esterno, andavano ad infrangersi.

«Comunque vadano le cose» inizió, posizionandosi di fronte a loro e fissandoli dritti negli occhi. «Noi tre resteremo sempre insieme» aggiunse, sorridendo leggermente, imitata da entrambi. Le pupille dei due ragazzi sembrarono rianimarsi, forse era riuscita ad infondere forza, speranza ai suoi migliori amici.

«Promesso?» chiese George, stringendole la mano ancora di piú. 

«Promesso» rispose lei, mentre Fred annuí, confermando a sua volta.

«Helen ultimamente sei diventata uno zuccherino» disse poi Fred, incurvando le labbra «Non credevo che il buon Charlie fosse in grado di attuare tali trasformazioni». Risero entrambi, mentre Helen mise il broncio, cosa che duró poco, cedendo e unendosi alle risate dei due amici.

«Siete sempre i soliti» costató lei, sferrando un leggero pugno sul braccio di Fred. Voleva davvero bene ai gemelli. Da sempre le erano stati vicino, in ogni occasione, riuscendo a rallegrarla nei momenti di tristezza e sconforto; sostenerla in quelli di stanchezza, durante i quali, spesso, se non fosse stato per loro, avrebbe gettato la spugna, rinunciando ad andare avanti, fermandosi ai primi ostacoli che le si fossero posti dinanzi. Invece Fred e George si erano comportanti come fratelli, dandole una mano a superare le difficoltà. Il loro aiuto, sia concreto che morale, le era stato, sempre di vitale importanza. Aveva perdonato loro tutti gli scherzi, le burlate e le prese in giro, anzi, non aveva mai dato a queste tanto peso, perchè sapeva perfettamente essere una caratteristica del loro modo di essere, a volte fin troppo vivace. Desideró che la fiamma che ardeva in ognuno di loro potesse restare accesa per sempre, che i loro scherzi non si fermassero mai.

Ripensó ai giorni passati a camminare con loro nei corridoi, quei giorni felici. Ora i corridoi erano gli stessi, ma loro erano cambiati.

«Vi voglio bene ragazzi» ammise.

Forse avevano ragione, era diventata piuttosto smielata.

«Suvvia Helen, sembra un ultimo saluto» rise George «Ci rivediamo qui, tutti e tre, appena possibile» aggiunse, questa volta con un tono più serio.

Helen e Fred annuirono.

Li vide allontanarsi, l'uno, accompagnato da Hanna Abbot e Lee Jordan, verso la Stanza delle Necessitá, l'altro, in direzione opposta. Lee la salutó con un ampio sorriso, sventolando la mano entusiasta, come era solito fare. Non era cambiato per nulla e questo fece sorridere Helen, un po' malinconica, ma, allo stesso tempo, felice del fatto che la guerra non avesse mutato i suoi modi di fare, di essere, almeno per lui. Una vena di nostalgia la pervase nuovamente, sferrandole un pugno allo stomaco. Ricordò quanto, negli anni precedenti, tra le pareti di quell'edificio, si fosse sentita davvero al sicuro da ogni male, di quando camminava spensierata, accompagnata da Adeline, oppure Logan ed Ava, o correva tra gli studenti, perchè in ritardo per qualche lezione, o cercava di liberarsi dei gemelli che  provavano in tutti i modi di farle accettare un appuntamento di Lee. 

Sorrise, sforzandosi di travare il motivo per cui avesse voluto, cosí tanto, crescere. 

Chi le aveva messo fretta? Nessuno. Eppure lei non vedeva l'ora di diplomarsi, entrare nel mondo degli adulti ed ora, che finalmente c'era, avrebbe desiderato non averci mai messo piede. Le difficoltà erano nettamente superiori di quelle affrontante tra i banchi di scuola, le responsabilità, altrettanto, il timore di fare passi falsi, sempre dietro l'angolo.

Emanò un sospiro, guardando nuovamente fuori dalla finestra. La battaglia era iniziata, luci e lampi si diramavano ovunque, una serie di boati e rumori proveniva dai piani superiori, suoni di passi, maghi e streghe che cominciavano a fuggire, difendersi, correre tra i corridoi con sguardi preoccupati, terrorizzati, talvolta, adrenalinici.

Si incamminò in direzione della Statua della Strega con un occhio solo, era lì che si trovava il passaggio segreto che avrebbe dovuto proteggere, quello che portava fino alle cantine di Mielandia, ad Hogsmeade.

L'ansia e il panico iniziarono a farsi spazio nella sua mente.

" Avrei proprio bisogno di una Cioccorana" disse tra sé e sé. Il suo pensiero migró verso Lupin, che aveva sempre della cioccolata per i suoi studenti.

Qual miglior rimedio per smorzare la tensione, se non qualche dolciume.

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Capitolo 66
*** Capitolo 62 - Terrore ***


L'esercito dei Mangiamorte, guidati dal signore oscuro, avanzava in modo sempre più prepotente, conquistando terreno. Erano tantissimi, non solo maghi e streghe, ma anche giganti e lupi mannari. Sentí un'esplosione in lontananza, accompagnata da urla e rumori di pareti crollate. Rabbrividí.

Non sapeva cosa stesse accadendo nelle altre parti del castello, sperava solamente che tutti stessero bene, che tutti avessero la prontezza di scansarsi, di colpire, prima di essere colpiti.

La statua alle sue spalle si mosse lentamente verso sinistra, provocando un suono stridulo a causa del contatto con il pavimento sottostante. Si voltò di scatto, brandendo la propria bacchetta. 

Strinse le dita attorno al legno di faggio, cercando di infondersi sicurezza. Quel lato di Hogwarts era ancora tranquillo, una quiete, anche se apparente e momentanea, di questo Helen ne era certa, prima o poi qualche nemico sarebbe sbucato dal passaggio o da uno dei corridoi circostanti e lei doveva essere pronta a combattere.

Una strana capigliatura colorata si fece largo oltre il buio, insieme a delle mani sottili, che sembravano essere di una donna, la quale fece forza sulle braccia per riuscire ad uscire dal tunnel, posto proprio sotto la statua. 

Stava sudando freddo, le parve addirittura di percepire un le gambe tremarle leggermente e un piccolo brivido percorrerle l'intera schiena. Aveva paura. Aveva paura che l'oblio della morte le si potesse parare davanti da un momento all'altro.

Un viso familiare emerse, due occhi neri ed intensi la stavano, ora, fissando.

«Tonks!» esclamò Helen, sollevata, abbassando subito la bacchetta. Si portó una mano al petto, sentendo il cuore, fino a poco prima accelerato, iniziare a rallentare. 

«Pensavo fosse-» inizió lei, subito interrotta dalla donna.

«Un lupo cattivo?» scherzó la Metamorfomagus, pizzicandole il naso in modo giocoso, come si fa con un bambino. 

Helen rise al gesto, con una certa naturalezza. Nymphadora sapeva sempre essere affettuosa nei suoi confronti e non solo. Era buffa e aveva dei modi alquanto goffi, tuttavia si era sempre mostrata come una persona genuina, gentile e con un cuore immenso. 

«A proposito di lupi» disse la donna, ritornando seria: «Sai dove sia Remus?» 

Helen scosse il capo in segno di dissenso; non era sicura di dove fossero ora, dato che la battaglia era iniziata, presumeva che si fossero spostati dalle loro postazioni iniziali.

Vide la donna portarsi una mano tra i capelli, alzando gli occhi al cielo, pensierosa. Era evidente stesse riflettendo su dove fosse più probabile trovarlo.

«Ma cosa ci fai qui? Dov'è il piccolo?» chiese subito Helen, allarmata, ricordando solo allora che Tonks non si fosse unita a loro da subito, perchè impegnata a tenere al sicuro il piccolo Ted.

«È con mia madre» spiegó. «Non preoccuparti, starà benone» la rassicurò, non appena vide che la bionda stesse per replicare qualcosa. 

«Devo trovare mio marito Helen, non posso lasciarlo combattere da solo» inizió a percorrere velocemente il corridoio alla loro sinistra.

«A dopo» aggiunse, scuotendo una mano, poco prima di svoltare l'angolo.

 

Helen rimase a fissare il punto in cui Tonks era scomparsa, ripensando alle sue parole.

Non posso lasciarlo combattere da solo. 

Ogni volta restava accecata dall'immenso amore che legava Remus e Nymphadora, pronti a perdere la vita per l'altro, se fosse stato necessario. Credeva davvero che nulla avrebbe separato quei due amanti, neanche la morte. Aveva appreso che fosse rimasta accanto a Lupin durante tutte le sue trasformazioni, nonostante lui non avesse voluto, nonostante la respingesse. 

Lei c'era sempre stata. Lo amava al punto tale che il suo patronus si fosse trasformato da una lepre ad un lupo. Glielo aveva riferito lei stessa, una sera, a Grimmauld Place.

«Helen l'amore ti cambia» le aveva detto. «Amo Remus a tal punto che i miei ricordi felici sono solamente con lui» aveva aggiunto, sorridendo, leggermente imbarazzata.

«Cosa intendi?» le aveva chiesto lei, curiosa.

«Il mio patronus è cambiato da quando siamo insieme» le aveva spiegato, guardandola dritta negli occhi. Helen ricordava quanto questi fossero intrisi di un sentimento ancor più forte, piú maturo, di quello che provava lei per Charlie. Era amore sí, ma diverso. Era vissuto, combattuto.

«Da una lepre ad un lupo» aveva chiarito Tonks. 

«Un giorno capirai cosa intendo» aveva incurvato poi le labbra «Forse qualcosa l'hai giá provata, vero rubacuori?» aveva, infine, concluso, strizzandole l'occhio e pizzicandole il naso, come suo solito.

Helen rise al ricordo, proprio come quel giorno. 

La sua mente vagó per un istante, soffermandosi su un pensiero: Charlie

Chissà dove si trovava. Stava fronteggiando il nemico con gli altri, combattendo sotto lo stesso tetto? Oppure era ignaro della battaglia?

Per quanto gli mancasse, preferiva di gran lunga che non ne fosse venuto a conoscenza, cosa che ritenne impossibile; tuttavia lo speró. Non voleva che qualcuno gli facesse del male, lo ferisse, o peggio lo uccidesse. Il solo pensiero le provocó una fitta allo stomaco, un conato, dall'angoscia che l'avrebbe tormentata se gli fosse capitato qualcosa; non ne sarebbe uscita indenne da un dolore simile.

Improvvisamente sentì un grosso boato echeggiare per i corridoi, diffondersi attraverso le pareti. Un crollo. 

Helen notó che il rumore provenisse in direzione del successivo passaggio segreto, quello collocato nella Stanza delle Necessità. Un senso di preoccupazione la invase, mentre la mente corse a Fred e Lee. Avrebbe voluto lasciare la propria postazione e precipitarsi sul posto per controllare di persona, ma non credette che quella fosse proprio un'ottima idea. Il suo compito era impedire che qualcuno si intrufolasse da lí e, in tal caso, non avanzasse. Rimase immobile, in balia dei sensi, divisa tra l'istinto e la ragione. 

Questa volta decise di optare per la razionalità, rispettando ció che le fosse stato ordinato di fare.

Si morse il labbro, resistendo alla tentazione di correre verso i suoi amici.

Un altro scoppio, questa volta dal corridoio che aveva precedentemente percorso Tonks, ruppe l'apparente silenzio che ancora regnava. Il rumore di pesanti passi si faceva sempre più vicino. Helen impugnó la propria bacchetta, puntandola verso chiunque si stesse avvicinando. Saldó i piedi a terra, divaricando leggermente le gambe, pronta a sferrare il primo incantesimo, qualora fosse stato necessario. 

Una folta chioma bruna emerse dal fondo, aveva i vestiti intrisi di polvere, e continuava ad avanzare, a passo svelto, nella sua direzione.

«HELEN, HELEN ECCOTI!» 

Riconobbe la voce: Adeline.

Le si gettó tra le braccia, stringendola forte, non appena le si fu avvicinata. Stettero per qualche secondo in quella posizione. La felicitá del vederla, dell'accertarsi che fosse ancora viva, di riabbracciarla, fu tale che una lacrima le si riversó sul viso. Helen sapeva che in tempo di guerra niente fosse scontato, nessuna presenza, nessun gesto, nessun affetto, nessun abbraccio, nessun bacio. Adeline le afferró le mani, fissandola per un attimo senza proferire parola. Helen notó che avesse un taglio a livello della guancia, dal quale scorreva del sangue, macchiandole il pallido viso. 

«Adeline sei ferita» costató in tono preoccupato la bionda, facendo per tamponarle la ferita.

«Non importa Helen» la interruppe subito lei, ancora affannata per la corsa. «Abbiamo bisogno di gente sul fronte d'attacco, stanno avanzando» 

La sua voce spezzata faceva trasparire tutta la paura e il terrore che la tormentava. I suoi occhi sembravano diversi, non suoi; avevano perso la loro vivacità, erano spenti. Era lo sguardo di chi ha visto la morte. Non riusciva ad immaginare come fosse diventato il campo di battaglia. 

«Devo andare Helen, loro sono arrivati» aggiunse poi, staccandosi dall'amica frettolosamente. 

«Chi è arrivato, Adeline?» chiese confusa.

«I rinforzi. Jacob e Charlie, con il professor Lumacorno» spiegó, iniziando a percorrere l'altro corridoio.

«Tu vai, hanno bisogno di te, li porteró da te» la incitó, accelerando il passo. «Porteró Charlie da te!» aggiunse poi, mentre scompariva nel buio e il suono dei suoi passi si allontanava con lei.

 

 

Helen corse per le rampe di scale, con il cuore in gola. Charlie era lì, forse dietro l'angolo, forse a pochi passi da lei. Avrebbe voluto urlargli quanto lo amasse, quanto desiderasse stringerlo, baciarlo, quanto volesse rintanarsi nelle sue braccia, solo per un momento. Sapeva che fosse inevitabile il fatto che prima o poi si sarebbe unito alla battaglia; nonostante ció la preoccupasse, credeva che il suo arrivo con i rinforzi fosse per loro una salvezza.

Si ritrovó nel cortile vicino alla Sala Grande, con il respiro corto e il cuore che le batteva all'impazzata. L'adrenalina scorreva nelle vene, mista alla paura. Scontri imperversavano tutt'intorno a lei, saette colorate divampavano ovunque; scansó qualcuna di queste, guardandosi freneticamente intorno, in cerca di qualche volto familiare, di suo padre, o dei Weasley. Le sembrava di essere nel bel mezzo di un terribile uragano, intrappolata tra l'attaccare e il difendersi. 

Scorse Grace Fawley in lontananza, combattere contro un uomo con dei capelli brizzolati dello stesso nero intenso, scrutó un attimo il viso. Lo aveva già visto da qualche parte: a Villa Molfoy. Chiamó la ragazza, scattando in sua direzione, voleva aiutarla, questa volta desiderava, ardentemente, essere lei a darle una mano. Scansó alcuni massi caduti sul pavimento, correndo sui detriti. Un uomo giaceva a terra, privo di vita, il corpo disteso tra la polvere. Un braccio gli ricadeva sul petto, l'altro adagiato sul pavimento; le dita della mano, prive di forza, non stringevano più la bacchetta, che era rotolata a pochi centrimetri di distanza. Aveva gli occhi di un verde scintillante, aperti, il viso rilassato e la bocca socchiusa. Sul braccio non aveva segno alcuno, era uno dei loro, uno degli alleati. 

Quanto gli era costato?

Esitó ai piedi del corpo, poi si chinó su di esso chiudendo le palpebre con un gesto della mano. Non conosceva quell'uomo, ma desiderava dargli pace, voleva che i suoi occhi, ormai privi di vita, non dovessero più vedere tutto quel terrore.

«Sei vomitevole» 

Una voce sprezzante, indusse Helen ad alzare il capo, ritrovandosi faccia a faccia con Erika Raylee. Si alzó, impugnando la propria bacchetta con forza.

In cuor suo sapeva di doversi nuovamente a scontrare con lei, che quel momento sarebbe prima o poi arrivato.

«La resa dei conti» disse Helen, mantenento un tono freddo e distaccato. Non voleva che la mora notasse quanto fosse agitata; stava sudando, mentre sentiva il sangue ribollirle nelle vene e il cuore accelerare, come a voler fuggire dal petto, scappare dalla gabbia toracica.

Sul volto della Raylee si aprí un grosso ghigno. I suoi occhi luccicavano, intrisi di un sentimento che Helen non credette  di aver mai conosciuto; era oscuro, carico d'odio, peggio di quando era solo una studentessa.

Con veloce movimento del braccio, la Mangiamorte lanció uno Stupeficium in sua direzione, che riuscì a parare, seppur con una certa difficoltà. Ringrazió i propri riflessi, perchè le permisero di scansare il secondo schiatensimo che la mora le scaglió contro. Helen proferì un Bombarda contro una delle colonne, cosa che provó uno scoppio con conseguente caduta di pietre, dalle quali Erika riuscì a difendersi con un Protego. Quella mossa non le fece certo vincere lo scontro, ma le permise di riconquistare terreno e fiato necessario per lanciarle un Everte Satim, da cui, nonostante fosse riuscita a difendersi, la Raylee indietreggio di qualche metro per l'impeto. La vide contorcere la bocca; questo fece sorridere Helen, che si sentì invadere da una certa euforia e, forse, anche soddisfazione. Tuttavia, per un attimo, si dimenticó di chi avesse di fronte, di chi Erika Raylee fosse diventata: una Mangiamorte, una strega oscura, senza pudore, senza empatia, senza scrupoli, senza ritegno.

«Crucio» 

Pronunció l'incantesimo a denti stretti, rivolgendo la bacchetta verso le gambe di Helen.

Non fece neanche in tempo a capire cosa fosse accaduto, che un dolore lancinante le perforó la pelle. Cadde a terra, in ginocchio, mentre la bacchetta le cadde di mano. Un urlò, quasi inumano, squarció l'aria, sovrastando i rumori della battaglia. 

Helen era a terra e gridava, percorsa da quella brutale sensazione; sembrava che qualcuno la stesse trafiggento con mille coltelli ardenti. Il dolore si estese poi per tutto il corpo, percorrendo la spina dorsale, fino al petto, al capo. Portó le mani alla testa, continuando a urlare, mentre si accasciava a terra. Le figure attorno a se' apparivano sfocate, riuscì a stento a riconoscere la sagoma della Raylee avvicinarsi. Voleva dirle qualcosa, pregarla di smettere, ma le parole le rimasero bloccate in gola. Non riusciva a percepire altro se non il male fisico che le stava infliggendo.

Cercó di farsi forza sulle braccia, trascinando sul suolo il proprio corpo dolente. Voleva allontanarsi, disperatamente. Piangeva, mentre sentiva la testa esploderle. 

«Striscia biscia, striscia pure» rise la Raylee, sprezzante, ma la sua voce arrivó alle orecchie di Helen ovattata. 

Improvvisamente uno schianto e la sensazione cessó. Helen riprese lentamente conoscenza, cercando di capire cosa fosse accaduto. Si mise a sedere, girando il volto in direzione di Erika, che ora si trovava qualche metro distante da lei, a terra. Stava provando a mettere a fuoco le figure.

«HELEN» 

Si voltó repentinamente, riconoscendo il suono della voce alle sue spalle. 

«Charlie» sussurró con un grosso sforzo. Avrebbe voluto urlare il suo nome con gioia, ma la gola le bruciava e le parole stentavano ad uscire dalla bocca a causa delle grida di dolore.

Lo vide correva lungo uno dei porticati, che portavano all'interno della scuola, dirigendosi verso di lei. 

Aveva la camicia sporca e lacerata in alcuni punti, reduce da un precedente scontro. I suoi capelli erano scarmigliati, più del solito, e brandiva la sua bacchetta nella mano destra.

Cercó di mettersi in piedi, lentamente. Un grosso sorriso le si aprì in volto, la felicitá di rivederlo non era mai stata così intensa. La gioia nel vedere che fosse vivo, ferito, ma vivo. 

Sembrava di ammirare una luce, un bagliore forte, che rischiarava quella notte buia.

Era con lei, era corso da lei. Si rese conto, forse solo in quel momento, di quanto insensato fosse stato litigare con lui, quanto stupida fosse stata, quanto infantile, quanto poco validi fossero i motivi della sua presa di posizione. Lo amava, eccome se lo amava. Amava ogni cosa di lui, lo avrebbe urlato al mondo intero. Avrebbe voluto gridare che non le importava se fosse arrabbiato, se fossero in guerra, se lui volesse proteggerla sempre ad ogni costo, anche quando lei non lo ritenesse necessario. Avrebbe voluto che la stringesse per il resto della sua vita, che l'amasse per il resto dei suoi giorni, come lei amava lui. 

Voleva mantenere la promessa di restare viva, come lui, che aveva mantenuto la promessa di tornare da lei.

Non le importava di nulla se non del fatto che fosse vivo, che fosse lì.

Sembrava che la visione del ragazzo le avesse infuso una nuova forza, ora capiva Tonks, ora comprendeva cosa significasse amare davvero. 

Era a pochi metri da lei, solo qualche passo e si sarebbe gettata tra le sue braccia, contro le sue labbra. Nel suo posto sicuro. 

Cercó nuovamente di issarsi in piedi, e ci riuscì, con grande fatica, ma trovando la forza. Sentiva di star tornando a casa, Charlie era la sua casa.

Poi lui si fermó, rivolgendo la bacchetta in direzione del punto dove giaceva la Raylee. Vide la sua espressione mutare, gli occhi sgranarsi, le sue possenti braccia scattare, come a voler fare qualcosa. Ma Helen non capì perché. 

Perché si era fermato lì?

Fu come vivere quella scena a rallentatore.

Provó a voltarsi, mentre con la coda dell'occhio notó un lampo colorato, luminescente, saettare nella sua direzione.

Una fitta al petto.

Poi buio.

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Capitolo 67
*** Capitolo 63 - Dolore ***


«Helen»
Uscì dalla sua bocca come un sussurro. Il corpo della ragazza si accasciò al suolo con leggerezza. Gli occhi rivolti verso lui, spalancati, consapevoli. 
Cadde al suolo, priva di qualsiasi impeto o slancio, come una foglia che si appena staccata da un ramo, allontanandosi dalla sua fonte di vita.
Charlie si precipitò verso di lei, dopo aver schiantato la Raylee con un tale impeto da farle perdere i sensi, da mandarla lontano di diversi metri; per un attimo fu come se tutto fosse divenuto silenzioso. Sentì le orecchie fischiargli forte, il fiato mancargli dal petto. Si lanció in ginocchio accanto a lei, stringendola tra le braccia, prendendo a scuoterla. Era fredda.
Le strofinó le braccia nel tentativo disperato di riscaldarla.
Tutto intorno c'erano grida, schianti, scoppi, ma lui non sentiva più nulla; il panico, la paura, il dolore lo trafissero come lame invisibili.
«Helen» gridó stavolta, toccandole le guance, accarezzandole i capelli freneticamente. Le poggió le labbra sulla fronte rilassata, non più corrugata nelle sue amabili espressioni. Odorava di vaniglia, come suo solito.
«Helen», la voce gli morì in gola, ne uscì un suono stridulo. Cercó la sua mano, la strinse forte.
«Helen, ti prego», le lacrime cominciarono a cadergli sulle guance, una dopo l'altra, offuscandogli la vista, rapide. Stava sognando? Era il momento di svegliarsi da quell'incubo.
Scosse la testa più e più volte.
"Svegliati Charlie, svegliati. È un brutto sogno"
Ma non funzionó. Era lei che doveva svegliarsi.
La scosse ancora, più vigorosamente.
«Helen svegliati, ti prego»
Poggió le testa sul suo petto; le lacrime bagnarono i vestiti di lei.
«Helen, non punirmi così» sussurró stavolta.
Ogni parte di lui era scossa da brividi. Sentiva la gola stringersi, come se un laccio invisibile lo stesse soffocando.
«Ti amo. Mi hai sentito? Ti amo. Non sono arrabbiato, non lo sono. Svegliati, ti prego.
«Avevi promesso di restare viva Helen, ti prego»
I suoi occhi avevano cambiato colore: erano  di un verde plumbeo, spento, rispetto al bellissimo azzurro. Un rivolo di sangue le fuoriuscì dalla narice. Charlie continuava a scuoterla, invano. 
Puntó la bacchetta all'altezza del petto, pronunciando incantesimi di guarigione con voce tremante, rotta dal pianto. Le sue possenti braccia erano scosse da spasmi, tremiti. Non ottenne risultati.
Gettó la bacchetta di lato, poggiando le mani all'altezza del cuore e iniziando a comprimere, ritmicamente, ricorrendo, per cui, a metodi più diretti. Forse la magia non era sempre la soluzione a tutto. Provó e riprovó, più e più volte, ma lei non dava segni di vita.
Adagió la propria bocca sulla sua, dandole un bacio; era fredda e le labbra avevano perso il colore rosa vivido. Continuó ad accarezzarle il viso, gli zigomi lisci e distesi.
«Avanti Helen, sono qui»un altro bacio, mentre le lacrime scivolarono giù, cominciando a bagnare anche il volto di lei, oltre che il proprio.
«Helen ti prego, no»
Sperava di ottenere risposta, ma le iridi della bionda rimasero ferme, fissando un punto oltre quella vita; non avrebbero più visto Charlie, e lui non avrebbe mai più incontrato gli occhi di lei, nelle sue mille sfumature.
La bocca era socchiusa, immobile, divenuta di un colore violaceo; la sua pelle aveva assunto un colorito insolitamente pallido e smunto.
Spenta.
Ecco come appariva, spenta.
Charlie avrebbe voluto restare lì, accanto a lei, sul suolo freddo. Si accasciò di fianco al suo corpo senza vita, stringendola la mano, ricordando quanto fosse bello starle steso accanto, riposarle vicino. Aveva gli occhi che traboccavano di lacrime, un dolore nel petto, come se il cuore avesse smesso di battere.
Volse gli occhi al cielo, cercando di riprendere fiato. 
Poche stelle ancora brillavano, il buio veniva sempre più schiacciato dalla luce. Era certo che Helen fosse lì ormai.
Persino quando la voce di Voldemort riecheggiò nella sua testa, offrendo loro una tregua per piangere i morti, Charlie non si mosse. 
Come avrebbe fatto da quel momento in avanti? 
Era come se una parte di sè fosse stata eradicata, strappata via senza pietà.
Inspiró la fredda aria, tornando nuovamente a inginocchiarsi davanti a lei. 
Con un movimento delicato dei polpastrelli, caló le palpebre della ragazza, della sua amata, sugli occhi; ora sembrava dormisse, lontano da lui.
«Va tutto bene Helen, ora sei al sicuro» sussurró, singhiozzando forte. Lui avrebbe dovuto essere il suo posto sicuro.
Si portó la mano, ancora stretta a quella di lei, alla guancia, concedendosi l'ultimo tocco di quei polpastrelli, che lo avevano sfiorato tante volte. Ora comprendeva l'importanza di quel contatto, più di ogni altra cosa. Le bació la fronte dolcemente, accarezzandole i capelli.
Poi, con un anelito, sollevó il suo corpo dalle pietre scure del cortile, stringendolo tra le braccia, mettendosi in piedi. Quanto dolore lo attendeva ancora? Quanto gli era costato tutto quello? 
Ogni passo che avanzava, sussurrava cose sconnesse, per incentivarsi a camminare, senza guardare il volto di Helen, acquietato dalla morte. I lunghi capelli biondi ricadevano all'indietro, al pari delle braccia rilassate. Si piegó a terra per recuperare la bacchetta di legno di faggio, che era rotolata distante; non le sarebbe più servita.
Un brivido gli percorse la mano quando la raccolse da terra, come se anche il nucleo di quella avesse percepito la perdita della sua proprietaria.

Non appena Charlie ebbe varcato le porte della sala grande, fu accolto da sguardi sofferenti, facce sconvolte, grida di strazio; egli stesso si sentì mancare, quando vide la sua famiglia riunita in un punto, attorno ad alcuni corpi.
Per poco il corpo di Helen non gli scivoló dalle braccia, essendogli venuta meno la forza.
A terra lì c'erano, disposti in fila, i corpi senza vita di Lupin, Tonks e Fred.
Fred, suo fratello. 
Thaddeus si voltó nella sua direzione, seguito da Jacob e Adeline, che si stringevano, piangendo lacrime amare. Un grido lacerante sovrastó gli altri lamenti: il grido di un padre, che deve sopportare la morte di un figlio, sangue del suo sangue; il padre di Helen e i suoi genitori erano accomunati dallo stesso dolore. Quella guerra era costata cara a tutti loro.
Jacob si precipitò verso Charlie, facendosi carico del corpo della sorella e guardandolo dritto negli occhi.
Fu uno sguardo intenso, carico di dolore e tensione.
«Helen» sussurró Jacob, stringendo la sorella, come fosse una colomba ferita. Scoppió in lacrime, accompagnato dai disperati lamenti del padre, che si fece vicino. Charlie li strinse entrambi, ma senza dire nulla, prosciugato dal dolore. La famiglia Clark era devastata, perché alla figlia era toccata la stessa sorte della madre.
Quando Helen fu adagiata di fianco agli altri, i presenti realizzarono cosa fosse accaduto, ossia che Fred non fosse andato via da solo.
Adeline gridó, lanciandosi sul corpo dell'amica, rifiutandosi di lasciarlo, accompagnata da Jacob; aveva perso due dei suoi migliori amici quella notte.
George singhiozzava forte, per il suo gemello, sua esatta metà e per Helen.
«Avevate promesso, dovevamo uscirne insieme» gridó con voce rotta dal pianto, inginocchiato tra i due corpi. Adeline si strinse a lui, credendo che il suo corpo potesse spaccarsi in frantumi per il dolore.
Tutte le persone lì erano accomunate dallo strazio, da un patimento lancinante, dalla difficoltà a respirare.
I Weasley piangevano Helen, che era stata per loro una figlia, e Fred, carezzando i loro volti, maledicendo quella guerra. Adeline si teneva a Jacob e George. 
Charlie sembrava solo, distante.
Stava lì in piedi, cercando di realizzare gli eventi di quella notte. Dentro di sè seppe che, se anche quella guerra fosse stata vinta per miracolo, lui avrebbe sentito la sconfitta gravargli sul petto per sempre.
Tonks e Lupin riposavano vicini; nessuno li avrebbe più visti amarsi, crescere il loro unico figlio, condurre una vita felice.
Avrebbe voluto piangere, strillare, ma dalla sua gola non usciva nulla. Osservava l'ambiente circostante, guardando quella che era stata la sua scuola, devastata. La sala grande che da sempre aveva accolto eventi più che lieti, ora faceva da cornice a quello scenario di morte, a quel campo di battaglia.
Si accovacciò sul corpo di Fred, toccandogli il viso: aveva le labbra contratte in uno spasmo, simile ad una risata. Come avrebbe fatto a guardarsi allo specchio? E George, come avrebbe fatto a non vedersi riflesso negli occhi altrui, ricordando la perdita subita?
Si alzó da lì, dirigendosi dai genitori e abbracciandoli forte, poi si incamminó verso l'uscita.
Ogni suono giungeva ovattato alle sue orecchie, che ripresero a fischiare forte. Il pericolo, il dolore, non seppe cosa lo avesse devastato di più.
Prima di uscire si voltó indietro, guardando il punto in cui si trovasse Helen, accanto a tutti.
Avrebbe voluto scoprire che si trattasse solo di un sogno.
Avrebbe voluto vedere Helen, correre nella sua direzione, pronunciando gioiosa il suo nome, saltargli tra le braccia. 
Ma non avrebbe più sentito quel suono soave.
L'aveva vista crescere, l'aveva vista morire.
Si diresse lungo le scale, percorrendole meccanicamente, fino a quando fu giunto a quello che restava dell'aula di divinazione. A terra c'erano ancora dei cuscini bruciacchiati; Charlie si accomodò lì, guardando un punto nel vuoto di quella stanza.
Un urlo, un ultimo, abbandonó la sue labbra, lacerando l'aria rafferma. Si portó le mani al viso, scosso da lamenti.
L'avrebbe vendicata.

 

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Capitolo 68
*** Capitolo 64 - Arrivederci ***


Regno Unito, 2 Maggio 1999

Charlie stava percorrendo lentamente il vialetto in pietra bianca, fiancheggiato da basse siepi. Era solo, ed ogni passo sembrava risuonare nell'ambiente circostante. Aveva deciso di recarsi presto in quel posto, cosicchè potesse restare in un completo silenzio. 
«Buongiorno» il custode lo salutó con un gesto della mano e lui ricambiò con un cenno del capo, incurvando di poco le labbra. Una fievole luce illuminava le numerose lastre di marmo che riempivano tutto lo spazio circostante. Non faceva freddo, ma quel posto gli provocava sempre un brivido lungo la schiena, accompagnato spesso dalla pelle d'oca. Reggeva un mazzo di fiori da campo colorati, che emanavano un profumo di fresco, tutto primaverile. Non era un caso che avesse scelto proprio quelli, a lei piacevano così. Vide una donna chinata su una tomba, intenta a ripulirla dalle foglie cadute a causa del vento; chissà chi avesse perso lei, forse un suo caro o un'amica. Camminava spedito, ormai conosceva fin troppo bene il percorso, ci aveva trascorso giorni interi e ci tornava ogni qualvolta ne avesse l'occasione. Arrivó nel luogo in cui aveva versato più lacrime di tutta la sua vita, emettendo una sonora espirazione. 
«Ciao Helen» sussurró, chinandosi a posare i fiori proprio accanto al nome della ragazza. Si alzó poco dopo, soffermandosi a rileggere ció che fosse inciso sulla lastra, sebbene la conoscesse a memoria:

"In Memoria di 
Helen Clark, 
valorosa strega.
Una vita sacrificata per la salvezza del Mondo Magico.

N. 11 Novembre 1977
M. 2 Maggio 1998"

Charlie fu colto da un senso di malinconia. Era trascorso un anno, un anno che se n'era andata, insieme a suo fratello Fred; un anno che lui non riusciva a chiudere occhio, a riposare sereno. Nonostante la guerra fosse  stata vinta, grazie all'uccisione di Voldemort, Charlie non si sentiva davvero felice; la perdita di Helen lo aveva segnato, non poco.
Aveva paura di rincontrarla nei sogni, in cui ogni cosa sembrava così reale, in cui lei era lì, bellissima, in tutto il suo splendore, avvolta da una luce angelica e gli sorrideva, lo chiamava, invitandolo a seguirla, ma non appena lui cercasse di afferrarle una mano, di stringerla a sè, di baciarla, di colpo si svegliava e lei non c'era più. L'impatto con la veritá era ogni volta così forte, brusco, che gli pareva di non riuscir più a vivere, inghiottito dal suo stesso dolore, dal vuoto che lei gli aveva lasciato, un pozzo senza fondo in cui, ogni volta, aveva paura di cadere, sprofondare.
«Ho bisogno di te» proferì quelle parole nella speranza che lei potesse realmente sentirlo, che potesse tornare, dirgli che fosse tutto un brutto incubo durato fin troppo. Una lacrima gli solcó il volto, bagnandogli la pelle e poi la barba, che, intanto, gli stava ricrescendo. Per un periodo di tempo successivo alla morte di Helen, Charlie si era trascurato, non curandosi minimante del suo aspetto sia interiore che fisico, rinchiuso in sè stesso, prigioniero di una mancanza. 
Come puó l'assenza di qualcuno essere una prigione, da cui, per quanto si provi, non si riesce ad uscire? Com'è possibile sentirsi fermi, immobili, come bloccati in un limbo, mentre tutto intorno a te continua ad esistere, il tempo a scorrere, gli alberi a perdere le proprie foglie e riacquistarle, i bambini a crescere? Aveva trascorso quell'anno da spettatore di una vita che non riconosceva come la propria, incastrato tra il passato e il presente, disinteressato al futuro. Come poteva pensare ad un avvenire senza di lei, senza il suo sorriso, i suoi occhi, le sue labbra? Come poteva solo pensare di colmare un vuoto che lei stessa aveva provocato e, che solo lei poteva cementare. 
Ma Helen non c'era, non più e Charlie era sicuro del fatto che nessun'altro ci sarebbe stato.
Una mano si posó sulla sua spalla, destandolo dai pensieri che continuavano a tormentargli la mente. Si voltó, trovando Jacob di fianco a lui.
«Sapevo di trovarti qui» disse con voce calma, tenendo gli occhi fissi davanti a sè. Notó che fosse solo, Adeline non c'era. Da dopo la guerra avevano deciso di ufficializzare il proprio fidanzamento, non volevano perdersi a nessun costo, Charlie lo capiva, d'altronde, avrebbe fatto lo stesso se Helen...
Cercó di scacciare l'idea di lei, spostando lo sguardo sull'amico.
Aveva un'aria stanca, tuttavia, il volto, segnato da cicatrici, sembrava sereno, rilassato.
«Come fai? Come fai a non pensarci?» gli domandó improvvisamente. «Da quando lei...se n'è andata, io non sto vivendo, sto sopravvivendo», guardava Jacob con gli occhi lucidi, come in attesa che lui gli rivelasse il proprio segreto, gli desse un antidoto a tutto quel male, al veleno che sembrava corrodergli i pensieri, il cuore, l'anima.
«Io la penso, Charlie, è impossibile non farlo; la sua assenza è palpabile» inizió il moro, voltandosi verso il secondogenito dei Weasley. «Solo che, semplicemente, l'ho lasciata andare» fece un grosso sospiro. «E forse dovresti farlo anche tu. Lo so che è difficile, lo capisco, davvero, ma non tenerla incatenata qui», si toccó con un dito la fronte. «Tu devi farla vivere qui» a questo punto, posó il palmo della mano sul petto di Charlie, che rimase a fissarla, fino a quando Jacob non la ritiró.
Possibile che la stesse tenendo intrappolata? 
Il punto era che, per quanto desiderasse, non riusciva ad abbandonare il suo pensiero; c'era qualcosa che gli impediva di farlo, qualcosa che avrebbe voluto dirle, forse un'ultima volta, ma non era stato in grado, non aveva potuto. Erano i rimorsi a logorarlo; il rimorso di non averle detto un'ultima volta quanto l'amasse.
Salutó Jacob, lasciandolo solo sulla tomba della sorella; voleva concedergli un momento d'intimità familiare. Percorse un altro vialetto in direzione della tomba di suo fratello, d'altronde, era trascorso un anno anche dalla sua morte. L'indomani sarebbe ripartito per la Romania e riteneva più che opportuno lasciare un saluto anche a Fred.
Aveva deciso di tornare lì il prima possibile, perchè, per quanto amasse stare con la propria famiglia, quella casa le sembrava sempre più vuota da quando Fred non ci fosse più. La Tana era anche, per lui, il luogo in cui aveva trascorso la maggior parte del proprio tempo con Helen e legava a quell'edificio molti dei ricordi che possedeva con lei.

Trascorsero mesi dal suo ritorno al Paese in cui, ormai, lavorava da anni e che riteneva al pari di una seconda casa. L'inverno si stava avvicinando, le temperature si irrigidivano, soprattutto nella valle. Era un luogo circondato da montagne, ergo il freddo non tardava ad arrivare. 
Charlie avrebbe voluto che quel giorno non giungesse mai, non di nuovo. 
Era il compleanno di Helen. 
Capitó in concomitanza con la sua giornata di riposo, aggravando il proprio stato d'animo, in quanto non avrebbe avuto alcuna distrazione, nulla che potesse indurlo a non pensare a lei, nulla che potesse distrarlo, neanche i draghi, a cui si stava dedicando costantemente e quotidianamente.
Quelle creature avevano costituito per lui un appiglio a cui aggrapparsi per non sprofondare nell'abisso dell'assenza, della mancanza, dello sconforto che la morte di Helen gli aveva provocato. Il lavoro e la passione lo avevano salvato, diventando il suo rifugio.
Si alzó dal letto, trascinandosi nel piccolo salotto della casa che condivideva, ormai da anni, con Jacob. Quest'ultimo, a differenza sua, aveva dovuto recarsi all'allevamento e sarebbe tornato solo la sera. Si avvicinó alla finestra, volgendo lo sguardo all'esterno, pioveva.
«Anche il cielo piange oggi» sussurró, riflessivo, con una voce rotta da sonno. Un'altra notte senza chiudere, quasi completamente, occhio.
Nonostante fuori facesse piuttosto freddo, un accogliente tepore si percepiva all'interno della stanza, merito del fuoco che Jacob aveva acceso nel piccolo caminetto che dominava la parete centrale.
Lo scoppiettare del fuoco era di compagnia.
Si fermó a fissare le fiamme per qualche secondo. Poi si mosse in direzione della camera da letto, prese un foglio di pergamena e il calamaio, precipitandosi, nuovamente, dinanzi al fuoco.
Fece un grosso sospiro e posó la piuma sul foglio.

"Cara Helen,
è passato più di un anno dalla tua morte e non riesco a non pensarti, neanche per un giorno.
Oggi è il tuo compleanno e spero che, dovunque tu sia, magari con Fred, lo stia trascorrendo allegramente. 
Immagino tu sia bella come lo eri in quel vestito verde al ballo del ceppo, o come lo sei stata sempre.
Comprendo che sia inutile scrivere una lettera in questo momento, se ci fossi stata mi avresti dato del folle, ebbene si, lo sono.
Non so cosa mi stia dando la forza di mettere nero su bianco queste parole, indirizzate a qualcuno che non le leggerà mai.
Forse mi andava di sentirti vicina, ancora una volta, un'ultima volta.
La guerra è finita, finalmente, siamo in pace, una pace per cui tu hai contribuito con la stessa vita. 
Non biasimarmi se ti dicessi che non riesco a stare senza te, amore mio."

Una lacrima sgorgó dai suoi occhi, ricadendo sulla pergamena.

"Sto piangendo. 
Charlie Weasley che piange, lo immagineresti? Mi crederesti se ti dicessi che è quello che faccio dal giorno in cui te ne sai andata? 
Tutte le notti ripenso a te, a noi e non riesco a dormire, ho paura di rivederti nei miei sogni, di svegliarmi e realizzare che tu non ci sei, non più.
Sono sicuro che se fossi stata qui, adesso, mi avresti asciugato le lacrime, ridendo magari, mi avresti stretto tra le tue esili braccia.
Io ti avrei baciato, ti avrei stretta a mia volta, magari nuda, magari in un letto, alla Tana o qui, in Romania.
Helen mi manchi.
Mi manchi tu.
Mi mancano i tuoi occhi, di quel colore cristallino;
la tua bocca, che sapeva di speranza;
le tue braccia, in cui amavo rifugiarmi;
i tuoi capelli, che profumavano di vaniglia;
la tua pelle liscia, che a contatto con la mia, mi faceva rabbrividire.
Perché te ne sei andata Helen?
Perché mi hai lasciato in un mondo così...vuoto?
Me lo avevi promesso.
Perché lo hai fatto?
Convivrò con il rimorso di non averti detto quanto ti amassi, quanto fossi fiero di te, quanto credessi in te, nella donna che eri e stavi diventando. 
Non riuscirò mai a dirti che la mia non era rabbia, irritazione, la mia era paura.
Adesso mi guarderai da lì, vedrai i miei capelli diventare bianchi, ma io non potrò vedere i tuoi luminosi occhi circondarsi di rughe.
Mi hai lasciato senza un pezzo di cuore, senza un pezzo del mio puzzle. 
Senza una casa.
Chi lo colmerà questo vuoto ora? 
Nessuno ti sostituirà, nessuno potrà farlo.
A volte penso a cosa saremmo adesso, se tu fossi ancora qui con me.
Ti avrei sposata, non te lo nego, perchè farlo? In fondo lo sapevi anche tu, che sarei stato l'uomo più felice del mondo."

Le lacrime ora bagnavano la pergamena, confondendosi con l'inchiostro nero. 
Le asciugó con il dorso della mano, proseguendo.

"Sono qui, in Romania, da solo, dicendoti tutto quello che provo e ho provato. 
Puoi sentirmi?
Sto cercando di lasciarti andare.
Sto ricorrendo a tutte le mie forze per farlo.
Perdonami Helen, perdonami se ti ho delusa, se ti ho fatta soffrire; perdonami se non sono riuscito a proteggerti; perdonami se ho lasciato vincere l'orgoglio; perdonami se non ti ho detto quanto fossi indispensabile, per l'ultima volta.
Spero non sia troppo tardi per farlo ora.
Ovunque tu sia in questo momento, ti ringrazio, perché vivrai sempre in me, e nella persona che sono adesso.
Ti amo Helen Clark e ti ameró sempre, oltre ogni limite, in ogni mio respiro.
Questo non è un addio.

Per sempre tuo, Charlie."

Rimase a fissare le parole per qualche minuto, poi piegó il foglio in quattro parti, portandolo all'altezza della bocca.
Chiuse gli occhi, dai quali sgorgavano ancora fiumi salati, che sembravano non aver intenzione di cessare. 
Posó le proprie labbra sulla lettera, come a darle un ultimo bacio. 
Con un immediato gesto del braccio, la gettó tra le fiamme, rimanendo a fissarla mentre veniva divorata dal fuoco, scomparendo in un mucchio di cenere.
Piangeva, singhiozzando, mentre la fievole luce emanata dal camino si rifletteva nei suoi occhi lucidi,  come fossero specchi d'acqua, sorgenti di tristezza.
La rosa stregata, che aveva regalato ad Helen tanto tempo prima, era lì accanto, sul camino; era di un colore scuro, appassita e i petali avevano perso vigore.
Ripensó alle parole che il signor William Gray gli aveva detto più di un anno prima; il ricordo di quelle era ancora vivido tra i suoi pensieri.

"La morte è alle nostre spalle ogni istante, ora più di sempre, pronta a rapirci, e noi cosa possiamo fare? Vivere"
"Perché il tempo è prezioso, soprattutto il tempo passato ad amare"

Le fiamme illuminarono il suo volto con uno scoppio. Avrebbe reso il suo tempo prezioso, continuando ad amarla, anche oltre la morte.
Sorrise appena, non seppe neanche lui perchè; o forse si:
Helen avrebbe per sempre condiviso con lui un frammento della sua anima.

 

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Capitolo 69
*** Capitolo 65 - Epilogo ***


Regno Unito, 8 Luglio 2014

«Allora signor Weasley, mi dica, perché non si è ancora sposato?» la donna, alzó gli occhi dal foglio, guardandolo da sopra le lenti dei piccoli occhiali, che teneva appoggiati quasi sulla punta del naso.
Sorrise in modo ammiccante, riformulando la domanda.
«Caro Charles...posso chiamarla Charles vero? I nostri lettori della Gazzetta del Profeta si chiedono il motivo per il quale il secondogenito dei Weasley sia ancora scapolo».
La voce melliflua di Rita Skeeter l'aveva sempre infastidito. La sua voglia matta di ficcare il naso negli affari altrui, per fare gossip, raccontando spesso aneddoti e notizie totalmente fasulle. Ed era proprio questo che lo preoccupava, non voleva certo che la sua reputazione fosse infangata a causa di qualche pettegolezzo sbagliato. Aveva, quindi, deciso di acconsentire a rilasciarle una breve intervista, una volta e per tutte; almeno non lo avrebbe più importunato con le sue invadenti domande e le sue improbabili supposizioni.
Mancavano poche ore all'inizio della finale della Coppa del Mondo di Quidditch e la giornalisa si era presentata lì per "trarre qualche succosa informazione sul conto dei membri dell'Ordine", come aveva dichiarato lei stessa.
Charlie cercó di riordinare le idee, prima di proferire parola.
«La conosce la teoria del 'pezzo mancante'?» chiese lui, vendendo la piuma della Skeeter iniziare a muoversi sul foglio.
«Oh no, mi illumini Charles, mi riveli tutti i suoi segreti»
La vide accavallare le gambe ed assumere la classica aria da pettegola, che la caratterizzava.
«Bene» inizió lui, emanando poi un grosso sospiro. «Ognuno di noi, signora Skeeter, è come un puzzle composto da tantissimi pezzi. Lei conosce quale sia la logica del comporre un puzzle, vero?».
La giornalista si sistemó gli occhiali sul naso, poi rispose con voce intrisa di presunzione, e piuttosto stridula : «Bisogna trovare i pezzi che combaciano, mi sembra ovvio»
«Esatto» asserrì Charlie. «Cerchiamo i tasselli del nostro puzzle tutta la vita, lo facciamo per sentirci sempre più completi»
Fece una breve pausa, posando gli occhi dalla donna ad un punto indeterminato del suolo.
«È come sapere che manca qualcosa, lo senti, lo percepisci. Mi capisce signora Skeeter? Ha mai provato questa sensazione?» chiese, rivolgendo nuovamente lo sguardo alla sua interlocutrice.
«Mai provato, Charles. Risulterei presuntuosa se dicessi che a una donna come me non manca nulla» rispose con un tono altezzoso, ridacchiando. «Tuttavia, credo di comprendere cosa lei intenda» cinguettó poi, verficando che la penna avesse scritto ció che lei avesse precedentemente detto.
Charlie sorrise; incredibile quanto le persone si preoccupassero così tanto delle apparenze.
«Quindi mi capirebbe se le dicessi che mi sentivo come se mi mancasse sempre qualcosa? Con un senso di vuoto che mi attanagliava, senza un reale motivo?» domandó nuovamente.
«Diciamo di si» rispose lei, guardandolo sottecchi. «Charles, le vorrei peró ricordare che sarei io qui a fare le domande» aggiunse, leggermente infastidita.
«Per Godric, me ne ero dimenticato» incurvó le labbra in un piccolo ghigno. Le aveva concesso di intervistarlo, ma non aveva detto che sarebbe stato semplice.
«Qualche anno fa, prima della guerra, ho trovato il mio...chiamiamolo "pezzo mancante"» abbassò nuovamente gli occhi; alludere ad Helen gli provocava sempre una strana sensazione di angoscia, riportandogli alla mente i momenti che avevano condiviso.
La Skeeter sembrò attizzarsi a quelle parole.
«E cos'era questo 'pezzo mancante', Charles?» chiese, invitandolo a rivelarle qualcosa in più, pronta a crearne del buon gossip.
«Vorrà dire: chi era» pronunciò, non riuscendo, tuttavia, ad alzare lo sguardo.
«Era la persona più bella che io avessi mai incontrato. Combaciava perfettamente con ogni pezzo di me, perchè era l'unica che sia mai riuscita a colmare il vuoto che mi portavo dentro» sentiva gli occhi bruciare, tratteneva a stento le lacrime. Era come riaprire una vecchia ferita; gli faceva male.
«Uh ammirevole Charles, deduco quindi che sia una lei» disse la Skeeter con la voce di chi ha appena ricevuto dell'oro puro per il proprio articolo. «Dunque, chi era questa sua lei?» chiese poi, cercando di scavare sempre più a fondo.
La penna si era fermata, attendeva anch'essa, ansiosa di scrivere nuovi succulenti dettagli.
Charlie sorrise, passandosi una mano nei capelli.
«Questo non posso dirglielo» ammise. Non avrebbe dato in pasto alla giornalista il nome di Helen cosí facilmente, non voleva che nessuno potesse osare infangarlo, scrivere di lei, magari macchiando la sua reputazione.
«Tuttavia, sappia solamente una cosa: quando si è giovani e si perde il proprio 'pezzo mancante', è impossibile sostituirlo; nessun altro si incastrerà in questo spazio lasciato vuoto» spiegò, con voce tremante. Sorrise. Si era ripromesso di regarle solo sorrisi, voleva che il pensiero di lei fosse associato solo alle bellissime emozioni e gli stupendi sentimenti che solo Helen fosse stata in grado di regalargli.
«Quindi l'ha persa, dico bene?» chiese la Skeeter, proprio mentre veniva annunciato l'ingresso delle squadre. Lo guardava avida, voleva sapere, ma Charlie riteneva avesse già appreso abbastanza della propria vita privata.
«Mi spiace signora Skeeter, ma la partita sta per iniziare, la mia famiglia mi attende» 
Cosí facendo si congedò, avviandosi verso gli spalti. Alzò gli occhi al cielo, notando quanto fosse limpido quel giorno e come il sole splendesse sulle loro teste. 
Era passato tanto tempo, eppure lui la sentiva accanto a sè.
Incurvò le labbra. Era vivo ed avrebbe continuato a trascorrere le proprio giornate nel migliore dei modi, senza che nulla riuscisse a recargli sconforto, come lei avrebbe voluto che facesse.
Per Helen.

 

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Capitolo 70
*** R e M ***


Grazie a chi ha seguito la storia passo passo;

A chi  ha voluto continuarla;

A chi ha creduto in essa;

A chi ci ha sostenute;

A chi è arrivato fin qui.

Fine.

 

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Capitolo 71
*** Angolo Autrici ***


Abbiamo raccontato la storia di due giovani, le cui vite erano già intrecciate, ignare del fatto che fossero in realtà più collegate di quanto realmente pensassero o credessero.

Abbiamo raccontato la nascita di una storia d'amore, la tessitura del filo invisibile che avrebbe unito due giovani per sempre, perchè quando un sentimento è vivo ed arde all'interno del cuore, non sarà la presenza o l'assenza fisica a spegnerlo.

Abbiamo raccontato di un personaggio, una ragazza, che si è inserita (quasi perfettamente) nelle dinamiche dell'intera narrazione, nelle vicende della storia originale, nonchè quella scritta all'interno della stessa saga ed è proprio per rispetto a quest'ultima che abbiamo deciso di non allontanarci troppo dal modo in cui la stessa proseguisse.

Abbiamo raccontato della crescita di Helen, sia fisica che intellettuale; il suo divenire una donna, consapevole del proprio essere. Passo dopo passo, capitolo dopo capitolo, l'abbiamo vista cambiare, mutare i propri atteggiamenti e, soprattutto, scoprire nuovi sentimenti.

Abbiamo voluto inserire altri personaggi, che hanno svolto un ruolo cardine nella storia, in particolar modo ci tenevamo a mettere a confronto quello di Grace Fawley ed Erika Raylee, entrambe mangiamorte, l'una perchè costretta, l'altra per scelta. Pertanto, abbiamo voluto esplicitare il percorso di redenzione della stessa Grace, capace di schierarsi dalla giusta parte, forse spinta da qualcosa, superando ogni pregiudizio, con cui da sempre conviveva, distinguendo la verità dalle ideologie, ingiustamente, imposte e inculcate alla ragazza dalla stessa famiglia.

Abbiamo cercato di tener conto di ogni piccolo aspetto, facendo coincidere i fatti da noi narrati con quelli originali. D'altronde proprio per tale motivo, abbiamo voluto tener fede ai personaggi creati dalla Rowling, tra cui lo stesso Charlie.

La storia è nata con lo scopo di creare una presunta spiegazione, alquanto romanzata, alla questione per cui lo stesso Charlie Weasley non si sia mai sposato, ipotizzando che questi avesse, pertanto, perso l'amore della sua vita, il proprio pezzo mancante, e che questa cosa lo abbia segnato a tal punto da decidere di non congiungersi con nessun'altro.

Non sempre il lieto fine è il finale migliore, nonostante sia il più atteso e sperato.

Detto ciò, ci tenevamo a ringraziarvi per esservi interessati alla lettura della storia, di averla proseguita e conclusa.

Stay tuned, perchè torneremo, molto presto, con qualcos'altro.

 

- Ophelia 
(R&M)

 

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Capitolo 72
*** AVVISO ***


Buon pomeriggio a tutti/e, vi volevamo avvisare che, per chi desiderasse leggerla, è ora disponibile la Parte I della Raccolta sui personaggi di Omnia Mutantur.
La trovate sul nostro profilo.
Buona lettura, vi vogliamo bene!
Un abbraccio. ❤️

 

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