Black days, nowadays di Lupoide (/viewuser.php?uid=182478)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 5: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
-
K-Kreacher… portami via da qui… portami da
Sirius…
La
gola gli bruciava come se gli stessero andando a fuoco i polmoni
dentro il suo petto. Annaspava sui gomiti verso l’elfo mentre
la
vista diveniva ogni minuto più appannata, mentre sentiva che
qualcuno stava tirando il sipario sulla sua breve vita. Aveva bevuto
fino all’ultima goccia di quella pozione maledetta e ora
bramava
soltanto due cose: una coppa d’acqua oppure la morte. Le
desiderava
con la stessa intensità per via dei dolori che lo scuotevano
da capo
a piedi. Gli sarebbe importato poco se gli fosse stata data una
piuttosto che l’altra.
-
Ma padrone… il Signore Oscuro così vi
troverà.
-
Kreacher! Ti prego, aiutami! - il mago afferrò il cencio con
cui era
solito abbigliarsi, quella vecchia federa consunta che per
l’elfo
era divenuta un vestito.
-
Sì, padron Regulus. - quelle tre parole erano intrise del
loro
rapporto, all’apparenza semplice ma che celava molto di
più di ciò
che si potesse vedere in superficie. L’uomo l’aveva
protetto e
ora stava a lui ricambiare al favore, anche se ciò voleva
dire
disubbidire ai suoi stessi ordini, anche se ciò voleva dire
tradire
Lord Voldemort.
La
smaterializzazione fu rapida ma per niente indolore. Una volta giunti
a Godric’s Hollow, di fronte alla dimora dei Potter, Regulus
Black
dovette chinarsi fino a toccare il suolo con la fronte. Il suo
stomaco, in quel momento, attivò il più antico
meccanismo di
auto-difesa, lasciando che rimettesse proprio in quel momento,
insozzandosi completamente la veste e il corpo.
Fu
Kreacher a bussare alla porta in cerca d’aiuto. Il mago non
riusciva neanche a muoversi e continuava a rotolare su sé
stesso,
peggiorando ogni volta le sue condizioni igieniche.
Per
questo motivo, Sirius Black stentò a riconoscere la figura
del
fratello spasimante in quella pozza di bile.
-
Padron Sirius, Kreacher vi ha portato Padron Regulus come da lui
richiesto, anche se Kreacher avrebbe preferito portarlo alla padrona
Walburga…
-
C-cosa diavolo gli è successo?
In
un attimo Sirius fu ai piedi del fratello e
l’aiutò a rimettersi
in piedi.
-
Santo cielo, Regulus, chi ti ha conciato così?
-
A-Acqua…
Boccheggiava
ormai per gli effetti della pozione; non sapeva cosa avrebbe causato
al suo corpo quando aveva cominciata a berla in quella vecchia
grotta.
-
LILY! JAMES! AIUTATEMI! - gridò per tutta risposta Sirius,
indirizzando le proprie urla verso la casa che era avvolta
nell’oscurità ormai già da diverse ore.
Quando
finalmente Regulus fu fatto accomodare in cucina, l’effetto
della
pozione era quasi completamente svanito. La sete no, però.
Vuotò
una coppa, colma d’acqua fino all’orlo, in un unico
lunghissimo
sorso. Sembrò star meglio all’istante.
-
Ora va meglio… vi ringrazio.
Solo
in quel momento s’accorse che le figure attorno a lui erano
aumentate e che lo stavano fissando tutte insieme con una spiccata
sfumatura di preoccupazione nelle loro espressioni.
-
Cos’è successo, Regulus? Che ci fai qui? -
sentì la voce di
Sirius che si riavvicinava, come se qualcuno stesse percorrendo un
lungo tunnel e nel frattempo si stesse rivolgendo direttamente a lui.
Anche la vista piano piano torno a schiarirsi, togliendo quelle ombre
che era sicuro ne stessero presagendo la morte. Fu allora che
notò
la bacchetta del fratello puntata direttamente alla gola.
-
Confessa, fratellino, ti ha mandato il Signore Oscuro? - lo
incalzò
vedendo il senno che tornava a riempire il suo sguardo.
-
No, Sirius. Datemi solo un attimo di tempo per darmi una sistemata e
vi spiegherò tutto.
Prese
la bacchetta e fece per muoverla così da potersi pulire per
bene
dagli eventi di quella notte ma sentì la punta di quella di
Sirius
puntellarsi più in profondità nel collo, tanto da
farlo trasalire.
-
Capisco. Ho bisogno di parlare con Silente, questo è
possibile?
-
Sputa il rospo, Regulus! Prima che io ti faccia saltare la testa dal
corpo! - sbraitò il fratello a sottolineare quel
temperamento
Grifondoro che tanto li avevi allontanati negli anni.
-
Sirius… calmati. - la mano di James afferrò
saldamente la spalla
di Sirius, per donare maggior empatia a quella frase –
Finirai per
spaventare Lily e io questo non posso permettertelo…
-
A dire il vero ci vuole tutt’altro per spaventarmi, caro.
Anzi,
sono d’accordo con Sirius. Questo non è forse il
fratello
Mangiamorte di cui ci hai parlato così spesso? -
ribatté la stessa
donna con un punto di stizza nella voce. Si percepiva che sapeva e
voleva difendersi da sola.
Una
scintilla d’orgoglio s’accese nel petto di Regulus.
Questo voleva
dire che, nonostante tutti quegli anni divisi, ancora si ricordava e
parlava di lui. Certo, con parole poco lusinghiere ma almeno non
aveva fatto come i loro genitori, cercando di cancellare ogni suo
passaggio in vita, arrivando addirittura a bruciare l’arazzo
di
famiglia proprio nel punto in cui avrebbe dovuto trovarsi Sirius.
Lasciò che quel moto d’orgoglio gli si spegnesse
dentro poi
proferì con tono calmo:
-
Sì, sono io. Senza dubbio voi dovete essere i Potter,
immagino.
Lasciate che mi presenti: Regulus Black, fratello minore di Sirius e
Mangiamorte rinnegato. Almeno da questa notte.
-
È uno stupido trucco, non ci credete! - esclamò
il fratello non
appena vide lo stupore per l’ultima frase affiorare sui volti
dei
suoi più cari amici – È anche da lui
che mi avete nascosto
finora! Proprio per colpa sua sono dovuto andar via da casa! Avanti,
dillo fratellino, sei venuto a ucciderci tutti per ordine di
Tu-Sai-Chi, non è così? Eh? Rispondi!
Il
tono della sua voce crebbe fino a diventare un ruggito nelle ultime
parole. La bacchetta di Sirius continuava ad affondare nella carne,
tanto che se fosse stata anche solo leggermente appuntita
l’avrebbe
potuto trafiggere senza difficoltà.
-
No, non sono qui per uccidervi. Anzi. Sono qui per chiedervi aiuto.
Il
silenzio calò improvvisamente nella stanza, l’aria
all’interno
era talmente tesa che nessuno di loro si azzardò a muovere
un
muscolo finché Regulus non riprese a parlare:
-
Stanotte ho toccato con mano cosa è disposto a fare Lord
Voldemort
per diventare il mago più potente di tutti i tempi
e… ne ho le
prove con me.
Tirò
fuori da una tasca della veste un vecchio medaglione, i cui riflessi
di smeraldo ballarono per un attimo sulle sue mani.
-
Non vi chiedo tutto questo senza sapere a cosa potreste andare
incontro. Ma sono sicuro di potervi offrire qualcosa che possa anche
solo minimamente ripagare il vostro aiuto: una parte
dell’anima del
Signore Oscuro.
Lasciò
che il medaglione danzasse ancora di fronte agli occhi dei presenti e
solo allora si rese conto di un dettaglio che fino a quel momento non
aveva colto. La ragazza che lo stava fissando con quei bellissimi
occhi azzurri, era in uno stato avanzato di gravidanza.
Deglutì
a fatica, sapendo quanto disturbo stava loro arrecando in quel
frangente. E a quanto pericolo li stava esponendo.
Sirius
approfittò di quel momento di distrazione per strappare il
medaglione dalle mani di Regulus.
Non
trovò molta resistenza sulla sua strada, probabilmente
perché il
fratello minore non vedeva l’ora di liberarsene. Difatti da
che
l’aveva raccolto dal bacile di pietra, percepiva
distintamente
l’atroce aura che sprigionava quell’oggetto e, al
solo lasciarlo
andare, gli parve di essersi liberato di un peso.
-
Sirius… manda un gufo a Silente, presto! Dobbiamo parlare
con lui
quanto prima. Lily, tu invece torna a stenderti. Scopriremo subito se
si tratta d’ un falso e se tuo fratello sta tentando di
ingannarci.
Intanto, Regulus, non me ne volere… Incarcifors! - un rapido
movimento della bacchetta di James e da essa cominciarono a sgorgare
catene che si avvilupparono attorno al corpo del Mangiamorte.
Dal
canto suo, Regulus non apparve minimamente turbato. Comprendeva
benissimo che tutto quello che gli stava succedendo in quella stanza
non era altro che il frutto degli anni spesi all’ombra della
veste
del Signore Oscuro. Non poteva di certo aspettarsi che gli avrebbero
creduto così, seduta stante, quando aveva detto loro che
aveva
rinnegato i valori di una vita in una sola notte. Gli sarebbe
piaciuto che potessero vederlo dentro, che l’avessero
sottoposto a
un interrogatorio con il Veritaserum. Ma per la prima volta in vita
sua si sentiva libero, un paradosso a pensarci bene, poiché
era
incatenato a terra. Quella notte gli aveva aperto gli occhi sulle
nefandezze di cui era stato complice e non avrebbe passato
un’ora
di più in quello stato correo.
-
Insomma, James. Dimostra un po’ di buone maniere. -
nuovamente la
voce di Lily ruppe il silenzio. Regulus si ritrovò a
ringraziarla
con gli occhi dopo ch’ella l’ebbe ripulito dal
sudiciume di cui
s’era cosparso da solo, con un semplice movimento della
bacchetta.
Sirius intanto era schizzato nella stanza confinante, troppo lontano
dagli occhi del fratello per vedere con quali scattosi movimenti egli
stava scrivendo la lettera per Silente. Si prese persino una beccata
dal gufo dei Potter poiché era stato troppo indelicato nel
consegnargli la lettera.
-
Tesoro, vai a stenderti. Sono preoccupato per la tua condizione in
questo momento. - James strinse a sé la moglie, pronunciando
quelle
parole con dolcezza mentre le carezzava le mani. Ella annuì
silenziosamente, e senza proferire ulteriori parole
s’allontanò
per ritirarsi al piano superiore. Non mancò di lanciare un
ultimo
sguardo al prigioniero nel loro soggiorno, un’occhiata che
racchiudeva in sé diffidenza e compassione. Un contrasto
così
nitido che quasi si riusciva a interpretare nei suoi occhi dove
terminasse uno e iniziasse l’altro.
Fu
allora che Regulus si ritrovò a doversi piegare
all’indietro
poiché James gli aveva afferrato i capelli dietro la nuca,
tirando
con forza in modo da fargli alzare il mento.
-
Ascoltami bene ora – gli sibilò a un palmo dal
viso – non so chi
tu sia se non per i racconti di Sirius, sappi però che
voglio
vederci chiaro in questa faccenda. Osa soltanto pensare di ingannarci
e ti giuro che quello che ti avrebbe fatto il Signore Oscuro
sarà
nulla in confronto a come ti ridurrò. Mi sono spiegato?
La
rabbia che fuoriuscì da quelle parole ebbe
l’effetto di un pugno
in faccia, un chiaro monito che, comunque, Regulus non poteva dirsi
ancora al sicuro neanche lì. Neanche dopo aver offerto loro
una
parte del suo Signore. Neanche ridotto a prigioniero dalle stesse
persone che stava cercando di aiutare.
Annuì,
cercando di richiamare a sé tutto il coraggio di cui
disponeva. Non
tremò neanche per un secondo e non distolse lo sguardo dagli
occhi
di James Potter neanche per un secondo.
Stava
vivendo moltissime sfumature di sentimenti che neanche sapeva di
poter provare e la paura era una di queste, eppure non ne provava per
quell’uomo che stava solo cercando di proteggere la sua
famiglia.
-
Fatto. - Sirius tornò nel soggiorno, giusto in tempo per
assistere a
tutta la scena. Sorrise al suo migliore amico e questi
lasciò
immediatamente la presa sul fratello.
-
Vado a vedere come sta Lily. Fintanto che Silente non si
farà vivo,
vi lascio soli. Sono sicuro che avrete più di qualcosa di
cui
parlare.
E
così fece, accompagnando quelle parole con un cenno
d’assenso
verso Sirius, prima di salire anche lui al piano di sopra.
Fu
solo in quel momento che Regulus si rese conto che erano rimasti
effettivamente in due nella stanza. Dov’era finito Kreacher?
Non
ebbe il tempo di pensarci oltre poiché si ritrovò
il fratello
maggiore seduto accanto a lui.
-
Non so cosa ti abbia fatto pensare che ti avremmo protetto. A dire il
vero, non capisco proprio cosa ci faccia tu qui… - furono le
prime
parole che gli rivolse dopo anni, senza contare le minacce di poco
prima, ovviamente.
-
Posso essere sincero, fratello? - gli costò parecchia fatica
riuscire a girarsi per poterlo guardare negli occhi, ogni movimento
in eccesso che produceva pareva che le catene
s’avviluppassero di
più intorno al suo corpo – Non lo so neanche io.
Siamo sempre
stati l’uno la nemesi dell’altro, pur essendo
cresciuti sotto lo
stesso tetto. Eppure sentivo che era la cosa giusta da fare. Che qui
avrei trovato un rifugio sicuro. Probabilmente è stata la
disperazione a farmelo pensare. Tuttavia, sento che finalmente
abbiamo qualcosa che c’accomuna dopo tutti questi anni.
-
Cosa?
-
Ora siamo entrambi reietti, Sirius. Sulle nostre teste pende la
stessa lama. È buffo pensarlo quando soltanto ieri ero io a
impugnare questa stessa lama, ma è così.
Comprendo perfettamente
che, ora come ora, ti risulti impossibile fidarti di me. Ma se
deciderai mai di farlo, sappi che mi troverai ad attenderti.
Fu
strano per Regulus parlare al fratello in quel modo, a cuore aperto,
dopo un’intera vita passata ad essere come cane e gatto. Ma
non gli
venne difficile, quelle parole gli caddero di bocca ancor prima che
potesse pensarle. Lo sentiva davvero, proprio perché le
gesta che
aveva compiuto quella notte l’avevano portato sullo stesso
piano di
Sirius. In un certo senso aveva firmato la sua condanna a morte
rubando quel medaglione. Ed era sicuro che questo il Signore Oscuro
lo sapesse. Lo sentiva. E non potendo più tornare indietro,
non
poteva far altro che cercare aiuto e conforto in quella figura
familiare così sconosciuta.
Ormai
erano anni che portava sulla pelle il Marchio Nero, ma sapeva che,
nonostante l’avesse rinnegato, per Sirius sarebbe rimasto
marchiato
a vita. E non sul braccio, in bella mostra. Dentro,
nell’anima.
Quello era un marchio che il fratello maggiore gli aveva impresso col
fuoco, sin da quando erano bambini.
Silenzio.
E poi:
-
Hai ragione, Reg. Non mi fido di te…
|
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Capitolo 2 *** Capitolo primo ***
Quando
Albus Silente, poche ore dopo, si smaterializzò da Hogsmeade
a
Godric’s Hollow non sapeva ancora a cosa sarebbe andato
incontro. E
questo per il suo orgoglio era al pari d’uno smacco. Il
doversi
muovere senza un piano già ben delineato in mente continuava
a far
avvampare in lui l’agitazione. Eppure, appena giunto di
fronte la
casa dei Potter, non poté far altro che fermarsi e guardarsi
intorno.
Quel
posto. Quel maledetto posto non gli consentiva di essere sereno. Un
vento gelido e carico di ricordi gli sferzò il viso,
proiettandovi
una lunga e malinconica ombra.
Per
un attimo gli parve di sentire una risata acuta, femminile, in
lontananza. Di questo, così come succedeva ogni volta che
metteva
piede a Godric’s Hollow, si vergognò moltissimo.
Scrollò
lievemente la testa, pensando a quanti ricordi avrebbe stipato nel
Pensatoio, una volta tornato al suo ufficio, per liberarsi di quella
pressione che lo stava opprimendo da dentro.
Attese
una manciata di secondi, cosicché tutta quella nostalgia lo
liberasse dalla morsa, poi richiamò a sé la sua
più consueta
lucidità e bussò delicatamente alla porta dei
Potter.
-
Buonasera Lily. Buonasera James. O dovrei dire meglio quello che
rimane di questa sera. Ho ricevuto il vostro gufo urgente e non ho
atteso oltre per venire a farvi visita.
-
Ha fatto bene, professore. La ringrazio per la sua
tempestività ma
la situazione la necessita, venga le faccio strada. - James si mosse
immediatamente dopo aver terminato la frase, conducendo il preside
della scuola nel loro soggiorno. Al centro della stanza, seduti a
terra e poggiati schiena contro schiena, c’erano i fratelli
Black.
Quando li mise a fuoco, da dietro le lenti a mezzaluna, Silente
sentì
salire un groppo alla gola. Si accorse subito che uno dei due era
incatenato con la magia e che l’altro invece lo stava
fissando con
il suo solito sardonico ghigno.
-
Questo cane di mio fratello ha deciso di farsi vivo proprio stasera,
professore. - proferì Sirius rompendo quel momento di
studio.
Regulus, dal canto suo, non alzò nemmeno lo sguardo verso il
suo
vecchio preside, fissando un punto tra i suoi piedi con un tale
insistenza che mal celava il suo imbarazzo.
-
Buonasera Sirius. E buonasera Regulus.
-
Salve professore. - fu la risposta del più piccolo dei
Black, pur
continuando a nascondere il suo sguardo.
-
Sirius, James, Lily. Posso parlarvi un momento in privato?
I
membri dell’Ordine si spostarono tutti insieme verso la
cucina,
lasciando Regulus lì dov’era incatenato. Quando
furono soli e
chiusi all’interno della stanza, il preside
continuò:
-
Devo chiedervi una cortesia. Vorrei avere modo di parlare con Regulus
da solo.
-
Certo professore, non c’è alcun problema.
-
Ottimo. Ora, cosa sta succedendo precisamente?
Fu
Sirius a rispondere ai quesiti del vecchio professore, ridacchiando
con quel suo modo di fare sempre pieno di ironia.
-
Vuole sapere che sta succedendo, professore? Quello sciocco di mio
fratello si è presentato qui poche ore fa, chiedendo aiuto e
protezione da Lord Voldemort perché pare che stanotte
l’abbia
tradito. Tutto questo millantando d’averci portato un pezzo
dell’anima del suo Signore.
Con
un rapido movimento della mano, Sirius fece penzolare il medaglione
davanti gli occhi del professore. Alla vista di
quell’oggetto,
Silente aggrottò le sopracciglia dimostrando tutto il suo
turbamento
in merito.
-
Magia oscura. Molto oscura. - disse poi stringendo il medaglione in
mano.
Ne
poteva percepire il potere, stretto nella morsa delle sue dita,
talmente forte da ricordargli una vecchia magia su un libro della
sezione proibita di Hogwarts. Mai avrebbe pensato, neanche nelle sue
più recondite fantasie, che qualcuno sarebbe stato in grado
di
replicarla. Era sbigottito, furente e allo stesso tempo con il morale
a terra. Quello era solo l’ultima conferma che riceveva su
Lord
Voldemort e su ciò che era intenzionato a fare. Un ultimo
fallimento
per lui, che in fondo qualche speranza di redimerlo la nutriva
ancora.
-
Perdonatemi, è giunto il momento che conferisca con Regulus.
Con
quella frase Silente sancì la fine di quella breve riunione
dell’Ordine improvvisata, lasciando loro il tempo di salire
al
piano di sopra e chiudersi in una stanza, così che lui e il
giovane
Mangiamorte avessero l’intimità richiesta dal
preside.
L’anziano
professore si portò davanti al ragazzo, e gli sorrise con il
suo
solito fare benevolo prima di iniziare a parlare:
-
È molto tempo che non ci incontriamo, Regulus. Devo dire che
non ho
mai abbandonato le speranze di rivederti dopo che lasciasti Hogwarts.
Con
un movimento della bacchetta lo liberò dalle sue catene, un
gesto
così repentino e inaspettato che portò il giovane
a cadere carponi
sul pavimento ancor prima di riuscire a realizzare d’essere
libero.
Con il suo modo di fare calmo e placido, questi
s’alzò lentamente,
scrollandosi la polvere dai lunghi abiti neri.
-
Sono lieto di rivederla anch’io, professor Silente.
-
Non è un segreto che ponessi aspettative molto alte sulla
tua
persona, sin da quando varcasti la soglia della scuola e devo dire
che, sia da studente che da cercatore, le hai sempre rispettate
portando onore alla tua antica famiglia.
-
Professore, non c’è bisogno di essere
così zelanti. Capisco che
in questo momento voglia farmi capire che posso fidarmi di lei ma le
assicuro che non ce n’è bisogno, altrimenti non
sarei qui ora.
Il
volto del preside si sollevò di un paio di centimetri,
l’unico
gesto che tradì la sua sorpresa nel sentire quelle parole
così
piene di sagacia e brillantezza. Nonostante fossero trascorsi
soltanto tre anni, aveva dimenticato quanto Regulus si fosse sempre
distinto nella sua scuola per intelletto durante tutto il periodo in
cui vi aveva soggiornato. O meglio, non l’aveva completamente
dimenticato ma fu comunque piuttosto stupefacente poterne avere
un’ulteriore riprova così concreta.
Gli
sorrise in risposta.
-
Sai bene quanto io ami la diplomazia e i convenevoli, e sai
altrettanto bene quanto possa farmi sinceramente piacere rivederti
questa sera. Per quanto inaspettato e spaventoso, è comunque
un
lieto evento. Ti spiacerebbe, dunque, spiegarmi le vicende che ti
portano qui?
Per
un momento, solo un momento e niente di più, Regulus
diffidò di
quelle parole. Gli sembrò troppo semplice. Poteva essere
così? Era
la fine delle ritorsioni per le scelte che aveva intrapreso in
gioventù? Niente catene e Veritaserum?
Fu
il suo istinto a rispondergli, quel vecchio mago l’aveva
avuto
sotto gli occhi per sette anni, quelli che l’avevano portato
al
cospetto del Signore Oscuro, eppure non aveva mai manifestato il suo
dissenso per le oculate scelte del suo percorso. Anzi, per tutto quel
tempo aveva sentito il sostegno di Silente come vento a favor di
vela, per quanto sapesse che i lidi che verso cui navigava il giovane
Regulus erano oscuri.
-
Dunque è così, professore. Lei continua a fidarsi
di me.
-
Perché non dovrei farlo, Regulus. Come hai detto tu poco fa,
altrimenti per quali motivo saresti qui? Per tradirci e consegnarci
tutti a Voldemort? No. Di questo sono certo. Ho sempre visto in te
ben oltre il buio e, per quanto apparisse fioca e oscurata, so bene
che in te c’è ancora tanta luce che vuole
emergere.
Lo
fece trasalire. Gli anni trascorsi nell’ombra e gli eventi di
quella notte l’avevano forgiato, ma non era minimamente
pronto a
quel tipo di trattamento. Finalmente, dopo tanto tempo, si riaccese
una scintilla in Regulus.
-
Sa professore, quello che ho fatto stanotte non è altro che
il
frutto d’un pensiero che cresceva in me da tempo. Non ho mai
avuto
il tempo di ragionare su ciò che stessi facendo
poiché v’era
sempre qualcuno a dirmi quello che dovevo fare. Prima mio padre. Mia
madre. Tutta la mia famiglia. Fino a giungere al Signore Oscuro.
Eppure… eppure non ho mai sentito mia la figura che mi
è stata
cucita addosso. Regulus, il figlio perfetto prima e il servitore
devoto poi. Cominciai a domandarmi se era questo effettivamente il
ruolo che desideravo, mentre tutt’attorno a me non vedevo che
morte
e sofferenza. Non posso dirle di quali atroci crimini sono macchiate
le mie mani, tutto per render merito a quelle stesse persone che,
mentre mi lusingavano, chiedevano sempre di più. Sono
stanco,
professore. Esausto. E quando questa sera ho visto Kreacher…
beh,
non sono più riuscito a resistere.
-
Cosa gli è successo?
-
L’aveva abbandonato. Lì. In quella grotta a
morire. Solo per
mettere alla prova le difese ch’egli stesso aveva pensato per
quello stupido medaglione. - ruggì l’ultima frase,
Regulus,
scattando in avanti con i nervi a fior di pelle. Inspirò
rumorosamente con la bocca, poi, e ad occhi chiusi. Quindi riprese: -
Non è che una pedina nelle sue mani. Così come lo
sono io. Non
potevo più accettarlo così gliel’ho
rubato, sostituendolo con un
falso, e sono fuggito insieme a Kreacher.
Fu
interrotto bruscamente da un singhiozzo che ruppe il silenzio nato da
quell’ultima frase. Un colpo. Poi un altro. La porta del
piccolo
ripostiglio presente nel soggiorno tremò e fece
scricchiolare i
cardini.
Silente
levò la bacchetta in quella direzione, puntandola
direttamente verso
la sorgente di quei tonfi secchi. Per lo stupore di entrambi i maghi,
questa però s’aprì lentamente,
cigolando e rivelando al suo
interno un elfo domestico.
-
K-Kreacher non è degno. Non è che lo sporco di
un’unghia di
padron Regulus. - singhiozzava rumorosamente mentre lacrime copiose
gli bagnavano il viso. Una testata alla porta del ripostiglio la fece
vibrare di nuovo, dando una ragione ai colpi che prima avevano
riempito l’aria del soggiorno. Ripresosi immediatamente dalla
botta, l’elfo ricominciò a piangere e a lagnarsi:
- Kreacher non
merita l’amore del padrone! Padron Regulus ha rischiato la
vita per
Kreacher! Padron Regulus sta rischiando la vita per Kreacher!
Prima
che l’elfo domestico potesse riprendere a testate la porta
del
ripostiglio, il giovane Black levò una mano nella sua
direzione e lo
interruppe:
-
Fermati. Ti prego, Kreacher. Fermati.
-
Voi non capite padrone, Kreacher non è che un sudicio elfo
domestico
del padrone. Kreacher deve punirsi.
Regulus
approfittò di quel momento di pace per avvicinarsi
all’elfo, per
poi chinarsi sulle ginocchia per poterlo guardare più da
vicino.
-
Tu non devi punirti, Kreacher. Se non fosse stato per te io sarei
già
morto. E tutto questo perché non ti sei limitato a essere un
semplice elfo domestico. No. Se fosse stato semplicemente
così
avresti obbedito ai miei ordini e a quelli di Lord Voldemort. Invece
tu hai fatto molto di più, amico mio, tu mi hai salvato.
A
quelle parole, Kreacher spalancò la bocca e
sembrò paralizzarsi
come sotto gli effetti di un Pietrificus Totalus, poi levò
uno
stridio acutissimo ed esplose in un pianto convulso, cercando di
nascondere il volto con le mani. Crollò in ginocchio,
esasperato
dalla commozione che ne stava scuotendo il corpicino.
-
NON È DEGNO! KREACHER NON È DEGNO! -
cominciò quindi a strillare,
prendendo la rincorsa per un’altra testata alla porta del
ripostiglio. Fu la mano di Regulus sulla sua ossuta spalla ad
arrestarne la corsa.
-
Non è vero, Kreacher. Sono io a non essere degno di te. Ti
chiedo
scusa per quello che ti ho fatto passare stanotte ma ti prego
smettila di dire così. Che ne dici se la smettiamo entrambi
con
questa storia degli indegni e ricominciamo daccapo, eh? Come una
coppia di vecchi amici che non si vede da un po’.
Terminò
la frase accompagnandola con il palmo della mano destra aperta, a
volerla offrire a Kreacher così da suggellare una resa che
potesse
recare pace a entrambi. Le condizioni erano semplici: le scuse
dell’uno per aver attentato alla vita dell’elfo
domestico, e
quelle dell’altro per la reazione che aveva avuto a trovarsi
sullo
stesso piano del padrone.
La
mano di Kreacher strinse quella di Regulus, bagnandola delle stesse
lacrime che gli coprivano il viso.
-
Ora fammi un favore, raggiungi Sirius e gli altri di sopra. Quando
avrò terminato la conversazione con il professor Silente
verrò a
chiamarti.
-
Sì, padron Regulus. Tutto quello che vuole il padron
Regulus. Anche
se Kreacher dovrà condividere la camera con padron Sirius,
Kreacher
lo farà per padron Regulus.
Gli
scappò una risata. Quegli ultimi istanti erano stati
così forti che
Regulus non riuscì a trattenersi. Erano anni che non si
sentiva
così.
Osservò
l’elfo domestico corre fino alle scale e solo allora
incontrò
nuovamente lo sguardo di Silente.
-
Visto? Tanta luce da illuminare una stanza. - gli disse con il suo
solito tono paterno.
Fu
in quel momento che il giovane Black sentì montare un groppo
in
gola, gli occhi si offuscarono per il velo di lacrime che
l’aveva
inumiditi e dovette impegnarsi notevolmente per restituire un
singhiozzo al suo petto che minacciava di farlo prorompere dalle
labbra.
-
Voglio essere sincero con te, ragazzo. Sei una posizione difficile.
Da una parte c’è la coscienza del gesto che hai
commesso stanotte,
le conseguenze che ti tormenteranno d’ora in poi e una vita
da
braccato, esattamente come quella di tuo fratello. Dall’altra
però,
permetti che sia io a gettare un po’ di luce sulle ombre che
ti
attanagliano in questo momento. Se guardi bene, sai che non sei solo,
per quanto tu possa sembrarlo e sentirti così. Tutto
dipenderà da
cosa deciderai di fare stanotte, io non ti fermerò
né ti incatenerò
così com’è successo poco fa ma sappi
che se sceglierai di tornare
al cospetto di Lord Voldemort, sarai tu il carceriere di te stesso.
-
No, professore, non lo farò. Sono qui per restare.
-
Bene. Ciò mi rende sinceramente felice, Regulus. Ora,
tornando a
noi, ti spiace raccontarmi cos’è successo oggi?
Lo
fece. Gli raccontò tutto. Per filo e per segno. Di come Lord
Voldemort gli aveva chiesto in prestito Kreacher, di come
l’avesse
usato per mettere alla prova le difese al medaglione, del lago buio,
della barca, dei corpi morti che aveva scorto nell’acqua,
della
pozione e infine di com’era giunto lì.
Silente
rimase ad ascoltarlo senza proferir parola fino alla fine. Poi lo
guardò negli occhi e sollevò quello stesso
medaglione davanti a
lui.
-
Quindi anche tu pensi ciò che avevo immaginato io. Un
Horcrux.
-
Sì, professore.
-
Puoi attendermi un minuto?
-
Certamente.
Silente
salì le scale e sparì dalla vista di Regulus per
un minuto, quando
riapparve non era più solo. C’era Sirius con lui.
Questi lanciò
una lunga occhiata al fratello, per poi smaterializzarsi in una
frazione di secondo.
-
Devo chiederti di avere un ulteriore momento di pazienza. Ho fatto
mandare a chiamare una persona per avvalermi dei suoi servizi di
consulenza.
Regulus
annuì semplicemente, riservando al silenzio la risposta.
L’attesa
non fu lunga, una manciata di minuti dopo Sirius riapparve al centro
del soggiorno e con lui c’era un altro uomo.
-
Regulus, ti presento un vecchio amico e un Auror formidabile, Frank
Paciock.
-
Ci conosciamo già, Albus. Ci siamo incontrati più
di una volta in
questi ultimi anni, vero Regulus?
-
È un piacere rivederti, Frank.
I
toni freddi di quella brevissima conversazione facevano perfettamente
trasparire i motivi per cui si erano incontrati negli ultimi tempi.
Difatti, questo era accaduto solo durante gli scontri tra Auror e
Mangiamorte e Frank godeva di una certa popolarità tra
quest’ultimi.
Ovviamente, non in senso positivo, anzi. Troppe volte il suo nome
passava di bocca in bocca tra i Mangiamorte quando v’erano
nuovi
arresti tra le loro fila.
-
Frank, ti chiedo scusa per averti buttato giù dal letto a
quest’ora
ma mi piacerebbe che tenessi in custodia quest’oggetto e che
lo
studiassi per me. Qualora dovessi avere novità interessanti
in
merito ti prego di contattarmi con una certa celerità.
È una
questione di vita o di morte. - disse l’anziano professore
con tono
solenne continuando a fissare il medaglione, come se il suo sguardo
venisse magneticamente attratto da esso.
Il
signor Paciock si esibì in un accenno di inchino, quasi a
voler
sottolineare l’influenza che il vecchio professore avesse su
di
lui, poi prese il medaglione e lo infilò in una tasca del
mantello.
-
Quanto a noi, Regulus. Sono certo che tu convenga con me che
l’ipotesi migliore in questo momento sia evitare di palesare
la tua
fuga al Signore Oscuro, per cui ti chiedo di tornare a casa e
dimenticare questa notte, per il momento.
-
Ma professore…
-
Credo che questa sia la soluzione migliore per il momento, domani
stesso ti invierò un gufo per dirti cosa fare nei prossimi
tempi.
-
Ma…
-
Dobbiamo trovarti un posto sicuro dove stare e senza arrecare
disturbo a nessuno.
-
No.
Finalmente
Silente arrestò il suo passo, stava continuando a camminare
avanti e
indietro per il soggiorno, una vecchia abitudine che l’aveva
sempre
aiutato a pensare. Eppure dovette fermarsi. Quel no lasciato a
mezz’aria si sposava perfettamente con
l’espressione di negazione
di Regulus.
-
Non mi sono sottratto a una scacchiera per divenire una pedina su
un’altra. Non ho alcuna intenzione di arrecare disturbo a
nessuno
di loro ma neanche voglio passare il resto della vita a nascondermi.
Nuovamente
silenzio nella stanza.
-
E quindi cosa vorresti fare? - si decise a chiedergli Sirius con il
viso dipinto di nuovo da quel sardonico sorriso.
-
Non lo so… non lo so proprio.
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Capitolo 3 *** Capitolo secondo ***
Erano
trascorse due settimane.
Quattordici
lunghissimi e interminabili giorni di cattività.
Si
era dovuto arrendere alla volontà di Silente, alla fine.
Regulus era
tornato a Grimmauld Place, nascondendosi alla vista degli altri maghi
per poter evitare che Lord Voldemort potesse avere qualsivoglia tipo
di sospetto. Ma il Signore Oscuro non dubitava mai di sé
stesso e di
sicuro non era in cerca di nessuno; in fondo, il ragazzo, era servito
al suo scopo e non doveva svolgere altre mansioni. Almeno per il
momento.
Non
era che un pezzo sacrificabile su quell’oscura scacchiera.
Niente
di più.
E
così i giorni nella vecchia casa trascorrevano in copia,
divenendo
l’uno il rotocalco dell’altro. La tensione era
palpabile in lui,
specialmente per via della presenza di Sirius in casa. Se Walburga
l’avesse scoperto si sarebbe aperto l’inferno
lì, così il
ragazzo era costretto a passare la maggior parte del tempo in forma
di cane, cercando di evitare la stanza in cui la madre passava la
maggior parte del tempo. Il suo zampettio in giro per la vecchia casa
rischiò più e più volte di farlo
scoprire, ma i due fratelli
avevano un insospettabile alleato: Kreacher. L’elfo
domestico,
difatti, cercava di celare la presenza di Sirius e copriva
così ogni
più piccola traccia che potesse tradirlo.
Insomma,
se il tempo avesse potuto essere misurato con una clessidra, in quei
giorni ogni granello di sabbia sarebbe apparso come un vero e proprio
macigno. Isolati dal resto dell’Ordine, senza nessuna notizia
riguardo il medaglione o altro, i loro animi si stavano tendendo come
corde di violino.
Regulus
passava le giornate con la testa negli antichi tomi di magia della
famiglia, cercando d’apprendere quante più
informazioni fosse in
grado d’incamerare in quella condizione di confusione
generale. Non
c’era momento in cui non pensasse alle scelte che aveva fatto
nella
vita, comprese le ultime che l’avevano recentemente riportato
in
quella gabbia. Cresciuto all’ombra delle pressioni che la sua
famiglia gli aveva sempre fatto, plasmato sulle loro aspettative e
plagiato da quelli che erano i loro ideali. Eppure non si era mai
sentito completamente parte di quell’esercito. Insomma, in
pochi
giorni gli aveva voltato le spalle, ritrovandosi un elfo domestico
come amico. E ciò il Signore Oscuro non l’avrebbe
mai tollerato,
l’avrebbe presa senza dubbio come un inquinamento
d’una razza
superiore, quella dei maghi purosangue.
Era
stato così istintivo, come atto, prendere le parti di
Kreacher
quando l’aveva visto tornare a casa in quelle condizioni.
Ciò non
aveva fatto altro che crepare il solido muro di convinzioni che
Regulus aveva cercato di edificare in quegli anni, comprendendo
quanto in realtà fosse fragile e come questo celasse le sue
reali
convinzioni. Ribadendo più e più volte, nei suoi
pensieri, la
parola “sue” perché la prima volta
riusciva a sentirsi sé
stesso.
Aveva
aperto gli occhi.
E
non voleva tornare a chiuderli.
Anzi,
voleva guardarsi quanto più possibile dentro per scoprire
ciò che
aveva nascosto fino a quel momento.
Al
tempo stesso, però, non faceva altro che incolparsi di tutti
quegli
anni passati all’ombra delle proiezioni della sua famiglia
prima e
dei suoi compagni Mangiamorte poi. E questo tarlo continuava a
corroderlo da dentro. Persino i tempi della scuola ora gli apparivano
diversi, quando aveva sempre guardato agli altri dall’alto
verso il
basso. Specialmente quel fratello maggiore che ora era costretto a
badare a lui per ordine di Silente.
Lo
stato d’animo del ragazzo era tormentato, in continua lotta
su due
fronti: ciò che era e ciò che era diventato.
Senza
contare la costante presenza del fratello maggiore al suo fianco, che
lo teneva d’occhio da vicino e s’assentava solo
raramente per
partecipare alle riunioni dell’Ordine e per ricevere le nuove
direttive in merito alla loro condizione.
In
questo perenne bilico scivolavano i giorni, mentre Regulus cercava
d’affinare alcuni incantesimi che non avrebbe mai pensato di
dover
utilizzare. Ad esempio l’Incanto Patronum, dato che non aveva
mai
dovuto immaginare d’usarlo poiché i Dissennatori
erano da sempre
schierati con Lord Voldemort. Era persino riuscito a dargli una forma
corporea a forza di tentare.
Ma
quella condizionata prigionia continuava a innervosirlo, giorno dopo
giorno di più. Così, al tramonto del
quattordicesimo di questi, la
sua tensione era arrivata a un tal punto in lui da poter essere
contenuta solo grazie a innumerevoli sforzi.
Quando
finalmente calò la sera, Walburga si chiuse in camera,
lasciando a
Sirius la possibilità di tornare alla sua forma umana
così come
faceva ogni notte da quando erano arrivati. Era evidente quanto
anch’egli fosse provato da tutta quella faccenda, in
subbuglio
almeno quanto il fratello.
Fu
proprio quella sera che Regulus prese la sua scopa e, portandola in
spalla, tagliò il corridoio in direzione della porta
d’ingresso.
-
Dove pensi di andare? - fu la voce di Sirius e a fare da eco ai suoi
passi.
-
Sono stanco di star chiuso qui dentro, vado a farmi un volo qui
attorno.
-
Sai bene di non poterlo fare.
-
E dovresti essere tu a impedirmelo?
S’avvicinò
al fratello maggiore con fare di sfida, guardandolo direttamente
negli occhi. Senza distogliere lo sguardo, il maggiore dei due
annuì
lentamente prima di rispondere:
-
Certo, sono qui per questo.
-
Allora credo che dovrai impegnarti, io me ne vado. Non sono il vostro
prigioniero di guerra.
Le
mani sui fianchi di Sirius lasciavano intuire quanto fosse
contrariato in quel momento, calò lo sguardo solo per il
tempo di
scuotere la testa poi tornò a puntare i suoi occhi in quelli
di
Regulus.
Fu
una frazione di secondo. Ringhiò praticamente al pare
dell’animale
di cui assumeva le sembianze e poi portò le mani intorno al
collo
del fratello minore, facendogli sbattere la schiena contro il muro
che aveva alle sue spalle. Cominciò a sussurrargli, a meno
d’una
spanna di distanza dal volto:
-
Ascoltami bene, sono qui per farti da balia da due settimane. Per
colpa tua mi è stato tolto il mondo che mi ero creato
finora, quei
legami che tanto mi contraddistinguevano proprio da persone come te.
- l’ultima frase sibilò più delle
altre, frizionando l’aria –
Non ho nessuno intenzione di lasciarti andare e rendere tutto
ciò
inutile.
Fu
di nuovo un battito di ciglia, le mani di Regulus si strinsero
intorno al collo di Sirius, specchiando la situazione perfettamente
rispetto a pochi secondi prima. Stavolta fu il più giovane
tra i due
a parlare:
-
Ora ascoltami tu perché non mi ripeterò. Non mi
importa cosa tu
stia facendo qui, chi ti abbia detto di farlo o cosa stai rischiando
di perdere. Hai rischiato di perdere me così tante di quelle
volte
che ho perso il conto ormai e non ti è mai fregato nulla.
Cos’è?
Eri troppo impegnato a ribellarti per avvicinarti a tuo fratello?
Troppo Grifondoro per quello sporco Serpeverde? Credi che io non
ricordi come mi guardavi a scuola? Con sdegno, vergogna. Come se
fossi quella cosa che volevi tenere nascosta a tutti i tuoi
amichetti, eh? Non sono qui per farmi trattare in questo modo. Non ho
fatto ciò che ho fatto per essere di nuovo trattato di merda.
Rise,
Sirius. Continuando a sostenere lo sguardo del fratello che ora
distava pochi centimetri dal suo viso. Scoppiò a ridergli in
faccia.
E questo non fece altro che fargli ribollire il sangue nelle vene.
Un
pugno alla bocca dello stomaco mozzò la sua risata,
lasciandolo
senza fiato mentre si piegava su sé stesso. Ma fu solo per
una
manciata di secondi, poi riprese a ridere.
In
quel momento d’euforia immotivata, il tempo parve dilatarsi.
Quando
Regulus vide avvicinarsi la mano di Sirius gli parve di vedere il
tutto a rallentatore. Il pugno chiuso impattò con la sua
mandibola,
sbilanciandolo e facendolo cadere a terra. Il fratello più
grande lo
seguì immediatamente, a sua volta squilibrato dalla forza
che aveva
messo in quel colpo.
Entrambi
stesi su quel pavimento, l’uno al fianco
dell’altro, dopo un
breve momento di silenzio, non poterono far altro che scoppiare a
ridere insieme.
-
Sei cresciuto, fratello, e su una cosa devo darti ragione: io questo
me lo sono perso. Però non è assolutamente vero
tutto il resto di
ciò che hai detto. Non ti ho mai guardato con vergogna,
anzi. Sono
sempre stato preoccupato dall’influenza che mamma e
papà potevano
avere su di te, eppure sei sempre stato uno degli allievi migliori di
Hogwarts, un mago fantastico e persino un cacciatore talentuoso per
la tua casata. Ti sbagli, non era vergogna nei tuoi confronti. Mi
vergognavo di me perché, nonostante tutto, non potevo far
altro che
essere fiero di te. Ma da lontano, senza potermi avvicinare,
altrimenti avrei rischiato che bruciassero anche te
sull’arazzo di
famiglia. E io questo non lo volevo.
Non
riuscì a rispondere, Regulus. Il dolore che provava alla
mandibola
in quel momento non era nulla in confronto al fuoco che gli era
divampato in petto. Lui che aveva aspettato per anni un cenno
d’assenso del fratello, da cui s’era allontanato
senza volerlo,
ora si ritrovava a ridere con lui mentre questo gli confessava cose
che mai avrebbe potuto pensare vere.
E
sì che anche lui aveva sempre riposto stima in Sirius,
proprio per
via di quel coraggio che l’aveva assegnato alla casa di
Grifondoro,
quel coraggio che gli aveva permesso d’allontanarsi da tutte
le
influenze che erano sempre orbitate in casa, quel coraggio che gli
aveva permesso d’andarsene quand’erano
così piccoli da non
capire neanche che si stavano perdendo.
E
forse s’erano ritrovati.
A
discapito del rivolo di sangue che ora gli insozzava il mento e della
polvere che stavano prendendo stando lì in terra, Regulus
Arcturus
Black si sentì per la prima volta pulito. Puro.
-
Sono contento che tu sia uscito da quel cono d’ombra
– riprese
Sirius – per quanto tu ed io possiamo rischiare, sono certo
che ne
varrà la pena se ciò ci riavvicinerà,
fratellino.
Fu
una stretta al cuore, non avrebbe mai pensato di sentire parole del
genere pronunciate proprio lì, in quella casa da cui Sirius
era
fuggito senza mai guardarsi indietro.
Stettero
così per un po’, in silenzio, a guardare le assi
di legno del
soffitto e a ripensare a ciò che era successo loro in quei
pochi
minuti.
-
Ne sono certo anche io, fratello. - disse Regulus, poi
s’alzò di
scatto, portandosi subito sopra l’altro e tendendogli poi la
mano
per aiutarlo ad alzarsi. La stessa mano con cui l’aveva
colpito
pochi istanti prima.
Quando
furono entrambi in piedi, ognuno di loro si mise all’opera
per
togliersi la polvere che aveva indosso dopo quella caduta,
dopodiché,
un po’ a mezza bocca, il più piccolo dei due disse:
-
Toujour pur.
Sirius
notò che in quella frase, per la prima volta, non
v’era né odio
verso il prossimo né arroganza, la vide esattamente per
ciò che
era, il vecchio motto d’una famiglia che finalmente
s’apprestava
a cambiare.
-
Toujour pur. - rispose sorridendo e rifilando una sonora pacca alla
spalla di Regulus. - Ora andiamo però, non credo che tu
voglia più
fare quel giro in scopa.
-
Oh, giusto. Hai ragione, non ne ho più voglia. Anche
perché con i
pugni sono a posto così per stasera.
Intanto,
ad Hogwarts, Silente era impegnato a svuotarsi la mente per
l’ennesima volta durante quelle settimane. Il suo Pensatoio
ormai
brulicava di filamenti argentei, gli stessi che lui vi immergeva
delicatamente all’interno con la punta della bacchetta.
Era
notte fonda e ormai il castello era piombato in uno stato di silenzio
quasi assoluto.
Quando
la sua porta si spalancò con un sonoro schianto, egli
arrestò il
movimento placido in cui si stava producendo per far sì che
il suo
ricordo toccasse l’acqua.
-
Si può sapere cosa diavolo hai in mente, eh? - la voce di
Alastor
Moody tuonò all’interno della stanza, rompendo
quel silenzio che
vi aleggiava.
-
Buona sera a te, Alastor, mio vecchio amico.
-
Buona sera un corno, Albus, spiegami cosa sta succedendo.
Prima
di allontanarsi dal bacile, Silente finì il viaggio che
aveva
interrotto poc’anzi, portando quel ricordo al sicuro nel
Pensatoio.
-
Dimmi, cosa vuoi sapere?
-
Voglio sapere che diavolo stai architettando. Mi assento per una
missione importantissima e, al mio rientro, trovo un Paciock
diffidente che non sa se può rivelarmi informazioni che
invece avrei
dovuto sapere per primo. Che cos’è quel
medaglione, eh Albus? Di
che si tratta?
Il
vecchio preside prese un profondo sospiro, muovendosi con passo
leggero e cadenzato verso la propria scrivania, poi si sedette.
-
Prego, accomodati vecchio amico mio, gradisci qualcosa da bere?
-
No, ti ringrazio, gradirei sapere cos’abbiamo in mano.
Le
punte delle dita delle mani di Silente si congiunsero, mentre egli
bofonchiava messamente.
-
Ancora nessuno di noi lo sa, Alastor, ma posso garantirti che ognuno
di noi sta facendo il possibile per comprenderlo.
-
E allora perché non mi hai mandato a chiamare prima, eh?
-
Perché, come hai detto tu, eri irreperibile in quel momento.
In
realtà v’è anche un altro motivo ma per
il momento non posso
aggiungere altro, lasciamo che sia il tempo a giudicare se con
ragione oppure no.
-
Spiegami perché lo hai consegnato a Frank Paciock. Diavolo,
Silente,
sua moglie è incinta e tu decidi di esporlo così?
-
Non c’è motivo di preoccuparsi, Alastor. Frank e
sua moglie sono
due Auror eccezionali, motivo per cui ho pensato che
quell’oggetto
fosse al sicuro nelle loro mani.
-
Ma perché non portarlo qui e, soprattutto, perché
non mi hai
chiamato?
Un
secondo sospiro.
-
Ho pensato che Hogwarts sarebbe uno dei primi posti in cui il Signore
Oscuro verrebbe a cercarlo. E poi, non trovandolo, sarebbe passato a
farti visita.
-
Quindi hai deciso di condannare a morte quella coppia?
-
È evidente quanto tu tenda a sottovalutare due Auror
così esperti.
Proprio da te non me lo sarei aspettato, Alastor.
Con
quell’ultima frase, Moody parve zittirsi, zoppicando fino
alla
scrivania di Silente prima di prendervi posto.
-
Immagino che tu ti sia già fatto un’idea di cosa
abbiamo per le
mani, mi sbaglio? - domandò con una punta di
curiosità in bocca.
-
Effettivamente un’ipotesi è già stata
formulata... per quanto io
non voglia crederci, Qualora lo facessi vorrebbe dire che ci
troveremmo di fronte a un qualcosa di unico e inimitabile. Un
frammento dell’anima del Signore Oscuro.
-
Un Horcrux?
-
Esattamente.
-
Motivo in più per non mettere in mezzo la famiglia Paciock,
se
questa è l’unica ipotesi in merito è
terribile.
-
A chi altri avrei dovuto consegnarlo? Forse a te?
-
Beh, non avresti male.
-
No, hai ragione. Però vedi, Alastor, probabilmente abbiamo
tra le
mani l’oggetto più prezioso dell’intera
vita di Tom Riddle. Per
un attimo cerca d’immaginare d’essere nei suoi
panni, quale
sarebbe il primo posto in cui verresti a cercarlo?
Moody
zoppicò un po’ intorno alla stanza, rimuginando su
quella domanda.
-
Hogwarts, immagino.
-
Perfetto. Ora, conoscendo i membri dell’Ordine della Fenice,
se non
fossi io a custodirlo, a chi penseresti?
-
A me… - stavolta la risposta fu pressoché
istantanea e non ebbe
bisogno d’una riflessione precedente. Lo sguardo basso a
evitare
quello del preside.
-
Precisamente. Converrai con me che il posto più sicuro,
paradossalmente, è proprio quello dove ora si trova il
medaglione.
Di sicuro, come saprai, non è mia intenzione esporre Frank e
Alice a
futili pericoli, per questo l’intero Ordine è
allerta e sorveglia
un luogo speciale in cui li ho fatti scortare, di cui diverrai
proprio tu unico Custode Segreto. Lì Alice potrà
trascorrere le
ultime settimane di gravidanza in pace, in buona compagnia e comunque
sempre sotto gli occhi vigili di persone in cui ripongo la mia
massima fiducia.
-
Pare che, come al solito, tu abbia pensato a tutto.
-
Soltanto a ciò che posso, mio caro amico, purtroppo a tutto
non ci
arriverò mai.
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Capitolo 4 *** Capitolo terzo ***
Non
erano state due settimane facili per la famiglia Paciock. Affatto.
Anzi, erano stati quattordici giorni veramente terribili per loro,
simili a una bolla infernale in cui galleggiavano tentando di tenersi
a galla.
Rintanati
a Villa Conchiglia, un rifugio costruito da poco e messo a
disposizione dalla famiglia Weasley che poi era stata Obliviata per
motivi di sicurezza, con l’opportunità di
comunicare col mondo
esterno preclusa poiché l’unico a conoscenza della
loro posizione
era Alastor Moody.
Frank
stava letteralmente impazzendo cercando di venire a capo dei misteri
del medaglione che gli era stato consegnato. Ormai i giorni si
confondevano e perdevano i loro contorni mentre egli continuava le
sue ricerche su antichi tomi polverosi reperiti proprio da Albus
stesso. E più lui s’immergeva nelle arti oscure
per studiarle, più
l’oscurità attingeva alla luce ch’era in
lui, rendendolo ogni
giorno più scontroso e intollerante. Così Alice
aveva imparato a
lasciarlo in pace, girando a largo da lui in casa e cercando di
alienarsi e isolarsi quanto più possibile. In fondo la sua
condizione prevedeva l’assoluto riposo e, nonostante il
periodo,
lei cercava di rimanere tranquilla e serena. E intanto suo marito
aveva un tarlo che lo mangiava dentro, o forse un’intera
colonia,
corrompendolo sempre più e mettendo in dubbio ogni singola
sicurezza
che aveva consolidato nella sua vita.
Un
nugolo di domande s’erano librate nella sua mente come corvi
in un
campo di grano saraceno. L’accompagnavano in ogni momento
della sua
giornata, seguendolo, tormentandolo e non lasciandogli scampo. Mai.
Molto spesso capitava che, proprio questi dubbi, lo svegliassero nel
cuor della notte per poi rubargli il resto del sonno per non
restituirglielo più. Ormai le occhiaie violacee erano
diventate un
elemento fisso sul suo volto e la paranoia un elemento fisso nel suo
animo.
Continuava
a chiedersi cose che non avrebbe concepito mai, prima di quel
periodo, del tipo “Perché Alice dovrebbe volermi
al suo fianco?”
oppure “Che ci faccio io qui che non sono utile a
nulla?” e
ancora “Perché Silente ha affidato a me questo
medaglione invece
di studiarlo da solo? Non si rende conto che ci mette in pericolo
così?”. Cominciò lentamente a dubitare
persino dell’amore che
sua moglie provava per lui, mettendo in crisi quel rapporto
ch’era
sempre apparso solidissimo fino a quell’oscuro periodo. Non
riusciva a credere che lei potesse averlo scelto come compagno di
vita, poiché ogni volta che il suo sguardo incontrava una
superficie
riflettente egli si vedeva veramente orrido, rifuggendo ogni logica
comprensione che era stata il combustibile di quell’amore che
i due
s’erano sempre scambiati come promesse. Dubitava, ogni giorno
più
forte e con più insistenza. Finché i suoi dubbi
non fecero da
miccia a un’altra convinzione che si faceva, sempre con la
stessa
lentezza, largo in lui.
Il
figlio che sua moglie portava in grembo non era suo.
Continuava
a cercare una valida motivazione per convincersi del contrario ma
ogni tentativo gli pareva vano. Specialmente quando le sue
riflessioni si fermavano su quel Sirius. Giovane, aitante, bello e
dannato. Come poteva competere con lui? Con il passare dei giorni
cominciò ad avere vivide visioni dei loro corpi che
s’intrecciavano
in vari giacigli. Le dita lunghe e affusolate di Alice che
s’immergevano tra i capelli corvini del ragazzo. Ogni volta
era un
colpo al cuore, un conato di vomito che s’affacciava in bocca
per
venir lì soffocato.
Era
un Black.
Ne
era sicuro.
Il
bambino che stava crescendo in Alice era un Black.
I
pugni stretti in tasca e il livore in volto cominciarono ad essere
suoi fedeli compagni, almeno quanto quegli adulteri rapporti che si
consumavano ogni volta che Frank chiudeva gli occhi, nel suo traviato
immaginario.
Fantasie
dolorose, interrotte solo dal suono della risacca del mare. Scuoteva
la testa, come a volerle cacciar via, ma quelle rimanevano
lì,
impresse a fuoco nei suoi occhi seppur non l’avessero mai
viste.
Scuoteva
la testa, fino a farsi venire le vertigini. Ma quel maledetto Sirius
continuava a penetrare sua moglie, provocandogli fitte di disgusto e
ribrezzo anche per se stesso, ch’era in grado di immaginare
tali
scene.
Sia
chiaro, non che l’avesse mai visti in atteggiamenti sospetti
o
equivoci, ma il fatto che Alice stessa l’avesse definito un
“così
bel ragazzo” l’aveva fatto sragionare, portandolo
su binari da
cui rischiava di deragliare da un momento all’altro.
Alla
sera del quattordicesimo giorno, fu costretto a ritirarsi in
solitudine, poiché non riusciva a guardare Alice in volto
senza
immaginarla intenta a godere in un rapporto carnale con quel Black.
Fece una lunga passeggiata, dapprima sul bagnasciuga in modo da
sentire i piedi freschi toccati dalla schiuma dell’acqua che
s’increspava, per poi continuare sulle dune di sabbia dietro
il
cottage. Lì, si sedette a terra e cominciò a
riflettere mentre
giocherellava con le dita e il medaglione. Continuava a sfregarci il
pollice, come se volesse aprirlo, cosa che stava cercando di fare da
giorni ma senza alcun tipo di esito. Era stato un anatema per la sua
famiglia. Perché mai Albus Silente aveva deciso
d’affidarlo
proprio a lui? E perché, a contatto con la pelle nuda del
suo collo
ove lo portava sempre appeso, sembrava così vivo? Tanto che
pareva
pulsare alle volte. Maledisse il cielo, immobile e terso sopra la
sua testa, e cominciò a piangere. Il silenzio del luogo fu
spezzato
dai suoi singhiozzi, sempre più forti. Si
rannicchiò su se stesso,
lasciando che le lacrime cadessero dal suo volto e arrestassero la
loro caduta solo quando incontravano la sabbia.
I
suoi occhi, offuscati da quel salmastro velo di tristezza,
incontrarono un piccolo granchio che zampettava allegro nella notte,
magari in cerca di un po’ di cibo. Le chele spiegate lo
facevano
apparire piuttosto buffo in quella camminata laterale, mentre le
ombre della notte lo rendevano più scuro di ciò
che non era. Tanto
che il suo guscio apparì nero agli occhi di Frank. Nero.
Black.
Proprio come quel maledetto ch’ora cercava
d’usurpargli la sua
intera famiglia, ponendo in sua moglie il seme d’una progenie
nata
nel tradimento.
Puntò
la sua bacchetta e sussurrò, con un filo di voce, la parola
ch’era
una delle tre maledizioni senza perdono.
-
Crucio.
Rimase
lì, a guardarlo contorcersi e urlare per il dolore, strilla
d’un
animale innocente che però pagava il pegno della sua
vendetta.
L’osservò rannicchiarsi fino a diventare poco
più grande d’una
noce, proprio per via di quel male ch’egli gli stava
infliggendo.
Una coppia di lunghissimi minuti, in cui il pianto dell’uomo
si
tramutò in rabbia, mentre il povero granchio veniva
torturato e
liberato a ritmo alternato.
Quando
s’interruppe l’ultima volta, Frank pensò
che se quel piccolo
essere avesse avuto un qualche tipo di senno l’avrebbe perso
per
via di quell’acuto dolore che finora s’era gustato
attraverso
quella macabra danza.
-
Sirius… - mormorò.
Per
quanto gli sembrasse d’essersi calmato, al solo pronunciare
quel
nome, tutta la furia gli avvampò nuovamente in petto, a
contatto con
il medaglione. Questo, come aveva già fatto in precedenza,
sembrò
cominciare a pulsare come un secondo cuore fuori dal suo sterno,
accelerando sempre di più il suo battito.
Un’idea
si fece largo nell’uomo. Un’idea che in tutta la
vita non l’aveva
mai neppur sfiorato.
-
Avada Kedavra!
Un
lampo verde si sprigionò dalla punta della bacchetta,
ponendo fine
alla vita di quel piccolo granchio che aveva avuto la sfortuna di
zampettare dalla parte sbagliata della spiaggia.
Il
medaglione arrestò il suo battito.
Frank
si ritrovò nuovamente solo.
E
in silenzio, di nuovo, riprese a piangere.
Regulus
e Sirius s’erano da poco accomodati in cucina, cercando un
po’ di
ghiaccio per alleviare il dolore dei colpi che s’erano
scambiati.
Agli
estremi del tavolo si scambiavano sguardi d’una ritrovata
intesa,
sorridendo a turno nel vedere le condizioni in cui versavano a causa
delle loro stesse mani.
Una
fragile alchimia che s’era costruita per la prima volta,
figlia del
primo periodo che non li vedeva più come figli unici intenti
a
ringhiarsi addosso come cani rabbiosi. No, finalmente avevano
cominciato a essere un po’ più fratelli di prima.
Entrambi
coscienti che quello era solo il primo passo d’una lunga
camminata
che l’avrebbe, forse, un giorno portati a fidarsi
l’uno
dell’altro. Quel dì era ancora lontano, tuttavia
iniziava a
profilarsi in lontananza, sul tramonto d’un sole bruciante di
diffidenza che andava a nascondersi dietro un orizzonte
d’indifferenza, forse per l’ultima volta.
Un
sorriso.
O
meglio.
Un
sorriso di complicità che era già molto di
più di quanto avessero
potuto sperare solo fino a qualche giorno prima.
Eppure
erano lì. A guardarsi di sottecchi con una punta
d’imbarazzo.
Eppure
erano lì e ad attestarlo c’erano i loro volti
tumefatti dalla
violenza repressa che s’erano sfogati l’uno addosso
all’altro.
Se
i loro genitori avessero potuto vederli in quel momento,
probabilmente, avrebbero dichiarato alto tradimento, urlando e
strepitando fino a diventare cianotici.
Invece
loro padre era morto l’anno precedente, conscio
d’aver lasciato
quantomeno uno dei suoi figli tra le file del Signore Oscuro di cui
tanto si riempiva la bocca fintanto ch’era in vita.
Ora
sarebbe inorridito, senza dubbio, nel vedere seduti ai capi opposti
d’un tavolo il suo più grande orgoglio e colui che
aveva gettato
onta e disonore sulla sua casata.
Dal
canto suo, invece, Walburga era troppo intenta a dormire sodo, a quel
tardo orario della notte, per prestar loro attenzione.
E
per fortuna loro, altrimenti le sue urla sarebbero riecheggiate per
tutto l’isolato senza lasciar scampo a tutti gli altri
residenti di
Grimmauld Place.
-
Sei stato veramente un folle…
Fu
Sirius a rompere l’incanto del silenzio tra loro.
-
Davvero? Veramente vuoi intraprendere con me questo discorso? Proprio
tu? Sirius Black? Quel Sirius Black? Quel Felpato che deve muoversi
nell’ombra poiché ricercato, vivo o morto, da
tutti i Mangiamorte
che abbiano mai toccato il suolo del mondo magico? Hai ragione, sono
stato veramente un folle ma di sicuro non ero l’unico. -
qualche
sprazzo di velenifero rancore passò tra i denti serrati di
Regulus
mentre rispondeva al fratello, ponendosi subito sulla difensiva con
istinti guerrafondai.
Sirius,
che di certo non s’aspettava una risposta del genere,
scoppiò a
ridere in maniera tanto improvvisa quanto genuina, al pari di quella
manciata di frasi.
-
Che lingua biforcuta. D’altronde, c’è il
sangue freddo d’un
Serperverde che ti scorre nelle vene. Non volevo rimarcare le scelte
che hai fatto in passato. Ormai sono acqua vecchia scorsa sotto un
ponte dal quale t’osservavo non riuscendo a comprenderti. No,
intendevo dire che sei stato un folle a sfidare il Signore Oscuro
così apertamente. Avresti potuto cercarmi e, insieme agli
altri
membri dell’Ordine, avremmo architettato un piano che non
avrebbe
messo a repentaglio la tua stessa vita.
-
Gentile e coraggioso da parte tua, fratello. Ma… vedi, -
Regulus si
sporse un po’ di più sulla sedia, poggiando i
gomiti sul tavolo
per avvicinarsi a Sirius così da potergli parlare
più intimamente –
non è che fossimo proprio nella condizione di cercarci prima
di
quella notte. Il mio è stato un gesto mosso solo dalla
disperazione
e, per carità, non lo rimpiango affatto. Anzi. Ma se non
fosse stato
per quella pozione maledetta io ora non sarei seduto a questo tavolo
a conversare con te. In fondo, se ci pensi bene, siamo a pochi passi
di distanza dall’arazzo di casa, ove il tuo nome non compare
più e
al suo posto vi è un bel buco annerito da fuoco e cenere. -
accompagnò quest’ultima frase con il movimento
d’un singolo
dito, l’indice della mano destra, leggero e fluttuante sotto
gli
occhi del fratello maggiore, indicando quasi svogliatamente quella
stanza in cui era rinchiusa la raffigurazione del loro albero
genealogico.
Non
rispose immediatamente, Sirius.
Sorridendo,
s’alzò dalla sua sedia e rimediò due
calici d’argento dalla
credenza della cucina, poi li riempì fino all’orlo
d’un liquore
forte e dal colorito ambrato. Ne posò uno di fronte agli
occhi
curiosi di Regulus mentre l’altro lo portò con
sé nel tragitto di
ritorno per il proprio posto a sedere che si premurò
d’avvicinare
quanto più possibile a quello dell’altro.
-
E allora brindiamo, fratello. Che l’aver svuotato quel bacile
di
disperazione a grandi sorsi ti porti poi a riempirlo di rinnovato
coraggio e future fortune. E cominciamo da qui, da questa sera. A
noi, Regulus. A una nuova versione della famiglia Black.
Levò
il calice, poi, attendendo una risposta che non
s’attardò ad
arrivare.
Sorrise.
Con un leggerissimo velo di lacrime ad appannarne lo sguardo per via
della commozione che provava in quel momento. Le parole che aveva
sibilato fino a quel momento lo avevano reso più vulnerabile
e quel
gesto così spontaneo l’aveva stupito.
Per
un attimo, finalmente, si sentì veramente a casa.
Più
di quanto non si era mai sentito in tutta la sua, seppur breve e
perigliosa, vita.
-
A noi, Sirius.
Il
tintinnio dei calici echeggiò su quelle vecchie mura che
facevano da
cassa di risonanza a quel momento.
Ma
proprio in quel momento, quelle stesse mura, cominciarono a tremare e
a scuotersi. Tanto forte che il tavolo e le sedie sotto di loro
cominciarono a ballare, facendo cozzare nuovamente le vettovaglie
argentate che stringevano in mano in quel momento e versando il
liquido in esse contenuto sul pavimento.
Una
voce femminile squarciò il velo di silenzio della notte.
-
BOMBARDA!
La
porta della cucina saltò dai cardini, volando a
mezz’aria prima di
cadere con un sonoro tonfo sul pavimento della cucina.
-
INCARCIFORS! INCANCIFORS! - nuovamente quella voce tagliò il
nuvolone di polvere che s’era alzato e da esso guizzarono due
lampi
argentei con forma di catene. In un attimo queste raggiunsero Sirius
e Regulus, legando e inginocchiando il più grande dei due in
una
posizione molto scomoda, mentre il secondo fu trascinato
finché
l’incantesimo non trovò il muro perimetrale al
quale parve
appendersi come se la catena vi fosse stata fissata da un enorme
chiodo.
Bellatrix
Lestrange varcò la soglia ormai divelta ad ampie falcate.
Per quanto
concitato fosse quel momento, Regulus, vedendola avvicinarsi
rapidamente, non poté non notarne l’innegabile
bellezza.
-
Che diavolo ci fai qui? - fece in tempo a dire Sirius, prima che la
cugina si voltasse verso di lui e muovesse la bacchetta con fare
secco e deciso.
-
Oh, stai zitto tu! Silencio!
Non
interruppe ne rallentò la sua inesorabile marcia neanche per
un
secondo, per con il volto a pochi centimetri da quello di Regulus.
Fece
scattare la mano libera dalla bacchetta, afferrandone saldamente il
mento tra le dita lunghe e affusolate.
Le
braccia tese dalle catene sopra la testa del ragazzo stavano
già
cominciando a dolergli ed erano rimaste nude poiché le
maniche della
veste gli erano scivolate sulle spalle, esponendo il Marchio agli
occhi di tutti.
-
Reg, Reg, Reg, Reg. Cuginetto mio. Si può sapere che
combini?
Giravano strane voci su di te e, con mia grande sorpresa, ti trovo in
compagnia di quel cane? Credo proprio che quelle vocette fossero
vere, dunque. - scosse la testa in segno di disapprovazione,
stringendo ancor di più le dita attorno al viso del giovane,
fin
quasi a farsi sbiancare le nocche.
Regulus
stava cercando di nascondere il terrore che l’attanagliava
dall’interno, era cosa piuttosto nota che sua cugina fosse
instabile e completamente imprevedibile. Se era lì voleva
dire che
Lord Voldemort aveva notato la sua assenza e che aveva inviato
qualcuno di sua fiducia a controllare. Maledisse Silente, digrignando
i denti affinché quell’imprecazione non sibilasse
fuori dalla sua
bocca. Come aveva potuto pensare che sarebbe stato al sicuro in
quella casa dove era così semplice trovarlo? La sola
presenza di
Sirius gli faceva dormire sonni tranquilli? Di sicuro non si era
rivelata un’idea così brillante viste le
condizioni in cui versava
in quel momento.
-
Non puoi capire Bella… - riuscì a far emergere,
infine, da
quell’acquitrino di paura in cui era immerso fino al collo,
cercando d’apparire quanto più calmo gli fosse
possibile.
-
No, non posso, hai ragione. Questo perché non sognerei mai
di
voltare le spalle al Signore Oscuro esattamente come hai fatto tu.
Non so cosa tu abbia combinato ma capisci che sono due settimane che
non ti fai vivo, vero? Poi per cosa? Per riabbracciare finalmente il
tuo fratellone e farti stringere forte tra le sue braccia?
Un
brivido lungo la schiena del ragazzo lo fece nuovamente trasalire.
Probabilmente, anche senza l’ausilio delle catene, sarebbe
stato
comunque paralizzato dal terrore che, in quel momento, gli stava
risalendo lungo la colonna vertebrale per presentarsi nei suoi occhi
sotto forma d’un vitreo sguardo senza direzione.
-
Rispondimi! - gli intimò Bella. Il tono piatto e sarcastico
aveva
lasciato il posto a un’increspatura nella voce che presagiva
rabbia
e collera.
Lui
non lo fece però, rimase in silenzio. Mutato come il
fratello, ma
senza l’ausilio d’una bacchetta.
Lei
s’avvicinò al suo volto, sfiorando delicatamente
le labbra di
Regulus con il pollice. Era ormai a meno d’un paio di dita di
distanza, tanto che il mago poteva sentirne l’odore dolce
della sua
pelle che tanto entrava in contrasto con quell’espressione
eternamente corrucciata che ella indossava sovente.
Troppo
lontana per poterlo considerare un bacio ma troppo vicina
affinché
il quadro che stavano dipingendo i loro corpi non potesse che venir
frainteso.
Quelle
braccia tese sopra la testa, le catene incantate attorno ai polsi e
la paura nel cuore. Eppure nulla gl’impedì di
fantasticare sulle
labbra di Bella che si schiudevano tra le sue.
Esattamente
com’era già successo in passato.
-
Ti concedo tre ore di tempo. Proprio come quelle che abbiamo
trascorso insieme in questa stessa casa. Poi verrò a
cercarti e sarà
per l’ultima volta.
Un
rapido movimento della bacchetta, Regulus fu di nuovo libero e a
Sirius venne restituita la parola.
Tuttavia
non ebbe neanche il tempo di evocare uno Schiantesimo,
poiché gli
occhi vitrei del fratello erano rimasti a fissare il vuoto ove Bella
si era appena smaterializzata.
Poi
verrò a cercarti e sarà per l’ultima
volta.
Quelle
parole riecheggiarono nuovamente nei suoi pensieri, prima che
riuscisse a sbattere le palpebre e realizzare che non era solo un
sogno ma bensì la realtà.
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Capitolo 5 *** Capitolo quarto ***
Per
prima cosa, Sirius, l’aveva condotto alla Stamberga
strillante.
Non
sapeva dove altro portarlo, sebbene per un attimo il pensiero suo
fosse volato direttamente verso Hogwarts, dove si sarebbero sentiti
entrambi protetti come negli anni della gioventù.
Ma
poi aveva pensato bene alle parole di Silente, aveva soppesato tutto
quel ragionare del preside e aveva convenuto con lui che quel gesto
avrebbe potuto segnare la prima mossa su una scacchiera volta alla
guerra.
No,
nella Stamberga lui ci aveva passato molto tempo da giovane, ne
conosceva ogni singolo anfratto ove aveva assistito alle
trasformazioni in licantropo d’un vecchio amico, e
istintivamente
gli era apparsa come un luogo sicuro.
Polverosa.
Buia.
Scricchiolante
anche solo al suono d’un passo.
Ma
sicura.
E
così ora i due fratelli si ritrovavano seduti a terra con la
testa
china, cercando di evitare lo sguardo dell’altro con dovizia.
Fu
lo stesso Sirius a rompere il silenzio.
-
Con Bellatrix, eh?
Silenzio.
Imbarazzo.
Regulus
per un attimo sentì avvampare le guance per via
dell’eccessivo
afflusso di sangue.
-
A tua discolpa posso dire che è veramente bellissima. Lo
è sempre
stata. Certo, ha dieci anni più di te ed è tua
cugina. Ma non posso
che ammirarti, fratello. Anche io ne fui rapito quand’ero
più
piccolo, cercando di spiare le sue curve sotto la veste quelle volte
che si fermava a dormire a casa nostra. Se non fosse che è
completamente pazza...
-
Lo so bene, Sirius. Mi ricordo come la guardavi. E sappi che quel
luccichio di follia nel suo sguardo è stato esattamente il
motivo
per cui mi sono avvicinato io, invece. Ho sempre avuto un debole per
lei, credo che questo l’avesse capito da subito. Ma lo sapevo
che
ogni volta ch’eravamo insieme non pensava a me. Bellatrix non
ha
che un amore: il Signore Oscuro. Tutto il resto le risulta utile
finché la intrattiene, poi quando l’annoia
l’abbandona come un
bambino troppo cresciuto lascerebbe andare il suo vecchio giocattolo.
-
Sei innamorato di lei?
La
domanda fu così repentina che Regulus non la
metabolizzò
immediatamente. Dovette trarre un profondo sospiro, reclinando la
testa in maniera da toccare il legno contro cui era poggiato con la
schiena. Raccolse i pensieri in un pugno, poi rispose:
-
Lo ero. Sicuramente. Appena compiuti i diciassette anni fu lei ad
avvicinarsi a me. “Per rendermi un uomo”, o almeno
così disse. E
io persi la testa per lei, completamente. Non facevo che pensarla,
struggendomi per ogni momento che passavamo divisi, senza neanche
sapere dove fosse. E, ogni volta, proprio quando arrivavo al punto di
lasciarla andare, compariva nuovamente per rafforzare le catene con
cui m’aveva fatto prigioniero. Ma mi resi conto molto presto
che,
mentre i miei pensieri tutti erano indirizzati a lei, i suoi non lo
erano mai. Neanche quando eravamo insieme. Neanche quando le
stringevo la mano per reclamarne le attenzioni. Era assente, con la
mente sempre rivolta al suo Signore. Sempre a fissare quel Marchio
Oscuro in attesa d’una chiamata. E così il mio
sentimento s’è
andato a spegnere lentamente, come un fuoco che non viene alimentato
se non soffiandovi sopra. Avvampa, sì. Ma è
destinato a dissiparsi
in pochissimo tempo.
Rise
Sirius.
Costringendo
il fratello a volgere lo sguardo verso di lui.
-
Sei saggio, Reg. Sei molto saggio. E io che mi preoccupavo per il mio
fratellino che intanto si divertiva così.
Anche
Regulus scoppiò a ridere, forse per quella battuta alla fine
o forse
perché, in fondo, avevano bisogno entrambi di farlo.
Per
un attimo il suo pensiero volò proprio a quello stile di
vita che
aveva dovuto condurre il fratello che ora era seduto davanti ai suoi
occhi.
Per
la prima volta si ritrovava nella condizione in cui Sirius aveva
vissuto per anni: reietto ai margini d’una famiglia che
neanche lo
considerava più parte di essa, fuggitivo dai Mangiamorte che
ne
pretendevano la testa su un vassoio d’argento,
nell’eco d’una
solitudine pronta a ricordargli i nomi delle persone che amava e per
cui si stava preoccupando e, infine, recluso lontano da tutti,
così
da potersi dire al sicuro. Vivo. Finché qualcuno non fosse
riuscito
a scovarli.
La
Stamberga, poi, non faceva altro che amplificare quello stato
d’animo
con le sue cupe ombre.
La
risata si spense in un sorriso malinconico.
E
Regulus si ritrovò a domandarsi se quello fosse il destino
della
casata dei Black.
Toujour
pur.
Se
lo ribadì a mente.
Ma
a che serve rinchiudere la purezza d’una risata, figlia
d’un
amore fraterno ritrovato, se poi nessuno può sentirla?
Quando
la sua porta si spalancò con sonoro schianto, Silente si
chiese se
non stesse vivendo il ricordo di pochi giorni prima.
Quella
sensazione di deja vu continuò per tutto il tempo in cui il
vecchio
preside seguì con lo sguardo Alastor Moody entrare nella
stanza.
-
Saggia decisione, Albus, veramente una saggia decisione quella di far
tornare i Black a casa. Me ne congratulo nuovamente, chissà
ora in
che mani saranno.
-
Buonasera Alastor, ormai vedo che entrare nel mio ufficio senza
neanche rivolgermi un saluto sta diventando una consuetudine. Posso
offrirti qualcosa? Una liquirizia?
L’occhio
dell’Auror scattò, come a voler fulminare il
professore per tutte
quelle moine con cui l’accoglieva ogni volta.
-
No, grazie. Preferirei essere aggiornato su quello che sta
succedendo.
-
Giungi proprio al momento giusto. Ho appena ricevuto un gufo che tu
stesso troverai molto interessante.
Un
piccolo pezzetto di pergamena passò tra le loro mani.
“Signor
Preside,
Le
scrivo per informarLa che RAB e Felpato stanno bene, per quanto gli
accalappiacani stiano mangiando terreno dietro di loro.
Si
sono rifugiati lì dove Lunastorta ha conosciuto il tintinnio
delle
catene.
Soltanto
i Malandrini sono a conoscenza della loro posizione, pertanto La
invito a mantenere estrema riservatezza sulla questione.
Ho
massima stima nei Suoi confronti e sono sicuro che riuscirà
a
cavarli d’impaccio.
Ramoso.”
Alastor
Moody fissò quella pergamena a lungo, cercando di
interpretarne il
contenuto, finché non perse la pazienza e sbottò:
-
Insomma che significa tutto questo, Albus?
-
Significa che i fratelli Black sono nei guai, per quanto ora possano
dirsi al sicuro. Dobbiamo trovare la maniera per nasconderli meglio.
-
Non potevamo farlo prima invece di dover correre ai ripari ora?
Perché hai voluto che tornassero a casa?
-
Perché così facendo gli occhi del Signore Oscuro
si sarebbero
focalizzati nella loro ricerca.
Vi
fu un momento di silenzio, poi Silente proseguì:
-
In questo modo Frank e Alice sono lontani dai suoi pensieri che ora
sono tutti canalizzati verso Regulus Black. Egli è in buone
mani,
quelle di Sirius, che per anni ha dovuto nascondersi nelle ombre per
poter sfuggire proprio a quegli occhi.
-
Quindi li hai usati come esche, è questo che mi stai dicendo?
-
Non proprio, vecchio amico mio. Ho soltanto fatto sì che
Regulus
avesse ciò che desiderava, ovvero liberarsi dal suo posto di
pedone
nella scacchiera del Signore Oscuro.
-
Solo per farlo schierare nei tuoi ranghi, non è
così?
-
Ti sbagli di nuovo. Ora egli ha facoltà di scelta,
sicché i
Mangiamorte ora conoscono le sue reali intenzioni. Egli può
tranquillamente scegliere dove posizionarsi e in che modo farlo,
è
mia intenzione difatti avere un colloquio privato proprio con lui
quanto prima. Tuttavia, vi è da tenere in considerazione che
ora
anch’egli è in uno stato di fuggitivo, ma
è una condizione solo
temporanea. E in fondo, dimmi Alastor, non è forse vero che,
in
questo preciso momento, lo siamo un po’ tutti?
-
Tu giochi troppo con la vita altrui, Albus, e prima o poi questo
finirà per macchiarti le mani di sangue innocente.
-
Le mie mani sono macchiate esattamente come quelli di tutti noi,
Alastor. E lo sono da anni ormai. Ciononostante sappi che sto
prodigando ogni singolo briciolo d’energia che ho in corpo
per far
sì di trovare ai fratelli Black una sistemazione degna,
così come
per i Paciock e per i Potter.
-
Riunirli tutti qui, proprio dove sarebbero più al sicuro, no?
-
Metteremmo a repentaglio centinaia di vite innocenti, lo sai bene.
Però devo dirti che solo gli stolti non cambiano mai idea,
vecchio
amico mio, e probabilmente prima o poi farai vacillare i miei
ragionamenti a tal punto che sarò costretto a darti ragione.
Anche
se questo significherebbe dichiarare guerra apertamente a Lord
Voldemort.
-
Sai perfettamente che nessuno dell’Ordine si tirerebbe
indietro,
Albus.
-
Sì, lo so bene, Alastor. Tuttavia sto facendo quanto mi
è possibile
per far sì che non venga versato altro sangue innocente,
proprio per
evitare che possa macchiare ulteriormente le mie vecchie mani.
L’Auror
si trovò ad abbassare la testa, cercando di ritrovare un
filo logico
a tutti quei pensieri colmi d’ira che ora gli affollavano la
testa.
-
Non appena Lily e Alice avranno partorito, potremo portarle qui ad
Hogwarts, sfruttando il periodo di vacanza degli studenti per
ragionare su una tattica adeguata e per fornir loro il riparo che
meritano. Alle madri tanto quanto ai figli.
-
Io… io spero solo che tu sappia cosa stai facendo, Albus.
-
Credimi amico mio, se lo sapessi davvero non avrei il Pensatoio
così
pieno. Ma posso assicurarti che sto facendo del mio meglio
affinché
tutti possiate ritrovare la serenità che vi è
mancata in questi
anni.
-
Lo spero, Albus. Lo spero.
Non
aggiunse altro.
Lasciò
lo studio del preside senza dire una parola in più, con il
suo passo
claudicante che si sentiva sempre più in lontananza.
Nel
silenzio ritrovato del suo studio, Albus Silente strinse un
po’ più
forte la bacchetta nella sua mano, rimirandosi le dita attorno
all’impugnatura.
-
Le mie mani sono
macchiate da anni
ormai. - ripeté
sotto gli
occhi dei quadri che ora lo scrutavano con curiosità. - E lo
saranno
per sempre.
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