Io sono Ugo

di Nemesis01
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 28 febbraio ***
Capitolo 2: *** 5 marzo ***
Capitolo 3: *** 20 marzo ***
Capitolo 4: *** 2 aprile ***
Capitolo 5: *** 20 aprile ***
Capitolo 6: *** 9 maggio ***



Capitolo 1
*** 28 febbraio ***


"Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar da cui vergine nacque."

(A Zacinto)

***

28 febbraio.

Pensano che io mi possa dimenticare di te. Lo credono sul serio. Loro sono dell'idea che la mia, la nostra, sia una storia perversa nata da Satana e che questa malattia possa essere curata da qualche bagno di ghiaccio.

Zacinto mio, io ricordo ancora tutto.

Ho così tanta paura di dimenticare quello che sono, quello che ero, quello che vivevamo, e allora scrivo su questa carta lercia quello che vorrei dirti.

Mi sfiora sovente il pensiero che tu possa ricordarti di me, anche se mi hanno detto che sei morto... ma io non ci credo. Nel mio cuore lo sento che il tuo respiro vibra ancora, che la notte il tuo pensiero cerca il mio. Per questo ci incontriamo in sogno ogni volta che chiudo gli occhi.

Solo così posso abbracciarti, percepire il tuo colore, sentire la tua voce.

Non so quanto tempo sia passato. Da quando sono rinchiuso qui il tempo ha preso un modo strano di scorrere. A volte mi corico che è giorno e passano troppe ore prima che possa prendere sonno di nuovo. Non so cosa mi stanno facendo e scriverti lettere che nessuno ti spedirà, che nessuno scoprirà, che giaceranno nascoste sotto al materasso sconquassato, è l'unica cosa che mi fa sentire vivo.

Stanotte ho sognato il mare. Eravamo a Zante, l'isola di cui tu porti il nome, e ora che sono lucido (o forse no) ricordo di quella volta che abbiamo fatto il bagno senza vestiti. È vera questa cosa? È accaduta? O è solo un ricordo comandato da queste scosse elettriche che mi fanno? Per me è vera, facciamo che sia in siffatta maniera. Voglio credere che sia così, ti ricordi di quando eravamo a Zante e abbiamo fatto il bagno nudi?

È stata la prima volta che ti ho visto senza vestiti. Ti sei sfilato gli abiti con timidezza, mostrando a me la tua pelle vellutata e candida, coperta solo a una leggera peluria bruna... eri tanto incantevole! Mi hai detto che avevi caldo ma non volevi bagnare gli abiti nuovi che tua madre aveva comperato qualche giorno prima. Se è falso perché ho questi dettagli impressi nella mia mente? Non sarei capace di inventarli, non sono un romanziere.

Zacinto, esisti?

Sei mai esistito?

Ugo

***

 

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Capitolo 2
*** 5 marzo ***


"Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme."

(Alla sera)

***

5 marzo.

Ho di nuovo fatto il sogno del mare. Sono sicuro di aver sentito il profumo tuo pizzicarmi il naso. Sorridevi, e le onde del mare avevano timore di bagnarti i piedi; per questo, si fermavano prima di sfiorare il tuo minuto corpo.

Ripenso alla vastità di blu sulla quale mi ero concentrato pur di non guardarti. I miei occhi, avidi e peccatori, gridavano di volersi posare sulle tue curve esposte e io pensavo. Pensavo...

Ulisse si è perso in quel mare, sai? Forse non era il caso di sfidare la sorte con un bagno in quelle acque ricche di sirene pronte a portarti via. Non voglio essere Penelope, Zacinto. Eppure, ora ti aspetto in questo posto austero, solo, e vorrei che tu, dopo aver lottato per noi, ti presentassi qui. Non accadrà, so che non succederà mai.

Non sei mai venuto a trovarmi da quando mi hanno chiuso qui. Hai smesso di combattere? Hai smesso di cercarmi?

Sai, Zacinto, all'inizio ero convinto che ti fosse successo qualcosa, che qualcuno ti avesse fermato o costretto a ritrattare sulla tua condizione, che ti avesse fatto credere di essere uguale a loro. Non sarai mai come tutti gli altri. Ora mi sento davvero Penelope che tesse la tela mentre aspetta Ulisse. Io non ho il suo seguito, non cancello le tue tracce sul mio corpo rimpiazzandole con quelle dei proci. Ma io sono un uomo e sono carne, e ti cerco.

Lo faccio quando sono solo, quando sono sicuro che nessuno sia nei paraggi. Le mie mani ruvide non potranno mai sostituire la morbidezza delle tue.

Devo smettere di tessere la mia tela di parole vuote?

Ugo

***

 

 

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Capitolo 3
*** 20 marzo ***


"Tu sol mi ascolti, o solitario rivo,
ove ogni notte amor seco mi mena, qui affido il pianto e i miei danni descrivo,
qui tutta verso del dolor la pena."

(Sonetto)

***

20 marzo.

Zacinto, mi ricordo che ti specchiavi nell'acqua del mare. Lo facevi quando l'ira s'impossessava dello splendido animo tuo e cercavi la pace per trovare te stesso. Ti sei ritrovato? Io anche ti cerco e vorrei trovarti nell'acqua del mare, ma qui non c'è acqua, non c'è mare e tu, neanche tu ci sei.

Eppure, Zacinto, sei davanti agli occhi miei e ridi beato e poi, due minuti dopo, non ti vedo più.

Ti ricordi di me?

Dove sei?

Mi sento trascinare via, urlo ma non ho voce, io non ho più voce. Non esce suono alcuno dalla mia bocca e la penna trema, come vibrerebbe la mia lingua se ti avessi davanti.

Oggi mi è venuto in mente di quando i tuoi genitori ci hanno visto mentre ci scambiavamo un bacio.

Non so perché sono qui ma credo che la tua famiglia possa avere una parte di colpa. O forse ce l'hai tu? Sono pazzo davvero?

Era stato un bel giorno, quello. Avevamo fatto un giro al parco e avevamo comprato un gelato al limone per risollevarci dall'arsura estiva. Eravamo seduti su una panchina e parlavamo di quel libro, quello che ti piaceva del Petrarca, e ricordo di aver citato a memoria alcuni versi suoi e che la cosa ti aveva reso gli occhi felici.

Se la gioia irraggiava il tuo sguardo, nel mio cuore ardeva l'inferno.

"Ugo," mi dicesti, "restiamo qui un altro poco".

Ma era normale, è normale, che eravamo, che siamo, due maschi attratti l'uno dall'altro? Sono malato come dicono?

Le mie memorie aleggiano confuse su questo foglio e io attendo.

Te.

Ugo

***

 

 

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Capitolo 4
*** 2 aprile ***


"Perché dal dì ch'empia licenza e Marte
Vestivan me del lor sanguineo manto,
cieca è la mente e guasto il core, ed arte
la fame d'oro, arte è in me fatta, e vanto."

(Sonetto)

***

2 aprile.

Oggi non ho forza. Non ho neanche mangiato. Stamattina mi sono guardato allo specchio e i miei capelli biondi sono luridi, pieni di polvere, grasso e chissà che altro, la mia pelle è piena di macchie viola e verdi e mi faccio schifo e non voglio mangiare, respirare o vivere se non ci sei più tu.

Chi sei davvero Zacinto? Il frutto proibito della mia fantasia perversa?

Un tempo sono stato un bel giovane e non so se si parla di anni, mesi, settimane, giorni, ma sembrano passati secoli e i miei occhi sono opachi. Ho un compagno di stanza e si chiama Lorenzo, lui non parla mai. Ogni tanto annuisce o storce il naso, apre la finestra tutte le mattine alla stessa ora e la richiude quando lo chiamano per pranzo. Non ho molta voglia di parlare o fare amicizia, quindi la sua muta presenza non mi disturba.

A volte Lorenzo piange la notte ma smette da solo. Non sa leggere ma di tanto in tanto copia le lettere, solo le vocali, e le decora con fiori, linee e macchie d'inchiostro. Lui sbircia sulle mie carte ma non ho paura che legga.

Forse ha la tua età, o l'età che mi ricordo tu avevi quando mi hanno chiuso qui, e io sono rincuorato che tu non ci sia in questo posto freddo. Non c'è neanche il sole.

Ora Lorenzo è ancora pulito, elegante, curato; indossa il suo cravattino giallo con orgoglio e mi rivedo in lui. Avevo tante speranze, la prima era quella di uscire di qui e la seconda quella di trovarti.

Adesso vorrei solo provare qualcosa.

Ugo

***

 

 

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Capitolo 5
*** 20 aprile ***


"Sento gli avversi numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch'io nel tuo porto quiete."

(In morte del fratello Giovanni)

***

20 aprile.

Non so quante volte ancora riuscirò a scriverti. L'inchiostro sta finendo in quest'ampolla trovata per caso. Mi sono chiesto se non fossero le ultime resta di qualcuno che era stato qui prima di me, se questo fosse stato un dannato come me o se la sorte con lui sia stata più clemente. Non mi hanno detto chi era, né hanno risposto alla mia richiesta per una nuova boccetta d'inchiostro. 

Non mi importa, in realtà. Non ho molto da dire.

Non riesco a provare rabbia, gioia, tristezza, paura... mi rendo conto che sono il fantasma di me stesso.

Le cose mi passano attraverso e io mi assopisco e affogo in questo mare di merda.

Stanotte Lorenzo doveva andare al bagno, qui non abbiamo un vaso da notte. Ha chiamato gli infermieri, con dei rumorosi gesti delle mani, come fa di solito. Loro lo hanno guardato dalla finestrella e hanno riso, senza farlo uscire. Lorenzo ha iniziato a urlare vocali sconnesse, come se non sapesse pronunciare altre lettere o parole, e loro ridevano. Alla fine se l'è fatta addosso, loro sono entrati e lo hanno umiliato. Avrei dovuto provare rabbia, disgusto. Lo avrei fatto, se fossi ancora io. Invece sono rimasto a guardare il vuoto.

Mi pento di non aver fatto nulla per far chiudere questi posti in cui i reietti come me e Lorenzo vengono rinchiusi e torturati per il bene della società normale.

Oggi piove, piove sul mio volto ogni volta che realizzo di essermi perso, di averti perso, di aver perso.

Ho perso.

Oggi piove.

Lorenzo non parla più.

Ugo

***

 

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Capitolo 6
*** 9 maggio ***


"Ma se io sono predestinato 
ad avere l'anima perpetuamente in tempesta, 
non è tutt'uno?"

(Le ultime lettere di Jacopo Ortis)

***

9 maggio.

L'avanzare del caldo e l'attività frenetica di questa zanzare non mi concilia il sonno. Non so come faccia Lorenzo a dormire in ogni situazione, devo ammettere che lo invidio: io non riesco a dormire.

Il mio pensiero va a cose che non ci sono più, come il rumore delle onde del mare che si spezzano contro la roccia, il profumo del caffè che si espande in tutta la casa, le voci dei bambini che giocano in cortile...

A volte mi sovvengono quei momenti di spensieratezza che vivevamo insieme; sembra tutto così lontano e distante, il suono delle tue risate arriva ovattato alle mie orecchie mentre una luce strana e innaturale spezza il buio della notte.

Vorrei avere una finestra per guardare fuori e vedere come si è presentata la primavera quest'anno.

Mi ricordo di fiori colorati che attraevano le api e la sensazione dei primi raggi di un sole timido e riposato sfiorarmi la pelle.

Era un giorno di primavera quello in cui ti ho incontrato, Zacinto mio. Era il giorno del compleanno di mia sorella e lei, ormai già donna, attendeva un mio regalo. Così ho fatto, e sono uscito di casa con l'intento di comprarle un fiore con quei pochi spiccioli che mi avanzavano dalla paga della settimana. Mi ero lavato, avevo addirittura usato la colonia di mio padre per togliermi da dosso l'odore di carne secca e formaggi ammuffiti ma continuavo a sentire quel tanfo sotto al naso. Così, ogni paio di passi, annusavo la colonia che evaporava dai miei polsi per sincerarmi che la puzza era sita solo nel mio cervello.

Quando arrivai dal fioraio fui sorpreso di non trovare la donzella che lavorava lì ma il proprietario mi tranquillizzò; mi disse che Rubenia si era sposata e aveva smesso di lavorare per metter su famiglia, e che suo fratello Zacinto, il nuovo garzone, sarebbe stato perfettamente in grado di aiutarmi.

E ora, Zacinto, sei perfettamente in grado di aiutarmi?

Mia sorella fu molto lieta per quel fiore così rosa e io tornai il giorno seguente al negozio. A costo di ricoprire di fiori tutta casa avrei trovato sempre una scusa per venire da te, per parlarti e avere un pretesto per farmi notare. Ma tu lo avevi capito che mia sorella aveva compiuto gli anni solo un giorno su quei trenta di acquisti.

Fosti proprio tu, timido e impacciato, a chiedermi di uscire.

La bottega stava chiudendo quando io, di rientro a casa, stavo ponderando quale fiore mi avresti consigliato e lì trovai la serranda calata.

Forse avevo fatto tardi, avevo urlato ma non ricevetti risposta.

Zacinto, ti chiamai, Zacinto... e tu, biondo e stanco, sbucasti dal nulla.

Tra i fiori, eri quello più bello.

"Siamo chiusi ora," mi dicesti e suonò come una coltellata. "Ma se volete parlare di fiori sarò felice di farlo, se vi unite a me per una cena alla locanda."

Non avevo fame, la sensazione di aver sfiorato un giorno senza vederti mi aveva chiuso lo stomaco. Ma come fare a dirti di no?

Adesso non ho più fame né sete. 

Ho solo voglia di chiudere gli occhi e né più mai pensare.

Ugo

***

 

 

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