Il nostro progetto

di ONLYKORINE
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quando sei sola e ti viene l'influenza ***
Capitolo 2: *** Il progetto migliore di sempre ***
Capitolo 3: *** Il nostro progetto ***



Capitolo 1
*** Quando sei sola e ti viene l'influenza ***


01. Quando sei sola

Quando sei sola e ti viene l’influenza

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Allison starnutì per l’ennesima volta e si soffiò il naso: influenza. Le era venuta l’influenza. A lei, che non si ammalava mai. Che l’ultima volta che era successo era probabilmente ancora un’adolescente in casa con i suoi.

Si guardò intorno nel minuscolo appartamento e poi riguardò il termometro: trentotto. Trentotto di febbre. Cosa si faceva con la febbre? Telefonò alla madre e questa, dalla città vicina, le disse di prendere un antipiretico, di chiamare il dottore il giorno dopo, di stare al caldo e di non andare al lavoro.

Il lavoro! Allison si colpì la fronte con la mano. Il giorno dopo doveva per forza andare al lavoro, non poteva non presentarsi, in quanto aveva preso l’impegno con la Sunfun e doveva portarlo a termine entro quel venerdì. Avrebbe telefonato allo studio e avrebbe gestito il tutto da casa. Ma lo avrebbe fatto il giorno dopo, in quel momento voleva solo mettersi a dormire. Si sentiva stanca e aveva un gran freddo.

***

Il giorno dopo aveva ancora la febbre e telefonò al medico.

Il dottore le consigliò di rimanere a casa, ma il suo capo le disse che doveva assolutamente finire il progetto per la Sunfun, in quanto ci sarebbe stato l’incontro con i dirigenti tre giorni dopo. Le ricordò anche che il nuovo assunto, Parker, doveva lavorare in coppia con lei.

Allison sbuffò al telefono ma senza farsi sentire. I suoi colleghi odiavano lavorare con lei e la sceglievano solo quando non volevano lavorare: lei faceva il lavoro per tutti ed erano a posto così. Erano tutti degli scansafatiche, soprattutto quelli giovani: ragazzini usciti da poco da sotto la gonna delle maestre che non sapevano come funzionasse veramente la vita. Alla fine lei ignorava loro e loro ignoravano lei.

Allison non era bella, né slanciata e non si vestiva come le centraliniste dell’azienda quindi, a quei ragazzotti, lei non interessava; erano impegnati ad appagare più gli occhi che il cervello. Ma d’altronde la cosa era reciproca e alla ragazza stava bene così. Probabilmente anche Parker era uno di loro. Un neolaureato che l’unica cosa che voleva fare era divertirsi.

“Allora va bene se facciamo così?” le chiese Bill Young, il capoufficio.

Come? Allison dovette tornare alla realtà, si era persa nei suoi pensieri.

“Come facciamo?” Cercò di salvarsi per non ammettere che non lo stava ascoltando.

“Do il tuo numero a Joe. Così vi mettete d’accordo su come fare il progetto” dichiarò frettolosamente l’uomo.

“A chi?”

“Joe. Joe Parker. Ne abbiamo appena parlato… Sicura di poterlo fare?”

Oh, sì. Parker. Si chiamava Joe? Allison fece finta di niente e rassicurò Bill sul fatto che avesse solo un po’ di febbre.

“Le altre volte che hai lavorato con qualcuno, come avete fatto?”

“Ehm… Di solito lavoravamo in ufficio” rispose Allison, esitando. Di solito lei faceva il lavoro e aggiornava gli altri la mattina della presentazione.

“Stavolta dovete mettervi d’accordo e fare qualcosa. Non ho nessun altro libero per sostituirti. Farete del telelavoro o qualcosa del genere. L’importante è che non mi fate fare figure di merda con il cliente.”

“Ok. Ti prometto che non faremo brutte figure. E dai il mio numero al novellino. Non c’è problema” acconsentì alla fine la ragazza.

Allison aveva ventisei anni, ma lavorava in quell’agenzia da quattro anni. Era ormai considerata una veterana dagli stagisti e dai nuovi arrivati, che non la contraddicevano mai e non lo avrebbe fatto neanche il novellino.

La testa le faceva male, avrebbe chiuso gli occhi solo qualche minuto prima di accendere il pc, poi avrebbe iniziato a lavorare. Quando dopo venti minuti le arrivò un messaggio da un numero sconosciuto, si rese conto di essersi addormentata, perché si svegliò di soprassalto.

Guardò il display e sbloccò lo schermo. Parker, il novellino, le scriveva chiedendo come stesse. Ma davvero? Come se gli interessasse. Gli rispose velocemente, dicendo che aveva l’influenza.

Il messaggio successivo la fece sorridere di un ghigno strano e socchiudere gli occhi. Lui le chiedeva se avesse bisogno di qualcosa. Oh, faceva il finto carino. Fantastico. Gli scrisse che voleva solo dormire e pensò che sarebbe finita, ma ricevette un altro messaggio.

Lui si rendeva disponibile a portarle a casa tutti gli appunti sulla Sunfun e a buttare giù una bozza della presentazione. Allison si toccò la fronte. Quando avrebbe iniziato a fare effetto l’antipiretico? Scrisse un messaggio frettoloso in cui spiegava che non c’era bisogno e lei aveva tutto sotto controllo, ma poco dopo il telefono suonò per una chiamata.

“Sì?” rispose la ragazza, non riconoscendo il numero.

“Stai bene?” Riconobbe la voce di Parker e sbuffò. Ma cosa aveva quel ragazzo? Gli rispose un po’ in malo modo e lui si scusò, dicendo di aver ricevuto un messaggio incomprensibile e quindi voleva solo assicurarsi che fosse tutto a posto.

Allison sospirò e gli disse soltanto di aver bisogno di riposare. Gli spiegò che avrebbe fatto il lavoro lei e che aveva tutto il materiale sulla Sunfun nel pc di casa visto che lavorava spesso dalla sua abitazione. Lui rimase zitto e poi balbettò qualcosa su un incontro avvenuto quella mattina. Come, come?

“Cos’è successo stamattina?”

“Quelli della Sunfun sono venuti stamattina e hanno dato altre disposizioni. Io… ho preso appunti…”

La testa le stava scoppiando. Voleva dormire e non dover parlare al telefono con quel ragazzino. “Ascolta, dammi due ore. Appena le medicine faranno effetto, ti chiamo e mi detti tutto. Poi preparerò qualcosa e…”

“Ti detto? E come facciamo per la presentazione?” La voce di Parker era stupita.

“Perché, la vuoi fare insieme?”

“No? Ci hanno detto…”

“Senti, Parker, so cosa ci hanno detto. Ma di solito, chi sceglie di lavorare con me, non vuole lavorare e fa fare a me il lavoro, quindi…”

Ma il ragazzo la interruppe. “Io non voglio che lo faccia tu!”

Allison spalancò la bocca. “Davvero?”

“Pensavo lo facessimo insieme... Anzi, ho già buttato giù una scaletta… Cioè, io so che non è il massimo, è da perfezionare... Ma pensavo…”

“Ok, ok. Parker, fermati. Va bene. Sicuramente in questo stato un po’ di aiuto non mi guasta. Possiamo collegarci e lavorare in smart, o qualcos’altro, ma non adesso. Dammi due ore. Fra due ore ascolterò tutto quello che avrai da dirmi, ok? Ma adesso ho ancora la febbre e sono stanca.”

Allison sentiva gli occhi chiudersi e l’ultima cosa di cui avesse voglia in quel momento era discutere con qualcuno di qualunque cosa.

“Perfetto. Due ore e sono lì. Riposati.”

Quando si rese conto che aveva riagganciato, Allison rimase con la bocca aperta. ‘Sono lì’, dove? Che intendeva? Lo schermo del telefono tornò sulla chat dei messaggi e notò che effettivamente il suo ultimo messaggio era proprio incomprensibile. Parker aveva ragione. Sorrise, prima che gli occhi le si chiudessero da soli.

***

Il suono del campanello la svegliò di soprassalto. Allison si guardò intorno come se dovesse capire dove si trovasse e si tirò su dal letto. Il campanello suonò ancora. Strinse gli occhi e si alzò per andare ad aprire e, quando arrivò alla porta, guardò dallo spioncino: un ragazzo aspettava impaziente sullo zerbino e non stava fermo.

“Chi è?” chiese, prima di aprire; lui era girato e non riusciva a capire chi potesse essere.

“Sono Joe. Cioè… Sono Parker, sì… Joe Parker, dello studio…” Il ragazzo balbettò e Allison quasi rise a sentire la sua incertezza. Aprì la porta.

“Scusa il ritardo…” iniziò, ma si interruppe quando lei chiese nello stesso momento: “Che ci fai qui?”

La ragazza si sentì sotto esame quando lui non disse niente e la osservò; si era alzata dal letto ed era andata ad aprire senza neanche guardarsi allo specchio. Sentì le guance arrossarsi e loro rimasero lì a guardarsi in imbarazzo, senza dire niente.

Quando la sua vicina aprì la porta per uscire dall’abitazione, Allison si riscosse e si spostò per farlo passare. Notò con piacere che Parker si pulì le scarpe prima di entrare e disse: “Permesso”, prima di mettere piede in casa.

“Che ci fai qui?” richiese lei, mentre lo guardava appoggiare tutte le cose che aveva in mano sul tavolino che c’era nel soggiorno. Ma quanta roba aveva portato?

 “Hai mangiato?” le chiese invece lui, ignorando la sua domanda. “Ti ho portato del brodo di carne. Mia madre dice che è miracoloso…”

“Mangiato? Tua madre? Scusa mi sa che non…” disse Allison osservando tutto quello che lui stava tirando fuori dalle borse: contenitori di cibo, vasetti e materiale di cartoleria. Tanto materiale di cartoleria: cartoncini, pennarelli, post-it, evidenziatori, graffette, blocchetti e matite e penne in grande quantità.

“Sì, hai ragione, ho fatto tardi perché in studio mi hanno obbligato… Ehi… Ma ti ho svegliato? Hai dormito fino a ora?”

“Perché? Che ore sono?” chiese Allison guardando l’orologio appeso alla parete. Mentre realizzava che fossero già le due di pomeriggio, sentì il suo stomaco brontolare e si sentì di nuovo le guance rosse. Aveva dormito tutta la mattina? Non le era mai successo.

Parker, le spiegò che in ufficio lo avevano subissato di richieste e non era riuscito a passare da lei a metà mattina. Poi, quando era uscito, era passato da casa a prendere il brodo e un vasetto di miele, che le fece vedere, dicendole che quando lui aveva l’influenza era così che la curava.

La ragazza scosse le spalle. “Io uso le medicine”. Il ragazzo si mise le mani in tasca e rimase zitto, imbarazzato e senza saper cosa fare. Si sentì una vera maleducata.

“Ok. Va bene, scusami” disse, passandosi le mani fra i capelli. “Dammi dieci minuti. Mi… sistemo…” Allargò le braccia per indicarsi e continuò. “E iniziamo. Intanto… Grazie”. Sperò che bastasse e, velocemente, sparì in bagno.

Si guardò allo specchio mentre si lavava e si chiese ancora perché lui fosse lì. Non era mai successo. Nessuno dei suoi colleghi era mai stato così gentile. Cavolo, forse neanche nessuno dei suoi amici aveva mai osato portarle del brodo, consapevole che glielo avrebbe tirato dietro. Sorrise. Però era una cosa carina.

Quando uscì dal bagno, con una tuta pulita, sentì il profumo del brodo arrivarle alle narici e spalancò gli occhi quando vide che lui le stava scaldando il pranzo.

“Ma cosa…” iniziò, ma il ragazzo la interruppe e le disse che non avrebbero iniziato a lavorare prima che lei avesse mangiato, così ubbidì. Era strano: lui era gentile davvero. Mangiò con gusto, offrendone anche a lui, mentre lo ascoltava raccontare della sua famiglia: era cresciuto in una famiglia molto unita e con due sorelle più grandi di lui. Allison si scoprì curiosa: per la sua ragazza sarebbe stata una croce o una benedizione?

Finirono di mangiare e poi si misero al lavoro.

Parker non era male, dovette ammettere. Aveva una buona capacità di ascolto ed era bravo in quello che faceva. Aveva preso veramente appunti sulla Sunfun! E quella volta, la società di creme solari più importante della contea aveva veramente dato disposizioni particolari. Volevano delle cose impossibili secondo lei. Una pubblicità nuova. Per ogni mezzo disponibile: radio, televisione, internet e anche la possibilità di pannelli pubblicitari lungo la statale. Sarebbe stato impossibile. Impossibile riuscire a presentare tutto in tre giorni.

Per buona parte del pomeriggio trafficarono con foglietti e scarabocchi a matita, mentre uno dei cartelloni si riempiva di appunti e foglietti, scritte a pennarello e piccole figure stilizzate.

“Non ci riesco. Merda!” gridò Joe dopo sei ore di lavoro. Allison alzò lo sguardo dal cartoncino che stava imbrattando e gli andò vicino. Si erano appoggiati al tavolino basso del salotto. Nel suo bilocale non c’era molto spazio e il tavolo della cucina era troppo piccolo per la loro ingombrante creatività.

“Cosa non riesci a fare?” gli chiese quando gli fu alle spalle.

Lui sobbalzò, come se fosse sorpreso di trovarla lì. “Oh…” divenne rosso e si imbarazzò. Aveva imparato che era abbastanza timido e non si lasciava andare dicendo parolacce. “Scusa… Io…” Allison scosse le spalle e indicò il pc. “Quando sposto quest’immagine me la allinea qui da solo…” spiegò il ragazzo.

Lei si chinò su di lui, schiacciò un bottone e poi disse: “Prova ora”. Quando Parker ci riuscì, esultò con un pugno in aria e le diede una pacca sulla spalla.

“Grande!” Allison sorrise del suo gesto. Ci voleva poco a farlo contento.

Si allontanò e guardò l’orologio: doveva prendere l’antipiretico. Ormai doveva essere finito l’effetto dell’ultima pastiglia e sentiva la febbre salire. Quando lui la vide prendere le medicine si rese conto di quanto fosse tardi e si scusò.

“Salvo tutto e vado a casa, non avevo visto che fosse così tardi…” disse, salvando il file sulla chiavetta usb e iniziando a raccogliere le cose. Ehi!

“Cosa stai facendo?”

“Ehm… Finisco la presentazione a casa?” chiese, dubbioso.

“No, no. Il progetto non andrà via da qui.”

“Come?” domandò ancora lui, sempre più confuso. Allison gli spiegò che non gli avrebbe lasciato portar via il suo progetto. “Dovrò lavorarci, altrimenti non riusciremo a presentarlo, dopodomani” spiegò lui, corrugando la fronte.

“Vuoi lavorarci tu?”

“Tu hai l’influenza, non sei in…”

“Se vuoi dire che non sono in grado di farlo bene, ti tiro un pugno!” esplose lei. Parker scoppiò a ridere.

“Non mi sarei mai azzardato a dire una cosa del genere!” Rise ancora. “Intendevo che hai gli occhi lucidi per la febbre, non mi sembra il caso che tu ci lavori ancora su: dovresti riposarti”.

“Mi riposerò quando sarò morta. Non sto così male!”

“Lo dicevano, che eri una stacanovista!” esclamò il ragazzo, divertito. Allison sentì le guance andare a fuoco e si innervosì. Sicuramente dicevano di peggio. Iniziò a innervosirsi.

“Oh, lo so cosa dicono di me!”

“Cosa?” chiese lui, calmissimo.

“Che sono una stronza ed è impossibile lavorare con me. Io, carino, sono una stacanovista perché nessuno lì dentro sa fare il suo lavoro e devo costantemente parare il culo a tutti! Lo so che scelgono di lavorare con me così loro non devono fare niente!”

Parker si alzò dalla sedia e si strinse nelle spalle. “Non so quello che fanno gli altri. Ma io sono contento di essere stato assegnato a te. Sei molto in gamba e hai delle belle idee. Sai sempre come presentare al meglio le cose perché conosci i clienti e ci parli personalmente, trovo che sia istruttivo. Mi piace ascoltarti quando ragioni per farti venire un’idea. Ho imparato più da te questo pomeriggio che in tutto il tempo passato in studio!”

Oh. Allison sentì ancora il calore sulle guance, ma questa volta non era più arrabbiata. Davvero? Lui pensava che lei fosse brava? Sorrise senza rendersene conto.

“Ok. Ti lascerò lavorare al progetto. Ma qui.”

“Qui?”

“Qui. Finiamo tutto. Insieme. E venerdì lo presentiamo insieme. Anzi, potrai presentarlo tu, se lavorerai bene.”

“Davvero? Posso?” Gli occhi del ragazzo si erano spalancati. Cavolo. Neanche gli avesse detto che avrebbe passato la notte con una showgirl. Poi si pentì di averlo pensato. Annuì, togliendo lo sguardo.

“Guarda che ti faccio lavorare, però! E non sarò né gentile né accondiscendente. Dovrai sudartelo!” Lui rise. Dannazione! Non avrebbe dovuto almeno aver un po’ più paura di lei?

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Capitolo 2
*** Il progetto migliore di sempre ***


Il progetto migliore di sempre

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“Ho fame” disse il ragazzo dopo quella che a tutti e due era sembrata un’eternità. Non avevano ancora finito.

“Hai ragione. Anch’io ho fame.”

Allison sbadigliò e prese il cellulare. “Ordiniamo una pizza?” Quando lui annuì inviò la chiamata e poco dopo gli richiese: “Peperoni, Joe?” Lui annuì ancora, guardando lo schermo del computer e girandosi poi di scatto di verso di lei.

“Che c’è? Se non ti piacciono i peperoni, puoi dire di no” disse, alzando le spalle.

“No, è che… Mi hai chiamato… Niente, lascia stare…” Allison finì la chiamata e tornò a sedersi sul tappeto, vicino a lui. Ormai si erano accampati, lui aveva le maniche della camicia tirate su e si era tolto le scarpe da un bel po’.

“Non è male, sai? È bello questo gioco di colori che hai fatto qui…” disse, indicando lo schermo.

“Hai detto di non usare il fucsia…” Joe alzò le spalle. Allison annuì.

Si toccò la fronte e capì che la febbre stava salendo di nuovo. “Sì, a loro non piace… Speriamo che venga il vecchio, venerdì. Il figlio dell’amministratore è uno schifoso, mi guarda sempre il culo…”

Joe le lanciò un’occhiata di sottecchi e disse: “È perché ha buon gusto”, e tornò a guardare lo schermo.

“Non ho la forza di ribattere a un commento sessista, Parker, mi sta salendo la febbre” brontolò, sedendosi sul divano un po’ pesantemente e sentì da sola di avere un po’ trascinato le parole.

“Perché non dormi un po’? Ti sveglio quando arriva la pizza. Comunque era un complimento…” Si girò verso di lei, ma ad Allison si erano chiusi gli occhi e non riuscì a rispondere.

***

La pizza giaceva fredda ormai da un po’ e due tazze di caffè erano posate sul tavolino, appoggiate sopra a foglietti e al cartone della pizzeria, lasciando cerchi olimpici qua e là.

“No, no. Spostalo di più. Oppure… Aspetta, mettilo in un’altra slide.”

“Non saranno troppe?”

“No, vanno bene. Sostituisci quell’immagine con quella della bambina con il cane. No, l’altra.”

“L’altra c’è già tre slide più indietro, non possiamo metterla doppia.”

“Sicuro? Non mi sembra che… Oh, hai ragione…” Allison sbatté gli occhi quando si accorse che faceva fatica a mettere a fuoco. Anche Joe aveva il viso stanco. Buttò un’occhiata all’orologio.

“Dovremmo fare una pausa…”

“Se apro la finestra posso fumare?” le chiese il ragazzo. Allison sorrise: le era piaciuto che lui le avesse chiesto il permesso. Annuì e lui si alzò, prese la sua giacca dalla sedia vicino al tavolo dove si era seduto a mangiare quasi un giorno prima e prese le sigarette, dirigendosi verso la finestra del salottino. Tirò fuori il cellulare e iniziò a smanettare sul display. La ragazza distolse lo sguardo e guardò il proprio cellulare: niente. Nessuno le aveva mandato niente. Solo sua madre, all’ora di cena, le aveva chiesto come stava e lei le aveva risposto. Niente notifiche dai social, non notifiche importanti, comunque. Vabbé.

Alzò le spalle, si sedette al pc e Joe la sgridò: “Avevamo detto di fare una pausa”.

La ragazza alzò le spalle. “Mi sto addormentando nonostante il caffè… Pensavo di cercare un po’ di musica. Così… Da svegliarmi…” Era brutto dire che si era sentita sola, quando lui si era messo a messaggiare con… Con chi si stava scrivendo? La sua ragazza?

Joe si avvicinò a lei dopo aver spento la sigaretta e le consigliò qualche brano da cercare. Allison si meravigliò: aveva buon gusto. Quando partì, nel random di una playlist, una canzone un po’ vecchia ma che le piaceva particolarmente, alzò il volume e si tirò su dalla sedia dicendo: “Questa la ballavo al college!”

Joe rise e disse che la conosceva anche lui e ballò con lei sul tappeto del salotto. Cantarono quasi a squarciagola, finché non sentirono delle voci sotto il pavimento e dei rumori inconfondibili: il vicino stava picchiando la scopa contro il soffitto e stava gridando loro che era notte e voleva dormire.

Joe e Allison scoppiarono a ridere e lui si avvicinò al pc per abbassare il volume della canzone. Lei lo raggiunse e, ancora ridacchiando, gli chiese quanti anni avesse: ventiquattro. Oh, solo due meno di lei. Pensava fosse più giovane, così lo squadrò, per capire se le stesse mentendo.

Cavolo, non lo aveva mai guardato bene, ma quel ragazzo era veramente carino! I suoi occhi, che ora stavano controllando lo schermo del pc per riprendere il lavoro, erano stanchi, ma di un colore chiaro bellissimo, fra il grigio e l’azzurro, e con la camicia celeste risaltavano in modo fantastico. Abbassò gli occhi quando lui volse lo sguardo verso di lei e continuò a osservarlo: la camicia era stropicciata e aperta sotto il collo, con le maniche tirate su, non era per niente elegante come in ufficio, ma Allison sentì un brivido mentre correva con lo sguardo lungo il collo, le spalle e le braccia. Si morse l’interno della guancia mentre si immaginava di toccare con la punta delle dite ciò che stava vedendo, sentendo il calore sotto la pelle come se lo stesse facendo davvero.

Quando lui disse qualcosa, si sentì beccata sul fatto e tornò a guardarlo in viso: altro errore! Lei non riusciva a togliere lo sguardo dalla sua bocca, mentre lui si passava la mano sulla guancia e sul mento. Aveva un lieve accenno di barba, come era? Era ruvida? O le avrebbe solleticato la pelle se ci avesse posato sopra le labbra?

 “Come? Cosa hai detto?” chiese, ma senza convinzione, mentre continuava a salire con lo sguardo lungo la linea del viso, oltre  le guance e fermandosi sui corti capelli castani. Beh, non erano proprio cortissimi. Ed erano anche spettinati: dei ciuffi gli cadevano qua e là, senza un ordine preciso e lei dovette frenare il desiderio di allungare le mani per sistemarglieli. E non solo.

“Scusa, ora lo metto via.”

Come? Allison tornò con i piedi per terra prima di allungare le mani verso la testa del ragazzo. “Cosa metti via?”

“Il cellulare. So che odi la gente che lavora con il cellulare sotto il naso… Volevo solo tranquillizzare mia madre e…” Il ragazzo stava ancora messaggiando

Oh. Cavolo. Quindi si stava scrivendo con sua madre?  Beh, non era così terribile, allora. Non dopo quello che aveva pensato. “Non odio la gente… E scusami tu. Certo che puoi scrivere a tua madre. Non mi sognerei mai di…” Venne interrotta dalla vibrazione del cellulare del ragazzo per una chiamata in arrivo. ‘Elaine’ diceva il display. Tolse lo sguardo dal telefono, in imbarazzo e quando lui disse che doveva rispondere, lei si avviò verso il bagno. L’ultima cosa che voleva fare era ascoltare la conversazione e il suo appartamento non era molto grande. Di sicuro non era sua madre che gli stava telefonando a quell’ora. E poi le avrebbe fatto bene sciacquarsi il viso con l’acqua. Acqua fredda. Molta acqua fredda.

Quando uscì dal bagno lui era girato verso la finestra e non la vide arrivare.

“Smettila, Linnie. Non è divertente…” Sentì che parlava al telefono con la tale Elaine, che però aveva chiamato con un nomignolo affettuoso. Storse il naso. Non le piacevano i nomignoli. Non i nomignoli degli altri, comunque. E poi, cosa non era divertente? Stare lì con lei? “No. No. Ti ho detto che…” Il ragazzo si interruppe e sbuffò rumorosamente, girandosi appena. Allison lo vide chiaramente alzare gli occhi al soffitto. “Non è come pensi, stiamo lavorando davvero!”. Quando la mano di Joe passò fra i suoi capelli, Allison capì che era imbarazzato. Probabilmente fare tardi a casa sua lo aveva messo nei guai con la sua... ragazza? Sì, ancora più probabile.

Quando terminò la chiamata, si girò verso di lei. “È il caso che tu vada” gli disse. Lo sguardo del ragazzo si rabbuiò quando capì che lei aveva sentito parte della conversazione.

“Mi spiace. Hai sentito? Io non…” si interruppe e si passò di nuovo la mano fra i capelli. Allison alzò le spalle.

“Spiace a me. Avrei dovuto lasciarti andare prima…”

“Come?” Lo sguardo di Joe era strano e poi annuì, come se da solo fosse arrivato a chissà quale conclusione. “Ah. Pensavi che… Non hai sentito… Ok…”

Cosa stava blaterando? Comunque erano stanchi tutti e due ed era molto tardi. Ormai sragionava anche lei. “Io non origlio. Ma non voglio che litighi con la tua ragazza. La Sunfun non se lo merita. Posso finire io o…”

“Non ho una ragazza. Era Elaine, mia sorella. Lei… Mi prende in giro… Ricordi quanto ho detto che ho due sorelle maggiori?” Joe si mise le mani in tasca, visibilmente imbarazzato. Allison capì velocemente: anche lei aveva una sorella più grande. Sorrise.

“Le tue sorelle ti prendono in giro?” Non riuscì a trattenere una risatina.

“Sono il più piccolo… Non finirà mai, mi sa…”

Allison rise forte. “Vero. Anche mia sorella mi prende in giro ancora adesso. Penso che se i tuoi fratelli maggiori non ti hanno mai preso in giro, non fanno parte veramente della tua famiglia” disse, ridacchiando. “Scusami… Sono stanca e dico cose senza senso…”

Ma anche Joe rise. “No, ho capito benissimo”. Si guardò intorno e si avvicinò alla giacca, posata ordinatamente tempo prima. “Torno domani mattina” disse, prima di chinarsi per prendere le scarpe.

“Mmm… Veramente è già domani mattina…” disse Allison, guardando l’orologio.

Joe sorrise e disse: “Torno fra sei ore. Così puoi dormire e io…”

“E tu?”

“Io ho bisogno di farmi una doccia e di cambiarmi” disse, con una smorfia, guardandosi la camicia appiccicata al torace. Allison annuì e distolse lo sguardo, prima di farsi venire altri pensieri peccaminosi, visto che non era per niente convinta che lui fosse così terribile da guardare.

“E magari dimostrerò a mia madre che sono ancora in vita…” La sua smorfia divertita fece sorridere la ragazza, che lo aiutò a prendere le sue cose.

“Abiti con i tuoi?”

“Sì. Con mia madre e una delle mie sorelle… Ma se il progetto che presenteremo venerdì andrà bene sarà assunto in modo permanente e potrò trasferirmi. Ho già visto un posto…” Joe si bloccò quando si rese conto di parlare troppo e ad Allison fece tanta tenerezza mista a tristezza.

“Ecco perché è così importante per te, questo progetto…” disse, sovrappensiero. Ecco perché aveva fatto tutte quelle cose, mica perché fosse interessato a lei… Allison si sentì un po’ stupida. C’erano stati momenti in cui le attenzioni che aveva avuto lui nei suoi confronti l’avevano sì messa in imbarazzo, ma erano state… Ecco, sì, piacevoli.

Invece lui voleva solo che andasse bene per poter andarsene di casa e poter vivere da solo. Vabbé…

Joe uscì dall’appartamento e Allison decise di farsi anche lei la doccia. Annusandosi sentiva l’odore di quella notte e non era niente di buono, probabilmente anche per tutte le medicine che stava prendendo per stare su, non l’aiutavano affatto in quel frangente.

Si fece la doccia e si mise a letto, ma puntò la sveglia mezz’ora prima dell’ora in cui Joe sarebbe arrivato: non voleva farsi trovare di nuovo mezza addormentata.

 

***

Il suono del campanello, questa volta, non la colse di sorpresa e Allison aprì la porta a un Joe sorridente, che teneva in mano un sacchetto di croissant e due caffè d’asporto.

Fecero colazione insieme, sempre davanti al pc, dove Joe ormai aveva preso possesso, e lavorarono di buona sorta tutta la mattina.

“Niente, 37.5” dichiarò Allison all’ultima prova della temperatura.

“Beh, proprio niente no…”

“Oh, voi uomini fate un melodramma appena si sfiora i 37. Io ieri ho lavorato con quasi 39 di febbre, ero uno straccio ambulante e non ho fatto una piega!” Joe alzò un sopracciglio ridendo e Allison gli tirò uno dei cuscini del divano. “Non ridere! Ho lavorato davvero!”

“Lo so, lo so, non ridevo per quello…”

“E per cosa ridevi?” chiese, stupita.

Joe si passò una mano fra i capelli, visibilmente in imbarazzo. “Ma niente…”Allison sbuffò e si alzò per riporre il termometro in cucina. “Comunque devi stare attenta, domani potrebbe tornarti la febbre…”

“Domani presentiamo il progetto alla Sunfun e io devo stare bene. Al massimo tornerò a casa subito dopo” disse ancora.

“Subito dopo aver passato la febbre a tutti?” chiese Joe, alzando, questa volta, tutte e due le sopracciglia.

“Spiritoso. Starò lontano da tutti. Ma voglio proprio vedere la loro reazione. Penso sia la campagna più bella che realizzeremo per loro.”

“Dici?” domandò il ragazzo entusiasta.

“Sì, dico dico” confermò lei, avvicinandosi a lui e accarezzandogli i capelli. Quando si accorse di quello che stava facendo, si bloccò e tolse subito la mano. “Dai, guardiamo le cornici, ormai dovremmo aver finito”.

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Capitolo 3
*** Il nostro progetto ***


Il nostro progetto

 

“No, no, Parker. Ho detto niente fucsia.”

Joe sbuffò. “Ogni tanto si può osare, sai? Non succede niente se Mr. Sunfun si ritrova un po’ di fucsia nella cornice dello slide, dai!”

“Osare?” Il tono di Allison era vagamente divertito.

“Sì, lasciarsi andare, non essere rigidi… Avere il coraggio di fare qualcosa di diverso… Essere audaci… Penso si chiami proprio ‘osare’, sai, Allison?” rispose lui, divertito, con in mano una sigaretta.

“Ti ho lasciato fumare vicino al mio pc, Parker, più audace di questo!”

Lui però alzò un sopracciglio. “Diciamo che sono stato più audace io a chiedertelo che te a permettermelo!” disse, divertito, mentre si avvicinava la sigaretta alle labbra.

Ma… come? Falsamente infastidita, Allison gli rubò la sigaretta dalle labbra e aspirò anche lei, guardandolo. “Sono capace anch’io di osare, sai?” gli chiese subito dopo. Lo sguardo che le posò addosso il ragazzo la rese vulnerabile.

“Scusa. Non avrei dovuto dirlo. Tolgo il fucsia…” disse.

“No. Lascialo. Il vecchio della Sunfun sopravviverà.”

“Così mi piaci!” esclamò il ragazzo, accarezzandole la guancia e tornando subito dopo a lavorare al pc. Allison allungò una mano a coprire la sua, ma quando lui si voltò si rese conto di non essere in grado di osare davvero.

“Tieni, è tua” disse solamente, restituendogli la sigaretta e facendo credere di averlo toccato per quello.

***

Due ore dopo, finita la presentazione e buttato giù tutti gli appunti per le varie pubblicità, il loro lavoro giunse al termine ed era quasi ora di cena.

“Bene, ci rimane del tempo per andare in ufficio a stampare e fare i fascicoli da distribuire” disse Joe, guardando l’orologio quando dichiararono che la presentazione fosse perfetta.

“Fascicoli?” chiese Allison.

“Sì, tu li fai sempre quando presenti il progetto. Pensavo…”

Allison lo interruppe. “Possiamo farli domani mattina. La presentazione è per le dieci, abbiamo tutto il tempo per sistemare il cartaceo”.

“Quindi abbiamo proprio finito. Io…” La voce di Joe sembrava quasi delusa. Ma per cosa?

Allison prese il telefono e disse: “Se ti piace il cinese, ti offro la cena io, stasera”.

“Oh! Allora dovrei andare a casa a cambiarmi per farti fare bella figura!” esclamò, divertito, improvvisamente di buon umore.

“Vai benissimo anche così” disse Allison componendo il numero del take away che chiamava di solito. Guardò di sottecchi il ragazzo, desiderando che non se ne andasse più. Indossava jeans e una maglietta a mezze maniche abbastanza sportiva, ma a lei sembrava più elegante di tutti i ragazzi che in ufficio giravano in giacca e cravatta. Si morse un labbro prima di ordinare ‘muscoli primavera’ al ristorante.

***

“Così… Sei stato un quaterback? Dai, non lo avrei mai detto!” Allison rise, prendendo con le bacchette un pezzo di pollo.

“Ah, ah. Spiritosa...” La voce di Joe non era abbastanza delusa, non quanto quella di Allison fosse derisoria.

“Sto scherzando!” esclamò ancora, ma ridacchiò di nuovo.

Mentre si litigavano pollo e involtini primavera, Allison e Joe si erano raccontati aneddoti scolastici e imprese sportive. Avevano scoperto di essere cresciuti a pochi quartieri di distanza e di aver anche qualche amico in comune.

Quando Allison riuscì a rubare l’ultimo pezzo di pollo, sorrise e glielo porse, dicendogli: “Ne vuoi un po’?”, facendolo sventolare sotto il suo naso. Joe si allungò sul tavolino del salotto, da dove non si erano mai alzati, e, in un sol boccone, glielo fregò, mangiandolo.

Allison rimase di stucco: non se lo aspettava! Spalancò la bocca e gli occhi e poi scoppiò a ridere.

“Mi sa che stai meglio…” disse Joe, dopo un po’, guardandola in un modo strano.

“Oh, sì, Parker, sto veramente meglio! La prossima volta che mi verrà l’influenza contatterò Young e la Sunfun e proporrò di fare una presentazione!”

Ancora ridacchiando, si alzò per buttare i cartoni nel cucinino e non sentì il ragazzo arrivarle alle spalle. “Non è andata male, vero?” le chiese, facendola sobbalzare.

“Oh, mamma mia! Volevi uccidermi?”

“Oh, beh, io…” Quando lui arrossì, Allison sorrise.

“Dai che stavo scherzando! Prendi un po’ tutto sul serio, eh? Sai, ogni tanto puoi osare anche tu!” disse ancora, divertita, scimmiottando le sue parole.

“Mi piace osare…” Il sussurro della sua voce si fece pericolosamente più vicino e Allison lo guardò avvicinarsi senza dire niente. Non voleva dire niente. Non voleva che ci ripensasse. Voleva che lui osasse. Voleva osare anche lei. Quando la sua mano si colmò del suo viso e la imprigionò con il suo corpo contro il lavello, non ebbe il coraggio di fare niente se non continuare a guardarlo dal basso con il cuore che batteva impazzito.

Ma cosa stava facendo? Era un suo collega! Allison non piaceva ai suoi colleghi! E a lei non piacevano loro! Beh, forse questo collega le piaceva. Forse lui non era come gli altri. Forse… Quando le labbra di Joe si posarono sulle sue i pensieri divennero cenere e si sparpagliarono da soli nel vento. Chiuse gli occhi mentre schiudeva la bocca e poi non dovette più pensare a niente, se non a quella pelle calda e a quel respiro affannato quando il suo.

Joe le passò le mani dietro la schiena e la staccò dal lavello, facendola girare nella piccola cucina. Allison rise di gusto quando la sollevò e la fece sedere sul tavolo, tornando a baciarla e stringendola a sé.

***

Allison aprì gli occhi e si girò nel letto. Quando realizzò che era disfatto anche dall’altro lato, si tirò a sedere di colpo. Nel momento in cui si accorse di essere nuda, si ricordò della sera precedente. Del progetto. Della Sunfun. Di Joe. Joe!

“Joe” lo chiamò, alzandosi dal letto, avvolgendosi il lenzuolo intorno al corpo. “Joe” disse ancora, uscendo dalla stanza. Quando entrò nel piccolo soggiorno, non notò nient’altro se non il suo portatile chiuso, sul tavolino. Si avvicinò velocemente al tavolino e tastò il computer, già sapendo quello che non avrebbe trovato: la chiavetta usb con la presentazione del progetto.

“Merda!” esclamò. L’aveva fregata! Il novellino aveva fatto tutto il carino e il servizievole e poi voleva soltanto rubarle il progetto. Lanciò uno sguardo all’orologio: dieci minuti e sarebbe iniziata la presentazione. “Merda, merda!” gridò ancora.

Corse di nuovo in camera e si allungò per raggiungere il telefono sul comodino: c’erano un sacco di notifiche, ma quando sbloccò lo schermo la scritta rossa ‘Low battery’ lampeggiò più volte e il cellulare si spense. “Merda!” Non sarebbe riuscita a chiamare Bill Young per dirgli che stava arrivando.

Si lavò velocemente e infilò un vestito e le calze. Quando uscì di casa, mise la trousse del trucco in borsetta, pensando di truccarsi in macchina. Scese in strada e cercò un taxi, ma sembrava che non ce ne fosse neanche uno disponibile.

Dopo aver imprecato due volte, riuscì a vederne uno in fondo alla strada e corse per prenderlo. Riuscì a non travolgere la coppia che stava uscendo dall’abitacolo e si sistemò velocemente sul sedile posteriore. Diede all’autista l’indirizzo dello studio e tirò fuori dalla borsetta la trousse.

“È pericoloso truccarsi in macchina” disse il tassista, guardandola dallo specchietto retrovisore, ma Allison non si girò neanche.

“Lo so, lo so, ma è un’emergenza. Lei guardi la strada e non inchiodi all’improvviso, io resto girata così ci sono meno probabilità” spiegò lei, come un generale in guerra. Che poi, era proprio una guerra: la guerra che le aveva scatenato il novellino.

Che sciocca era stata a fidarsi di lui! Oh, c’era da dire che lui era stato veramente bravo: il brodo, il ‘ti lascio dormire’, le sue labbra, la sua lingua… Cavolo, la sua lingua! Si scoprì arrossita nello specchietto e si scusò dicendosi che era per la rabbia di essersi fatta fregare.

Sotto l’edificio dove lavorava, Allison scese di corsa dal taxi e si infilò fra le porte vetrate. Guardò di nuovo l’orologio mentre aspettava l’ascensore e tamburellò nervosamente con la scarpa sul pavimento: era tardissimo!

Al ventiduesimo piano, appena le porte si aprirono, si fiondò verso il corridoio dell’agenzia e passò davanti alla receptionist, alzando il cartellino, senza neanche fermarsi. Camminò velocemente verso la sala riunioni, ma quando ci arrivò davanti, la porta si aprì e lei si scontrò con Bill Young che stava uscendo.

“Allison! Allora stai bene! Eravamo preoccupati. Parker ha insistito per aspettarti, ma dopo mezz’ora abbiamo dovuto per forza iniziare. Pensavo ti fosse tornata la febbre e che non saresti venuta!” La voce di Young le riempì le orecchie, il cervello e i pensieri. Si ritrovò a stringere mani e a sorridere rassicurando tutti sul fatto che stesse bene.

Quando i delegati della Sunfun e Young uscirono dalla sala riunioni, Allison entrò e vide subito Joe che la guardava con le braccia incrociate sul petto.

“Spero che tu non l’abbia fatto apposta…” iniziò lui.

“Pensavo che fossi scappato via…” disse lei insieme a Joe.

Si interruppero tutti e due e scoppiarono a ridere mentre si guardavano con occhi spalancati.

“Scusami, pensavo che volessi prenderti gioco di me” sussurrò il ragazzo.

“Io pensavo che volessi prenderti il merito per il progetto!” Si fece più vicino a lui e gli posò una mano sul braccio.

“Ti ho chiamato tantissime volte. Ti ho mandato una marea di messaggi!” esclamò Joe, un po’ ferito. Allison tirò fuori dalla borsetta il telefono e glielo mostrò.

“Si è scaricato. È spento” spiegò, avvicinandosi a una presa di corrente e infilando il cavo nell’incastro. Lo schermo si illuminò e lei continuò a parlare. “Adesso vediamo i tuoi messaggi…”

Joe si avvicinò con tre passi e quasi gridò: “No, non adesso!”

Come? La ragazza corrugò la fronte mentre pigiava il tasto per accendere il telefono, continuando a guardarlo. “Perché no?” Joe si infilò le mani nelle tasche dei jeans e guardò per terra: era imbarazzato.

Quando il cellulare si accese, notò le diciotto chiamate e le venti notifiche dei messaggi. Alzando un sopracciglio, gli lanciò un’occhiata divertita, aprì la chat del ragazzo e iniziò a scorrere tutti i commenti. Negli ultimi lui chiedeva se andasse tutto bene e diceva che era preoccupato, sempre più in agitazione, mentre scorrendo in su, verso i primi che aveva mandato, presentavano meno punti esclamativi e più calma. Fino al primo che lui aveva mandato: risultava di quella mattina, forse subito dopo che era uscito di casa.

Allison lo lesse con un sorriso sulle labbra e poi alzò lo sguardo su di lui. “Non volevo che tu lo leggessi con me vicino…” si scusò lui, ma a lei non importò e scosse la testa per rassicurarlo.

“Anch’io sono stata benissimo con te, ieri sera” sussurrò, avvicinandosi. Lui spalancò gli occhi e sorrise, come se non se lo fosse aspettato, così lei continuò: “E non vedo l’ora di rifarlo!”

Quando lui coprì la distanza che li separava con due lunghi passi, lei si buttò fra le sue braccia senza preoccuparsi del fatto che la sala riunioni avesse i vetri a vista, che chiunque dei presenti potesse vederli, e lo baciò.

“Sembra che il progetto sia piaciuto, alla fine, eh?” gli disse, quasi imbarazzata, ma solo perché molto emozionata di stare fra le sue braccia.

“Il nostro progetto, dici? Oh, sì! È piaciuto tantissimo”. Lui sorrise, senza staccare gli occhi da lei.

Il loro progetto? Sembrava qualcosa di molto di più di una presentazione per la Sunfun. E chissà, forse lo era davvero.

 

FINE

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***Eccoci alla fine!!! Una os un po' grassa 😅 ma spero vi sia piaciuta comunque. Se vi va, lasciatemi un parere. Grazie a tutti per aver letto.

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