Era una placida notte di fine
autunno, una di quelle serate
dove i primi freddi dell’inverno mordevano la pelle e
scuotevano pigramente le
barbe. Nori, appollaiato sul tetto di una casa, inspirò
pesantemente l’aria
fredda e gradevole, emettendo un sospiro compiaciuto. Gli piaceva
l’inverno,
aveva sempre trovato molto gratificante fermarsi davanti il calore di
un camino
con una buona bevanda calda in mano, riscaldandosi e cullandosi nel
piacere.
Peccato che non avesse un camino, e le uniche volte che riusciva
davvero a
scaldarsi era quando entrava nelle varie locande disseminate per
Belegost. Ma
nonostante ciò, il nano color zenzero continuava ad amare la
stagione fredda,
soprattutto perché con tutti gli strati di vestiti che la
gente era costretta a
indossare rubare era relativamente facile.
Lentamente si alzò in
piedi, guardandosi intorno. Si trovava
su uno dei tantissimi tetti delle case di Belegost, un agglomerato di
edifici
costruiti sia nella pietra che con la pietra, che si ammassavano
l’uno
sull’altro creando spazi strettissimi in cui entrare o facili
passaggi sui
tetti da praticare. Nori doveva ammetterlo, quella colonia era il
paradiso di
ogni malvivente con tutti quei vicoli, quei passaggi senza uscita,
nascondigli
dove sfuggire dalle guardie. Era davvero il posto ideale dove vivere e
dove
praticare il loro discutibile mestiere che, per quanto fosse
disprezzato,
riempiva generosamente le tasche del nano senza troppo sforzo.
Da dove si trovava ora, non sembrava
esserci guardie di
pattuglia per le strade, o almeno troppo vicine. Con un balzo,
atterrò su un
altro tetto e iniziò a muoversi furtivamente, cercando di
non fare alcun
rumore. L’ultima cosa che voleva era allarmare qualche
inquilino e attirare
l’attenzione delle guardie. Perché se Belegost era
ormai avvezza alla
criminalità, soprattutto quella notturna, anche i cittadini
lo erano ed erano
più che preparati a rispondere ad essa. Nori ancora
ricordava i lividi che
aveva ricevuto quando, atterrando su un tetto, era scivolato ed era
caduto
vicino un gruppo di nani, che riconoscendolo subito come un ladro
avevano
cercato di linciarlo e farlo arrestare. Fortunatamente, il nano color
zenzero
era piuttosto veloce e agile, e riuscì a sfuggire alla furia
della folla.
Mentre avanzava di tetto in tetto,
passi felpati e movimenti
veloci, iniziò a vedere le luci del suo obbiettivo: una
locanda.
Nori non era quel genere di ladro grezzo e approssimativo che afferrava
le
persone, le gettava in un vicolo minacciandole di morte e le spogliava
di ogni
avere, tirando qualche pugno qua e là per puro divertimento.
No, lui era un
tipo più subdolo e raffinato, in
grado di rubare senza
essere visto, e soprattutto in grado di mascherare il
misfatto. La sua
tecnica, ormai perfezionata negli anni, era unica e finora rimasta
infallibile;
prendeva generalmente di mira gli ubriachi che uscivano dalla taverna,
si
avvicinava di soppiatto a loro e gli sfilava il borsello dei soldi,
prendeva la
maggior parte del bottino rimettendo a posto il borsello con solo
qualche
spiccio. Così facendo, Nori si assicurava un buon guadagno e
il giorno dopo la
povera vittima invece di essere stata derubata credeva di aver speso
quasi
tutto nel bere e nel gioco.
Era semplicemente geniale.
Si procurava di che vivere con questo
metodo da molti
decenni ormai, vantandosi di essere stato catturato e imprigionato
pochissime
volte. In realtà il capitano delle guardie Dwalin lo aveva
beccato in flagrante
un’infinità di volte, ma era quasi sempre riuscito
a darsela a gambe. E le
volte che finiva in cella, riusciva sempre in qualche modo ad evadere.
Si accovacciò sul tetto di
una casa poco distante dalla
locanda presa di mira, un posto piuttosto squallido in un quartiere
altrettanto
orrendo. Era una di quelle zone di periferia dove vivevano i nani
più poveri
della colonia, gente che viveva quasi di stenti con lavori miserabili o
semplicemente con famiglie così numerose che nemmeno
l’oro di Erebor avrebbe
potuto risollevarli. In più, quel particolare quartiere si
trovava vicino le
miniere della città, dove ogni giorno brulicava una
moltitudine di nani a
lavoro o semplicemente in cerca di occupazione.
In effetti Nori non aveva alcun
diritto di giudicare quella
gente e il loro stile di vita, ma si ritrovò comunque ad
arricciare il naso
quando un gruppo di nani completamente ricoperti di chissà
quale scoria da
miniera, con i picconi in spalla, si avvicinò alla porta
della locanda ed
entrò. Non proveniva da una famiglia nobile, anzi la sua
famiglia era piuttosto
disastrata e per questo era stato quasi costretto a darsi alla malavita
e al
furto, ma ancora c’erano alcuni mestieri che proprio non
sopportava. E lavorare
in miniera era uno di quelli.
“Così
degradante” Si ritrovò a sussurrare mentre si
guardava
nuovamente intorno per studiare il campo su cui avrebbe agito. Ancora
nessuna
guardia in giro - che serata fortunata! – e la strada
era scarsamente illuminata offrendo molti punti bui dove avrebbe potuto
agire.
L’unica cosa da fare adesso era aspettare qualche ignara
vittima.
L’attesa non
durò molto e prima della mezzanotte Nori riuscì
a borseggiare con successo due nani pesantemente ubriachi, uno dei
quali gli
aveva quasi vomitato addosso in un impeto di nausea. Semplicemente
disgustoso.
Anche lui era un amante della birra e delle bevute, come ogni nano del
resto,
ma ridursi in quel modo era a dir poco vergognoso. Alcuni individui non
sapevano cos’era la dignità.
Poco tempo dopo la mezzanotte dalla
taverna uscì un altro
povero malcapitato, anche questo pesantemente ubriaco a giudicare dal
suo
andamento barcollante e dalle improbabili canzoni che urlava a
squarciagola.
Indossava un bizzarro quanto ridicolo cappello e portava in spalla un
grosso
piccone, simile a quelli degli altri minatori.
Un’altra povera anima a cui alleggerire le tasche.
Come sempre, Nori si calò
velocemente giù dal tetto, il più
silenziosamente possibile, e si affiancò al nano ubriaco,
tenendosi sempre
qualche passo dietro di lui nella penombra per non essere visto. Ma da
quello
che aveva potuto notare, quel nano non avrebbe visto nemmeno un
olifante a
pochi passi da lui.
“There’s
an inn, a merry old inn,
beneath an old green hill… (parole biascicate e
incomprensibili) … on night to
drink his fill!”
Oh Mahal proteggilo!
Ma la cosa più fastidiosa non era il palese lamento di morte
in cui quel nano
stava riducendo quella simpatica canzone, quanto il fatto che stesse
girando su
sé stesso, barcollando ovunque e trascinandosi vicino il
muro della casa. Così
facendo era quasi impossibile rendersi invisibili e derubarlo.
Perciò Nori decise di cambiare tattica.
Smise semplicemente di nascondersi
alle spalle del nano e lo
afferrò con una mano sulla spalla libera. Il nano
sobbalzò immediatamente e si
girò di scatto, andando quasi ad accasciarsi sul muro per
essersi sbilanciato
così velocemente.
“Oh, ciao amico, che bella
serata vero? Vuoi qualcosa? Oh,
ma siete in due, e siete incredibilmente uguali! Siete
gemelli?” Disse con la
bocca impastata e sgranando gli occhi velati dall’alcol.
Nori si ritrovò a
ridacchiare alla moltitudine di domande
sciocche del nano.
“Ciao, si! Vedi io e mio
fratello siamo gemelli e ci stavamo
chiedendo dove potresti aver nascosto le tue monete. Sai per una
scommessa tra
fratelli, s’intende!” Disse mentre sfoderava il suo
più disarmante sorriso
falso.
Il nano rimase alcuni secondi a
osservarlo abbindolato, come
se la sua mente stesse elaborando chissà quale pensiero
articolato, fissandolo
con uno sguardo inebetito e un sorriso sciocco sul volto. Ma almeno il
nano
color zenzero ebbe il tempo di osservarlo più da vicino.
Quello che sembrava
essere un minatore non aveva la tipica barba folta e intrecciata di
quasi tutti
i nani di Belegost. Al suo posto invece c’era un piccolo
pizzetto sul mento e
due lunghi e ridicoli baffi arricciati, qualcosa di veramente inusuale
per la
loro razza. Inoltre, portava i capelli intrecciati in tre semplici
trecce, due
delle quali erano assurdamente tirate all’insù
sotto quel buffo e sciatto
cappello. Era vestito con dei panni piuttosto semplici e logori, una
sciarpa
che aveva visto giorni migliori attorno al collo.
Nori rimase discretamente deluso nell’osservarlo, come
avrebbe potuto un
disgraziato del genere avere anche una singola moneta di valore
addosso? Aveva
la tipica faccia di quei beoni che spendevano tutta la loro paga
giornaliera in
boccali di birra, inoltre non sembrava neanche lontanamente
intelligente. Ma
almeno non era troppo sgradevole allo sguardo.
Come per magia, il suddetto nano si
ridestò dai suoi
pensieri e con un largo sorriso iniziò a frugarsi nelle
tasche.
“Ma certo, una scommessa!
Ho anch’io un fratello sai, e
anche molto grosso… (parole incomprensibili) …
provare a scommettere con lui!
Ah, eccolo qua!”
Tirò fuori da una tasca
della tunica un piccolo borsello
tristemente sgonfio e lo mostrò trionfante al suo
interlocutore. Nori lo
arraffò velocemente e lo aprì curiosando
all’interno.
“Ahah simpatico, adesso ci
sono due borselli!” Esclamò il
minatore ondeggiando sul posto.
Come aveva previsto, il borsello
conteneva non più di
quattro monete, tre d’argento e una di rame. Lanciando
un’occhiata veloce al
minatore davanti a sé, Nori fece scivolare tre delle quattro
monete nella
manica della sua tunica con un movimento preciso e veloce, lasciandone
soltanto
una d’argento al suo interno. Non pensava che
quell’ubriacone avrebbe potuto
anche solo immaginare cosa stesse facendo, ma la prudenza non era mai
troppa.
Con un sorriso gentile chiuse nuovamente il borsello e lo
restituì alla sua
vittima.
“Grazie amico, a quanto
pare ho perso. Beh, buona nottata!”
Disse girando su sé stesso e allontanandosi velocemente.
Il minatore rimase immobile con il
borsello in mano a
guardare la strada ormai vuota con uno sguardo fisso e distante. Poi
all’improvviso si riscosse e un grande sorriso si
allargò sul suo volto.
“Bei capelli!”
Esclamò ricominciando a ondeggiare per la
strada diretto verso casa.
OoOoOoOoOoO
Il giorno dopo, Nori stava contando
il bottino di quella
nottata nel suo nascondiglio ricavato da un piccolo buco nella roccia
viva.
L’entrata era nascosta dal muro di una grossa casa a
più piani, e non
abbastanza grande da permettere a chiunque di entrare. Ma Nori non era
un nano
particolarmente corpulento, anzi nel suo lavoro era necessario essere
leggeri e
molto flessibili, svelti e silenziosi, e non pieni di muscoli come le
guardie
cittadine. Una volta entrati nel buco, si apriva un’ampia
caverna che Nori
aveva provveduto ad ampliare scavando la roccia e a rendere
confortevole. Non
che avesse bisogno di chissà quale comodità, ma
un letto asciutto, un piccolo mobile
per nascondere i suoi pochi averi e qualche candela per fare luce erano
necessari.
Spargendo la refurtiva davanti a
sé, iniziò a contare le
monete con occhi brillanti. La nottata era stata molto proficua, aveva
preso di
mira più locande nel suo “giro di
caccia” e aveva rapinato almeno una decina di
persone. Certo, con alcune non era stato facile e una era quasi
riuscito a
beccarlo, ma per fortuna le sue abilità da ladro lo avevano
salvato dall’essere
percosso per bene.
Alla fine, si ritrovò
davanti tredici monete luccicanti, due
delle quali erano d’oro e sette d’argento, le altre
quattro erano di un rame
opaco. Erano più di una paga giornaliera nella maggior parte
delle gilde della
colonia. Nori prese una di quelle monete rossicce e se la
rigirò tra le dita,
facendola vorticare sopra le nocche con fare disinvolto. Era una delle
tre
monete che aveva sottratto a quell’idiota con il cappello
strano davanti la
locanda nel quartiere delle miniere, quel tipo a cui era riuscito a
fregare i
soldi davanti gli occhi.
Nori sospirò abbassando le
spalle e posando la moneta tra le
altre. Magari tutti i suoi obbiettivi fossero così stupidi
da farsi fregare i
soldi sotto al naso, così adesso sarebbe certamente ricco,
soddisfatto e fuori
dal giro. Invece era ancora costretto a rubare, perché non
sapeva fare altro, e
perché non aveva la volontà di imparare un
mestiere onesto. Nonostante tutti i
pericoli e gli inconvenienti, rubare garantiva una buona rendita.
E quei soldi servivano non solo a lui ma a tutta la sua famiglia,
specialmente
a Ori che stava ancora affrontando gli studi per diventare uno scriba.
Dori
poteva accusare i suoi soldi di essere sporchi quanto voleva, ma erano
pur
sempre soldi ed erano costanti, mentre Dori non sempre riusciva a
garantire un
guadagno fisso alla famiglia.
Ah, la sua famiglia.
Pensarci faceva sempre nascere un senso di oppressione nel suo stomaco,
seguito
da un senso di nausea. Era meglio non farlo, non voleva rovinarsi la
giornata
fin dalle prime ore (anche se era pomeriggio inoltrato, ma per una
persona
notturna come lui era come se fosse prima mattina), non quando doveva
prepararsi per un’altra nottata di lavoro.
Infilò una mano in una
delle innumerevoli tasche che aveva
cucito nella sua tunica, tirando fuori una mappa della città
piuttosto usata.
Aprendola a terra, rivelò ai suoi occhi un intricato sistema
di puntini, linee
rette, incroci e quadrati, molti dei quali cerchiati con il nero del
carbone.
Quelli erano i simboli che indicavano le varie locande dove il ladro
poteva
colpire, secondo gli accordi presi con l’organizzazione dei
ladri della città.
Incredibilmente, anche i malviventi erano organizzati secondo una
struttura
gerarchica che ricordava molto le corporazioni di gilda dei mestieri
onesti.
Nori si trovava discretamente in alto in quella piramide malavitosa
grazie alle
sue buone abilità da ladro.
Lentamente studiò il
percorso che avrebbe fatto quella
notte, tracciando con un dito linee invisibili sulla carta e mormorando
tra sé.
Il percorso che avrebbe fatto quella notte lo avrebbe portato a colpire
locande
diverse da quelle della notte precedente, ma a metà del
percorso avrebbe
ripreso di mira la locanda dei minatori. Certo, non era saggio lavorare
per più
notti sullo stesso obbiettivo, ma i minatori tendevano a ubriacarsi
pesantemente perciò era sempre un affare sicuro rubare
lì.
Chiuse velocemente la mappa e la
infilò nella tunica, per
poi sistemare i soldi in un sacchetto e nasconderli in una
cavità nella roccia
coperta dal piccolo mobile. Dopodiché si preparò
per lasciare il rifugio e
iniziare il lavoro.
Spero che anche stasera di
incontrare idioti ubriachi
come quel tipo col cappello si ritrovò a pensare
tra sé.
Il ricordo del sorriso sciocco e
dell’espressione così
innocente e genuina di quel minatore lo fece sorridere e scuotere la
testa con
fare ironico.
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