Dyslexia

di fool_dynosaur
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 





P r o l o g o

 

 

 

 

 

 

 

Melania Callegari era una di quelle ragazze che, vedendola per strada, si penserebbe sia del tutto normale. Era una semplice diciassettenne, ma non come tutti gli altri. Non come tutti penserebbero. Esteriormente era una persona normale: bassa, capelli scuri che sfioravano le spalle, grandi occhi color ambra, un sorriso genuino e un animo gentile.

Eppure interiormente soffriva. Era una ragazza dislessica, e a causa di ciò venne spesso derisa e umiliata da quelli che conobbero il suo “problema”. D’altronde, per lei, le parole fecero soffrire più dei spintoni e degli schiaffi che ricevette.

“Hey scema! Quanto fa due più due?”

Tipo Sephora. Sephora Agnesi, una delle più popolari ragazze della scuola non per altro se non per i soldi dei genitori. Era molto invidiabile sì, la stessa Melania lo ammise, ma quella bellezza eguagliò la cattiveria. Soprattutto nei suoi confronti. Non fu colpa della ragazza se i suoi genitori ricchi quanto assenti l’avessero educata in una maniera troppo “discriminatoria”. Nonostante ciò, non le mancò nulla. Così come a Melania.

“Non rispondi eh? Non sai nemmeno più parlare?”

Cristina cercò di trattenere le risate guardando la ragazza di fronte a sé. Sephora sbuffò quasi divertita posando con violenza una mano sulla spalla della sua rivale, spingendola via.

“Hey Sephora. Non toccarla, potrebbe contagiarti!”

Le due ragazze risero finché la capa non alzò una mano fermando l’amica.

“Prima di andare Melania, sapresti per caso dirmi che ore sono?”

Risero di nuovo battendo le mani, per poi girarsi e andarsene. La ragazzina sospirò guardando le ragazze attraversare il cancello della scuola. Certe volte rimasse chiusa in bagno durante i corsi pomeridiani. Non poteva andare a casa in quelle condizioni, sarebbe stato un brutto colpo per la madre. Lei non sapeva niente di quello che le accadeva a scuola soltanto perché non voleva farla preoccupare. Si sentiva di troppo già per quello che era. Certe volte aveva intenzioni di suicidarsi. Ma sapeva che anche quello sarebbe stato un brutto colpo per la sua famiglia, perciò sospirava e provava a tirare avanti.

“Meli, alzati. Non stare lì a piangere per la loro stupidità.”

La ragazza sorrise ancor prima di sollevare la testa. Annuì alzandosi dal pavimento e sospirò.

“Le solite stronze. Un giorno andrò dalla preside, o rovinerò la loro reputazione, oppure dalla polizia… Ma sai cosa mi ferma? Il fatto che i loro stupidi soldi insabbierebbero tutto come se si stesse parlando di bambinate.”

La bionda sospirò mettendo le mani in tasca. Melania le diede una leggere gomitata cercando di risollevarle il morale.

“Non sono di certo i loro commenti che mi buttano giù. Ci sono abituata.” - concluse scrollando le spalle.

Lisa, dopo quel commento sospirò, indicandole il livido sull’avambraccio.

“E’ di ieri vero? Quando ti ha spinta contro la cattedra?”

La mora si coprì il braccio sospirando. L’amica sapeva sempre dove colpire per farla sentire in colpa. Ogni volta che accadeva, Melania sentiva la testa vuota e l’unico pensiero che rimbombava era come avrebbe coperto il nuovo livido. Eppure, quando Sephora e le sue amiche si allontanavano, sentiva quei sensi di colpa stringerle lo stomaco. Si fermarono davanti alla casa di Melania e si salutarono come al solito, un batti cinque che faceva sorridere tutt’e due.

“A domani.”

Dall’altro lato c’era Lisa, la sua migliore amica sin dalle elementari, che camminava fino a casa sua con lo sguardo basso. Era ritenuta una bella ragazza dati i suoi capelli biondi e gli occhi azzurri cielo, ma la sua vicinanza a Melania e la povertà della sua famiglia non l’aveva mai fatta salire in vetta alle classifiche scolastiche. Figlia di gente umile con tre fratelli all’estero e una sorella piccola, aveva vissuto una vita normale finché il padre non aveva perso il lavoro, portandolo a chiedere aiuto ai familiari.

Melania stava messa meglio: era figlia unica di un disoccupato cinquantenne e una ricamatrice di cuscini artigianali in un’azienda di famiglia. Sin da piccola la sua vita era stata bellissima, circondata da amici e affetti che chiunque avrebbe avuto. Finché alle elementari qualcosa si ruppe. Per la precisione, in quinta elementare, dove tutti i compagni si preparavano all’entrata dell’adolescenza e le scuole medie mentre Melania trovava difficoltà a fare le tabelline. Un episodio che le rimase per sempre impreso fu uno di metà febbraio, quando la maestra la fece alzare davanti a tutta la classe a risolvere un problema alla lavagna. Già nel scrivere la questione le lettere si confondevano e il tempo trascorreva, impazientendo la maestra.

“Fannullona.” - le disse prima di mandarla a sedere, ancor prima che finisse di scrivere la domanda.

Melania si sentiva inutile e stupida. Studiava molte ore al giorno, faceva tutti i compiti assegnati, eppure era tre passi dietro gli altri. Sin dalle elementari quando scriveva le prime parole sgrammaticate. Tutti pensarono fosse distrazione della ragazza, o del fatto che non studiasse come gli altri. Eppure ad ogni incontro con gli insegnanti sua madre ribadiva le ore spese sui libri della figlia. Ma ogni volta rimanevano i stessi voti bassi. Solo all’ingresso delle medie la situazione si schiarì, quando l’insegnante chiese alla famiglia di Melania che venissero fatti dei test. Test che portarono in depressione la madre della ragazza, sentendosi in colpa per quella “malattia”.

Da allora il tempo iniziò a passare in maniera lenta e dolorosa. Ogni giorno era un calvario e le medie rimasero come il ricordo più brutto per la ragazza, tra discriminazioni e bullismo. Sapeva che nel mondo non era l’unica, ma nella sua classe lo fu. Il problema della sua dislessia, le difficoltà nelle varie materie e il periodo dell’adolescenza la resero asociale e poco reattiva alla vita. Nemmeno le superiori riuscirono a rialzarle il morale, sapendo che la maggior parte dei suoi compagni li avrebbe ritrovati anche lì.

E se alle medie i neo adolescenti erano stupidi, alle superiori ancor di più. Dai primi insulti arrivarono anche i primi schiaffi, le prime spinte, i primi calci. Lividi che con il periodo freddo facilmente si coprivano, ma difficilmente si dimenticavano.


 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


 



 

C a p i t o l o

U n o

  

 

 


 

La campana suonò e tutti i ragazzi uscirono per godersi i loro venti minuti fuori da quella classe tranne Melania che posò la testa sul banco sospirando. L’ultima volta che uscì per la pausa, Sephora le fece “accidentalmente” cadere il succo addosso, facendo ridere tutti i spettatori. Fu una cosa stupida ridere di un incidente, o di una persona che si macchiava di succo di pesca. Ma ciò rendeva superiore agli occhi di quei idioti. Melania odiava il succo di pesca, aveva un odore pungente per il suo olfatto. Da allora si promesse di rimanere in classe, senza rischiare più, se non la sua libertà. Lisa dopo tre tentativi non ci provò più a tirarla fuori.

Come ogni volta, in quei venti minuti, Melania si maledì per la sua esistenza in quell’umanità troppo perfetta per lei. Perché i commenti a lungo inculcati nella sua mente l’avevano resa fragile, tanto da credere ad ogni singolo insulto che le veniva rivolto.

Cos’era per gli altri la sua presenza? Uno sbaglio. Uno scherzo della natura.  Sembrava una persona normale, perché non poteva davvero esserlo per gli altri? Lisa passò davanti alla sua classe e aprendo la porta guardò dentro, notando l’amica completamente immersa nei suoi pensieri. Richiuse la porta e continuò a camminare nei corridoi. Sapeva che sarebbe risultato inutile provare a smuoverla dalla classe. Ma qualcosa lo fece quel giorno.

Quando la porta si riaprì di scatto, qualche minuto più tardi, Sephora e un ragazzo molto alto entrarono dentro ridendo. La ragazza notò subito la presenza della compagna, così come lo fece anche lui.

“Chi è lei?” - sussurrò il ragazzo all’orecchio della mora.

Melania lo riconobbe quasi subito. Tutte nella sua classe ne parlarono nonostante non fosse molto popolare. Era Kim Alonsi, del quarto anno. Si trasferì dall’Austria con la zia, nessuno seppe perché. Non era il tipico cliché maschile che le ragazze adoravano, ma stava riscuotendo successo. Uno che aveva tanta intelligenza quanto bellezza. Per quanto sembrasse innocuo ai professori e ai parenti, con i suoi occhioni castani, Kim sapeva il fatto suo. Fu bocciato alle medie ben due volte. Si vociferò fosse per le sue scappatele dalle finestre e le risposte agli insegnati. Ma ovviamente, furono solo voci. Sephora ghignò prima di avvicinarsi alla rivale in modo minaccioso. Batté le mani verso di lei come se fosse un cane da ammaestrare.

“Vattene da qui! E non dire che ci hai visti a nessuno.” - aveva detto, dando un calcio al suo banco.

Non capì perché tanta violenza da parte di una ragazza come lei. Sephora nonostante il suo aspetto da ninfa - tutta falsa - era molto violenta nei confronti delle ragazze che non facevano parte della sua cerchia e quello, stranamente, piaceva ai ragazzi. La piccola vittima - data la sua altezza - sospirò, lasciando l’aula in silenzio. Melania osava sospirare più che parlare con le altre persone semplicemente perché non capiva cosa dovesse dire. Con Sephora ancor meno; capì che la ragazza si sentisse sotto minaccia da tutto il popolo femminile in quella scuola. Di sicuro la sua autostima la calpestava con i suoi tacchi dieci che portava a scuola. Dall’altra parte Sephora non si aspettava che le ragazze le rispondessero e non eseguissero ciò che diceva.

“A volte penso sia davvero stupida.” - esaltò incamminandosi per i corridoi semi vuoti.

Solo i ragazzini del primo anno sedevano sulle banchine poste all’interno dell’edificio o ai distributori a parlare. Si riteneva molto più in voga il giardino dietro la scuola o il terrazzo del terzo piano che veniva frequentato per lo più da quelli del quinto anno o così detti “popolari”.

“Hey tu!” - gridò qualcuno.

Melania si voltò, notando una ragazza ferma in mezzo al corridoio.

“La signora Ferri mi ha chiesto di portare questo in sala docenti, ma non so dove si trova. Puoi aiutarmi?”

Si guardarono per alcuni secondi, prima che la ragazza annuisse.

“Sei… nuova, vero?”

“Sì. Sono Tara Martini, della classe prima, sezione D.”

La piccola sorrise mostrandosi ancor più giovane.

“Io mi chiamo Melania, della 3C.”

“Sei in classe con Sephora Agnesi vero? - la mora annuì sospettosa, aprendo la porta della sala docenti. - Io sono sua cugina, anche se mi parla poco dato che la mia famiglia è da parte di sua madre, quindi non ricchi quanto loro.”

La ragazzina sventolò la mano in aria, come se non ci volesse pensare a quei pregiudizi in famiglia.

“Mi dispiace.”

“E di cosa? Quella è una ragazza così antipatica ed egoista. Alcune volte mi vergogno a sapere che è mia parente. - La ragazza posò il libro sopra uno dei tavoli. – Grazie per l’aiuto.”

“Perché hai chiesto a me di aiutarti?”

“Eri l’unica nel corridoio.”

Melania abbassò lo sguardo, sentendosi stupida. Tara iniziò a ridere.

“Scherzo, non te la prendere.”

Tara le sorrise uscendo dalla sala professori. Melania la seguì come se fosse la sua ombra.

“Insomma… non hai paura? Paura che ti possa contagiare con la mia malattia?” - si azzardò a dire.

“Malattia? - Per un attimo Tara sembrò non capire, poi le tornarono in mente le chiacchiere delle sue compagne che cercarono di entrare nella cerchia di Sephora e spalancò la bocca. - Oh, sei tu quella dislessica?”

Melania annuì, pronta a ogni insulto. Tara scoppiò a ridere.

“Ma se la dislessia non è una malattia!”

La ragazza sussultò sorpresa.

“Ma tutti…”

“Sai, penso sia più contagiosa la stupidità che quello che hai tu, mh? - le diede un piccolo schiaffo sulla guancia, come per svegliarla dall’incubo che aveva vissuto fino a quel momento. – Non dovresti dare retta alle loro parole.”

La mora si domandò se sapesse che l’artefice di tutti quei commenti fosse proprio sua cugina, ma poi decise di rimanere in silenzio e annuire. Forse quella era l’unica cosa che riusciva a fare davvero bene.

“Grazie, almeno una persona non la pensa così, oltre mia madre.”

Forse non in tutta l’umanità c’era sporcizia e cattiveria.

 

 

“Ue dislessica! Che ore sono?” - disse Marco indicando il proprio orologio costoso in pelle legato al polso.

Un gruppetto di ragazze sghignazzò guardandola con superiorità. L’ora della mensa era decisamente la peggiore. Melania inspirò fino a sentire i polmoni dolere. Ebbe tanta voglia di rispondere, ma sprecare ossigeno per qualcosa di ancor più inutile non ne valeva la pena.

“Hai gli occhi Palmieri, puoi vederlo da solo o sei diventato miope?” - commentò Lisa.

Il ragazzo fece un piccolo sorriso avvicinandosi alle due ragazze. Le quattro ragazze che lo affiancarono misero il broncio, fulminando con lo sguardo le due amiche.

“Voglio saperlo da lei. Questa qui non sa scrivere nemmeno il proprio nome.”

“La vuoi smettere?”

Tutt’e tre si girarono e Melania sorrise notando fosse stata Tara. La ragazza dai capelli tinti si avvicinò affiancando la “vittima”.

“Ma farti i cazzi tuoi no?”

Sephora si mise una mano fra i capelli, distogliendo lo sguardo da quella scena ormai patetica mentre la cugina si rendeva, a parer suo, ridicola.

“Non è bello trattare così una ragazza, lo sai maleducato?”

Marco sorrise prima di fare un passo indietro alzando le mani in segno di resa e poi allontanarsi. Palmieri era un semplice bruco della società che cercava notorietà, prendendo in giro quelli più fragili per piacere a quelli come lui. Le tre ragazze rimasero stranite e per la prima volta Melania si sentì davvero protetta e amata. Non che non lo fosse mai stata. Sua madre e Lisa le volevano bene come nessun altro, eppure Tara le aveva accesso una fiamma di speranza che sembrava ormai morta. Passarono l’ora di pranzo tutt’e tre insieme in un piccolo punto appartato, cercando di conoscersi.

“Senti… Tara, no? - La ragazza rossa annuì, continuando a mangiare. - Grazie per aver difeso Melania e me. Sei davvero una tipa bassa ma tosta.”

“Potevi anche non difendermi. Cioè, per carità, è stato molto bello perché nessuno oltre Lisa mi aveva mai difesa; ma non devi scomodarti tanto, perché puoi rischiare anche tu. Sono abituata agli insulti di quelli come Marco, non mi toccano.”

“Marco?”

“E’ il ragazzo biondo con cui abbiamo battibeccato prima. Uno dei popolari, lì. - Lisa le indicò il tavolo al centro della sala mensa, dove sia Sephora che Marco sedevano. - Però è la prima volta che vedo Kim lì.”

“Tutti quelli che passano sotto le unghie laccate di Sephora siedono a quel tavolo.”

“Oh. Penso già di odiarlo a morte. - commentò la più piccola scatenando una risata generale. - Non mi piace la gente che se la prende con quelli più deboli o indifesi. Penso siano solo poveri stupidi. - Si girò verso Melania sorridendole. - E non mi interessa nemmeno se sei dislessica. Io ti vedo come una ragazza normalissima, e per me l’importante è questo. Ci siamo noi al tuo fianco, no?”

Lisa rimase spaesata dalle parole della ragazza. Aveva ragione sua madre, le apparenze ingannavano gli occhi. Melania pur sembrando normale, aveva i suoi “problemi” e Tara, per quanto sembrasse piccola, era davvero forte. Rispetto a loro, lei sapeva solo che cercasse di mostrarsi forte, ma era molto più debole. Si morse il labbro tirando i bordi della sua maglietta per nascondere meglio i lividi che aveva sull’addome.

“Giusto.” - sussurrò.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***







C a p i t o l o

D u e

 

 

 

 

 

 

 

“Dislessica, esci!” - tuonò Sephora ridendo.

Melania si alzò, più per non sentire ancora la sua voce che altro. Non riteneva Sephora una di poca dignità e nemmeno le importava cosa faceva in classe in quei venti minuti di pausa. Oramai stava per farci l’abitudine. Erano da due settimane che continuava a entrare in classe assieme a quel ragazzo, scambiandosi effusioni amorose troppo spinte. Eppure non andava in giro a sparlare di ciò, rispetto alle altre ragazze del gruppo popolare. Scosse la testa. Decise di andare in cortile a prendere un po’ di aria pulita, ma una volta fuori qualcuno urlò. Alzando il viso notò Tara con un pallone da pallavolo in mano a pochi metri da lei.

“Per un pelo non ti hanno colpita. Scusa, non lo avrebbero fatto apposta.”

Melania rimase confusa ma ricambiò il sorriso. La rossa lanciò la palla alle amiche annunciando di non voler più giocare.

“Facciamo un giro?”

“Non credo sia una buona idea… Forse non lo sai ma Marco pratica il calcio perciò potrebbe essere sui campetti.”

Tara storse la bocca.

“Perché ne hai paura? I veri uomini non insultano le ragazze. - La ragazza abbassò lo sguardo, massaggiandosi la spalla destra. - Ma se non te la senti, stiamo dentro.”

La mora annuì e iniziarono a chiacchierare, camminando lungo i corridoi della scuola.

“Ti sei iscritta a qualche corso?”

“No, non penso di esserne capace. Tu?”

“Quello di ginnastica. Pallavolo per la precisione, penso sia molto bello, divertente e… boh.”

Melania sembrava divertita ma un suono attirò la sua attenzione.

“Che è successo?”

 

 

“Hey ragazza, tutto okay?”

Sebastian Donati, nonché compagno di squadra di Marco, si avvicinò.

“Meglio se vai via.”

Per quanto cercò di sembrare dura e forte, Lisa stava male e perdeva troppo sangue. Il ragazzo si abbassò posando un ginocchio per terra e alzando con forza il viso della bionda, notò il sangue fuoriuscirle dalla bocca.

“Lisa!” - urlò Melania avvicinandosi all’amica.

Tara spinse via Sebastian per guardare le condizioni dell’amica.

“Oh mio Dio, che ti ha fatto?”

Tara si sporcò le mani appena posò l’indice sul labbro della ragazza per constatare cosa fosse.

“Sto bene.” - ringhiò allontanando il viso da quella mano.

“E’ meglio portarla in infermeria.” - disse il ragazzo, attirando l’attenzione.

“Infermeria? Che cosa le hai fatto?!” - urlò Tara sconvolta di nuovo.

Era la prima volta che vedeva del sangue che non fosse il suo. Uno dei difetti di Tara era il fatto che, alcune volte, si faceva sopraffare dal panico o dall’ansia. O il fatto che la sola vista del sangue le facesse venire i brividi.

“Non sono stato io!”

“Ma stai zitto idiota.” - si intromesse la mora cercando di posare una mano sulla schiena dell’amica per aiutarla ad alzarsi.

Era la prima volta che Melania esprimeva quello che pensava davvero. Se lo avesse fatto anche tempo fa con Sephora, forse non sarebbe stata in quelle condizioni sociali allora. Sebastian aprì la bocca sconcertato.

“Io non stavo facendo proprio niente!” - provò a dire, ma ormai le ragazze erano lontane, e Lisa troppo debole per difenderlo.


 

“Dicono che Sebastian abbia picchiato la Caputo mandandola in infermeria.” - annunciò Marco al tavolo dei popolari.

Sephora scoppiò a ridere.

“Era l’ora che qualcuno facesse capire a quella stupida chi comanda qui! Chi si crede soltanto perché alcuni la trovano “carina”. Appena lo vedo mi complimenterò.” - aggiunse la ragazza dopo averci pensato.

Il resto del tavolo rimasse in silenzio, tranne Luca, che si alzò dal tavolo senza aver toccato cibo.

“Dove vai amore?” - chiese la sua ragazza girandosi.

“Non ho fame ora. Vado un po’ fuori.”


 

“Melania… tra poco iniziano i corsi pomeridiani e io dovrei andare…”

La ragazza annuì mostrando anche il pollice in su. Le lezioni pomeridiane erano solo dedicate alle varie ore pratiche dell’istituto, a cui Melania non partecipava. L’unica cosa buona di quel istituto erano le ore pomeridiane che aiutava i ragazzi a migliorare i propri talenti.

“Tranquilla. Resto io con Lisa.”

Tara prese il suo zaino e sorrise alle amiche prima di chiudersi la porta alle spalle. Lisa provò a sospirare ma il dolore all’addome era molto forte.

“Cristo, come ha potuto farti questo?!”

La bionda scosse la testa.

“Non… non è stato Sebastian.”

Melania rimase stranita, ma non disse nulla. Non trovava giusto dirle che l’intero istituto pensava ciò a causa di Marco che aveva visto quasi tutto.

“Il sangue sulla sua mano… era tuo no?”

“Cercava di aiutarmi. Melania… ti devo dire una cosa importante.”

La porta si aprì e due ragazzi entrarono dentro: Luca, tenendo il braccio sinistro stretto con l’altra mano e Sebastian che chiuse la porta dietro di sé.

“Cristo che male.” - sussurrò una volta raggiunto il posto.

“Così impari a camminare sui corridoi bagnati.” - rise l’amico per distrarlo.

Il biondo prese alcune garze e avvolse l’avambraccio del corvino, cercando di attenuare il dolore mentre l’altro guardò le ragazze.

“Così va meglio. Possiamo anche andare adesso.” - disse subito dopo, alzandosi dalla sedia.

Sebastian cercò di fermarlo, anche perché due garze non fecero il miracolo, ma fu irremovibile. Luca rivolse per un attimo lo sguardo a Melania prima di lasciare l’infermeria. Donati decise di rimanere.

“Ti raggiungo più tardi.”

Lisa si alzò a sedere con molta difficoltà. Melania si avvicinò per aiutarla a scendere. Cercò di guardare l’orologio appeso alla parete della stanza ma le lancette parvero troppo veloci e piccole per riuscire a capire qualcosa.

“Sono le due e mezza Melania. - sussurrò l’amica. - Dovresti andare a casa. Io me la cavo. Verrà mia madre.”

La ragazza arrossì.

“Ma non puoi… Che le dirai? Che sei caduta dalle scale?”

“Vai. A domani.” - salutò cercando di sorridere per rassicurare l’amica.   

“Sei scema. Stai attenta.” - disse guardando il ragazzo biondo di fronte alla porta.

Melania lasciò la stanza e Sebastian si avvicinò alla ragazza. Ci furono alcuni minuti di silenzio prima che Lisa trovasse il coraggio di parlare.

“Perché sei rimasto?”

Lui sorrise di fronte a quella domanda.

“Volevo vedere come stavi.”

“Riesco a stare in piedi. Puoi andare adesso.”

Lisa si sarebbe morsa il labbro se solo il mal di testa non la stesse massacrando. Tendeva a pentirsi sempre di quello che diceva; era troppo impulsiva e lo sapeva.

“Ti giuro che non ti avrei fatto nulla. Ero preoccupato.”

“Meglio se tu non lo sia. - sbuffò, cercando di abbassarsi per prendere il suo zaino. - Vattene.”

Sebastian glielo prese, porgendoglielo. Lisa scosse la testa appena prese lo zaino. Aveva un casino di problemi già da sola, non voleva aggiungere un’altra pietra al sacco. Sapeva che si sarebbe pentita anche di quella scelta. Sebastian sorrise in modo imbarazzato aprendole la porta per uscire.

“Faccio parte della squadra di calcio. Se hai bisogno, il pomeriggio sono ai campetti.”

E il fatto che un ragazzo che non l’aveva mai calcolata - e viceversa - fino a quel momento le stesse parlando, non aiutava la sua situazione.


 

“Ci devo andare per forza io?!”

Marina annuì, spingendo la compagna di squadra verso il campo da calcio. Sospirò prima di alzare una mano.

“Hey Palmieri!”

Il nominato si girò e notò Tara, sorridendo.

“Che vuoi?”

“Il nostro insegnante si è preso un giorno e quindi abbiamo bisogno della chiave del magazzino per prendere i palloni. La segretaria ha detto che tu hai la copia della chiave quindi…”

Il ragazzo scrollò le spalle.

“Okay. Ti accompagno.”

“Ma anche no.”

“Non posso affidare la chiave del magazzino alla prima bambina che passa. Perciò, felice o meno verrò.”

Tara si sentì più indignata nel rimanere per minuti assieme a quel ragazzo che per il fatto di esser stata chiamata bambina. Provò fastidio nel respirare la sua stessa aria, stargli accanto sarebbe stata una prova di coraggio e autocontrollo per la rossa.

“Va bene.”

Tara era lì solo da due mesi. Non aveva ancora capito bene quali fossero le persone di cui fidarsi o quelle meno, ma sapeva bene che Marco era uno di quelli che più alla larga ci si stava, meglio era. Non servivano esperti per constatare che il ragazzo aveva poca fiducia in sé. La prima volta che Tara lo vide, stava insultando le sue amiche in un posto pubblico e pieno di gente, la mensa. Il giorno dopo lo vide aiutare una signora anziana salire le buste della spesa lungo la scalinata del centro commerciale in quanto le scale mobili erano in disuso, senza fiatare. Che fosse una parente? Di certo non voleva pensarci. Una settimana più tardi entrò per sbaglio nello spogliatoio sbagliato e scoprì che Marco, oltre alle parole, usava le mani. Tara si sentì uno schifo per non aver detto nulla ai professori. Ed in quel momento, con quasi gentilezza e senza storie, l’aiutava a prendere i palloni.

Si risvegliò dai suoi pensieri appena sentì la porta scattare. Il magazzino era in fondo alla palestra interna alla scuola. Il portone era grande ed in ferro, con la vernice che si staccava a pezzi mostrando quanto fosse arrugginita e vecchia. Ebbe quasi paura quando entrò lì dentro dato che c’era una temperatura molto più bassa e un’aria molto più umida. Marco entrò ed accese le luci indicandole i palloni da pallavolo, in uno scatolone in fondo. Tara provò ad avvicinarsi ma inciampò su un attrezzo fuori posto a causa della scarsa luce, cadendo a braccia alzate, con un rumore simile a quello di un sacco di patate. Il ragazzo cercò di non ridere e si avvicinò.

“Tutto okay?”

Si sentì un tonfo, e quando la rossa si girò notò lo sguardo terrorizzato del ragazzo che tornò sui suoi passi.

“Porca miseria!” - imprecò dando un calcio alla porta.

“Che è successo?” - chiese l’altra, alzandosi da terra da sola.

“Siamo bloccati qui. - Tara credette di sentirsi male. – E sono claustrofobico.” - Poi lo seppe con certezza.

Sbiancò toccando il vecchio portone.

“Come sarebbe a dire?”

Il ragazzo sbuffò.

“E’ una fobia che ti fa-“

“Ho capito, so cos’è, non sono mica scema. Piuttosto, perché siamo chiusi qui dentro?!”

“Si apre solo dall’esterno, e poi… le chiavi sono rimaste attaccate fuori.”

“Perché si apre solo dall’esterno? Dovevi prendere le chiavi!” - continuò la ragazza, facendosi assalire dall’ansia.

“Così si evitano i furti, genia!”

Oltre che strano e claustrofobico, Marco era stupido. 

“Qualcuno ci aiuti! Voglio uscire da qui!” - urlò il ragazzo, sbattendo i pugni sul portone.

“Calmati principino. Mostrati uomo e stai fermo.”

Tara sospirò sedendosi su una panchina, guardando Marco avvicinarsi.

“Tu! E’ tutta colpa tua. Che ore sono? Sono ore che sono bloccato qui dentro.”

“Guarda che sono passati solo cinque minuti. Le mie compagnie si accorgeranno che non sono tornata e verrano a cercarmi.”

“Ma Tara?”

Marina tornò dalla palestra, alzando le spalle.

“Ragazze, penso ci abbia abbandonate.”

“Eh?”

“Massì, ha visto quel figo di Marco e non voleva perdere l’occasione no? Non c’è nessuno in palestra. L’avessi avuta io…”

“Ma se l’hai mandata tu Marina.”

La mora le fece segno di stare zitta, poi si incamminò verso le panchine del campo.

“E meglio se andiamo via, tanto l’allenatore non c’è comunque quindi meglio evitare di farsi male a caso.”

“E Tara? Sicura di non averla vista?”

“Sì ragazze! Domani a scuola le chiederemo spiegazioni.”

Marina sorrise alla squadra, uscendo dal campetto. Di certo, nessuno poteva sapere che fu proprio lei a chiudere la porta del magazzino.

La rossa sospirò. 

“Qualcuno ci apra!” - urlò il biondo facendole fischiare le orecchie.

Si alzò dalla panchina e girò il ragazzo con forza verso di sé, tirandogli uno schiaffo forte. Si creò una stampa rossa delle cinque dita della ragazza sulla guancia immacolata di Marco che aprì la bocca sconcertato. La guardò con modo superiore e alzò la mano.

“Non provarci e ascolta, razza di ragazzino viziato. Prima o poi verranno a tirarci fuori perché qualcuno si accorgerà che il capitano della squadra di calcio o una qualunque della squadra di pallavolo manca. E quando lo faranno, non ti troveranno intero se continui a piagnucolare come un bambino. Lo dirò a tutta la scuola se ora non ti calmi e ti siedi.”

E Tara credette di averlo calmato quando vide il suo viso rilassarsi.

“Ma hai il ciclo?” - chiese con una faccia da pesce lesso.

La ragazza ringhiò rinunciandoci, poi si strofinò le braccia per il freddo.


 

Kim sospirò guardando la preside negli occhi.

“Davvero ragazzino?”

La signora Mancini si alzò dalla poltrona per avvicinarsi allo studente. Fu quasi un incidente quello che Kim provocò in mensa, non fu di certo voluto.

“Hai provocato una rissa in mensa, e la sospensione sarebbe una giusta punizione. In questo istituto non si tollerano tali comportamenti."

Non poteva di certo dire che la compagnia di Sephora e Marco lo influenzavano molto. In modo negativo. Le loro famiglie donavano molti soldi alla scuola, quasi come una assicurazione per la promozione dei loro figli.

“Ho lanciato quel piatto, scatenando la rissa, perché Antonio Bianchi stava deridendo un ragazzino del primo anno e non mi sembrava giusto.”

“Questa non è una giustificazione, basta venire a dirlo dopo l’ora di pranzo.”

Il ragazzo rise sotto i baffi.

“E’ seria? Mi dica quante volte, quando qualcuno allarma gli insegnanti di atti di bullismo, fanno qualcosa per fermarli. La solita ramanzina non è acqua, è benzina sul fuoco.”

La preside sospirò.

“Però non posso lasciarti così Alonsi. Punirò te, così tutti gli altri vedranno che ciò che hai fatto non si deve ripetere. Però, se vedi o senti altri insulti rivolti ai miei studenti, vienimelo a riferire.”

Si sedette dietro la sua scrivania e le saltò agli occhi la cartella della Callegari. Quella madre era davvero troppo insopportabile e insistente, soprattutto in quel momento che la signora Mancini aveva altro per la testa. Le balenò un’idea in mente e sorrise.

Bingo.


 

“Ragazzi avete visto Marco?” - chiese Sebastian appena finiti gli allenamenti.

Tutti negarono.

“Strano, non salta mai un allenamento.”

“Vado a cercarlo io? L’ultima volta l’ho visto entrare nella palestra interna.” - disse Sandra, indicando il posto.

Che Sandra Rossi, figlia di un noto allenatore provinciale, avesse una cotta per il capitano della squadra di calcio era evidente a tutti tranne che al diretto interessato. Per quanto Marco fosse popolare o ricco, non aveva mai avuto una ragazza. Non riusciva a relazionarsi con l’altro sesso senza insultarlo o ferirlo. No, non si credeva superiore, era solo un fattore di timidezza che cercava di nascondere in tutti i modi mostrandosi molto più lunatico e scorbutico di quello che voleva. Sebastian annuì, posando tutti i palloni in una sacca. Nel frattempo la ragazza corse all’interno della palestra iniziando a cercare, finché non si accorse della chiave nella serratura del portone del magazzino.

“E questa? L’avrà dimenticata?” - si chiese girando la chiave.

Aprì il portone e il suo cuore perse un battito. Marco era quasi incollato a Tara, una ragazzina di prima, con gli occhi lucidi e le guance rosee nonostante la bassa temperatura della stanza. Fu la prima volta che la ragazza vedeva la sua cotta abbracciare qualcuno che non fosse Sephora o i suoi compagni di squadra. O vederlo con quel viso terrorizzato. Decisamente, non fu da lui.

“Oh finalmente! Qualcuno ci ha aperto!”- esclamò la rossa, scrollandosi di dosso il capitano.

Evitò la mora senza nemmeno ringraziarla, correndo fuori dalla palestra come se fosse inseguita dalla peste. Sandra si rigirò notando che Marco era tornato come prima. Il solito ragazzo dalla faccia divertita. Più da idiota.

“Cosa ci facevi avvinghiata a lei?”

Marco non si accorse della voce strozzata di Sandra, o almeno, non volle farci caso.

“Secondo te? Lo sa tutta la scuola che sono claustrofobico.”

“Non mi convince.” - ringhiò la ragazza incrociando le braccia.

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo frustrato. Non gli piacque quel modo suo di essere gelosa. Sandra certe volte sapeva essere troppo possessiva nelle cose. Decise così di non rispondere e riprendersi la chiave, chiudendo il portone.


 

Melania era già a casa. Salutò i suoi genitori e corse in camera, non volendo parlare della sua giornata. L’incidente di Lisa l’aveva stravolta, in più non sapeva cosa la sua amica volesse dirle, ma aveva un brutto presentimento.

La mattinata successiva si svegliò male, avendo pensato tutta la notte alla sua amica. Sospirò preparandosi per andare la scuola, ricevendo un messaggio da Lisa.

Si fermò sul marciapiede vicino alla stazione dell’autobus. Lisa si sbracciò per farsi vedere, correndole poi incontro. Melania la abbracciò forte, inalando il profumo che emanava.

“E’ giunta l’ora che io ti dica qualcosa di importante. Ma promettimi per favore che non darai di matto.”

La più bassa annuì, incamminandosi verso la scuola.

“No aspetta, saltiamo la prima ora. Andiamo a fare colazione.”

“Lisa per favore, mi uccidi così. Non ho dormito tutta la notte.”

La bionda si morse il labbro, non capendo come iniziare il discorso.

“Qualche settimana fa ho fatto dei controlli, perché avevo dei dolori strani.”

“Che tipo di dolori?”

Lisa mosse un po’ la testa di lato, guardando ovunque ma non l’amica.

“Lisa!”

“Ho un problema al cuore.”





 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***






C a p i t o l o

T r e

 

 

 

 

 

 

Almeno quel giorno Melania restò in classe senza disturbi. Stranamente Sephora non entrò in classe e su quanto raccontavano le voci di corridoio, il suo fidanzato Luca la lasciò, mentre Kim non la filava più. Qualcosa che nessuno si sarebbe mai aspettato.

“Ho una notizia sconvolgente!” - urlò Tara entrando in classe.

Si avvicinò all’amica con uno sguardo preoccupato, prendendo una sedia e mettendosi a cavalcioni su di essa.

“Sara, della 5B, ha detto che in mensa Alonsi abbia lanciato un piatto contro un altro ragazzo scatenando una rissa, ed è andato dalla preside.”

“È stato sospeso?” - chiese curiosa.

Tara scosse la testa con occhi malinconici puntati sulla corvina; e Melania sbuffò irritata. Sapeva che non sarebbe successo nulla ad un ragazzo di famiglia ricca austriaca che poteva pagare il silenzio con i soldi.

Certo, non lo conosceva davvero e lo aveva visto solo poche volte, ma sapeva che bastava conoscere il fatto di essere il figlio con il padre di un famoso marchio di vestiti e la madre modella. Persino sua madre comprò alcuni capi trovandoli carini. Non poteva di certo impedirglielo solo perché il figlio del direttore non le desse una buona impressione.  

“Peggio e strano Meli. Molto strano. - si passò una mano tra i capelli tinti guardando che la porta della classe fosse chiusa. - L’hanno obbligato a fare ore di recupero e potenziamento… a te. Ogni giorno, mentre ci saranno i corsi pomeridiani ti fermerai nella biblioteca del terzo piano e lui ti aiuterà nei compiti. Marina l’ha saputo dalla segretaria.”

Tara quasi soffrì nel rivelarle quello che seppe da Marina, e soffrì di più nel vedere il suo viso cambiare da arrabbiato a stupito, e poi impaurito.

“A me non hanno comunicato nulla, quindi magari è una voce che gira. E poi lui non è un insegnante, non può!”

“Meli, tranquilla. Io e Lisa stiamo pensando a una soluzione: lei lascerà le ore di arte per fare recupero con te dato che è nella sua stessa classe.”

Melania si bloccò un attimo, pensando alle parole dell’amica di quella mattina. Le si strinse la gola e scosse la testa.

“Non è giusto che Lisa perda quello che le piace a causa mia. Sta già male. - Melania sospirò, grattandosi il mento. - Farò del mio meglio per impedire ciò.”

 

 

Lisa aspettò sulla sedia, guardando il muro bianco di fronte a sé. Sua madre era da più di mezz’ora che parlava con il dottore nella stanza, senza farle capire quali fossero le novità.

“Hey Lisa!”

Sebastian si avvicinò, sedendosi accanto a lei. Lisa rimase in silenzio, non aspettandosi di trovarlo in ospedale.

“Che ci fai qui?”

“Faccio visita a mio nonno, si è rotto il femore.”

Lei fece una smorfia al pensiero, dicendogli che le dispiacesse. Sebastian alzò le spalle.

“Tu come mai sei qui?”

“Routine di controlli.” - mentì, sperando che sua madre uscisse per tirarla fuori da quella situazione imbarazzante.

I due rimasero in silenzio per un po’, non sapendo più che dirsi. Il ragazzo era curioso di conoscerla dal primo momento che l’aveva vista in corridoio, ma lei sembrava un pezzo di legno.

“Come va con il tuo gruppo di amici? Stanno bene?”

“Non mi è mai piaciuto quel gruppo; ne faccio parte perché mio padre vuole. Nel senso che vuole che io frequenti solo persone del mio stesso “rango” e mi comporti come loro. Ma non penso che sia quello che io voglia.” - sospirò rivolgendo l’attenzione alle sue unghie corte.

“Allora perché non ti ribelli?” - chiese la ragazza, ridendo.

La ragazza sentì la rabbia salire a quelle frasi. Sebastian era quasi maggiorenne, poteva decidere per se stesso, poteva scegliere quali compagnie frequentare e quando. Perché doveva farsi influenzare dai suoi familiari, creandosi così un personaggio… falso? Si guardarono negli occhi per un po’.

“Ci proverò.” - sussurrò regalandole un sorriso.   

Dopo ciò fece un piccolo cenno di saluto e si allontanò rapidamente.

“Va bene…” - disse quando ormai il ragazzo era lontano.

 

 

Melania raccolse tutti i libri caduti.

“Perché in tutto quello che fai sei una sfigata?”

Cristina spinse con il piede uno dei libri, facendolo scivolare sul pavimento fino a scontrarsi con un paio di sneakers nere.

“Sei seria Cristina?”

Kim raccolse il libro da terra avvicinandosi alle ragazze. La mora si morse il labbro inferiore arrossendo. Era la prima volta che il ragazzo le si rivolgeva in quel modo.

“Come, prego?”

Melania si alzò da terra tentando di tenere tutti i libri in braccio, anche se gliene scivolò uno che il ragazzo prontamente raccolse. Il fatto che avesse dovuto cambiare armadietto le dava fastidio, avendo creato quella situazione imbarazzante.

“Penso tu ti stia comportando da bambina. - Sia Cristina che Melania sgranarono gli occhi a quella frase per ragioni diverse. - Continuando così le farai presto capire quanto tu sia gelosa di lei. È meglio smetterla prima di cadere nell’umiliazione, no?”

La mora scosse la testa guardando per terra prima di girare i tacchi e andarsene di corsa, ferita nei sentimenti e nell’orgoglio. L’altra rimase in silenzio, esaminando le parole del ragazzo. Gelosa? Riprese i propri libri dalle mani del castano e si voltò dall’altra parte.

“Aspetta!”

“Cosa vuoi adesso? Sei anche tu geloso di me?” - disse, continuando a camminare a passo svelto.

La raggiunse afferrandole il braccio, facendola girare con la forza. I libri finirono tutti per terra, provocando un rumore sordo.

“Puoi levarti dalle palle? Potrei infettarti.”

Il ragazzo allentò la presa continuando a guardarla negli occhi.

“Smettila con questa storia della malattia.”

Fece un mezzo sorriso allontanandosi di un passo. Melania socchiuse gli occhi con uno sguardo tra l’interrogativo e l’arrabbiato.

“Sono stata per anni presa in giro, dalle elementari per la precisione. Quando si è saputo della mia dislessia sono stata trattata come una malata. Sono crescita con questa idea.”

Provò a girarsi di nuovo senza successo, rendendosi conto che quello che aveva appena detto fosse una pugnalata per lei stessa.

“Non respingermi Melania, voglio solo darti una mano e conoscerti un po’ meglio.”

La ragazza sorrise in modo ironico alzando un sopracciglio; raccolse i libri e tornò a guardare il ragazzo. Non voleva che fosse lui ad aiutarla, non voleva l’aiuto di nessuno. Nemmeno se fosse stata la preside stessa a imporlo.

“Mi chiamo Melania, ho sedici anni. Nata in una famiglia formata da due genitori che credono che io abbia un problema. Odio le persone come Sephora perché non sanno cosa significa spaccarsi il culo cercando di sembrare normale come tutti gli altri. Ti bastano queste informazioni? Ah, e odio essere aiutata.”

Aprì il suo nuovo armadietto e ci buttò dentro i libri, come se cercasse di sfogare la sua rabbia. Kim lo notò, strizzando un occhio come se provasse dolore al posto di quei blocchi di carta stampata.

“Beh, aggiungi che sei carina.” - provò con un sorrisetto sulle labbra.

Lui cercò di alleggerire la situazione, ma la mora chiuse l’armadietto con un tonfo e guardandolo in viso, gli puntò un dito contro quasi in modo minaccioso.

“Non ci provare.”

“Ma dai. Sei molto carina e tosta. Credo tu abbia qualità che non voglia dire, come un supereroe. Io direi di vederci qualche volta.”

Lei rise di cuore nel sentire quelle frasi, e il ragazzo ne rimase colpito. In modo positivo. La sua risata era appena percepibile ma contagiosa, esattamente come lei.

“Io dico di no.”

Kim mise il broncio mostrandosi offeso prima che avesse un’idea in mente.

“Ti porterò i libri! Ne hai troppi, pesanti e nemmeno incontrerai Cristina così.”

“Ma voi ragazzi non accettate un no? Sono abbastanza forte e grande per andare da sola in giro. Non ho bisogno di un baby-sitter.”

“Per favore. - ripeté in continuazione fino alla porta della mensa. – Prendilo come un aiuto.”

Non era colpa del ragazzo se     Melania continuava a rifiutare, ma era colpa sua se non capiva perché. Starci assieme anche per due minuti avrebbe scatenato le ire di persone che potevano farle più male di quanto ne avesse già subìto. E lei voleva essere egoista per una volta, ma non ci riusciva.

 “Va bene.”

Kim le sorrise, pizzicandole una guancia.

 

 

“Come? - L’urlo di Melania rimbombò in tutta la classe, spaventando l’amica. - Ma… io mi voglio opporre.”

“Alla preside?”

“Si opporrà Alonsi allora, sicuramente non vorrà avere a che fare con uno schifo come me!”

“Ha accettato.”

La ragazza si abbandonò completamente sul banco con lo sguardo perso. Pensò al fatto che l’anno fosse appena iniziato e quanti giorni sarebbero passati prima di poter sospirare di sollievo. Kim era un ragazzo simpatica, l’aveva percepito, ma aveva come l’impressione che fosse tutta una farsa.

Poteva assentarsi?

“Il professor Castiglia vi controllerà ogni tanto dato che ha le ore pomeridiane quindi niente assenze.”

Ovviamente no. 

Le vennero i brividi sulla schiena al solo pensiero. Tara posò una mano sulla sua spalla per farle capire che era lì per lei.

“Stai tranquilla, non succederà nulla. Ricordi cosa dicevo? I ragazzi non maltrattano le femmine. Cioè, è questione di rispetto, e se accadesse qualcosa non esitare a chiamarci.”

“Quando dovrò rimanere a scuola?”

“Da domani su quanto ho capito, ma penso ti avviseranno.”

“Da domani.” - affermò la corvina con voce disperata.

Tara rise nonostante sapesse non fosse il momento.

“Io faccio le ore pomeridiane e se qualcosa va storto sono in palestra.”

“Menomale! Lisa è al piano superiore dove non puoi accedere senza permesso, e nonostante il professor Castiglia sia mio amico è in primo piano un insegnante.”

Le due sospirarono prima di alzarsi e dirigersi verso il giardino della scuola.

“Almeno, i tuoi voti si alzeranno!”

Melania fece una smorfia poco convinta. Teneva molto di più alla sua persona che ai suoi voti; tanto ormai sapeva che anche impegnandosi dando tutte le sue energie, i professori non le avrebbe alzati i voti, dando retta solo agli errori che trovavano. Troppi errori che trovavano. Ma non era colpa sua se la mente in alcuni momenti si bloccava. Si fermò, chiedendo scusa all’amica, poi corse verso la presidenza. La segretaria capì al volo per quale motivo si trovasse lì ed avvisò la preside che la fece entrare. La signora Mancini sospirò, toccandosi il naso da sotto gli occhiali.

“Signorina Callegari, menomale che è venuta. Avevo un’importante notizia da darle.”

“Lo so cosa deve dirmi e mi rifiuto signora preside. Non penso sia una buona idea e non credo nemmeno serva, davvero.”

Melania si sedette sulla poltrona di fronte alla preside, cercando di guardarla negli occhi.

“Tua madre ha richiesto che tu venga assistita, affinché i tuoi voti si alzino e gli insegnanti vedano dei miglioramenti in te. Non possiamo permetterci un insegnante di sostegno per te, dato che sarebbe eccessivo per la tua malattia. - la ragazza storse il naso a quelle parole, senza che la preside se ne accorga. - Quindi ho proposto al signorino Alonsi di darti delle ripetizioni in quanto è al quinto anno e sua zia è un’importante insegnante dell’Università  L’Alma Mater Studiorum qui a Bologna. Non accetto rifiuti perché è stata la tua famiglia a richiederlo.”

La ragazzina sospirò, salutando la signora. Non aveva voglia di litigare.

 

 

“Ci ho provato in tutte le maniere. Quanto odio quella preside, non ci tratta come meritiamo!”

Kim alzò gli occhi al cielo mentre Luca e Cristina annuirono. Il gruppo era seduto al loro solito tavolo nella mensa, parlando di tutte le ingiustizie che avevano subito nell’ultimo periodo. Per loro, la preside stava esagerando; d’altronde, sempre per loro, era anormale quello che normale era in una qualsiasi altra scuola.

“Lo dirò a mia madre e vedrai amore che ti tirerà fuori da questa situazione di merda.” - commentò Sephora abbracciando il presunto nuovo fidanzato.

“Ma non ne vedo il bisogno.”

Quella frase attirò l’attenzione di tutti a quel tavolo.

“Come?”

“Non la trovo una cosa orribile, devo solo correggere i compiti di quella ragazza e aiutarla, poi tornerò. Quanto ci potrà mai volere?”

“Oddio, l’ha già contagiato?” - commentò Cristina ridendo.

Sephora sgranò gli occhi preoccupata chiedendo aiuto a Marco, che scrollò le spalle fregandosene della richiesta.

“Fa quello che vuole.” - si limitò a dire alzandosi dal tavolo.

La mora corrugò la fronte.

“Ma che gli prende?”

Anche Kim si alzò staccandosi il braccio di Sephora da dosso.

“Devo andare anche io.”

“Ci vediamo a casa tua allora? Tua zia mi ha invitata a cena.”

Il ragazzo annuì prima di voltarsi e lasciare la mensa. Appena fuori sbuffò dando un calcio ad uno dei muri del corridoio. 

Stupida famiglia ricca.

 

 

 

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