Aritmia

di fra_puf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1. Il pianoforte ***
Capitolo 2: *** Cap. 2. Lavanda e cannella ***
Capitolo 3: *** Cap. 3. Di nuovo ***
Capitolo 4: *** Cap. 4. Questione di chimica ***
Capitolo 5: *** Cap. 5. La festa - prima di mezzanotte ***



Capitolo 1
*** Cap. 1. Il pianoforte ***


CAP. 1. Il pianoforte
 
Era già tarda notte quando parcheggiai di fronte al dormitorio.
Avevo sopravvalutato il mio senso dell’orientamento, e solo dopo essermi persa tre volte di fila mi ero convinta ad impostare il navigatore.
Il risultato? Ero arrivata alla University of Alaska Fairbanks 5 ore più tardi del previsto. Un ottimo inizio per il mio primo anno di università.
Ma di questo mia madre non sapeva e non avrebbe dovuto sapere niente; fosse stato per lei, sarei venuta fin lì in taxi dalla Florida.
Così, quando mi ero fermata a mangiare un panino in autogrill verso le 21, l’avevo chiamata assicurandole che ero arrivata e che il viaggio era andato bene.
Prima di spegnere l’auto, lanciai un’occhiata all’orologio sul quadrante. Era già sabato mattina, ore 1.55. Scossi la testa, maledicendomi in ogni lingua conosciuta e non.
Grazie al cielo avrei avuto il week-end per riposare e tentare di ambientarmi, prima di iniziare i corsi.

Uscii dall’auto e presi dal bagagliaio i due pesanti trolley in cui avevo in qualche modo fatto entrare 19 anni -appena compiuti- della mia vita.
Spensi l’auto e mi incamminai frettolosamente verso la porta d’ingresso della palazzina, pregando di non morire assiderata prima di arrivarci.
Visto da fuori, sembrava un edificio d’epoca.
Varcai la porta d’ingresso e con gran sollievo trovai la portinaia del dormitorio ancora lì.

< Buonasera > Ansimai, disattorcigliandomi la sciarpa da attorno al collo. < Sono… >

< Isabella Swan. La ritardataria > Mi interruppe lei, senza nemmeno sollevare lo sguardo dai suoi cruciverba.
Rimasi in silenzio, imbarazzata e colpevole, aspettando che aggiungesse qualcosa.

< Primo piano, terza porta a destra > Gracchiò lei, allungando un braccio fuori dal gabbiotto di vetro in cui se ne stava appollaiata e facendo penzolare dalla mano una piccola chiave argentata.

< Grazie > Risposi a mezza voce, prendendola.
Immediatamente, la donna ritrasse il braccio e tornò a concentrarsi sul giornalino di parole crociate che teneva in grembo.
Rimasi a fissarla per alcuni istanti, indecisa se chiederle alcune informazioni di cui avevo bisogno o lasciar perdere.
Quando si accorse che non me n’ero ancora andata, sollevò lentamente la testa e mi lanciò un’occhiata torva.

< Ti ci devo accompagnare io?! > Disse acida.
Mi convinsi che forse non era una buona idea.
Stupita da tanta asprezza, scossi la testa ed afferrai i manici dei miei due trolley, dirigendomi verso l’ascensore.
L’atrio, ampio e sontuoso, era illuminato da un grande lampadario antico. Le pareti erano di pietra, così come il soffitto a volta.
Era un edificio moderno, ma che conservava e riproduceva il fascino dell’arcaico.
Continuando ad ammirare l’ambiente circostante, premetti il tasto di chiamata dell’ascensore, le cui porte si aprirono all’istante di fronte a me.
Caricai all’interno i bagagli e salii al primo piano.
Quando le porte si riaprirono, mi ritrovai di fronte un lungo e stretto corridoio.
Le pareti erano letteralmente ricoperte di targhe, riconoscimenti e articoli di giornale incorniciati.
Mi avvicinai per guardare meglio; venivano sbandierati con orgoglio tutti i successi ed i grandi obiettivi che erano stati raggiunti dall’Università, o da suoi ex-studenti, come fossero stelline sulla divisa di un boy-scout. 
Probabilmente un’Università di quello spessore poteva permetterselo; in ogni caso, per essere il corridoio di un dormitorio studentesco era un po’ troppo intimidatorio, a mio parere.
Sembrava una raccomandazione (per non dire una minaccia) a non essere da meno, per tenere sempre alto il nome della University of Alaska Fairbanks.
Procedetti fino alla terza porta a destra, e dopo qualche respiro di auto-incoraggiamento infilai la chiave nella toppa.
Cercai di fare meno rumore possibile; non sarebbe stato certo un buon primo passo svegliare i miei futuri compagni nel bel mezzo della notte.
Ma come aprii la porta, trovai tutte le luci della camera accese, e a poco più di un metro di distanza da me quella che doveva essere la mia coinquilina. Era alta, bionda e per qualche strana ragione abbronzatissima; mi fu subito chiaro che non poteva essere di quelle parti.
Indossava già il pigiama e teneva stretta tra le mani una pila di buste rosa.

< Isabella Swan! > Strillò, rivolgendomi un sorriso a 32 denti.
Quell’inaspettata scarica di entusiasmo -alle 2 di notte poi- mi fece sobbalzare.

< Ehm… ciao > Dissi, abbozzando un sorriso a mia volta.

< Oh, accidenti! Ti ho aspettata tutto il pomeriggio, avevo preso dei muffins buonissimi da mangiare con te, ma non arrivavi e li ho dati ai ragazzi del terzo piano. Credevo che ormai arrivassi domani! Ma via, meglio così. Dammi! Ti aiuto a portare dentro le valigie! Comunque non preoccuparti per i muffins, domani vado a prenderne degli altri! Li devi assolutamente assaggiare, sono più che divini >.
Non avevo mai conosciuto nessuno capace di parlare tanto, e tanto in fretta.
Ero talmente rintronata da non riuscire a dire una parola.

< Oddio, scusami, non ti ho neanche detto il mio nome; sono Tessa > Aggiunse, tendendo una mano verso di me.
Finalmente ci fu in istante di silenzio.
Le strinsi la mano, cercando di sorridere nella maniera più briosa possibile.
Non ero mai stata una campionessa di socialità, ma di fronte a tanta esaltazione mi sentivo letteralmente un manico di scopa.

< Bella > Dissi, cercando di ‘rettificare’ il mio nome, che a quanto pare conosceva già.

< Ok Bella, adesso vieni con me. Disferai le valigie domani > Fece lei sbrigativamente, afferrandomi per un polso e trascinandomi con sé di nuovo in corridoio.

< Che… > Cercai di protestare.

< Io e te daremo una festa, qui da noi, sabato sera. È per festeggiare l’inizio del nuovo anno! E se si dà la prima festa dell’anno si acquistano punti; mi spiego? È il modo migliore per farsi conoscere. L’ho fatta già l’anno scorso, quand’ero matricola anch’io, e ti assicuro che è stato un successone >
Ero troppo scombussolata per riuscire a star dietro a ciò che diceva.
La mia testa era rimasta ferma alla frase ‘io e te daremo una festa’.
Proprio l’ultima cosa al mondo che avrei voluto.
Ma sentivo che controbattere sarebbe stato del tutto inutile; senza contare che non avrei saputo trovare il momento per farlo, dato che Tessa parlava tanto velocemente da farmi sospettare che non respirasse nemmeno.
Quando il suo monologo si interruppe, il mio sguardo si posò sulle buste che teneva in mano; evidentemente erano inviti. Ed erano parecchi.
Non avevo avuto più di venti secondi di tempo per guardare il nostro bilocale, ma ero sicura che ci fossero più buste tra le mani di Tessa che metri quadri lì dentro.

< E perché li distribuisci alle due di notte? > Chiesi, ingenuamente.
Tessa si strinse nelle spalle.

< Perché durante il giorno la signorina Headmith sorveglia le scale come un cane da guardia. Sai, non sarebbe permesso a noi ragazze salire al terzo piano, quello maschile >
Ottimo. Non avevo ancora disfatto le valigie e già stavo per infrangere le regole dell’istituto; e lo avrei rifatto il sabato seguente, dando una festa di nascosto nel mio appartamento.
Tessa richiuse silenziosamente la porta della nostra camera e si avviò in punta di piedi verso le scale, che affiancavano l’ascensore. A metà strada si voltò, per essere sicura che la stessi seguendo.
Ed io, sebbene molto perplessa, lo stavo facendo.
Salimmo senza fare rumore due piani di scale.

< Ok, io penso al lato sinistro e tu a quello destro > Sussurrò lei, mettendomi in mano una quindicina di buste.
Senza fare domande, iniziai a percorrere il lungo corridoio, infilando sotto ciascuna porta un invito.
Una leggera melodia, proveniente da chissadove, aleggiava nell’aria, facendosi sempre più forte man mano che procedevo.
Avevo già imbucato 5 inviti, quando mi accorsi che Tessa, giunta davanti alla camera 3B, la ignorò completamente e passò avanti.

< Hai saltato quella porta > Le feci notare sottovoce.
Lei si girò a guardarmi e soffocò una risata.

< Sarebbe uno spreco di carta, Bella > Bisbigliò in risposta.
La guardai confusa.

< Chi sta alla 3B? > Chiesi.
Mentre lo domandavo, mi resi conto che la melodia proveniva proprio da quella stanza. Qualcuno stava suonando un pianoforte. Era una musica lenta, nostalgica. Ne rimasi ipnotizzata.
Tessa appoggiò la schiena al muro ed alzò un sopracciglio.

< Cullen, il figlio della Rettrice > Rispose a bassa voce, scandendo il suo nome con disprezzo. < E del dottorone > Aggiunse, con tono altrettanto infastidito.
Continuavo a non capire dove stesse il problema.

< Quindi.. pensi che se lo invitassimo farebbe la spia con sua madre? >
La mia domanda scatenò nuovamente una sua risata.

< Diavolo, mi auguro di no! Sarebbe il colmo > Ridacchiò in un bisbiglio; < Ci sono già abbastanza cose di lui che lo rendono insopportabile, spero non sia anche così viscido >

< Quali sarebbero queste cose? > Insistetti, incuriosita. Per qualche ragione, non riuscivo a lasciar perdere la questione.

< Beh > Fece Tessa, stringendosi nelle spalle < È un raccomandato. Ha la camera più grande ed è l’unico a non dividerla con nessuno. Per non parlare dei suoi fratelli adottivi, che possono addirittura permettersi di vivere in appartamenti propri fuori dal campus >
Rimasi a fissarla con un sopracciglio inarcato, in attesa che aggiungesse qualcosa. Mi sembrava un motivo un po’ troppo debole per poter definire una persona ‘insopportabile’.

< Ed è spocchioso > Aggiunse lei precipitosamente, vedendomi poco convinta.

< Con il viso che si ritrova ovviamente è già stato invitato a milioni di feste. Non c’è ragazza nell’intero dormitorio che non abbia provato a farlo… alcune feste sono state addirittura organizzate proprio per invitare lui. Ma non si è mai degnato di venire, né di ringraziare per gli inviti >
Si interruppe un momento, poi incrociò le braccia al petto ed annuì con serietà.

< Questa è maleducazione. E non si tratta solo delle feste; non partecipa mai a nessuna iniziativa di gruppo: cinema, concerti, ... Mai conosciuta persona più asociale >.
Nell’ascoltare quelle critiche, a mio parere piuttosto superficiali e inconsistenti, mi resi conto che probabilmente non conosceva affatto la persona di cui stava parlando.
Rimasi in silenzio, lasciandomi trasportare dalle note malinconiche di pianoforte che provenivano da dietro quella porta. E allora riconobbi la melodia: era Clair de Lune di Debussy.
Mi chiedevo come potesse essere tanto disprezzabile una persona capace di suonare in quel modo. La sua musica parlava… e non trasmetteva né spocchia né maleducazione, ma solo una profonda tristezza.
 
< E cosa fa da solo tutto il giorno? > Chiesi in un sussurro. Era più un pensiero tra me e me che una domanda rivolta a lei.
Tessa fece un cenno con il mento verso la porta della camera. < Suona il pianoforte. Legge, credo. Non lo so, forse gioca a scacchi da solo > Fece sarcastica.
Poi aggiunse a bassa voce:
< È deprimente che non sappia divertirsi alla sua età >
Rimasi ferma a fissare la targa ‘3B’ affissa sulla porta per alcuni istanti.

Mentre Tessa già si stava dirigendo verso la porta successiva, dissi con fermezza:
< Invitiamolo. >
L’espressione stupita e assieme scocciata che mi rivolse la ragazza mi fece arrossire.

< Dico sul serio, ascolta la sua musica… è così malinconica… non sembra anche a te? Forse nemmeno a lui in fondo fa piacere essere così solitario >
Per un istante la melodia si arrestò. Rimasi senza fiato, temendo di essere stata sentita. Ma un secondo dopo, con mio profondo sollievo, riprese.

Tessa mi guardò in cagnesco < Santo cielo Bella, non verrà. So di aver detto che è particolarmente carino, ma non preoccuparti, prometto che ci saranno molti altri bei maschioni alla festa > Sbuffò.
Arrossii ancor più violentemente, capendo di essere stata totalmente fraintesa. Ma non ribattei, e in silenzio la seguii lungo il corridoio.
5 minuti dopo avevamo distribuito tutti gli inviti a quel piano. Con la sola eccezione del ‘figlio della preside’, di cui ancora non avevo conosciuto il nome.
Tessa, il cui umore migliorava esponenzialmente ogni volta che infilava una busta sotto ad una porta, sembrava assai soddisfatta.

< Ottimo lavoro Bella, ti ringrazio. Ora finiamo con i due piani femminili e poi dritte a letto, d’accordo? >.
Mi chiese di occuparmi del secondo piano, mentre lei avrebbe distribuito gli ultimi inviti al primo.
Facendo mentalmente un rapido calcolo, mi resi conto che se fossero venuti tutti, ci saremmo trovati in 60 ammassati in un minuscolo bilocale. Ma Tessa, dall’alto della sua esperienza, mi aveva già ripetuto almeno tre volte che a queste feste non veniva mai più del 50% degli invitati.
Mi auguravo che avessero ragione.
In ogni caso, avevo già deciso che per non condannare fin da subito la mia vita sociale, il sabato seguente avrei bevuto abbastanza birra da essere brilla ad inizio festa. La mia già scarsa capacità di socializzazione aveva bisogno di una leggera spinta.
Tessa, raggiante, iniziò a scendere le scale per tornare al nostro piano.
Io scesi i primi due scalini, ma poi mi fermai.
Esitai un istante, e li risalii, dirigendomi a lunghi passi verso la camera 3B.
Era una questione di principio: avrei invitato anche quel ragazzo.
Alla peggio, se era vero ciò che aveva detto Tessa, non si sarebbe presentato e la cosa sarebbe finita lì.
Mi chinai per infilare un invito nello spiraglio sotto alla porta, ma un attimo prima che lo facessi, questa si aprì con un leggero cigolio.
Rimasi china, immobile, senza fiato. Ero appena stata beccata alle due di notte passate, su un piano del dormitorio che chiaramente non era il mio, piegata davanti ad una porta a fare non si sa bene che cosa.
Sentii le guance prendermi fuoco, mentre mi rialzavo. Sollevai lentamente lo sguardo, sperando che il terreno mi crollasse sotto ai piedi.
Il silenzio era tombale.
Sussultai leggermente, quando il mio sguardo incontrò il suo.
Erano occhi inverosimili, di un colore castano/ocra che ero certa di non aver mai visto prima. Caldi ed estremamente espressivi.
Quando spostai l’attenzione sul resto del suo viso, rimasi ancor più senza fiato.
La perfezione dei suoi lineamenti era quasi inquietante.
Mentre me ne stavo lì impalata, come in trance, incapace di aprire bocca, lui allungò un braccio e mi sfilò di mano la busta rosa che stavo per infilare sotto la sua porta.

< Cos’è? > Chiese con tono pacato. La sua voce era di una morbidezza disarmante.
Deglutii con fatica, per ritrovare la voce.

< È… un invito. Per una festa > Risposi, cercando di apparire il più disinvolta possibile. Ma non ero brava a mentire.
Il ragazzo si rigirò la busta tra le dita per alcuni istanti, con fare pensieroso.
Poi tornò a posare i suoi occhi su di me.

< Non amo le feste. Ma grazie lo stesso > Disse educatamente.
Afferrò la maniglia della porta e lentamente la tirò verso di sé; ma un momento prima che si chiudesse del tutto esitò, e sussurrò un fugace < Buonanotte >.

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Capitolo 2
*** Cap. 2. Lavanda e cannella ***


CAP. 2. Lavanda e cannella
 
Quello della mattina seguente fu un dolce risveglio.

Dopo essermi rigirata tra le coperte per alcuni minuti, nel torpore del dormiveglia, mi ero allungata a sinistra per scendere dal letto, ma avevo sbattuto la fronte contro un muro.
Un muro che non avevo idea di cosa ci facesse lì.
Solo dopo aver aperto gli occhi ed essermi guardata attorno nella luce fioca del mattino, mi ero resa conto di non trovarmi più a Jacksonville.
Con un sospiro infastidito mi lasciai sprofondare nuovamente nel cuscino, massaggiandomi la fronte. Potevo già sentire il punto colpito iniziare a gonfiarsi.

Avevo irrealisticamente sperato che, alla partenza, le mie innate capacità autolesionistiche e la mia consueta sfiga fossero rimaste in Florida, chiuse in qualche cassetto. 
Ma sapevo che non era possibile, e quella botta contro il muro era stato solo un modo gentile con cui il cosmo si era premurato di ricordarmelo.
Insomma, nulla da fare: anche in Alaska ero destinata a farmi conoscere fin dal primo giorno come quella che rischia la vita anche solo respirando.


Rimasi a letto per un altro paio di minuti, potendo finalmente osservare con calma quella che nei mesi successivi sarebbe stata la mia casa.
La camera era più spaziosa ti quanto credessi (pur rimanendo, a mio modesto parere, assolutamente inadatta ad ospitare una festa); il mio letto e quello di Tessa -che ancora dormiva della grossa- non portavano via molto posto, essendo entrambi addossati alla parete, l’uno di fronte all’altro, sotto un’ampia finestra che rendeva l’intero ambiente luminoso e dava sul cortile esterno del dormitorio.

C’era una certa simmetria nella disposizione dei mobili; agli angoli opposti della stanza erano sistemate due scrivanie, entrambe affiancate da un ampio armadio di legno chiaro.
Al centro, due poltroncine color mattone erano rivolte verso una delle pareti lunghe della camera, sulla quale era installato un piccolo televisore al plasma. La parete opposta era vuota, se non per le due porte che conducevano alla cucina e al bagno.
 
Mi stiracchiai e allungai un braccio verso il telefono che avevo lasciato in carica sul comodino, a destra del letto.
Scrissi un messaggio a mia madre per dirle che avevo un mucchio di cose da fare e che le avrei telefonato in serata. Era l’unico modo per evitare che mi tempestasse di chiamate tutto il giorno.
Ne approfittai per scrivere anche a mio padre, cosa che mi rimproveravo sempre di fare troppo poco spesso.
Gli feci semplicemente sapere che ero arrivata in Alaska e che stavo bene, anche se ero più che certa che mia madre lo stesse già tenendo costantemente informato su ogni mio movimento; nonostante fossero separati ormai da parecchi anni, mamma aveva sempre voluto renderlo partecipe della mia vita più di quanto non mi sforzassi di fare io stessa.
Era una cosa che un po’ mi imbarazzava -odiavo essere l’oggetto principale di una conversazione, persino se a farla erano i miei genitori-, ma che sotto sotto trovavo molto bella.

Scivolai fuori dal letto in punta di piedi e mi diressi in bagno, facendo attenzione a non urtare nulla per non svegliare la mia coinquilina.
Feci una doccia veloce e mi lavai i denti.

Quando uscii, trovai Tessa seduta sul mio letto, intenta a rovistare tra le cose di una delle mie valigie.

< Bella. > Disse con tono estremamente serio, alzando lo sguardo su di me. La sua espressione rivelava un enorme disappunto.

Impallidii, chiedendomi cos’avesse potuto trovare lì dentro di tanto sconveniente.
Per un attimo temetti il peggio: e se mia madre ci avesse infilato dentro qualcosa senza che me ne fossi accorta?
Qualcosa tipo, che so… un peluche della mia infanzia?!
Più ci pensavo e più l’ipotesi mi sembrava realistica. Sarebbe stata proprio una cosa da lei.

< Cosa…? > Farfugliai, sentendomi sprofondare per la vergogna.

< Qui dentro non c’è assolutamente nulla di adatto ad una festa, Bella. > Fece lei avvilita, continuando a frugare nevroticamente tra le pile di magliette larghe e maglioni dolcevita.

Non riuscii a trattenere una risata.
Grazie al cielo.
Forse avrei dovuto sentirmi offesa, ma cos’era in fondo una critica al mio modo di vestire rispetto alla possibilità di essere scoperta con un orsetto di pezza in valigia?
Inoltre, non ero particolarmente sensibile sull’argomento.
Non ero mai stata troppo attratta dai bei vestiti, o dallo shopping in generale, e non avevo alcun problema ad ammetterlo.
Un bel maglione caldo e morbido, a mio parere, batteva 10 a 0 qualsiasi altro capo di vestiario.

Mi strinsi nelle spalle, sedendomi accanto a lei.
< Non credevo di avere feste in programma > Mi giustificai, ma a giudicare dall’espressione scioccata con cui Tessa si girò a fissarmi, dovevo aver scelto la risposta sbagliata.

< Quindi tu sei una di quelle che si iscrivono all’Università per studiare? > Chiese, strabuzzando gli occhi e guardandomi come fosse un ragazzino allo zoo e io l’esemplare di una specie in via d’estinzione.

Scoppiai a ridere.
Non riuscivo esattamente a capire dove finisse la vera Tessa e dove iniziasse il teatro, ma le sue palesi esagerazioni mi divertivano.

< Eddai Tessa, piantala > Ridacchiai, dandole un colpetto scherzoso sulla spalla.

Chiuse la valigia e scosse la testa, sospirando.
< Fortuna che ti hanno messa in camera con me. Qualcuno doveva pur salvarti da te stessa > Sbuffò, alzandosi di scatto.

< Di buono c’è che sappiamo cosa fare oggi. > Aggiunse, lanciandomi un’occhiata eloquente.  

Stupendo, shopping.
Alzai le mani in segno di resa < Sei tu il capo >.

La mia obbediente capitolazione la tranquillizzò; forse pensò che in fondo non fossi una causa del tutto persa.

Tornò a sfoggiare lo stesso sorriso raggiante con il quale mi aveva accolta la notte precedente.
< Ma prima… > Disse, sollevando un dito < Colazione! Ricordi i muffins di cui ti parlavo? Devo proprio farteli assaggiare >

 
Una decina di minuti più tardi eravamo pronte per uscire.
Chiudemmo la porta dell’appartamento a chiave e percorremmo il corridoio fino a raggiungere le scale.
Due ragazzi in tenuta sportiva, intenti a chiacchierare e ridacchiare tra loro, stavano scendendo proprio in quel momento dal piano superiore.
Erano entrambi piuttosto carini; alti, in forma, uno castano/biondo e l’altro moro.

Non appena ci videro, smisero di parlare.

< Tessa Price! > Esclamò il moro con un sorrisetto strafottente, chinandosi in una sorta di riverenza.

Una smorfia si fece strada sul viso della ragazza.
< McDougall. > Commentò in risposta, passando oltre senza degnarlo di uno sguardo < Chi non muore si rivede >.

Io la seguii senza aprire bocca.

 < Avanti Tess! È così che si salutano gli amici? > Insistette quello, correndoci dietro lungo la rampa di scale che scendeva al pian terreno.

D’improvviso sentii il suo braccio avvolgermi le spalle.

< E questa bella ragazza non me la presenti? > Mi strizzò l’occhio.

Forzai un sorriso, cercando di scivolare via dalla sua stretta.
< Sono Bella > Mormorai a denti stretti.

< Lascialo perdere Bella, fa’ come se non ci fosse > Disse Tessa, alzando gli occhi al cielo.

Lui la ignorò completamente, e con due lunghi passi si portò di fronte a me, costringendomi a fermarmi per non finirgli addosso.
< È un piacere, Bella. Mi chiamo Hunter McDougall > Fece, sempre con quel sorriso impertinente stampato in faccia. < Camera 3F. > Aggiunse, ammiccando.

Sollevai un sopracciglio, colpita da tanta sfacciataggine.
< Lieta di saperlo > Replicai, risultando più acida di quanto avrei voluto.
Non era mia intenzione farmi dei nemici il primo giorno, ma neanche lasciarmi trattare da stupida.

Tessa scoppiò a ridere, soddisfatta della mia risposta, e si voltò verso l’altro ragazzo:
< Ma Dominique, seriamente. Tu perché giri ancora con quest’idiota? >

< Su, non essere crudele Tess > Sghignazzò Hunter.
Quei due si punzecchiavamo come bambini.

< Che posso farci > Sospirò il biondo, dando una gomitata all’amico < Continuano a metterci in camera assieme. Sono condannato >.

Tessa gli lanciò un’occhiata di ironica compassione, e voltandosi verso di me mi fece cenno con il capo di riprendere a camminare.
Ma proprio quando stavamo per voltarci, Dominique -con una manovra piuttosto furba- disse l’unica cosa che avrebbe certamente convinto Tessa a trattenersi ancora un po’.  

< Ma quindi questa festa, Tess? >

Mi voltai a guardarla, e vidi i suoi occhi illuminarsi come quelli di un bambino di fronte a un cesto di cioccolatini.
Era cascata dritta dritta nella trappola.

Si voltò nuovamente verso i due ragazzi, improvvisamente allegra.

< Im-per-di-bi-le, assicurato > Disse, scandendo le sillabe una ad una.

< Oh, Dominique, a proposito > Aggiunse frettolosamente, < Avremo bisogno del tuo aiuto per comprare gli alcolici >.

< Li ho anche io 21 anni > Fece notare Hunter, evidentemente infastidito per non esser stato preso in considerazione.

< Ma nessuno lo ha chiesto a te > Ribatté lei.

Seguì un breve ma intenso silenzio, durante il quale ci fu un ricco scambio di sguardi d’odio tra i due, e di occhiate di reciproco compatimento tra me e Dominique.
Sembrava sentirsi a disagio quasi quanto me.

< In ogni caso, non credo che verrò alla festa > Disse Hunter, ostentando indifferenza < Non ho voglia di trovarmi circondato da matricole >
Tessa annuì, sorridendogli maliziosamente.

< Certo, le matricole > Fece, con un tono di pungente sarcasmo.
< Tranquillo, lei non è invit… > Stava continuando, ma Hunter, visibilmente infastidito, si affrettò ad interromperla:

< Dai Dom, dovevamo allenarci o sbaglio? > Sibilò tra i denti, e senza nemmeno salutare partì di corsa verso l’uscita del dormitorio.

Dominique alzò gli occhi al cielo, leggermente imbarazzato per il comportamento dell’amico, e ci sorrise con gentilezza.
< Ragazze > Ci salutò con un cenno del capo, e anche lui prese a correre.
 
Per quanto incuriosita da quelle bizzarre dinamiche, preferii non chiedere nulla a Tessa; ero certa che se avesse voluto, non si sarebbe fatta problemi a parlarmene lei.
E infatti solo dopo qualche secondo di silenzio, non appena fummo uscite in cortile sotto il cielo grigio di quel sabato di settembre, lei esplose.
Era chiaro che avesse provato a trattenersi, ma il desiderio di lamentarsi ebbe la meglio.  

< Ignora quell’imbecille, Bella. Fa il cascamorto con qualsiasi ragazza gli capiti a tiro, davvero disgustoso. > Fece una breve pausa, ma io non parlai; se c’era una cosa che avevo capito di lei, questa era che ogni suo discorso non poteva durare meno di due minuti.
Infatti riprese immediatamente a parlare, più infastidita di prima.

< E credi davvero che il suo problema con la mia festa siano le matricole? Come no, ridicolo. La verità è che non si è ancora ripreso dal party di fine anno dello scorso giugno, quando il suo ego è stato fatto a pezzi da Alice Cullen >.

Non appena pronunciò quel nome, mi ribalenarono in testa i ricordi della notte precedente e del ragazzo del pianoforte.
Sentii il sangue infuocarmi le guance, mentre ripensavo alla colossale figura di merda che avevo fatto facendomi trovare accovacciata davanti alla porta di uno sconosciuto alle due di notte.

< Immaginati la scena: Hunter ubriaco che cerca di baciare una ragazza alta 30 cm meno di lui, e questa che lo scansa e gli sloga una spalla. Involontariamente per giunta, almeno a sentire lei. Mi chiedo cosa sarebbe successo se ci fosse stato anche Jasper > Tess fece una risatina nervosa, < In effetti sì, ripensandoci è piuttosto imbarazzante; e il risultato è che ora Hunter non vuole più mettere piede ad una festa. Ma non ti sembra tutto un po’ patetico? > Sbottò.

Non riuscivo a capire cosa la innervosisse tanto; in fin dei conti la storia era divertente.

Sebbene l’idea di una ragazza che per evitare una molestia di Hunter gli aveva spaccato il braccio mi avesse fatta ridere, la mia testa era rimasta ancorata al ricordo della notte precedente.
Era riemerso tra i miei pensieri, anche se in modo tutt’altro che nitido, il viso di quel ragazzo, talmente perfetto da renderlo quasi inquietante.
Mi resi conto di non conoscere ancora il suo nome, e improvvisamente sentii la necessità di scoprirlo.

< Alice Cullen hai detto? Cioè, la sorella di… > Chiesi con fare ingenuo, sperando che Tessa completasse la frase.

< Di Edward, esatto. Sorella adottiva >
Edward. Bingo.
Era un nome piuttosto desueto, ma per qualche motivo trovavo che gli calzasse a pennello.

Ma Tess non si limitò a dirmi quello, naturalmente. Bastava darle un leggerissimo input perché si buttasse a capofitto in un nuovo soliloquio.
< Sono 5 fratelli, tutti adottivi, tutti più o meno coetanei. E te l’assicuro, se già è dura incontrarne uno, vederli tutti assieme ti sotterra l’autostima. Non so come facciano ad essere tutti così belli. Anche se in realtà una o due teorie ce le avrei >

Improvvisamente Tess si fermò.
Mi resi conto che avevamo già percorso tutta la via e che ci trovavamo di fronte ad una piccola pasticceria super affollata.
Mi avvicinai alla vetrina per spiare all’interno, stupendomi di quanta gente riuscisse a stare lì dentro. Dovevano essere veramente speciali quei muffins.

< Aspettami qui solo un secondo. Prendo due muffins e arrivo > Disse Tess, per poi aggiungere con un sorrisetto presuntuoso < Conosco il proprietario >.

Iniziavo a capire quali fossero i veri vantaggi della popolarità.
Ed effettivamente, poco più di un minuto più tardi Tess uscì dalla pasticceria stringendo tra le mani un sacchetto di carta e due bicchierini di caffè take-away.
Ci sedemmo su un muretto lì accanto e spartimmo la colazione.
Aveva proprio ragione: quei muffins erano la fine del mondo.

< Quindi, queste teorie sui Cullen? > La incalzai dopo un po’, decisa a non lasciar cadere nel nulla la conversazione.

< Ah, già! > Esclamò lei, con la bocca ancora piena. < Dicevo… per me le opzioni sono due: o signore e signora Cullen hanno appositamente adottato i bambini più belli, magari per tirare su un pool di modelli e farci soldi >

Soffocai una risata, curiosa di ascoltare anche la seconda teoria.

< Oppure sono già tutti rifatti. Dopotutto il dottor Cullen è un medico, sarà pieno di amici chirurghi plastici >

Non mi trattenni più e scoppiai a ridere.
La fantasia di quella ragazza non aveva confini.

< Ma sei seria Tess? > Ridacchiai, notando la sua espressione perplessa.

< So che può sembrare stupido, ma quando li avrai conosciuti vorrò sentire le tue di teorie > Bofonchiò offesa.

Uno in realtà lo avevo già ‘conosciuto’, e in effetti la sua bellezza andava decisamente oltre l’ordinario.

< Per questo sono stufa di invitare Alice alle mie feste. Tutti si innamorano di Alice > Disse frustrata, < Perché lei, a differenza di suo fratello, oltre ad essere incredibilmente bella sa anche stare in mezzo alla gente >.

Ed eccolo lì, limpido come il sole, il vero motivo di tutto quell’astio: Tessa era gelosa.
E qualcosa mi faceva sospettare che anche Hunter avesse un ruolo nella faccenda, visto il modo in cui lei l’aveva trattato poco prima, ma erano solo teorie.
 
Finimmo di mangiare e, mio malgrado, Tess insistette per portarmi un po’ in giro per negozi. Diceva che se non mi fossi trovata un bel vestito da indossare il sabato seguente, mi avrebbe tenuta chiusa a chiave in bagno per tutta la durata della festa.
L’idea in realtà non mi dispiaceva affatto, ma questo certamente non glielo potevo dire. E poi, in fondo, non mi avrebbe fatto così male coltivare la mia vita sociale una volta tanto.


Dopo aver camminato per circa dieci minuti, Tessa – che in quel breve lasso di tempo era riuscita più o meno a raccontarmi la sua vita intera –, si fermò per indicarmi un negozietto dalla parte opposta della strada.  

< Ti prego Bella, piccola sosta fuori programma! Lì ho comprato il profumo più buono della mia vita l’anno scorso > Gongolò, e senza lasciarmi il tempo di rispondere aggiunse a bassa voce:
< La proprietaria è un’altra dei fratelli Cullen, Rosalie. Finito il liceo boom, ha abbandonato gli studi e ha deciso di aprire una sua attività qui in città. Non so come l’abbiano presa i suoi, ma avendo come madre la Rettrice dell’Università non penso che sia stata una scelta facile. La ammiro molto per questo; è sicuramente la Cullen che preferisco. >

Da come l’avevo sentita parlare poco prima, sospettavo che tale preferenza avesse anche un altro fondamento: a differenza di Alice questa Rosalie, non frequentando l’Università, non poteva rovinarle la piazza.

Attraversammo la strada, e un attimo prima di entrare nella piccola profumeria Tess mi bisbigliò all’orecchio:
< Guardala bene. Poi mi dirai se la teoria della plastica facciale è davvero così assurda >

Sorrisi divertita e la seguii all’interno.
 
< Buongiorno > Ci accolse immediatamente una voce radiosa.
Una ragazza dalla folta chioma bionda, spaventosamente bella e senza un capello fuori posto, ci sorrideva da dietro il bancone.
Perfino il modo in cui stava ferma in piedi esprimeva eleganza.
E, così come lei, anche il suo negozio era estremamente curato, quasi fiabesco: era pieno di mensole e di scaffali dalle tonalità color pastello e le pareti interne erano per buona parte ricoperte da piante rampicanti.
 
Mi sentivo decisamente fuori posto.  

Mentre Tessa si fiondava tra gli scaffali alla ricerca del suo profumo, io rimasi colpita da una piccola vetrinetta sistemata contro la parete, accanto all’ingresso.
Al suo interno, in perfetto ordine, erano posizionate sei piccole boccette.

La prima riportava sull’etichetta il nome di ‘Alice’.
La seconda quello di ‘Esme’.
Certo, Esme Cullen, la Rettrice.
Rimasi affascinata nel rendermi conto che ognuna di quelle boccette doveva essere dedicata ad uno dei membri della sua famiglia.

Automaticamente, quasi senza accorgermene, cercai con lo sguardo la boccetta di Edward.
Feci scorrere lo sportello trasparente della vetrina e la presi in mano, quindi svitai il piccolo tappo nero e mi portai la boccetta all’altezza del viso, per sentirne l’odore. Era un profumo squisito, perfettamente equilibrato. Chiusi gli occhi per alcuni istanti, respirando a fondo.

Quando li riaprii sobbalzai, accorgendomi di avere Rosalie a poche spanne di distanza.

I suoi grandi occhi scuri mi scrutavano con curiosità.
< Posso aiutarti? > Chiese.

< Oh… no, grazie, stavo solo… che odore è questo? > Chiesi, arrossendo.

Rosalie mi rivolse un sorriso angelico:
< È un’essenza a base di lavanda e cannella. Sono gli aromi preferiti di mio fratello > Rispose; si interruppe un momento, come sovrappensiero, e rise tra sé e sé di qualcosa che non potevo capire < Ha un debole per le fragranze dolci >

Di colpo il suo viso si illuminò e, con la mano, mi prese un polso. La stretta era delicata, ma la sua pelle talmente fredda da provocarmi un brivido.

< Permetti che ti consigli qualcosa? > Domandò, con un tono di voce talmente zuccherato e suadente che mi fu impossibile non annuire, nonostante fossi entrata lì dentro senza la minima intenzione di cercarmi un profumo.

Lei chinò il viso sul mio braccio e per alcuni istanti aspirò l’odore della mia pelle; sentii la sua mano stringere la presa, arrivando quasi a farmi male.
Dopo un momento, la ragazza si scosse leggermente e tornò a guardarmi con un sorriso vagamente imbarazzato.

< Perdonami. Hai davvero un buon odore. > Disse, sistemandosi una ciocca di capelli dietro all’orecchio. Poi, gentilmente, mi sfilò di mano la boccetta e la ripose all’interno della vetrina.

< Questo non è adatto a te. L’odore del tuo… della tua pelle è già estremamente dolce. Ti consiglierei una nota più agrumata > E senza esitazioni si diresse leggiadra verso un altro scaffale.

Rimasi immobile a fissarla, incantata e colpita dalla semplicità con cui era riuscita a decifrare il mio odore in una manciata di secondi.
Quella ragazza doveva avere un dono.
 

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Capitolo 3
*** Cap. 3. Di nuovo ***


CAP. 3. “Di nuovo”
 
< Muoviti, siamo in ritardo! > Esclamai, strattonando per l’ennesima volta il braccio di Tessa che si ostinava a procedere alla velocità di un bradipo, trascinando i piedi a terra.

Da quando eravamo uscite non aveva fatto altro che lamentarsi; non era neanche iniziato l’anno e già era ‘stufa’ di andare a lezione.  
Il suo umore era grigio come il cielo sopra di noi.

< Rilassati Bella, non sei più al liceo. > Rispose lei, sbadigliando. < Qui puoi arrivare quando ti pare; niente più note o chiamate in presidenza > Da come parlava, sembrava avere parecchie esperienze di quel tipo alle spalle; < E poi c’è talmente tanta gente che se anche arrivi in ritardo non se ne accorge nessuno >

La squadrai allibita.

Non l’avevo presa sul serio quando mi aveva lasciato intendere che si fosse iscritta all’Università soltanto per far festa, ma iniziavo a pensare che le cose stessero davvero così.

< Beh, io voglio arrivare puntuale > Ribattei risoluta, tirandola con più forza e cercando di accelerare il passo. 

Ormai c’eravamo quasi. Vedevo svettare di fronte a noi le palazzine del campus dove venivano svolti i corsi. I complessi principali erano tre: l’edificio di economia e giurisprudenza, quello di scienze applicate e ingegneria, e l’ultimo, delle facoltà di lettere e psicologia.

Fortunatamente Tessa era iscritta ad economia e il suo edificio era il più vicino. Una volta scaricata lei lì, avrei anche potuto correre (anche se, chissà perché, una vocina nella mia testa mi sconsigliava vivamente di farlo).


Intenta com’ero a maledirmi per aver proposto a Tessa di andare assieme a lezione, mi accorsi solo all’ultimo momento della sfavillante Porsche color blu metallizzato che ci stava tagliando la strada per entrare nel parcheggio studentesco lì a fianco.

< Oh, ma fammi il piacere! > Sbottò Tessa, alzando le braccia in segno di protesta.
< Era proprio necessario venire in macchina?! Abita a mezzo isolato da qui! >

Di colpo aveva ritrovato le energie.

Preferii non chiederle spiegazioni ed aspettare di vedere da me chi sarebbe sceso dall’auto.

La prima portiera ad aprirsi fu quella dal lato del passeggero; scese un ragazzo alto, con i capelli biondi, mossi e lunghi quasi fino al mento.
Non ero abbastanza vicina da poterlo vedere bene in faccia, ma era senza dubbio un bellissimo ragazzo.
Pochi istanti dopo si aprì anche l’altra portiera e il guidatore – o meglio, la guidatrice – scese dalla Porsche.  

Capii all’istante di chi si trattasse: Alice Cullen.
Avevo rapidamente fatto mente locale, mettendo insieme le informazioni raccolte su di lei nei giorni precedenti, e tutto quadrava perfettamente:
viveva fuori dal campus, era piuttosto piccola di statura e, ovviamente, era assolutamente stupenda; ma ciò che mi aveva tolto ogni dubbio era stata la reazione irritata di Tessa.

A pensarci bene, la sua gelosia non era poi così ingiustificata.
Non appena scesa dall’auto, infatti, Alice aveva attirato su di sé gli sguardi di metà dei presenti; e solo perché l’altra metà era ancora presa a guardare a bocca aperta la sua macchina.

La ragazza indossava un paio di stivali neri dal tacco alto, un lungo trench beige e, nonostante il cielo coperto, portava un paio di occhiali da sole dalla montatura eccentrica.
Ma la cosa da cui proprio non riuscivo a distogliere lo sguardo era il sorriso, seducente e al contempo sbarazzino, che sfoggiava con estrema naturalezza.

Tessa mi afferrò per un braccio.
< Muoviamoci Bella. Prima che… >

< Tess! > La voce squillante di Alice interruppe la sua frase.

Lei e il suo affascinante accompagnatore stavano venendo verso di noi, mano nella mano, aggraziati e sorridenti come una coppia di modelli in passerella.

Sentii il mio stomaco contorcersi.

Come facevano ad essere così gioiosi e impeccabili alle otto e mezza del mattino?
Io non avrei avuto una cera -e un umore- del genere neanche dopo 48 ore di spa.

Più si avvicinavano e più avevo la sensazione di starmi rimpicciolendo; mi sentivo come una minuscola formica al cospetto di due leoni.

Dovevo riconoscerlo, Tessa non aveva esagerato.
Ogni volta che conoscevo un nuovo Cullen, una piccola parte della mia già misera autostima si sbriciolava.
Dovevano proprio essere così tanti?
 
< Ehilà! > Esclamò Alice, togliendosi gli occhiali da sole ed esibendo la sua dentatura perfetta in un enorme sorriso.

Il ragazzo ci sorrise a sua volta, ma rimase in silenzio incrociando le braccia dietro alla schiena.

< Pronta per un nuovo anno assieme, eh Tess? > Ridacchiò Alice, dandole una gomitata amichevole.

Mi venne da chiedermi se tutto quell’entusiasmo fosse effettivamente autentico, o se invece fosse solo una montatura per stuzzicare un po’ Tessa.

< “Pronta” è una parola grossa > Bofonchiò Tess per tutta risposta.

Non c’era la minima traccia di ironia nella sua voce, eppure Alice scoppiò a ridere, prendendolo -o più probabilmente fingendo di prenderlo- come uno scherzo.

Quindi si voltò verso di me, squadrandomi da capo a piedi con i suoi grandi occhi vivaci.
< Tu devi essere nuova > Osservò, rivolgendomi un sorriso rassicurante.

< Sono Bella > Risposi di getto, tendendo una mano verso di lei.

Mi sentii immediatamente più tranquilla, come se mi fossi tolta un peso.
Presentarmi ad uno sconosciuto era sempre una piccola tortura per me: il più delle volte comportava momenti di disagio e lunghi silenzi imbarazzanti; situazioni che non ero particolarmente brava a gestire.

Fortunatamente non fu quello il caso; anzi, Alice si rivelò quasi più vulcanica di Tessa.
< Ma certo! Isabella Swan! > Esclamò eccitata, voltandosi verso il ragazzo e stritolandogli un braccio < È lei che ho visto alla festa! >

La guardai sbigottita, senza capire di cosa stesse parlando, e Tessa si voltò verso di me fissandomi nello stesso identico modo.

< Quale festa? > Chiese, sospettosa. < Vi siete già conosciute? >

Il ragazzo lanciò un’occhiataccia ad Alice, che si ammutolì di colpo.
Poi le cinse i fianchi con un braccio, stringendola a sé.

< Voleva dire sull’invito. Ha visto il nome di Isabella sull’invito della festa di sabato > La corresse frettolosamente, accennando un sorriso che tradiva un po’ di agitazione.

Né io né Tess eravamo troppo persuase da quella spiegazione, soprattutto visto lo strano modo in cui i due si erano appena comportati, ma prima che una delle due potesse dire qualcosa, il ragazzo si protese in avanti per stringermi la mano che ancora tenevo sollevata.

< Jasper ed Alice Cullen, piacere > Disse a nome di entrambi, con voce profonda.

Nell’esatto istante in cui incrociai il suo sguardo penetrante, mi sentii immediatamente rasserenata.
Non riuscivo a capire da dove, tutto d’un tratto, spuntasse fuori quella sensazione di tranquillità; era come se qualcuno me la stesse iniettando nelle vene.

Smisi di farmi domande su quanto era appena accaduto e mi concentrai sulla sua presentazione.
Jasper ed Alice Cullen, aveva detto?
Quindi erano fratelli? Adottivi, ma pur sempre fratelli.
Eppure, il loro comportamento era decisamente più simile a quello di una coppia.
Ero confusa…

< E dove avreste visto questo invito? > Borbottò Tessa, decisa a non lasciar perdere la questione.

Bastò che Alice inarcasse un sopracciglio perché Tessa, improvvisamente imbarazzata, si affrettasse a correggere il tiro:
< Cioè, ovviamente avrei invitato anche voi. > Farfugliò arrossendo lievemente;
< Ma per il momento ho distribuito gli inviti solo nel dormitorio >

Alice si strinse nelle spalle con nonchalance.

< Mah, non ricordo esattamente, ieri abbiamo incontrato qualcuno che ne aveva uno… > Spiegò, vaga.

Tessa non sembrava ancora convinta, ma si trovava in una posizione troppo scomoda per continuare ad insistere.
Quindi, sfoderò il sorriso più naturale che riuscì a trovare ed esclamò, allargando le braccia:
< Beh, colgo l’occasione per invitarvi ufficialmente! Sabato sera da noi alle 21.30 > Era un tentativo un po’ goffo di salvataggio in corner, ma parve funzionare.

Alice ricambiò il sorriso, entusiasta.
< Ottimo! >

< Mi scuserete, ma io non potrò essere dei vostri > Disse Jasper.

Alice gli rivolse uno sguardo supplicante, ma lui insistette:
< Devo fare quella cosa con Emmett piccola. Te l’avevo detto > E, delicatamente, le diede un bacio sulla punta del naso.

< Non hai paura di lasciarla sola ad una festa, dopo ciò che è successo all’ultima? > Si intromise Tessa. Per quanto si sforzasse, non riusciva proprio a farsi gli affari suoi.

Si stava chiaramente riferendo al piccolo incidente con Hunter.

Inaspettatamente, sia Alice che Jasper scoppiarono a ridere.
< Ho più paura per quei poveri ragazzi, credimi. Non esiste niente di più spaventoso di una Alice infuriata > Ridacchiò il ragazzo.

Lei gli diede uno spintone, ma continuò a ridere.

Che fossero fratelli, fratellastri o qualsiasi altra cosa, poco importava: erano davvero una bella coppia.

< Dai, andiamo che è quasi ora > Aggiunse Jasper, ricordandomi che eravamo già in ritardo prima di fermarci a parlare con loro.

Ci salutammo in fretta e ognuno si diresse verso il proprio edificio: Jasper verso quello di psicologia, Tessa ed Alice assieme verso quello di economia ed io verso il più lontano, dove si tenevano i corsi di scienze applicate.

Quando raggiunsi la struttura, mi sorpresi di quanto fosse grande vista da vicino.
Sapevo che le mie capacità di orientamento lasciavano parecchio a desiderare, così presi uno degli opuscoli con cartina incorporata che erano sistemati su un banchetto di benvenuto accanto alla porta d’ingresso.

Dopo aver studiato la piantina per qualche minuto ed essermi sentita un’idiota rendendomi conto di aver guardato per tutto il tempo la mappa di un altro edificio, decisi di correre al terzo piano, guidata più dall’istinto che altro.

Camminai svelta per il corridoio con lo sguardo puntato sulla cartina, in cerca del laboratorio di chimica, dove dovevo avere la mia prima lezione.
Finalmente, raggiunsi la porta di un’aula che pareva corrispondere al disegno sulla mappa.

Allungai il braccio per aprirla, ma proprio un attimo prima che afferrassi la maniglia, mi sentii trattenere per la manica del giubbotto.
< Credo che tu stia sbagliando aula >

Riconobbi immediatamente quella voce, sebbene l’avessi sentita una volta sola.
Per un attimo rimasi immobile, senza fiato; ma poi mi voltai, impaziente di ridare nitidezza al ricordo confuso che avevo di quel viso.
E lo trovai lì, davanti a me, in tutta la sua perfezione.

Fu un altro colpo allo stomaco, proprio com’era stato vederlo la prima volta.
Mi presi qualche istante per fotografare mentalmente più dettagli possibile di quel volto.
I suoi occhi erano esattamente come li ricordavo, e come li avevo avuti perennemente in testa nei due giorni precedenti: caldi, espressivi e in qualche modo indagatori.
Il loro colore particolare era messo in risalto dalle lunghe ciglia scure e dal contrasto con la carnagione pallida.
L’unico dettaglio che portava un po’ di disordine in quel viso impeccabile, erano i ciuffi ribelli dei suoi capelli color castano-rossiccio.
 
Dopo alcuni secondi, che mi parvero infiniti, lui aggrottò leggermente la fronte e mosse piano una mano davanti al mio viso, come per assicurarsi che fossi cosciente.
Arrossii, ma cercai di nasconderlo abbassando immediatamente lo sguardo sulla cartina che stringevo tra le mani.

< No, uhm… non credo > Farfuglia, girandola in ogni direzione con fare impacciato < L’aula dovrebbe essere questa > Feci, indicando un punto sulla mappa col dito che mi tremava dall’agitazione. < Io sono…>

< Al piano sbagliato > Mi interruppe lui. <Di nuovo> Aggiunse in un bisbiglio, e gli scappò un sorriso.

Non c’era alcuna traccia di derisione nel tono con cui lo disse, tuttavia ciò non impedì al mio cuore di iniziare a battere all’impazzata, pulsando litri di sangue che finirono tutti sulle mie guance in una manciata di secondi.

Lui probabilmente se ne accorse, perché distolse immediatamente lo sguardo da me, come per evitare di crearmi ulteriore disagio.
Tuttavia continuò a sorridere, più divertito di prima.

Non riuscivo a trovare le parole da dire, né tanto meno la voce con cui dirle.
Aprii la bocca pronta a scusarmi per la figura pietosa di tre notti prima, cui lui aveva appena fatto implicito riferimento, ma tutto ciò che riuscì ad uscire dalla mia bocca fu un timidissimo e mortificatissimo < Già >.

I suoi occhi saettarono nuovamente su di me.
Ogni segno di divertimento era sparito dal suo viso; sembrava confuso e quasi dispiaciuto, come se si fosse aspettato una reazione diversa da parte mia.
Probabilmente aveva pensato che mi sarei messa a ridere, ma sopravvalutava il mio senso dell’umorismo.

< Ti ringrazio per l’altra sera > Si affrettò a dire, lasciando da parte il sarcasmo.

Esitò un momento, aggrottando le sopracciglia.

< Davvero, grazie per avermi voluto invitare. Sei stata gentile > Disse piano, scegliendo le parole con attenzione, come fossero passi in un campo minato.  

Rimase a guardarmi in silenzio, con un’ombra di agitazione negli occhi, in attesa di una mia reazione.

Ero sbalordita.
E non tanto dalle sue parole, quanto dalla cura con cui le aveva scelte per farmi sentire a mio agio.

Abbassai gli occhi. Sostenere il suo sguardo troppo a lungo era veramente faticoso.
 
< È la festa di Tessa in realtà, io l’ho solo aiutata a distribuire gli inviti… > Spiegai, grattandomi la fronte.

Lo sentii ridere tra sé.

< Tessa non mi avrebbe mai invitato. >

< Non puoi saperlo > Ribattei in automatico.

Sapevo che aveva ragione, ma con tutta la premura che aveva appena dimostrato nei miei confronti, non mi andava proprio che pensasse di essere sgradito.

< Invece posso > Disse, rivolgendomi un sorrisetto scaltro.
< So esattamente cosa pensa Tessa di me. >

Fece una breve pausa.
I suoi occhi, estremamente concentrati, mi studiavano con attenzione.
Lungi da me l’idea che ad incuriosirlo potessi essere io come persona -dato che per tutto il tempo non avevo fatto altro che farfugliare frasi sconnesse-, iniziavo a credere che mi vedesse un po’ come uno strano animale da analizzare in laboratorio.
 
< Ma non so cosa pensi tu… > Mormorò, corrugando la fronte.
< Mi interesserebbe saperlo >

Rimasi sorpresa e confusa da quelle parole.

< Cosa penso… di cosa? > Balbettai.

< Di me. > Rispose, con estrema disinvoltura.

Non riuscivo proprio a capire dove volesse andare a parare.
Pensai che fosse un altro modo per mettere alla prova il mio senso dell’umorismo.

< Di te? > Sorrisi divertita. < Non penso nulla. Non ti conosco >

Lui scosse la testa, con un sospiro leggermente spazientito.
< No, questo lo so, certo. > Alzò gli occhi al cielo, come se dovesse spiegare un’ovvietà; < Ma un’idea ce la si fa sempre, al primo incontro >.

In tutta onestà, non mi ero ancora fatta alcuna idea su di lui.
Tutto ciò che aveva detto o fatto fino a quel momento non era servito ad altro che a confondermi le idee.
Perfino in quel momento non riuscivo a capire se si stesse prendendo gioco di me o se fosse veramente solo curioso.

L’unica cosa che al momento avrei potuto dirgli con sicurezza, era che lo trovavo un bellissimo ragazzo.
Peccato, ovviamente, che una cosa del genere non l’avrei mai detta, neanche sotto tortura.

< Io cerco di evitarlo. Non mi piace giudicare le persone a pelle > Risposi.

Rimase in silenzio, visibilmente colpito dalle mie parole.

< Devo ammettere che è una bella cosa. > Convenne dopo qualche istante di riflessione, sorridendomi

Colsi la palla al balzo.
Forse avevo individuato lo spiraglio che permetteva di avvicinarsi al ragazzo solitario. Spiraglio che né Tessa né altri erano riusciti a trovare.

< Beh > Dissi, mordendomi un labbro < Spiacente, per il momento non posso dirti altro. Ma quando ci conosceremo meglio, potrai chiedermelo di nuovo >

Il suo volto si irrigidì e distolse immediatamente lo sguardo.

< Credo che dovrò farne a meno allora > Disse secco.

Poi sospirò e tornò a guardarmi, con un’espressione amareggiata in viso.
Sembrava che due parti di sé stessero combattendo tra loro.

< Non mi fraintendere. Non voglio risultare maleducato, ma non sono interessato a farmi degli amici >.

Mi ero sbagliata.
Non c’era nessuno spiraglio.
Sebbene Tessa mi avesse spiegato che il suo atteggiamento era sempre stato quello nei confronti di chiunque, non riuscivo a non prenderla sul personale.
Poteva anche essere il suo carattere, ma lì e in quel momento lui aveva detto che non aveva interesse a conoscere me.

D’altra parte, come biasimarlo?
Io e io, e lui era… beh, non sapevo chi fosse, ma indubbiamente stava ad un livello più alto del mio.

L’ultimo briciolo di dignità che mi era rimasto mi ordinò di non restare lì impalata a lasciare che Edward intuisse il mio abbattimento.

< Devo andare. La mia lezione starà iniziando > Dissi a mezza voce, e senza aspettare una sua risposta mi incamminai a lunghi passi lungo il corridoio.

< Dall’altra parte, Isabella > Mi richiamò lui, con tono del tutto inespressivo.

Perfetto. L’ennesima figura da imbranata.
Se c’era un po’ di sangue nel mio corpo che ancora non fosse finito sul mio viso, ci finì in quel momento.

Tenendo lo sguardo fisso sul pavimento e i pugni stretti, mi voltai e mi diressi rapidamente nella direzione opposta.
 
 

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Capitolo 4
*** Cap. 4. Questione di chimica ***


CAP. 4. Questione di chimica

 
Quel giovedì, entrando in aula per la mia prima lezione di Chimica 1, fui stupita nel trovare una faccia conosciuta tra i banchi.

Hunter McDougall se ne stava seduto in ultima fila, con i gomiti appoggiati al tavolo e un’espressione tremendamente svogliata stampata in viso.

Non appena mi vide si tirò su di scatto e, sorridendo, mi fece cenno di raggiungerlo.

Sebbene al nostro primo incontro non mi avesse fatto la migliore delle impressioni, non potei fare a meno di sentirmi sollevata; almeno mi sarei evitata la scomoda scelta tra le due consuete opzioni: sedermi da sola passando per la disadattata di turno, o prendere posto accanto a qualche sconosciuto dovendo passare per la solita imbarazzante tiritera delle presentazioni.

Attraversai la lunga aula a passo svelto, stringendo le mani attorno alle spalline del mio zaino ed evitando di incrociare gli sguardi di coloro che avevano già preso posto.

Quando fui abbastanza vicina ad Hunter, lui mi strizzò l’occhio.

< Io questo bel faccino lo conosco > Disse tronfio, allontanando dal banco la sedia alla sua destra perché mi ci potessi sedere.

Ignorai totalmente la sua ruffianata e mi sedetti dal lato opposto; avevo capito che ad uno come Hunter meno corda si dava, meglio era.

Il mio gesto lo divertì.

< Facciamo i duri, eh? > Sogghignò, voltandosi nella mia direzione. < Mi piace >

Non avevo alcuna intenzione di diventare la nuova sfida personale di un dongiovanni da strapazzo, così decisi di tagliare la testa al toro e concedermi una piccola cattiveria.

< Che ci fai a lezione di Chimica 1, Hunter? > Chiesi con tono rilassato, sporgendomi un po’ verso di lui e rivolgendogli un sorriso canzonatorio < Non sei al secondo anno tu? >

Era evidente che non avesse passato l’esame l’anno precedente.

Non mi era mai piaciuto essere scortese, ma in quella situazione mi sembrava l’unico modo per metterlo a tacere;
e fortunatamente parve funzionare.

Il sorrisetto borioso che aveva sfoggiato fino a quel momento si spense all’istante.

< Io e la chimica non andiamo d’accordo. > Tagliò corto, vagamente offeso dalla mia insinuazione.

Ma, come se nulla fosse, nel giro di due secondi tornò all’attacco, più spudorato di prima:
< Potresti insegnarmela tu > Bisbigliò ammiccante, e si sporse a sua volta verso di me fino ad arrivare a pochi centimetri dal mio viso.

Arrossii e mi ritrassi, pentendomi all’istante di essermi seduta accanto a lui.

Hunter scoppiò a ridere, compiaciuto dall’estrema facilità con cui era riuscito a vincere quel breve confronto verbale.

1 a 0 per lui.

< Ma davvero queste tue “tecniche di approccio” funzionano con qualcuna? > Commentai stizzita, iniziando a riporre sul banco i libri che avevo nello zaino.

< Che tu ci creda o no, > Gongolò lui soddisfatto, infilandosi una matita dietro all’orecchio e prendendo a dondolare sulle gambe posteriori della sedia < ho parecchio successo con le ragazze >;
Mi lanciò un’occhiata maliziosa e, dopo aver fatto una breve pausa, aggiunse sottovoce:
< E mi piace fare un piccolo gioco. Ho scommesso con me stesso che quando uscirò da questa Università, avrò baciato almeno una ragazza per ogni lettera dell’alfabeto >

A quelle parole rimasi impietrita, incapace persino di tirare fuori dallo zaino il block-notes che avevo appena afferrato.
Lo squadrai schifata.
Come diavolo c’era arrivato all’università un simile troglodita?

< Cosa? > Chiesi, sperando di aver capito male.

Ma il sorrisetto compiaciuto che mi rivolse confermò ciò che avevo appena sentito.

< Per questo ti fai bocciare agli esami, quindi. > Commentai sarcastica < Devi prendere tempo >.

Ignorò la mia frecciatina, proseguendo imperterrito nella narrazione delle sue gloriose gesta.
< La ‘I’ purtroppo non mi serve, ho già baciato una Irene l’anno scorso. …Almeno, credo che si chiamasse Irene >

Lo inchiodai con uno sguardo carico di riprovazione, ma lui ignorò anche quello.

< Ma credo che in fondo tu possa valere come ‘B’, dato che ti fai chiamare Bella >

Con quella frase, la mia soglia di sopportazione fu ufficialmente oltrepassata.

< E la ‘A’? Quella non ti è andata bene, o sbaglio? > Sibilai a denti stretti.

Avrei preferito non dover ricorrere alla bomba ‘Alice’, ma ero sempre più convinta che a quel ragazzo servisse un bel bagno di umiltà.  

Di colpo il viso di Hunter si fece pallido come un lenzuolo.
Mi fissò ad occhi sgranati per una decina di secondi, probabilmente chiedendosi come facessi a conoscere quella storia.

Aprì la bocca per ribattere, ma la richiuse subito dopo e voltò la testa dal lato opposto.

1 a 1.

Fortunatamente, quello che si preannunciava un lungo silenzio imbarazzante fu stroncato sul nascere dall’improvviso ingresso in aula di uno sciame di studenti.
Tutti si affrettarono a prendere posto, riempiendo quasi completamente l’aula nel giro di un minuto; l’ultimo ad entrare fu il signor Smith, sbattendo con forza la porta alle proprie spalle come a voler mettere in chiaro che da quel momento nessuno sarebbe più potuto entrare o uscire di lì. 

Qualunque cosa, in quell’uomo, trasmetteva inflessibilità. L’espressione impettita, l’abito stretto e rigido color antracite, persino il modo che aveva di camminare, con le braccia tese lungo i fianchi e i pugni serrati.

Notai che Hunter lo stava squadrando con un misto di odio e rassegnazione.
< Quel sadico mi boccerà anche quest’anno, ne sono certo. > Sussurrò demoralizzato, incrociando le braccia al petto.
 
Non so se fu l’eco di quelle parole nella mia testa o semplicemente la mia scarsa propensione a fare nuove conoscenze, ma quando, a fine lezione, il signor Smith ci affidò un progetto semestrale da elaborare a coppie, accettai senza troppe proteste di svolgerlo assieme ad Hunter.

Non avevo la minima intenzione di prendere parte al completamento della sua ‘lista alfabetica’ da maniaco depravato, ma ciò non significava che non potessi aiutarlo a prendere un buon voto in chimica.

Dopotutto, dietro a quella facciata da macho presuntuoso non era così difficile intravedere un ragazzo pieno di insicurezze.
 
Al termine della lezione, io ed il mio CDP (“compagno-di-progetto”: Hunter aveva autonomamente deciso che di lì in avanti quello sarebbe stato il nostro acronimo) raccogliemmo le nostre cose ed uscimmo assieme dall’aula.

Erano le 15.00 in punto; su ordine di Tessa, dovevamo recuperare Dominique e andare a comprare gli alcolici per la festa.

Ne avrei fatto volentieri a meno, ma Tess finiva lezione appena alle 17 e non si fidava di lasciare tutto in mano a ragazzi, così mi aveva supplicata di accompagnarli per vigilare sul loro operato.
 
Hunter ed io percorremmo il lungo corridoio del secondo piano fino a raggiungere le scale che portavano al pian terreno, e solo allora mi resi conto che erano affollatissime.
Decine e decine di studenti di ingegneria stavano scendendo proprio in quel momento dal piano superiore.

La gola mi si annodò all’istante.

Era da tutta la settimana che cercavo di non incrociare gli studenti del terzo piano, evitando scale ed altre aree comuni dell’edificio negli orari in cui finivano le loro lezioni.

Sebbene il mio cervello cercasse di auto-convincersi che il motivo di tale fissazione non fosse altro che la mia consueta repulsione per le resse, in fondo sapevo perfettamente di mentire a me stessa: la verità era che non volevo rischiare di incontrare Edward.
La piccola ferita nascosta che la nostra ultima discussione aveva aperto dentro di me non si era ancora rimarginata del tutto, e vederlo di certo non avrebbe migliorato la situazione.
 
Se in quel momento fossi stata da sola avrei fatto retromarche senza pensarci due volte, ma non volevo suscitare la curiosità di Hunter e dovergli spiegare le ragioni delle mie paranoie; così feci un respiro profondo e accelerai il passo, inserendomi con risolutezza nel flusso di gente.

Hunter mi cinse la vita con un braccio, ma parve farlo con l’unico intento di non perdermi tra la folla, così lo lasciai fare.

Scesi l’intera scalinata tenendo gli occhi puntati a terra, per paura di incrociare quel maledetto sguardo che era rimasto impresso a fuoco nella mia memoria.

Quando appoggiai il piede a terra dopo l’ultimo gradino mi sfuggì un sospiro di sollievo, come se quelle scale fossero state una cascata di lava bollente ed io ne fossi incredibilmente uscita indenne.

Incredibilmente.
Già. Non era credibile che le cose andassero come speravo, una volta tanto.

E infatti, appena risollevai lo sguardo di fronte a me riconobbi immediatamente le figure perfette di Alice ed Edward Cullen accanto alla porta d’uscita, intenti a parlare tra loro.
Lei sembrava piuttosto divertita dal discorso, mentre l’espressione di lui era estremamente tirata.

Mezzo istante più tardi i loro occhi saettarono su di noi, quasi come avessimo appena gridato a gran voce i loro nomi.

Gli occhi di Edward, chiari e luminosi come non mai, per un momento si incatenarono ai miei.
Fu solo un attimo, ma bastò a farmi intravedere l’ombra di nervosismo che si annidava dietro a quelle incredibili pupille color oro.
 
Il mio corpo si irrigidì automaticamente, così come il braccio di Hunter ancora avvolto attorno alla mia vita.

A pensarci bene, era una situazione assolutamente tragicomica: io ed Hunter assieme, occhi negli occhi con le due persone che ci avevano distrutti emotivamente.

Entrambi -e la cosa mi sorprese- reagimmo allo stesso identico modo: arrossamento delle guance, sguardo immediatamente puntato sul pavimento e accelerata verso l’uscita.

Tra tutti i pensieri che affollavano la mia mente in quel momento, uno riuscì a prevalere: quanto doveva essere rimasto scottato Hunter dalla vicenda con Alice per avere una simile reazione ‘alla Bella’?
Faccia rossa dall’imbarazzo e aumento del battito cardiaco erano cose da me, ma assolutamente non da lui, sempre così presuntuoso e sicuro di sé.
Forse Alice non aveva solo dato una bella batosta alla sua autostima… che non ci fossero di mezzo anche dei veri sentimenti?
 
Sebbene fossimo reciprocamente incuriositi dal comportamento bizzarro dell’altro, nessuno dei due osò chiedere nulla, e procedemmo svelti senza proferire parola fino a raggiungere Dominique che ci stava aspettando subito fuori dall’edificio.  

< ‘Giorno ragazzi! > Esclamò raggiante, vedendoci arrivare.

Non ricevette alcuna risposta.
Io ero troppo scombussolata e presa dai miei pensieri su Edward, e sicuramente per Hunter valeva lo stesso con Alice.

< Cosa sono quei musi lunghi? > Chiese Dominique, squadrandoci con aria perplessa.

< Niente. > Sibilammo entrambi all’unisono, e la questione fortunatamente non venne più tirata fuori.
 
Ci dirigemmo verso un piccolo minimarket che si trovava a pochi minuti da lì, subito fuori dal campus.

Scoprii con piacere che Dominique era un vero tesoro, completamente diverso dal suo amico; doveva essersi reso conto che sia io che Hunter avessimo la testa altrove, ma non volle insistere per sapere cosa fosse successo ed anzi, per tutto il tragitto non fece altro che parlare di scemenze cercando di evitare il silenzio e magari di strapparci qualche sorriso.

Grazie ai suoi sforzi, quando raggiungemmo l’ingresso del supermercato eravamo entrambi visibilmente più sereni.

Estrassi dalla tasca del giubbotto la lista sulla quale Tessa aveva meticolosamente appuntato tutto ciò che avremmo dovuto comprare: birra, vino rosso, birra, gin, vodka, birra, tequila e altra birra.

I ragazzi si fiondarono senza esitazione verso i due scaffali ricolmi di alcolici che c’erano in fondo al negozio.

A me l’idea di uscire da un supermercato con solo casse di birra e superalcolici imbarazzava parecchio, così colsi l’occasione per comprare anche qualcos’altro da tenere come provvista in appartamento.

Presi una busta di insalata, delle arance, alcuni biscotti, qualche pacco di pasta e una passata di pomodoro.

Ad un certo punto, un fischio richiamò la mia attenzione:
< Bella, limoni! Prendi limoni! > Gridò Hunter dal lato opposto del locale, sventolando in aria una bottiglia di tequila.

A quell’esclamazione tutti i presenti si voltarono a fissarmi con un certo disappunto.

< Non serve gridare, Hunter > Sbuffai tra me e me, arrossendo.

Di lì a pochi minuti i ragazzi mi raggiunsero con il carrello stracolmo di roba.

Temevo troppo la reazione di Tess per il caso in cui fossi tornata a casa senza anche una sola delle cose che ci aveva detto di comprare, così controllai con la precisione di un detective che Hunter e Dominique si fossero attenuti alla lista.
C’era tutto. Le quantità erano moltiplicate per tre rispetto a quanto richiesto da Tess, ma -visto che da bravi gentiluomini si erano proposti di pagare la spesa di tasca loro- non ebbi nulla da ridire.
 
Sulla strada di ritorno verso il dormitorio camminai 10 metri avanti a loro, per evitare che la gente che incrociavamo pensasse che avessi a che fare con i due ragazzi che, alle mie spalle, trasportavano con aria soddisfatta due sacchi pieni di alcolici a testa.

Giunti al dormitorio, attraversammo l’atrio in silenzio, sperando che la signorina Headmith non ci considerasse e non ci chiedesse nulla sulle tonnellate di alcolici che stavamo trasportando con noi.
Fortunatamente non sollevò lo sguardo dal giornalino che stava leggendo nemmeno per un istante, e noi corricchiammo in punta di piedi fino all’ascensore.
 
 < Ce la fai da sola? > Mi chiese Dominique premurosamente, quando le porte si aprirono davanti a noi sul corridoio del primo piano.

Annuii senza troppa convinzione, e presi dalle sue mani e da quelle di Hunter i manici delle quattro grosse buste della spesa.

< Ciao Bella. Domani parliamo del progetto > Disse il mio CDP, salutandomi con un cenno della mano e tornando a sfoggiare il suo solito sorrisetto provocatorio.

Sbuffai.

< Ciao ragazzi > Risposi, mentre le porte dell’ascensore si richiudevano tra me e loro.

Mi rimboccai le maniche ed iniziai a trascinare le pesanti borse verso il mio appartamento.
Non fu un’impresa facile, soprattutto perché temevo di rompere qualche bottiglia, ma in qualche modo ci riuscii.

Aprii la porta ed iniziai a sistemare le varie cose in cucina.
Non avevo ancora finito di svuotare il secondo sacco, quando tre colpi secchi alla porta mi fecero sussultare.

< Entra Tess, è aperto! > Gridai.

Non ricevetti risposta, né sentii la porta aprirsi.

Sospirai e corsi a farlo io.

Il cuore smise di battermi per un momento quando realizzai che non si trattava di Tessa.

< Senti. > Disse Edward accigliato nell’esatto istante in cui spalancai la porta, senza neanche darmi il tempo di rendermi conto che era lui.
< Ma devi proprio ubriacarti? >

Rimasi ammutolita, fissandolo a bocca aperta e con gli occhi sgranati.
Ma di che diavolo stava parlando?

Forse ci aveva visti rientrare nel dormitorio con le casse di alcolici.
Ma anche se fosse, non riuscivo davvero a comprendere la sua domanda.
Mi stava facendo la morale forse?

< Cosa? Quelle… > Farfugliai, indicando alle mie spalle le due borse ancora piene che giacevano in mezzo alla stanza < Sono per la festa, le ho prese perché Tessa me l’ha chiesto >

La sua espressione non mutò di una virgola.
Mi fissava con uno sguardo severo, ma dal quale traspariva anche una nota di preoccupazione.
Era lo stesso sguardo che mi aveva rivolto nell’atrio quando lo avevo incrociato uscendo con Hunter.

< Ti devi proprio ubriacare? > Insistette, a denti stretti.

La mano che teneva appoggiata alla porta strinse con forza lo stipite, che a quella presa parve quasi deformarsi.
 
Ero completamente attonita, incapace di capire cosa volesse da me.
Perché con quel ragazzo non riuscivo ad avere una conversazione normale?

< Ho detto che sono per la festa, non le ho prese mica per me! > Sbottai.

Per un attimo tacqui, ma poi sentii montarmi la rabbia dentro al petto; non gli era bastato annientare la mia dignità al nostro ultimo incontro, respingendomi? Ora voleva anche giudicarmi?
Non lo potevo accettare. Non gli avrei permesso di offendermi ancora.

< E poi, se anche fosse?! > Esclamai, presa da un’improvvisa frenesia < Si può sapere cosa importa a te di ciò che faccio o non faccio nel mio appartamento e con la mia vita? >

Ero totalmente annebbiata dalla collera, ma ciò non ammorbidì minimamente il suo sguardo o la sua voce.

< So che sono per la festa > Ringhiò, sbattendo un pugno contro la porta.
< Ma so anche che tu vuoi ubriacarti a quella dannata festa >

La rabbia sul mio viso si tramutò all’istante in sbigottimento.

< Scusami? > Mormorai, scioccata.
< E perché ne sei tanto certo? >

< Me l’ha detto Alice. > Rispose secco.

Ogni parola che usciva dalla sua bocca mi rendeva più incredula.

< E Alice cosa ne dovrebbe sapere? > Chiesi, confusa.

Edward esitò per un momento, puntando lo sguardo altrove.

< Lei… Ha questo presentimento >

Non riuscii a trattenere una risatina isterica.

< Quindi tu sei venuto qui a rimproverarmi perché tua sorella ha il presentimento che io voglia ubriacarmi ad una festa? > Chiesi, scandendo le parole lentamente.

Attesi qualche secondo, per lasciargli il tempo di afferrare il concetto.
< Ma ti rendi conto dell’assurdità della cosa? >

Il suo sguardo continuò a vagare alle mie spalle, senza incrociare mai il mio.
L’espressione sul suo volto era mutata; ora sembrava in difficoltà, quasi a disagio.

< Ascolta. Penso di aver capito perché vuoi farlo > Disse, con un tono di voce molto più basso e morbido rispetto a prima.

< Sentiamo. > Lo incitai, incrociando le braccia al petto.

< Non ti senti a tuo agio in mezzo alle persone > Continuò lui, diretto.

Arrossii.
Colpita e affondata.
Certo, viste le bizzarre circostanze in cui ci eravamo incontrati in precedenza, doveva essergli piuttosto chiaro che fossi una disadattata.

Edward tornò a guardarmi, e capendo dalla mia espressione di aver toccato il tasto giusto, con cautela proseguì nel suo ragionamento.
< Quindi, pensi che l’alcool ti aiuterebbe a rilassarti >

Rimasi impassibile.

Parlava con calma e attenzione, come se volesse evitare di dire qualcos’altro che mi facesse arrabbiare.

< Ma se esageri, farai qualcosa di cui poi potresti pentirti >

Era troppo.

< Te lo ripeto, questa conversazione mi sembra veramente assurda! > Sbottai.
< Tanto per cominciare stai parlando di cose che non puoi sapere, ma soprattutto non capisco questo tuo improvviso interessamento. Non eri quello che non voleva avere amici? >

Edward corrugò la fronte e mi rivolse uno sguardo amareggiato.

< Mi dispiace se ti ho fatta rimanere male in qualche modo... > Sussurrò.
< Ma per favore, fidati di me. Non sei come le altre persone che ho conosciuto qui... Vorrei solo evitare che tu facessi qualche cavolata >

< Non sono affari tuoi, ed è anche nel mio interesse non fare cavolate > Sibilai.

< Ma le farai >

< La smetti?! > Ringhiai, al limite dell’esasperazione < Perché continui a dirlo?! >

< Alice ne è convinta >

< Alice non mi conosce! >

Seguì un breve ma intenso silenzio.

< Non credo che Hunter sia il tuo tipo. > Affermò lui con fermezza, infine.

E questa poi?! Da dove spuntava fuori?

Dovetti mordermi la lingua per non gridargli in faccia.
Aprii la bocca per ribattere, ma lui non me ne lasciò il tempo.

< Per piacere, Isabella. > Disse piano. La sua voce era quasi supplicante < Pensa a quello che ti ho detto >
E, così dicendo, si voltò, lasciandomi lì con le gambe tremanti e il cuore a mille.  
 
 
 
*****************

Angolo autrice:

Buongiorno ragazze! Ci tenevo a salutarvi e a promettervi che questa benedetta festa è in arrivo! Prossimo capitolo 😊

Lo specifico perché immagino che sia la parte attesa con più ansia (e anche quella che più mi sto divertendo a scrivere, devo ammetterlo), ma questi capitoli iniziali erano tutti necessari per porre delle importanti premesse!

Un grande bacio a tutte!

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Capitolo 5
*** Cap. 5. La festa - prima di mezzanotte ***


CAP. 5. La festa – prima di mezzanotte
 

Per quella serata, nulla era stato lasciato al caso.

Ero certa che un serial killer pianificasse i suoi omicidi con meno meticolosità di quella che Tess aveva messo nell’organizzazione della festa, pensando nei minimi dettagli ad ogni singola cosa.

Alle 20.00 in punto ci eravamo appostate alla finestra per assicurarci che la signorina Headmith lasciasse l’edificio, come faceva ogni sabato per godersi la sua serata libera.

Quindi avevamo abbassato le tapparelle, in modo da evitare che a tarda notte le luci e la musica provenienti dalla nostra camera catturassero l’attenzione del sorvegliante notturno del campus, che durante la sua consueta ronda -perlopiù concentrata attorno agli edifici principali dell’Università- di tanto in tanto passava anche sotto al nostro dormitorio. 

A sentire Tess, comunque, quel “vecchio rimbambito” non sarebbe certamente stato un problema: era zoppo, mezzo cieco e girava tutta la notte ascoltando musica e fumando sigari. 

Speravo con tutta l’anima che avesse ragione, e che tutto filasse liscio.
Ero lì grazie ad una borsa di studio, e non -come la stragrande maggioranza dei miei compagni- perché la mia famiglia era ricoperta d’oro.
Un passo falso e avrei potuto essere cacciata.
 
Dopo aver spostato con fatica letti e armadi contro la stessa parete, in modo da creare uno spazio centrale il più ampio possibile, avevamo sistemato al centro della stanza una delle scrivanie, che avrebbe funto da bar.

A quel punto, era iniziata la vera e propria tortura:
Tess, dopo avermi pettinato e piastrato i capelli, incurante delle mie lamentele, aveva persino insistito per mettermi un po’ di ombretto e di mascara; infine, mi aveva ordinato di indossare il vestitino color verde petrolio che avevamo comprato assieme il week-end precedente.

Fosse stato per me avrei indossato i soliti jeans e magari una camicia, ma, tutto sommato, ero abbastanza soddisfatta della scelta: era un vestito non troppo corto, né troppo appariscente; aveva le spalline sottili, lo scollo a cuore e un cinturino nero attorno alla vita.

In ogni caso, era di certo mille volte meglio del tubino rosso terribilmente scollato che Tessa, il sabato prima, aveva cercato in tutti i modi di convincermi a comprare, dopo avermi letteralmente rinchiusa nel camerino del negozio minacciando di non farmi uscire se non l’avessi almeno provato. Quand’ero uscita per guardarmi allo specchio, le nostre reazioni erano state diametralmente opposte: lei aveva iniziato a battere le mani presa dall’eccitazione, dicendo che sembravo una principessa; io invece -che non avrei avuto il coraggio di indossare una cosa del genere neanche se fossi stata una prostituta- due secondi più tardi mi ero già ri-fiondata nel camerino, con la faccia più rossa del vestito.

Quindi non potevo assolutamente lamentarmi dell’outfit che mi era capitato. Anzi, ancora mi chiedevo dove avessi trovato la risolutezza necessaria a vincere le insistenze di Tessa.
 
Quando mi fui vestita, Tess -non prima di avermi messa in imbarazzo, gongolando orgogliosa una serie di frasi sconnesse su ‘quanto bene mi stesse quel vestito’- mi mise in mano tre grosse brocche di plastica e mi incaricò di preparare qualche intruglio alcolico da piazzare sulla scrivania al centro della camera, accanto ai bicchieri e a due grandi ciotole di patatine.  
 
Per quanto scarse e limitate fossero le mie conoscenze in materia, accettai immediatamente, dato che l’alternativa era starmene impalata accanto alla porta, pronta ad accogliere con un sorriso ogni singolo invitato.
Quello era un compito che si addiceva decisamente più a Tess.

Lei quella sera era bellissima: indossava un abito senza spalline color ciclamino, dei tacchi vertiginosi e un trucco elaboratissimo al quale aveva lavorato per quasi tre ore quel pomeriggio.

Nonostante mi fosse stato chiaro fin dal primo giorno che le feste fossero il suo habitat naturale, sembrava stranamente agitata.
L’invito indicava come orario di inizio festa le 21.30, ma già dalle 21 lei non aveva fatto altro che camminare su e giù per la stanza, borbottando cose tra sé e sé e controllando allo specchio ogni due minuti che il suo trucco e i suoi capelli fossero in ordine.

Pareva davvero che dalla buona riuscita di quella serata dipendesse il suo futuro.

Io la osservavo in silenzio, senza fare commenti, mentre sperimentavo miscugli alcolici improbabili con la faccia di chi non ha idea di cosa stia facendo.
Non avevo nemmeno la più pallida idea di quali dovessero essere indicativamente le dosi; mi facevo guidare dall’istinto.
Il mio infallibile istinto.
 
< Voglio proprio vedere se alla fine quell’idiota di Hunter si presenterà > Sbottò Tess di punto in bianco, spiegando finalmente la ragione di tanto nervosismo.

Un po’ lo avevo sospettato che c’entrasse lui.

Continuavo a chiedermi cosa ci trovasse di tanto speciale in uno con la profondità interiore di una pozzanghera, ma forse era proprio per questo motivo che sotto sotto ero curiosa di conoscerlo meglio.
Se Tess era tanto in fissa con lui, qualcosa di più doveva esserci.
 
< Io credo che verrà > Dissi con noncuranza, mentre versavo in una delle brocche un altro po’ di vodka.

< Si, beh, tanto non mi importa > Fece lei, nel goffo e ben poco convincente tentativo di mascherare il suo interesse per la questione.
< Anzi, visto che l’ultima volta la festa è finita in anticipo per colpa del suo maledetto braccio, quasi quasi spero che non si faccia vedere >

Come no, Tess.

Cercai di nascondere il sorrisetto divertito che mi era involontariamente spuntato in viso e continuai ad occuparmi delle mie caraffe.

 
Pochi minuti dopo, ecco il primo picchiettio alla porta.

Entrarono tre ragazze, che Tessa accolse tra grida di gioia e abbracci esagerati.
Dovevano essere tutte sue compagne di corso, perché le avevo viste girare con lei per il campus almeno un paio di volte durante la settimana.

Io le salutai con un impacciato cenno della mano, per poi tornare immediatamente a concentrarmi sulle mie creazioni, mentre loro si perdevano in chiacchiere e pettegolezzi con Tessa.

Tutto d’un tratto, essere la barman della serata non mi sembrava più una cattiva idea.
Per un po’ mi avrebbe permesso di tenermi lontana dalle conversazioni, e nel frattempo -tra un assaggio e l’altro- avrei fatto in modo di diventare sufficientemente brilla da socializzare con più facilità e sopportare qualche nuova presentazione.

Sollevai la bottiglia di gin, ormai quasi vuota, per versarne il residuo nell’ultima brocca, ma improvvisamente mi bloccai.
Osservai per alcuni istanti la mia immagine riflessa nel vetro della bottiglia, ripercorrendo mentalmente i passaggi della discussione che avevo avuto qualche giorno prima con Edward Cullen.

Sentii ogni cellula del mio corpo iniziare a pulsare.

Come si era permesso, lui, un perfetto sconosciuto, di venire a farmi la predica? E soprattutto, con quale coraggio aveva potuto affermare con tanta sicurezza che io avessi intenzione di ubriacarmi a quella festa?

Sentivo la collera infiammarmi il petto.

Ma la cosa peggiore era che, sotto sotto, ero perfettamente consapevole che la mia furia nascondesse ben altro: un profondo senso di vergogna e vulnerabilità.

A sostegno della sua tesi, Edward aveva detto una serie di cose talmente tanto vere e giuste da lasciarmi senza parole.
Aveva analizzato il mio carattere e le mie difficoltà di socializzazione con estrema precisione, nonostante in precedenza ci fossimo scambiati solo un paio di frasi.
 
Il fatto che proprio lui, il ragazzo che aveva pugnalato il mio amor proprio dicendomi in faccia di non voler avere nulla a che fare con me, avesse individuato con tanta facilità i miei punti deboli, mi faceva sentire come un cerbiatto intrappolato con il fucile del cacciatore puntato addosso.

Mentre io di lui non ero riuscita a capire assolutamente nulla…

Volevo detestarlo, ma l’odio che cercavo di indirizzare su di lui per qualche ragione finiva per ricadere su me stessa.
Odiavo sentirmi così debole, fragile e patetica. 
 
Quel vortice di emozioni negative mi annebbiò completamente i pensieri.

Strinsi con più forza la bottiglia di gin e la portai alle labbra.
Incurante del sapore terribile e del bruciore alla gola, continuai a bere fino all’ultima goccia.

Non volevo più sentirmi debole, né condizionata dai giudizi degli altri.
Non sarebbe stato il suo discorso ad impedirmi di bere quella sera.
Anzi, ora ne sentivo il bisogno ancor più di prima.
 
< Piano, piano, ragazzina > Sentii ridacchiare.

Misi giù la bottiglia ormai vuota, e mi ritrovai di fronte Hunter appoggiato con una mano alla scrivania.

Con lui erano entrati anche Dominique e altri due ragazzi, ancora fermi sulla porta a salutare Tessa. Le lanciai un’occhiata e mi accorsi che, anche se intenta a parlare con loro, aveva gli occhi puntati su noi due.

< Hunter, non iniziare. Lasciami in pace > Risposi, fredda.

Lui sollevò le mani, come per dirsi innocente.
< Va bene, ho capito, stai tranquilla >

Quindi afferrò il manico della prima brocca e si riempì un bicchiere. Mi guardò, strizzò l’occhio e diede un sorso.

Una smorfia di disgusto fece di colpo scomparire l’aria beffarda dal suo viso.
< Ma che… che diavolo ci hai messo qui dentro?! > Esclamò, pulendosi le labbra con la manica della camicia.
< È come bere alcool puro >

Arrossii, sebbene quel commento non mi stupisse più di tanto.
D’altra parte, non era che l’ennesima prova che non ci fosse da fidarsi del mio istinto.
Ma il lato positivo della cosa era che mi sarebbe stato più semplice ubriacarmi.

Così mi versai anch’io un bicchiere, e lanciandogli un’occhiata di sfida commentai sarcastica:
< Cosa c’è, McDougall? È troppo per te? >

Detto ciò, presi due grossi sorsi.

Quella roba faceva letteralmente schifo.
 
Il solito ghigno spavaldo tornò ad illuminare il viso del ragazzo.
< Sei una continua sorpresa, Swan > Disse compiaciuto, e, imitandomi, riprese a sorseggiare il cocktail.  

Alzai gli occhi al cielo.

Con lui lì a provocarmi, starmene dietro alla scrivania a preparare cocktails aveva perso la sua attrattiva; così gli passai accanto senza degnarlo di uno sguardo e mi diressi verso Tessa e il gruppetto di ragazzi con cui stava parlando.

La stanza stava iniziando a riempirsi; erano solo le 21.50 e c’erano già almeno una quindicina di persone.

Quando raggiunsi la mia coinquilina, dovetti appoggiarle una mano sulla spalla per interrompere il solito energico fiume di parole con cui stava intrattenendo gli ospiti.
< Tess, finiresti tu di preparare gli alcolici? Resto io alla porta > Le chiesi, sorridendole gentilmente.

I suoi occhi saettarono verso Hunter, che era ancora appoggiato alla scrivania, e si illuminarono immediatamente.

< Sicuro, nessun problema > Cinguettò allegra, e oltrepassandomi mi diede un fugace bacio sulla fronte.

Anche se non l’avrebbe mai ammesso a parole, quello era il suo ringraziamento per averle ceduto il posto.

Mentre sorridevo tra me e me, orgogliosa di essere riuscita a fare una buona azione e al contempo liberarmi di Hunter, un dito mi picchiettò sulla spalla sinistra.

Mi voltai, trovandomi di fronte un elegantissimo e sorridente Dominique.
Indossava una camicia bianca, dei pantaloni blu da completo e una cravatta celeste a righe bianche.

< Allora, Bella > Ridacchiò, lanciandomi un’occhiata di compatimento < Hunter iniziava a diventare pesante? >

Mi strinsi nelle spalle e presi qualche altro sorso del mio cocktail infernale, per prendere tempo.
Dominique sembrava davvero un ragazzo a posto, e pareva anche consapevole di quanto il suo coinquilino riuscisse ad essere fastidioso, ma rimaneva pur sempre suo amico.
Mi chiedevo fino a che punto potessi spingermi nel parlar male di Hunter con lui.

< Diciamo che a lui piace giocare, e a me non così tanto > Risposi, tentando di rimanere sul vago.

Dominique squadrò la mia espressione con attenzione, poi annuì.
< Già, lo avevo intuito. > Disse, estremamente serio < Si vede che sei una ragazza in gamba. Qui sono quasi tutte prese dalle feste e dai ragazzi, e si divertono a collezionare conquiste come fossero medaglie al valore; sono un po’ delle Hunter al femminile. Ed è per questo motivo che lui non è abituato all’insuccesso >

Fece una breve pausa, preso da alcuni pensieri.
< Penso sia per questo che non ti molla. Ha capito che tu non funzioni così, e la cosa un po’ lo intriga >

Abbassai lo sguardo, arrossendo lievemente.

Se da un lato il suo sembrava voler essere un complimento, dall’altro aveva appena confermato le mie paure, ovvero che Hunter mi avesse presa di mira come sfida personale.
Era il genere di cosa che mi avrebbe dato fastidio in ogni caso, ma in quella specifica situazione era anche peggio: si trattava del ragazzo per il quale la mia coinquilina nonché -per il momento- unica amica, aveva una cotta. E non avevo alcuna intenzione di incasinare le cose tra di noi.
Senza contare che, se anche avessi voluto evitarlo, mi sarebbe stato impossibile, dato che avevo accettato di svolgere con lui il progetto semestrale di Chimica 1.
 
< E tu non potresti provare a dissuaderlo…? > Mormorai. Volevo suonare autoritaria, ma il tono che mi uscì sembrava più quello di una supplica.

Dominique scoppiò a ridere.
< Credimi, Bella, se provassi a farlo peggiorerei le cose. Devi pensare ad Hunter come ad un bambino: più gli dici che una cosa è vietata, più ardentemente lui la desidererà >  

Meraviglioso.

La serata era solo all’inizio, e già si stava rivelando più faticosa del previsto.

Dom si rese conto che per me quello non fosse il miglior argomento di conversazione e si sbrigò a dirottare il discorso su altro.
Anche lui era iscritto alla facoltà di scienze applicate, pur avendo un anno più di me e frequentando quindi corsi diversi.
Prese a raccontarmi degli aneddoti divertenti sui professori, e a darmi consigli di studio sulle varie materie.

Grazie a lui e ai suoi racconti, riuscii a rilassarmi e a ridere parecchio, aiutata anche dai vari bicchieri che bevvi nel frattempo; persino aprire la porta e presentarmi a decine di sconosciuti fu meno imbarazzante del previsto, grazie alla sua compagnia.

Mi stupì che fosse disposto a perdere tanto tempo lì con me, parlando di sciocchezze, quando aveva a disposizione una stanza intera piena di amici, alcool e musica; sembrava che ci tenesse a farmi sentire a mio agio.
 
< Vado a prendermi ancora qualcosa da bere > Disse ad un certo punto, interrompendo il suo discorso < Tu vuoi qualcosa? >

Osservai il mio bicchiere, ancora per metà pieno.

Finalmente la mia “ansia da folla” stava scemando ed iniziavo a sentirmi piuttosto serena; tanto valeva completare l’opera.

Bevvi in due sorsi ciò che restava di quel miscuglio vomitevole a base di vodka e succo ai mirtilli, e gli porsi il bicchiere con un sorriso.
 
Seguii con lo sguardo Dominique mentre si faceva spazio tra la calca di gente per raggiungere il banchetto dei drink, finché la mia attenzione fu catturata da due figure appostate in un angolo della stanza.

Erano Tessa ed Hunter, entrambi palesemente ubriachi.

Lei lo stava letteralmente venerando, rivolgendogli sguardi languidi e facendogli una serie interminabile di moine.
Lui, dal canto suo, non sembrava altrettanto preso dalla situazione, ma non rifiutava affatto quelle attenzioni; anzi, sembrava godersele con profonda soddisfazione.
Potevo quasi vedere il suo ego gonfiarsi gradualmente ad ogni parola pronunciata da Tess.

Il mio primo istinto fu quello di andare lì e trascinarla via, per evitare che si rendesse troppo ridicola e che lui si montasse la testa più di quanto già non facesse.
Ma in fin dei conti, stare lì con lui era ciò che Tessa voleva, forse addirittura il motivo principale per cui aveva deciso di dare la festa.
Non avevo il diritto di intervenire; e soprattutto, non ero abbastanza lucida per farlo.
 
Sentii qualcuno bussare alla porta e, con la testa che un po’ mi girava, abbassai la maniglia.

Alice Cullen, un po’ più alta del solito grazie ad un elegante paio di tacchi bianchi laccati, mi fissava con il suo stupendo sorriso carico di brio stampato in faccia.

Nemmeno il tappeto rosso più chique del mondo sarebbe stato degno di lei, in quel momento.

Indossava un tubino argentato, molto corto e senza spalline, ma comunque estremamente raffinato.
I capelli, corti e scuri, le incorniciavano perfettamente in viso pallido, e lasciavano intravedere due luminosi orecchini pendenti, anch’essi argentati, a forma di foglia. 
 
Rimasi a fissarla senza fiato, e il silenzio che man mano calò alle mie spalle mi fece capire che anche gli altri presenti si erano accorti del suo arrivo.
 
< Bella! > Mi salutò, inclinando leggermente il viso da un lato e scrutandomi con occhi gentili.  

Non appena sentii la sua voce, così vellutata e cristallina, mi tornò alla mente la discussione che avevo avuto con suo fratello e sentii tutta la frustrazione che avevo tenuto dentro negli ultimi giorni venire a galla.

< Alice. > Ricambiai, rigida < Per curiosità, cosa esattamente della mia faccia dice ‘alcolizzata’? >

Lei abbassò lo sguardo, chiaramente divertita dalle mie parole, e si morse un labbro per non ridere.
< Sapevo che mi avresti rimproverata > Ammise, lanciandomi un’occhiata di scuse; < Ma credimi, si è trattato di un malinteso. E me la sono già vista io con mio fratello; non avrebbe dovuto dirti quelle cose >

Pronunciate quelle parole, mi rivolse nuovamente il suo splendido sorriso e fece un paio di passi verso di me, per poi richiudere la porta dell’appartamento alle sue spalle.

Non ero affatto soddisfatta della risposta, e, merito anche dall’alcool che mi circolava in corpo, decisi di insistere.
< Ha detto che tu eri convinta che avrei fatto qualche stupidaggine stasera > Dissi, in tono aggressivo.

< Ma no, no… lui… Bella, lui esagera sempre! > Ridacchiò Alice, alzando gli occhi al cielo; < Volevo solo dire che a queste feste si ubriacano tutti e, beh, poi certe cose vengono da sé >

< Quali cose? > Dissi, incrociando le braccia al petto.

In quel momento, Dominique ricomparve al mio fianco, con in mano i nostri due bicchieri pieni.

Senza dire una parola fissò me ed Alice per alcuni istanti, probabilmente capendo di aver appena interrotto una discussione non troppo amichevole.
< Ciao Alice > La salutò, passandomi il mio bicchiere;
< Beh, ragazze… qualcuno mi chiama > Aggiunse sarcastico e lievemente imbarazzato.

Fece qualche passo indietro, continuando a guardarci con una punta di curiosità, ma poi si voltò e si allontanò nuovamente tra la gente.
 
< È solo che… > Mormorò Alice a bassa voce, rispondendo alla mia domanda. < Vedi, tu mi sembri una ragazza fantastica e il mio… “sesto senso” mi dice che potremo essere buone amiche, tu ed io > Si interruppe, sorridendomi.

Quelle parole un po’ mi ammorbidirono, ma ero determinata a sentire il resto della spiegazione, quindi tentati di mantenere un’espressione dura.

< E, sai… nella mia esperienza, quando persone come te, che non sembrano troppo abituate a bere, lo fanno… beh, ne viene sempre fuori qualcosa di imprevisto. > Proseguì. Sembrava un po’ in difficoltà nel trovare le parole con cui esprimersi.
< Non che la cosa mi turbi eh, anzi io adoro i drammi > Aggiunse subito, tornando a ridere, < Ma mio fratello è leggermente più catastrofista di me, e vede sempre le cose da un’altra prospettiva >

< Ma se anche facessi qualche cavolata, perché a lui dovrebbe importare? > Sbottai, chiedendole l’unica cosa che davvero mi premeva capire; < Non vuole essere mio amico. Non vuole avere a che fare con me. Me l’ha detto lui stesso >

L’espressione di Alice si incupì.

< Bella… > Sospirò, appoggiandomi con delicatezza una mano sulla schiena e portandomi con sé verso un angolo della camera.
< Non la prendere sul personale, non devi… Questo è solo il modo che ha Edward di proteggere se stesso > Mormorò.

Bastò la mia faccia estremamente confusa a farle capire che doveva spiegarsi meglio.

< Vedi, la nostra famiglia si è trasferita diverse volte per… questioni lavorative dei miei. Non rimaniamo mai più di qualche anno nello stesso posto. Edward è quello della famiglia che sente maggiormente il peso di questa situazione… forse semplicemente perché è il più sensibile tra noi > Fece una breve pausa, mentre un paio di ragazzi ci passavano accanto.
< Non vuole instaurare amicizie perché sa già che poi dovrà abbandonarle… una sola volta l’ha fatto. Vivevamo in Montana all’epoca, e lui a scuola aveva conosciuto un ragazzo, Rich. Me li ricordo ancora come fosse ieri, quei due… si intendevano alla perfezione. Poi, un anno e mezzo dopo, nostra madre ha ottenuto il trasferimento per insegnare in un’altra università, e così ci siamo trasferiti… Per Edward, che già di norma fa fatica ad aprirsi con le persone, è stato un brutto colpo >

Mi sentii morire dentro.

Per una settimana non avevo fatto altro che ripetere a me stessa quanto Edward Cullen fosse crudele, e quanto presuntuoso ed ingiustificato fosse il suo atteggiamento di distacco dal resto del mondo.

Ma la storia di Alice spiegava tutto… e improvvisamente riuscivo a provare solo un profondo senso di colpa e dispiacere.

Incapace di dire qualunque cosa, bevvi il contenuto del mio bicchiere tutto in una volta.

< Ma le amicizie… se sono vere, possono mantenersi anche a distanza. Potrebbero anche riuscire a rivedersi, in futuro > Farfugliai, sentendo il naso iniziare a prudermi, come faceva sempre prima che arrivassero le lacrime.  

< Non è così semplice per noi > Disse Alice, alzando le spalle < Noi non rivediamo mai nessuno >

< Ma per… > Tentati di dire, ma un improvviso conato di vomito mi impedì di continuare la frase.

< Cavolo, Bella, ti senti bene!? > Esclamò Alice, posandomi una mano sulla nuca.

< Tranquilla. Ci penso io, ha solo bisogno di un po’ d’aria > Disse immediatamente la voce di Dominique alle mie spalle; doveva averci tenute sott’occhio tutto il tempo.

Alice annuì, e lasciò che lui mi passasse un braccio attorno ai fianchi per sorreggermi.

Mi trascinò con lui fuori dall’appartamento. Era incredibile come di colpo non riuscissi più nemmeno a mettere un piede davanti all’altro.
Scendemmo al piano terra con l’ascensore e, dopo un tempo che mi parve infinito, finalmente ci immergemmo nel buio del cortile.

Respirai a fondo, lasciando che l’aria fredda mi riempisse i polmoni.
 
< Ma ragazzi, allora? La festa è già finita? > Sghignazzò qualcuno alle nostre spalle.

Mi voltai lentamente, ma nel farlo rischiai di inciampare sui miei stessi piedi. Fortunatamente, il braccio di Dominique attorno alla vita mi reggeva forte.

Una figura poco nitida stava percorrendo il giardino e venendo verso di noi con passo instabile, dando sorsi alterni alle due bottiglie che stringeva nelle mani.

Tra l’oscurità della notte e la vista annebbiata dall’alcool, facevo fatica a riconoscerne i lineamenti, ma dalla voce ero certa che fosse Hunter.
 
< Bella! Oh, Bella, stasera sei talmente bella > Continuava a ridacchiare, avvicinandosi sempre più.

Mi misi a ridere anch’io.

Non che facesse ridere, ma ormai il mio corpo reagiva in modo autonomo, del tutto scollegato dal cervello.
 
< Hunter, puzzi da far schifo. > Commentò Dominique, appoggiando una mano sul petto dell’amico per impedirgli di avvicinarsi ulteriormente.

< Cazzo Dom, levati > Fece lui, divincolandosi violentemente.

Una bottiglia gli cadde di mano e si frantumò al suolo, inondandomi gambe e abito di vodka.
L’odore di alcool era talmente forte da provocarmi un nuovo conato, più forte di prima.

La mano ormai libera di Hunter mi strinse con forza un avambraccio, strattonandomi verso di sé.
 
< Lasciala stare, non vedi che è ubriaca fradicia?! > Ringhiò Dominique, stringendomi la vita con più vigore.
< Anzi, a dire il vero non so chi di voi due sia messo peggio >

Io ero totalmente incapace di reagire. Mi facevo tirare da una parte e dall’altra come fossi una bambola di gomma, senza riuscire a muovere un muscolo.
Il mio cervello non faceva altro che registrare le immagini che vedevo e le parole che sentivo, con completo distacco e indifferenza, come fossi un’osservatrice esterna alla scena.

< Ma che cazzo vuoi, fatti gli affari tuoi > Farfugliò Hunter infastidito, chiudendo gli occhi e scuotendo la testa.

La sua stretta sul mio braccio si era fatta più debole; pareva quasi che fosse lì lì per addormentarsi in piedi.
D’un tratto però, mi strattonò nuovamente a sé, riuscendo a staccarmi da Dominique.

< Io ti devo proprio baciare > Ridacchiò, fissandomi con gli occhi socchiusi.

Prima ancora che me ne potessi rendere conto, il suo corpo era incollato al mio e le sue labbra a due centimetri dal mio viso.

< Lasciala Hunter! > Tuonò Dominique, ma la sua voce venne sovrastata da un’altra, ben più forte e profonda, proveniente dalla strada.

< Che sta succedendo lì?! >

Sebbene i pensieri mi si agitassero nella testa in maniera del tutto scollegata e confusionaria, un improvviso lampo di lucidità mi fece capire immediatamente a chi appartenesse quella voce.
Era il sorvegliante notturno.

Ed io ero fregata.

Mi avrebbe trovata lì, ubriaca, assieme a due ragazzi, tutti e tre reduci da un festino illegalmente organizzato nel dormitorio del campus.
Potevo dire addio alla borsa di studio, all’alloggio e, forse, alla stessa università.

La luce della torcia, puntata sul prato, si avvicinava velocemente a noi, e io non riuscivo a far altro che ansimare, terrorizzata da quelle che sarebbero state le sicure conseguenze.

Improvvisamente, un braccio mi cinse nuovamente la vita, con una forza decisamente superiore a quelle precedenti, e mi sottrasse alle braccia di Hunter.

Dominique? Ma Dominique lo vedevo, era davanti a me, voltato anche lui verso il cerchio di luce che stava per raggiungerci.
Eppure, doveva essere lui. Non c’era nessun altro con noi. Poteva essere soltanto lui, Dominique.

Io ero ubriaca, non mi fidavo di ciò che vedevo.
Non mi fidavo di ciò che pensavo.

Chiusi gli occhi per un istante, cercando di concentrarmi in modo da vedere le cose con maggior chiarezza quando li avessi riaperti.
Ma quando lo feci, mi ritrovai a guardare non più il prato scuro del cortile, bensì il corridoio luminoso del dormitorio, con lo stesso braccio che mi aveva staccata da Hunter ancora stretto attorno alla vita.

Come ci ero arrivata lì?! Era passato solo un secondo, forse due… ed ero certa di non essermi mossa.
Possibile che fosse passato molto più tempo ed io fossi talmente ubriaca da non ricordare cosa avessi fatto negli ultimi minuti?

La confusione mi stava provocando una forte emicrania.

Chiusi nuovamente gli occhi, stringendoli con forza e sperando di riaprirli la mattina dopo, quando tutto fosse stato più chiaro.

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