Unknown's Diary

di fool_dynosaur
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***






P r o l o g o

 

 

 

 

 

Troppo prevedibile diventò il destino. Almeno, per gli occhi di Giulia che perse quasi tutto. La sua famiglia si sgretolò di fronte ai suoi occhi, i suoi fratellini furono portati via da lei lasciandola vuota.

La mattina sospirava, trovando le mura di casa silenziose; la sera tremava, sdraiandosi in un letto freddo e solitario. L’unica cosa che forse l’aiutò a tirare avanti fu sua madre. Da quattro anni, assieme a sua madre, faceva le scalinate del tribunale. Da quattro anni nascondeva ad ogni persona le sue mancanze, ma solo da due anni lasciava il suo dolore scritto in parole sulle pagine di un diario comprato in un negozio qualunque.

Perché ogni tentativo di mostrare la realtà al mondo costò più di quanto Giulia e sua madre potessero mai permetterselo, ma un appartamento ipotecato, le banche che bussavano alla loro porta consumata e i prestiti dagli amici sembravano solo granuli di sabbia.

Sua madre fece l’errore di risposarsi, di cercare di costruire una famiglia che lei non aveva mai avuto.

“Quattordici novembre.”

Giulia sussultò quando i documenti vennero lanciati sulla tavola della cucina. I suoi occhi si rattristarono nel leggere un altro rinvio al giudizio, ciò significò altri soldi spesi al vento, o meglio, in avvocati a cui poco contava il loro dolore.

“Sto cercando lavoro mamma, ma nessun buon lavoro assume una non laureata.”

“Tesoro… - Caterina posò le mani sulle guance di sua figlia, guardandola come un minatore guarda un diamante. - Volevo tanto che tu avessi un’ottima educazione, voglio il meglio per te tutt’ora. Anche per Sara e Leo. Mi dispiace averti impedito quel traguardo.”

Giulia sapeva poco cosa volesse dire famiglia, fu sempre sfortunata in quel punto di vista. Nacque da un matrimonio finito in tragedia, quando il primo marito di Caterina morì sotto un macchinario in cantiere. Il vuoto lasciato nel cuore della vedova fu grande, di certo più dell’assicurazione o il supporto dato dalla dita del marito. Ci vollero tredici anni affinché Caterina trovasse nuovamente l’amore.

Ma quell’amore non sembrava tanto celestiale; si sposarono, ebbero due splendidi bambini che  crescendo diventarono quasi come due bambolotti. Tutto sembrò essere perfetto, e per quello Caterina perse di nuovo. Perché nulla era perfetto e di quello la famiglia ne era a conoscenza. Nemmeno Antonio era perfetto, e per quanto amasse i suoi figli, odiava Giulia, semplicemente perché non era suo sangue. Anche dopo il divorzio trovò dissidio nei suoi confronti, quando la ragazza cercava di incontrare i suoi fratellini soltanto da lontano.

Partì un giorno di febbraio, dopo l’ennesima lite con la moglie, Antonio cercò di cacciare Giulia di casa spingendola verso la porta. Cadendo e rompendosi il braccio, per la madre fu un punto di non ritorno. Il divorzio fu imminente nonostante Caterina fosse distrutta emotivamente. Il scegliere tra la figlia e il marito, prendere una decisione senza ritorno fu come perdere nuovamente un senso di vita. Fu allora che iniziò a perdere la ragione, a sembrare quasi pazza di fronte ai propri cari. Perché per lei, il fatto che il marito non accettasse la figlia, lo rendeva uno stronzo.

Ciò diede l’opportunità ad Antonio di chiamare i servizi sociali, e tutto d’un colpo i bambini si trovarono in tribunale, rispondendo il più innocentemente possibile di fronte a quelle persone sconosciute, senza servire a nulla. I lividi di Giulia vennero dichiarati come procurati dalla madre, violenta e mentalmente instabile da quando perse il primo marito. E mentre le testimonianza false del marito e i suoi famigliari vincevano sempre di più, Caterina crollava. I secondi figli vennero affidati al padre; l’ordinanza restrittivo a causa di continue invasione sgradite arrivò poco dopo, stappando anche l’ultima speranza alla madre di vedere i figli.

Se solo il mondo avesse saputo la verità. Una verità per la quale Giulia e sua madre avevano speso tutto, fino agli ultimi centesimi dei salvadanai. Ci furono giorni in cui mangiare era stata l’ultima preoccupazione. La madre cercava ancora il motivo per vivere: i suoi figli.

“Penso sia sempre peggio. Ho paura di lasciare semplicemente la casa.

Se mia madre dovesse avere pensieri avanzati dalla tristezza della perdita di Sara e Leo, sarebbe colpa mia.”

 

“L'affidamento è suo.”

E quella lotta, quella guerra durata mesi e tutte le lacrime versate fino a quel momento sembrarono inutili. Giulia guardò la madre, vedendo nei suoi occhi solo la disperazione. 

Avevano perso.

E l’ordine di restrizione era dietro l’angolo. Sua madre urlò in tribunale, iniziò prendersela con chiunque. Fu chiusa per una notte in caserma a causa delle aggressioni date ai poliziotti e Giulia l’aspettò lì, seduta su una sedia di ferro.

 

“Ci rimangono solo i sogni.”

 

Da allora lasciò perdere. Giulia iniziò a cercare lavoro e sua madre continuò a sperare, guardando le foto di quando erano felici.


 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


 





C a p i t o l o
U n o

 

 

 

 

“Sono tempi remoti quelli in cui il cibo in tavola c’era tutti i giorni, e le risate rimbombavano tra i muri della nostra casa. Adesso ci sono solo i pianti di mia madre e il silenzio della tristezza.”

 

Giulia aveva solo due amici, un meccanico trasandato nemmeno diplomato e una segretaria mezza pazza piena di tatuaggi che nascondeva il più possibile. Tutt’e tre erano amici di quartiere e amavo tenersi compagnia ed aiutarsi. Per quello Gaia le aveva fatto un prestito senza chiedere i soldi indietro, e di quello Giulia si vergognava tantissimo, ma non poteva farci nulla. Stefano invece si preoccupava spesso se non sempre che lei mangiasse e non saltasse nessun pasto, qualche volta portandole qualcosa a casa. Caterina sapeva che Giulia fosse circondata da persone buone e gentili, e ne era felice, perché era quello che voleva.

“La mamma sta così e così.” - rispose la castana, controllando i soldi in cassa prima della chiusura.

Gaia storse un pochino il naso. Sapeva quando l’amica mentiva, ma non voleva avere una discussione in quel momento. Le sorrise e bussò al vetro che le separava.

“Ho il pomeriggio libero e una grande sorpresa. Ti va di accompagnarmi e farci un tatuaggio assieme?”

Giulia non mosse un singolo muscolo facciale, chiudendo la cassa a chiave. Il suo turno mattutino era finito e aveva una pausa prima di riaprire assieme al proprietario, il signor Giovanni.

“Non ho intenzione di farlo Gaia. Se tu vuoi okay, ma io passo.” - disse scrollando le spalle.

La mora fece il broncio, capendo però l’amica e accettando la sua offerta. Gaia aveva una grande passione per i tatuaggi, ma non quelli a caso. Adorava quelli che avevano significati profondi per lei. E voleva dedicarne uno alla sua amica del cuore, che aveva sopportato tanto e dalla quale è stata sopportata.

“Penso di farlo sulla spalla destra, perché questo sei per me.”

“Una spalla?” - ironizzò la ragazza, prendendo la sua borsa.

“Sei una spalla importante.” - affermò.

 

Il negozio era posto quasi nel centro storico, in una viuzza fatta in pietra molto bella e adornata di luci da un balcone all’altro. In quel Vicolo Anonimo, nel civico trentasei c’era il negozio di tatuaggi “Heaven’s Ink”. Giulia fissò bene l’entrata, sembrando molto cupa e stile dark in confronto al vicolo così bello. Gaia entrò salutando il ragazzo al bancone, sembrando amici.

“La mia sorellina è qui!” - esclamò il ragazzo tatuato, abbracciandola da dietro il bancone.

“Ti presento la mia amica, Giulia. Oggi l’ho portata per farle prendere aria nuova. Chissà…”

Il ragazzo la guardò e sorrise, mostrando il piercing al labbro. Anche Giulia cercò di sorridere, ma rimase un po’ pietrificata. Lei era abituata al mondo acqua e sapone e alle persone pulite. Non voleva pregiudicare, ma doveva farci l’abitudine.

“Kim c’è?”

“Certo, sarà lui a tatuarti come sempre, no?”

Gaia lasciò la borsa sul divanetto all’ingresso e si raccolse i lunghi capelli chiari.

“Io preferisco rimanere qui ad aspettare.”

Si guardarono negli occhi e Giulia annuì, come se volesse confermare cosa detto in precedenza. Gaia alzò le spalle e sparì nel corridoio, lasciando la ragazza con il tipo strano. Si iniziò a sentire nell’aria un certo imbarazzo, così anche il ragazzo dai capelli tinti sparì nel corridoio. Giulia si sedette sul divanetto rosso e prese dalla borsa il diario. Sospirò, prendendo la penna da taschino ed iniziando a buttare giù le frustrazioni di quella mattina. Dalla madre che si era svegliata urlando agli incubi fatti. Il pensiero che non avrebbe nemmeno pranzato dato che stava ad aspettare l’amica le fece brontolare lo stomaco, ma le andava bene così. Era già da un po’ che desiderava dimagrire qualche chilo. Il tempo passava così come le righe del suo diario. Per Giulia era una liberazione poter parlare di tutto senza che nessuno lo sapesse.

Si sentì un urlo che la fece sussultare. Chiuse il diario e lo poggiò sul bordo del divanetto. Un po’ titubante andò verso il corridoio ma Gaia le venne incontro, mostrandole subito la spalla. Dalle linee sottili e molto eleganti, c’erano due gigli stilizzati. Erano i fiori preferiti sia di Giulia che di Gaia, una cosa che le aveva accomunate all’inizio della loro amicizia.

“Complimenti.” - disse la ragazza, quasi commuovendosi.

Gaia corse verso la propria borsa, spostando tutto per prendere il telefono.

“Fagli una foto per favore, la voglio pubblicare.”

“Tu e questi social.” - rispose l’amica alzando gli occhi al cielo.

“Alessio, Kim fa sempre i lavori migliori.” - si complimentò con il ragazzo, prendendo il portafogli.

Gaia coprì il tatuaggio, e prese le sue cose intimando all’amica di sbrigarsi, da poter avere tempo per pranzare assieme. Giulia prese di fretta la borsa e salutò andandosene, senza poter dimenticare il bellissimo gesto di Gaia. Aveva già in mente di regalarle qualche giglio la prossima volta che si sarebbero viste. Pranzarono in una rosticceria e dopo le loro strade si divisero per quella giornata. Giulia arrivò in anticipo al lavoro, finì il suo turno alle dieci, chiuse il negozio e camminò verso casa nel suo quartiere. A quell’ora le strade erano buie e nessuno girava più, ma ormai lei ci si era abituata.

 

“Kim, è tuo questo?”

Il ragazzo si girò verso Noemi e guardò il diario rosa. Alzò un sopracciglio senza neanche parlare. La ragazza, abituata al trattamento freddo del ragazzo nei confronti di chiunque, decise di lascir perdere.

“Allora di chi è?”

“Magari un cliente l’avrà dimenticato. Lascialo sul bancone, sicuramente torneranno a prenderlo.” - rispose Alessio, riponendo al suo posto l’ultimo scatolone.

“No. - tutti si voltarono verso Kim. - Dallo a me.”

Noemi alzò le spalle, poi glielo consegnò. Non sapevano di chi fosse e poco gliene importavano. Inoltre, chi avrebbe mai lasciato un diario senza lucchetto o qualche protezione? Noemi se n’è andò poco dopo, seguita da Alessio che salutò il proprietario. Kim rimase per un po’ da solo, aprendo il diario ed iniziando a leggerlo. Odiava leggere in realtà, lo trovava noioso, ma era incuriosito dai fatti degli altri.

Kim era un tipo curioso, ma menefreghista sulle cose più inutili a detta sua. Era molto protettivo sulle persone che amava e odiava la gente in cravatta. Preferiva vestirsi di nero e la sua passione erano i tatuaggi. Non era quasi mai aggressivo e una sua debolezza erano le bugie. Più leggeva quelle pagine e più rimaneva coinvolto dal suo contenuto, rimanendone sbalordito. C’era un’intera vita raccontata lì dentro, alcune volte con dettagli, altre volte con sbavature a causa delle lacrime. Quello che Kim capiva era che ci fosse tanta sofferenza e solitudine. Come lo era stato lui in passato. Chiuse il diario e lo portò con sé, serrò la porta d’ingresso e salì sul motore.

 

“No mamma, non è qui! Non è nemmeno nella borsa, né in camera. Non è da nessuna parte!” - urlò, disperata.

Il fatto che avesse perso un pezzo così importante di lei la lasciava senza fiato, voleva veramente morire e sotterrassi sotto metri di terra se qualcuno l’avesse letto. Aveva scritto ogni attimo brutto e bello della sua vita , dalla separazione dei suoi in poi. Non poteva lasciare che qualcuno lo leggesse. Si auto rimproverava per essere stata così sbadata. Che le fosse caduto in rosticceria? Per terra? Mentre tornava a casa? Dal tattuatore? Decise che avrebbe chiesto la mattinata libera per cercare il suo prezioso diario, anche se sicuramente quella notte non avrebbe dormito.


 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


 

 


C a p i t o l o
D u e

 

 

 

 

 

Kim aveva letto ogni pagina di quel diario, fino all’ultima virgola. E ogni riga in più lo faceva stare male. Non sapeva chi fosse quella persona, sicuramente una ragazza, ma si sentiva quasi in colpa nel sapere che non poteva fare nulla. Qualcosa voleva farlo, ma doveva sapere di chi fosse quel diario, di chi fossero quei segreti.

 

“Il cuore spezzato fa più male di un osso rotto. L’ho vissuto sulla mia pelle. Per quanto all’inizio fisicamente tu possa stare male, i pezzi del tuo cuore non torneranno insieme.”

 

Non gli piaceva quel colore rosa confetto, il che lo faceva pensare a una ragazza molto infantile, ma era stupido pregiudicare da quelle cose. Sospirò, posando il diario sul bancone. Di certo la persona in questione lo sarebbe venuto a cercare e avrebbe potuto associare un volto a quel carattere. Non si aspettava a una ragazza carina e ben curata, oppure riccona e troppo snob, ma aveva le idee confuse.

 

Giulia non aveva chiuso occhio. Nonostante avesse sonno e sentisse gli occhi pesanti e bruciarli. Il pensiero era continuamente al suo diario. Era un pezzo importante per sé, e non averlo la faceva stare abbastanza male. Non riuscì nemmeno a fare colazione e uscì di casa più presto del solito. Mandò un messaggio al signor Giovanni, cercando di spiegarli le cose senza andare nei dettagli. Sicuramente non avrebbe capito se gli avesse parlato del diario, perciò parlò di sua madre e dei favori che doveva fargli. Ma il proprietario non poté concederglielo.

“Dannazione, che devo fare?”

Ad aspettare la fine del turno, a pranzo, non avrebbe avuto tempo per pranzare e ripercorrere i suoi passi. Decise di rinunciare al suo pranzo. Aveva uno stress che si stava accumulando sempre di più, sentiva i suoi muscoli contrarsi sempre e il suo cuore battere in modo irregolare. Per tutto il tempo la sua testa era da un’altra parte, diverse volte sbagliò i conti nella valutazione. Sapeva di non fare un buon lavoro, e non ne andava per niente fiera.

“Ah, quella cosa rosa che ti portavi dietro sempre?”

“Non è una cosa rosa. E’ il mio diario importante.”

Stefano chiuse la portiera della macchina, guardandola da più prospettive.

“Qui non c’è niente di rosa, come vedi bambola.”

Giulia alzò gli occhi al cielo, poi salutò l’amico. Non poteva perdere tempo così con uno scemo. Gli voleva un mondo di bene, ma in quel momento aveva la testa da un’altra parte. Gonfiò le guance e si incamminò verso la stazione degli autobus. Non aveva la patente, perché non se la poteva permettere, quindi fece il biglietto e aspettò. Era la stessa cosa che aveva fatto con Gaia il giorno prima, ma sicuramente non l’aveva perso sul bus. Guardò il telefono per capire quanto tempo aveva, e non era dalla sua parte. Si fermò poco più in là, tornando al lavoro.

“Ho appena sprecato due euro.” - disse a se stessa, volendosi strappare i capelli già corti.

Si mise al lavoro poco dopo, assieme al signor Giovanni che le ripeteva in continuazione quanto i furti nel quartiere fossero aumentati. Di certo Giulia non ne era contenta e anche il fatto che potessero rapinare il Compra Oro in cui lavorava le fecero venire i brividi. Sospirò per l’ennesima volta.

“Cosa c’è figliola?”

“Può… - cercò di dire, ma penso al fatto che il proprietario era anziano, e se avessero davvero rapinato il negozio, non poteva lasciarlo da solo la sera. - Nulla. Va tutto bene. Possiamo chiudere prima allora questa sera? Dovremmo anche informarci su alcune telecamere di sicurezza.”

Il signore le sorrise, accettando la sua proposta.

Almeno con le telecamere avremmo una protezione in più - pensò la ragazza, aiutando l’anziano a chiudere la cassaforte.

“Buona serata a lei.” - disse la ragazza, prima di correre via.

Comprò il solito biglietto dell’autobus, aspettò il numero e salì in fretta, sperando che il negozio di tatuaggi fosse ancora aperto. Ma una volta arrivata lì, era già chiuso. L’aspetto del vicolo era più cupo, le luci non erano accesse e solo grazie alla luna si intravedeva qualcosa. Giulia diede un pugno al muro per la rabbia, iniziando a piangere per la frustrazione. Sembrava troppo la sua reazione, ma quel diario era tutto, e il pensiero che qualcuno lo leggesse le dava fastidio.

Quella notte sua madre ebbe un attacco di panico, la mattina dopo si alzò in ritardo. Dovette rimanere aperta anche a pranzo per recuperare le ore perse, il signor Giovanni non venne il pomeriggio, facendola chiudere da sola.

“Gaia?”

Dall’altra parte del telefono si sentivano molte voci.

“Scusa, ho appena finito al lavoro. E’ successo qualcosa?”

Giulia titubò un po’ prima di aprirsi con lei.

“Penso che quando siamo andati dal tattuatore abbia dimenticato lì un taccuino che mi serve per lavoro.”

Era vero, Gaia era la sua migliore amica. Ma non poteva dirle nulla del diario, o avrebbe voluto sapere tutto. Stefano dall’altro canto la capiva, e le lasciava i suoi spazi. Gaia era più estroversa e curiosa.

“Oh, ma perché non lo hai detto prima? Chiamo Alessio e me lo faccio consegnare.”

“Oddio no. - si affrettò a dire, pentendosi. - Volevo dire: puoi chiedere se possono aspettare cinque minuti questa sera che passo io?”

Gaia si accigliò un attimo, ma decise di non dire nulla al riguardo. Acconsentì e la salutò, prima che il collega le potesse chiedere gli orari di domani. Giulia si massaggiò il collo, cercando di rilassarsi. Almeno aveva una soluzione al problema enorme che si era creato. Chiuse come sempre alle nove e si incamminò verso il negozio. Decise di non prendere il bus ma di correre il più possibile, per risparmiare almeno quei pochi euro. Le sue scarpe da tennis consumate non l’aiutavano ma il pensiero di riavere il suo diario era l’unica cosa che la faceva correre in quel modo. Percorse il viale storico pieno di gente a passeggio ed entrò nel vicolo poco illuminato.

Di giorno è mille volte meglio - pensò Giulia, cercando il negozio di tatuaggi. Una figura scura che non aveva intravisto prima si mosse, facendola urlare. Si rannicchiò per terra, vicino alla porta d’ingresso di un’abitazione e iniziò a tremare.

“Non ho soldi, vai via!” - esclamò, scalciando con un piede.

Kim aggrottò la fronte, rimanendo a debita distanza dalla psicopatica.

“Sei Giulia, l'amica di Gaia?”

Sentendosi chiamata, alzò la testa lentamente. Non riusciva a vedere bene il ragazzo data la scarsa luce, ma aveva una capigliatura molto folta e disordinata. Il fatto che fosse vestito completamente di nero l’aveva mimetizzato con il buio che c’era e lei non l’aveva notato subito. Ciò non le dava tutta la fiducia che doveva avere per alzarsi e presentarsi.

“Ma chi sei?” - chiese, sentendo persino lei quanto le tremasse la voce.

Lui si allontanò fino alla moto, dove tirò fuori il diario.

“Mi sembra che questo sia tuo.”

Gli occhi di Giulia si strinsero per cercare di capire cosa stesse succedendo.

“Cos’è?”

Kim schioccò le dita.

“Giusto. Usciamo fuori da qui.”

Lei scosse la testa a quell’affermazione.

“Non ti azzardare.”

“Quindi preferisci rimanere in un vicolo buio con uno sconosciuto.” - ironizzò, sventolando il diario rosa.

“Certamente no. - rispose alzandosi, per poi camminare a testa alta verso l’uscita. - Ecco.”

Kim la guardò sotto la luce del lampione. Non era la solita la ragazza con cui si approcciava. La sua pelle era pallida e con alcune imperfezioni, i suoi capelli castani corti fino alle spalle e la fronte coperta dalla frangetta. Aveva le spalle piccole e fragili, le gambe lunghe e snelle, un corpo fin troppo asciutto. Il ragazzo ripensò al contenuto del diario e capiva che quella ragazza corrispondeva pienamente a ciò che era scritto. I suoi occhi urlavano sofferenza e il suo corpo lo dimostrava. Giulia incrociò le braccia, bramosa di riavere il suo diario indietro. Kim la raggiunse, mettendosi anche lui sotto la luce del lampione, all’angolo dell’incrocio. Quasi nessuno passava di lì e l’aria fredda pungeva il viso scoperto della ragazza. Del resto, quell’autunno era più aggressivo del solito. I loro occhi si scontrarono sotto quella luce artificiale e Giulia perse un battito. Il suo respiro si mozzò e sentiva uno strano formicolio salirli dal naso fino agli occhi, come se stesse per piangere. Kim era di una bellezza che lei non aveva mai visto. Quei capelli corvini e scompigliati, gli occhi neri che non distinguevano la pupilla dal resto e quella forma un po’ a mandorla che gli dava un’aria asiatica, il viso pulito e la pelle leggermente abbronzata. Le sue dita erano tatuate con strane lettere greche e le sue orecchie piene di piercing.

“Il tuo diario, l’hai lasciato da me.”

Giulia sbatté gli occhi come risvegliata dal trance, passandosi le mani sul viso. Se prima avesse un grande discorso di scuse e tutto da dire, in quel momento aveva un gomitolo confuso di parole nella testa. Guardò per terra imbarazzata, e cercò di mandare giù il disagio.

“Grazie. Ho una sola domanda, e mi scuso per quello che sto per dire ma, non hai letto nulla giusto?”

Il ragazzo sorrise divertito dalla domanda.

“Certo che si.”

Lei cambiò completamente faccia. E improvvisamente, dal celestiale ragazzo tatuato che vedeva, si era trasformato in un spocchioso stronzo senza precedenti. Lo colpì con il braccio, cercando di far capire tutta la sua rabbia. Colpo che a Kim non procurò nemmeno un pizzico di dolore.

“Ma come ti permetti? Ridammelo.”

Kim alzò il braccio, mostrando tutta la differenza di altezza che c’era tra i due. Giulia non voleva fare la ragazzina elementare e cercare di prenderglielo, sapendo che non ci sarebbe riuscita, perciò lo guardò solamente, aspettando.

“Sei una ragazza straordinaria Giulia. La vita ti ha dato ciò che non merita nessuno.”

Lei alzò gli occhi al cielo, guardandolo senza dire nulla. Provava rabbia, tristezza, e voleva tanto piangere per quello che stava dicendo il tattuatore. Non cercava la compassione della gente, nemmeno le loro belle parole. Giulia non voleva niente da nessuno.

 

“Ho paura di perdere la mamma cosi come ho perso loro due. Avrei preferito non nascere piuttosto che vedere la sua sofferenza.”

 

“Ti pregherei di non-“

“Vorrei il tuo numero.”

“Come scusa?”

“Vorrei avere il tuo numero. Tenermi in contatto con te. Io so ogni cosa di te, tu non mi conosci.”

“E chi ti dice che io voglia conoscerti?”

Lui fece un mezzo sorriso, grattandosi la guancia.

“Istinto.” - rispose, lasciando Giulia senza parole.

D’altronde, cosa aveva lei da perdere? Di certo la rabbia per il fatto che sapesse ogni suo singolo segreto la pungeva sul vivo, ma la tentazione di conoscere un ragazzo così carino era molto grande. Scosse la testa.

Non devo di certo farmi sopraffare dagli ormoni - pensò.

“Vedi il mio telefono? - chiese, mostrando il tuo telefono Motorola antico - Non posso avere social e cose così. Posso solo chiamare e messaggi normali.”

Kim non rimase per niente scioccato.

“Lo so, nel diario c’è scritto.”

“Oh.” - concluse lei, volendo sottrarsi per l’imbarazzo.

Persino lei si era dimenticato di aver scritto certe cose. L’imbarazzo l’assalì al pensiero e le sue guance si tinsero di rosso.

“Ma non importa questo. Non giudico le persone dal telefono.”

Le porse il suo telefono touch, facendole segno con la testa. Era un telefono grandissimo, di ultima generazione sicuramente. Giulia non ne sapeva nulla di telefoni perché non se ne interessava, ma quello era un telefono davvero bello. Lo fissò a lungo prima di iniziare a digitare il suo numero. Non sapeva se si sarebbe pentita o meno. D’altronde stava dando il suo numero a uno sconosciuto, mentre per lui, lei non era affatto una sconosciuta ormai.

“Tieni.”

Kim la guardò negli occhi prima di sorriderle sinceramente.

“Grazie.”


 

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