Black days, nowadays

di Lupoide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 5: *** Capitolo quarto ***



Capitolo 1
*** Prologo ***













- K-Kreacher… portami via da qui… portami da Sirius…

La gola gli bruciava come se gli stessero andando a fuoco i polmoni dentro il suo petto. Annaspava sui gomiti verso l’elfo mentre la vista diveniva ogni minuto più appannata, mentre sentiva che qualcuno stava tirando il sipario sulla sua breve vita. Aveva bevuto fino all’ultima goccia di quella pozione maledetta e ora bramava soltanto due cose: una coppa d’acqua oppure la morte. Le desiderava con la stessa intensità per via dei dolori che lo scuotevano da capo a piedi. Gli sarebbe importato poco se gli fosse stata data una piuttosto che l’altra.

- Ma padrone… il Signore Oscuro così vi troverà.

- Kreacher! Ti prego, aiutami! - il mago afferrò il cencio con cui era solito abbigliarsi, quella vecchia federa consunta che per l’elfo era divenuta un vestito.

- Sì, padron Regulus. - quelle tre parole erano intrise del loro rapporto, all’apparenza semplice ma che celava molto di più di ciò che si potesse vedere in superficie. L’uomo l’aveva protetto e ora stava a lui ricambiare al favore, anche se ciò voleva dire disubbidire ai suoi stessi ordini, anche se ciò voleva dire tradire Lord Voldemort.


La smaterializzazione fu rapida ma per niente indolore. Una volta giunti a Godric’s Hollow, di fronte alla dimora dei Potter, Regulus Black dovette chinarsi fino a toccare il suolo con la fronte. Il suo stomaco, in quel momento, attivò il più antico meccanismo di auto-difesa, lasciando che rimettesse proprio in quel momento, insozzandosi completamente la veste e il corpo.

Fu Kreacher a bussare alla porta in cerca d’aiuto. Il mago non riusciva neanche a muoversi e continuava a rotolare su sé stesso, peggiorando ogni volta le sue condizioni igieniche.

Per questo motivo, Sirius Black stentò a riconoscere la figura del fratello spasimante in quella pozza di bile.

- Padron Sirius, Kreacher vi ha portato Padron Regulus come da lui richiesto, anche se Kreacher avrebbe preferito portarlo alla padrona Walburga…

- C-cosa diavolo gli è successo?

In un attimo Sirius fu ai piedi del fratello e l’aiutò a rimettersi in piedi.

- Santo cielo, Regulus, chi ti ha conciato così?

- A-Acqua…

Boccheggiava ormai per gli effetti della pozione; non sapeva cosa avrebbe causato al suo corpo quando aveva cominciata a berla in quella vecchia grotta.

- LILY! JAMES! AIUTATEMI! - gridò per tutta risposta Sirius, indirizzando le proprie urla verso la casa che era avvolta nell’oscurità ormai già da diverse ore.

Quando finalmente Regulus fu fatto accomodare in cucina, l’effetto della pozione era quasi completamente svanito. La sete no, però.

Vuotò una coppa, colma d’acqua fino all’orlo, in un unico lunghissimo sorso. Sembrò star meglio all’istante.

- Ora va meglio… vi ringrazio.

Solo in quel momento s’accorse che le figure attorno a lui erano aumentate e che lo stavano fissando tutte insieme con una spiccata sfumatura di preoccupazione nelle loro espressioni.

- Cos’è successo, Regulus? Che ci fai qui? - sentì la voce di Sirius che si riavvicinava, come se qualcuno stesse percorrendo un lungo tunnel e nel frattempo si stesse rivolgendo direttamente a lui. Anche la vista piano piano torno a schiarirsi, togliendo quelle ombre che era sicuro ne stessero presagendo la morte. Fu allora che notò la bacchetta del fratello puntata direttamente alla gola.

- Confessa, fratellino, ti ha mandato il Signore Oscuro? - lo incalzò vedendo il senno che tornava a riempire il suo sguardo.

- No, Sirius. Datemi solo un attimo di tempo per darmi una sistemata e vi spiegherò tutto.

Prese la bacchetta e fece per muoverla così da potersi pulire per bene dagli eventi di quella notte ma sentì la punta di quella di Sirius puntellarsi più in profondità nel collo, tanto da farlo trasalire.

- Capisco. Ho bisogno di parlare con Silente, questo è possibile?

- Sputa il rospo, Regulus! Prima che io ti faccia saltare la testa dal corpo! - sbraitò il fratello a sottolineare quel temperamento Grifondoro che tanto li avevi allontanati negli anni.

- Sirius… calmati. - la mano di James afferrò saldamente la spalla di Sirius, per donare maggior empatia a quella frase – Finirai per spaventare Lily e io questo non posso permettertelo…

- A dire il vero ci vuole tutt’altro per spaventarmi, caro. Anzi, sono d’accordo con Sirius. Questo non è forse il fratello Mangiamorte di cui ci hai parlato così spesso? - ribatté la stessa donna con un punto di stizza nella voce. Si percepiva che sapeva e voleva difendersi da sola.

Una scintilla d’orgoglio s’accese nel petto di Regulus. Questo voleva dire che, nonostante tutti quegli anni divisi, ancora si ricordava e parlava di lui. Certo, con parole poco lusinghiere ma almeno non aveva fatto come i loro genitori, cercando di cancellare ogni suo passaggio in vita, arrivando addirittura a bruciare l’arazzo di famiglia proprio nel punto in cui avrebbe dovuto trovarsi Sirius. Lasciò che quel moto d’orgoglio gli si spegnesse dentro poi proferì con tono calmo:

- Sì, sono io. Senza dubbio voi dovete essere i Potter, immagino. Lasciate che mi presenti: Regulus Black, fratello minore di Sirius e Mangiamorte rinnegato. Almeno da questa notte.

- È uno stupido trucco, non ci credete! - esclamò il fratello non appena vide lo stupore per l’ultima frase affiorare sui volti dei suoi più cari amici – È anche da lui che mi avete nascosto finora! Proprio per colpa sua sono dovuto andar via da casa! Avanti, dillo fratellino, sei venuto a ucciderci tutti per ordine di Tu-Sai-Chi, non è così? Eh? Rispondi!

Il tono della sua voce crebbe fino a diventare un ruggito nelle ultime parole. La bacchetta di Sirius continuava ad affondare nella carne, tanto che se fosse stata anche solo leggermente appuntita l’avrebbe potuto trafiggere senza difficoltà.

- No, non sono qui per uccidervi. Anzi. Sono qui per chiedervi aiuto.

Il silenzio calò improvvisamente nella stanza, l’aria all’interno era talmente tesa che nessuno di loro si azzardò a muovere un muscolo finché Regulus non riprese a parlare:

- Stanotte ho toccato con mano cosa è disposto a fare Lord Voldemort per diventare il mago più potente di tutti i tempi e… ne ho le prove con me.

Tirò fuori da una tasca della veste un vecchio medaglione, i cui riflessi di smeraldo ballarono per un attimo sulle sue mani.

- Non vi chiedo tutto questo senza sapere a cosa potreste andare incontro. Ma sono sicuro di potervi offrire qualcosa che possa anche solo minimamente ripagare il vostro aiuto: una parte dell’anima del Signore Oscuro.

Lasciò che il medaglione danzasse ancora di fronte agli occhi dei presenti e solo allora si rese conto di un dettaglio che fino a quel momento non aveva colto. La ragazza che lo stava fissando con quei bellissimi occhi azzurri, era in uno stato avanzato di gravidanza.

Deglutì a fatica, sapendo quanto disturbo stava loro arrecando in quel frangente. E a quanto pericolo li stava esponendo.

Sirius approfittò di quel momento di distrazione per strappare il medaglione dalle mani di Regulus.

Non trovò molta resistenza sulla sua strada, probabilmente perché il fratello minore non vedeva l’ora di liberarsene. Difatti da che l’aveva raccolto dal bacile di pietra, percepiva distintamente l’atroce aura che sprigionava quell’oggetto e, al solo lasciarlo andare, gli parve di essersi liberato di un peso.

- Sirius… manda un gufo a Silente, presto! Dobbiamo parlare con lui quanto prima. Lily, tu invece torna a stenderti. Scopriremo subito se si tratta d’ un falso e se tuo fratello sta tentando di ingannarci. Intanto, Regulus, non me ne volere… Incarcifors! - un rapido movimento della bacchetta di James e da essa cominciarono a sgorgare catene che si avvilupparono attorno al corpo del Mangiamorte.

Dal canto suo, Regulus non apparve minimamente turbato. Comprendeva benissimo che tutto quello che gli stava succedendo in quella stanza non era altro che il frutto degli anni spesi all’ombra della veste del Signore Oscuro. Non poteva di certo aspettarsi che gli avrebbero creduto così, seduta stante, quando aveva detto loro che aveva rinnegato i valori di una vita in una sola notte. Gli sarebbe piaciuto che potessero vederlo dentro, che l’avessero sottoposto a un interrogatorio con il Veritaserum. Ma per la prima volta in vita sua si sentiva libero, un paradosso a pensarci bene, poiché era incatenato a terra. Quella notte gli aveva aperto gli occhi sulle nefandezze di cui era stato complice e non avrebbe passato un’ora di più in quello stato correo.

- Insomma, James. Dimostra un po’ di buone maniere. - nuovamente la voce di Lily ruppe il silenzio. Regulus si ritrovò a ringraziarla con gli occhi dopo ch’ella l’ebbe ripulito dal sudiciume di cui s’era cosparso da solo, con un semplice movimento della bacchetta. Sirius intanto era schizzato nella stanza confinante, troppo lontano dagli occhi del fratello per vedere con quali scattosi movimenti egli stava scrivendo la lettera per Silente. Si prese persino una beccata dal gufo dei Potter poiché era stato troppo indelicato nel consegnargli la lettera.

- Tesoro, vai a stenderti. Sono preoccupato per la tua condizione in questo momento. - James strinse a sé la moglie, pronunciando quelle parole con dolcezza mentre le carezzava le mani. Ella annuì silenziosamente, e senza proferire ulteriori parole s’allontanò per ritirarsi al piano superiore. Non mancò di lanciare un ultimo sguardo al prigioniero nel loro soggiorno, un’occhiata che racchiudeva in sé diffidenza e compassione. Un contrasto così nitido che quasi si riusciva a interpretare nei suoi occhi dove terminasse uno e iniziasse l’altro.

Fu allora che Regulus si ritrovò a doversi piegare all’indietro poiché James gli aveva afferrato i capelli dietro la nuca, tirando con forza in modo da fargli alzare il mento.

- Ascoltami bene ora – gli sibilò a un palmo dal viso – non so chi tu sia se non per i racconti di Sirius, sappi però che voglio vederci chiaro in questa faccenda. Osa soltanto pensare di ingannarci e ti giuro che quello che ti avrebbe fatto il Signore Oscuro sarà nulla in confronto a come ti ridurrò. Mi sono spiegato?

La rabbia che fuoriuscì da quelle parole ebbe l’effetto di un pugno in faccia, un chiaro monito che, comunque, Regulus non poteva dirsi ancora al sicuro neanche lì. Neanche dopo aver offerto loro una parte del suo Signore. Neanche ridotto a prigioniero dalle stesse persone che stava cercando di aiutare.

Annuì, cercando di richiamare a sé tutto il coraggio di cui disponeva. Non tremò neanche per un secondo e non distolse lo sguardo dagli occhi di James Potter neanche per un secondo.

Stava vivendo moltissime sfumature di sentimenti che neanche sapeva di poter provare e la paura era una di queste, eppure non ne provava per quell’uomo che stava solo cercando di proteggere la sua famiglia.

- Fatto. - Sirius tornò nel soggiorno, giusto in tempo per assistere a tutta la scena. Sorrise al suo migliore amico e questi lasciò immediatamente la presa sul fratello.

- Vado a vedere come sta Lily. Fintanto che Silente non si farà vivo, vi lascio soli. Sono sicuro che avrete più di qualcosa di cui parlare.

E così fece, accompagnando quelle parole con un cenno d’assenso verso Sirius, prima di salire anche lui al piano di sopra.

Fu solo in quel momento che Regulus si rese conto che erano rimasti effettivamente in due nella stanza. Dov’era finito Kreacher?

Non ebbe il tempo di pensarci oltre poiché si ritrovò il fratello maggiore seduto accanto a lui.

- Non so cosa ti abbia fatto pensare che ti avremmo protetto. A dire il vero, non capisco proprio cosa ci faccia tu qui… - furono le prime parole che gli rivolse dopo anni, senza contare le minacce di poco prima, ovviamente.

- Posso essere sincero, fratello? - gli costò parecchia fatica riuscire a girarsi per poterlo guardare negli occhi, ogni movimento in eccesso che produceva pareva che le catene s’avviluppassero di più intorno al suo corpo – Non lo so neanche io. Siamo sempre stati l’uno la nemesi dell’altro, pur essendo cresciuti sotto lo stesso tetto. Eppure sentivo che era la cosa giusta da fare. Che qui avrei trovato un rifugio sicuro. Probabilmente è stata la disperazione a farmelo pensare. Tuttavia, sento che finalmente abbiamo qualcosa che c’accomuna dopo tutti questi anni.

- Cosa?

- Ora siamo entrambi reietti, Sirius. Sulle nostre teste pende la stessa lama. È buffo pensarlo quando soltanto ieri ero io a impugnare questa stessa lama, ma è così. Comprendo perfettamente che, ora come ora, ti risulti impossibile fidarti di me. Ma se deciderai mai di farlo, sappi che mi troverai ad attenderti.

Fu strano per Regulus parlare al fratello in quel modo, a cuore aperto, dopo un’intera vita passata ad essere come cane e gatto. Ma non gli venne difficile, quelle parole gli caddero di bocca ancor prima che potesse pensarle. Lo sentiva davvero, proprio perché le gesta che aveva compiuto quella notte l’avevano portato sullo stesso piano di Sirius. In un certo senso aveva firmato la sua condanna a morte rubando quel medaglione. Ed era sicuro che questo il Signore Oscuro lo sapesse. Lo sentiva. E non potendo più tornare indietro, non poteva far altro che cercare aiuto e conforto in quella figura familiare così sconosciuta.

Ormai erano anni che portava sulla pelle il Marchio Nero, ma sapeva che, nonostante l’avesse rinnegato, per Sirius sarebbe rimasto marchiato a vita. E non sul braccio, in bella mostra. Dentro, nell’anima. Quello era un marchio che il fratello maggiore gli aveva impresso col fuoco, sin da quando erano bambini.

Silenzio. E poi:

- Hai ragione, Reg. Non mi fido di te…

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Capitolo 2
*** Capitolo primo ***


Quando Albus Silente, poche ore dopo, si smaterializzò da Hogsmeade a Godric’s Hollow non sapeva ancora a cosa sarebbe andato incontro. E questo per il suo orgoglio era al pari d’uno smacco. Il doversi muovere senza un piano già ben delineato in mente continuava a far avvampare in lui l’agitazione. Eppure, appena giunto di fronte la casa dei Potter, non poté far altro che fermarsi e guardarsi intorno.

Quel posto. Quel maledetto posto non gli consentiva di essere sereno. Un vento gelido e carico di ricordi gli sferzò il viso, proiettandovi una lunga e malinconica ombra.

Per un attimo gli parve di sentire una risata acuta, femminile, in lontananza. Di questo, così come succedeva ogni volta che metteva piede a Godric’s Hollow, si vergognò moltissimo. Scrollò lievemente la testa, pensando a quanti ricordi avrebbe stipato nel Pensatoio, una volta tornato al suo ufficio, per liberarsi di quella pressione che lo stava opprimendo da dentro.

Attese una manciata di secondi, cosicché tutta quella nostalgia lo liberasse dalla morsa, poi richiamò a sé la sua più consueta lucidità e bussò delicatamente alla porta dei Potter.

- Buonasera Lily. Buonasera James. O dovrei dire meglio quello che rimane di questa sera. Ho ricevuto il vostro gufo urgente e non ho atteso oltre per venire a farvi visita.

- Ha fatto bene, professore. La ringrazio per la sua tempestività ma la situazione la necessita, venga le faccio strada. - James si mosse immediatamente dopo aver terminato la frase, conducendo il preside della scuola nel loro soggiorno. Al centro della stanza, seduti a terra e poggiati schiena contro schiena, c’erano i fratelli Black. Quando li mise a fuoco, da dietro le lenti a mezzaluna, Silente sentì salire un groppo alla gola. Si accorse subito che uno dei due era incatenato con la magia e che l’altro invece lo stava fissando con il suo solito sardonico ghigno.

- Questo cane di mio fratello ha deciso di farsi vivo proprio stasera, professore. - proferì Sirius rompendo quel momento di studio. Regulus, dal canto suo, non alzò nemmeno lo sguardo verso il suo vecchio preside, fissando un punto tra i suoi piedi con un tale insistenza che mal celava il suo imbarazzo.

- Buonasera Sirius. E buonasera Regulus.

- Salve professore. - fu la risposta del più piccolo dei Black, pur continuando a nascondere il suo sguardo.

- Sirius, James, Lily. Posso parlarvi un momento in privato?

I membri dell’Ordine si spostarono tutti insieme verso la cucina, lasciando Regulus lì dov’era incatenato. Quando furono soli e chiusi all’interno della stanza, il preside continuò:

- Devo chiedervi una cortesia. Vorrei avere modo di parlare con Regulus da solo.

- Certo professore, non c’è alcun problema.

- Ottimo. Ora, cosa sta succedendo precisamente?

Fu Sirius a rispondere ai quesiti del vecchio professore, ridacchiando con quel suo modo di fare sempre pieno di ironia.

- Vuole sapere che sta succedendo, professore? Quello sciocco di mio fratello si è presentato qui poche ore fa, chiedendo aiuto e protezione da Lord Voldemort perché pare che stanotte l’abbia tradito. Tutto questo millantando d’averci portato un pezzo dell’anima del suo Signore.

Con un rapido movimento della mano, Sirius fece penzolare il medaglione davanti gli occhi del professore. Alla vista di quell’oggetto, Silente aggrottò le sopracciglia dimostrando tutto il suo turbamento in merito.

- Magia oscura. Molto oscura. - disse poi stringendo il medaglione in mano.

Ne poteva percepire il potere, stretto nella morsa delle sue dita, talmente forte da ricordargli una vecchia magia su un libro della sezione proibita di Hogwarts. Mai avrebbe pensato, neanche nelle sue più recondite fantasie, che qualcuno sarebbe stato in grado di replicarla. Era sbigottito, furente e allo stesso tempo con il morale a terra. Quello era solo l’ultima conferma che riceveva su Lord Voldemort e su ciò che era intenzionato a fare. Un ultimo fallimento per lui, che in fondo qualche speranza di redimerlo la nutriva ancora.

- Perdonatemi, è giunto il momento che conferisca con Regulus.

Con quella frase Silente sancì la fine di quella breve riunione dell’Ordine improvvisata, lasciando loro il tempo di salire al piano di sopra e chiudersi in una stanza, così che lui e il giovane Mangiamorte avessero l’intimità richiesta dal preside.

L’anziano professore si portò davanti al ragazzo, e gli sorrise con il suo solito fare benevolo prima di iniziare a parlare:

- È molto tempo che non ci incontriamo, Regulus. Devo dire che non ho mai abbandonato le speranze di rivederti dopo che lasciasti Hogwarts.

Con un movimento della bacchetta lo liberò dalle sue catene, un gesto così repentino e inaspettato che portò il giovane a cadere carponi sul pavimento ancor prima di riuscire a realizzare d’essere libero. Con il suo modo di fare calmo e placido, questi s’alzò lentamente, scrollandosi la polvere dai lunghi abiti neri.

- Sono lieto di rivederla anch’io, professor Silente.

- Non è un segreto che ponessi aspettative molto alte sulla tua persona, sin da quando varcasti la soglia della scuola e devo dire che, sia da studente che da cercatore, le hai sempre rispettate portando onore alla tua antica famiglia.

- Professore, non c’è bisogno di essere così zelanti. Capisco che in questo momento voglia farmi capire che posso fidarmi di lei ma le assicuro che non ce n’è bisogno, altrimenti non sarei qui ora.

Il volto del preside si sollevò di un paio di centimetri, l’unico gesto che tradì la sua sorpresa nel sentire quelle parole così piene di sagacia e brillantezza. Nonostante fossero trascorsi soltanto tre anni, aveva dimenticato quanto Regulus si fosse sempre distinto nella sua scuola per intelletto durante tutto il periodo in cui vi aveva soggiornato. O meglio, non l’aveva completamente dimenticato ma fu comunque piuttosto stupefacente poterne avere un’ulteriore riprova così concreta.

Gli sorrise in risposta.

- Sai bene quanto io ami la diplomazia e i convenevoli, e sai altrettanto bene quanto possa farmi sinceramente piacere rivederti questa sera. Per quanto inaspettato e spaventoso, è comunque un lieto evento. Ti spiacerebbe, dunque, spiegarmi le vicende che ti portano qui?

Per un momento, solo un momento e niente di più, Regulus diffidò di quelle parole. Gli sembrò troppo semplice. Poteva essere così? Era la fine delle ritorsioni per le scelte che aveva intrapreso in gioventù? Niente catene e Veritaserum?

Fu il suo istinto a rispondergli, quel vecchio mago l’aveva avuto sotto gli occhi per sette anni, quelli che l’avevano portato al cospetto del Signore Oscuro, eppure non aveva mai manifestato il suo dissenso per le oculate scelte del suo percorso. Anzi, per tutto quel tempo aveva sentito il sostegno di Silente come vento a favor di vela, per quanto sapesse che i lidi che verso cui navigava il giovane Regulus erano oscuri.

- Dunque è così, professore. Lei continua a fidarsi di me.

- Perché non dovrei farlo, Regulus. Come hai detto tu poco fa, altrimenti per quali motivo saresti qui? Per tradirci e consegnarci tutti a Voldemort? No. Di questo sono certo. Ho sempre visto in te ben oltre il buio e, per quanto apparisse fioca e oscurata, so bene che in te c’è ancora tanta luce che vuole emergere.

Lo fece trasalire. Gli anni trascorsi nell’ombra e gli eventi di quella notte l’avevano forgiato, ma non era minimamente pronto a quel tipo di trattamento. Finalmente, dopo tanto tempo, si riaccese una scintilla in Regulus.

- Sa professore, quello che ho fatto stanotte non è altro che il frutto d’un pensiero che cresceva in me da tempo. Non ho mai avuto il tempo di ragionare su ciò che stessi facendo poiché v’era sempre qualcuno a dirmi quello che dovevo fare. Prima mio padre. Mia madre. Tutta la mia famiglia. Fino a giungere al Signore Oscuro. Eppure… eppure non ho mai sentito mia la figura che mi è stata cucita addosso. Regulus, il figlio perfetto prima e il servitore devoto poi. Cominciai a domandarmi se era questo effettivamente il ruolo che desideravo, mentre tutt’attorno a me non vedevo che morte e sofferenza. Non posso dirle di quali atroci crimini sono macchiate le mie mani, tutto per render merito a quelle stesse persone che, mentre mi lusingavano, chiedevano sempre di più. Sono stanco, professore. Esausto. E quando questa sera ho visto Kreacher… beh, non sono più riuscito a resistere.

- Cosa gli è successo?

- L’aveva abbandonato. Lì. In quella grotta a morire. Solo per mettere alla prova le difese ch’egli stesso aveva pensato per quello stupido medaglione. - ruggì l’ultima frase, Regulus, scattando in avanti con i nervi a fior di pelle. Inspirò rumorosamente con la bocca, poi, e ad occhi chiusi. Quindi riprese: - Non è che una pedina nelle sue mani. Così come lo sono io. Non potevo più accettarlo così gliel’ho rubato, sostituendolo con un falso, e sono fuggito insieme a Kreacher.

Fu interrotto bruscamente da un singhiozzo che ruppe il silenzio nato da quell’ultima frase. Un colpo. Poi un altro. La porta del piccolo ripostiglio presente nel soggiorno tremò e fece scricchiolare i cardini.

Silente levò la bacchetta in quella direzione, puntandola direttamente verso la sorgente di quei tonfi secchi. Per lo stupore di entrambi i maghi, questa però s’aprì lentamente, cigolando e rivelando al suo interno un elfo domestico.

- K-Kreacher non è degno. Non è che lo sporco di un’unghia di padron Regulus. - singhiozzava rumorosamente mentre lacrime copiose gli bagnavano il viso. Una testata alla porta del ripostiglio la fece vibrare di nuovo, dando una ragione ai colpi che prima avevano riempito l’aria del soggiorno. Ripresosi immediatamente dalla botta, l’elfo ricominciò a piangere e a lagnarsi: - Kreacher non merita l’amore del padrone! Padron Regulus ha rischiato la vita per Kreacher! Padron Regulus sta rischiando la vita per Kreacher!

Prima che l’elfo domestico potesse riprendere a testate la porta del ripostiglio, il giovane Black levò una mano nella sua direzione e lo interruppe:

- Fermati. Ti prego, Kreacher. Fermati.

- Voi non capite padrone, Kreacher non è che un sudicio elfo domestico del padrone. Kreacher deve punirsi.

Regulus approfittò di quel momento di pace per avvicinarsi all’elfo, per poi chinarsi sulle ginocchia per poterlo guardare più da vicino.

- Tu non devi punirti, Kreacher. Se non fosse stato per te io sarei già morto. E tutto questo perché non ti sei limitato a essere un semplice elfo domestico. No. Se fosse stato semplicemente così avresti obbedito ai miei ordini e a quelli di Lord Voldemort. Invece tu hai fatto molto di più, amico mio, tu mi hai salvato.

A quelle parole, Kreacher spalancò la bocca e sembrò paralizzarsi come sotto gli effetti di un Pietrificus Totalus, poi levò uno stridio acutissimo ed esplose in un pianto convulso, cercando di nascondere il volto con le mani. Crollò in ginocchio, esasperato dalla commozione che ne stava scuotendo il corpicino.

- NON È DEGNO! KREACHER NON È DEGNO! - cominciò quindi a strillare, prendendo la rincorsa per un’altra testata alla porta del ripostiglio. Fu la mano di Regulus sulla sua ossuta spalla ad arrestarne la corsa.

- Non è vero, Kreacher. Sono io a non essere degno di te. Ti chiedo scusa per quello che ti ho fatto passare stanotte ma ti prego smettila di dire così. Che ne dici se la smettiamo entrambi con questa storia degli indegni e ricominciamo daccapo, eh? Come una coppia di vecchi amici che non si vede da un po’.

Terminò la frase accompagnandola con il palmo della mano destra aperta, a volerla offrire a Kreacher così da suggellare una resa che potesse recare pace a entrambi. Le condizioni erano semplici: le scuse dell’uno per aver attentato alla vita dell’elfo domestico, e quelle dell’altro per la reazione che aveva avuto a trovarsi sullo stesso piano del padrone.

La mano di Kreacher strinse quella di Regulus, bagnandola delle stesse lacrime che gli coprivano il viso.

- Ora fammi un favore, raggiungi Sirius e gli altri di sopra. Quando avrò terminato la conversazione con il professor Silente verrò a chiamarti.

- Sì, padron Regulus. Tutto quello che vuole il padron Regulus. Anche se Kreacher dovrà condividere la camera con padron Sirius, Kreacher lo farà per padron Regulus.

Gli scappò una risata. Quegli ultimi istanti erano stati così forti che Regulus non riuscì a trattenersi. Erano anni che non si sentiva così.

Osservò l’elfo domestico corre fino alle scale e solo allora incontrò nuovamente lo sguardo di Silente.

- Visto? Tanta luce da illuminare una stanza. - gli disse con il suo solito tono paterno.

Fu in quel momento che il giovane Black sentì montare un groppo in gola, gli occhi si offuscarono per il velo di lacrime che l’aveva inumiditi e dovette impegnarsi notevolmente per restituire un singhiozzo al suo petto che minacciava di farlo prorompere dalle labbra.

- Voglio essere sincero con te, ragazzo. Sei una posizione difficile. Da una parte c’è la coscienza del gesto che hai commesso stanotte, le conseguenze che ti tormenteranno d’ora in poi e una vita da braccato, esattamente come quella di tuo fratello. Dall’altra però, permetti che sia io a gettare un po’ di luce sulle ombre che ti attanagliano in questo momento. Se guardi bene, sai che non sei solo, per quanto tu possa sembrarlo e sentirti così. Tutto dipenderà da cosa deciderai di fare stanotte, io non ti fermerò né ti incatenerò così com’è successo poco fa ma sappi che se sceglierai di tornare al cospetto di Lord Voldemort, sarai tu il carceriere di te stesso.

- No, professore, non lo farò. Sono qui per restare.

- Bene. Ciò mi rende sinceramente felice, Regulus. Ora, tornando a noi, ti spiace raccontarmi cos’è successo oggi?

Lo fece. Gli raccontò tutto. Per filo e per segno. Di come Lord Voldemort gli aveva chiesto in prestito Kreacher, di come l’avesse usato per mettere alla prova le difese al medaglione, del lago buio, della barca, dei corpi morti che aveva scorto nell’acqua, della pozione e infine di com’era giunto lì.

Silente rimase ad ascoltarlo senza proferir parola fino alla fine. Poi lo guardò negli occhi e sollevò quello stesso medaglione davanti a lui.

- Quindi anche tu pensi ciò che avevo immaginato io. Un Horcrux.

- Sì, professore.

- Puoi attendermi un minuto?

- Certamente.

Silente salì le scale e sparì dalla vista di Regulus per un minuto, quando riapparve non era più solo. C’era Sirius con lui. Questi lanciò una lunga occhiata al fratello, per poi smaterializzarsi in una frazione di secondo.

- Devo chiederti di avere un ulteriore momento di pazienza. Ho fatto mandare a chiamare una persona per avvalermi dei suoi servizi di consulenza.

Regulus annuì semplicemente, riservando al silenzio la risposta.

L’attesa non fu lunga, una manciata di minuti dopo Sirius riapparve al centro del soggiorno e con lui c’era un altro uomo.

- Regulus, ti presento un vecchio amico e un Auror formidabile, Frank Paciock.

- Ci conosciamo già, Albus. Ci siamo incontrati più di una volta in questi ultimi anni, vero Regulus?

- È un piacere rivederti, Frank.

I toni freddi di quella brevissima conversazione facevano perfettamente trasparire i motivi per cui si erano incontrati negli ultimi tempi. Difatti, questo era accaduto solo durante gli scontri tra Auror e Mangiamorte e Frank godeva di una certa popolarità tra quest’ultimi. Ovviamente, non in senso positivo, anzi. Troppe volte il suo nome passava di bocca in bocca tra i Mangiamorte quando v’erano nuovi arresti tra le loro fila.

- Frank, ti chiedo scusa per averti buttato giù dal letto a quest’ora ma mi piacerebbe che tenessi in custodia quest’oggetto e che lo studiassi per me. Qualora dovessi avere novità interessanti in merito ti prego di contattarmi con una certa celerità. È una questione di vita o di morte. - disse l’anziano professore con tono solenne continuando a fissare il medaglione, come se il suo sguardo venisse magneticamente attratto da esso.

Il signor Paciock si esibì in un accenno di inchino, quasi a voler sottolineare l’influenza che il vecchio professore avesse su di lui, poi prese il medaglione e lo infilò in una tasca del mantello.

- Quanto a noi, Regulus. Sono certo che tu convenga con me che l’ipotesi migliore in questo momento sia evitare di palesare la tua fuga al Signore Oscuro, per cui ti chiedo di tornare a casa e dimenticare questa notte, per il momento.

- Ma professore…

- Credo che questa sia la soluzione migliore per il momento, domani stesso ti invierò un gufo per dirti cosa fare nei prossimi tempi.

- Ma…

- Dobbiamo trovarti un posto sicuro dove stare e senza arrecare disturbo a nessuno.

- No.

Finalmente Silente arrestò il suo passo, stava continuando a camminare avanti e indietro per il soggiorno, una vecchia abitudine che l’aveva sempre aiutato a pensare. Eppure dovette fermarsi. Quel no lasciato a mezz’aria si sposava perfettamente con l’espressione di negazione di Regulus.

- Non mi sono sottratto a una scacchiera per divenire una pedina su un’altra. Non ho alcuna intenzione di arrecare disturbo a nessuno di loro ma neanche voglio passare il resto della vita a nascondermi.

Nuovamente silenzio nella stanza.

- E quindi cosa vorresti fare? - si decise a chiedergli Sirius con il viso dipinto di nuovo da quel sardonico sorriso.

- Non lo so… non lo so proprio.

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Capitolo 3
*** Capitolo secondo ***


Erano trascorse due settimane.

Quattordici lunghissimi e interminabili giorni di cattività.

Si era dovuto arrendere alla volontà di Silente, alla fine. Regulus era tornato a Grimmauld Place, nascondendosi alla vista degli altri maghi per poter evitare che Lord Voldemort potesse avere qualsivoglia tipo di sospetto. Ma il Signore Oscuro non dubitava mai di sé stesso e di sicuro non era in cerca di nessuno; in fondo, il ragazzo, era servito al suo scopo e non doveva svolgere altre mansioni. Almeno per il momento.

Non era che un pezzo sacrificabile su quell’oscura scacchiera. Niente di più.

E così i giorni nella vecchia casa trascorrevano in copia, divenendo l’uno il rotocalco dell’altro. La tensione era palpabile in lui, specialmente per via della presenza di Sirius in casa. Se Walburga l’avesse scoperto si sarebbe aperto l’inferno lì, così il ragazzo era costretto a passare la maggior parte del tempo in forma di cane, cercando di evitare la stanza in cui la madre passava la maggior parte del tempo. Il suo zampettio in giro per la vecchia casa rischiò più e più volte di farlo scoprire, ma i due fratelli avevano un insospettabile alleato: Kreacher. L’elfo domestico, difatti, cercava di celare la presenza di Sirius e copriva così ogni più piccola traccia che potesse tradirlo.

Insomma, se il tempo avesse potuto essere misurato con una clessidra, in quei giorni ogni granello di sabbia sarebbe apparso come un vero e proprio macigno. Isolati dal resto dell’Ordine, senza nessuna notizia riguardo il medaglione o altro, i loro animi si stavano tendendo come corde di violino.

Regulus passava le giornate con la testa negli antichi tomi di magia della famiglia, cercando d’apprendere quante più informazioni fosse in grado d’incamerare in quella condizione di confusione generale. Non c’era momento in cui non pensasse alle scelte che aveva fatto nella vita, comprese le ultime che l’avevano recentemente riportato in quella gabbia. Cresciuto all’ombra delle pressioni che la sua famiglia gli aveva sempre fatto, plasmato sulle loro aspettative e plagiato da quelli che erano i loro ideali. Eppure non si era mai sentito completamente parte di quell’esercito. Insomma, in pochi giorni gli aveva voltato le spalle, ritrovandosi un elfo domestico come amico. E ciò il Signore Oscuro non l’avrebbe mai tollerato, l’avrebbe presa senza dubbio come un inquinamento d’una razza superiore, quella dei maghi purosangue.

Era stato così istintivo, come atto, prendere le parti di Kreacher quando l’aveva visto tornare a casa in quelle condizioni. Ciò non aveva fatto altro che crepare il solido muro di convinzioni che Regulus aveva cercato di edificare in quegli anni, comprendendo quanto in realtà fosse fragile e come questo celasse le sue reali convinzioni. Ribadendo più e più volte, nei suoi pensieri, la parola “sue” perché la prima volta riusciva a sentirsi sé stesso.

Aveva aperto gli occhi.

E non voleva tornare a chiuderli.

Anzi, voleva guardarsi quanto più possibile dentro per scoprire ciò che aveva nascosto fino a quel momento.

Al tempo stesso, però, non faceva altro che incolparsi di tutti quegli anni passati all’ombra delle proiezioni della sua famiglia prima e dei suoi compagni Mangiamorte poi. E questo tarlo continuava a corroderlo da dentro. Persino i tempi della scuola ora gli apparivano diversi, quando aveva sempre guardato agli altri dall’alto verso il basso. Specialmente quel fratello maggiore che ora era costretto a badare a lui per ordine di Silente.

Lo stato d’animo del ragazzo era tormentato, in continua lotta su due fronti: ciò che era e ciò che era diventato.

Senza contare la costante presenza del fratello maggiore al suo fianco, che lo teneva d’occhio da vicino e s’assentava solo raramente per partecipare alle riunioni dell’Ordine e per ricevere le nuove direttive in merito alla loro condizione.

In questo perenne bilico scivolavano i giorni, mentre Regulus cercava d’affinare alcuni incantesimi che non avrebbe mai pensato di dover utilizzare. Ad esempio l’Incanto Patronum, dato che non aveva mai dovuto immaginare d’usarlo poiché i Dissennatori erano da sempre schierati con Lord Voldemort. Era persino riuscito a dargli una forma corporea a forza di tentare.

Ma quella condizionata prigionia continuava a innervosirlo, giorno dopo giorno di più. Così, al tramonto del quattordicesimo di questi, la sua tensione era arrivata a un tal punto in lui da poter essere contenuta solo grazie a innumerevoli sforzi.

Quando finalmente calò la sera, Walburga si chiuse in camera, lasciando a Sirius la possibilità di tornare alla sua forma umana così come faceva ogni notte da quando erano arrivati. Era evidente quanto anch’egli fosse provato da tutta quella faccenda, in subbuglio almeno quanto il fratello.

Fu proprio quella sera che Regulus prese la sua scopa e, portandola in spalla, tagliò il corridoio in direzione della porta d’ingresso.

- Dove pensi di andare? - fu la voce di Sirius e a fare da eco ai suoi passi.

- Sono stanco di star chiuso qui dentro, vado a farmi un volo qui attorno.

- Sai bene di non poterlo fare.

- E dovresti essere tu a impedirmelo?

S’avvicinò al fratello maggiore con fare di sfida, guardandolo direttamente negli occhi. Senza distogliere lo sguardo, il maggiore dei due annuì lentamente prima di rispondere:

- Certo, sono qui per questo.

- Allora credo che dovrai impegnarti, io me ne vado. Non sono il vostro prigioniero di guerra.

Le mani sui fianchi di Sirius lasciavano intuire quanto fosse contrariato in quel momento, calò lo sguardo solo per il tempo di scuotere la testa poi tornò a puntare i suoi occhi in quelli di Regulus.

Fu una frazione di secondo. Ringhiò praticamente al pare dell’animale di cui assumeva le sembianze e poi portò le mani intorno al collo del fratello minore, facendogli sbattere la schiena contro il muro che aveva alle sue spalle. Cominciò a sussurrargli, a meno d’una spanna di distanza dal volto:

- Ascoltami bene, sono qui per farti da balia da due settimane. Per colpa tua mi è stato tolto il mondo che mi ero creato finora, quei legami che tanto mi contraddistinguevano proprio da persone come te. - l’ultima frase sibilò più delle altre, frizionando l’aria – Non ho nessuno intenzione di lasciarti andare e rendere tutto ciò inutile.

Fu di nuovo un battito di ciglia, le mani di Regulus si strinsero intorno al collo di Sirius, specchiando la situazione perfettamente rispetto a pochi secondi prima. Stavolta fu il più giovane tra i due a parlare:

- Ora ascoltami tu perché non mi ripeterò. Non mi importa cosa tu stia facendo qui, chi ti abbia detto di farlo o cosa stai rischiando di perdere. Hai rischiato di perdere me così tante di quelle volte che ho perso il conto ormai e non ti è mai fregato nulla. Cos’è? Eri troppo impegnato a ribellarti per avvicinarti a tuo fratello? Troppo Grifondoro per quello sporco Serpeverde? Credi che io non ricordi come mi guardavi a scuola? Con sdegno, vergogna. Come se fossi quella cosa che volevi tenere nascosta a tutti i tuoi amichetti, eh? Non sono qui per farmi trattare in questo modo. Non ho fatto ciò che ho fatto per essere di nuovo trattato di merda.


Rise, Sirius. Continuando a sostenere lo sguardo del fratello che ora distava pochi centimetri dal suo viso. Scoppiò a ridergli in faccia. E questo non fece altro che fargli ribollire il sangue nelle vene.

Un pugno alla bocca dello stomaco mozzò la sua risata, lasciandolo senza fiato mentre si piegava su sé stesso. Ma fu solo per una manciata di secondi, poi riprese a ridere.

In quel momento d’euforia immotivata, il tempo parve dilatarsi. Quando Regulus vide avvicinarsi la mano di Sirius gli parve di vedere il tutto a rallentatore. Il pugno chiuso impattò con la sua mandibola, sbilanciandolo e facendolo cadere a terra. Il fratello più grande lo seguì immediatamente, a sua volta squilibrato dalla forza che aveva messo in quel colpo.

Entrambi stesi su quel pavimento, l’uno al fianco dell’altro, dopo un breve momento di silenzio, non poterono far altro che scoppiare a ridere insieme.

- Sei cresciuto, fratello, e su una cosa devo darti ragione: io questo me lo sono perso. Però non è assolutamente vero tutto il resto di ciò che hai detto. Non ti ho mai guardato con vergogna, anzi. Sono sempre stato preoccupato dall’influenza che mamma e papà potevano avere su di te, eppure sei sempre stato uno degli allievi migliori di Hogwarts, un mago fantastico e persino un cacciatore talentuoso per la tua casata. Ti sbagli, non era vergogna nei tuoi confronti. Mi vergognavo di me perché, nonostante tutto, non potevo far altro che essere fiero di te. Ma da lontano, senza potermi avvicinare, altrimenti avrei rischiato che bruciassero anche te sull’arazzo di famiglia. E io questo non lo volevo.

Non riuscì a rispondere, Regulus. Il dolore che provava alla mandibola in quel momento non era nulla in confronto al fuoco che gli era divampato in petto. Lui che aveva aspettato per anni un cenno d’assenso del fratello, da cui s’era allontanato senza volerlo, ora si ritrovava a ridere con lui mentre questo gli confessava cose che mai avrebbe potuto pensare vere.

E sì che anche lui aveva sempre riposto stima in Sirius, proprio per via di quel coraggio che l’aveva assegnato alla casa di Grifondoro, quel coraggio che gli aveva permesso d’allontanarsi da tutte le influenze che erano sempre orbitate in casa, quel coraggio che gli aveva permesso d’andarsene quand’erano così piccoli da non capire neanche che si stavano perdendo.

E forse s’erano ritrovati.

A discapito del rivolo di sangue che ora gli insozzava il mento e della polvere che stavano prendendo stando lì in terra, Regulus Arcturus Black si sentì per la prima volta pulito. Puro.

- Sono contento che tu sia uscito da quel cono d’ombra – riprese Sirius – per quanto tu ed io possiamo rischiare, sono certo che ne varrà la pena se ciò ci riavvicinerà, fratellino.

Fu una stretta al cuore, non avrebbe mai pensato di sentire parole del genere pronunciate proprio lì, in quella casa da cui Sirius era fuggito senza mai guardarsi indietro.

Stettero così per un po’, in silenzio, a guardare le assi di legno del soffitto e a ripensare a ciò che era successo loro in quei pochi minuti.

- Ne sono certo anche io, fratello. - disse Regulus, poi s’alzò di scatto, portandosi subito sopra l’altro e tendendogli poi la mano per aiutarlo ad alzarsi. La stessa mano con cui l’aveva colpito pochi istanti prima.

Quando furono entrambi in piedi, ognuno di loro si mise all’opera per togliersi la polvere che aveva indosso dopo quella caduta, dopodiché, un po’ a mezza bocca, il più piccolo dei due disse:

- Toujour pur.

Sirius notò che in quella frase, per la prima volta, non v’era né odio verso il prossimo né arroganza, la vide esattamente per ciò che era, il vecchio motto d’una famiglia che finalmente s’apprestava a cambiare.

- Toujour pur. - rispose sorridendo e rifilando una sonora pacca alla spalla di Regulus. - Ora andiamo però, non credo che tu voglia più fare quel giro in scopa.

- Oh, giusto. Hai ragione, non ne ho più voglia. Anche perché con i pugni sono a posto così per stasera.



Intanto, ad Hogwarts, Silente era impegnato a svuotarsi la mente per l’ennesima volta durante quelle settimane. Il suo Pensatoio ormai brulicava di filamenti argentei, gli stessi che lui vi immergeva delicatamente all’interno con la punta della bacchetta.

Era notte fonda e ormai il castello era piombato in uno stato di silenzio quasi assoluto.

Quando la sua porta si spalancò con un sonoro schianto, egli arrestò il movimento placido in cui si stava producendo per far sì che il suo ricordo toccasse l’acqua.

- Si può sapere cosa diavolo hai in mente, eh? - la voce di Alastor Moody tuonò all’interno della stanza, rompendo quel silenzio che vi aleggiava.

- Buona sera a te, Alastor, mio vecchio amico.

- Buona sera un corno, Albus, spiegami cosa sta succedendo.

Prima di allontanarsi dal bacile, Silente finì il viaggio che aveva interrotto poc’anzi, portando quel ricordo al sicuro nel Pensatoio.

- Dimmi, cosa vuoi sapere?

- Voglio sapere che diavolo stai architettando. Mi assento per una missione importantissima e, al mio rientro, trovo un Paciock diffidente che non sa se può rivelarmi informazioni che invece avrei dovuto sapere per primo. Che cos’è quel medaglione, eh Albus? Di che si tratta?

Il vecchio preside prese un profondo sospiro, muovendosi con passo leggero e cadenzato verso la propria scrivania, poi si sedette.

- Prego, accomodati vecchio amico mio, gradisci qualcosa da bere?

- No, ti ringrazio, gradirei sapere cos’abbiamo in mano.

Le punte delle dita delle mani di Silente si congiunsero, mentre egli bofonchiava messamente.

- Ancora nessuno di noi lo sa, Alastor, ma posso garantirti che ognuno di noi sta facendo il possibile per comprenderlo.

- E allora perché non mi hai mandato a chiamare prima, eh?

- Perché, come hai detto tu, eri irreperibile in quel momento. In realtà v’è anche un altro motivo ma per il momento non posso aggiungere altro, lasciamo che sia il tempo a giudicare se con ragione oppure no.

- Spiegami perché lo hai consegnato a Frank Paciock. Diavolo, Silente, sua moglie è incinta e tu decidi di esporlo così?

- Non c’è motivo di preoccuparsi, Alastor. Frank e sua moglie sono due Auror eccezionali, motivo per cui ho pensato che quell’oggetto fosse al sicuro nelle loro mani.

- Ma perché non portarlo qui e, soprattutto, perché non mi hai chiamato?

Un secondo sospiro.

- Ho pensato che Hogwarts sarebbe uno dei primi posti in cui il Signore Oscuro verrebbe a cercarlo. E poi, non trovandolo, sarebbe passato a farti visita.

- Quindi hai deciso di condannare a morte quella coppia?

- È evidente quanto tu tenda a sottovalutare due Auror così esperti. Proprio da te non me lo sarei aspettato, Alastor.

Con quell’ultima frase, Moody parve zittirsi, zoppicando fino alla scrivania di Silente prima di prendervi posto.

- Immagino che tu ti sia già fatto un’idea di cosa abbiamo per le mani, mi sbaglio? - domandò con una punta di curiosità in bocca.

- Effettivamente un’ipotesi è già stata formulata... per quanto io non voglia crederci, Qualora lo facessi vorrebbe dire che ci troveremmo di fronte a un qualcosa di unico e inimitabile. Un frammento dell’anima del Signore Oscuro.

- Un Horcrux?

- Esattamente.

- Motivo in più per non mettere in mezzo la famiglia Paciock, se questa è l’unica ipotesi in merito è terribile.

- A chi altri avrei dovuto consegnarlo? Forse a te?

- Beh, non avresti male.

- No, hai ragione. Però vedi, Alastor, probabilmente abbiamo tra le mani l’oggetto più prezioso dell’intera vita di Tom Riddle. Per un attimo cerca d’immaginare d’essere nei suoi panni, quale sarebbe il primo posto in cui verresti a cercarlo?

Moody zoppicò un po’ intorno alla stanza, rimuginando su quella domanda.

- Hogwarts, immagino.

- Perfetto. Ora, conoscendo i membri dell’Ordine della Fenice, se non fossi io a custodirlo, a chi penseresti?

- A me… - stavolta la risposta fu pressoché istantanea e non ebbe bisogno d’una riflessione precedente. Lo sguardo basso a evitare quello del preside.

- Precisamente. Converrai con me che il posto più sicuro, paradossalmente, è proprio quello dove ora si trova il medaglione. Di sicuro, come saprai, non è mia intenzione esporre Frank e Alice a futili pericoli, per questo l’intero Ordine è allerta e sorveglia un luogo speciale in cui li ho fatti scortare, di cui diverrai proprio tu unico Custode Segreto. Lì Alice potrà trascorrere le ultime settimane di gravidanza in pace, in buona compagnia e comunque sempre sotto gli occhi vigili di persone in cui ripongo la mia massima fiducia.

- Pare che, come al solito, tu abbia pensato a tutto.

- Soltanto a ciò che posso, mio caro amico, purtroppo a tutto non ci arriverò mai.

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Capitolo 4
*** Capitolo terzo ***


Non erano state due settimane facili per la famiglia Paciock. Affatto. Anzi, erano stati quattordici giorni veramente terribili per loro, simili a una bolla infernale in cui galleggiavano tentando di tenersi a galla.

Rintanati a Villa Conchiglia, un rifugio costruito da poco e messo a disposizione dalla famiglia Weasley che poi era stata Obliviata per motivi di sicurezza, con l’opportunità di comunicare col mondo esterno preclusa poiché l’unico a conoscenza della loro posizione era Alastor Moody.

Frank stava letteralmente impazzendo cercando di venire a capo dei misteri del medaglione che gli era stato consegnato. Ormai i giorni si confondevano e perdevano i loro contorni mentre egli continuava le sue ricerche su antichi tomi polverosi reperiti proprio da Albus stesso. E più lui s’immergeva nelle arti oscure per studiarle, più l’oscurità attingeva alla luce ch’era in lui, rendendolo ogni giorno più scontroso e intollerante. Così Alice aveva imparato a lasciarlo in pace, girando a largo da lui in casa e cercando di alienarsi e isolarsi quanto più possibile. In fondo la sua condizione prevedeva l’assoluto riposo e, nonostante il periodo, lei cercava di rimanere tranquilla e serena. E intanto suo marito aveva un tarlo che lo mangiava dentro, o forse un’intera colonia, corrompendolo sempre più e mettendo in dubbio ogni singola sicurezza che aveva consolidato nella sua vita.

Un nugolo di domande s’erano librate nella sua mente come corvi in un campo di grano saraceno. L’accompagnavano in ogni momento della sua giornata, seguendolo, tormentandolo e non lasciandogli scampo. Mai. Molto spesso capitava che, proprio questi dubbi, lo svegliassero nel cuor della notte per poi rubargli il resto del sonno per non restituirglielo più. Ormai le occhiaie violacee erano diventate un elemento fisso sul suo volto e la paranoia un elemento fisso nel suo animo.

Continuava a chiedersi cose che non avrebbe concepito mai, prima di quel periodo, del tipo “Perché Alice dovrebbe volermi al suo fianco?” oppure “Che ci faccio io qui che non sono utile a nulla?” e ancora “Perché Silente ha affidato a me questo medaglione invece di studiarlo da solo? Non si rende conto che ci mette in pericolo così?”. Cominciò lentamente a dubitare persino dell’amore che sua moglie provava per lui, mettendo in crisi quel rapporto ch’era sempre apparso solidissimo fino a quell’oscuro periodo. Non riusciva a credere che lei potesse averlo scelto come compagno di vita, poiché ogni volta che il suo sguardo incontrava una superficie riflettente egli si vedeva veramente orrido, rifuggendo ogni logica comprensione che era stata il combustibile di quell’amore che i due s’erano sempre scambiati come promesse. Dubitava, ogni giorno più forte e con più insistenza. Finché i suoi dubbi non fecero da miccia a un’altra convinzione che si faceva, sempre con la stessa lentezza, largo in lui.

Il figlio che sua moglie portava in grembo non era suo.

Continuava a cercare una valida motivazione per convincersi del contrario ma ogni tentativo gli pareva vano. Specialmente quando le sue riflessioni si fermavano su quel Sirius. Giovane, aitante, bello e dannato. Come poteva competere con lui? Con il passare dei giorni cominciò ad avere vivide visioni dei loro corpi che s’intrecciavano in vari giacigli. Le dita lunghe e affusolate di Alice che s’immergevano tra i capelli corvini del ragazzo. Ogni volta era un colpo al cuore, un conato di vomito che s’affacciava in bocca per venir lì soffocato.

Era un Black.

Ne era sicuro.

Il bambino che stava crescendo in Alice era un Black.

I pugni stretti in tasca e il livore in volto cominciarono ad essere suoi fedeli compagni, almeno quanto quegli adulteri rapporti che si consumavano ogni volta che Frank chiudeva gli occhi, nel suo traviato immaginario.

Fantasie dolorose, interrotte solo dal suono della risacca del mare. Scuoteva la testa, come a volerle cacciar via, ma quelle rimanevano lì, impresse a fuoco nei suoi occhi seppur non l’avessero mai viste.

Scuoteva la testa, fino a farsi venire le vertigini. Ma quel maledetto Sirius continuava a penetrare sua moglie, provocandogli fitte di disgusto e ribrezzo anche per se stesso, ch’era in grado di immaginare tali scene.

Sia chiaro, non che l’avesse mai visti in atteggiamenti sospetti o equivoci, ma il fatto che Alice stessa l’avesse definito un “così bel ragazzo” l’aveva fatto sragionare, portandolo su binari da cui rischiava di deragliare da un momento all’altro.


Alla sera del quattordicesimo giorno, fu costretto a ritirarsi in solitudine, poiché non riusciva a guardare Alice in volto senza immaginarla intenta a godere in un rapporto carnale con quel Black. Fece una lunga passeggiata, dapprima sul bagnasciuga in modo da sentire i piedi freschi toccati dalla schiuma dell’acqua che s’increspava, per poi continuare sulle dune di sabbia dietro il cottage. Lì, si sedette a terra e cominciò a riflettere mentre giocherellava con le dita e il medaglione. Continuava a sfregarci il pollice, come se volesse aprirlo, cosa che stava cercando di fare da giorni ma senza alcun tipo di esito. Era stato un anatema per la sua famiglia. Perché mai Albus Silente aveva deciso d’affidarlo proprio a lui? E perché, a contatto con la pelle nuda del suo collo ove lo portava sempre appeso, sembrava così vivo? Tanto che pareva pulsare alle volte. Maledisse il cielo, immobile e terso sopra la sua testa, e cominciò a piangere. Il silenzio del luogo fu spezzato dai suoi singhiozzi, sempre più forti. Si rannicchiò su se stesso, lasciando che le lacrime cadessero dal suo volto e arrestassero la loro caduta solo quando incontravano la sabbia.

I suoi occhi, offuscati da quel salmastro velo di tristezza, incontrarono un piccolo granchio che zampettava allegro nella notte, magari in cerca di un po’ di cibo. Le chele spiegate lo facevano apparire piuttosto buffo in quella camminata laterale, mentre le ombre della notte lo rendevano più scuro di ciò che non era. Tanto che il suo guscio apparì nero agli occhi di Frank. Nero. Black. Proprio come quel maledetto ch’ora cercava d’usurpargli la sua intera famiglia, ponendo in sua moglie il seme d’una progenie nata nel tradimento.

Puntò la sua bacchetta e sussurrò, con un filo di voce, la parola ch’era una delle tre maledizioni senza perdono.

- Crucio.

Rimase lì, a guardarlo contorcersi e urlare per il dolore, strilla d’un animale innocente che però pagava il pegno della sua vendetta. L’osservò rannicchiarsi fino a diventare poco più grande d’una noce, proprio per via di quel male ch’egli gli stava infliggendo. Una coppia di lunghissimi minuti, in cui il pianto dell’uomo si tramutò in rabbia, mentre il povero granchio veniva torturato e liberato a ritmo alternato.

Quando s’interruppe l’ultima volta, Frank pensò che se quel piccolo essere avesse avuto un qualche tipo di senno l’avrebbe perso per via di quell’acuto dolore che finora s’era gustato attraverso quella macabra danza.

- Sirius… - mormorò.

Per quanto gli sembrasse d’essersi calmato, al solo pronunciare quel nome, tutta la furia gli avvampò nuovamente in petto, a contatto con il medaglione. Questo, come aveva già fatto in precedenza, sembrò cominciare a pulsare come un secondo cuore fuori dal suo sterno, accelerando sempre di più il suo battito.

Un’idea si fece largo nell’uomo. Un’idea che in tutta la vita non l’aveva mai neppur sfiorato.

- Avada Kedavra!

Un lampo verde si sprigionò dalla punta della bacchetta, ponendo fine alla vita di quel piccolo granchio che aveva avuto la sfortuna di zampettare dalla parte sbagliata della spiaggia.

Il medaglione arrestò il suo battito.

Frank si ritrovò nuovamente solo.

E in silenzio, di nuovo, riprese a piangere.



Regulus e Sirius s’erano da poco accomodati in cucina, cercando un po’ di ghiaccio per alleviare il dolore dei colpi che s’erano scambiati.

Agli estremi del tavolo si scambiavano sguardi d’una ritrovata intesa, sorridendo a turno nel vedere le condizioni in cui versavano a causa delle loro stesse mani.

Una fragile alchimia che s’era costruita per la prima volta, figlia del primo periodo che non li vedeva più come figli unici intenti a ringhiarsi addosso come cani rabbiosi. No, finalmente avevano cominciato a essere un po’ più fratelli di prima. Entrambi coscienti che quello era solo il primo passo d’una lunga camminata che l’avrebbe, forse, un giorno portati a fidarsi l’uno dell’altro. Quel dì era ancora lontano, tuttavia iniziava a profilarsi in lontananza, sul tramonto d’un sole bruciante di diffidenza che andava a nascondersi dietro un orizzonte d’indifferenza, forse per l’ultima volta.

Un sorriso.

O meglio.

Un sorriso di complicità che era già molto di più di quanto avessero potuto sperare solo fino a qualche giorno prima.

Eppure erano lì. A guardarsi di sottecchi con una punta d’imbarazzo.

Eppure erano lì e ad attestarlo c’erano i loro volti tumefatti dalla violenza repressa che s’erano sfogati l’uno addosso all’altro.

Se i loro genitori avessero potuto vederli in quel momento, probabilmente, avrebbero dichiarato alto tradimento, urlando e strepitando fino a diventare cianotici.

Invece loro padre era morto l’anno precedente, conscio d’aver lasciato quantomeno uno dei suoi figli tra le file del Signore Oscuro di cui tanto si riempiva la bocca fintanto ch’era in vita.

Ora sarebbe inorridito, senza dubbio, nel vedere seduti ai capi opposti d’un tavolo il suo più grande orgoglio e colui che aveva gettato onta e disonore sulla sua casata.

Dal canto suo, invece, Walburga era troppo intenta a dormire sodo, a quel tardo orario della notte, per prestar loro attenzione.

E per fortuna loro, altrimenti le sue urla sarebbero riecheggiate per tutto l’isolato senza lasciar scampo a tutti gli altri residenti di Grimmauld Place.


- Sei stato veramente un folle…

Fu Sirius a rompere l’incanto del silenzio tra loro.

- Davvero? Veramente vuoi intraprendere con me questo discorso? Proprio tu? Sirius Black? Quel Sirius Black? Quel Felpato che deve muoversi nell’ombra poiché ricercato, vivo o morto, da tutti i Mangiamorte che abbiano mai toccato il suolo del mondo magico? Hai ragione, sono stato veramente un folle ma di sicuro non ero l’unico. - qualche sprazzo di velenifero rancore passò tra i denti serrati di Regulus mentre rispondeva al fratello, ponendosi subito sulla difensiva con istinti guerrafondai.

Sirius, che di certo non s’aspettava una risposta del genere, scoppiò a ridere in maniera tanto improvvisa quanto genuina, al pari di quella manciata di frasi.

- Che lingua biforcuta. D’altronde, c’è il sangue freddo d’un Serperverde che ti scorre nelle vene. Non volevo rimarcare le scelte che hai fatto in passato. Ormai sono acqua vecchia scorsa sotto un ponte dal quale t’osservavo non riuscendo a comprenderti. No, intendevo dire che sei stato un folle a sfidare il Signore Oscuro così apertamente. Avresti potuto cercarmi e, insieme agli altri membri dell’Ordine, avremmo architettato un piano che non avrebbe messo a repentaglio la tua stessa vita.

- Gentile e coraggioso da parte tua, fratello. Ma… vedi, - Regulus si sporse un po’ di più sulla sedia, poggiando i gomiti sul tavolo per avvicinarsi a Sirius così da potergli parlare più intimamente – non è che fossimo proprio nella condizione di cercarci prima di quella notte. Il mio è stato un gesto mosso solo dalla disperazione e, per carità, non lo rimpiango affatto. Anzi. Ma se non fosse stato per quella pozione maledetta io ora non sarei seduto a questo tavolo a conversare con te. In fondo, se ci pensi bene, siamo a pochi passi di distanza dall’arazzo di casa, ove il tuo nome non compare più e al suo posto vi è un bel buco annerito da fuoco e cenere. - accompagnò quest’ultima frase con il movimento d’un singolo dito, l’indice della mano destra, leggero e fluttuante sotto gli occhi del fratello maggiore, indicando quasi svogliatamente quella stanza in cui era rinchiusa la raffigurazione del loro albero genealogico.

Non rispose immediatamente, Sirius.

Sorridendo, s’alzò dalla sua sedia e rimediò due calici d’argento dalla credenza della cucina, poi li riempì fino all’orlo d’un liquore forte e dal colorito ambrato. Ne posò uno di fronte agli occhi curiosi di Regulus mentre l’altro lo portò con sé nel tragitto di ritorno per il proprio posto a sedere che si premurò d’avvicinare quanto più possibile a quello dell’altro.

- E allora brindiamo, fratello. Che l’aver svuotato quel bacile di disperazione a grandi sorsi ti porti poi a riempirlo di rinnovato coraggio e future fortune. E cominciamo da qui, da questa sera. A noi, Regulus. A una nuova versione della famiglia Black.

Levò il calice, poi, attendendo una risposta che non s’attardò ad arrivare.

Sorrise. Con un leggerissimo velo di lacrime ad appannarne lo sguardo per via della commozione che provava in quel momento. Le parole che aveva sibilato fino a quel momento lo avevano reso più vulnerabile e quel gesto così spontaneo l’aveva stupito.

Per un attimo, finalmente, si sentì veramente a casa.

Più di quanto non si era mai sentito in tutta la sua, seppur breve e perigliosa, vita.

- A noi, Sirius.

Il tintinnio dei calici echeggiò su quelle vecchie mura che facevano da cassa di risonanza a quel momento.

Ma proprio in quel momento, quelle stesse mura, cominciarono a tremare e a scuotersi. Tanto forte che il tavolo e le sedie sotto di loro cominciarono a ballare, facendo cozzare nuovamente le vettovaglie argentate che stringevano in mano in quel momento e versando il liquido in esse contenuto sul pavimento.

Una voce femminile squarciò il velo di silenzio della notte.

- BOMBARDA!

La porta della cucina saltò dai cardini, volando a mezz’aria prima di cadere con un sonoro tonfo sul pavimento della cucina.

- INCARCIFORS! INCANCIFORS! - nuovamente quella voce tagliò il nuvolone di polvere che s’era alzato e da esso guizzarono due lampi argentei con forma di catene. In un attimo queste raggiunsero Sirius e Regulus, legando e inginocchiando il più grande dei due in una posizione molto scomoda, mentre il secondo fu trascinato finché l’incantesimo non trovò il muro perimetrale al quale parve appendersi come se la catena vi fosse stata fissata da un enorme chiodo.

Bellatrix Lestrange varcò la soglia ormai divelta ad ampie falcate. Per quanto concitato fosse quel momento, Regulus, vedendola avvicinarsi rapidamente, non poté non notarne l’innegabile bellezza.

- Che diavolo ci fai qui? - fece in tempo a dire Sirius, prima che la cugina si voltasse verso di lui e muovesse la bacchetta con fare secco e deciso.

- Oh, stai zitto tu! Silencio!

Non interruppe ne rallentò la sua inesorabile marcia neanche per un secondo, per con il volto a pochi centimetri da quello di Regulus.

Fece scattare la mano libera dalla bacchetta, afferrandone saldamente il mento tra le dita lunghe e affusolate.

Le braccia tese dalle catene sopra la testa del ragazzo stavano già cominciando a dolergli ed erano rimaste nude poiché le maniche della veste gli erano scivolate sulle spalle, esponendo il Marchio agli occhi di tutti.

- Reg, Reg, Reg, Reg. Cuginetto mio. Si può sapere che combini? Giravano strane voci su di te e, con mia grande sorpresa, ti trovo in compagnia di quel cane? Credo proprio che quelle vocette fossero vere, dunque. - scosse la testa in segno di disapprovazione, stringendo ancor di più le dita attorno al viso del giovane, fin quasi a farsi sbiancare le nocche.

Regulus stava cercando di nascondere il terrore che l’attanagliava dall’interno, era cosa piuttosto nota che sua cugina fosse instabile e completamente imprevedibile. Se era lì voleva dire che Lord Voldemort aveva notato la sua assenza e che aveva inviato qualcuno di sua fiducia a controllare. Maledisse Silente, digrignando i denti affinché quell’imprecazione non sibilasse fuori dalla sua bocca. Come aveva potuto pensare che sarebbe stato al sicuro in quella casa dove era così semplice trovarlo? La sola presenza di Sirius gli faceva dormire sonni tranquilli? Di sicuro non si era rivelata un’idea così brillante viste le condizioni in cui versava in quel momento.

- Non puoi capire Bella… - riuscì a far emergere, infine, da quell’acquitrino di paura in cui era immerso fino al collo, cercando d’apparire quanto più calmo gli fosse possibile.

- No, non posso, hai ragione. Questo perché non sognerei mai di voltare le spalle al Signore Oscuro esattamente come hai fatto tu. Non so cosa tu abbia combinato ma capisci che sono due settimane che non ti fai vivo, vero? Poi per cosa? Per riabbracciare finalmente il tuo fratellone e farti stringere forte tra le sue braccia?


Un brivido lungo la schiena del ragazzo lo fece nuovamente trasalire. Probabilmente, anche senza l’ausilio delle catene, sarebbe stato comunque paralizzato dal terrore che, in quel momento, gli stava risalendo lungo la colonna vertebrale per presentarsi nei suoi occhi sotto forma d’un vitreo sguardo senza direzione.


- Rispondimi! - gli intimò Bella. Il tono piatto e sarcastico aveva lasciato il posto a un’increspatura nella voce che presagiva rabbia e collera.


Lui non lo fece però, rimase in silenzio. Mutato come il fratello, ma senza l’ausilio d’una bacchetta.

Lei s’avvicinò al suo volto, sfiorando delicatamente le labbra di Regulus con il pollice. Era ormai a meno d’un paio di dita di distanza, tanto che il mago poteva sentirne l’odore dolce della sua pelle che tanto entrava in contrasto con quell’espressione eternamente corrucciata che ella indossava sovente.

Troppo lontana per poterlo considerare un bacio ma troppo vicina affinché il quadro che stavano dipingendo i loro corpi non potesse che venir frainteso.

Quelle braccia tese sopra la testa, le catene incantate attorno ai polsi e la paura nel cuore. Eppure nulla gl’impedì di fantasticare sulle labbra di Bella che si schiudevano tra le sue.


Esattamente com’era già successo in passato.


- Ti concedo tre ore di tempo. Proprio come quelle che abbiamo trascorso insieme in questa stessa casa. Poi verrò a cercarti e sarà per l’ultima volta.


Un rapido movimento della bacchetta, Regulus fu di nuovo libero e a Sirius venne restituita la parola.

Tuttavia non ebbe neanche il tempo di evocare uno Schiantesimo, poiché gli occhi vitrei del fratello erano rimasti a fissare il vuoto ove Bella si era appena smaterializzata.

Poi verrò a cercarti e sarà per l’ultima volta.

Quelle parole riecheggiarono nuovamente nei suoi pensieri, prima che riuscisse a sbattere le palpebre e realizzare che non era solo un sogno ma bensì la realtà.

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Capitolo 5
*** Capitolo quarto ***


Per prima cosa, Sirius, l’aveva condotto alla Stamberga strillante.

Non sapeva dove altro portarlo, sebbene per un attimo il pensiero suo fosse volato direttamente verso Hogwarts, dove si sarebbero sentiti entrambi protetti come negli anni della gioventù.

Ma poi aveva pensato bene alle parole di Silente, aveva soppesato tutto quel ragionare del preside e aveva convenuto con lui che quel gesto avrebbe potuto segnare la prima mossa su una scacchiera volta alla guerra.

No, nella Stamberga lui ci aveva passato molto tempo da giovane, ne conosceva ogni singolo anfratto ove aveva assistito alle trasformazioni in licantropo d’un vecchio amico, e istintivamente gli era apparsa come un luogo sicuro.

Polverosa.

Buia.

Scricchiolante anche solo al suono d’un passo.

Ma sicura.

E così ora i due fratelli si ritrovavano seduti a terra con la testa china, cercando di evitare lo sguardo dell’altro con dovizia.

Fu lo stesso Sirius a rompere il silenzio.

- Con Bellatrix, eh?

Silenzio.

Imbarazzo.

Regulus per un attimo sentì avvampare le guance per via dell’eccessivo afflusso di sangue.

- A tua discolpa posso dire che è veramente bellissima. Lo è sempre stata. Certo, ha dieci anni più di te ed è tua cugina. Ma non posso che ammirarti, fratello. Anche io ne fui rapito quand’ero più piccolo, cercando di spiare le sue curve sotto la veste quelle volte che si fermava a dormire a casa nostra. Se non fosse che è completamente pazza...

- Lo so bene, Sirius. Mi ricordo come la guardavi. E sappi che quel luccichio di follia nel suo sguardo è stato esattamente il motivo per cui mi sono avvicinato io, invece. Ho sempre avuto un debole per lei, credo che questo l’avesse capito da subito. Ma lo sapevo che ogni volta ch’eravamo insieme non pensava a me. Bellatrix non ha che un amore: il Signore Oscuro. Tutto il resto le risulta utile finché la intrattiene, poi quando l’annoia l’abbandona come un bambino troppo cresciuto lascerebbe andare il suo vecchio giocattolo.

- Sei innamorato di lei?

La domanda fu così repentina che Regulus non la metabolizzò immediatamente. Dovette trarre un profondo sospiro, reclinando la testa in maniera da toccare il legno contro cui era poggiato con la schiena. Raccolse i pensieri in un pugno, poi rispose:

- Lo ero. Sicuramente. Appena compiuti i diciassette anni fu lei ad avvicinarsi a me. “Per rendermi un uomo”, o almeno così disse. E io persi la testa per lei, completamente. Non facevo che pensarla, struggendomi per ogni momento che passavamo divisi, senza neanche sapere dove fosse. E, ogni volta, proprio quando arrivavo al punto di lasciarla andare, compariva nuovamente per rafforzare le catene con cui m’aveva fatto prigioniero. Ma mi resi conto molto presto che, mentre i miei pensieri tutti erano indirizzati a lei, i suoi non lo erano mai. Neanche quando eravamo insieme. Neanche quando le stringevo la mano per reclamarne le attenzioni. Era assente, con la mente sempre rivolta al suo Signore. Sempre a fissare quel Marchio Oscuro in attesa d’una chiamata. E così il mio sentimento s’è andato a spegnere lentamente, come un fuoco che non viene alimentato se non soffiandovi sopra. Avvampa, sì. Ma è destinato a dissiparsi in pochissimo tempo.


Rise Sirius.


Costringendo il fratello a volgere lo sguardo verso di lui.

- Sei saggio, Reg. Sei molto saggio. E io che mi preoccupavo per il mio fratellino che intanto si divertiva così.

Anche Regulus scoppiò a ridere, forse per quella battuta alla fine o forse perché, in fondo, avevano bisogno entrambi di farlo.

Per un attimo il suo pensiero volò proprio a quello stile di vita che aveva dovuto condurre il fratello che ora era seduto davanti ai suoi occhi.

Per la prima volta si ritrovava nella condizione in cui Sirius aveva vissuto per anni: reietto ai margini d’una famiglia che neanche lo considerava più parte di essa, fuggitivo dai Mangiamorte che ne pretendevano la testa su un vassoio d’argento, nell’eco d’una solitudine pronta a ricordargli i nomi delle persone che amava e per cui si stava preoccupando e, infine, recluso lontano da tutti, così da potersi dire al sicuro. Vivo. Finché qualcuno non fosse riuscito a scovarli.

La Stamberga, poi, non faceva altro che amplificare quello stato d’animo con le sue cupe ombre.

La risata si spense in un sorriso malinconico.

E Regulus si ritrovò a domandarsi se quello fosse il destino della casata dei Black.

Toujour pur.

Se lo ribadì a mente.

Ma a che serve rinchiudere la purezza d’una risata, figlia d’un amore fraterno ritrovato, se poi nessuno può sentirla?



Quando la sua porta si spalancò con sonoro schianto, Silente si chiese se non stesse vivendo il ricordo di pochi giorni prima.

Quella sensazione di deja vu continuò per tutto il tempo in cui il vecchio preside seguì con lo sguardo Alastor Moody entrare nella stanza.

- Saggia decisione, Albus, veramente una saggia decisione quella di far tornare i Black a casa. Me ne congratulo nuovamente, chissà ora in che mani saranno.

- Buonasera Alastor, ormai vedo che entrare nel mio ufficio senza neanche rivolgermi un saluto sta diventando una consuetudine. Posso offrirti qualcosa? Una liquirizia?

L’occhio dell’Auror scattò, come a voler fulminare il professore per tutte quelle moine con cui l’accoglieva ogni volta.

- No, grazie. Preferirei essere aggiornato su quello che sta succedendo.

- Giungi proprio al momento giusto. Ho appena ricevuto un gufo che tu stesso troverai molto interessante.

Un piccolo pezzetto di pergamena passò tra le loro mani.


Signor Preside,


Le scrivo per informarLa che RAB e Felpato stanno bene, per quanto gli accalappiacani stiano mangiando terreno dietro di loro.


Si sono rifugiati lì dove Lunastorta ha conosciuto il tintinnio delle catene.

Soltanto i Malandrini sono a conoscenza della loro posizione, pertanto La invito a mantenere estrema riservatezza sulla questione.


Ho massima stima nei Suoi confronti e sono sicuro che riuscirà a cavarli d’impaccio.


Ramoso.”


Alastor Moody fissò quella pergamena a lungo, cercando di interpretarne il contenuto, finché non perse la pazienza e sbottò:

- Insomma che significa tutto questo, Albus?

- Significa che i fratelli Black sono nei guai, per quanto ora possano dirsi al sicuro. Dobbiamo trovare la maniera per nasconderli meglio.

- Non potevamo farlo prima invece di dover correre ai ripari ora? Perché hai voluto che tornassero a casa?

- Perché così facendo gli occhi del Signore Oscuro si sarebbero focalizzati nella loro ricerca.

Vi fu un momento di silenzio, poi Silente proseguì:

- In questo modo Frank e Alice sono lontani dai suoi pensieri che ora sono tutti canalizzati verso Regulus Black. Egli è in buone mani, quelle di Sirius, che per anni ha dovuto nascondersi nelle ombre per poter sfuggire proprio a quegli occhi.

- Quindi li hai usati come esche, è questo che mi stai dicendo?

- Non proprio, vecchio amico mio. Ho soltanto fatto sì che Regulus avesse ciò che desiderava, ovvero liberarsi dal suo posto di pedone nella scacchiera del Signore Oscuro.

- Solo per farlo schierare nei tuoi ranghi, non è così?

- Ti sbagli di nuovo. Ora egli ha facoltà di scelta, sicché i Mangiamorte ora conoscono le sue reali intenzioni. Egli può tranquillamente scegliere dove posizionarsi e in che modo farlo, è mia intenzione difatti avere un colloquio privato proprio con lui quanto prima. Tuttavia, vi è da tenere in considerazione che ora anch’egli è in uno stato di fuggitivo, ma è una condizione solo temporanea. E in fondo, dimmi Alastor, non è forse vero che, in questo preciso momento, lo siamo un po’ tutti?

- Tu giochi troppo con la vita altrui, Albus, e prima o poi questo finirà per macchiarti le mani di sangue innocente.

- Le mie mani sono macchiate esattamente come quelli di tutti noi, Alastor. E lo sono da anni ormai. Ciononostante sappi che sto prodigando ogni singolo briciolo d’energia che ho in corpo per far sì di trovare ai fratelli Black una sistemazione degna, così come per i Paciock e per i Potter.

- Riunirli tutti qui, proprio dove sarebbero più al sicuro, no?

- Metteremmo a repentaglio centinaia di vite innocenti, lo sai bene. Però devo dirti che solo gli stolti non cambiano mai idea, vecchio amico mio, e probabilmente prima o poi farai vacillare i miei ragionamenti a tal punto che sarò costretto a darti ragione. Anche se questo significherebbe dichiarare guerra apertamente a Lord Voldemort.

- Sai perfettamente che nessuno dell’Ordine si tirerebbe indietro, Albus.

- Sì, lo so bene, Alastor. Tuttavia sto facendo quanto mi è possibile per far sì che non venga versato altro sangue innocente, proprio per evitare che possa macchiare ulteriormente le mie vecchie mani.

L’Auror si trovò ad abbassare la testa, cercando di ritrovare un filo logico a tutti quei pensieri colmi d’ira che ora gli affollavano la testa.

- Non appena Lily e Alice avranno partorito, potremo portarle qui ad Hogwarts, sfruttando il periodo di vacanza degli studenti per ragionare su una tattica adeguata e per fornir loro il riparo che meritano. Alle madri tanto quanto ai figli.

- Io… io spero solo che tu sappia cosa stai facendo, Albus.

- Credimi amico mio, se lo sapessi davvero non avrei il Pensatoio così pieno. Ma posso assicurarti che sto facendo del mio meglio affinché tutti possiate ritrovare la serenità che vi è mancata in questi anni.

- Lo spero, Albus. Lo spero.

Non aggiunse altro.

Lasciò lo studio del preside senza dire una parola in più, con il suo passo claudicante che si sentiva sempre più in lontananza.

Nel silenzio ritrovato del suo studio, Albus Silente strinse un po’ più forte la bacchetta nella sua mano, rimirandosi le dita attorno all’impugnatura.

- Le mie mani sono macchiate da anni ormai. - ripeté sotto gli occhi dei quadri che ora lo scrutavano con curiosità. - E lo saranno per sempre.



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