Let me eat you

di Sarah_lilith
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Iris ***
Capitolo 2: *** We're empty ***
Capitolo 3: *** Wherever you will go ***
Capitolo 4: *** The call ***



Capitolo 1
*** Iris ***


Premessa importante: in questa fanfiction ci sono scene di violenza su se stessi, cosa che io non ho mai sperimentato personalmente, ma che ho potuto vivere attraverso un amico che aveva questa… abitudine. Non so se riuscirò a trattare bene l’argomento, ma spero di non offendere, anche perché parlo per sentito dire da una sola esperienza.
Vi prego, non sto facendo la predica a nessuno, autolesionista o meno.
Buona lettura.

 

 

 

And I don't want the world to see me
'Cause I don't think that they'd understand
(…)
Yes, you bleed just to know you’re alive


(Goo goo dolls - Iris)

 

 

 

C’era un fascino travolgente che lo aveva sempre attirato, nel fare del male a se stesso. 

Cose come colpire un muro fino a vedere le proprie nocche diventare blu o prendere a calci il terreno ripetutamente era la migliore punizione che si poteva infliggere quando si sentiva in colpa. 

Grattarsi la pelle fino alle ossa e ricoprirsi di tagli con una lametta era venuto dopo. Prima c’era stato solo dolore terapeutico.

All’inizio esclusivamente per cose importanti, poi sempre più spesso. Come la marea che, col passare del tempo, ruba pezzi di roccia dalla spiaggia, creando cumuli di sabbia altrove.

Si sentiva così, in certi momenti bui. Come sassi consumati che, con gli anni, diventavano polvere in luoghi diversi, lontani. Si disperdeva nel vento e non sapeva più come fermarsi.

Non si trattava di autolesionismo, o almeno, lui non l’aveva mai vista in questo modo. Aveva un problema, certo, ma era sempre stato facile da gestire, quindi lo considerava più che altro un vizio, come mangiassi le unghie o fumare dopo il sesso.

Poteva tenere a bada molte cose, con la giusta pazienza. Aveva il controllo.

La prima volta, ad ogni modo, era capitato per sbaglio; una casualità che poi era diventata più facile da ripetere che da evitare. Come tutte le cose, era nata da un’incomprensione.

Rifare gli stessi errori aspettandosi un risultato diverso, diceva Einstein, è questa la follia.

Dopo una litigata particolarmente cruenta con Jiang Cheng, Wei Ying era uscito di casa senza nemmeno prendere il telefono o le chiavi, correndo verso nessun luogo preciso con le lacrime ai lati degli occhi e le labbra che tremavano di furia e qualcos’altro.

Non sei nemmeno il mio vero fratello, gli aveva gridato Jiang WanYin, incurante di quanto facesse male, di quanto gli bruciasse il cuore a sentirselo dire, a ricordare che non era sua, quella famiglia. 

Non per davvero. 

Se n’era pentito subito, Wei WuXian glielo aveva letto negli occhi come se ce l’avesse scritto in faccia. Suo “fratello” aveva stretto la bocca in una linea sottile e aveva evitato il suo sguardo lacrimoso, stringendo le mani sul tavolo.

Voleva ritirare quella frase scomoda tra di loro, ma l’orgoglio glielo impediva. Pensava a quanto sarebbe stato bello non dirla, evitare anche solo di pescarla dagli oscuri meandri della mente, quelli in cui si celano le parole cattive, perfidia gratuita che non aiuta nessuno.

Il fatto che se ne rammaricasse non attenuava il dolore, ma era meglio di niente. Wei Ying aveva imparato che, con certi tipi di persone, bisognava accontentarsi. Una cortesia sputata tra i denti, una gentilezza forzata, ruvida all’udito… erano sinonimo di impegno, per uno come Jiang Cheng.

Certa gente, si sa, ha più spine che petali.

Non aveva retto quel silenzio denso come il sangue, quindi era corso fuori dalla cucina, lasciandolo lì coi suoi ripensamenti, ed era schizzato alla porta d’ingresso. Fuori pioveva a dirotto. 

Certo, era ovvio che dovesse piovere. Non c’era stagione migliore per uscire che l’autunno, in quel posto. Ma se n’era andato lo stesso.

Superati i portici delle case si era diretto inconsapevolmente in direzione del molo, nella sua corsa affannata verso un luogo in cui sfogare la sua rabbia in silenzio. 

Al sicuro dagli sguardi di chi l’avrebbe guardato, che avrebbe fatto domande e proposto soluzioni che lui non voleva. Di nascosto anche dal cielo, che gli sembrava giudicasse un pò troppo, di quei tempi.

Non aveva notato lo scalino. Dopo anni che andava nello stesso posto, lo shock del litigio gli aveva fatto dimenticare di quel maledetto scalino, in cima al pontile.

Era caduto, rotolando per la distesa erbosa fino a finire contro il muretto di pietra che divideva acqua e terra. La schiena, all’impatto, gli aveva lanciato una fitta di dolore che gli aveva percorso il corpo fino alle punta delle dita.

E, con sua grande sorpresa, si era sentito più lucido e calmo di prima, quasi la caduta avesse portato via, insieme all’apparenza di pulizia e ordine dei suoi vestiti, anche tutta la rabbia che gli infiammava le vene. 

Disteso sull’erba zuppa di acqua di lago che sapeva di loto, aveva trovato la sua ancora di salvezza.

Dolore.

Era tornato a casa un’ora dopo. Bagnato e sporco come se si fosse buttato in una fogna, aveva oltrepassato l’ingresso con le spalle curve e le dita che raschiavano il fondo delle tasche. Il cappuccio fradicio che gli copriva la fronte gocciolava sul suo naso al ritmo dei suoi passi silenziosi.

Jiang Cheng era seduto sulle scale difronte all’uscio, le mani intrecciate davanti a sé e i gomiti in bilico sulle ginocchia. La testa, fino ad un attimo prima seppellita tra le braccia, si era sollevata di scatto al rumore della porta che si chiudeva alle spalle di Wei Ying.

Non lo aveva guardato davvero. Gli occhi gli erano scivolati addosso come l’acqua che lo ricopriva, ma senza soffermarsi abbastanza da vedere

Gli si era semplicemente accostato e gli aveva sussurrato all’orecchio un borbottio scontroso, Shijie ha fatto la zuppa. Poi gli aveva dato le spalle e si era diretto in soggiorno.

Si erano silenziosamente riappacificati a quel modo.

 

 

 

 

ANGOLINO D’AUTRICE
Prima di tutto, salve. Se questa è una delle prime mie fan fiction che leggi, sappi che io amo la tristezza, quindi Benvenuto nella Valle delle Lacrime. Se invece sei avvezzo ai miei scritti, Bentornato nella Valle delle Lacrime :)
Questa è una storia strana, che si dividerà in quattro capitoli con il titolo di canzoni diverse, ma che sono collegate a delle emozioni particolari. Sta volta è toccato ad Iris, dei Go Go Dolls. Spero sappiate cos’è, perché potrebbe essere una delle mie melodie preferite.
So che l’autolesionismo è un’argomento difficile da trattare, ma spero di riuscirci con una certa… delicatezza. Qui non si vede il vero “autolesionismo”, non nel senso stretto del termine, ma nei prossimi tre aggiornamenti le immagini saranno forti, quindi il bollino arancione ci sta.
In questi giorni sono incasinata con la scrittura, ma ho deciso di provarci lo stesso. Per di più, ho un’altra storia in corso di svolgimento e ho deciso di iniziare quest’altro progetto… non ho il minimo controllo della mia vita, cazzo.
Grazie per aver letto fino a qui, spero vi sia piaciuto. Lo faccio per voi ;3 Deb, hai saputo di questo prima di tutti, quindi sappi che ti amo tantissimo per il supporto che mi dai.

Baci a tutti, Sarah_lilith

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Capitolo 2
*** We're empty ***


Maybe we’re trying, trying too hard
Maybe we torn apart
Maybe the timing is beating our hearts
We’re empty


(We’re empty - The Click Five)

 

 

 

Wei Ying non era tipo da farsi scrupoli a dormire in classe, ma questa volta avrebbe potuto evitarlo. Il professor Lan, in fondo, aveva già tutti i motivi per odiarlo, meglio non aggiungerne altri.

Quella mattina era arrivato in ritardo alla lezione di storia. Si era poi visto assegnare una punizione pomeridiana più lunga del solito perché si era rifiutato di togliersi il sorriso dalla faccia anche quando veniva rimproverato. 

Se fa ridere, perché non dovrei farlo? Aveva risposto mentre si sorbiva la ramanzina del vecchio professore, che l’aveva guardato come offeso ed aveva ripreso a parlare con ancor più enfasi.

Giocando con le proprie ciocche disordinate, Wei WuXian aveva subito passivamente il discorso dell’uomo, attorcigliandosi i capelli scuri attorno alle dita. Non se li era pettinati, quella mattina.

Anche quello era un altro motivo di odio per lui. Nel suo istituto i maschi avevano si il permesso di portare i capelli lunghi, ma solo se li avessero tenuti legati e pettinati, come anche le femmine, del resto.

Ma l’ordine non era certo una delle prime qualità di Wei Ying, né una delle ultime. In effetti, non rientrava proprio nella lista.

Ho capito, la smetta di blaterare, ho mal di testa, si era lasciato sfuggire esasperato ad un certo punto, venendo cacciato dalla classe un attimo dopo. Ridendo, aveva salutato con la mano Jiang Cheng, che intanto aveva preso a sbattere la testa sul banco, e se n’era andato saltellando.

Non si era scoraggiato per quella punizione, ma un pensiero fugace lo aveva avvertito che le conseguenze sarebbero state ben peggiori, visto che il professor Lan aveva deciso di telefonare a casa.

I tuoi tutori arriveranno tra poco, gli aveva assicurato con severità prima di chiudergli la porta in faccia.

Tutori. Nemmeno per lui erano i suoi genitori, non per davvero. Poteva capirlo molto bene, in effetti.

La Signora Yu non era stata transigente sulle sue bravate. In realtà non ci aveva mai nemmeno provato sul serio, a capire perché a lui piacesse scherzare.

Le buffonerie che si divertiva a compiere non erano colpa dell’infantilismo o del voler dar fastidio, ma nascevano semplicemente da una spensierata leggerezza che gli permetteva di camminare tre metri sopra i suoi brutti ricordi, sorvolandoli dall’alto senza nuotarci dentro rischiando di annegare.

Le battute più inopportune, le marachelle più esilaranti e perfino le risse in cui non era intenzionato a finire facevano parte della sua natura, ma erano proprio quello che la madre adottiva odiava di lui.

Se la immaginava già, seduta sulla poltrona dell’ufficio del preside, le gambe accavallate e le braccia incrociate sotto il seno, l’espressione di chi non ha mai perso una battaglia ed è pronto ad ingaggiarne un’altra. 

Come sempre, sei una vergogna per questa famiglia, avrebbe detto. 

Quella era la sua frase preferita dopo Se solo non fossi venuto a vivere qui, anche se questa amava lasciarla incompleta e a libera interpretazione di chi ascoltava, in modo da non essere rimproverabile di nulla se il marito tentava di intervenire.

Il ragazzo è indisciplinato, ripeteva almeno una volta al giorno la donna con tono disgustato, evitando perfino di guardarlo negli occhi per non lasciar trapelare direttamente il suo disprezzo.

É giovane, era la solita risposta dello Zio, che per qualche motivo lo difendeva sempre a spada tratta, nonostante questo creasse conflitto con la moglie.

Era Wei Ying, il problema della famiglia Jiang. 

Lo era sempre stato, fin da quando sua madre era morta insieme al marito in un incidente e aveva lasciato la responsabilità di crescere quel bimbo orfano a Fengmian. La stretta amicizia tra i due, in effetti, non era mai andata giù alla Signora Yu.

Wei WuXian si rendeva conto di non essere un individuo facile, ma la convinzione di essere lui la colpa dei costanti litigi dei suoi genitori adottivi lo rattristava molto, conscio che questo rendeva infelici anche i suoi fratelli.

Era sempre colpa sua.

Ripensandoci, si era trovato a prendere a pugni la parete ruvida del corridoio per calmare la propria frustrazione.

Al diavolo, pensava con le lacrime che gli pungevano al limitare degli occhi, pronte per fuoriuscire, al diavolo tutto.

Si era morso la lingua fino a sentire l’amaro sapore ferroso a cui ormai aveva fatto l’abitudine e aveva preso a camminare avanti e indietro per il corridoio, fremente. I piedi gli prudevano dalla voglia di prendere a calci qualcosa, ma avrebbe dovuto aspettare.

Non poteva di certo farsi beccare a danneggiare l’edificio scolastico un attimo dopo essere stato spedito in presidenza. Avrebbe giovato poco alla sua causa, ecco.

Erano passati lunghi minuti pieni di furia malcelata e frustrazione quando Wei WuXian aveva sentito chiamare il proprio nome dall’altra parte dell’atrio. Voltandosi, aveva visto Wen Rouhan che gli faceva cenno di raggiungerlo. Il famoso preside che aveva l’aria di chi è troppo giovane ed arrogante per il suo ruolo.

Dato che però gli stava venendo incontro con passo deciso seguito da Jiang Cheng e YanLi, confusi al suo pari, Wei Ying aveva assecondato la sua richiesta, accodandosi alla comitiva.

In silenzio, l’uomo li aveva accompagnati nel suo ufficio. 

Tutti sapevano che Wen Rouhan era il padre di Wen Chao, il peggior bullo della scuola che le passava tutte lisce solo perché era figlio del direttore scolastico.

Abbandonando per un’attimo la sua solita espressione da megalomane o, come la definiva sempre Jiang Cheng, da stronzo pieno di sè, si era seduto sulla sua poltrona e aveva intrecciato le dita sotto il mento. Li aveva osservati per un po’ in silenzio, piantandogli addosso le strane iridi rossicce.

Poi aveva parlato. Venendo qui, i vostri genitori hanno avuto un incidente, aveva detto atono.

E a Wei Ying era crollato il mondo addosso.

 

 

 

 

ANGOLINO D’AUTRICE
Quindi… come va la vita?
Che ve lo chiedo a fare, ho appena sganciato una bomba a mano in una scatola di coniglietti. Non finirà bene :)
Ma dato che è un’AU scolastica, tutto è lecito, giusto? Posso essere cattiva quanto voglio e voi non avete il diritto di far altro che piangere *ride malefica* ok scusate, mi spiace *porge dei fazzoletti*
Il prossimo capitolo sarà intenso e ci sarà violenza, quindi attenti. Io vi avevo avvertito ;3

Baci a tutti, Sarah_lilith

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Capitolo 3
*** Wherever you will go ***


Who will be there to take my place
When I'm gone you'll need love to light the shadows on your face
(…)
If I could turn back time, I'll go wherever you will go


(Wherever you will go - The Calling)

 

 

 

Passava le sue giornate chiuso in camera da ormai due settimane. 

Rannicchiato in posizione fetale sulle lenzuola che sapevano di lacrime, guardava il tempo scorrere dalla sua finestra come se il tramontare del sole non gli importasse più.

Passivo alla vita, ecco cos’era diventato.

Mangiava solo perché sua sorella lo costringeva, presentandosi ogni mattina davanti all’uscio della sua stanza con un vassoio di legno tra le mani delicate. Non se ne andava fino a che il fratello non aveva bevuto almeno tre sorsi di zuppa.

In quelle settimane -erano settimane, sì?- la ragazza l’aveva cucinato così tante volte che ormai doveva aver decimato le coltivazioni di loto, eppure non smetteva mai di prepararla.

A che serve distinguere i giorni se ognuno è uguale al precedente, pieno di sensi di colpa e incubi? 

Wei Ying non lo sapeva, e forse nemmeno gli interessava saperlo. 

Quando era successo l’incidente, il medico che li aveva accolti in ospedale si era rivolto a tutti e tre guardando YanLi, l’unica maggiorenne tra loro. 

I vostri genitori non ce l’hanno fatta, mi dispiace, gli aveva detto.

Poi aveva preso a spiegare quanto intensamente avevano tentato di salvarli, e come il coma farmacologico a cui era stata indotta la madre, che a differenza del marito era sopravvissuta allo schianto, era durato poco più di cinque minuti.

Si era spenta come una candela consumata.

Ma Wei Wuxian aveva smesso di ascoltare dopo la prima frase, troppo concentrato a non mettersi a gridare per dare retta al dottore.

Sono morti, sono morti, sono morti, si era ripetuto come una macabra cantilena, ciondolando con la testa avanti ed indietro, facendo scricchiolare la sedia di plastica della sala d’attesa.

Non ricordava neppure come e quando erano tornati a casa.

Rammentava però il pugno che lo aveva mandato lungo disteso sul corridoio della zona giorno, a metà tra la cucina e il salotto. Suo fratello aveva sempre picchiato forte come un bastardo.

Tu rovini tutto quello che tocchi, sei una disgrazia per il mondo da quando sei nato. Non potevi proprio startene buono per un intero giorno, vero? Dovevi per forza fare casino come al solito!?! gli aveva gridato contro Jiang Cheng, mentre la sorella gli tirava una manica per fermarlo. É colpa tua se noi siamo soli ora!

Poi era corso per le scale e aveva sbattuto la porta di camera sua con forza, forse per nascondere il rumore dei singhiozzi che gli raschiavano la gola.

Wei Ying non se l’era presa. In fondo, Jiang Cheng aveva ragione.

Ed era per quel motivo che il ragazzo non si era lamentato delle accuse, né aveva tentato di difendersi. Meritava quell’odio così come meritava di essere al posto della Signora Yu e del marito, su quella branda gelida all’obitorio.

E fu con quel pensiero in testa, con quella fantasia di morte e dolore, che cominciò la sua nuova abitudine: quella di ferirsi. Sul serio, questa volta. 

Niente pugni sui muro o rotolate sotto la pioggia battente, adesso aveva preso una strada più terapeutica, per espiare le sue colpe.

Si incideva la carne fino all’osso, quando le giornate lo assalivano con la loro malinconia. E succedeva sempre più spesso, doveva ammetterlo.

Per farlo usava un ago che aveva trovato in bagno, sotto alle spazzole e agli accessori per capelli.

La Signora Yu lo teneva lì per ogni evenienza. Metti caso che mi si scucia una manica mentre mi sto pettinando, aveva detto al marito quando lui aveva chiesto spiegazioni.

Nessuno aveva voluto fare ulteriori domande. Cose da donne, come tutto quello che riguardava lei e YanLi.

L’affilato spillone di metallo era spesso quanto uno spago e poco affilato, più utile come decoro che come ago vero e proprio. Ma a Wei Wuxian non serviva fosse efficace subito.

Quando gli incubi erano troppi e la testa gli sembrava scoppiare, il ragazzo si rigirava tra le mani l’oggetto, ammirandone la fattura per qualche minuto. Poi decideva cosa colpire, quel giorno.

Il pezzo di carne prescelto spesso si trovava sulle cosce, sugli avambracci o sullo stomaco. 

Erano punti facilmente raggiungibili e poco esposti agli occhi estranei, quindi perfetti per lo scopo. Anche se Wei Ying non ci aveva nemmeno pensato con gran serietà, in effetti, la prima volta.

Aveva semplicemente afferrato il pesante ago e ne aveva sfregato la punta sulla carne tenera attorno all’ombelico fino a sanguinare. Poi aveva continuato per svariati minuti, ignorando il dolore crescente che gli urlava di smetterla.

Aveva continuato fino a che la zona non aveva perso sensibilità. Dimenticandosi quanto facesse male, si era concentrato sul disegno sanguigno che gli inzuppava la cintura dei jeans. 

Colpa tua, colpa tua, solo colpa tua…

Era diventata una routine prima che se ne rendesse davvero conto.

Non lo faceva perché voleva uccidersi, ma questo a suo fratello non sarebbe mai importato e sua sorella non l’avrebbe mai capito. Nessuno lo avrebbe mai capito.

L’avrebbero accusato di essere pazzo, o magari di avere manie di autolesionismo, ma non era così. Wei WuXian ne era convinto: si trattava di una giusta punizione per ciò che aveva fatto.

Era un modo per espiare i propri peccati e guarire il dolore che aveva causato, perché la famiglia che lo aveva accolto era stata distrutta per colpa sua, come aveva detto Jiang Cheng.

Colpa tua, colpa tua, solo colpa tua… chiedi perdono per ciò che hai fatto, codardo!

Se avesse dovuto morire nell’intento, così sarebbe stato.

 

 

 

 

ANGOLINO D’AUTRICE
Ecco il penultimo capitolo. Mi sento un nodo in gola assurdo e mi stanno massacrando a DS, ma ce la posso fare… no, scherzo.
Tra la tristezza di questo aggiornamento, l’ansia della quarantena e quel maledettissimo videogame non so più come supererò la giornata, davvero. Vi ringrazio per aver letto fino a qui e per essere così pazienti, so di essere una ritardataria cronica sui capitoli.
Sorry, lov u -.-

Baci a tutti, Sarah_lilith

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Capitolo 4
*** The call ***


Pick a star on the dark horizon
and follow the light
You'll come back when it's over
No need to say goodbye


(The call - Regina Spektor)

 

 

Lan Zhan si era svegliato con una brutta sensazione alla bocca dello stomaco, quella mattina.

Ci aveva messo qualche secondo a capire. Poi un pensiero angosciante lo aveva strappato definitivamente dal dormiveglia.

Guardando il soffitto bianco di camera sua, si era infatti ricordato quale commissione si era offerto di fare quel giorno. La luce del sole non aveva ancora colpito le tende della sua stanza che il ragazzo si era già lavato e vestito, pronto per i suoi doveri.

Si era concesso una colazione abbondante, anche se il nodo che gli stringeva le interiora non gli permetteva un gran appetito. Il nervosismo non gli era familiare, ma il compito di quel giorno era una buona scusa per evitare di mangiare solo del riso bianco e il the amaro del fratello.

Non ho imparato a farlo come la mamma, ma è meglio di ieri, no? gli domandava ogni mattina, scostandosi i capelli ancora scompigliati dal sonno e la sciarpa bianca già al collo, pronto per uscire e raggiungere l’ufficio.

Lan Zhan si limitava sempre ad annuire, nascondendo le smorfie disgustate dietro la tazzina. Lo beveva nonostante facesse schifo perché sapeva l’impegno che il consanguineo ci metteva nel prepararlo, ma rare volte aveva assaggiato qualcosa di così orribile.

Quel giorno aveva salutato suo fratello con un cenno educato ed era uscito di casa con gli appunti da consegnare infilati nella candida borsa a tracolla scolastica che gli penzolava dalla spalla.

Non gli ci volle molto per arrivare a destinazione, ma trovare le giuste parole da rivolgere alla ragazza che gli aprì la porta fu motivo di imbarazzo per lui. Dopo qualche secondo di pesante silenzio, aveva optato per un saluto formale.

Prego, entra pure. Scusa se la casa è così in disordine… accomodati pure dove preferisci, lo aveva accolto la giovane con un sorriso stanco, i capelli scuri che le incorniciavano il viso pallido. Subito aveva preso a sistemare alcuni libri sparsi sulla cassettiera, riponendoli in uno scaffale appeso al muro del corridoio.

Non gli era parso che la casa fosse davvero poco pulita o disordinata, ma Lan Zhan aveva pensato si trattasse più di una frase di cortesia che altro.

Il ragazzo non aveva esitato, desideroso di concludere la faccenda il prima possibile, e le aveva spiegato brevemente quello che era venuto a consegnare. Lei aveva annuito e lo aveva condotto lungo la scalinata che portava alle camere, bussando piano alla prima di esse e rivolgendosi a qualcuno all’interno.

A-Xian, un tuo compagno ti ha portato gli appunti delle lezioni… esci a ringraziarlo? aveva mormorato con un sorriso forzato che doveva servire più come modulatore per la voce che come vera e propria dimostrazione di gioia.

É molto più facile, aveva letto Lan WangJi in un libro, esprimere il tono giusto con l’emozione corrispondente ad abbellirci la faccia.

Senza udire alcuna risposta, la giovane aveva corrugato le sopracciglia. Si era lasciata sfuggire un sospiro stanco, aprendo la porta e fermandosi sulla soglia prima di sbirciarci dentro, il piede a cavallo tra la stanza e il corridoio.

Poi aveva cominciato a gridare.

 

 

Lan Zhan si era svegliato con una brutta sensazione alla bocca dello stomaco, quella mattina, così come tutte le altre. L’alba non era più l’immagine pacifica che poteva ammirare appena sveglio, per lui.

Durante la notte si era chiesto se l’avrebbe mai dimenticato, quel ragazzo disteso sulle candide coperte del suo letto, la pelle chiara come il riflesso della luna sull’acqua e le mani sporche di sangue rosso.

Lan WangJi aveva sempre voluto fare il medico, questo lo aveva capito fin da bambino. Curare la gente ad ogni costo, sperando di poterla salvare e di poter superare i lutti dei pazienti, nel suo ingenuo cuore di ragazzo.

Non si era mai immaginato, però, che il primo cadavere che avrebbe dovuto vedere sarebbe appartenuto a qualcuno di così bravo a sorridere, anche da morto.

 

 

C’erano tre nuove tombe piene di fiori freschi, nel cimitero di Yunmeng.

Il figlio del custode, Wen Ning, vedeva ogni giorno una giovane donna inginocchiarsi davanti alle lapidi e sistemare i gigli bianchi che le decoravano, scostando i petali per poter leggere le incisioni sulla pietra liscia e fredda.

Le prime due preghiere che recitava la ragazza erano sempre indirizzate ai due sepolcri più vicini l’uno all’altro. Poi accarezzava con un sospiro triste la sommità della lapide più modesta e isolata, mormorando qualcosa che forse nemmeno il vento riusciva a capire.

Oltre alla donna, c’erano sempre un sacco di compagni di scuola e parenti che passavano di lì per porgere i loro omaggi ai defunti, inginocchiandosi quel che bastava e restando per pochi minuti. Giusto il tempo di un saluto.

Wen Ning osservava quella processione con un groppo in gola che non riusciva a deglutire. 

Per quanto ci fosse abituato, la tristezza sui volti della gente che visitava il cimitero che lui aveva il compito di pulire lo rendeva sempre angosciato. Provava un’enorme pena per tutti quelli che vedeva piangere e singhiozzare sulle tombe.

A volte, però, gli capitava ancora di stupirsi.

Era appena sorto il sole, quella mattina, quando aveva scorto un ragazzo mai visto chinato sulla lapide più piccola. La felpa viola scuro che indossava era insolita per un uomo, ma di gente strana ne passava di lì, e quello non era di certo così interessante.

Dato che era girato di schiena, Wen Ning non aveva potuto vedere altro che le sue spalle che sussultavano ritmicamente.

Meglio lasciarlo piangere in pace, aveva pensato, ingenuo.

Quando però era tornato indietro, pochi minuti dopo, il giovane era sparito e la lapide era stata rovinata. Il figlio del custode si maledisse per non aver guardato in faccia il vandalo ed era accorso a fare un resoconto del danno.

Il nome del defunto, Wei Ying, era stato parzialmente cancellato, grattato via con dei profondi solchi incisi nella pietra. Ora, al suo posto, si leggeva un altro nome.

Jiang Ying

 

 

 

 

ANGOLINO D’AUTRICE
…scusate :)
Non odiatemi, ma questo era il finale che avevo in mente dal primo momento che ho aperto la pagina bianca di Pages e ho iniziato a scrivere la storia. Nemmeno con le migliori suppliche avreste potuto farmi cambiare idea.
E poi lo sapete che amo i finali tristi e ad effetto.
In questo capitolo non ci sono "scene violente", per così dire… ho deciso di toglierle. Avevo scritto una brevissima parte dal punto di vista di Wei WuXian ma rileggendola ho rischiato di vomitare per la tensione e ho preferito ometterla per il vostro bene e per il mio.
Le frasi finali vi sono piaciute? Io le ho amate dal profondo del cuore. Oh, Jiang Cheng…
Ringrazio tutti quelli che hanno avuto pazienza e hanno letto nonostante i mesi che ho impiegato a finire questa breve storia. Siete un bellissimo pubblico e non vi merito, soprattutto per quanto sono stata stronza qui ;3
Ovviamente mando un abbraccio ad Athe e a Deb, le mie muse. Vi amo ragazze.
Stringo forte anche la mia beta, che questa storia se l’era risparmiata e ora se l’è dovuta leggere tutta d’un botto. Probabilmente mi vuole uccidere.

Un bacio a tutti, Sarah_lilith

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