Ruota invertita di Fiore di Giada (/viewuser.php?uid=695733)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lettera ***
Capitolo 2: *** Eutanasia ***
Capitolo 3: *** Salvataggio ***
Capitolo 4: *** Chiarimenti ***
Capitolo 5: *** Scambio di ruoli ***
Capitolo 1 *** Lettera ***
Nella
sala di controllo della base, i Cavalieri dello Spazio discutevano.
– E
così Nick si è ripreso? – chiese Nemo.
Un
sorriso sollevò le labbra della giovane donna.
– Sì,
ha perfino ripreso gli allenamenti nelle arti marziali. Purtroppo,
dieci giorni fa si è rotto la gamba e, per questo, non è
venuto. – spiegò lei.
– E’
qualcosa di grave? – chiese Balzac.
– No,
ma non può muoversi. Tuttavia, io intendo organizzare una
festa per celebrare la nostra guarigione. E soprattutto la sua. –
affermò la giovane informatica.
– Comandante
Nemo, lei è invitato. – saettò Tina, divertita.
L’uomo
fece per rispondere, ma, ad un tratto, la porta di ingresso della
base si aprì ed entrò un giovane soldato.
Nella
mano stringeva un pacchetto blu, a forma circolare.
– Che
cosa c’è? – domandò il comandante.
– E’
arrivata una lettera dell’esercito al
Cavaliere
dello Spazio Richard Varlause. E sembra che ci sia qualcosa che
riguarda il generale Varlause. – spiegò il milite.
Richard,
sentendo quel nome, sbiancò e, d’istinto, la sua mano
destra si strinse attorno al bracciolo del divano. Gli sembrava una
presa in giro ridicola!
Suo
padre era morto cinque anni prima a seguito di un attacco dei
Venomoidi!
Perché
riaprivano una ferita così dolorosa?
– E’
uno scherzo, vero? – sibilò, gli occhi rossi d’ira.
Le
sue dita si strinsero con maggior vigore attorno al bracciolo del
divano e il suo labbro superiore si sollevò, scoprendo i
denti, in un ringhio di belva.
– No,
non è uno scherzo… – balbettò il milite,
intimorito dall’espressione furente del giovane.
Il
Cavaliere dello Spazio, di scatto, si alzò, si avvicinò
al soldato e prese la lettera.
Poi,
senza alcuna parola, a passo rapido, uscì dalla stanza.
Un
silenzio imbarazzato, per alcuni istanti, coprì l’ambiente.
Nemo
si scosse dal suo stato di torpore e fissò il suo sguardo sul
soldato, che, immobile, attendeva sulla soglia.
– Puoi
andare. – ordinò.
Con
un breve cenno del capo, questi annuì e si allontanò,
lasciandoli soli.
– Signore,
che cosa ne pensa? – domandò Star, stupita. Cinque anni
prima, i Venomoidi avevano attaccato la città natale di Ringo,
causando una catastrofe umanitaria.
Il
loro compagno aveva dovuto vedere il degrado della sua casa natia,
che aveva ceduto ad una donna coraggiosa, che cercava di aiutare dei
ragazzini a non sprofondare nella disperazione.
Certo,
sembrava che quell’evento non lo avesse toccato, ma lei e Nick
si erano accorti dell’indurimento del suo sguardo.
E,
qualche giorno dopo, lei aveva compreso la ragione della sua
chiusura.
Aveva
trovato Ringo nella sua stanza, steso sul letto, mentre accarezzava
la foto di un uomo dai lineamenti duri, circondato da una folta
chioma bionda.
Il
suo sguardo, privo di lacrime, rifletteva un’aspra pena e le
ricordava quello di Nick, durante le sue crisi depressive.
Le
era parso un’altra persona.
Preoccupata,
si era avvicinata a lui e, malgrado la sua iniziale ritrosia, era
riuscita a farsi rivelare il motivo di tanta malinconia.
Suo
padre era morto durante un attacco dei Venomoidi. E lui non aveva
potuto dirgli addio.
Non
aveva pianto, ma la sua voce si colorava di dolore, mentre parlava.
–
Non
so cosa dirti Star. Andrò a parlare con Ringo, ma non
aspettatevi grandi risultati. Sapete come è fatto. –
mormorò Nemo.
Poi,
a passo rapido, attraversò la sala e uscì.
Richard
entrò nella sua stanza e la porta, con un tonfo, si chiuse
alle sue spalle.
Per
alcuni minuti, rimase fermo, le mani strette attorno al pacco, poi lo
aprì e rivelò un piccolo computer portatile grigio,
grosso quanto un libro e di forma rettangolare.
Il
giovane la accese e, sullo schermo, davanti ai suoi occhi
nereggiarono lettere, che si composero in frasi e periodi.
Il
giovane, sgomento, sbarrò gli occhi e un pallore livido si
distese sul suo viso.
– No…
No… No… – balbettò. Quello che aveva letto
era assurdo…
Eppure,
era firmato dall’esercito...
D’istinto,
fece un passo indietro e lasciò cadere sul pavimento il
portatile, che impattò con un tonfo secco.
La
stanza, ad un tratto, cominciò a perdere i suoi contorni
netti, come se si stesse sciogliendo, e a vorticare attorno ai suoi
occhi.
Sopraffatto
da una violenta vertigine, arretrò e appoggiò la mano
destra sul muro, il petto scosso da ansiti d’affanno. La testa,
in quel momento, gli girava e, se non avesse cercato un punto di
appoggio, sarebbe crollato privo di sensi sul pavimento.
Non
poteva essere vero!
La
realtà, che forniva un senso alla sua esistenza, si sgretolava
in centinaia di aguzzi frammenti…
Tutto
era menzogna!
– Non
riesco a crederci… – mormorò. Suo padre non era
morto, come aveva creduto per cinque, lunghissimi anni.
Era
stato ferito gravemente in un attacco dei Venomoidi, ma tale notizia
era stata tenuta nascosta, a causa del suo alto grado militare.
Le
lacrime salirono ai suoi occhi, annebbiandogli la vita, ma lui, con
un gesto nervoso, le allontanò. Aveva perduto già sua
madre, a causa di un terribile cancro al seno, e quella lettera
distruggeva quello che rimaneva della sua famiglia.
E
i militari chiedevano a lui di porre termine alla sua vita.
– Non
posso… Non posso… – balbettò, la voce
tremante. Suo padre non era morto, ma il suo stato era peggiore della
morte.
Solo
le macchine tenevano in vita un corpo che, in altri tempi, si sarebbe
spento.
E
i militari chiedevano a lui, in quanto suo figlio, di prendere una
decisione crudele.
Doveva
scegliere se tenerlo in vita o staccare le macchine a cui la sua
esistenza era legata.
Un
moto d’ira incendiò il suo cuore. Suo padre era stato un
militare rispettato e, grazie al suo carattere volitivo, doveva
essersi guadagnato rispetto e considerazione.
Capiva
la necessità di celare la notizia della sua morte al tempo
della guerra, per non scoraggiare i soldati, ma, in nome del
cameratismo, al termine di questa, dovevano rispettare la sua scelta.
Eppure,
avevano lasciato che continuasse a giacere in un sonno privo di
risveglio.
Il
suo amato genitore era stato condannato a cinque anni di esistenza
vegetale.
Si
massaggiò le tempie, cercando di placare la pressione dei
pensieri. Il suo amato genitore non avrebbe mai tollerato una simile,
indefinita agonia, e i suoi compagni d’arme dovevano essere a
conoscenza delle sue volontà.
Eppure,
non prendevano una decisione definitiva, rispettosa delle sue scelte
e del suo temperamento.
Perché
scaricavano sulle sue spalle un tale, orribile peso?
Con
uno scatto metallico, la porta si aprì ed entrò Nemo.
Il
giovane soldato si scosse dai suoi pensieri e fissò uno
sguardo vitreo sul più anziano militare.
– Ringo,
che cosa succede? – chiese
l’uomo, il tono apparentemente calmo. Quando avevano parlato di
suo padre, il suo umore era repentinamente mutato.
Si
era allontanato, il cuore oppresso dall’angoscia.
E,
in quel momento, i
suoi occhi azzurri portavano la traccia di lacrime, malamente
represse.
Non
riusciva a trovare un nesso a questi eventi.
Il
pilota si chinò, raccolse il portatile e lo consegnò al
militare più anziano.
Questi
lo accese e, rapido, lesse la missiva.
– Capisco.
– mormorò, dispiaciuto. I militari, nella loro consueta
vigliaccheria, avevano scaricato sulle sue spalle una responsabilità
crudele.
Anche
a Ringo toccava la stessa sorte di Nick, seppur per motivazioni
differenti.
I
soldati desideravano servirsi di lui come di uno strumento, pur di
non sporcarsi le mani.
Sopraffatto
dalla disperazione, il giovane si lasciò cadere seduto sulla
brandina, la testa tra le mani e il respiro affannoso.
Il
comandante, preoccupato, gli si avvicinò e gli appoggiò
una mano sulla spalla.
– Non
sei obbligato ad obbedire ai loro ordini. – cercò di
rassicurarlo Nemo.
Ringo
non meritava di soffrire ulteriormente.
E
non doveva alcun riguardo agli ordini stupidi dei militari.
Un
triste sorriso sollevò le
labbra del giovane uomo. Nonostante la sua intelligenza, il
comandante Nemo non vedeva l’interezza della questione, ma non
gliene faceva una colpa.
– Signore,
non sono obbligato da un punto di vista legale, è vero, ma…
– mormorò.
La
voce gli si spense in un gemito amareggiato e il giovane, con più
forza, si strinse la testa tra le mani.
Sono
un idiota., imprecò
Nemo
tra sé. I militari avevano intrappolato Ringo in una
situazione dolorosa e si erano serviti del suo amore filiale.
Avevano
sfruttato l’affetto e il rispetto da lui nutriti per il suo
genitore perduto, incuranti della pena a cui lo stavano condannando.
E
questa era una trappola ben più soffocante delle leggi.
Richard
si alzò dalla branda e, per alcuni istanti, strinse i pugni,
il corpo rigido come un blocco di marmo.
– Hai
già deciso cosa fare? – domandò, cauto, Nemo.
Il
giovane uomo provò a parlare, ma la sua voce si spense in un
debole e lamentoso singhiozzo.
– Mi
perdoni… Ma mi sembra tutto così assurdo… Vorrei
che fosse un incubo, ma è la realtà… –
mormorò,
la voce incrinata dalla disperazione.
Le
labbra di Nemo si sollevarono in un sorriso e il suo sguardo, di
solito fermo, scintillò d’una luce bonaria. Lui cercava
di mantenere una maschera di forza e di contegno e questo suo
comportamento era encomiabile, degno di un abile e coraggioso
soldato.
Ma
il suo cuore di figlio era dilaniato dal dolore e tale sentimento era
naturale.
Se
fosse crollato, soverchiato dalla pena, nessuno avrebbe potuto
biasimarlo.
– Comandante,
le devo chiedere un grosso favore… – cominciò,
atono.
– Quale?
– chiese Nemo.
– Star
vuole festeggiare la rinascita di Nick, dopo cinque lunghi anni di
cure… Può
dire che non mi sento bene e non potrò venire alla festa?
Nessuno deve sapere nulla… –
domandò.
Per
alcuni istanti, Nemo rimase silenzioso. La decisione di Ringo era
assai dolorosa, ma ne comprendeva le ragioni.
Aveva
posto le esigenze dei suoi compagni davanti alle proprie.
Voleva
dare ai suoi amici la possibilità di trascorrere una giornata
gioiosa e non desiderava angustiarli con le sue pene.
Il
suo pensiero era rivolto soprattutto a Nick, appena uscito da un
lungo e doloroso periodo di cure psicofisiche.
Come
un fratello maggiore, bramava proteggerlo.
Sei
un uomo generoso, Richard.,
pensò il comandante. Era stato un soldato coraggioso, malgrado
l’animo intemperante.
Pur
di non angosciare i suoi compagni, era deciso ad affrontare da solo
una pena tanto dolorosa.
Ma
quanto avrebbe sopportato quel greve peso?
Tuttavia,
non poteva costringerlo a parlare.
– Sì.
Rispetterò la tua scelta. –
1)
prima fic su Teknoman… Sto facendo un rewatch e devo dire una
serie carina (con molte scemenze, ahimé).
Ringo
è il mio preferito e mi dispiace che non gli sia data
l’introspezione che merita, per dare spazio a Brando. (non lo
odio, anzi, ma in certi momenti sembra che ruoti tutto attorno a lui,
con conseguente culto della minchiata). Qui ho deciso di sfruttare la
carica di angst inespressa e di ribaltare alcuni cliché.
Penso
sarà una fic di cinque capitoli.
Preciso,
uso i nomi del doppiaggio italiano, li sento più legati alla
mia adolescenza (quindi Levin qui è una donna e si chiama
Maggie Matheson).
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Capitolo 2 *** Eutanasia ***
Rapida,
la macchina blu dell’esercito si avviava verso l’ospedale
militare, lasciando dietro di sé una densa scia di fumo.
Richard,
seduto sul sedile posteriore, meditava. Aveva dato il consenso ad una
simile operazione, eppure il suo cuore era dilaniato.
Quel
senso tormentoso di amarezza, che gli stringeva lo stomaco, non
svaniva.
Si
irrigidì. Il percorso, in quel momento, gli pareva allungarsi
all’infinito.
E
questo aumentava il suo senso d’angoscia.
Desiderava
la fine di una simile sofferenza, ma temeva il momento del suo
arrivo.
Cosa
avrebbe visto? Come avrebbe reagito?
Aveva
preso quella decisione spinto dal suo affetto filiale, ma i dubbi non
si erano dissolti.
Il
suo amore filiale combatteva contro il suo lato egoista e non
riusciva a prevalere.
Girò
la testa e guardò oltre il finestrino.
Il
cielo, grigio di nubi, era illuminato dalla rara luce di un lampo
grigiastro, accompagnata da un cupo rombo, simile alla detonazione di
un cannone.
Un
amaro sorriso sollevò le labbra del giovane soldato.
Quantomeno non doveva combattere con l’amarezza di una bella
giornata di sole.
Il
tempo sembrava volere dare un conforto alla sua anima e si accordava
ai suoi sentimenti.
Spero
stiate festeggiando bene, amici miei., si
disse. Cinque anni di riposo e cure avevano permesso a Nick di
rigenerare i danni patiti dal suo corpo durante la dura guerra contro
i Venomoidi.
Aveva
perfino ripreso gli allenamenti nelle arti marziali!
Certo,
si era rotto una gamba, ma era sempre meglio un arto rotto di uno
stato di catatonia!
E
tutti volevano festeggiare quest’evento con una vacanza nelle
più belle città europee.
Certo,
Star e Nick si erano lasciati, ma Balzac e Rachel, dopo la guerra, si
erano ritrovati e pensavano al matrimonio.
Con
un cenno della testa, allontanò i pensieri molesti. No, in
quel momento, il suo pensiero doveva tendersi a suo padre, che
giaceva in un letto d’ospedale, incatenato ad una crudele
agonia.
La
sua attenzione doveva concentrarsi su di lui,
Le
lacrime non erano degne dell’unico figlio del generale Charles
Varlause.
Eppure,
tale razionalizzazione non diminuiva il peso del suo dolore.
Sarebbe
riuscito a onorare il suo impegno?
Avrebbe
sopportato la definitiva distruzione di quel legame?
Diverso
tempo dopo, davanti ai loro occhi, si stagliò un edificio
assai grande, a pianta rettangolare, con muri perimetrali tinti di
bianco e il tetto piatto, circondato da un ampio giardino, rigoglioso
di piante verdi.
Decine
di persone entravano e uscivano dalla struttura, come api in un
alveare, mentre diverse ambulanza si fermavano nel parcheggio.
Siamo
arrivati., pensò.
Mancava poco alla fine di quel tragitto.
Suo
padre era in quell’ospedale…
Sto
facendo quello che è giusto? Avrei dovuto rifiutare?, si
domandò, sempre più turbato. Suo padre era un uomo
d’animo fermo e non avrebbe mai accettato una simile
condizione, priva di qualsiasi rimedio.
Questo
non aveva frenato la sua devozione verso sua moglie e l’aveva
assistita, durante la sua terribile malattia.
Aveva
rispettato la scelta di lei di lottare contro quell’orrendo
tumore.
Erano
mutati i suoi pensieri in quei lunghi anni di lontananza?
Gli
sembrava di essere precipitato in un vortice privo di scopo.
Sospirò.
No, non aveva senso porsi simili domande…
Doveva
mostrare la sua risolutezza.
I
militari non avrebbero goduto della pena, che, crudele, gli dilaniava
l’anima.
La
macchina si fermò, l’autista scese e aprì la
portiera.
– A
che piano? – domandò il Cavaliere dello Spazio.
–
Quinto
piano. Seguimi. – rispose il soldato, atono.
A
passo rapido, entrarono nell’ospedale.
Attraversarono
l’ampia sala d’attesa, poi si avvicinarono ad un
ascensore ed entrarono.
Con
un rumore secco, le porte si chiusero e il montacarichi si sollevò.
Il
giovane chiuse gli occhi e le sue braccia si incrociarono sul petto.
Doveva serbare la sua apparenza di contegno…
I
militari non si sarebbero impietositi, davanti alla sua disperazione,
e lui non desiderava essere oggetto del loro biasimo.
Affondò
i polpastrelli negli avambracci. Solo l’orgoglio gli permetteva
di non cedere all’angoscia.
Ma
quanto avrebbe tollerato un tale peso?
Ad
un tratto, l’ascensore si bloccò.
–
Siamo
arrivati. – annunciò il soldato.
Premette
il tasto sul quadro elettrico e le porte, con uno scatto metallico,
si aprirono.
A
passo rapido, attraversarono un lungo corridoio e, giunti davanti ad
una porta metallica, si fermarono.
Il
soldato, presa la tessera magnetica, la introdusse nel lettore e la
spia lampeggiò d’una luce verde.
Di
scatto, la porta si spalancò e i due giovani entrarono in una
stanza ampia, di forma rettangolare, con pareti e pavimento d’un
bianco accecante.
La
luce gialla di una lampada a neon appesa al soffitto, un poco più
scuro delle pareti, illuminava l’ambiente e si posava su un
letto assai ampio.
Su
di esso giaceva un uomo alto e magro, il volto circondato da una
folta chioma bionda e gli occhi chiusi in un sonno profondo.
Nel
suo braccio destro, era infisso un ago, da cui si allungava una lunga
cannula, collegata ad una flebo, da cui stillava una soluzione
bianca, mentre sul suo volto era posata una maschera bianca per
l’ossigeno.
Sul
suo petto e sulla sua testa erano collocati degli elettrodi,
collegati ad un elettrocardiografo e un elettroencefalografo, dai
quali si spandeva un ronzio monotono e insistente, come quello di un
banco di mosche.
Un
medico basso e tarchiato, con una folta chioma candida attorno al
viso squadrato, controllava i macchinari, assieme a due infermieri.
A
stento, il giovane Cavaliere dello Spazio frenò un gemito. Suo
padre era stato ridotto ad un simulacro di se stesso…
Quel
corpo, privo di energia, sostenuto dalle macchine, manteneva solo le
sembianze del suo amato genitore..
Strinse
i pugni e, a stento, frenò la brama di piangere. Tanti ricordi
si spiegavano nella sua mente, dilaniata da quella crudele visione…
Rivedeva
Charles Valause, mentre lo sollevava tra le sue forti braccia di
rugbista…
Gli
pareva quasi di sentire la solidità dei suoi muscoli sotto le
sue gambe…
E
di lui cosa restava?
No,
quel corpo non apparteneva ad un uomo vitale e risoluto come suo
padre.
Il
medico, sentendo il rumore della porta, distolse l’attenzione
dai macchinari e, a passo rapido, si avvicinò ai due militari.
– Sono
il dottor Mahon e sono il primario di questo ospedale. Sei tu
Richard Valause? – chiese,
calmo.
Il
giovane trasse dalla tasca della sua divisa un tesserino
identificativo e lo consegnò al medico.
–
Capisco.
Mi dispiace per quello che vi hanno chiesto. – mormorò,
fissando il suo sguardo metallico sul giovane figlio del generale
Valause.
–
Grazie.
– rispose questi, atono.
Mise
la mano nella tasca destra del camice e trasse un telecomando con un
pulsante rosso al centro.
– Che
cosa è? – domandò il giovane.
– Con
questo telecomando, puoi spegnere le macchine che mantengono il
generale in vita. Devi solo
premere il pulsante. – spiegò il dottore.
Ringo
accennò ad un mezzo sorriso stanco. Quella cortesia gli
permetteva di mantenere un atteggiamento calmo, malgrado la
situazione.
Il
medico chinò la testa in segno di rispetto, poi si allontanò,
portando con sé i due infermieri e il soldato.
Il
giovane, per alcuni istanti,rimase immobile, poi si avvicinò
al letto.
Si
sedette su una sedia e, per alcuni istanti, rimase immobile, lo
sguardo fisso sul corpo disteso. No, non era suo padre…
Lui
era un uomo forte e vigoroso.
O
forse era un ricordo d’infanzia, scolorato dal tempo?
– Non
so che cosa fare… – mormorò. Davanti a quelle
povere membra, prive di vita, la sua decisione, apparentemente
solida, mostrava crepe evidenti…
Il
suo cuore si schiantava con fragore e le incertezze lo straziavano.
Di
nuovo, l’indecisione dilaniava la sua mente.
Suo
padre, così deciso e vigoroso, non avrebbe mai tollerato una
simile esistenza, giudicandola indegna di un uomo.
Eppure
lui, suo unico figlio, temporeggiava.
Il
lato più egoistico del suo amore filiale frenava la sua mano e
gli impediva di portare a termine il suo compito.
– Non
so che cosa fare… – mormorò, affranto. Suo padre,
a causa del suo lavoro, non gli dedicava molto tempo, ma sapeva
rendere incisivi i momenti che gli dedicava…
Grazie
ai suoi insegnamenti, era divenuto un uomo coraggioso, che non
arretrava davanti a nulla.
Al
contrario degli altri Cavalieri dello Spazio, era stato fortunato.
Oltre
a suo padre e sua madre, era stato ricoperto d’affetto e di
premure dall’anziano maggiordomo Barnaby, morto poco tempo
prima, a causa delle conseguenze di una caduta.
E
doveva a suo padre quest’ultimo atto d’amore.
Gli
doveva restituire parte del suo debito.
La
sua mano destra si allungò e si posò sulla guancia del
generale, in una tenue carezza.
Le
lacrime annebbiarono i suoi occhi e un debole singhiozzo strinse il
suo petto. Poteva sentire un flebile calore attraversare le sue dita…
Ma
non era un segno di vita consapevole.
Suo
padre era un vegetale, privo di una qualsiasi umanità.
La
sua coscienza era dispersa in una dimensione lontana, a cui lui,
malgrado il suo amore filiale, non poteva accedere.
Eppure,
poteva toccarlo e sfiorarlo.
Poteva
nutrire il suo cuore di ricordi e illusioni.
E
quelle memorie sarebbero state un balsamo per la sua sofferenza.
Ma
desiderava questo?
Era
giusto imprigionare suo padre in una rete così soffocante, pur
di allontanare la sofferenza dal suo cuore?
Certo,
non sentiva nulla, ma non era rispettoso verso l’uomo che lui
era stato.
Il
suo sguardo, ad un tratto, si indurì e, con un gesto nervoso,
allontanò le lacrime. Non poteva più esitare.
Le
sue labbra si posarono sulla fronte del genitore in un lieve bacio e
rade lacrime gocciarono dai suoi occhi.
–
Ti
voglio bene… – mormorò.
Gli
accarezzò il viso, poi la mano destra e gli lanciò uno
sguardo, lucido d’amarezza. Sì, doveva compiere il suo
dovere.
Non
doveva farsi dominare dall’egoismo dell’amore.
Per
amore suo, non doveva condannarlo ad una tale pena.
La
tempra di suo padre non meritava un simile affronto.
–
Torna
da lei… Torna dalla mamma… Non sarete più
lontani...–
sussurrò.
Esitò
un poco, poi premette il pulsante sul telecomando.
Il
ronzio si attenuò sempre più, fino a spegnersi in un
cupo silenzio.
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Capitolo 3 *** Salvataggio ***
Steso
sul letto della sua camera, Richard fissava lo sguardo assente sul
soffitto.
–
Cinque
mesi… – mormorò, la voce velata di stanchezza.
Erano trascorsi cinque mesi dalla morte di suo padre.
Aveva
compito il suo dovere.
Aveva
liberato suo padre da quella crudele agonia.
Era
riuscito a dare al suo corpo un funerale e una sepoltura decorosa,
accanto alla tomba di sua madre.
Finalmente,
erano riuniti e non si sarebbero mai separati.
Durante
la cerimonia, aveva mantenuto un contegno dignitoso, quasi statuario,
ma era stato assai doloroso per lui.
Aveva
avvertito il peso della solitudine, in quella chiesa solitaria.
Eppure,
non riusciva a liberarsi dal peso del rimorso.
Parricida.
Crudele, il suo cuore gli ricordava la sua colpa.
E
a nulla valevano le razionalizzazioni della sua mente.
Tale,
straziante amarezza stringeva il suo cuore in una morsa soffocante.
Il
suo corpo era tormentato da frustate di nausea e vomito, che
gli impedivano di alimentarsi con regolarità.
Agli
sguardi preoccupati dei suoi compagni, aveva risposto che si trattava
di una recrudescenza dell’ulcera, che, dalla fine della guerra,
lo tormentava.
E
nemmeno la notte leniva il suo tormento.
I
suoi sogni, senza l’aiuto dei sonniferi, prescrittigli dal
medico dei Cavalieri dello Spazio, si tramutavano in incubi.
Suo
padre gli sorrideva e, qualche secondo dopo, il suo volto si
trasfigurava in quello di una Gorgone dalla testa anguicrinita, gli
occhi ardenti di brama primordiale.
Poi,
si scioglieva in fango putrido e questa pozza lo imprigionava in una
morsa soffocante.
Un
amaro sorriso sollevò le labbra del giovane. Per quanto ancora
sarebbe riuscito a occultare il suo dolore?
Era
prossimo al crollo, ne era certo, ma doveva lottare.
Privo
della sua maschera, si sentiva nudo, indifeso, vulnerabile.
Un
brivido trapassò la sua schiena. Certo, riceveva rimproveri
per la sua attitudine alla battuta caustica, ma era rispettato per il
suo valore di soldato.
Non
desiderava perdere la stima dei suoi compagni e angosciarli coi suoi
problemi.
– Non
voglio perdere la tua stima, Nick… – sussurrò.
Un tempo, lo aveva ritenuto un pericolo per la Terra.
Ma
il tempo aveva smentito la sua diffidenza e tra lui e il giovane
Teknoman si era creato un legame sincero.
Oltre
la sua severa apparenza, poco incline al sorriso, si celava un
giovane valoroso, pronto ad ogni sacrificio per la difesa dello
splendido pianeta azzurro.
Quante
sofferenze aveva sopportato il suo corpo, per consentire la mutazione
in Teknoman?
Per
la loro salvezza, la sua mente aveva corso il rischio di sprofondare
in un abisso oscuro di pazzia e dolore.
Inoltre,
Nick aveva perduto i suoi due fratelli e sua sorella in una guerra
crudele.
Non
voleva sentirsi indegno di lui.
Si
scosse dai suoi pensieri e si alzò. Un senso di stanchezza
assai forte l’aveva invaso, ma non riusciva a riposare.
Gli
sembrava di galleggiare in un oceano di dolore e amarezza.
Si
alzò dal letto e si avvicinò all’armadietto dei
medicinali. Aveva bisogno di dormire…
Per
un po’ di tempo, desiderava dimenticare la sua pena.
Sbatté
le palpebre, poi aprì l’armadietto e prese un tubetto di
farmaci.
Per
alcuni istanti, indeciso, si rigirò tra le mani la confezione.
Era necessario l’uso dei sonniferi?
Il
medico della base, con l’assenso del comandante Nemo, gli aveva
prescritto dei medicinali, per combattere la sua terrificante
insonnia.
– Mi
calmerà. Sono stanco di questa angoscia. –
mormorò, il tono abbattuto.
Se non fosse riuscito a riposare,
sarebbe impazzito.
La
stanchezza gravava sulle sue spalle, eppure il sonno era per lui un miraggio.
Si
versò un bicchiere d’acqua, aprì il tubetto di
farmaci e li ingoiò.
–
Bene…
Ora, posso dormire un po’. – mormorò. Già
cominciava ad avvertire il senso di stordimento degli oppiacei
sintetici…
Era
una sensazione gradevole…
Si
distese sul letto e, qualche istante dopo, si addormentò, le
mani strette sul petto.
A
passo lento, Nick percorreva i corridoi della base.
L’ansia
stringeva il suo cuore. Con il recupero dell’integrità
psicofisica, erano tornati i ricordi di quella guerra devastante.
Spesso,
le morti dei suoi fratelli e sua sorella si mostravano ai suoi occhi,
con i loro vivi e crudeli colori.
Risentiva
le parole, cariche di dolore e rimpianto, di Cain, mentre si spegneva
tra le sue braccia.
Perché
non era riuscito a comprendere la fonte del mutamento del suo
carattere?
Tuttavia,
pur con fatica, aveva riconquistato un nuovo equilibrio.
Grazie
all’affetto di Star e dei suoi amici, era riuscito a non
sprofondare nell’angoscia.
La
ricostruzione della base dei Cavalieri dello Spazio aveva permesso
loro di trovare un luogo di incontro comune.
Un
breve sorriso sollevò le sue labbra. Un tempo, lui e Star si
erano amati, ma quel sentimento era mutato in una profonda amicizia.
Amava
la giovane esperta informatica d’un affetto fraterno, che nulla
avrebbe potuto distruggere.
Il
suo cuore era stato legato dal suo coraggioso e solare compagno.
La
sua mente aveva accettato di adorare ogni lato del suo ardente
carattere.
Il
sorriso morì sulle sue labbra e lo sguardo smeraldino del
giovane si oscurò. No, da tanto, troppo tempo Ringo era
mutato.
Il
suo corpo, prima così atletico e prestante, si era asciugato,
ma non era quella la sola fonte di preoccupazione, da lui condivida
coi suoi compagni.
Il
suo sguardo, di solito scintillante di ironia, era oscurato da una
pena segreta e i suoi splendidi occhi cerulei erano oscurati dalla
tristezza.
Tutti
si erano accorti del suo cambiamento, ma lui non aveva rivelato la
ragione del suo cambiamento.
Quando
gli chiedeva le ragioni di tale pena, svicolava o chiedeva, con
ruvidità, di essere lasciato solo.
Si
era rinchiuso in un silenzio duro e a nessuno permetteva di penetrare
quella fortezza.
Voleva
affrontare quella sofferenza da solo, lo aveva compreso.
Ne
era sicuro, solo il comandante era a conoscenza della ragione del
subitaneo mutamento di Ringo.
Eppure,
nessuna parola era uscita dalla sua bocca.
Tra
lui e Ringo esisteva un segreto.
Perché
non metteva al corrente il resto della squadra?
Che
cosa lo costringeva a serrare la sua pena dietro una maschera di
fragile energia?
Tutti
erano preoccupati per questo mutamento.
Eppure,
un distorto senso di rispetto e di pudore impediva loro di porre
domande più precise.
E
Ringo rischiava di sprofondare nel pantano della pazzia.
– Ti
prego… Permettici di aiutarti… – si augurò.
Quale disgrazia aveva sopraffatto la tempre rocciosa del suo
compagno?
Si
fermò davanti alla porta della stanza del compagno.
– Che
cosa devo fare? – si domandò. In quel momento, la sua
risolutezza si dissolveva, quasi fosse fumo.
Voleva
sapere l’origine dell’angoscia di Ringo, ma temeva di
risultare inopportuno.
Rifletté.
Star gli aveva accennato alla famiglia di lui, ma era stata assai
vaga.
Il
pilota non era mai stato prodigo di informazioni sul suo passato.
Forse,
anche lui portava sul suo animo la maschera di una natura chiassosa
ed esagerata.
– No.
Non possiamo continuare così. – mormorò, deciso.
Una simile situazione non poteva proseguire.
Se
lo avessero lasciato in quell’ostinato mutismo, sarebbe
accaduta una disgrazia.
E
una simile eventualità non doveva concretizzarsi.
Prese
la tessera passepartout e la posò sotto il lettore magnetico.
Con
uno scatto metallico, la porta si aprì e Nick, a passo rapido,
oltrepassò la soglia.
Il
suo sguardo, ben presto, fu attirato dalla figura addormentata di
Richard, distesa supina sul letto, le braccia mollemente abbandonate.
Il
giovane ex Teknoman scosse la testa, attraversò la stanza e si
sedette sul letto. Avrebbe atteso il suo risveglio.
A
causa della sua pena, dormiva poco e la stanchezza poteva averlo
sopraffatto.
Ad
un tratto, le sue sopracciglia si aggrottarono. Il volto del suo
amico era pallido e il suo respiro gli sembrava breve…
Il
suo sonno non appariva naturale.
Poteva
essere sotto l’effetto di un incubo, ma un controllo era sempre
necessario.
Perplesso,
accostò l’orecchio al petto del compagno.
Il
suo volto si scolorò. Il battito del suo cuore era sempre più
debole e quasi non riusciva a udirlo…
Lo
prese per le spalle e, energico, lo scosse, il cuore stretto
dall’angoscia. No, la situazione era surreale…
Era
un incubo.
La
testa di Richard ondeggiò da una parte e dall’altra,
come una bambola di pezza malamente scossa.
Per
alcuni istanti, l’ex Teknoman rimase immobile, gli occhi
sbarrati dallo sgomento.
– No..
No… – balbettò. Lui non poteva avere commesso un
simile atto!
Non
poteva lasciarlo!
Angosciato,
prese l’interfono, compose alcuni numeri e lo accese.
– Sono
Star. Che cosa succede? – domandò la voce della giovane
ed esperta informatica.
–
Star,
vieni qui! Porta gli altri! Ringo… Non riesco a svegliarlo! –
gridò il giovane Teknoman, la voce rotta dalla disperazione.
Il peso di un orribile rimorso precipitava nel suo cuore…
Solo
un flebile alito di vita agitava il corpo del pilota.
Amava
Ringo, eppure lo aveva lasciato solo!
Per
alcuni istanti, l’interfono rimase silenzioso.
–
D’accordo!
Tu non muoverti! – gli ordinò lei.
Il
giovane annuì e la chiamata si concluse.
La
porta si aprì e Star entrò, accompagnata dal comandante
Nemo e dagli altri Cavalieri dello Spazio.
– Cosa
è successo? – chiese Balzac, perplesso. Perché
Star aveva interrotto con tanta urgenza le loro attività?
Come
mai Nick era nella stanza di Ringo?
– Sono
entrato per parlare con Ringo… E l’ho trovato in questo
stato… Non si sveglia… Non riesco a capire… –
balbettò il giovane.
Star,
Maggie, Tina, Balzac e Mack, sentendo le parole del compagno, si
pietrificarono dallo stupore e dal terrore.
– No…
Non può essere… – balbettò la ragazzina,
coprendosi gli occhi con le mani.
Nemo
si guardò intorno e, a poca distanza dal letto, scorse il
tubetto dei sonniferi vuoto.
Cosa
ho fatto…, pensò,
il cuore stretto in una morsa di angoscia. Tutto, in quel momento,
era illuminato da una luce livida e crudele.
Lo
stato di prostrazione del pilota era colpa sua.
Credendo
di rispettare la libertà di scelta di Ringo, aveva compiuto
una scelta poco lungimirante.
Sono
stato uno stupido., pensò.
Malgrado la sua natura esuberante, lui non era incline a condividere
le sue sofferenze con gli altri.
Nemmeno
la sua tragedia personale aveva mutato quell’aspetto della sua
indole.
Preferiva
affrontare i suoi drammi da solo e non coinvolgere gli altri.
In
questo, lui e Nick, malgrado le loro differenze caratteriali, si
assomigliavano.
Quando
soffrivano, entrambi si proteggevano con una maschera.
–
Dobbiamo
portarlo nel settore ospedale. Nel suo attuale stato, qualsiasi
operazione da parte nostra può risultare inutile. –
spiegò il comandante, il
tono apparentemente calmo.
L’ex
Teknoman fece per sollevarlo, ma Balzac lo precedette e lo prese tra
le braccia.
– Hai
recuperato la piena integrità psicofisica, ma non è il
caso di fare simili sforzi. Lascia che lo tenga io. – lo
rassicurò l’ex spia.
–
Grazie,
Balzac. – mormorò il più giovane.
Rapido,
uscì dalla stanza, presto seguito dagli altri.
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Capitolo 4 *** Chiarimenti ***
Un
greve silenzio opprimeva i corridoi del settore ospedaliero
dell’ospedale.
I
cinque giovani e Mac, seduti sulle panche, aspettavano, immersi in un
lugubre silenzio.
Nick
chiuse gli occhi e abbandonò la testa all’indietro. Il
tempo, in quel momento, sembrava interminabile.
Stillava
nel suo cuore, con precisione crudele.
Che
cosa tratteneva i medici nella sala operatoria?
Un
singhiozzo, in quel momento, si spezzò nel suo petto e un
ruggito di rabbia impotente si liberò sulle sue labbra.
Avvertiva un grumo di dolore opprimergli il cuore e impedirgli di
respirare.
Nulla
poteva fare per aiutare il suo compagno di tante battaglie.
E
questa realtà accendeva la sua frustrazione.
I
suoi sentimenti d’amore, davanti a quella tragedia, passavano
in secondo piano.
Anzi,
perdevano valore.
Desiderava
rivedere gli splendidi occhi cerulei dell’amico fissi nei suoi.
Non
gli importava di nulla, desiderava la sua salvezza.
–
Credo
che il comandante ci debba qualche spiegazione. – esordì
Balzac.
Scuotendosi
dai loro pensieri, tutti si voltarono verso il giovane, che si era
alzato e appoggiato al muro, le braccia incrociate sul petto.
Per
alcuni istanti, rimasero silenziosi e rifletterono sulle parole del
loro compagno.
– Sì,
hai ragione. Lui conosce le cause di questo crollo di Ringo, ma non
ha voluto dirci niente. E questo è insolito da parte sua. –
disse Maggie.
–
Perché?
Che senso ha questo loro accordo? – chiese Tina.
Balzac
le scoccò uno sguardo serio.
–
Nick,
dopo cinque anni di terapie, ha recuperato la sua piena efficienza
psicofisica e noi decidiamo di festeggiare l’evento. In questo
periodo, qualcosa sconvolge la vita di Ringo e il comandante
ne
viene a conoscenza. Non mi sembra ci voglia un genio per capire le
ragioni della loro decisione. – ironizzò, aspro.
L’ex
Teknoman sbarrò gli occhi e, d’istinto, indicò se
stesso con la mano.
–
Significa…
che la causa dello stato di prostrazione di Ringo sono io? –
domandò, amaro. Questa ipotesi era per lui straziante.
Non
avrebbe mai voluto danneggiare una persona a lui così cara.
Amava
Ringo e non avrebbe mai voluto essere causa del suo dolore.
Avvertendo
l’amarezza nelle parole del giovane, Balzac si schiaffeggiò
la fronte con la mano. Era cambiato, ma la sua attitudine alla
durezza verso se stesso non era svanita.
Quelle
sue parole potevano essere equivocate…
Nick
era troppo incline a prendersi colpe non sue e non era questo il suo
obiettivo.
Voleva
invitarli a ragionare sulle probabili cause di quell’evento,
non lanciare accuse prive di senso.
– No,
stai tranquillo. Tu non c’entri. Non sei certo tu la causa del
suo dispiacere. – lo rassicurò e il suo tono di voce si
addolcì.
Poi,
il suo sguardo si oscurò e la sua fronte si corrugò.
–
Inoltre,
credo che il suo dimagrimento non abbia nulla a che fare con
l’ulcera. Non del tutto.– proseguì.
– E’
vero, Se, per cinque mesi, ha lottato contro una forte depressione,
anche il suo corpo ne ha risentito. Probabilmente, non riesce ad
alimentarsi adeguatamente. – affermò Mack.
– Non
potrebbe essere una malattia più grave? – domandò
Maggie, angosciata.
Uno
scricchiolio di passi interruppe la discussione.
Tutti
videro avanzare a passo lento, ma deciso, Nemo, accompagnato da un
medico.
– Come
sta Ringo? – chiese Mack.
– Si
riprenderà. Siamo riusciti a liberare il suo sangue da quegli
oppiacei sintetici. Tuttavia, abbiamo dovuto sedarlo, perché
era in preda a forti allucinazioni e ha rischiato di farsi molto
male. – continuò il medico, il tono dispiaciuto.
Brividi
di sgomento attraversarono i presenti.
– E’
possibile vederlo? – chiese Mac.
– No.
E’ meglio lasciarlo riposare. Dopo quello che ha passato, è
necessario
che
resti tranquillo e non sia sottoposto ad altri stress. Voi siete suoi
amici e gli volete molto bene, ma le vostre domande sarebbero una
ulteriore fonte di agitazione e non ne ha bisogno per ora. –
spiegò il medico.
L’ex
Teknoman, perplesso, corrugò la fronte e il suo sguardo,
attento, si posò ora sul dottore, ora su Nemo.
–
Credo
sia il caso che sappiate la verità. Questa farsa è
durata anche troppo. – intervenne quest’ultimo, turbato
dallo sguardo penetrante del Cavaliere dello Spazio.
Poi
si volse verso il dottore.
– Se
c’è qualche novità, ci avverta. Di qualsiasi tipo
essa sia. – gli disse.
– Ci
potete contare. Ci sentiamo. – li salutò il medico e si
allontanò.
Rimasti
soli, il comandante lanciò uno sguardo a Mack e ai cinque
giovani.
–
Venite
con me. – ordinò.
Tutti
annuirono e si avviarono verso la sala di controllo della base.
Percorsero
i corridoi della base, i cuori grevi d’amarezza. Quel posto era
stato restaurato, eppure sembrava avere la graveolenza di una tomba…
Sono
stato stupido.,pensò
Nick. Troppo preso da se stesso, non aveva saputo andare oltre la
maschera del suo compagno.
L’aveva
creduto invulnerabile al dolore.
Eppure,
aveva avuto la prova delle sue emozioni, cinque anni prima!
Ringo,
malgrado la sua forza d’animo, era dotato d’un cuore
palpitante, capace di amare e soffrire.
Qualche
minuto dopo, entrarono nella sala di comando.
– Sedetevi.
– ordinò Nemo.
Appena
vide tutti seduti, l’uomo accennò ad un sospiro. Cosa
avrebbero pensato di lui?
Quel
segreto era stato doloroso, ma aveva creduto di rispettare la libertà
di Ringo.
Inoltre,
aveva sperato che lui rivelasse la ragione del suo mutamento.
– Per
quanto riguarda il suo stato fisico, non preoccupatevi. Ringo sta
bene. Non ha nessuna malattia fisica. La sua ulcera è guarita.
– cominciò l’uomo, amareggiato.
– A
cosa è dovuto il dimagrimento? – chiese Mack.
Nemo,
per alcuni istanti, tacque.
– Il
suo problema è il dolore, che, da mesi, è suo compagno
di vita. – continuò l’uomo.
Cinque
mesi? Ha sopportato per cinque mesi una simile pena?, pensarono
tutti, esterefatti. Quale dolore poteva averlo portato ad una simile
risoluzione?
Di
sicuro, era legato alla lettera da lui ricevuta.
– Come
ha detto prima
Balzac, Ringo ha sopportato una pena devastante da solo per non
angustiare voi. Soprattutto, per non angosciare te, Nick. Ma non devi
sentirti in colpa per questo. Gli unici colpevoli del suo stato
attuale sono i membri delle Forze Armate. – dichiarò
Nemo.
Un
breve tremito scosse il corpo dell’uomo. Forse, avrebbe dovuto
impedirgli di sottostare a quegli ordini crudeli
– Cosa
c’entrano i militari? – domandò Mack, stupito.
– Il
padre di Ringo, Charles Varlause, come ben sapete,
era
un generale dell’esercito e, per cinque anni, è stato
creduto morto, a causa di un attacco degli alieni. Ma non era così.
Purtroppo, era in stato vegetativo permanente, senza alcuna speranza
di risveglio. – continuò Nemo.
Per
alcuni istanti, esitò e il suo sguardo si assottigliò.
In quel momento, vedeva le conseguenze della sua scelta.
Desiderava
rispettare la scelta del suo sottoposto, ma non si era reso
pienamente conto dell’entità della sua sofferenza.
Pur
non essendo stupido, aveva commesso un errore marchiano.
Avrebbe
dovuto permettere agli altri di sostenere Ringo.
Certo,
lui si sarebbe arrabbiato, ma avrebbe compreso la necessità di
un tale sostegno.
Tante
volte aveva mostrato di essere un soldato abile e perspicace,
malgrado il suo temperamento focoso.
– I
militari… I militari non si sono voluti prendere la
responsabilità della sua dipartita… E si sono serviti
di Ringo per questo…
Gli
hanno imposto una scelta tra tenere suo padre in vita, attaccato a
delle macchine, o porre termine ad un simile stato. E lui ha scelto
quest’ultima opzione, malgrado avesse il cuore spezzato.–
affermò,
amareggiato.
Gli
sguardi dei presenti, inquisitori, si fissarono sull’uomo.
Tante cose, in quel momento, cominciavano ad assumere un significato
lineare.
Il
mondo del loro compagno, prima solido, si era sgretolato, come un
castello di sabbia colpito da un’onda, ed era stato costretto a
porre termine
Il
dolore e il senso di colpa avevano condotto Ringo sull’abisso
del suicidio.
– Lui
mi ha chiesto di non dirvi nulla. Ha pensato a difendere la salute
appena ritrovata di Nick
e
non ha voluto farvi preoccupare e ho assecondato la sua decisione.
Io,
in questo modo, ho ritenuto di rispettare la sua volontà
Sono
stato ingenuo, perché ho creduto che si sarebbe confidato con
voi, ma non è andata così. Non ho tenuto conto del suo
orgoglio. E me ne rammarico, credetemi.–
concluse,
amareggiato.
Per
alcuni istanti, un greve silenzio oppresse la sala.
Nick,
di scatto, si alzò e uscì dalla sala, seguito da Star,
sotto gli occhi seri degli altri.
Si
appoggiò al muro e si lasciò cadere a terra,
stringendosi la testa tra le mani. Il suo amore per Ringo, scoperto
tre anni prima, non lo aveva aiutato a comprendere nulla.
Era
stato cieco, dinanzi al suo dolore e lo aveva abbandonato...
–
Nick…
– mormorò
Star, cauta.
–
Star,
sono un idiota. Lo amo, ma
non
sono stato attento in queste ultime settimane. Eppure, mi sono
ripreso perfettamente dalla guerra di cinque anni prima… Ho
recuperato la mia piena efficienza psicofisica, ho pensato a
festeggiare la mia rinascita, ma non ho visto la progressiva morte di
Ringo… L’ho lasciato da solo e non me lo perdonerò
mai. –
mormorò.
Strinse
gli occhi e si morse la labbra, facendole sanguinare.
– Non
hai sentito le parole del dottore? Si salverà. – replicò
Star, sorpresa dal tono colpevole del giovane.
– E
se tentasse ancora il suicidio? Tu sai quanto è testardo. Non
si arrenderà… – mormorò, affranto.
– Non
lo tenterà, perché noi gli staremo accanto e ci faremo
perdonare per questi cinque mesi di solitudine. Non sei il solo a non
avere capito nulla della situazione. – affermò lei.
Di
scatto, il giovane girò la testa e fissò i suoi occhi
verdi, spalancati dallo stupore, nelle iridi cobalto di lei.
–
Tu
avevi sofferto una situazione assai difficile e, giustamente, hai
pensato a te stesso. Ma noi, che non abbiamo patito le tue
sofferenze, non abbiamo saputo vedere la verità. E solo ora ci
rendiamo conto del nostro errore. – mormorò,
amareggiata.
No,
erano tutti colpevoli, in quel momento.
La
sola vittima era Ringo e lo avevano abbandonato a una pena dolorosa.
Pur
definendosi suoi amici, avevano voluto credere ad un malessere
semplicemente fisico, causato da una guerra crudele.
–
Nick,
abbiamo sbagliato tutti. Ma, se vogliamo rimediare al nostro errore,
non possiamo agire da soli. Dobbiamo essere uniti, se vogliamo
aiutarlo a riemergere da questo abisso. Avrà bisogno di ogni
aiuto possibile per volere cominciare a vivere. – affermò
la ragazza, decisa.
Il
giovane, per alcuni istanti, rifletté sulle parole di lei. Sì,
aveva ragione.
In
quel momento, dovevano circondare Ringo di affetto e premure, per
ridargli il gusto della vita.
Non
sarebbe stato facile, ma era loro dovere provarci.
– Hai
ragione, Star. –
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Capitolo 5 *** Scambio di ruoli ***
Con
fatica, Richard sollevò le palpebre.
Una
densa oscurità, simile a melassa, opprimeva il suo sguardo,
mentre il suo corpo galleggiava, privo di peso.
– Che
cosa succede? – si domandò. Ricordava di essersi
ritirato nella sua stanza, desideroso di solitudine.
Con
la morte di suo padre, il suo animo si era spento.
Il
giovane esuberante si era dissolto ed era stato sostituito da un uomo
inaridito, incapace di provare qualsiasi emozione
Poggiò
una mano sul torace. Solo lo sport gli consentiva di liberare il suo
cuore dall’angoscia.
Ma
le sue forze si spegnevano sempre più.
Avvertiva
l’inutilità delle sue azioni.
L’allenamento
nel calcio e nel karate gli pareva sempre più arduo.
Il
suo corpo era sempre più ribelle ai comandi della sua mente.
Bramava
solo il riposo.
Con
noncuranza, aveva aperto un’intera confezione di oppiacei
sintetici, oppresso dalla stanchezza.
E,
pochi istanti dopo, la sua coscienza era precipitata nel sonno
artificiale, indotto dai sonniferi.
Voleva
solo un po’ di requie dal dolore e dal rimorso, che lo stavano
dilaniando da tanto, troppo tempo.
La
dose consigliatagli dal medico della base, col tempo, si era rivelata
insufficiente.
La
sua razionalità non riusciva a contrastare il suo senso di
colpa.
Il
suo cuore, sordo agli appelli della ragione, lo accusava di
parricidio.
Ma
cosa avrebbe dovuto fare?
Non
poteva abbandonarlo ad un tale destino.
O
forse era una patetica scusa della sua mente provata?
– Sto
mentendo a me stesso? – si chiese.
Un
fremito, ad un tratto, lo attraversò tutto, come una breve
scossa elettrica.
Aprì
un poco gli occhi, sorpreso. Di che cosa si trattava?
Sembrava
il tocco di una mano, leggera e premurosa sulla sua testa…
Una
lama di luce, ad un tratto, fendette l’oscurità e lo
colpì tra gli occhi.
Infastidito,
corrugò la fronte, poi sollevò le palpebre.
Il
giovane si accorse di essere disteso su un lettino d’ospedale,
situato al centro di un’ampia stanza rettangolare, illuminata
da una lampada a neon incastrata nel soffitto.
– Ben
svegliato. – lo salutò una voce maschile, calma e
gentile.
Richard
girò la testa e, seduto accanto al suo letto, vide Nick.
Lui?
Perché è qui? E come mai sono in ospedale?, si
chiese il pilota. Ricordava solo di avere preso dei sonniferi e di
essersi addormentato…
Gli
oppiacei sintetici impedivano alla sua mente di precipitare
nell’abisso degli incubi.
Grazie
a quei farmaci, riusciva a contrastare il problema dell’insonnia.
Eppure,
il suo riposo non era rigeneratore.
Di
solito, il sonno artefatto durava dieci ore e, al suo risveglio, gli
sembrava di essere oppresso dalla stanchezza.
Cosa
sapeva Nick?
–
Perché
sono qui? – chiese, sorpreso.
L’interpellato,
perplesso, aggrottò le sopracciglia. Come poteva fargli una
simile domanda?
Era
un effetto tardivo dei sonniferi?
Ringo
avrebbe dovuto ricordarsi del suo tentato suicidio.
Con
tutti quei medicinali, se non l’avessero scoperto in
tempo,sarebbe morto, per collasso respiratorio!
Malgrado
questo, lo stupore si leggeva nei suoi occhi cerulei.
Sembrava
non comprendere la ragione della sua presenza in ospedale
Eppure,
quella spropositata assunzione di farmaci l’aveva condotto ad
un passo dalla morte.
Come
si spiegava il suo stupore? Stordimento? Era stato un evento
accidentale?
Ma
Ringo non era stupido e un simile errore gli pareva assurdo da parte
sua.
Cosa
cambierebbe?, si chiese. Se
anche quell’assunzione di sonniferi fosse stata involontaria,
non sarebbe cambiato nulla.
Anzi,
la situazione sarebbe stata ben più tragica
Pur
di non fare preoccupare nessuno, si era logorato in una lotta contro
l’angoscia ed era stato sopraffatto.
E
il logoramento psichico lo aveva portato ad uno sbaglio tanto
marchiano.
Per
poco, non era morto.
Nick
sospirò. Superata l’iniziale diffidenza, Ringo si era
rivelato un amico sincero e leale.
Inoltre,
non poteva non ammirare la sua tempra forte.
Avrebbe
desiderato un frammento della sua vitalità.
A
stento, trattenne un amaro sorriso. In quel momento, i ruoli si erano
ribaltati.
A
lui spettava il compito di sostegno.
Ringo
aveva bisogno d’una mano amica.
Non
è il caso di insistere.,pensò.
Il medico aveva detto loro che le domande avrebbero costituito un
motivo di agitazione per lui, già così provato.
Sospirò.
–
Ringo,
mi dispiace per tuo padre. – mormorò ad un tratto l’ex
Teknoman.
A
queste parole, il corpo del pilota si irrigidì e, di scatto,
il giovane girò la testa verso destra. La voce di Nick vibrava
d’affetto, ma quelle parole acuivano il suo senso di pena.
Aveva
ucciso il suo amato genitore.
Poteva
dipingere questo atto dei colori più vivi, ma restava sempre
un parricidio.
E
il rimorso allignava nel suo cuore.
Deboli
singhiozzi sollevarono il suo petto e le lacrime tremarono nei suoi
occhi.
– Non
dovresti essere dispiaciuto per me… Il comandante non ti ha
rivelato cosa è accaduto? – domandò, il tono
innaturalmente calmo e lo sguardo fisso verso il muro..
L’ex
Teknoman rimase cogitabondo. Oltre al dolore per la morte del padre,
il suo amico era straziato da un devastante senso di colpa.
Credeva
di essere colpevole della morte del suo genitore e, per questo, si
consumava in un tormento crudele.
Il
suo cuore sopraffaceva la razionalità e gli impediva di vedere
la realtà nella sua completezza.
Allungò
la mano per accarezzargli i capelli, poi la ritrasse.
– Sì,
so cosa è successo. E ti conosco abbastanza per dire che hai
scelto per amore. Hai rinunciato alla presenza di tuo padre, pur di
ridargli una dignità. Non tutti sarebbero capaci di una simile
scelta. – replicò. Forse, le sue parole erano scontate,
ma era convinto della loro veridicità.
Malgrado
la sua apparenza chiassosa, Ringo era capace di scelte difficili, pur
di rispettare le persone da lui amate e ammirate.
Ansimi
sempre più veloci sollevarono il petto dell’ex
calciatore e lente lacrime sgorgarono dai suoi occhi. Quelle parole,
tanto calme e gentili, aprivano una breccia nel muro di silenzio,
che, da sei mesi, era il suo rifugio e la sua prigione.
Desiderava
abbandonarsi all’onda del dolore, che premeva sul suo petto.
Eppure,
non doveva succedere.
Non
doveva cedere davanti a lui.
Aveva
spesso usato durezza verso Nick e le sue esitazioni e questo gli
imponeva un’estrema coerenza, libera da compromessi.
Nessuno
– tantomeno lui – doveva vedere la sua debolezza.
Calmo,
Nick prese la mano di Richard tra le sue e la sollevò. Sentiva
il suo amico teso, impegnato in un assurdo combattimento contro i
suoi sentimenti.
Stava
commettendo il medesimo errore da lui fatto cinque anni prima.
Quella
repressione, tanto infruttuosa quanto tenace, rischiava di condurlo
alla follia.
–
Guardami.
– mormorò quest’ultimo, dolce.
Cauto,
il pilota girò la testa e i suoi occhi d’acquamarina si
rifletterono nelle iridi smeraldine dell’amico.
– Tu…
– balbettò, sorpreso. Non vedeva alcun biasimo in quei
limpidi occhi smeraldini.
Anzi,
sembrava preoccupato… per lui.
Come
poteva Nick non rimproverarlo per la sua incoerenza.
–
Sì.
Desidero
vederti sereno, amico mio. – rispose l’altro.
Il
pilota, ad un tratto, con un urlo, si abbandonò al pianto e la
sua mano, con forza, si strinse a quella dell’amico.
Le
lacrime, impetuose, esondarono dai suoi occhi, simili ad un fiume
privo di argini, e dolorosi singhiozzi si spezzarono nel suo petto.
–
Papà…
Perdonami… – ululò. Non riusciva più a
controllare quell’atroce senso di pena…
Il
cuore rischiava di scoppiargli, se avesse continuato a reprimere le
sue emozioni.
Nick
rimase silenzioso e, di tanto in tanto, la sua mano carezzava i
capelli dorati del compagno. Nessuna parola era necessaria.
Solo
i gesti dovevano dare conforto.
Ad
un tratto, cinse con le braccia il corpo dell’amico e lo
strinse a sé, contro il suo petto, massaggiandogli la schiena
con una mano. Avrebbe voluto rassicurarlo, ma le parole, in quel
momento, gli parevano prive di qualsiasi valore.
Ringo,
straziato dal dolore, non comprendeva l’assurdità del
suo senso di colpa.
Suo
padre era tenuto in vita da macchine elettriche, ma non era rimasta
alcuna coscienza del suo corpo.
E
non era giusto privarlo della possibilità di passare oltre.
Qualche
tempo dopo, il corpo del pilota si abbandonò tra le braccia
dell’ex Teknoman.
Delicate,
le mani di Nick lo riappoggiarono sul letto, poi le sue dita
sfiorarono la sua guancia in una tenue carezza.
Il
pilota, per alcuni istanti, rimase immobile, gli occhi sbarrati,
fissi verso il soffitto, e il petto sollevato da rapidi ansiti.
Poi,
le sue palpebre si chiusero e il suo respiro, a poco a poco, si
regolarizzò.
–
Dormi,
amore mio. – sussurrò Nick e la sua mano, leggera, si
posò sul viso dell’altro. Finalmente, la maschera era
stata distrutta.
Il
suo amato riposava senza i sonniferi.
Non
era un sonno tranquillo, ne era certo, ma non era artificiale.
E
questo era un passo avanti.
Ad
un tratto, un senso di rabbia bruciò nel suo cuore e la sua
mascella si irrigidì. I loro destini, in quel momento, si
erano uniti in una comune tragedia.
Erano
stati entrambi usati dall’esercito come strumenti, seppur in
situazioni differenti.
Da
tempo non sentivo questo sentimento., meditò.
Le terapie, seppur a tratti, gli avevano permesso di guardare agli
eventi della guerra con occhio analitico, per quanto pietoso…
Ma,
in quel momento, sentiva l’acidità dell’ira
montare quasi alla bocca dello stomaco.
Desiderava
servirsi di Teknoman per dare una lezione a quei bastardi.
Ma
Pegaso, ormai, era scomparso.
E
lui non sapeva cosa fare.
La
porta automatica, con uno scatto metallico, si aprì ed
entrarono i Cavalieri dello Spazio, accompagnati da Nemo.
–
Nick…
Cosa è successo? Sembra riposi tranquillo. – affermò
Nemo.
– Era
solo stanco di combattere contro il suo dolore. Gli ho dato la
possibilità di sfogarsi. Io e lui, inoltre, abbiamo dovuto
sopportare la stessa prova, poiché siamo stati usati dalle
Forze Armate come giocattoli. – rispose Nick, il tono piatto,
vibrante d’ira.
Nemo,
calmo, gli appoggiò una mano sulla spalla e fissò il
suo sguardo sottile negli occhi verdi di Nick-
– Sei
arrabbiato con le Forze Armate ed è comprensibile, ma non
pensi che prima venga Ringo? La vendetta, in questo momento, non
porterà vantaggi a nessuno. Quando si riprenderà, se lo
vorrà, potrà farlo, ma solo con l’aiuto di tutti
noi. – dichiarò l’uomo, deciso. Condivideva l’ira
di Nick contro l’esercito, ma, in quel momento, non aveva
senso.
Dovevano
aiutare Ringo a emergere dall’abisso della depressione e non
dovevano procurargli altri stress.
Nick
tacque e i suoi occhi si fissarono su tutti i Cavalieri dello Spazio.
Questi
annuirono, con brevi cenni del capo.
– Sì,
avete ragione. La vendetta può aspettare. –
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