Les Fleurs du mal

di workingclassheroine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Tulipa liniifolia ***
Capitolo 3: *** Viola tricolor ***
Capitolo 4: *** Dianthus caryophyllus ***
Capitolo 5: *** Paeonia ***
Capitolo 6: *** Freesia ***
Capitolo 7: *** Convallaria majalis ***
Capitolo 8: *** Protea cymaroides ***
Capitolo 9: *** Cyclamen ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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Prologo
 

Nella fitta rete capillare di Londra, ingarbugliato lì, quasi per caso, quasi un moscerino nella tela di un ragno, c'è un negozio di fiori.

L'insegna è così scolorita che nessuno, neanche il vecchio fioraio, riesce a ricordare cosa vi fosse scritto.

"Forse il nome del negozio, ma io non lo ricordo" confessa a chiunque abbia tempo e voglia di ascoltarlo, "È uno schifo, diventare vecchi". 

Il suo unico dipendente, Paul, gli dice che non importa.

Dice che i fiori hanno un loro linguaggio, in ogni caso, e che sarebbe irrispettoso imporre loro un'insegna scritta in una lingua che non capiscono.

Al povero vecchio questa spiegazione piace da morire, e se la fa ripetere ogni giorno per non scordarsela.

Paul sorride, e dopo averlo accontentato lo invita a ritornare al piano superiore, dove c'è il piccolo appartamento di Ben, rassicurandolo sul fatto che andrà tutto bene, davvero ci riesco a gestire tutto da solo, non preoccuparti, se ho bisogno ti chiamo.

E Ben dopo un po' accetta, titubante, e sparisce su per le scale. 

Ma non prima d'aver dato il buongiorno ai suoi fiori.

Arranca fra i vasi colmi e carezza piano ogni corolla, con la tenerezza e la dedizione di un padre affettuoso, ed è davvero convinto che questo piccolo rito contribuisca a rendere i fiori più felici, e quindi più belli e brillanti.

Paul non può dirlo ad alta voce, significherebbe ammettere di essere un po' fuori di testa anche lui, ma è d'accordo con Ben.

I germogli sembrano felici così, per quanto ne capisce, e anche loro.

A soli vent'anni ha passato così tanto tempo tra i fiori, Paul, che ne ha imparato perfettamente il linguaggio.

E ha dimenticato quello degli uomini.

Non gli interessa, poter vantare solo degli amici che seccano e inaridiscono con il passare del tempo.

Anche per le persone in fondo è così, gli dice ogni tanto Ben, solo che loro non ti abbandonano per dispetto.

Non ci si può arrabbiare, con una corolla che appassisce.

È un amore che non comporta alcun tipo di rischio, e questo va bene, questo non fa male. 

"Non ci perdiamo nulla" dice ogni tanto Ben "Credimi, non ci perdiamo nulla".

Non c'è neanche bisogno di spiegarlo, perché Paul è ormai rassegnato al fatto di aver dimenticato il linguaggio degli esseri umani, e la cosa non gli pesa.

 

Se non che, presto, John si rassegnerà al fatto di dover imparare quello dei fiori.


Note

Buon anniversario, John e Paul!
Ecco, dato che proprio non me la sentivo di abbandonarli senza festeggiamenti, dato che io non ho PER NULLA altre due storie in corso, e dato che Martina non mi ha MAI detto di non fare la pazza e non mettermi nei guai da sola, ecco, per tutti questi motivi HO PUBBLICATO UNA NUOVA STORIA. In mia difesa posso dire che non sarà lunghissima,e che cercherò di aggiornarla il più spesso possibile.
Vorrei ringraziare, come sempre, Fortuna che mi sostiene in queste mie pazzie e Martina che cerca di dissuadermi ma poi mi sopporta pazientemente. Vi amo!
Non voglio dire nulla riguardo la storia, per ora, ma mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, e se qualcuno mi terrà compagnia durante questa nuova avventura.
Un bacio a tutti!

PS: questo è Ben così come lo immagino io
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Capitolo 2
*** Tulipa liniifolia ***


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Tulipa liniifolia
 

Le dita lunghe e leggere di Paul lisciano la corolla stropicciata di una giovane rosa con la dolcezza di una madre che ravvia i capelli alla figlia prediletta.

"Cosa ti è successo?" mormora il ragazzo, dolce e pacato come un soffio di brezza, recidendo con attenzione una fogliolina secca dal gambo, "Devono averti molto maltrattata durante il trasporto, non è così? Sarai stanca". 

Lo scampanio che accompagna l'entrata di un nuovo cliente lo fa sussultare, e con un ultimo sguardo gentile al nuovo carico di fiori Paul si alza in piedi. 

Due ragazzi, non troppo più grandi di lui, si guardano distrattamente intorno, a disagio, e Paul si prende qualche secondo per studiarli, prima di fare un passo avanti.

Uno dei due, indiscutibilmente affascinante, si sfila gli occhiali da sole neri, appendendoli con un gesto automatico al collo della T-shirt bianca.

"C'è qualcuno?" chiede poi, con una voce cortese e decisa che spinge Paul a rivelarsi.

"Buongiorno, posso aiutarvi?" sorride gentilmente, togliendo i guanti da lavoro per stringere la mano dei due.

"Stuart" si presenta il giovane, prendendo la mano di Paul nella propria "E lui è John, un amico".

"Un amico che non ha la più pallida idea di perché è qui" precisa il suo accompagnatore, spostandosi accanto a Stuart e sottoponendosi finalmente allo sguardo attento e indagatore di Paul.

Una rapida occhiata all'espressione annoiata, ai terribili occhiali dalla spessa montatura nera e alla camicia bianca e costosa del ragazzo e Paul ha già deciso che no, non gli piace per nulla.

"Perché faresti carte false per il tuo migliore amico" gli ricorda Stuart, con un sorriso smagliante, per poi tornare a rivolgersi a Paul, "Per farla breve, ho litigato con la mia ragazza. Dei fiori potrebbero aiutare?".

Paul sorride, "Dipende. Quanto è arrabbiata?" chiede, ed è quasi sicuro che alle spalle dell'altro John abbia sorriso a sua volta. 

"Molto arrabbiata" ride Stuart, e si volta per incrociare gli occhi dell'amico con familiare complicità, "Ha bruciato le mie ultime due tele". 

"Stu ci lavorava da sei mesi" conferma John, con una smorfia divertita che gli ingentilisce per un attimo la voce e i lineamenti.

"È esatto" Stuart ride ancora, con la fiducia di chi crede che ogni cosa si sistemerà, "Ma io la amo da impazzire, e devo fare in modo che mi creda". 

Paul annuisce, e inizia a guardarsi attorno, concentrato nel tentativo di scegliere la composizione giusta.

"Un mazzo di rose rosse?" suggerisce, con un'occhiata affettuosa al gruppetto di steli che ha abbandonato poco prima.

"Scontato" commenta John, glaciale, prima ancora che Stuart possa rispondere.

Paul affonda gli incisivi nel labbro inferiore, tentando di mantenere la calma, ma la sua voce è ancora fredda e pungente quando chiede "Avete dei suggerimenti?".

"Prendi quelli, qualunque cosa siano. Sono belli" interviene John, indicando a Stuart un ampio mazzo di girasoli.

"I girasoli" e stavolta il tono di Paul è così velenoso che John alza un sopracciglio, incuriosito e divertito da quella reazione "Indicano un amore non ricambiato".

"D'accordo, i girasoli sono decisamente bocciati" interviene Stuart, rivolgendo un sorriso di scuse all'amico "Però è vero, Astrid non è il classico tipo da rose rosse. Vorrei qualcosa di speciale, per lei". 

Il tono accorato e dolce di Stuart è talmente sincero che Paul ne viene rabbonito all'istante, e con un sospiro fa scorrere nuovamente lo sguardo sui fiori.

"Ci sarebbe, forse-" accenna, sparendo per un attimo in mezzo alle proprie creature.

Quando riemerge, ha stretto al petto un esile vaso di plastica celeste da cui strabordano delicate corolle dorate. 

"Tulipani gialli" annuncia serenamente, facendo spazio sul bancone per posarli e lasciare che Stuart li ammiri "Ideali per una donna forte che si è chiusa in se stessa. Significano "c'è il sole nel tuo sorriso"" spiega, sorridendo all'aria convinta e soddisfatta del giovane. 

"Splendidi. Cosa ne dici, John?"

Gli occhi dell'interessato accarezzano i petali con studiata e lasciva lentezza, fino a posarsi sulle mani eleganti di Paul, che sorreggono prudentemente il vaso.

"Li adorerà. Sono biondi come lei" mormora distratto, spostando lo sguardo su Paul e sorridendo leggermente quando il giovane distoglie il suo, quasi irritato da quelle attenzioni.

"Siamo d'accordo allora" Stuart si sfrega le mani, "Venti possono andar bene?". 

"I fiori si regalano in numero dispari" gli ricorda John, attingendo alle poche reminiscenze rimaste dalle lezioni di galateo di Mimi, e di fronte alla perplessità di Stu anche Paul interviene.

"È vero. I numeri dispari sono indivisibili, come gli innamorati" spiega, rivolgendo a John un sorriso che gli fa naufragare la voce nello stomaco. 

"Allora ventuno" si corregge Stuart, di buon grado, e tira fuori il portafogli per pagare. 

Paul sorride anche a lui, e sceglie accuratamente i fiori da radunare nel mazzo, senza rendersi conto che John, ora, lo guarda incantato. 

La suoneria di un cellulare turba la quiete creatasi fra i tre, e dopo qualche borbottio di scuse e un'occhiata allo schermo Stuart molla il portafogli in mano a John.

"È Astrid" si giustifica, preoccupato e speranzoso insieme, ed esce in tutta fretta dal piccolo locale.

John sospira, divertito, e torna a voltarsi verso Paul, che solleva automaticamente lo sguardo verso di lui.

"Qualcosa non va?" chiede, candido come un giglio, e al cenno di diniego di John torna a lavoro, scegliendo le piante più indicate per la composizione finale. 

John osserva con attenzione le lunghe, lunghissime dita di Paul che intrecciano ai tulipani delicati germogli grondanti piccole corolle bianche e rami di quello che, non ne è certo, potrebbe essere alloro, e senza rendersene conto schiude le labbra, pronto a parlare. 

"E dimmi, a te piacciono gli uomini o le donne?" 

Nel momento in cui la domanda lo raggiunge, Paul, lontano anni luce dal disagio che John si aspetterebbe, sorride, sinceramente divertito.

"A me piacciono i fiori" 

Ma John, questo il giovane è riuscito a capirlo, non è davvero tipo da lasciar perdere, così non si sorprende più di tanto quando lo vede posare i gomiti sul bancone, gli occhi ancora piantati nei suoi. 

"I fiori maschi o i fiori femmine?"

Paul arriccia appena il naso, "Ad esempio?"  

"Ad esempio, le rose sono fiori femmine, i tulipani sono fiori maschi"

"Da cosa lo deduci?" 

"Dall'articolo"

Paul sorride di nuovo, e completa il mazzo con un grande fiocco bianco, "Sono cinquantasei sterline".

John sbuffa, più divertito che infastidito, e inizia a rovistare nel portafogli di Stuart.

"Non mi hai risposto" gli fa notare, lasciandogli cadere in mano la cifra richiesta.

"No, infatti. Arrivederci" 

"Potrei tornare per avere risposte" lo avverte John, restio a lasciare la soglia del negozio. 

Paul sorride, ancora.

"Correrò il rischio".


Note

Sono tornata! (Più presto del solito, mi sto comportando veramente molto bene).
Sono felicissima del fatto che la storia vi stia piacendo, e ora che siamo arrivati alla storia vera e propria posso spiegarvi un po' quella che sarà la struttura: ogni capitolo avrà il nome di un fiore, il cui significato sarà spiegato durante il capitolo. Iniziamo con il tulipano (giallo, per essere precisi), con questo colore, appunto, il significato è "C'è il sole nel tuo sorriso".
Riuscite a indovinare quale sarà il prossimo fiore? E soprattutto, cosa ne pensate dei personaggi? Vi piacciono? Ci tengo tanto al vostro parere!
Ora corro a rispondere alle vostre recensioni, un bacio!

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Capitolo 3
*** Viola tricolor ***





Viola tricolor


Il sole tiepido penetra attraverso le ampie vetrate con una gentilezza innata e materna, e carezza i fiori mentre, ansiosi, fanno a gara a distendere le loro corolle verso quella luce.
I jeans di Paul, alle otto del mattino, sono già macchiati di terriccio scuro e le braccia esili già intorpidite dai carichi che ha spostato, ma il sole sfiora anche lui e Londra sta risvegliandosi e sarebbe davvero sacrilego, dopo tutti questi piccoli miracoli, iniziare la giornata senza sorridere.
Ben sta ancora dormendo nel suo appartamento, le pillole che è costretto a prendere lo rendono più sonnolento e malinconico del solito e quindi, "Che schifo essere vecchi".
Fra qualche minuto Paul salirà le strette scale a chiocciola e lo sveglierà con il rumore della caffettiera che gorgoglia sul fornello, e il sorriso spaesato e gentile che riceverà in risposta sarà l'ultimo, prezioso dono di quella mattinata.
Eppure, qualche passo in là c'è uno scampanio, e la porta si apre.
E a Paul basta drizzarsi in piedi per riconoscere il nuovo venuto, che lo squadra con un sorriso soddisfatto.
"Ancora tu" mormora, e neanche lui sa se quello è un tono irritato, speranzoso, o una semplice constatazione.
"Ti avevo detto che sarei tornato, mi sembra" gli ricorda John, infilando distrattamente le mani nelle tasche dell'elegante cappotto nero e oscillando sui talloni.
Non porta gli occhiali, stavolta, e in qualche modo Paul è restio a incontrare il suo sguardo, ora che non ci sono più barriere a dividerli.
"Sì, ma sembri un tipo che dice molte cose"
Il tono di Paul è quasi un'accusa, e John semplicemente gli sorride, "Lo sono, infatti" conferma, abbandonando la giacca sul bancone per il puro gusto di infastidirlo.
Le sopracciglia di Paul si corrugano, senza che si lasci sfuggire un commento a riguardo, ma John nota chiaramente le sue labbra stringersi per un breve istante.
"Devo lavorare" si limita a dire, voltandosi come se l'altro avesse improvvisamente smesso di esistere.
Si siede a terra, ignorando lo sguardo attento e curioso che sente fisso su di sé, e torna a travasare le primule arrivate con il carico delle sei.
Non è un lavoro che gli piace particolarmente, per dirla tutta, ma può vedere le radici delle piantine cercare la fuga attraverso i fori di drenaggio dei vasi in plastica nera, e sa di non avere davvero tempo da perdere.
John si siede davanti a lui, a gambe incrociate, e per un po' lo osserva in silenzio.
"Posso aiutarti?" chiede.
"Non hai di meglio da fare?"
"Tu che ne dici?"
Paul sospira, "Si fa così".
John lo osserva mentre sparpaglia dei sassolini sul fondo dei vasi, per poi trasferire le primule, ancora con il terriccio ben stretto intorno.
"Ora riempi i bordi di altra terra mentre io tengo fermo qui"
La voce di Paul è più tranquilla e pacata, ora, e John obbedisce in silenzio, facendo attenzione a non sfiorare accidentalmente le sue dita mentre compatta la terra intorno alle piantine.
È un lavoro monotono, ma quasi rilassante, e ben presto John può abbandonare un po' della propria concentrazione.
"Stu e Astrid hanno fatto pace" dice "Pensavo ti avrebbe fatto piacere saperlo".
"Sì, ne sono contento"
Paul sorride, con dolcezza, e John sa che non è una frase di pura cortesia.
"Anch'io, Stuart è molto innamorato di lei. E Astrid di lui, ovviamente. Solo che ogni tanto escono fuori di testa, tutti e due. Non sanno stare insieme ma non sanno stare l'uno senza l'altra, sono cose da cui non esci"
"Allora si farebbe meglio a non entrarci" mormora Paul fra sé e sé, distrattamente, ma si morde la lingua un attimo dopo e china lo sguardo sulle proprie mani.
"È quello che pensi?" chiede John, e non sembra accusarlo, sembra solo- curioso, curioso e un po' triste.
"Non mi sento in diritto di giudicare cose che non conosco" risponde Paul, e la sua corazza torna a manifestarsi in un'insolita e repentina rigidità del corpo.
"Si può sempre imparare" accenna John, con finta noncuranza.
"John" mormora Paul, calmo "Le persone non fanno per me, mi dispiace".
"Le hai provate tutte?" l'ironia di John è sferzante, e lo costringe a chinare gli occhi.
"Abbiamo finito" dichiara Paul, secco, alzandosi in piedi e sfilandosi sgraziatamente i guanti.
Non gli piace l'idea di essere scortese, soprattutto con John, che accanto a lui sembra fragile e manipolabile, ma non può farne a meno.
"Abbiamo appena iniziato, in realtà" ribatte l'altro, seguendo i suoi movimenti con invidiabile calma, "Io ero venuto qui per comprare dei fiori".
Paul si lascia sfuggire un sospiro, "Hai litigato anche tu con la tua ragazza?" chiede, con più asprezza di quanto vorrebbe.
Gli occhi di John lampeggiano, divertiti, "Sì. Qualcosa del genere".
"Non puoi comprarle dei cioccolatini?"
"Certo che posso. Ma io voglio dei fiori" ride il giovane, seguendo con lo sguardo Paul che si rifugia dietro il bancone.
A John non sfugge la necessità fisica che lo porta a cercare una barriera, qualcosa che li divida, ma si limita a sorridere nuovamente e a sedervisi sopra, con le gambe penzoloni.
Solo per dimostrare che, se lo volesse, potrebbe scavalcare quel muro in un attimo.
E Paul, che è spaventato a morte dal suo sorriso, si arrende.
"D'accordo. Cosa vuoi?"
John sembra pensarci su, "Viole del pensiero" decide, e sorride ancora, senza motivo.
"Non girasoli?" ribatte Paul, velenoso, "Niente di monumentale?".
L'altro alza le spalle, senza curarsi del suo tono "No, non è il caso. Sono stato recentemente informato del fatto che i girasoli indicano l'amore non ricambiato".
"Deve avertelo detto una persona saggia" commenta Paul, mentre sceglie attentamente i fiori più belli per il piccolo mazzo.
"Può darsi. Dopo che me lo ha detto, in ogni caso, ho passato un un'intera giornata alla British Library a studiare" ammette John, osservandolo rapito.
"Cosa?" chiede Paul, distratto.
Paul che potrebbe maneggiare le farfalle per ore e vederle, nonostante ciò, spiccare il volo tra le sue mani.
"Sei dolce" si lascia sfuggire John, "E delicato. E mi piacerebbe sentire le tue mani addosso".
Il giovane si blocca, senza manifestare alcun segno di imbarazzo, "Sì, immagino potrebbe piacerti" commenta, senza malizia, come se si discutesse del meteo.
John tormenta il labbro inferiore tra i denti, trattenendo un sorriso, "Possiamo fare una prova?"
Paul sorride a sua volta, sfuggente, "Cosa hai studiato, quindi?"
John torna a sedersi sul bancone, distendendo le lunghe gambe sul ripiano in legno, "Il linguaggio dei fiori, ovviamente"
E l'altro sembra quasi sorpreso, preso alla sprovvista, tanto da impiegare qualche inusuale secondo in più per scegliere un nastro adatto alla composizione.
"Mi stai prendendo in giro"
"Per niente. Viola del pensiero, significato: pensami, perché io non faccio che pensarti” sussurra John, la voce improvvisamente bassa, e nota con impercettibile sorriso il sottile nastro di raso sfuggire tra le dita di Paul.
Il giovane fioraio alza appena gli occhi, e sa, intimamente sa, che John ha notato il suo sconcerto, “È il fiocco peggiore che abbia mai fatto” ammette dunque, di cattivo umore, con un radicale cambio di argomento.

John non gli piace, decide, nascondendo prontamente le mani dietro la schiena perché non si accorga del proprio improvviso, immotivato tremore.
“Non importa” lo rassicura l’altro, e “Sono sicuro che la mia ragazza non ci farà caso” aggiunge, con un sorriso.
“Sorridi sempre così tanto?” sbotta Paul, e non è realmente infastidito, è qualcosa che somiglia a un caldo e instabile terrore di fronte alla dentatura irregolare e esposta di John.
John che ride, ancora, (a Paul sembra che non abbia fatto altro da quando è arrivato) e confessa che “No. Quasi mai, in realtà. Per questo sono qui”.
“Quindici sterline, John”
L’altro si lascia sfuggire una smorfia paziente, dolcemente rassegnata e totalmente ingiustificata.
“Tieni, Paul” risponde, in una perfetta imitazione del suo tono, ma i suoi occhi brillano per lo scherzo e il giovane fioraio deve dargli velocemente le spalle per non sorridergli.
“Ciao, allora” mormora, senza osare voltarsi.
Sente John mormorare qualcosa, un morbido dialogo con se stesso, poi i suoi passi leggeri allontanarsi verso la porta.
E allora lo guarda, con inspiegabile necessità, la dolce paura che questa sia l’ultima volta, l’agitato sollievo che lo pervade nel vederlo ancora sulla soglia, con gli occhi nei suoi.
Paul vorrebbe non essere arrossito, e più di tutto vorrebbe che John smettesse di notarlo.
Cala gli occhi, di scatto, e vede il mazzo di viole ancora abbandonato sul bancone.
“Stai dimenticando i tuoi fiori” sussurra.
John si avvicina, piano, in silenzio, come a una creatura selvatica. Le sue belle mani raccolgono il mazzo, lo carezzano piano.
Poi, nuovamente lo posano.
“No” afferma semplicemente il ragazzo, arretrando verso la porta, “Li sto recapitando”.
 
 
 
 
 
Note
 
Buon compleanno, Paul.

 

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Capitolo 4
*** Dianthus caryophyllus ***



Dianthus caryophyllus


Quando Ben si sveglia, quel mattino, fuori piove.
Stai a capire perché, la gente sembra preferire i fiori quando c’è il sole (impensabile per lui, che sarebbe capace di attraversare l’intera Antartide per trovare una margheritina gelata) per cui la pioggia non è mai foriera di buoni affari.
Resta ancora un po’ nel letto, stringendo il piccolo corpo nella vecchia coperta di lana che qualcuno (Paul) gli ha posato sul copriletto, e tende l’orecchio.
Dalle scale che conducono in negozio gli arrivano delle voci concitate, ma Ben non si fa illusioni.
Il solito maledetto turista che ha smarrito la strada, si dice, bonariamente, ma si alza e va a lavarsi per accogliere l’ospite. Nonostante vi sia disabituato, a Ben piace avere persone intorno. Non si fida, certo, ma non gli dispiacciono.
C’è stato un tempo in cui non aveva solo Paul.
Aveva una bella moglie (la più bella del mondo, a sentire lui) e un figlio su cui aveva riversato tante belle speranze.
Ma Lily è ormai morta da tanti anni, e da quasi altrettanti anni Marcus si è trasferito a Chicago. Per cui non gli restano che pochi ricordi, logorati dagli anni, e le foto del nipotino che porta il suo nome ma che lui non ha mai visto, spedite da oltreoceano ogni Natale.
Ben non fa una colpa a Lily per essere morta, né a Marcus per essersene andato, tuttavia a volte gli capita di sentirsi un po’ triste.
Le foto di loro due, e del piccolo Ben, tappezzano il suo modesto monolocale, sgualcite per il troppo lisciarle tra le mani ma ben protette dalle cornici economiche in plastica che Paul gli ha regalato per il suo ultimo compleanno.
Quindi, ricapitolando, Ben non si sente arrabbiato.
La rabbia, crede lui, è un sentimento che appartiene ai giovani, ai vecchi si addice di più la malinconia, che è meno stancante.
La moglie di Marcus, che indossa sempre orecchini di perle, odia la città del marito (e forse, sospira Ben, anche le umili origini del padre) ma nonostante un attento risparmio, il vecchio fioraio non riesce mai a mettere da parte i soldi necessari per acquistare dei biglietti.
In fondo, ha imparato a farselo andar bene: vivere la vita dei suoi cari in un pallido riflesso.
E poi, ha Paul.
Ormai Ben lo sente un po’ figlio suo, e gli piace pensare che resteranno insieme per sempre, almeno loro.
Quindi si veste, indossando un vecchio maglione infeltrito e dei pantaloni di velluto del colore della terra, e aspetta che Paul salga le scale e prepari il caffè.
Forse il turista avrà voglia di accettare un caffè, si dice, speranzoso.
Tuttavia, i minuti passano e Paul non arriva (è la seconda volta in due giorni, che succede) così si solleva stancamente e si appresta ad affrontare la prima dolorosa sfida della giornata: le scale.
Quando riesce a toccare l’ultimo gradino gli basta sporgersi un po’ per sentire meglio, e distinguere un accento assolutamente inglese.
Paul sta borbottando contro qualcuno, e Ben sospira, abbandonando l’idea della compagnia.
In realtà, nessuno ha mai accettato di prendere un caffè con lui, ma non ha ancora smesso di sperarci.
“Ascolta, io apprezzo il tuo sforzo. Ma, davvero, stai perdendo tempo” sta dicendo Paul.
Il ragazzo dà le spalle al suo interlocutore, ma Ben, dalla sua prospettiva, riesce a scorgere un sorriso.
Si strofina i pugni sugli occhi, incredulo.
Non è che Paul non sorrida mai, intendiamoci, è solo che non lo fa così alla leggera.
“Buongiorno” mormora quindi, facendosi avanti “Posso aiutarti?”.
Il giovane davanti il bancone si volta, e qualcosa nel suo sguardo, o meglio, qualcosa nel modo in cui il suo sguardo continua a tornare involontariamente su Paul, convince Ben.
“Buongiorno, il suo dipendente rifiuta di vendermi dei fiori”
Ben si premura di non fare domande a riguardo, se non altro per via dell’occhiataccia che Paul gli rivolge.
“Questo è un peccato, cosa volevi?” chiede gentilmente.
“Dei garofani screziati. Un bel mazzo. Grandissimo. Imponente”
Paul sembra stizzito, ma ciò non frena il vecchio Ben dal sorridere al ragazzo.
Ora che gli è più vicino, riesce a vedere che è bagnato fradicio, come se fosse uscito di corsa, incurante del tempo.
“Certo, se non ti dispiace, però, dovrei prima dare il buongiorno ai fiori” spiega, e inizia a carezzare quelli più vicini.
Paul, che ha assistito a tutta quella scena con la morte negli occhi, china lo sguardo, imbarazzato.
Ha paura di guardare John e cogliere nei suoi occhi lo scherno, o peggio, la pietà.
Ben è un po’ strano, Paul lo sa bene, ma non riesce a tollerare le espressioni delle persone che hanno a che fare con lui, e che se ne prendono gioco perché troppo vecchio e troppo diverso.
Eppure, quando trova il coraggio di guardarlo, John non ha nulla negli occhi se non una benevola curiosità.
“Non mi dispiace. Se vuole, le do una mano, ci metteremo di meno in due” dice solo, e Paul sente il cuore saltare un battito in risposta a quelle poche parole e al sorriso luminoso che Ben rivolge a John.
“Sì, sì. Ecco, tu inizia dall’altra parte”.
Ci vogliono pochi minuti perché terminino il giro e perché Paul si ritrovi a pensare che forse, ma solo forse, John non è come tutti gli altri.
“Bravo ragazzo” gongola Ben, “Garofani screziati! Splendidi fiori, significano Fidati di me”.
Ancora, c’è uno scambio di sguardi tra i due ragazzi che Ben non sa interpretare, ma fraintendere il sorriso malizioso del nuovo cliente è quasi impossibile anche per lui, cieco come una talpa.
“Sono trenta sterline..”
“John”
“Sono trenta sterline, John”
Il giovane paga, e una volta ricevuto il mazzo tra le mani si rivolta, speranzoso.
“Paul” si limita a dire, e lo posa di fronte all’altro, che si ostina a guardare da tutt’altra parte.
Ben osserva brevemente il rossore che il suo unico dipendente non riesce a celare, e decide che John lo ha definitivamente convinto.
“Sei fradicio, ragazzo, vorrai riscaldarti. Posso prepararti un caffè?”
Ancora, non è che ci speri troppo, sa come controllare la delusione, eppure il suo sorriso è estasiato quando John dice “Volentieri, se posso prepararlo io”.

Ben è così felice, quando porta la tazzina sbeccata alle labbra, da riuscire (quasi) a ignorare il terribile sapore di bruciato che ha il caffè di John.
Non ritiene di doverglielo fare pesare, d’altronde, non quando la dimenticanza è stata chiaramente dettata dalla necessità di inseguire Paul da una parte all’altra del piccolo appartamento.
Paul, dal canto suo, non è tanto ingenuo da non notare la felicità di Ben, e non abbastanza crudele da strappargliela via.
Eppure, quando John fa per sfiorargli la mano, distrattamente e forse neanche troppo consciamente, si affretta a rifugiarla sotto il tavolo, stretta tra le cosce.
Ben continua a chiacchierare, ma John si volta verso di lui, confuso.
Paul si sorprende a boccheggiare mentre gli occhi dell’altro lo scrutano, e poi, improvvisamente, intuiscono.
John sorride, con un po’ di tristezza, e torna a rivolgersi a Ben “Studio Letteratura Comparata al King’s” gli risponde.
Il vecchio arrossisce appena “È una materia molto nobile, John, la letteratura. Devi scusarmi però, non credo di essere all’altezza della conversazione”.
John ride, rilassato, ma Paul nota con un accenno di delusione che porta le mani strettamente intrecciate, ben distanti dalle sue.
“Non importa. Io la studio da anni ma ancora mi sembra di non capirci niente”
“E ti piace lo stesso?” Ben è ammirato, e non ha paura di mostrarlo.
Lo sguardo che John rivolge a Paul è più lungo di quanto John stesso vorrebbe “Mi piace capire le cose. Più sono difficili, più mi viene voglia di capirle”
Ben si sente impazzire, perché è un’ora che gli sembra che tutte le conversazioni che porta avanti abbiano un sottotesto, qualcosa che lui non riesce ad interpretare ma che sembra mandare in bestia Paul.
Il solo fatto che la conversazione susciti qualche tipo di emozione in Paul, tuttavia, è un passo abbastanza importante, si dice Ben.
Così continua a parlare con quel ragazzo, così bello ed elegante, chiaramente abbastanza facoltoso da potersi permettere di sprecare tutti quei soldi per fiori che, di questo passo, non arriveranno alla sera.
“Se vuoi, John, posso mettere i tuoi garofani in un vaso” gli dice allora “E puoi riprenderli prima di andare via. L’acqua li manterrà freschi”
“Io non devo portarli via, vede, sono un regalo”
Ben si lascia sfuggire un sospiro: ancora, la conversazione sembra procedere su un doppio binario.
“D’accordo. Ma se non li mettiamo nell’acqua sfioriranno prima di sera”
“Non importa. Io voglio che arrivi il messaggio. Fidati di me” e John si volta, piantando i suoi occhi in quelli spalancati e atterriti di Paul “Non sono io, a dover evitare che appassiscano”.
Paul finge indifferenza, come sempre, e rivolge a John un sorriso glaciale “Credo che tu debba tornare a casa, ora”.
L’altro non risponde, ma si alza in piedi e raccatta con un sorriso il cappotto “A domani, Ben. Paul”
“Grazie del caffè, John. Mi perdonerai se non ti accompagno di sotto, ma le mie gambe...”
“Non lo dica neanche. Conosco la strada”
Paul, letteralmente spintonato da Ben, si trova costretto a dire “Ti accompagno”.
Scendono la breve rampa di scale in totale silenzio.
E nonostante John sia maledettamente irritante, e lo metta costantemente a disagio, Paul si sente rilassato, nel tacere con lui.
“Allora, non prendi i tuoi fiori?” tenta, una volta arrivati sulla soglia del negozio.
John sorride “Sono tuoi, lo sai”
“Lo so, ma non voglio che tu sprechi energie per qualcosa che non ti porterà a niente”
“Tu ti innamorerai di me, Paul” sussurra John, serio “Fidati di me”



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Capitolo 5
*** Paeonia ***




Paeonia

Paul sta ancora aspettando che l’acqua bollente cuocia i noodles liofilizzati quando il suo vecchio cellulare inizia a squillare.

E, nel leggere l’indicazione di un numero sconosciuto, ha quasi uno svenimento.

Che non sia per Ben, prega, e risponde.

“Oggi eravate chiusi”

Paul allontana per un attimo il dispositivo, studiando con attenzione il numero, ma non lo riconosce.

“Con chi parlo?” chiede, stancamente, incastrando il telefono tra orecchio e spalla.

“Sono arrivato fin lì per niente. Ho dovuto citofonare a Ben e prendermi il disturbo di chiedere il tuo numero”

Seppur la voce sia vagamente alterata dall’apparecchio, il solo tono è sufficiente perché Paul lo riconosca.

“John?”

E John, dall’altro capo della cornetta, ride “Ti chiamano molti altri ragazzi a quest’ora di sera?”.

Paul si getta sul piccolo divano, in mano la confezione di noodles ancora bollente e sulle labbra un sorriso divertito che non è riuscito a trattenere.

“Ti sorprenderebbe” commenta.

“Non ne ho incontrato nessuno, stamattina. Evidentemente loro sono stati adeguatamente informati sul fatto che il negozio fosse chiuso”

“Tutti i fiorai chiudono di lunedì” si limita a dire Paul, giocherellando con la forchetta.

Non ha più così tanta fame.

“Non tutti” lo rimbecca John.

Paul alza gli occhi al cielo, e sta quasi per chiedergli come faccia a saperlo, quando il trillo del citofono lo fa sobbalzare.

“John, spero davvero che tu non sia fuori dalla porta di casa mia” lo ammonisce, alzandosi di malavoglia per avvicinarsi alla porta.

Mentre lo dice, sa già di mentire. Eppure lo dice.

Lo fa perché, se è vero che non gli dispiacerebbe trovare John sul pianerottolo, è anche vero che lo spaventerebbe a morte.

“Dio, per chi mi hai preso?” Paul lascia che John continui a indignarsi, appoggiando l’orecchio alla porta e allontanando il telefono.
Rassicurato dal fatto che una voce che si lamenta a quel volume sicuramente sarebbe percettibile anche attraverso il legno sottile della sua porta, si concede di aprire.

“Paul?” lo richiama John.
Paul ha gli occhi sgranati mentre gli dice “Aspetta un attimo in linea”.

Guarda il mazzo di peonie che gli si è presentato davanti, enorme e bellissimo, e anche se John non è lì, in un attimo ogni sua singola cellula sospira il suo nome.

L’uomo davanti a lui, il cui viso Paul non riesce a mettere a fuoco, esita, un po’ imbarazzato, ma sorride alla sua reazione “Paul McCartney? Deve firmarmi questa consegna”.

La penna graffia il foglio senza che Paul si renda minimamente conto di quello che sta facendo, e nell’attimo dopo è solo, affacciato sul suo pianerottolo, con un mazzo di fiori in mano e l’altra abbandonata lungo il fianco, con il telefono serrato tra le dita.

Gli ci vuole qualche tempo per ricordare che c’è qualcuno all’altro capo del filo, e ancora qualche momento per trovare il coraggio di riportarsi il telefono all’orecchio.
“Sei ancora lì?” chiede, in un soffio.

“Sì, Paul. Sono sempre qui” risponde semplicemente John.

E Paul, che in vent’anni non ha mai avuto bisogno di nessuno, sente un nodo sciogliersi all’altezza dello stomaco alla conferma di John.
Nonostante la parte più disillusa e razionale di lui si ribelli all’idea, quelle parole sembrano quasi una promessa.
E, questa è la parte più straordinaria, Paul gli crede.
Basta questo, perché i suoi occhi inizino a offuscarsi, e il suo cuore a blindarsi.

“Ti piacciono?” il tono di John è cauto, gentile.

“Hai regalato a un fioraio fiori presi dalla concorrenza” ribatte Paul, con una freddezza che non intende, gettandosi sul divano.

John ride sommessamente, “Te l’ho detto, eravate chiusi”.

“Potevi aspettare domani” commenta Paul, con la testa sul bracciolo e l’indice a tormentare i capelli corvini.

“Sarei impazzito alla sola idea. Se non sono alla tua porta adesso, è solo perché so che non la apriresti”

A questa confessione, resa sottovoce, la gola di Paul si secca, e la mano destra finisce per posarsi sul mazzo di fiori che si è lasciato sul petto.

Non sa bene cosa sia a turbarlo.

È forse il fatto che John sia così diretto, così trasparente da mettere il proprio cuore nel palmo altrui e confidare che l’altro non stringerà il pugno. O forse a spaventarlo è che lo conosca tanto, che lo abbia capito nonostante le sue censure, e che sia pronto a rispettare il terrore che legge in lui.

“Paul?”

“Dimmi, John”

“Per caso sei nudo?”

Per la prima volta dopo anni, Paul ride.

“Certo. Mi denudo sempre prima di aprire la porta agli sconosciuti”

“Lo sapevo, dovevo bussare io alla tua porta”

“Perché? Cosa avresti fatto?” e, nel dirlo, Paul è totalmente candido, ma gli basta sentire la risata incredula e maliziosa di John per pentirsi delle proprie parole e del loro sottinteso.

“Paul, amico, su che tono vuoi che continui questa conversazione?” lo canzona infatti l’altro, divertito.

“Smettila. Non intendevo quello” si affretta a chiarire, mentre un calore diffuso si appropria delle sue guance.

“D’accordo. Ho capito” lo rassicura John, e la sua voce si è fatta d’improvviso bassa, “Non vuoi sentirti dire che sarei entrato sbattendoti al muro e baciandoti, toccandoti ovunque mentre gemi sulla mia bocca”.

Lo sta prendendo in giro, Paul lo sa, può leggerlo in come a tratti la voce di John si alza per l’ilarità, eppure quelle immagini ormai esistono.

Sono nel suo cervello, ovunque.
John che lo bacia, lo sfiora con le sue mani eleganti.

E Paul neanche si rende conto che la sua mano è scesa più in basso, sul cavallo dei pantaloni in tuta leggera.

“Se continui così sarò costretto pagare la telefonata al minuto, John” scherza, e si sforza di ignorare il calore soffocante che gli attanaglia le carni.

Un’altra risata soffocata gli arriva all’orecchio, e Paul chiude gli occhi, e sorride.

“Non preoccuparti. Ho capito. Non vuoi assolutamente che ti dica che ti stenderei sul divano, percorrendo il tuo corpo con la lingua, e poi-”

Paul smette di ascoltare John, perché improvvisamente lo nota.
Nota la propria mano che disegna ghirigori pigri che infuocano la sua pelle al di sotto della tuta.

Nota il proprio respiro vagamente affannato, l’improvvisa difficoltà nel pensare lucidamente.
Si alza in piedi di scatto, talmente stordito da rischiare di inciampare nei propri stessi piedi.
“Scusami, devo andare”

L’altro ride, “E dove vai?”

“A fare una doccia” improvvisa Paul, ma ha solo il tempo di dirlo prima di capire che, ancora una volta, ha sbagliato parole.

“Quanto fredda?” indaga infatti John, divertito.

“Va’ al diavolo”

E riattacca.

Una doccia non sembra neanche una cattiva idea.


Fredda.





 

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Capitolo 6
*** Freesia ***





Freesia


Ad ogni nuovo scampanio Paul si volta, con il cuore in gola, ma non è mai John.

Con il passare delle ore, smette di preoccuparsi, e cerca di concentrarsi su quello che sta facendo.

Jane.

Bella, con i capelli del colore delle calendule e modi gentili.
Discutono insieme di composizioni, addobbi floreali, e Paul continua a sorriderle.

Quella con Jane è una conversazione priva di introspezione, e lui non sente il bisogno di pesare pensieri e parole prima di aprire bocca.
Se potesse affezionarsi a qualcuno, forse si affezionerebbe a lei: è spigliata e divertente, e riesce a riempire i silenzi con un talento ammirabile.

Jane non crea problemi sul lato emotivo, e Paul farebbe di tutto perché questo bastasse.
Quando John finalmente entra nel piccolo negozio, vorrebbe non accorgersene, che anche lui fosse niente più che un piacevole contorno.

Eppure il suo corpo si tende come corde di violino, e seguire la dolce conversazione di Jane è sempre più difficile.

Mentre lei continua a proporgli le proprie idee i pensieri di Paul si ingarbugliano nell'intreccio del maglione di John, i suoi occhi riflessi nelle lenti spesse dei suoi occhiali.

Lui non accenna neanche un sorriso, ma si fa accanto a lui e si issa sul bancone.
"Ciao, tesoro" dice, e il suo sguardo lo sfiora appena, prima di tornare su Jane.

"Tesoro?" e il tono di Paul è assolutamente oltraggiato.

La ragazza sorride al fioraio, arcuando brevemente le sopracciglia, e ignora del tutto John. "Oh, forse dovrei andare. Ciao, tesoro" lo prende in giro.

Paul la scorta alla porta "A presto, Jane. Per qualsiasi cosa hai il mio numero".
Lei gli rivolge un ultimo sorriso, e corre via.

Quando Paul richiude la porta, John ha preso a osservarsi le dita con straordinaria attenzione.

"Quindi" accenna "Lei..."

"Si sposa tra qualche mese. Stiamo progettando insieme le decorazioni floreali" completa Paul, atono.

Per qualche ragione, le spalle dell'altro si rilassano.
Per qualche altra, inspiegabile ragione, questo regala a Paul un'iniezione di adrenalina.

"Scusa, sono un idiota" ammette John, e non sembra pentito.

"Credo fosse ormai appurato" lo dice con durezza, ma una parte di lui, ancora, adora l'imbarazzo che legge negli occhi di John.

"È molto bella"

"Non esattamente il mio campo" commenta distrattamente Paul, e gli lancia un'occhiataccia perché scenda dal bancone.

John, naturalmente, non lo fa.

"Non dovresti dirmelo" sorride "Mi fai pensare di avere una possibilità".

Paul sbuffa, ma non suona troppo convinto.

Per quanto sia incline a mentire a se stesso, non riesce a negare che John gli piaccia.

Gli piace il modo in cui la montatura spessa dei suoi occhiali gli indurisce i lineamenti, e la tenacia con cui continua a cercare di farsi spazio nella sua vita.

Nonostante la gente intorno a lui tenda a pensare il contrario, Paul ha una sua libido.
Vorrebbe non esistesse, e per quanto può tenta di non accondiscendervi.

Ma esiste, ed è oltremodo compiaciuta da John.

Paul ha avuto molti uomini in vita sua.

Le bocche di leone, così li chiama, sono i fiori del disinteresse.

Ha baciato quelle bocche molte volte, sempre e solo per una notte o poco più.
Poi, semplicemente, ha lasciato che appassissero.

Ogni volta, nel sentire le bocche di leone su di sé, si è sentito sporco.
Nel lavarsi via le tracce del proprio e altrui piacere, ore più avanti, ha scoperto quanto fosse facile lavar via anche l'onnipotenza dell'orgasmo.

Solo lo sporco, imparò, non se ne andava mai.

Si chiede, solo per un attimo, se John potrebbe essere questo: una bocca di leone da cui lasciarsi possedere per una notte, e poi dimenticare.

In questo momento, però, un raggio di sole gli accarezza la guancia e rischiara i suoi occhi, accendendoli di una sfumatura più calda, e i suoi capelli sono pieni di riflessi dorati.

Paul gliene sfiora con delicatezza una ciocca, riavviandola perché non gli ricada sugli occhi.

Non lo ha neanche toccato, ma John sussulta, e trattiene il respiro.

"Non hai possibilità, John. Tu non sei una bocca di leone. Sei un anemone" dice, con dolcezza.

"Mi piaci così tanto" sussurra John, ed è talmente supplichevole, mentre lo dice.

Ma lui è un anemone. Il fiore più fragile di tutti.

E Paul non farebbe altro che calpestarlo.

"Non vado bene per te" si limita a dirgli.

"Niente va bene per me" lo corregge John, con amarezza.
Ma scende dal bancone, e si rassetta i vestiti senza che ce ne sia bisogno.

Paul vorrebbe avere qualcosa da dirgli, ma resta in silenzio una volta in più, addolorato.

"John, è un piacere vederti!"

Entrambi sussultano, al richiamo di Ben.

"Anche per me lo è"
John si riprende in fretta, e si avvicina per stringere con dolcezza la mano rugosa del vecchio tra le sue.

"Eri venuto per le tue commissioni?"

"Sì, ma stavo andando via"

Con una rapida scorsa ai vasi di fiori John è in grado di pescarne uno.
Si sfila una banconota da cinque sterline dalla tasca, e schiaffa entrambe le cose nella mano di Paul.

"Buona giornata, Ben. Paul, puoi tenere il resto" saluta, e in un attimo è sparito.

Paul guarda il fiore tra le sue mani, e ha una stretta al cuore.

"Fresia" dice Ben, come se l'altro non ne fosse a conoscenza "Il fascino dell'ignoto".

Paul sospira "Terribilmente chiaro, direi".

Il vecchio fioraio si lascia cadere sulla seggiola, e gli sorride appena "Vuole che rischi per lui".

"Arrogante"

"Molto dolce" lo corregge Ben.

"Non sono fatto per queste cose, lo sai. E lui è un anemone"

Le dita di Ben tamburellano sul legno del bancone, e Paul si ritrova a pensare che il ripiano appaia terribilmente vuoto, senza John a occuparlo.
"Lo è. Hai il suo cuore in mano, Paul. Potresti chiudere il pugno e distruggerlo in qualsiasi momento"

Il giovane sente il proprio rattrappirsi in risposta a quelle parole. Sono le stesse che fino a questo momento non si è permesso di pronunciare ad alta voce, perché hanno un unico significato: deve restare lontano da John.
China gli occhi sullo stelo che regge tra le mani, e alle tre corolle bianche che lo decorano.
Non risponde, e Ben si sente autorizzato a proseguire nel suo discorso.

"Sai cosa si dice sulle fresie? Che se piantate nel proprio giardino, aprono per noi un mondo magico. Fate, ninfe, fauni e elfi faranno la spola sotto le finestre, e danzeranno appena giungerà la sera"

Paul sorride, ma la sua bocca è distorta dall'amarezza, "Sono leggende, queste".

"È vero" concorda il vecchio, ma sembra dirlo solo per dargli ragione "Ma anche se fosse, Paul, non vuoi correre il rischio?"

"È come hai detto, Ben. Finirei per stringere il pugno. O forse mi dimenticherei semplicemente di avere il suo cuore in mano, e lo lascerei cadere per pura disattenzione. Non voglio che accada"

Ben ha un sorriso triste, "È molto nobile, Paul. Ma sei sicuro sia lui, l'anemone che stai proteggendo?"

Lo sguardo del giovane si perde sulla strada, e la presa sullo stelo si fa così forte da distorcerlo.
"Non lo so, Ben" mormora Paul, "Ma non posso rischiare".
 

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Capitolo 7
*** Convallaria majalis ***





Convallaria majalis


Quando la dolce infermiera gli chiede se c'è qualcuno che vorrebbe chiamare, Paul ha un unico nome in testa.

Così lascia che le dita scorrano sui tasti, sfogliando una rubrica composta da fin troppi nomi inutili e, prima che possa pentirsene, chiama.

"Paul?"

La voce di John è guardinga, come se la stesse tirando dal guinzaglio per impedirle di slanciarsi in avanti.

Non si sentono da un po', da quando Paul ha deciso che non valeva la pena rischiare il proprio cuore e quello di qualcun altro solo per riempire un vuoto a cui è ormai abituato.

"John"

Non ha la forza di dire niente di più.

Gli occhi gli bruciano, e il mondo intorno a lui, attraverso il velo sottile delle lacrime, sembra un assurdo acquario.
L'unica cosa a cui riesce a pensare adesso sono gli scheletri dei gigli dorati che infestano il suo appartamento.

John gliene ha inviato uno al giorno, tramite Ben, e lui li ha guardati seccarsi e morire come se quello che prova, quell'orrendo tumulto nella sua testa, fosse destinato a morire con loro.
Non ha avuto, però, il coraggio di gettarli via.

Giglio dorato: perseveranza.

E Paul ha pensato che imparare a convivere con l'asfissiante odore dei fiori che marciscono fosse il minimo che potesse fare per premiare la perseveranza di John.

"Stai piangendo?"
Il tono dell'altro è ancora vagamente distante, a rendere evidente quanto gli costi ammettere la propria preoccupazione.

"Sono al King's"
Poche parole, realizzare d'improvviso quanto la presenza di John gli sia mancata, quanto sia difficile ora subire la sua ritrosia.

"Anch'io, ho lezione tra qualche minuto"

Questo è il momento in cui Paul potrebbe dire che non importa, chiudere la chiamata e tranciare per sempre il filo di carne e sangue che lo lega a John Lennon.
E questo, proprio questo, è il momento in cui si rende conto di non esserne capace.

"No, John" sussurra, "Sono al King's College Hospital"

Il suo anemone, il suo splendido anemone, non ha un attimo di esitazione.

"Arrivo".

***

Più che vederlo, Paul sente John arrivare.
È rimasto ad attenderlo su una panca, con il viso tra le mani, accartocciato su se stesso come una foglia arsa, e per qualche tempo ha dimenticato di esistere.
Si è affidato al suono ritmico e martellante del proprio cuore, che sembra battergli nel cervello, e ha lasciato che quei colpi lo estraniassero dalla realtà.
Ma i passi di John sono rapidi, pesanti, incoerenti, e lo costringono ad alzare gli occhi.
John corre, scansando come può chi gli intralcia la strada, e ha in mano un piccolo mazzo di fiori che va sfaldandosi nell'impatto con l'aria.
I petali dei fiori lo circondano, turbinano nell'aria e si posano a terra, marcando i suoi passi, e Paul è quasi certo che questa scena sia stata rubata da un dipinto rinascimentale.

Non deve neanche chiamarlo, non sente la necessità di farlo: in mezzo a tutti quegli occhi, ne è certo, John troverà immediatamente i suoi.

Pochi secondi gli sono sufficienti, lo vede arrestare la sua corsa, l'ombra di un inappropriato sorriso sul volto di John appena i loro sguardi si incontrano.

"Ciao" è trafelato, ma sorride ancora, e posa il mazzolino malconcio accanto a Paul. "Ho parlato con l'infermiera. Qui sotto c'è un piccolo negozio di fiori, sono per Ben"

Sono fiori da ospedale, senza profumo e senza grazia.
Sembrano imprigionati nella carta plastificata che li circonda, fuori posto, soffocati nel loro splendore.

I fiori non appartengono agli ospedali, e neanche Ben.

Lo sguardo di John si fa più serio, "Ho sbagliato? Sono mughetti, un augurio per una pronta guarigione. Ho solo pensato che gli sarebbe piaciuto trovare dei fiori al suo risveglio".

Paul scoppia a piangere.
Quel mazzo è stato confezionato di fretta, per essere venduto a conoscenti distratti che hanno dimenticato di comprarlo prima.
Ma John è quanto di più distante vi sia da un conoscente distratto.
Quanta attenzione deve esservi stata, in lui, nella selezione di quel brutto mazzolino, nella decisione di correre via dalle proprie lezioni per arrivare sin lì, nella delicata scelta di informarsi da un'infermiera sulle condizioni di Ben così da non costringere Paul a raccontarlo.

"Dio, Paul" mormora John, bonario.
Si china sui talloni, di fronte a lui, e racchiude le mani del giovane tra le sue.
"Va tutto bene, è passato. Si sveglierà presto"

Ma Paul non piange solo per Ben.
Piange perché quel giorno, nel sentire i lamenti del vecchio farsi più deboli e il fragore delle sirene farsi più forte, si è reso conto che Ben non è immortale.
Si è reso conto che un giorno se ne andrà, e Paul avrà perso l'unica famiglia che abbia mai conosciuto.
Ha avuto paura per Ben, terrore che quella fosse l'ultima volta che sentiva la sua mano rugosa tra le proprie, e si è sentito paralizzato alla sola idea di rimanere solo.
Piange perché John è lì, davanti a lui, ma non riesce ad amarlo perché per tutta la vita si è allenato in quella finta solitudine nella convinzione di stare bene.
E ha scoperto solo adesso che il vero vuoto, la solitudine e il silenzio lo terrorizzano oltremodo, ma non sa più come si combattano.

"Sei solo spaventato, ora passa" promette John, dolcemente.
Sta dicendo delle ovvietà, e se Paul potesse frenare i propri singhiozzi glielo direbbe.
E forse lo colpirebbe, se solo questo non significasse allontanare il calore delle mani dell'altro dalle sue.
John non lo ha mai toccato.
Se ne rende conto solo adesso che sente questo tepore tepore sconosciuto trasmettersi dalle sue dita al suo corpo, e si rende conto di averlo bramato, quasi con dolore, per tutta la vita.

"Aspetto qui con te" decide John, semplicemente.
Non sa quali parole usare, ed è un disastro, pensa Paul.
Ma l'altro si siede accanto a lui, e la sua sola presenza è balsamo sulle ferite sanguinanti.

Paul torna a chiudersi in se stesso, maneggiando ossessivamente il piccolo mazzo di mughetti.
John, per il nervosismo, continua a battere la punta della scarpa sul pavimento.
Il suono che ne deriva dovrebbe forse irritarlo, ma Paul lo trova rassicurante.
Ogni volta che la sua mente lo trascina via, nell'oscurità, gli basta concentrarsi su quella cacofonia, sulla presenza invadente di John accanto a lui, per tornare al mondo.

"Paul McCartney?"

John scatta in piedi insieme a lui, e Paul è grato nel sentirlo dietro di sé.

"Sì"

Il medico, la cui targhetta lo identifica come Dottor Clarke, è sorridente, gentile, e lo guarda con pietosa empatia.
"L'effetto dell'anestesia locale è terminato, il signor Woods è perfettamente vigile. Ho già provveduto ad avvisare anche il figlio, ma il paziente continua a chiedere di lei"

Paul sente il peso che ha sul petto dissiparsi a quelle parole.
"Come sta?"

"Sta bene. Sono cose che capitano a quest'età. Come le è stato detto, l'ECG aveva già indicato un infarto in atto. Abbiamo provveduto a effettuare una coronarografia e una volta individuata l'arteria ostruita siamo intervenuti con un'angioplastica per via radiale"

Paul non capisce una singola parola di quello che gli viene detto, ma la voce del dottor Clarke è calma e rassicurante, e desidera semplicemente che continui a parlare.

"Lo terremo qui fino a domattina. È semplicemente la procedura in caso di angioplastica, niente di preoccupante. Poi, potrà tornare a casa"

"Posso vederlo?" il tono di Paul è urgente, pieno di aspettativa.

"Mi permetta solo di spiegarle quali esercizi dovrà fare il signor Woods una volta a casa. Non può compiere sforzi, e la riabilitazione è parte della terapia-"

"Lo spieghi a me" lo interrompe John, prima che Paul possa farlo nuovamente, "Lui intanto può entrare"

Il dottor Clarke sorride, e inizia a parlare con John di pressione arteriosa, gradualità degli sforzi fisici e futuri test.

Paul stringe brevemente il braccio di John, per ringraziarlo, e si lancia verso la porta prima che il bravo dottore possa cambiare idea.

Ben sembra minuscolo nella veste ospedaliera celeste, e immensamente fuori posto in un letto che non sia il suo.
Eppure sorride a Paul, con infinita dolcezza, e tutto intorno a lui sembra riacquistare colore.

"Ti ho fatto preoccupare?" chiede, stancamente, e gli tende la piccola mano perché Paul la prenda.

Il giovane incontra le sue dita a metà strada, e deve sforzarsi per non stringere troppo.
"Per un attimo il mondo intero ha smesso di fiorire" confessa Paul, teneramente.

"Mi dispiace, figliolo" sospira Ben, "Anche Marcus era preoccupato, vorrebbe che smettessi di lavorare"

"Dovresti spiegare a Marcus che, se lo facessi, le api si rifiuterebbero di impollinare e i semi di germinare. E tutto il mondo diventerebbe un deserto, senza di te" lo consola Paul, e si lascia consolare a sua volta dal sorriso con cui Ben accoglie quelle parole.

"Sei buono con me" constata il vecchio, stancamente, "Ma nessun fiore ha bisogno di me per sbocciare. Neanche tu"

Paul solleva il piccolo mazzo di mughetti di John, e glielo posa gentilmente sulle ginocchia.
"E invece, guarda: appena qualche ora che non c'eri, e questi mughetti già si struggevano. Sono in condizioni terribili"

Ben ride, a fatica, "Oh, Dio. Come hanno fatto a ridursi così?"

Paul sorride, e sente gli occhi farsi lucidi per il sollievo di sentire ancora quel suono, quando già lo aveva dato per perso.

"Te l'ho detto, si struggevano per te. Sono un regalo di John"

"Ho fatto scomodare anche lui?" si rammarica Ben, "Dovrò dirgli che mi dispiace"

"Non dire sciocchezze. Lo ha fatto perché ti vuole bene" assicura Paul, con il suo tono più dolce.

Ben sembra calmarsi appena, "Sì. È una persona gentile. Mi vuole bene. Mi vuole bene perché sono importante per te, quindi sono importante per lui"

Paul sbuffa, senza essere realmente infastidito, "Ti vuole bene perché sei una persona che si fa voler bene"

Il vecchio fioraio sorride, e sfila la mano da quella di Paul per fargli una lieve carezza "Senza dubbio, John è il tipo di persona che anche senza conoscermi mi aiuterebbe ad attraversare la strada, solo perché mi ha visto in difficoltà. La differenza è che per te, figliolo, lui mi porterebbe in spalla attraverso tutto l'inferno"

Il piccolo colpo di tosse di John li fa sussultare.

"Scusatemi" mormora, vagamente in imbarazzo, "Non volevo interrompervi. Il dottor Clarke mi ha detto di avvisarvi che è bene che Ben riposi"

"Grazie, John" sorride Ben, "Mi dispiace aver creato questo scompiglio"

"Non dirlo neanche. È sempre un piacere vederti, sei il mio secondo fioraio preferito"

Il vecchio ridacchia, stancamente, poi si rivolge a Paul "Ti prego, torna a casa e riposa adesso. Non voglio che tu rimanga"

"Ben, io non posso lasciarti-"

"John" e il tono di Ben è categorico "Mi aspetto che te ne occupi tu"

Il ragazzo sorride "Ai suoi ordini, capitano"

Paul si astiene dal rispondere, e dopo aver augurato la buonanotte a Ben, segue John fuori dalla porta.

"Io devo restare qui" sussurra, appena questa viene richiusa.

"Non essere sciocco" lo rimprovera John, dolcemente, "Dormirà come un ghiro e domattina tu verrai a prenderlo. È circondato da medici"

Paul sa che ha ragione, e sente le proprie palpebre farsi improvvisamene pesanti.
L'adrenalina che lo ha tenuto insieme fino a questo momento, è prosciugata da una profonda ondata di stanchezza.

"Mi sembra di tradirlo"

"No, ti stai solo assicurando di essere in grado di guidare per venirlo a prendere, domattina" lo rassicura John, e gli circonda la vita con un braccio, trascinandolo gentilmente verso l'uscita.

Paul lascia che John lo guidi, che il calore del suo corpo lo influenzi, senza opporre resistenza. L'altro chiama l'ascensore, e neanche una volta entrati e premuto il pulsante del piano terra il suo braccio si slaccia dalla vita di Paul.

"Io voglio bene a Ben" mormora d'improvviso John, e tiene gli occhi fissi sui bottoni dell'ascensore, mentre lo dice, incapace di guardarlo, "Non voglio che tu creda che io lo usi come un mezzo per arrivare a te. Né voglio che lo creda lui"

Paul, che inizia a sentire la stanchezza offuscarlo come una bolla lattiginosa, si sforza di rispondere.
"Nessuno di noi due lo crede"

Il corpo di John contro il suo è ancora agitato, ne percepisce i più piccoli tremiti nervosi.

"È solo che, sai, ha ragione. Se servisse, per te io attraverserei l'inferno" ammette, "E ritorno"

Paul sorride, e si stringe un po' contro di lui.
È chiaramente troppo stanco, troppo ebbro di emozioni.
Deve pur esserlo, perché cede all'istinto irrefrenabile di nascondere la fronte nella linea elegante del collo di John, sfregandovi appena il naso.

"Se per te va bene" sussurra, "Io mi occuperei prima del ritorno a casa"



 

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Capitolo 8
*** Protea cymaroides ***





Protea cymaroides


Paul pettina accuratamente i propri capelli, e si odia per questo.

Vorrebbe apparire disinteressato, del tutto indifferente rispetto a quello che sta per succedere, eppure ha bagnato il proprio collo di colonia e ha indossato il più bello dei suoi maglioni.

E ora è davanti allo specchio, da più tempo di quanto sarebbe consigliabile in una settimana intera, a studiare ogni suo singolo difetto.

Tutto, ovviamente, perché Ben è testardo ma John lo è ancora di più.

Quella mattina il ragazzo si è presentato al negozio di buon'ora, e non si è lasciato scoraggiare nemmeno dai mugugni con cui Paul ha accolto i suoi tentativi di conversazione.

È salito di sopra a dare un'occhiata a Ben, senza che alcuno gli fornisse un permesso a riguardo, e Paul li ha sentiti addirittura ridere insieme.

Quando glielo ha fatto notare, John ha semplicemente affermato che, in effetti, stava chiedendo una sorta di permesso.

Solo, non a Paul.

"Ho chiesto a Ben se posso portarti fuori, stasera"

"Hai ritardato l'inevitabile, perché la mia risposta è assolutamente no"

John ha sbuffato, divertito.

"Dice che ti farebbe bene uscire un po'. E che sei insopportabile, come crocerossina"

Paul non se la è sentita di commentare.

In effetti, da quando Ben è tornato dall'ospedale, continua a trattarlo come un fragilissimo calice di cristallo.

"Ciò non toglie, John, che io abbia di meglio da fare che uscire con te"

Lo ha visto ridere, e nell'insieme il fatto che John non si lasci scoraggiare dalla sua reticenza gli è sembrato oltraggioso e irrispettoso.

"Leggere brutti libri e masturbarti pensando a me non è di meglio da fare"

Paul non era riuscito a trattenere una breve risata.

"Non trasporre i tuoi desideri su di me. E Les Fleurs du mal non è un brutto libro"

"Lo sai, vero, che non parla sul serio di fiori?"

"Sei un idiota"

John ha riso, stavolta più apertamente, e ha continuato a inseguirlo come un insetto fastidioso.

"Baudelaire è un arrogante. E poi ti divertirai. Non dovrai stare necessariamente con me. Andiamo da Stu e Astrid, hanno organizzato una festa"

"Io non vado davvero da nessuna parte con uno che accusa Baudelaire di essere un arrogante"

Deve essersi ammorbidito, perché sono bastate poche ore di discussione con Ben per farlo rassegnare all'idea che invece, a quella maledetta festa, ci andrà.

Scuote la testa, come per scuotersi di dosso il ricordo di quel momento di debolezza.

Ancora di fronte allo specchio si liscia il maglione addosso, nervoso, e si chiede se sia il caso di fingere qualche improvvisa malattia pur di restare a casa.

Nel dubbio, nell'aprire la porta a John, qualche minuto dopo, ha dipinta sul viso la sua espressione più malaticcia e sofferente.

"Non ci provare" sono le prime parole che John gli rivolge.

"Sei bellissimo" sono quelle immediatamente seguenti.

Paul sbuffa, "Ho letteralmente addosso dei jeans".

È solo a se stesso che può ammettere quanto lo lusinghi lo sguardo ammirato dell'altro, i suoi occhi carichi di adorazione.

"È vero" concorda John, ma non smette di sorridere "Solo che è la prima volta che ti vedo e non sei sporco di terra".

Paul gli dà uno spintone gentile.

"Datti una mossa, prima che cambi idea"

John canta per tutto il tragitto.

Ha una bella voce, ma grida come un folle e Paul giurerebbe sul fatto che spesso stona solo per il gusto di fargli storcere il naso.

Commenta qualsiasi cosa passi per la radio, senza tacere neanche per un attimo, ma le sue opinioni sono sempre esagerate e mirabolanti.

Wonderwall è stata scritta per implementare il commercio di chitarre, afferma, e You Never Can Tell è una canzone perfettamente inutile se non la ascolti con una ragazza e se poi lei non finisce in overdose.

Paul ride, gli dà dell'idiota, e si convince man mano che l'uscire con John non sia stata poi una così cattiva idea.

È bello vederlo al volante, rilassato e sicuro di sé, con le luci della città che rimbalzano sulle lenti dei suoi occhiali alla Buddy Holly, ed è oltremodo bello poter stare in compagnia di qualcuno e ascoltarlo parlare senza dover pensare a cosa dire dopo.

"Prima che lo dimentichi, dietro c'è qualcosa per te"

Paul si sporge verso il sedile posteriore, e sorride a John nel recuperare una bella protea, legata con un nastro rosso.

"Il fiore del coraggio" lo prende in giro, "Credi ci voglia così tanto coraggio a uscire con te?"

John ride, "Forse. Sono contento che tu sia qui"

Paul non risponde, ma posa la propria mano sula sua, ferma sul cambio, e ne carezza appena il dorso con il pollice.

"Possiamo fermarci nei dintorni di Piccadilly e proseguire a piedi" riprende John, distratto, ma allarga delicatamente le dita perché quelle di Paul si incastrino nelle sue, "Casa di Stu è a Dean Street". 

Soho, il quartiere degli artisti.
Ovviamente.

Paul mugola un assenso, e tiene gli occhi fissi al di là del finestrino per celare il proprio rossore.

Nei minuti seguenti gli basta ascoltare con un sorriso i borbottii sempre più insistenti di John che cerca parcheggio per rendersi conto di quanto sia ormai divenuto naturale per lui immaginarselo al suo fianco. 

È forse questo il motivo per cui, quando John scende dall'auto e gli tende la mano, evita di prenderla e di incrociare il suo sguardo.

Camminano in silenzio, fingendo di ascoltare la musica che riempie la strada e di perdersi nei balli che i ragazzi improvvisano nella piazza, e Paul è grato che casa di Stuart sia così tremendamente vicina.

Il viaggio in ascensore è un tormento, ma poi John, a fatica, riprende a parlare.

"Ho pensato una cosa"

"Cosa?"

"Che invece Hallelujah è stata scritta per far guadagnare qualche soldo ai musicisti di strada"

Paul ridacchia, e senza che se ne accorga le sue difese sono di nuovo a terra.

"D'accordo, questo potrebbe essere vero"

Quando Stuart apre la porta, stanno ancora ridendo e spintonandosi.

Sorride a entrambi, con una furba curvatura delle labbra che fa arrossire e tacere improvvisamente Paul.

Al suo fianco una ragazza bionda, bella e dallo sguardo determinato: senz'altro Astrid, il fiore d'acciaio di cui Stuart ha parlato con tanto amore da stamparsi per sempre nella mente di Paul.

La guarda baciare John sulle guance e nota il braccio di lui circondarla con affetto.
Osserva poi le pacche e le battute che si rivolgono John e Stuart, e per un attimo si sente di troppo.

Può però appena realizzarlo che Stuart gli passa un braccio intorno alle spalle e lo trascina amichevolmente dentro la casa.

"Mio vecchio amico, permettimi di presentarti la ragione per cui tutti noi siamo qui. Io, te e John, intendo" scherza, "Sarai deluso dallo scoprire che non è sempre così eccitante da dare fuoco alle cose"

Astrid tira una gomitata al proprio ragazzo, ma stringe la mano di Paul e gli sorride.
"Immagino tu invece non sarai sorpreso dallo scoprire che Stuart è sempre così stronzo come sembra".

"A volte persino peggio" concorda John.

Stuart è visibilmente alticcio, ma riesce a puntare l'indice sulla faccia dell'amico.

"Tu, Winnie, sei un ingrato"

Paul sorride e arcua le sopracciglia.
"Winnie?"

John inizia ad avere delle chiazze rosse che gli macchiano le guance, ma il suo flebile tentativo di intervenire è frenato dalla mano che Stuart gli infila praticamente in bocca per zittirlo.

"Winston è il secondo nome che vorrebbe che nessuno conoscesse. Al liceo quando dovevo farlo arrabbiare lo chiamavo Winnie" spiega, mentre John alza gli occhi al cielo, "Non avevo tutti i torti, Winnie. Sei un ingrato. Senza di me neanche conosceresti questo bel ragazzo che mi sostiene".
Oscilla pericolosamente sui talloni, costringendo Paul ad afferrarlo.
"Proprio questo qui" rimarca, osservando con approvazione il giovane fioraio.

John ha la faccia di uno che vorrebbe poter sparire sottoterra, e Astrid si passa una mano sul viso, sospirando.

"D'accordo, direi che hai detto abbastanza" interviene, "John, tesoro, lasciami pure il cappotto e accompagnalo a bere dell'acqua prima che possa rendersi ancora più imbarazzante".

John esegue, e si carica il peso di Stuart sulle spalle.

"Adesso, vecchio mio, ti porto nel ripostiglio delle scope e ti sfondo il cranio contro il muro" mormora all'orecchio dell'amico.

Stu fa una smorfia, "Winnie, Winnie. Tu hai davvero bisogno di una bella scopata"

"Vorrei morire, e non ho ancora superato l'ingresso" confessa John, lapidario, all'indirizzo di Astrid e Paul, "Lo porto a vomitare, lo pesto a sangue e torno. Ci metterò una decina di minuti, dodici se apre di nuovo bocca nel tragitto verso il bagno".

Paul ride, "Non preoccuparti, Winnie. Fai con calma"

John sorride, ma è ancora un po' rosso in viso, "D'accordo, i minuti sono diventati quindici".

Mentre lui trascina via Stuart, Paul sente un po' di angoscia premergli sul petto al pensiero di rimanere solo con Astrid, che ha occhi glaciali ed è una perfetta sconosciuta.

E lei sembra indovinare il suo smarrimento, perché inizia a parlare, spogliandolo della sua giacca e portandolo in giro per la casa.
Gli parla di Baudelaire, che anche lei ha letto, e della sua passione per la fotografia.

"Vieni, ti faccio vedere degli scatti che ho regalato a Stuart"

Paul la segue attraverso l'ampio salone, schivando coloro che incrociano la sua strada.
Si chiede come faccia Astrid a schizzare via con quella facilità, quasi la folla si apra per lei come il Mar Rosso.
A confronto con Astrid, se ne rende conto immediatamente, sembra ancora più fuori luogo di quanto già si senta.

Eppure, gli piace il modo in cui lei si volta spesso, per controllare che lui non sia rimasto indietro e imprigionato tra persone che non conosce, e apprezza la pazienza e l'intuito che dimostra nel condurre da sola la conversazione per non metterlo a disagio.

A Paul piacciono le persone che sanno riempire i silenzi con discrezione e naturalezza, impedendo che si crei una situazione di stallo.

"Questa casa è splendida" riesce a dirle, appena superano il salone gremito per rifugiarsi in una camera da letto ampia e ariosa.

"Oh, Dio, lo è" ride lei, "È una delle proprietà di John. Della zia di John, in realtà. Ma lui fa pagare a me e a Stu un affitto ridicolo"

Paul non indaga oltre, e dallo sguardo soddisfatto che Astrid gli rivolge sente di aver superato una specie di test.

"Guarda qui" si limita a dire lei, sedendosi sul letto e afferrando una cornice posata sul comodino.

Paul le si affianca, e sorride nel vedere John con un taglio di capelli improbabile e senza occhiali, con il braccio stretto intorno alle spalle di Stuart.

"Noi tre ci conosciamo da quando siamo ragazzi. Andavamo al liceo insieme" racconta Astrid, "Credo che questa risalga al nostro penultimo anno. Io sono arrivata tardi, ma loro due erano già inseparabili"

Paul non fa fatica ad immaginarlo, guardando la risata che la foto ha immortalato, e la chiara serenità che si legge sul viso di John.

"Stuart è sempre stato il suo unico amico. In quel salone vedrai decine di persone affollarsi per avere l'attenzione di John, e altre decine stringersi intorno a Stuart con la speranza di poter un giorno arrivare a John attraverso di lui. Ragazze e ragazzi si gettano ai suoi piedi con il sogno di riuscire a incastrarlo e spendere il suo denaro. Tra loro due invece non è mai stato così. John adora Stu da sempre, e lui ricambia con un trasporto che non ho mai visto in una persona. È quasi ingiusto che non siano fratelli, Stuart ucciderebbe per John"

L'ultima parte suona a Paul come una vaga minaccia, ma si sforza di passarci sopra.
Questi sono gli amici di John, e cercano di proteggerlo come possono.
Persino lui, che nelle relazioni sociali ha sempre avuto difficoltà, può comprenderne il motivo.

"Mi dispiace. È che io non ho mai pensato a cosa fosse John quando non era con me" confessa, e spera che Astrid non lo fraintenda.

Lei sorride, sembra capire.

"È per questo che gli piaci così tanto, credo"

Poi riprende immediatamente a parlare. "Scusami, non volevo metterti a disagio con questi discorsi. Sono solo nostalgica. Torniamo di là, quei due dovrebbero essere da qualche parte".

Stuart sembra effettivamente essersi ripreso un po', ma ciò non gli impedisce a quanto pare di versarsi nuovi bicchieri di vino.

Astrid afferra la mano di John, che guarda sconsolato l'amico, "Portami a ballare, tesoro. Non credo che il mio ragazzo ne sia in grado senza vomitarmi addosso"

"Confermo" ride Stu, alzando il calice come a brindare.

John rivolge uno sguardo di scuse a Paul, che annuisce brevemente.

"Non preoccuparti, ci divertiremo" lo rassicura Stuart, intercettando la sua espressione, "Non lo farò scappare. Dio, non ci sei riuscito tu, come potrei io"

Ammicca, divertito, e allunga anche a Paul un bicchiere di vino.
John sembra molto poco rassicurato, ma Astrid punta i piedi e lo trascina al centro della sala per ballare e, probabilmente, fornire la propria recensione su Paul.

"Ti ha fatto il terzo grado?" chiede Stuart, quasi leggendogli nella mente.

"Non più di tanto" ribatte Paul, bevendo il primo sorso.

"Meglio così. Lasciale fare la parte della chioccia, adora l'idea di prendersi cura di noi" ride l'altro, "Questa festa è una noia, vero? La Saatchi ha accettato di ospitare la mia prossima mostra e Astrid ha ritenuto necessario festeggiare"

"Beh, complimenti"

Stuart si schernisce con una smorfia divertita, "Forse mi piaceva di più essere un artista quando nessuno mi apprezzava. Mi faceva sentire speciale"

Paul ride tristemente, "Ti sembrerà assurdo, ma credo di capire cosa intendi"

La sua vita prima di John, prima del suo amore, era semplice e lineare: svegliarsi, prendersi cura dei fiori e di Ben, andare a letto e ricominciare.
Paul era diverso dalle altre persone, e questo gli andava bene perché gli impediva di sperimentare cose come la delusione e il dolore.
Ora invece ci sono mille fattori da considerare, persone da proteggere e non deludere, incluso se stesso, attese da sopportare e sentimenti da provare.

"Bella merda" riassume Stuart, comprensivo. "Ci ubriachiamo?"

Paul non ci ragiona neanche.

"Certo"

E brindano.
 

Note

vi chiedo immensamente perdono per l'assenza!
Mancano pochi capitoli alla fine di questa storia e sono super emozionata perché sarà davvero la prima long che riesco a finire!!

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Capitolo 9
*** Cyclamen ***





Cyclamen


Paul non sa precisamente quanto tempo sia passato.

Ricorda perfettamente che Stuart gli ha proposto, a un certo punto della conversazione, di bere un calice fino in fondo ogni volta che John sembra annoiato da una conversazione.

Da allora, frotte interminabili di persone hanno continuato ad avvicinarsi a John, a bloccarlo mentre cerca di ballare con Astrid.

E Paul ha bevuto per ognuna di loro.

Il suo corpo si è fatto man mano più rilassato, la sua mente più annebbiata, e parlare con Stuart sempre più facile.

Astrid li ha raggiunti per un po', si è lamentata di quanto sia difficile tenersi stretti un ballerino e si è rigettata nella folla, annunciando che avrebbe trovato qualcuno con cui ballare a costo di frugare sotto i divani.

Stuart invece continua a chiacchierare, e lo intrattiene raccontandogli pettegolezzi sugli invitati e tracciandone buffe caricature sui tavoglioli.

"Quella con cui John sta parlando adesso, la vedi? Cynthia. Al liceo aveva una cotta immensa per John. Le ci vollero secoli, ma alla fine raccolse tutto il suo coraggio e decise di dichiararsi durante il ballo dell'ultimo anno"

"E come andò?"

"Non ebbe mai risposta. Io ero ubriaco, le vomitai sul vestito mentre spiegava a John quanto i suoi occhi fossero belli"

Paul si lascia sfuggire una risata guardando la ragazza, che si sistema più volte i capelli e sorride a John con le guance visibilmente rosse, anche nella penombra.

Tutto sommato, la serata potrebbe andare peggio di così.

Il divano è comodo, il vino dolce e la compagnia piacevole, e anche senza John Paul si sente estremamente rilassato.

"Oh, Dio" borbotta Stuart all'improvviso, e fa per avvicinarsi al suo orecchio e sussurrargli qualcosa.

Nel farlo, rovescia a terra l'intero contenuto del suo bicchiere.

Paul ride della sua espressione, o forse solo perché è ubriaco fradicio, e anche Stuart gli sorride, divertito.

"Astrid scaricherà i miei schizzi nel cesso, per questo" si lamenta, teatralmente.

"E tu le comprerai dei fiori nel mio negozio per scusarti" suggerisce Paul, battendo il bicchiere contro il suo, ormai vuoto "All'economia che gira".

"All'economia che gira grazie ad Astrid" lo corregge Stuart, ridacchiando. "Aspetta. Cos'è che ti stavo dicendo?"

Paul abbandona la testa contro il divano, spossato, e si massaggia le tempie con la sinistra.
Tuttavia, la mascella gli fa male dal troppo sorridere.

"Non ne ho idea. Hai solo detto Oh, Dio! e poi hai rovesciato tutto a terra" riepiloga, farfugliando, "E io ho riso di te".

Stuart ride ancora, e lascia scorrere lo sguardo sulla folla, pensieroso.
Gli basta incontrare il profilo familiare di John per riallacciare i fili dei propri pensieri.

"Ah, sì" gli sussurra, con un tono talmente basso che Paul è praticamente costretto a spalmargli l'orecchio sulla bocca, "L'uomo che gli si è avvicinato ora. Brian Epstein"

Paul fa cadere casualmente lo sguardo sull'uomo, elegante e di bell'aspetto, che tiene John intrappolato, e beve un altro sorso di vino.

"Hai vomitato anche su di lui?" tenta di indovinare.

Stuart gli tira un colpo divertito sulle spalle, "No, ma è tremendamente divertente. Lavora nel campo musicale ed è a tutto un altro livello di ossessione. Cynthia? Dimenticala. Penso proprio che il buon vecchio Brian abbia piccoli, adorabili ritagli delle foto di John sparsi per tutta la sua camera da letto"

Mentre parla, Stuart sfila con i denti il cappuccio della penna, e gli bastano pochi tratti perché sul tovagliolo emerga un ritratto abbastanza somigliante dell'uomo, con dei cuoricini storti al posto degli occhi.

"Devi credermi, Paul. Qualcosa di imbarazzante. Quando ha conosciuto John, pur di averlo vicino, gli ha proposto di creare una band promettendo che che la avrebbe rappresentata"

Paul ridacchia, "E lo avete fatto?"

"Certamente, ma eravamo impresentabili. John suonava la chitarra come fosse un banjo, io tenevo il basso come se fosse un maledetto rastrello. E poi c'era questo fottuto ragazzino... ho dimenticato persino il suo nome. Comunque, c'era quest'altro fottuto ragazzino con una palese cotta per John che mi stava addosso per qualsiasi errore commettessi. Dio, l'avrei ucciso"

Paul sorride al racconto, "E addio alla carriera da rockstar"

"Amen" sospira Stuart, accavallando le gambe, "Comunque, Brian è ancora perso. Penso che compri i miei quadri solo per poter mantenere un rapporto con lui. John, d'altra parte, lo trova terribilmente noioso, e se lo conosco bene tra poco ce lo renderà palese".

Paul riempie i bicchieri di entrambi, e si limita a condividere con Stuart qualche momento di silenzio, immersi nella musica che rimbalza contro le pareti della stanza.
Mantiene lo sguardo su John, cercando conferma di ciò che Stuart gli ha appena detto, e non è difficile indovinare il forte disagio che il ragazzo sta provando.

"Ah, eccolo lì" ride Stuart, posando il bicchiere sul tavolino. "Dai, Paul, si va in scena"

Il giovane asseconda i suoi movimenti, troppo confuso per chiedersene la ragione se non dopo qualche secondo.

"Dov'è che andiamo?"

Stuart sorride, e i suoi occhi, già lucidi per via dell'alcol, scintillano di furbizia e ironia, "La sua mano, la vedi? È un segnale. Abbiamo perfezionato questo linguaggio per anni".

Paul ha bisogno di qualche secondo per notare che la mano destra di John, abbandonata lungo il suo fianco, segna con le dita il numero tre.

"Piano numero tre" conferma Stuart, "L'ubriaco".

Per un attimo, Paul è geloso di quel legame.
Invidia la fittissima rete di ricordi e scherzi segreti che connette John e Stuart, la profonda complicità nel loro rapporto.
E gli sembra di comprendere, d'un tratto, la gelosia folle che il ragazzino senza nome deve aver provato. 

Ma Stuart gli sorride, in attesa, e a Paul basta fare un respiro profondo per dirsi che non c'è davvero ragione per odiarlo.
Perché John non appartiene a Stuart.

E neanche a lui.

"Cosa dobbiamo fare?" gli chiede quindi, un po' più cupamente di quanto vorrebbe.

Stuart, tuttavia, sembra non notarlo "Sorreggimi, e avviciniamoci. I veri artisti, mio caro Paul, improvvisano".

Paul si sforza di traghettare entrambi al di là della sala, ed è un miracolo che non crollino a terra prima di arrivare davanti a John.

"Ehi!" urla Stuart, a nessuno in particolare.
Sia John che Brian si voltano verso di lui, e il sollievo è evidente sul volto del primo.

"Ehi" li saluta John, e il suo braccio va immediatamente ad allacciarsi alla vita di Paul.
"Stu, tutto ok?" chiede poi, con un tono talmente preoccupato da rendere quasi palese la finzione.

Stuart si getta praticamente addosso a Brian, che lo sostiene allibito.
"Sono ubriaco, Johnny. Sto così male" si lamenta, portandosi una mano alla fronte.

Neanche lui è un buon attore, ma il fatto di essere realmente ubriaco aiuta certamente la sua performance.

"Posso fare qualcosa per te, Stuart?"

"Oh no, John. Non preoccuparti per me. Forse il vecchio Brian può accompagnarmi a vomitare, però. Inizio a sentire quel terribile gusto di vomito in gola che..."

Brian si distacca improvvisamente da lui, "John, devi perdonarmi. Ma io devo davvero andare" si giustifica, mentre Stuart alle sue spalle sorride sornione.

"Oh, non preoccuparti Brian. Va' pure. Mi occupo io di lui"

Finiscono sul tetto, con una bottiglia di vino a testa, mentre sotto di loro la festa continua.

Stuart divide una sigaretta con Astrid, che ride con la testa posata sulla sua spalla.

Non si sente mai abbastanza grato per quello che la vita gli ha dato.

Il potere di evadere dalle feste noiose, l'amore della sua vita che si lascia cingere le spalle con il braccio, il privilegio di vedere il proprio miglior amico innamorato.

Sorride, e si allunga per passare a John gli ultimi tiri della canna che hanno girato.

"Lo hai mai visto così felice?" sussurra poi ad Astrid, nascondendo le parole tra i suoi capelli biondi.

Lei emette un mugolio di dissenso, e gli si stringe più forte addosso, "Siamo tutti così felici, amore mio. Vorrei che il mattino non arrivasse mai".

Quando hanno preso posto sul pavimento, Paul si è inspiegabilmente rifugiato tra le gambe di John, con la schiena contro il suo petto.

Stuart ha notato John che si sforzava di trattenere il respiro, come se il minimo movimento potesse farlo scappare.

E lo ha visto prendere coraggio, cingergli il petto con le braccia, sussurrargli qualcosa con le labbra premute sulle sue tempie.

Paul ha solo sorriso, di un sorriso languido, e si è sistemato meglio contro di lui.

Hanno fumato e riso tutti insieme, i visi illuminati unicamente dalla brace della canna che gira tra loro, e hanno sperato che la notte durasse per sempre.

A guardarli ora, Paul con le mani allacciate a quelle di John e John che lotta per non addormentarsi, Stuart si sente il cuore estremamente leggero.

"È ora di andare, il sole sta sorgendo" sbadiglia John, gettando a terra il filtro dell'ennesima canna.

Stuart fa lo stesso con la propria sigaretta, un po' amareggiato.

Astrid invece ha la voce impastata, ma decisa, "John, vi proibisco di mettervi in macchina in queste condizioni".

"Ha ragione, amico" gli fa notare Stu, aiutando la propria ragazza ad alzarsi, "Avete bevuto, e hai degli occhi spaventosi".

"Mamma, papà. Non preoccupatevi. Riposeremo da me finché non mi sarò ripreso abbastanza da guidare." li asseconda John, sarcastico "Ora, se mi date una mano con Paul...".

Serve l'azione combinata di Astrid e Stuart per riuscire a staccare il giovane dalla schiena di John.

"Stiamo andando a casa?" chiede Paul, spaesato.

"Tra poco" lo rassicura John, dolcemente, "Prima dormiamo un po'. Abito qui sotto".

Paul non reagisce, ma il suo equilibrio è talmente instabile da costringere John a passargli un braccio dietro l'incavo delle ginocchia e sollevarlo.

"D'accordo, basta feste per te" ride.

Paul sbuffa contro il suo petto, "È colpa di Stuart"

L'interessato, traballante ma sorridente, gli rivolge un breve inchino "Colpevole".

Paul non riesce a mantenersi vigile durante il brevissimo viaggio dal tetto all'ascensore, e dall'ascensore alla porta di casa.

Il maglione di John profuma di fumo e lana, con una vaga traccia del suo detersivo.

"Aspetta, devo aprire la porta" sussurra lui, posandolo a terra per qualche istante.

Paul non risponde, e la sua mente è tutta presa dalla strabiliante scoperta di quel nuovo profumo.

A un certo punto avvisa John di dover vomitare, flash del fondo della tazza, percezione perfetta della mano fresca dell'altro che gli sorregge la fronte.

Lo ha aiutato a lavarsi i denti, ne è quasi sicuro, perché passandosi la lingua sui denti avverte solo un piacevole sentore di menta.

Si chiede distrattamente se John abbia usato il proprio spazzolino, o se ne avesse uno nuovo nel cassetto.

Ora tutto intorno a lui è morbido e profuma di John, e fa fatica a tenere gli occhi aperti.

"Paul, tesoro" ridacchia John, tirandolo per le mani per costringerlo a mettersi seduto, "Puoi andare a letto tra un minuto. Prima devi cambiarti. Ti sei vomitato addosso"

Paul vede una vecchia t-shirt del King's e un pantalone felpato accanto a sé, ma non ha il tempo di metterli a fuoco che quelli iniziano a sdoppiarsi.

"Aiutami" sussurra, seccato, e si chiede perché il respiro di John si faccia più veloce.

"Va bene, allunga le gambe"

Paul esegue, inarcando brevemente la schiena perché John riesca a sfilargli i pantaloni e poi a infilargli quelli puliti.

"Bravo ragazzo" scherza John, in ginocchio di fronte a lui, ma la sua voce è più roca del normale, "Ora le braccia".

Il freddo della notte punge la pelle di Paul come uno sciame di api, e chiude gli occhi mentre l'altro gli sfila il maglione dalla testa.

Quando li riapre, John è ancora immobile, la t-shirt del King's dimenticata tra le mani.

Paul sorride, malizioso.

"Qualche problema?"

John si riscuote immediatamente, e sorride con dolcezza.

"Scusami. Sei solo molto bello"

Paul ridacchia.
Dovrebbe metterlo al suo posto, continuare a tenerlo a distanza.

Ma anche John è bello, ed è terribilmente dolce.

Non sta pensando a niente di particolare quando gli solleva il mento con l'indice e lo bacia, se non che qualcuno di così dolce deve avere un buonissimo sapore.

Il respiro di John si spezza contro le sue labbra, ma è pronto a respingerlo.

"Alza le braccia" ripete, dolcemente, "Poi ti metto a dormire".

Paul obbedisce, e lascia che John lo vesta e lo aiuti a sdraiarsi.

"Resta con me" gli chiede, con gli occhi quasi chiusi.

John sospira.
Ma si infila accanto a lui, per metà, un piede puntellato sul pavimento e la schiena contro la testiera, e lascia che l'altro gli si stringa contro.

Paul mugola appena quando lui inizia a carezzargli i capelli, e qualunque siano i sentimenti che lo legano a questo ragazzo, questo momento è di sicuro il più leggero della sua vita.

"Dormi" sussurra John, gentile.

E Paul si addormenta contro il suo fianco.

Quando si risveglia, diverse ore dopo, la sveglia sul comodino segna le tre di pomeriggio, e di John non c'è alcuna traccia.

Paul si alza, massaggiandosi le tempie per calmare le fitte, e man mano che i ricordi riaffiorano sente le membra paralizzarsi per il terrore.

Così vulnerabile, così esposto.
E svegliarsi comunque da solo.

Attento a non fare il minimo rumore, esce dalla stanza, ma non deve cercare a lungo per trovare John.

Dorme serenamente, steso sul divano, con una vecchia coperta che rischia di cascargli di dosso.

Paul sorride nel sistemargliela, e senza che lo voglia davvero le sue dita vanno a intrecciarsi delicatamente ai capelli del ragazzo.

Non ricorda bene la fine della serata, ma il solo pensiero che John abbia scelto di dormire sul divano piuttosto che approfittare del suo invito ubriaco basta a riempirlo di tenerezza.

John ci tiene a lui, più di quanto tenga ai propri desideri.

E Paul tiene a John, realizza d'improvviso, e le sue dita si allontanano da lui.

Tiene a John al punto di volere le sue braccia attorno e le sue mani addosso, al punto di non volersi fermare a quello.

Svegliarsi accanto a John, fare colazione insieme e leggere il giornale, dirsi cos'è che manca in frigo, allineare il proprio spazzolino accanto al suo.

Tutte queste possibilità, questo mondo inesplorato, lo terrorizzano più di quanto lo allettino.

Così si alza, attento a non svegliarlo, e raccoglie le proprie cose.

Sul piccolo taccuino accanto al telefono Paul lascia un disegno impreciso, e si odia perché la sua mente ha immediatamente pensato che Stuart potrebbe farlo meglio.

Persone nuove che si introducono nella sua vita, che capitano nei suoi pensieri.

John e i suoi amici che diventano la misura di tutte le cose.

Nel chiudersi la porta alle spalle, Paul sente chiaramente il sollievo che si mischia al dolore, e spera solo che John legga il suo messaggio e lo capisca.

Un brutto ciclamino e una sola parola.

"Addio".
 


Note
Aaaaaah le cose iniziano a farsi interessanti!
Ho amato scrivere questo capitolo.

Mi è piaciuto descrivere anche le scene dal punto di vista di nuovi personaggi, specialmente quello di Stu❤️

Non arrabbiatevi troppo con Paul.
È solo spaventato, ricordiamolo.
Non è bravo nelle relazioni, ed è ovvio che provare sentimenti lo spaventi! 

Vi volevo avvisare anche del fatto che siamo quasi alla fine della storia, e sarò veramente felice di poter concludere per la prima volta una long 💫

Insomma basta parlare, non posso fangirlare sulla mia stessa storia ecco ci vuole un po' di dignità.

Fatemi sapere cosa ne pensate voi!

H.

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