Love is noise... Love is pain

di Damisa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Nota: Ciao a tutti/e ^^ so che è passato molto tempo da quando ho pubblicato l'ultima volta, forse non sarei proprio tornata se non fosse stato per la mia amica. Prima di lasciarvi alla lettura occorre darvi qualche informazione di servizio; la storia nasce da un sogno fatto dalla mia amica, da lì abbiamo immaginato altre scene coerenti con ciò che aveva sognato e poi ho dato forma al tutto, per questo motivo non ci sarà nessun riscontro con quello che sta succedendo attualmente con la serie, anzi temporalmente la si può collocare dopo la terza stagione. So che potrebbe sembrare un po' "fuori tempo", ma la mia amica mi ha ricordato che in questo momento credo che serva a tutti noi una mezza gioia, quindi eccomi qua a condividere qualcosa che avevo fatto solo per lei. Anticipo che saranno 3 capitoli, già scritti, quindi  non temete, non dovrete aspettare decenni. Detto questo, buona lettura :)


1.


La redazione della CatCo quel giorno era in pieno fermento, la maggior parte dei dipendenti sembrava essere in preda ad un euforico delirio. Il tempo delle consegne era alle porte e tutti, chi più e chi meno, erano impegnati a far uscire al più presto possibile il prossimo numero di quella rivista tanto attesa dagli abitanti di National City. Caraffe di caffè venivano continuamente svuotate, il brusio costante era alle volte sovrastato dalle solite imprecazioni a causa dei pc poco collaborativi, diversi fogli svolazzavano qua e là persi da chissà chi. Gente che faceva avanti e indietro dai diversi reparti. La confusione regnava sovrana, in pratica.
Dietro alla scrivania dell’ufficio di James c’era Lena che, completamente estranea a tutta quella frenesia, ogni tanto lanciava uno sguardo quasi insofferente ai suoi dipendenti, per poi tornare a prestare attenzione al suo laptop. Sospirò appena, domandosi per quale arcano motivo aveva voluto investire i suoi soldi in un’attività totalmente avulsa da lei. Non le bastava tutto il lavoro che le dava la LCorp? No, perché in fondo doveva ammetterlo a se stessa, riusciva ad essere decisamente masochista quando ci si metteva.
Un rombo dovuto al temporale, che imperversava da giorni sulla città, la fece sobbalzare e d’istinto si voltò verso il balcone, gli occhi si soffermarono sulle bruciature che macchiavano ancora il pavimento.
Era iniziato tutto così, da un fulmine…
 
«Lo sapevo che ti avrei trovata ancora qui a lavorare.»
Sorrise al sentire il tono velatamente di rimprovero dell’amica.
«Significa che mi conosci bene.»
Alzò gli occhi verso Kara che, con le braccia conserte, continuava a guardarla decisamente accigliata. Era uscita fuori al balcone portandosi dietro il tablet nella speranza di non essere beccata, ma sapeva già che ora non sarebbe riuscita ad evitare la ramanzina sul suo perenne lavorare.
«Significa che adesso lascerai finalmente questo edificio!», le disse in maniera alquanto perentoria.
Si mise a ridere apertamente, «Da quando un dipendente si mette a dare ordini al suo capo?»
Subito dopo aver posto quella domanda fu costretta a fare due passi indietro per evitare l’agguato di Kara ed impedirle di afferrarle il tablet. Probabile che glielo avrebbe buttato giù.
«Non sono qui in veste di tua dipendente, bensì di tua amica, Lena. Hai bisogno di staccare un po’ la spina. Che ne diresti di andare a mangiare qualcosa insieme?»
Alle volte si chiedeva perché si preoccupasse così tanto per lei, ma non poteva di certo dire che le dispiacesse. Quelle sue continue premure riuscivano sempre a farla stare meglio. Kara era capace di farla sentire meno sola e, soprattutto, meno sbagliata.
«D’accordo hai vinto… ma vorrei vedere te portare avanti due aziende.», ci tenne a puntualizzare che non si sfiniva per puro divertimento.
Notò come la sua espressione dall’essere arrabbiata passò all’essere pensierosa, mostrando un cipiglio sulla fronte.
«Molto probabilmente le farei fallire entrambe.»
Quella risposta le provocò un eccesso di risate che contagiò anche Kara. Forse fu per questo che non si accorse di quello che stava per accadere.
Improvvisamente delle nuvole scure si addensarono coprendo completamente il cielo e si alzò un terribile vento.
Ebbe il tempo solo di voltarsi per assistere a quello che era diventato un terribile spettacolo. Una sequenza anormale di fulmini cadeva senza sosta sulla città.
Rimase paralizzata, quando delle saette iniziarono a colpire anche loro. Le vetrate andarono in frantumi e volarono pezzi di cemento dalla balconata.
«LENA!»
Sentì strillare il suo nome e, mentre un fulmine stava per coglierla, Kara la travolse tenendola stretta tra le sue braccia, facendole da scudo. In quel momento fu tutto molto confuso, si ritrovò a terra con il corpo di lei che schiacciava contro il proprio, mentre si scatenava quella sorta di cataclisma.
 Dopo che la furia del cielo si placò, realizzò ciò che la bionda aveva fatto e il panico la attanagliò.
«Kara…», la chiamò con voce tremante, aveva una tremenda paura che non le sarebbe arrivata nessuna risposta, gli occhi già le si erano fatti lucidi.
Quando l’amica si mosse su di lei iniziando lentamente a sollevarsi, non seppe se fosse sollievo o sorpresa quello che stava provando.
«Dimmi che stai bene Lena.»
Oltre allo spavento e forse qualche graffio non si era fatta male, ma la vera domanda era: come poteva Kara non essersi fatta niente dopo essere stata presa in pieno da un fulmine?
Non fu necessario scorgere il costume da sotto la sua camicetta, ormai a brandelli, la risposta la lesse nello sguardo colpevole e addolorato dell’amica.
«Tu sei…», le parole le morirono in gola, non sapeva che dire, non sapeva come dover reagire, cosa dover provare.
Le si era appena congelato il cuore.
 
Da quel momento qualcosa in lei era radicalmente cambiato, aveva ceduto a quelle ineluttabili verità che aveva sempre cercato di combattere. Non poteva fidarsi di nessuno e quelle poche volte che aveva provato ad abbassare la guardia, il prezzo da pagare era sempre stato altissimo, come in quel caso.
Aveva perso la sua migliore amica, aveva perso quello che per lei era diventato un punto di riferimento ed era stata tradita nei peggiori dei modi. Quanto si era potuta sbagliare sul suo conto.
«Lena?»
Le labbra si arricciarono in una piccola smorfia di fastidio, cercò di fare un respiro profondo, prima di alzare lo sguardo verso la proprietaria di quella voce.
«Cosa vuoi?»
Nonostante fossero passate più di due settimane da quando Lena aveva scoperto il suo segreto, ancora non si era abituata a quello che ora era diventato il loro rapporto. Veniva sempre colpita, quando si rivolgeva a lei con quel tono e con quello sguardo glaciale. Era diventata un’altra persona ed era stata tutta colpa sua.
«Avrei bisogno del tuo okay per questo.», le anticipò avvicinandosi alla scrivania, per poi porgerle un foglio.
La mora lo prese e, quasi annoiata, lesse di che si trattasse.
«Vorrei anche parlarti…», la guardò quasi supplichevole, mentre prese a torturarsi le mani.
Non sopportava quel perenne disagio che percepiva ogni volta che si trovavano nella stessa stanza. Non sopportava di doverlo provare proprio con lei che mai l’aveva fatta sentire così. Stava diventando una situazione davvero frustrante.
Lena alzò l’indice come monito a non continuare oltre, non sollevò nemmeno gli occhi, quando le rispose.
«Se non è qualcosa che riguarda il lavoro, non voglio sentire niente.»
Le firmò quella richiesta e le ridiede il foglio, «Ora puoi andare.»
Kara chinò il capo di lato e sospirò rassegnata, come poteva farsi perdonare se non le dava alcuna possibilità di provarci? Di solito il tempo era la miglior cura, ma non era per niente sicura che in questa situazione avrebbe sortito qualche effetto.
Prima di uscire dall’ufficio si girò nuovamente verso la mora, guardandola decisamente afflitta, «Ti prego, non possiamo continuare in questo modo, prima o poi dovrai pur ascoltarmi.»
Lena fece saettare lo sguardo sulla bionda e dovette fare molta fatica a mantenersi calma e a non far trasparire nessun tipo di emozione, perché l’avrebbe incenerita se avesse potuto.
«L’hai voluta tu questa situazione.», replicò con tono insofferente.
«Ma…», non ebbe modo di continuare, dovendosi concentrare sulla voce della sorella che le comunicava di una nuova emergenza. Vide con la coda dell’occhio che anche la mora aveva ricevuto una chiamata, molto probabile il DEO voleva ancora il suo aiuto per quella particolare situazione.
In seguito alla pioggia di fulmini era apparso in città un nuovo alieno, ex detenuto di Fort Nozz, che, a quanto pareva, aveva come unico scopo quello di vendicarsi dei kryptoniani. Kara si era scontrata con lui diverse volte, venendo puntualmente sempre sconfitta e ferita. Aveva la capacità di assorbire e di duplicare le proprietà di tutti i tipi di materiali, non importava di che natura fossero, con cui entrava in contatto e sembrava che riuscisse anche a prosciugare la sua forza e a ritorcergliela contro. Era completamente inerme quando combatteva con lui.
Lena intanto recuperò una valigetta che teneva nascosta, la aprì e prese quello che in apparenza sembrava una piccola scatola metallica. Raggiunse la bionda, che in quel momento smise di parlare con la sorella, e le poggiò in malo modo sul petto, quasi a volerla colpire, senza nemmeno guardarla in faccia, la nuova tuta su cui stava lavorando.
«Tieni e cambiati, dobbiamo andare.», le disse senza mascherare il tono abbastanza collerico.
Ancora una volta sulla fronte di Kara si mostrò un cipiglio di rammarico per il gesto apertamente ostile di Lena, poi si rigirò tra le mani quell’oggetto, mentre la guardava andare via. Certo, meritava quel trattamento, ma l’unica cosa che avrebbe voluto era la comprensione della mora sul perché aveva deciso di tenerle nascosta la sua identità. Invece…
 
Sua sorella gliel’aveva detto più di una volta che quella non era una buona idea, ma non poteva rimanere con le mani in mano, senza fare niente. Aveva bisogno che Lena sapesse tutta la verità da lei, voleva salvare il loro rapporto.
Si fece strada, non badando alla voce della segretaria che le intimava in maniera gentile ad andare via, ed entrò nel suo ufficio, chiudendosi le porte alle sue spalle.
«Non sei la benvenuta qui, Kara.»
La vide spegnere lo schermo della tv, girandosi poi verso di lei. La sua espressione trasudava solo delusione e rabbia, già l’aveva vista così, ma nei confronti di Supergirl, era la prima volta che guardava lei, Kara, in quel modo.
Fece qualche passo titubante verso di lei, «Lo so, ma dovevo parlarti.»
Rimase di sasso nello scorgere il sorriso amaro che si formò sulle labbra dell’amica.
«Ora devi parlarmi? Il tempo delle parole è finito da un pezzo.»
Cercò di non farsi scoraggiare da quel tono beffardo.
«Non c’è mai stato, Lena.»
«E di chi sarebbe la colpa?!»
Sgranò leggermente gli occhi, non aspettandosi che alzasse la voce, aggredendola in quel modo. Deglutì, abbassando lo sguardo e corrugò la fronte, «Ho tante colpe e non lo nego, ma non mi sentirò mai in colpa per averti voluto proteggere.»
«Ah… quindi dovrei anche ringraziarti per il tuo tradimento, per avermi mentito per anni, preso in giro senza alcun ritegno e aspetta… avermi trattato come se davvero avessi cospirato per ucciderti, tradendo come mi dicesti la tua di fiducia. Dimentico qualcosa?»
Strinse i pugni e puntò gli occhi su Lena che continuava ad avere uno sguardo fiammeggiante, «Lo so come può sembrare, ma credimi, il mio unico intento è sempre stato quello di proteggerti. Ho sempre cercato di salvaguardare la tua vita e di non stravolgerla ulteriormente, più di quello che dici che è per essere una Luthor. Sapere il mio segreto ti avrebbe messo in pericolo e non potevo permetterlo. Sì, la rabbia per la questione della kryptonite ha offuscato il mio giudizio e ho detto cose di cui mi pento amaramente, ma non ho mai voluto farti del male.»
Calò un silenzio decisamente pesante, mentre Lena andò verso gli alcolici per riempirsi un bicchiere.
«Vorresti che io comprendessi te in questo momento, nonostante tu sia stata la prima a non voler comprendere me.»
La vide voltarsi lentamente con lo sguardo perso nel vuoto.
«Non era così che volevo essere protetta, ma tu non hai mai pensato a quello che avrei voluto io.»
 Rimase con la bocca semiaperta, per poi mordersi il labbro inferiore, «Io…»
«Non ho bisogno di sentire altre tue inutili scuse e giustificazioni. Non hanno più importanza ormai, ma ora sarò io a dirti come andranno le cose.»
Socchiuse gli occhi, non l’avrebbe ascoltata, doveva capirlo dal modo in cui la guardò sul quel maledetto balcone.
Sconvolta, distrutta, fredda, distante.
«Se sarà necessario, continuerò a collaborare con il DEO e avremo un rapporto prettamente professionale. Per il resto… tu per me non esisti.»
E con quelle parole che le rimbombarono nelle orecchie devastandola ad ogni secondo che passava, andò via, lasciando in quell’ufficio un pezzo di sé.
 
Scesa dalla macchina vide volare Supergirl con il nuovo costume che aveva creato per aiutarla a fronteggiare l’alieno. Almeno era riuscita ad attivarlo senza combinare guai, visto che erano diventati la sua specialità.
Entrò nella sede del DEO e si diresse a passo di marcia verso la sala centrale, Alex appena la vide, la raggiunse.
«Grazie per essere venuta.»
«Non potevo fare altrimenti.»
L’agente accennò un mezzo sorriso comprensivo ed annuì, sapeva che lo stava facendo principalmente per evitare che l’alieno facesse ulteriori danni alla città, ma era comunque contenta che fosse ancora disposta ad aiutare sua sorella.
«Bene, allora vediamo come funziona questa nuova tuta.»
Entrambe si posizionarono davanti ad un tavolo ovale bianco. Lena iniziò a far comparire delle schermate che mostravano le funzioni vitali di Kara e le condizioni del costume, per poi mettersi un auricolare.
«Supergirl, mi senti?»
«Sì, Lena.»
Il primo contatto era andato a buon fine.
«La tuta dovrebbe evitare che ti vengano prosciugate le energie, ma è ancora un prototipo, quindi vedi di non esagerare.»
Il tono che aveva usato Lena non lasciava trapelare nemmeno l’ombra della preoccupazione, le aveva semplicemente dato una comunicazione di servizio. Sospirò decisamente sconsolata.
«Va bene.»
Stava per raggiungere il luogo dove avevano individuato l’alieno, doveva cercare di mantenere la concentrazione, perché non sarebbe stata una battaglia facile, ma non riusciva a non pensare alla situazione con Lena, soprattutto ora che erano in contatto e che, volente o nolente, avrebbe dovuto ascoltarla.
«Lena?»
Stava spiegando ad Alex come effettivamente avrebbe dovuto funzionare il materiale che aveva utilizzato, quando la voce di Kara le fece spostare lo sguardo subito sulle diverse schermate, temendo un’anomalia del sistema.
Sembrava essere tutto normale. Aggrottò le sopracciglia, mostrando perplessità.
«C’è qualcosa che non va?»
L’unica cosa che al momento le veniva in mente era un possibile problema di mobilità o di adattamento da parte sua.
La risposta non si fece attendere troppo.
«Noi.»
Serrò la mascella e venne investita di nuovo da quella cieca rabbia che a fatica era riuscita chiudere in una scatola. Stava diventando difficile tenere sotto controllo tutte le sue emozioni, anzi era lei che lo stava facendo diventare davvero estenuante.
Alex si accorse del cambiamento della mora dallo sguardo. Duro e freddo. La sorella stava sicuramente provando a dirle qualcosa. Si trovava in una situazione scomoda, perché per quanto volesse aiutare Kara, capiva lo stato d’animo di Lena e il muro che aveva alzato. Il loro rapporto era andato troppo oltre per poterlo sanare solo con una semplice spiegazione, ed era quello che la sorella non voleva accettare. Avere la comprensione di Lena non significava che poi l’avrebbe perdonata. Decise di allontanarsi e preparare una squadra di supporto nel caso ci fossero stati dei problemi.
Lena si limitò a seguire con la coda dell’occhio i movimenti dell’agente, prese del tempo per rispondere, mentre tamburellava le dita sul tavolo.
«Allora non è niente che mi interessi.»
 Kara bloccò per un attimo il suo volo, se l’avessero presa a pugni avrebbe fatto meno male.
«Vorrei solo poterti chiedere scusa.»
Sollevò gli occhi al soffitto, inclinando la testa all’indietro, e fece un lungo respiro.
«Invece di continuare a dire cose irrilevanti, concentrati sulla missione, Supergirl.»
La sua attenzione venne poi attirata da un cambiamento delle funzioni vitali di Kara, il suo battito stava diventando leggermente irregolare.
Quando era successo che aveva iniziato a vedere solo bianco o nero, senza più scorgere tutte le possibili sfumature? Quand’era che aveva iniziato a fossilizzarsi solo sul suo di concetto di giusto e sbagliato? Da quando aveva dimenticato le persone che aveva intorno?
Conosceva Lena, la sua infinita curiosità, la sua incessante voglia di rendere migliore il mondo, la passione che infondeva in tutto ciò che faceva e il suo immenso genio usato solo a fin di bene e nonostante questo si era fatta inghiottire dalle ombre del dubbio, perché per lei il solo concepire di ricreare la kryptonite, anche se era per poter provare a salvare Sam e proteggerli da Reign, era inammissibile.
Forse era vero, ancora una volta si stava comportando da egoista nel voler pretendere che l’ascoltasse e che capisse. Non era in questo modo che avrebbe potuto ottenere il suo perdono, doveva imparare a rispettare i suoi sentimenti e lasciare che le cose andassero per il proprio corso… per quanto male le potesse fare.
«Hai ragione, tutto quello che potrei dirti è irrilevante, perché sono solo un’ipocrita.»
La serietà di Kara nel dire quella frase lasciò per qualche secondo spiazzata Lena, visto che fino a quel momento aveva dovuto sorbirsi quel suo fastidioso atteggiamento supplice.
«Se ci fossi io al tuo posto, farei esattamente come te e difficilmente riuscirei a perdonare. Invece continuo a non considerare ciò che tu vuoi. Nel nostro rapporto non ti ho mai dato l’opportunità di scegliere, l’ho sempre fatto io a tuo discapito e capisco che le intenzioni per cui ho agito così non ti importino. Ora è giusto che raccolga le conseguenze di ciò che ho seminato.»
Lena sollevò un sopracciglio in preda all’irritazione, se pensava che quella sottospecie di presa di coscienza potesse in qualche modo condizionarla, si stava sbagliando di grosso. Poi cosa diamine era quella parte da eroe sconfitto che andava incontro al suo triste destino?!
Dannazione! Quanto la faceva incazzare!
Nel momento in cui dischiuse la bocca per poter zittirla nuovamente, un urlo strozzato di Kara la costrinse a portarsi una mano vicino all’auricolare per cercare di captare altri suoni. Parti della tuta iniziarono a lampeggiare di rosso e non era assolutamente normale che già desse segni di cedimento, per quanto fosse ancora un prototipo.
«Supergirl cosa sta succedendo?»
Non le arrivò nessuna risposta, riusciva solo a sentire il suo respiro affannato e rumori indistinti. Iniziò ad armeggiare con il sistema della tuta per capire cosa stesse andando storto.
«Supergirl, ho bisogno di sapere con cosa ti sta colpendo.»
Le arrivò un maledizione non rivolto a lei, accompagnato da un sonoro schiocco come se qualcosa le si fosse infranto addosso.
Iniziò a percepire un’ansia crescente, quando si accorse che la temperatura stava diventando pericolosamente alta.
«Supergirl la tuta si sta surriscaldando troppo, cederà se continui così.»
Spalancò gli occhi terrorizzata, quando il segnale della parte del torace si spense, era riuscito a romperla.
«Lena…»
Le sue funzioni vitali stavano pericolosamente cambiando.
«Rientra immediatamente!»
Si voltò di scatto alla ricerca dell’agente.
«Alex!», strillò, non riuscendo a trattenere la tensione, «Supergirl è in pericolo!»
J’onn che era poco lontano, sentendola, subito si catapultò fuori dalla sede, seguito dall’agente insieme alla squadra per soccorrere la sorella.
Lena tornò alle schermate. Doveva pur poter fare qualcosa!
«Supergirl, stanno arrivando i rinforzi.»
Un rumore sordo e una risata di sottofondo.
«Lena…non riesco…»
Diede un pugno sul tavolo per la frustrazione, rendendosi conto di essere completamente inutile.
«Resisti…ti prego.»
Quando la sentì urlare per il dolore, provò un profondo vuoto allo stomaco e non riuscì più a mantenere la calma, lasciando che la disperazione emergesse prorompente.
«KARA!!»
Poi ci fu un agghiacciante silenzio.

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Capitolo 2
*** 2. ***


2.

Gocce d’acqua cadevano dal volto di Lena, le mani stringevano il bordo del lavandino. Rimase diversi minuti con la testa chinata e lo sguardo basso, le grida strazianti di Kara ancora la stavano tormentando.
Erano riusciti a salvarla, ma vederla quasi senza vita, abbandonata tra le braccia di J’onn e Alex, mentre la portavano in infermeria, la lasciò più scossa di quel che potesse immaginare.
Il peggio, però, ancora doveva arrivare, niente avrebbe potuto prepararla a quello che dovettero farle.
La tuta non si era rotta, come aveva supposto, si era liquefatta aderendo ai tessuti del suo corpo e per staccare quell’ammasso di materiale furono costretti ad usare la kryptonite come bisturi.
Non aveva mai visto Kara soffrire in quel modo e ad un certo punto iniziò a percepire anche lei un cieco dolore che la trafiggeva ogni volta che quella maledetta lama calava su di lei. Si allontanò solo quando quella tortura terminò, rifugiandosi in uno dei bagni che si trovava in quel posto.
Non voleva vedere nessuno, la urtava perfino il suo stesso riflesso allo specchio.
«Ecco dove ti eri cacciata.»
Lena si raddrizzò e si voltò verso l’agente, sperava di poter rimanere sola ancora per un altro po’.
«Non credevo che andare al bagno potesse destare qualche sospetto.»
Lo sguardo di Alex si intenerì, mentre si rendeva conto di come fosse ancora turbata da ciò che era appena successo, nonostante cercasse di mostrarsi impassibile.
«Se passa più di mezz’ora, è lecito preoccuparsi, non credi?»
Lena abbozzò un piccolo sorriso di circostanza, «Non ce n’era bisogno, sto bene.»
L’agente si avvicinò di qualche passo, continuando a studiarla, «Ho solo pensato che il tuo suggerire l’uso della kryptonite, potesse aver portato qualche sorta di ripercussione… emotiva.»
La mora spalancò gli occhi, come se fosse stata appena scoperta a fare qualcosa di sbagliato. Distolse lo sguardo dall’agente.
«Era l’unico modo per salvarla.»
«Lo so e ti sono grata per aver preso in mano la situazione, senza di te sarebbe andata diversamente… dovresti sentirti sollevata.», voleva in qualche modo tranquillizzarla.
Su questo non c’erano dubbi, in quel frangente era stata l’unica a mantenere la lucidità necessaria per fare ciò che andava fatto e non era pentita per aver agito in quel modo, non si sentiva nemmeno in colpa, era altro che la stava facendo reagire così. Strinse leggermente le labbra… sollevata? No, non riusciva proprio a provare sollievo, almeno non per quello che intendeva Alex.
«Se non si fosse distratta, come le avevo detto, non saremmo arrivate a tutto questo. Non starebbe su un lettino a contorcersi per il dolore.»
L’agente non si sorprese nel sentire quelle parole e più osservava la mora, più percepiva che l’irritazione che mostrava fosse solo parte di ciò che stesse realmente provando.
«Beh sicuramente non l’ha aiutata, in queste situazioni dovrebbe mantenere una mente più fredda.»
Lena incrociò le braccia al petto ed inarcò il sopracciglio come risposta alla sua ovvia osservazione, «E visto che sembra essere incapace di farlo, la prossima volta sarai tu a supervisionare.»
Fu Alex a dover sollevare entrambe le sopracciglia, assumendo un’espressione alquanto confusa, «Cosa significa?»
La mora avanzò di qualche passo affiancandola, «Significa che quando avrò sistemato per bene la tuta, la mia collaborazione con il DEO sarà definitivamente finita.», le spiegò con voce mesta, riprendendo a camminare.
Sbatté più volte le palpebre, questa non se l’aspettava. Ruotò solo il capo verso di lei.
«È perché su quel lettino c’è Kara, non è vero?»
Si fermò sulla soglia e poggiò la mano sullo stipite, «È la scelta migliore per tutti.»
Quella banale risposta era quasi un insulto alla sua intelligenza, «Se si fosse trattato solo di Supergirl, avresti reagito allo stesso modo?»
Serrò la mascella, fece cadere la mano lungo il fianco e andò via, lasciando ad Alex solo il suo silenzio.
 
«Ehi raggio di sole!»
La voce di Alex la fece leggermente sobbalzare, si era incantata pensando a ciò che era successo. Sorrise alla sorella, vedendola con uno scatolo di ciambelle.
«Come stai?», lo sguardo perso e vuoto di Kara non le piaceva per niente.
Arricciò il naso, «Diciamo che al momento non sembro più una porchetta abbrustolita.»
La sorella ridacchiò, mentre le apriva lo scatolo, permettendole di prendere quei dolci, «Direi che è un buon inizio.»
Erano passati cinque giorni da quella sorta di operazione che aveva subito e solo da due era cosciente, qualche altro giorno sotto i raggi UV e sarebbe potuta ritornare alla sua, ormai, triste routine quotidiana. Prese una ciambella e la morse quasi di controvoglia.
«Hai qualche notizia di Lena?», l’ultima cosa che ricordava era la sua voce disperata mentre la chiamava, era da quando andò nel suo ufficio che non pronunciava il suo nome.
La sorella rimase qualche secondo in silenzio, abbassò lo sguardo e le fece segno di no con la testa.
«So solo che sta lavorando sulla tuta e forse ha capito cosa dover modificare.»
Lo sospettava, dopo quello che le aveva detto Alex, che sarebbe completamente sparita. Aveva perso anche quell’ultimo possibile contatto che poteva avere con lei. Sospirò trattenendo a stento le lacrime e si alzò di scatto, provocando la reazione immediata di Alex, «Cosa stai facendo?»
«Ho bisogno di aria…mi sento soffocare.»
L’accompagnò fuori alla balconata, soffiava un piacevole vento tiepido, socchiuse gli occhi, cercando di regolare il respiro.
«Da quando sono sulla Terra ho sempre saputo che sarebbe stato difficile avere dei rapporti normali, che avrei dovuto perennemente mentire…»
Alex rimase in silenzio, guardandola affranta dalla sua tristezza.
«L’ho accettato di buon grado, sapendo di avere persone intorno a me di cui mi sarei potuta sempre fidare e che non mi avrebbero mai lasciato sola… Poi è arrivata Lena e il mentire è diventato qualcosa di odioso e doloroso… ma l’ho fatto solo perché temevo di distruggerla con la verità. Volevo continuare ad essere la sua eccezione, volevo farle capire che il mondo poteva offrirle altro e non solo sofferenza… volevo che non si sentisse più così sola… volevo…»
Si voltò verso Alex con il viso rigato da copiose lacrime, non riusciva più a parlare per via dei singhiozzi.
La sorella l’abbracciò, cercando di consolarla in qualche modo.
«Ho creduto che fosse il modo migliore per proteggerla, Alex.»
La tenne stretta, accarezzandole gentilmente i capelli, «Lo so, Kara, e so anche che, nonostante tutto, Lena tiene ancora molto a te.»
Kara si staccò e fissò la sorella, «Ed è proprio per questo che non mi perdonerà mai.»
 
Tu per me non esisti.
Non erano parole che aveva detto solo perché era divorata dal risentimento. Davvero avrebbe voluto che non esistesse più. Lei e tutto ciò che le riguardava. Non poteva ridurla solo ad una semplice scatola da dover tenere sotto controllo, perché era un vero e proprio vaso di Pandora e la mitologia insegnava che chiuso non rimaneva mai. In un modo o nell’altro non era capace di esserle completamente indifferente. Già ne aveva avuto prova ogni volta che era costretta a parlarle, ma quello che era accaduto due settimane fa le fece capire che era peggio di quel che potesse credere. La sua freddezza era completamente venuta meno, quella collera che le infuocava le vene, nell’esatto momento in cui comprese che stava rischiando di morire, sfumò e presero vita ansia e terrore. Non poteva detestarla a tal punto che il solo vederla le faceva risalire la bile per il nervoso e allo stesso tempo tremare annientata dalla preoccupazione, se la sua vita era in pericolo. Il suo era un dissidio interiore che sapeva che non avrebbe mai potuto risolvere.
La verità era che dentro di lei continuava ad esistere e finché così fosse stato, non sarebbe riuscita ad andare avanti, sarebbe rimasta lì, bloccata in un limbo.
E se avesse fatto realmente sparire la sua ingombrante presenza, eliminando il problema alla radice? Un modo in fin dei conti c’era, avrebbe solo dovuto chiedere. Avrebbe cancellato tutto, ogni ricordo ed ogni sensazione legata a lei… e poi?
Come si sarebbe sentita? Libera? Rinata? Vuota? Diversa? Persa?
Si avvicinò alla tuta per fare l’ultimo test, era riuscita a risolvere il problema delle alte temperature, ora era curiosa di vedere se quelle nanoparticelle che aveva ideato avrebbero davvero funzionato.
Si guardò intorno e decise di ribaltare un tavolo, mettendosi dietro per potersi riparare. Indossò il braccio biomeccanico e sparò sulla tuta. Il fatto che non si fosse disintegrata, già era un buon risultato, ma non era quello che aveva sperato. Fece una smorfia infastidita, prima di essere sorpresa da una tenue luce azzurra che illuminò il costume. Un’onda d’urto si propagò d’avanti a lei ed ebbe solo il tempo di abbassarsi per non farsi investire.
Adesso sì che si ragionava.
Un ampio sorriso le si disegnò sul volto, anche se quell’euforia durò pochi attimi. Non era contenta solo per essere riuscita nel suo intento, poggiò la nuca alla superficie del tavolo, socchiuse gli occhi e sospirò profondamente.
 
«Quindi ricapitoliamo. Cosa fa cosa?»
Alex si portò una mano sulla fronte, massaggiandosi le tempie, quasi in preda all’avvilimento. Era la seconda volta che tentava di spiegarle come avrebbe dovuto funzionare la tuta. Lena gliel’aveva consegnata il giorno prima e dopo averle detto che aveva progettato il costume utilizzando delle nanoparticelle che assorbivano l’energia cinetica per poi rilasciarla, avrebbe voluto che si fosse trattenuta per provarla insieme, ma si era categoricamente rifiutata, così quell’incombenza era passata a lei.
«Va bene, passiamo al pratico, visto che i tuoi neuroni non vogliono assolutamente collaborare.», disse in tono quasi spazientito.
Kara assunse un’espressione imbronciata, «Non è colpa mia se per me è arabo.»
 
In quel periodo quello che maggiormente detestava erano gli eventi sociali e mondani, la sua voglia di interagire con le altre persone rasentava i minimi termini, ma non poteva fare a meno di andare alla festa per la raccolta fondi per migliorare l’istruzione nelle zone più a rischio e povere della città.
Rimase stupita di come lo staccare un po’ la spina dai soliti pensieri, perdendosi in chiacchiere pressocché futili, fosse stato positivo, forse era anche merito dello champagne che continuava a buttar giù.
Stava per diventare una serata stranamente piacevole, ma…
 
Dopo che Alex le aveva fatto finalmente vedere cosa accadesse, quando qualcosa colpiva più volte la tuta, si misero a raccogliere i pezzi di muro che si erano staccati dopo le diverse onde d’urto. Non poteva negare che era stato divertente vedere la sorella esibirsi in salti acrobatici per evitare di essere colpita.
Portò una mano all’altezza del volto, la rigirò per poi chiuderla a pugno. Lena aveva trovato il modo per proteggerla quasi a 360°, nonostante tutto.
«Spero che questa possa essere la svolta, perché il nostro amico alieno sta diventando un vero problema con questa sua sete di vendetta.»
Avevano finito di pulire e l’agente era tornata nella sala degli allenamenti con due bottigliette d’acqua e ne lanciò una alla sorella.
Kara stava per prenderla, ma rimase ferma facendola cadere a terra, sgranò gli occhi e si voltò di scatto verso la porta.
«Tutto bene?», domandò preoccupandosi per quella strana reazione. Continuava ad avere un’espressione stranita, quasi impaurita.
«Credo di aver percepito qualcosa…»
«Cosa?»
«Lena… è in pericolo!»
 
Una mano dietro alla schiena provò a spingerla con poca gentilezza verso l’uscita. Si irrigidì puntando i piedi a terra per non farsi trascinare da quello sconosciuto.
«Adesso mi seguirai docilmente, miss Luthor.»
Si voltò verso la fonte di quella sgradevole voce per rispondere a tono.
«Come si permette di…», si bloccò, deglutendo e spalancando gli occhi, quando riconobbe la figura che ora le stava a fianco.
L’alieno sorrise trionfante continuando a camminare.
Lena cercò di non farsi prendere dal panico, mentre lanciava sguardi verso gli invitati che incrociavano, nella vana speranza che qualcuno di accorgesse di quello che stava succedendo.
La mano dell’alieno si spostò sul suo braccio, stringendoglielo fino a farla reagire con una piccola smorfia di dolore, seguita da un lieve gemito.
«Non farti venire strane idee, se vuoi che restino tutti incolumi.»
Nonostante il suo istinto le stesse suggerendo di provare ugualmente a scappare, non poteva assolutamente permettere che a qualcuno venisse fatto del male, soprattutto se a causa sua, così non le restò altra scelta che seguirlo.
 
«Ne sei sicura?»
Alex stava dietro alla sorella mentre si dirigeva verso il balcone della sede.
«Sì, le sta succedendo qualcosa, ne sono sicura.»
Non diede tempo all’agente di risponderle che spiccò il volo.
Si posizionò più o meno sopra il centro della città e socchiuse gli occhi. Prese un respiro profondo e iniziò ad isolare tutti i suoni circostanti, concentrandosi solo su Lena, sulla sua voce, sul suo respiro, sul suo battito cardiaco.
Di solito quando la percepiva era perché si soffermava ad ascoltare cosa stesse facendo, evitando di farlo più dello stretto necessario per rispettare i suoi spazi. Questa volta però era stato diverso, come un’eco la sua voce in qualche modo l’aveva raggiunta, anche se non stava prestando attenzione.
Rimase diversi minuti in quella sorta di trance, muovendo impercettibilmente la testa, per seguire i suoni e captarli meglio. Quando riuscì finalmente a trovarla, la seconda voce che intercettò le provocò uno spasmo alla bocca dello stomaco.
No, non era possibile!
 
Venne portata in quella che le sembrava dall’esterno una vecchia fabbrica, dove le facciate erano per di più formate da finestroni, ma l’edificio all’interno era stato diviso in diversi piani, tutti openspaces, usati per set fotografici o mostre a giudicare dai fari appesi a tubi di ferro sul soffitto e dai resti di quadri e sculture.
Quell’aria decadente e di completo abbandono con il parquet consunto, le tende strappate e la maggior parte delle vetrate rotte, poteva anche suscitare un certo fascino, se non fosse stata prigioniera di quell’alieno.
La fece sedere su una poltrona impolverata, mentre lui prese una sedia e a cavalcioni si posizionò davanti a lei.
«Sei una donna difficile da trovare sai?»
Fece il gesto di togliersi della polvere dal vestito, prima di prestargli attenzione.
«Bastava chiamare e chiedere un appuntamento alla mia segretaria.», mostrò una nonchalance che forse al momento non provava, ma quell’alieno sembrava fin troppo docile, cosa che, aveva appurato dagli scontri con Supergirl, non era affatto. Non sapeva cosa doversi aspettare e questo l’agitava più della situazione stessa.
La osservò con un misto di interesse e sorpresa, avrebbe voluto vedere fin dove si sarebbe spinto quel suo freddo sarcasmo, ma non aveva tempo da perdere, non voleva dare alcun modo a quella feccia kryptoniana di poterlo rintracciare.
«Trovo più divertente sorprendere le persone.»
Non faticava a crederlo, anche se la sua mente era più occupata a comprendere cosa volesse da lei.
«Bah… mi sa solo di patetico… sciocco da parte mia aspettarsi qualcosa di diverso.», ed alzò sopracciglio per enfatizzare le proprie parole.
L’alieno ridacchiò, quella donna lo intrigava, non stava mostrando alcun tipo di disagio, eppure l’aveva rapita.
«Ringrazia che non ho nulla contro voi umani e che mi servi, perché hai la lingua un po’ troppo lunga a mio parere.»
Lena cercò di dissimulare l’inquietudine crescente, aggrottò la fronte stranita e perplessa.
«So che sei una donna che, oltre ad avere un’intelligenza spiccata, è capace di ottenere tutto ciò che vuole, perciò avrei una richiesta da farti.»
Non le piaceva per niente la piega che stava prendendo il discorso.
«Dopo una lunga ricerca sono riuscito a trovare ciò che finalmente annienterà quell’immonda aliena una volta per tutte, visto che sembra sempre cavarsela… ma per avere un effetto irreversibile, me ne serve di più.»
La reazione che ebbe la mora la tradì.
«Oh vedo che hai già capito.», commentò sorridendo.
Lena storse la bocca rimproverandosi per non essere riuscita a rimanere impassibile. Come aveva fatto ad ottenerla?
«Ammesso che io sappia davvero di cosa tu stia blaterando, ti sei disturbato per niente, perché non ho alcuna intenzione di aiutarti.», replicò seria.
Il buon umore dell’alieno svanì all’istante, lo sguardo gli si indurì, iniziando a far trapelare la sua vera natura.
«Non rendermi le cose difficili, miss Luthor, mi dispiacerebbe usare le maniere forti.»
Per quanta rabbia provasse nei confronti di Kara, non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere. Certo in molti momenti voleva che soffrisse, che provasse lo stesso dilaniante dolore emotivo che le aveva inflitto… ma non voleva assolutamente che morisse.
Lo fissò con aria di sfida.
«Sorprendimi.»
L’alieno si alzò e scaraventò lontano la sedia. Aveva mostrato fin troppa pazienza.
«Non dire che non ti avevo avvisato.»
 
Kara stava sfrecciando tra i grattacieli della città più veloce che poteva per raggiungere Lena. Perché l’aveva rapita? Cosa poteva volere da lei? Il suo incubo aveva preso forma e la voleva usare per arrivare a lei?
Era ormai noto che una Super e una Luthor, così che appariva sulle testate dei giornali, spesso e volentieri collaboravano.
Percepì il battito cardiaco di Lena accelerare e anche il suo iniziò a tremare.
Raggiunse l’edificio e con la vista a raggi X l’individuò all’ultimo piano. Si catapultò al suo interno, sfondando il finestrone.
Vide che l’alieno stava stringendo il mento di Lena, costringendola a guardarlo negli occhi, mentre le stava sbraitando addosso, ma non riuscì a sentire nient’altro che non fosse il cuore della mora calmarsi, quando i loro sguardi si incrociarono. Solo quando Lena riuscì a voltarsi verso di lei, si accorse che l’altra guancia era rossa…come se fosse stata presa a schiaffi. Le salì il sangue al cervello.
«Lascia andare miss Luthor, è me che vuoi.»
Lena si rese conto dall’espressione basita dell’alieno che non credeva affatto di essere trovato.
«Come diamine…», si raddrizzò, quell’attimo di smarrimento per essere stato braccato svanì dopo pochi secondi, riprendendo il controllo. Fece alzare con la forza la mora e si spostò dietro di lei, mettendo il braccio attorno al suo collo per impedirle di muoversi.
«In realtà sono molto più interessato a questa donna che a te al momento.»
Strinse la presa e Lena, come riflesso incondizionato, portò entrambe le mani sul suo braccio, provando invano ad allontanarlo, ma ottenne solo maggior pressione. Iniziava ad avere difficoltà a respirare e lanciò uno sguardo allarmato alla bionda.
Kara allungò una mano verso di lei e fece due passi avanti, nel vedere il volto di Lena arrossarsi, «Ti prego, fermati, non farle del male.»
L’alieno sorrise nel percepire una certa disperazione nella voce di quella feccia.
«A quanto pare non sono il solo ad avere un interesse per te, miss Luthor.», le sussurrò all’orecchio.
L’arrivo di Supergirl gli aveva rovinato i piani, ma questo non escludeva che poteva comunque approfittare della situazione.
La bionda non osava ancora muovere un muscolo, temeva sia la reazione dell’alieno che della tuta e non voleva che rimanesse ferita.
«Non credi di essere un po’ maleducata a tenere quella specie di casco? Qua siamo entrambi curiosi di vedere il tuo volto.»
Lena colse immediatamente che l’intento dell’alieno era quello di farle togliere il costume.
«Supergirl non dargli ascolto.»
Il braccio dell’alieno scivolò lungo il suo collo per poterle coprire bocca e naso con la mano.
«Ah…ah…così non va, miss Luthor.»
Kara non attese oltre e fece quello che realmente voleva, disattivò la tuta, riducendola ad una scatoletta.
«Bene, ora butta quell’affare fuori dalla finestra.»
Lena seguì tutti i suoi movimenti, mentre eseguiva quell’ordine, i loro sguardi si incrociarono di nuovo, per la prima volta da quando la conosceva vide un cieco terrore nei suoi occhi.
La stava lentamente soffocando e lei non riusciva a fare niente, aveva la mente annebbiata.
«Prendi me, fai tutto quello che vuoi, ma liberala.»
L’alieno fece qualche passo verso Supergirl, se avesse immaginato che sarebbe arrivata quasi ad implorare, avrebbe rapito la Luthor tempo fa. Aveva completamente abbassato la guardia. Forse poteva divertirsi un po’ a torturarla, prima di ucciderla.
«Vuoi davvero che la lasci andare?»
Continuò ad avvicinarsi, doveva averla abbastanza vicino per poter fare quello che aveva in mente.
Non riusciva a capire a che gioco stesse giocando, ma la priorità era portare in salvo Lena, poi l’avrebbe ridotto a brandelli per quello che aveva fatto. Tese la mano per prendere quella della mora, ma l’alieno agì più velocemente di lei.
Le soffiò una polvere in faccia e il dolore che l’assalì le fece capire che doveva essere kryptonite. Sentì i polmoni bruciare e i muscoli strapparsi. Finì in ginocchio in preda all’agonia.
«Eccoti accontentata Supergirl.»
L’alieno spinse con forza la mora verso il finestrone, che si frantumò sotto il suo peso e davanti ai suoi occhi la vide cadere giù.
«LENA!!»

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Capitolo 3
*** 3. ***


3.

La sua vita stava per finire e lei percepiva una strana calma, non le dava fastidio nemmeno quel vuoto allo stomaco, dovuto alla caduta. Aveva lo sguardo rivolto al cielo che si stava scurendo, lasciando intravedere le prime stelle. Erano meravigliose. Le lacrime le annebbiarono la vista. Non voleva morire, aveva ancora tantissime cose da fare e da…dire.
Adesso era troppo tardi.
Socchiuse gli occhi, lasciandosi andare all’inevitabile.
Sentì due braccia avvolgerla stretta…come aveva potuto avere la forza di buttarsi anche lei?
Era riuscita a prenderla, grazie a Rao.
Nonostante si trovasse a terra, quasi paralizzata, mentre quella maledetta kryptonite la stava avvelenando, l’impulso di salvare Lena era stato più forte della sofferenza.
Non aveva pieno controllo dei suoi poteri, ma riuscì lo stesso ad attutire la caduta, girando su se stessa, in modo che fosse lei a toccare il suolo.
L’impatto non fu affatto dolce, le mancò il respiro e tutta la polvere che si alzò non aiutava per niente, si sollevò appena e guardò il volto di Kara segnato da quel verde fluorescente.
La bionda provò a farle un mezzo sorriso quasi affranto e le sfiorò la guancia.
«Scappa Lena.»
Era appena un sussurro, smorzato da un lamento che non riuscì a trattenere.
No, non sarebbe mai scappata, lasciandola in balia di quel mostro. Si alzò e cercò di tirarla su.
«Avanti, ce ne andremo insieme.»
Si mise il suo braccio attorno al collo e la tenne dalla vita, ma riuscirono a fare solo qualche passo.
«Pensavate di andare da qualche parte?»
Kara provò a fare un respiro profondo, malgrado sentisse una miriade di spilli infuocati che la perforavano, poi si raddrizzò e strinse i pugni. Lanciò uno sguardo verso la mora, «Vai via Lena.»
«Non puoi fronteggiarlo in queste condizioni.», non vedeva una sola possibilità che ne potesse uscire viva e questo l’agitava.
«Non preoccuparti per me. Ora vai!»
Lo sapeva che non si sarebbe mai tirata indietro, che avrebbe combattuto fino all’ultimo e lei voleva aiutarla, ma cosa poteva mai fare?
«Avrei preferito usare la kryptonite in un’altra occasione, ma noto che questa donna ti distrae molto più di quel che pensassi.»
Era vero, quando si trattava di lei, Kara cambiava, eppure questo non le aveva impedito di tradirla. Scosse la testa, non era il momento di fare quei pensieri.
«Se provi a toccarla di nuovo, non avrò nessuna pietà.»
Prima di saettare in avanti, la guardò di nuovo e non riuscì a decifrare ciò che volesse dirle.
Un muto saluto?
Iniziarono a combattere e come previsto Kara stava avendo molte difficoltà, se solo avesse indossato la tuta… Giusto! Doveva trovare la tuta. Osservò la finestra da dove la bionda l’aveva lanciata. Non poteva essere finita molto lontana.
Kara stava facendo di tutto per resistere, ma tra la kryptonite e l’alieno che ogni volta che la toccava le risucchiava le energie, non sapeva nemmeno lei come poteva essere ancora in piedi. Un calcio ben assestato la fece volare di qualche metro e questa volta alzarsi fu più difficile. I muscoli non rispondevano ai suoi comandi, ma doveva prepararsi ad incassare l’attacco dell’avversario.
«Supergirl!»
Si voltò verso Lena che la stava chiamando a gran voce. Cosa ci faceva ancora là, doveva essersene già andata.
«Prendi.»
Afferrò al volo la tuta, attivandola un attimo prima che venisse colpita.
Questa volta fu l’alieno ad essere catapultato via dall’onda d’urto generata dal costume, ma non era comunque abbastanza. Ormai era davvero allo stremo delle forze.
Non poteva essere invulnerabile, tutti i sistemi avevano una falla, quindi anche lui doveva avere un punto debole. Il suo potere era quello di assorbire e replicare, bisognava trovare il limite che poi l’avrebbe portato al punto di rottura. E per fare ciò, avevano una sola possibilità, altrimenti sarebbero state spacciate.
Provò a chiamarla, ma in quel momento partì un’onda che scaraventò l’alieno di qualche decina di metri da lei, doveva approfittarne ora per dirle il suo piano.
Kara si appoggiò ad un muro, stava sudando freddo, voleva solo che tutto finisse e riportare Lena a casa, ma finché non le passava l’effetto della kryptonite, non sarebbe stata in grado di salvare né lei né se stessa.
Si voltò verso la mora che le stava gridando qualcosa, ma non riuscì a captare una sola parola, si sentiva sull’orlo dello svenimento.
Lena si rese conto che non la stava proprio ascoltando, che fosse arrivata davvero agli sgoccioli?
Un boato la fece girare verso il punto in cui era l’alieno, dove era finito?
Il vedere quell’essere nella sua forma incandescente già l’avvilì, quando comprese che non stava andando verso di lei, ma verso Lena ci fu solo panico. D’istinto si mise a correre, non veloce come avrebbe voluto, i poteri la stavano lentamente abbandonando. Il suo intento era quello di fare da scudo, frapponendosi tra i due, però un colpo del genere avrebbe ricaricato all’istante la tuta e Lena sarebbe rimasta comunque ferita.
Poteva fare solo una cosa. A metà strada la tolse e raggiunta Lena l’attivò su di lei, spingendola poi via. Non poté fare niente contro il colpo che le arrivò.
«Non ho alcuna intenzione di farmi fregare da te donna!»
Lena fece qualche passo indietro, Kara era finita sotto un cumulo di macerie e questa volta non si sarebbe rialzata. Aveva dato tutto per poterla proteggere, senza preoccuparsi delle conseguenze. Doveva pensare, doveva guadagnare tempo!
 
«Supergirl!»
Una voce familiare risuonò nel casco.
«Alex, sono Lena.»
Ci fu un breve silenzio, sicuramente non era facile spiegarsi perché fosse lei ad indossare il costume.
«Sono riuscita a sentire cosa hai suggerito, vi sto raggiungendo.»
«Il tempo non gioca a nostro favore.»
Notò che l’alieno si stava avvicinando a Kara, «Ed io non ho le capacità di proteggerla.»
La consapevolezza della sua impotenza la fece imbestialire. Come poteva far parte di quel mondo, se non era in grado di fare niente in situazioni come quelle? E l’ultima cosa che voleva era avere la prova tangibile che Kara avesse ragione a volerla perennemente proteggere da tutto.
Si accorse che diversi metri di distanza, oltre l’alieno, c’erano accatastati dei tubi di acciaio. Dove non arrivava la forza fisica, doveva arrivare l’intelletto e a lei quello non mancava di certo.
Se fosse riuscita a buttarlo in mezzo a tutta quella ferraglia, forse sarebbe anche riuscita ad appesantirlo quel tanto che bastava per rallentare i suoi movimenti. Prese la rincorsa e si catapultò su di lui, piegando in avanti il busto e cercò di avvinghiarlo con le braccia alla vita.
L’alieno venne colto di sorpresa, non aspettandosi che quella donna facesse qualcosa di così stupido. Si fece trasportare, quasi divertito da quel goffo tentativo.
Faceva maledettamente caldo, la tuta non avrebbe ceduto, ma questo non significava che non si surriscaldasse e lei non aveva la stessa resistenza di Kara. Non doveva cedere, ora che l’aveva portato dove voleva e i tubi si stavano piegando sotto il loro peso.
«Cosa stai cercando di fare?»
Non prestò attenzione alle sue parole, si risollevò e prese a ripiegare quell’acciaio su di lui, in modo da intrappolarlo, almeno fino a che non fosse riuscito a liquefarlo tutto.
«Lena!»
Questa volta la voce non venne dal casco.
Tirò un sospiro di sollievo, forse ce l’avevano fatta. Si allontanò per consentire alla squadra di Alex di finire il lavoro.
Il loro compito era semplice, dovevano colpirlo tutti insieme, in modo da sovraccaricarlo fino a fargli fare il gran botto, detto in parole povere e l’agente aveva organizzato tutto per non fallire.
Raggiunse Kara che ancora non si era ripresa, le scostò tutti i detriti da dosso. Si inginocchiò, poggiò la sua testa sulla coscia e le accarezzò la fronte.
«È tutto finito ora.»
 
Finalmente dopo aver tolto di mezzo quell’alieno era tornata la tranquillità.
Entrò nell’appartamento di Kara e la trovò davanti alla finestra, aveva lo sguardo perso in un punto indefinito del cielo.
Aveva commesso un errore di valutazione. Forse la sorella non avrebbe mai ritrovato la tranquillità.
«Ehi…ho portato la cena.»
Kara non si mosse di un millimetro.
«Ciao Alex…grazie.»
Poggiò le buste sul tavolo e sospirò appena, già sapendo cosa stesse facendo.
«Dovresti smetterla, ne abbiamo parlato più volte.»
Solo in quel momento la bionda si voltò, mostrando un’espressione colpevole.
«Lo so, ma è più forte di me.», si lasciò cadere sulla sedia, come se fosse sfinita.
«È per il suo bene non avere più alcun contatto.»
Dopo che si riprese dalla kryptonite, scoprì che Lena aveva venduto la CatCo e da quel momento davvero non seppe più niente di lei.
«Se stesse bene, Alex…sta soffrendo, la sento quasi ogni sera.»
L’agente l’aveva compreso il motivo per cui Lena aveva deciso di tagliare ogni rapporto, ebbe la conferma ai suoi sospetti, quando la mora passò a controllare la sorella, dopo che le medicarono le ustioni che aveva riportato a causa della tuta.
«Devi lasciarla andare.»
Guardò ancora una volta fuori dalla finestra, socchiuse gli occhi, rassegnandosi all’idea che non c’era più niente che potesse fare.
 
Dopo che la sorella andò via, decise di andare a letto presto. Addormentarsi era l’unico modo che aveva per dare tregua alla sua mente. L’aver accettato che Lena aveva diritto a non voler avere più niente a che fare con lei, non significava che non fosse maledettamente difficile. Si era domandata più volte perché non riusciva ad accettare che finisse tutto così. Non era solo il senso di colpa che provava per averle fatto del male, forse era perché si era sempre sentita profondamente legata a lei. Nonostante avessero avuto delle vite completamente diverse, trovava che avessero delle anime affini.
No, non voleva ancora gettare la spugna, ma cosa avrebbe dovuto fare? Quanto ancora poteva imporsi su di lei? Lo sapeva fin troppo bene che una base fondamentale dei rapporti era la libertà... la base dell’amore era la libertà.
Si rigirò nel letto, non riusciva a prendere sonno. Non sapeva quanto tempo fosse passato, mentre era persa nella sua spirale senza fine di pensieri, ma all’improvviso qualcosa la fece scattare seduta.
Un tonfo e un gemito di dolore.
Subito si alzò, indossò una tuta nera e spiccò il volo.
Trovò Lena a terra tra due bottiglie di vino rotte con le mani tremanti e sanguinanti. Aveva gli occhi lucidi, immaginò che non fosse solo per quei pezzi di vetro che aveva conficcati nei palmi.
«Lena cosa hai combinato?»
Solo in quel momento la mora si accorse della sua presenza, le pupille si dilatarono ancora di più, era quasi un mese che non la vedeva. Anche se aveva bevuto qualche bicchiere di troppo, era ancora abbastanza lucida per rendersi conto che per essere lì, la bionda doveva averla...controllata.
«Perché fai sempre ciò che non devi?», le parole le uscirono un po’ biascicate.
Kara si accovacciò vicino a lei per capire l’entità del danno. Rimase un attimo colpita da quella domanda. Aveva agito di impulso un’altra volta.
Quando avrebbe imparato?
«Mi dispiace, non l’ho fatto di proposito, alle volte ti percepisco quasi inconsciamente.»
Già lo sapeva, glielo aveva detto Alex, quando le chiese come l’avessero trovata, ma in quel momento lo considerava lo stesso irritante, era la sua stessa presenza ad esserlo.
«Sai dire solo questo! Mi dispiace! Mi sono scocciata di sentirtelo dire.»
Provò a prenderle le mani, ma si scostò bruscamente, «Non mi toccare e vedi di andartene!»
Nel tentativo di alzarsi, perse nuovamente l’equilibrio per un giramento di testa, ma non ritoccò il pavimento, Kara la prese in braccio e la mise sul divano.
«Non posso lasciarti così.»
Un sorriso amaro si formò sul volto di Lena, «Hai fatto molto di peggio.»
«Allora permettimi di fare almeno una cosa buona.», e senza darle modo di ribattere, sparì dalla sua vista.
Lena erroneamente pensò che fosse andata via, invece se la ritrovò di nuovo davanti e la medicò così velocemente che non sentì quasi niente.
«Sei soddisfatta adesso?»
Kara evitò di incrociare il suo sguardo, quel tono era già abbastanza eloquente.
La mora si rialzò, questa volta facendo attenzione a non cadere e si diresse verso l’isola della cucina, dove c’era ancora una bottiglia di vino mezza piena. Si riempì il bicchiere e lo svuotò tutto d’un fiato.
Kara si limitò ad osservarla con espressione amareggiata.
«Non ti fa bene bere così tanto.»
Lena le scoccò un’occhiataccia, non avrebbe ancora retto a lungo, non sarebbe riuscita ad arginare tutto quello che stava provando. Quelle emozioni erano diventate così dense e viscose che stavano scivolando via al suo controllo.
«E chi sei tu per dirmi cosa mi fa bene o meno?», le puntò l’indice contro, mentre si avvicinava, «Chi sei tu per piombare qui in casa mia? Chi sei tu per controllarmi?», poi cercò di spingerla via, «Chi sei tu per avermi rovinato la vita?»
Kara fece un passo indietro e non replicò niente, quella era la prima volta che Lena le mostrava ciò che stesse realmente provando.
«Ti sei mai fermata a pensare alle conseguenze di quello che stavi facendo?», un altro spintone, «La verità è che di me non te ne è mai importato nulla!»
La bionda scosse violentemente la testa, «No! Questo non è vero! È dal primo momento che ti ho conosciuto che mi importa di te.»
Gli occhi di Lena ardevano, anche se iniziavano ad essere pieni di lacrime.
«Ed è per questo che hai fatto l’unica cosa che sapevi che non sarei mai riuscita a perdonarti?!»
Presa dall’impeto di rabbia e frustrazione, le diede dei piccoli pugni all’altezza delle spalle, «Perché? Perché hai dovuto distruggere tutto?», il tono era un continuo altalenare tra l’irato e il disperato.
Si morse il labbro inferiore per bloccare il tremore. Non l’aveva mai vista così. Lasciò che si sfogasse e non si sottrasse alla sua furia.
«Volevo dimostrarti che tutto ciò che credevi di te e degli altri non fosse vero, invece ho ottenuto il risultato opposto. Mi sono barricata dietro l’idea ferrea di volerti proteggere, perché avevo paura che, per come erano diventate le cose tra noi, potessi non accettare la verità e non volevo perderti. Sono stata una vigliacca e ho continuato a fingere.»
Lena si allontanò di qualche passo, stirò la mascella, «Ti odio.», fu quasi un sibilo.
«Lo so.», socchiuse gli occhi e deglutì, cercando di mandar giù quel nodo che aveva in gola.
«No, tu non sai niente. Non sai che significa quello che sto vivendo, non sai quanto sia difficile avere dentro di sé tutte queste emozioni da dover sopprimere per non crollare e avere davanti la persona che più detesti al mondo...che è anche quella che ami di più. Non sai quanto questo mi stia distruggendo, giorno dopo giorno.», la voce era incrinata.
Delle lacrime solcarono il viso di Kara, non era quello il modo in cui avrebbe voluto scoprire i sentimenti di Lena. Sarebbe dovuto essere tutto diverso. Inclinò la testa di lato e fissò per un attimo il vuoto, «Però so che significa perdere la persona che ami di più al mondo.», per la prima volta ammise a voce alta cosa realmente stesse distruggendo lei.
Lena si ammutolì, rendendosi conto sia di ciò che aveva detto, sia della risposta di Kara, ma era troppo tardi per tutto ciò. Loro non avevano più alcun senso.
«Vorrei non averti mai conosciuto.»
La bionda spalancò gli occhi, quella frase fu peggio di quando le disse che per lei non esisteva. Percepiva un peso al petto e faceva fatica a respirare. Sollevò di nuovo lo sguardo verso la mora e vide il suo stesso dolore riflesso sul suo volto.
«Quella è l’unica cosa che non cambierei mai e se potessi tornare indietro nel tempo, ti mostrerei fin da subito chi sono, così da poterti amare apertamente.», fece una breve pausa, «Perdonami se non sono riuscita a farti percepire niente di ciò che provassi, lasciandoti adesso solo sofferenza.»
Lena si coprì il volto tra le mani, iniziando a piangere, «Io non posso...non ce la faccio...il solo guardarti…smettila di torturarmi.»
Kara stava per poggiarle una mano sulla spalla, ma la ritirò prima di poterla toccare, lasciandola cadere lungo il fianco.
«Ti prometto che questa sarà l’ultima volta che mi vedrai...», anche lei ormai stava piangendo senza averne alcun controllo, «Addio Lena.»
Un lieve movimento d’aria le fece capire che era davvero andata via e solo in quel momento tutta la sua afflizione proruppe, «Addio Kara.»
Era già nel suo appartamento e quando le arrivò la sua voce rotta, cadde in ginocchio, completamente svuotata e persa.
 
Si svegliò con un terribile mal di testa, non era nemmeno riuscita ad arrivare al letto, si era buttata direttamente sul divano. La luce del sole le ferì gli occhi, mentre si stiracchiò. Era già tardi e doveva andare a lavoro, ma si sentiva senza forze e non aveva voglia di fare niente. Lo stomaco le brontolò...forse avrebbe dovuto mangiare qualcosa. C’era uno buon profumo di croissant, si girò stranita verso la cucina e vide sull’isola una colazione completa. L’aveva fatto di nuovo, ma era troppo stravolta per poter provare qualsiasi cosa, quindi decise di non sprecarla.
Andò a sedersi e notò un foglio di carta piegato. Dopo ieri notte, non credeva che potesse esserci scritto chissà cosa, in definitiva non c’era più niente da dire, ma la curiosità ebbe la meglio e lo aprì:
 
“I hope you
find it within you
to forgive every single person
who hurt you
who made you feel low
who caused tears in eyes that
only reflected light
and I hope you
find it within you
to pray for their wellbeing
to never let bitterness
cloud your mind
to never let negativity
darken you heart
and I hope you
find it within you
to keep loving despite being
taught that love kills
because you know
you are worthy
you deserve love
you always have been,
 
regardless of what they said
regardless of what they did.”
 
Una lacrima cadde sul foglio. Era ciò che sperava anche lei, ma non era sicura se ne sarebbe stata davvero capace e l’unica soluzione che aveva in mente, non sapeva se sarebbe bastata.
 
«Più tardi serata giochi?»
Si voltò verso la sorella che stava firmando le solite scartoffie per il DEO, non era per niente dell’umore per stare insieme a tutti gli altri e non sarebbe stata di compagnia, «Questa volta passo, domani mi devo svegliare presto.»
Alex sollevò lo sguardo, «Va bene, sarà per la prossima volta.»
Non aveva dubbi di cosa stesse pensando al momento la sorella: oggi erano otto mesi che Lena aveva lasciato National City.
«Allora ci vediamo domani.»
«A domani Kara.»
Andò verso casa a piedi, aveva bisogno di prendere aria, ma dopo qualche metro iniziò a piovere. Non se ne curò e continuò a camminare.
 
Dicono che la speranza cominci con il buio.
Il mio è iniziato in un giorno cupo come questo, soffocando però qualsiasi spiraglio di luce.
Così ho capito che non si riparte mai da zero, ogni domani si porta dietro il passato. Riecheggia sotto la mia pelle, bruciandomi.
Anche se le seconde possibilità dipendono dalle nostre scelte, ci sono cose che non si aggiustano solo perché noi lo vogliamo. Sono rotte e basta.
Resta intatta solo la tua memoria che mi tormenta ad ogni passo che faccio.
Alla fine, accolgo grata la notte, perché quando chiudo gli occhi ti vedo e mi nutro dell’illusione di poterti avere ancora accanto.
 
«Kara.»
Rimase immobile, non poteva essere vero, stava sicuramente sognando. La donna sotto a quell’ombrello nero, davanti a lei, sembrava Lena.
«Sei davvero tu?»
La donna si guardò attorno, lievemente divertita dall’espressione sbigottita della bionda.
«Non saprei chi altro potrei essere e sembra che tu abbia visto un fantasma.»
Per certi versi, era così; l’ultima cosa che si sarebbe aspettata era rivederla, dopo tutto quel tempo.
«Sei tornata?», la voce quasi le tremava.
Lena si fece più vicino e alzò di qualche centimetro l’ombrello in modo da poter coprire anche lei, che ormai era fradicia.
«Dipende, ancora non lo so.», rimase ad osservarla diversi secondi, «Non sono sicura di essere riuscita a perdonarti, ma con il passare dei mesi, mi sono resa conto che sentivo più la tua mancanza, che quella rabbia soffocante. Ho iniziato a pensare a tutte quelle piccole cose che non riuscivo a spiegarmi, perché erano in netto contrasto con quello che volevo credere di te. Come rischiare deliberatamente la tua vita per salvarmi o il percepirmi anche quando sei distratta o come questo foglio.», nel nominarlo, lo prese dalla tasca del cappotto.
Si tolse gli occhiali, erano bagnati e le davano fastidio, «Lo hai tenuto...»
«Ogni volta che provavo di nuovo...odio nei tuoi confronti, rileggevo ciò che mi scrivesti, perché nonostante tutto, dentro di me sapevo che non volevi che ne venissi consumata, ma che riuscissi invece ad andare avanti dando sempre valore alla mia persona.»
Finalmente smise di piovere e Lena poté chiudere l’ombrello.
«E poi c’è un’altra cosa...»
Kara rimase in silenzio, aveva paura che potesse rovinare di nuovo tutto e non voleva che quel momento finisse. Si limitò solo a guardarla intensamente.
Lena rimase un attimo catturata da quegli occhi, «È il modo in cui mi hai sempre guardata...e continui a farlo anche ora.»
«Come?»
«Come se fossi il tuo tutto.»
Inclinò la testa di lato accennando un mezzo sorriso, «Non saprei in che altro modo guardarti.»
Il suo sguardò si addolcì, «Quella notte mi dicesti che saresti voluta tornare indietro nel tempo, ma ciò che è stato non credo che sia possibile cambiarlo, possiamo solo imparare da esso per poter poi cambiare il futuro...vuoi provare a farlo?»
«Insieme?», il tono era alquanto incredulo.
«Sì, insieme.»
I pensieri le si annullarono e fece l’unica cosa di cui sentiva davvero il bisogno. Si avvicinò alla mora, socchiuse gli occhi e la baciò.
Lena per la sorpresa si scostò e la reazione della bionda non si fece attendere molto.
«Scusami…io non volevo…cioè, sì…non sono riuscita a trattenermi e…sono una frana…lo so…»
Scosse la testa sorridendo, «Non cambierai mai.», e zittì i suoi balbettii, baciandola a sua volta.
E in quel modo si accese la speranza che, liberandosi dei fardelli che si erano portate dietro, potevano finalmente lasciar vivere solo ciò che realmente contava: il loro reciproco amore.


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Nota: Spero che questa piccola storia vi sia piaciuta, sappiate che non è stato facile scriverla, l'angst mi aveva talmente preso che inizilamente il finale non era questo (Lena era stata via anni, nessun bacio e forse ora potevano lavorare per provare a rinconciliarsi realmente), quindi ringraziate la mia amica che era rimasta talmente shockata che poi mi ha convinto a cambiarlo XD Vi lascio con un a presto, anche se non so quando e se tornerò a pubblicare, ma nella vita non si sa mai, magari esce qualche altro sogno... chissà  ;)

 

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