Wounded Wings

di Fleurs Captives
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lividi sul viso ***
Capitolo 2: *** Cambio di prospettiva ***
Capitolo 3: *** Rinascita ***



Capitolo 1
*** Lividi sul viso ***


Wounded Wings
Capitolo 1 – Lividi sul viso

 
Se chiudo gli occhi… riesco a vederlo. Vedo il viso di un angelo… sorride, ma è triste. I suoi occhi sono umidi. Il suo volto è cosparso di contusioni. Formano quasi una costellazione. I suoi capelli sono davvero molto rossi. La sua bellezza toglie il fiato… ma i lividi sul suo viso hanno deturpato quella bellezza, che appassisce prima del tempo. I suoi occhi madidi mi osservano.
Chi è...  quell’angelo?

 
« Lydia! LYDIA! Dannazione, dove diavolo sei finita?! »
 
Oh, già… eccolo. Ecco il motivo… per cui l’angelo dai capelli rossi è triste.
 
Due palpebre alabastrine si schiusero con lentezza, focalizzando una dolorosa realtà. Una giovane dal niveo incarnato e dal volto segnato dalla rassegnazione era stata richiamata a gran voce. I suoi capelli erano davvero molto rossi, folti, lunghi ed animati da un gradevole movimento ondulato. L’uomo che l’aveva richiamata a sé non era affatto compiaciuto in quel momento. Lord Jorgen la fronteggiava, imponente e terrificante come ogni volta.
« Farai meglio a darti una mossa! Abbiamo ospiti a cena, te lo ricordi, ah? Ti consiglio di non mettermi in imbarazzo, questi uomini vogliono mangiare bene! E ora muoviti! » esortò l’uomo dal rugoso e ripugnante viso, spingendo con ben poca grazia la più giovane verso il legnoso tavolo da cucina. Quest’ultima finì bruscamente contro di esso, mentre alle proprie spalle l’anziano signore si allontanava.

Giunse la sera. Copiose gocce di sudore imperlavano la fronte della rossa, che aveva trascorso l’intero pomeriggio a preparare la cena per i tanto attesi ospiti.
La sala, ove il ricevimento si sarebbe tenuto, si riempì rapidamente.
« Ehi, Askeladd! Ti trovo bene. »
« Come sempre, Jorgen! Ma non posso dire lo stesso di te… hai messo su peso, ah? »
« Non mi faccio mancare niente! Mangio bene e resto in salute! »
Un uomo aveva fatto la sua comparsa. Un uomo dai capelli biondi, una barba dal taglio corto che attorniava le sue labbra e due occhi sottili, dall’aspetto scaltro e dalla tonalità cerulea. Dimostrava più anni di quanti ne avesse realmente.
Apparentemente, era lui l’ospite d’onore, fidato mercenario alle dipendenze di Lord Jorgen, sebbene vi fosse una schiera di corpulenti soldati al suo seguito. Lydia poté approssimativamente osservarli tutti, mentre trasportava con ambo le mani un vassoio di aringhe affumicate e lo posava sull’ampio tavolo presente in sala. Ma il proprio sguardo si soffermò sulla figura dell’uomo che stava intrattenendo una conversazione con il proprio padrone. Lo osservò a lungo, finché questi non si accorse di avere due occhioni pregni di amarezza puntati su di sé. Fu allora che il vecchio nobile, come se si fosse inspiegabilmente accorto di quello scambio di occhiate, richiamò l’attenzione della giovane, invitandola con poca gentilezza ad avvicinarsi ai due.
« La vedi questa qui? L’ho acquistata un mese fa. Non dice una parola, sta sempre muta. Mi ha parlato solamente una volta, per dirmi il suo nome. Eppure la lingua ce l’ha, non gliel’ho mica tagliata! E’ vero o no, ah? » chiese, rivolgendosi alla più giovane; la sua voce era roca e feroce. Egli le afferrò ambo le guance con una sola mano, stringendole tra loro.
« E’ carina, no? Non se ne trovano più di così carine in giro. Andiamo, di’ qualcosa, stronzetta. Parla! Saluta Askeladd, è nostro ospite, sii educata. » Jorgen continuava a comprimerle le gote con quelle sue grosse e grinzose mani, forzandola a voltarsi verso l’appena menzionato ospite. Ma dalle labbra di Lydia non fuoriuscì alcun suono, non una parola. Si limitò a fissare lo sconosciuto, con uno sguardo che domandava tacitamente aiuto. Askeladd, a sua volta, rimase in silenzio. Non fece altro che ricambiare nuovamente lo sguardo della rossa. Non stava gradendo in modo particolare quello spettacolo, ma preferì tacere in merito. Non erano affari che lo riguardavano, infondo. Nel mentre, irritato per non aver ricevuto alcuna risposta, Lord Jorgen perse la pazienza, decidendo di allontanare da sé la fonte del suo nervosismo. Con un gesto estremamente brusco, la spintonò violentemente via, facendola finire sul pavimento. Una serie di risate, provenienti da punti disparati della sala, si fece udire. C’era chi aveva gradito quel breve spettacolo. Askeladd, invece, pareva alquanto impassibile, ma c’era qualcosa in lui che lo stava rendendo particolarmente inquieto.
« Sei una schiava inutile, maledizione! Servi il resto delle portate e poi levati di mezzo, Lydia! » gridò Jorgen, sull’orlo di una crisi di nervi. Ma fu all’udire di quel nome che un lieve sobbalzo colse l’animo dello stoico Askeladd, le cui mani si strinsero in pugno. Nel mentre, la fanciulla si limitò a rialzarsi, con fatica, per poter obbedire al comando. E scomparve ancora una volta nelle cucine.
La serata riprese così normalmente, Jorgen si avvicinò nuovamente al suo uomo di fiducia, ma quest’ultimo rimase inspiegabilmente teso per tutta la sera. Comunque, nessuno parve badare troppo alla cosa. Erano tutti troppo ubriachi e paghi della lauta cena, per farci caso.
Calò la notte. Il ricevimento era ormai terminato e gli ospiti si erano ritirati negli alloggi che erano stati loro offerti. Ma non proprio tutti. Askeladd, che quella notte pareva assalito da indecifrabile inquietudine, aveva deciso di fare qualche passo nell’ampio giardino che circondava il palazzo, per rimettere in ordine quel groviglio di pensieri che affollava la sua mente.
Frattanto, esausta, la giovane schiava si trovava ancora nelle cucine, intenta a rassettare e ad ultimare le faccende rimaste. Fu quando decise di abbandonarsi ad un silente sbadiglio, che qualcosa di impetuoso ed inarrestabile le afferrò con ferocia una ciocca di capelli che partiva dalla fronte.
« Sbaglio o ti avevo detto di non mettermi in imbarazzo, mh? Che cerchi di fare?! Di mettermi in ridicolo?!? » Lord Jorgen era lì, alle sue spalle, l’aveva tirata a sé. Lydia percepiva il suo disgustoso respiro sul proprio collo, il suo fiato odorava di alcol.
« Adesso me la paghi. » asserì egli con fermezza, il suo tono non lasciava presagire nulla di buono. Con quella stessa, precedente presa ai ramati capelli della giovane, la trascinò con veemenza, fino a farla scontrare con il vetro di una delle ampie finestre presenti. Lydia tentò di parare il colpo inchiodando ambedue le mani contro quei vetri, ma il corpo dell’uomo premeva ugualmente contro il suo ed ella non aveva scampo.


No… no… sta succedendo ancora. Che cosa posso fare… cosa? Angelo dai capelli rossi… perché resti fermo ad osservarmi e a piangere? Perché… non puoi aiutarmi?


Le villose mani dell’uomo presero a percorrere forsennatamente il corpo della schiava. Con famelico ardore, strapparono via facilmente i logori stracci da ella indossati, ed il suo corpo rimase nudo, vulnerabile, privo di difese.
« Lurida puttanella… mi fai impazzire… » le parole dell’uomo erano viscide, così come la sua lingua, umida e fetida, che percorse avidamente il collo della giovane. Non era certo la prima volta in cui Jorgen prendeva possesso del corpo della fanciulla in quel modo, eppure Lydia non era ancora riuscita ad avvezzarsi all’odore nauseante che la bocca del vecchio nobile emanava. Dovette serrare le palpebre ed afferrare con gli incisivi il proprio labbro inferiore quando lo sentì introdursi in lei. Era doloroso ed insopportabile come la prima volta in cui accadde. Non le rimaneva che attendere che quella tortura terminasse, sebbene alle volte pareva non avesse mai fine.
I minuti trascorrevano e man mano i movimenti dell’uomo si facevano più rapidi ed energici. E mentre la rossa attendeva che la conclusione di quel supplizio giungesse, qualcosa, aldilà dei vetri di quella finestra, catturò la propria attenzione. Qualcuno stava osservando la scena. Qualcuno che ella aveva già visto prima. Degli occhi sottili, scaltri e cerulei erano proiettati verso quel degradante spettacolo. Askeladd, che stava per terminare la sua camminata notturna, si ritrovò involontariamente ad assistere a ciò che si stava consumando dietro i vetri di quella finestra. E così i suoi tentativi di soffocare quei pensieri invasivi andarono totalmente in fumo. C’era qualcosa di inspiegabile in quella fanciulla dalla chioma ramata. Qualcosa che rievocava nell’uomo ricordi dolci, ma al contempo dolorosi. C’era qualcosa in quegli occhi pregni di disperazione che, dall’alto di quella finestra, avevano incontrato i suoi, e che ancora una volta gli chiedevano aiuto. Qualcosa che, dopo attimi di esitazione, lo indusse a distogliere lo sguardo, ed a cambiare strada. Aveva passeggiato abbastanza.
Per l’ennesima volta nella sua vita, Lydia si sentì abbandonata dal mondo intero, mentre guardava lo sconosciuto allontanarsi inesorabilmente.
Nessuno era lì per aiutarla. Nessuno. Neppure l’angelo dai capelli rossi.
Realizzò di non avere via d’uscita, mentre l’uomo alle proprie spalle raggiunse il suo culmine, senza badare a risparmiarsi. Si allontanò da lei con ben poche cerimonie, gettandola via come un vecchio straccio. Lydia si accasciò al suolo, priva di forze e di difese, conscia di non avere nessuno al mondo disposto a combattere per lei.


E’ davvero buffo… ora l’angelo dai capelli rossi non è più l’unico… a star piangendo.

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Capitolo 2
*** Cambio di prospettiva ***


Wounded Wings

Capitolo 2 – Cambio di prospettiva
 
Come ogni mattino, il sole si innalzò in cielo. I suoi raggi penetrarono attraverso le imposte di una finestra malridotta, colpendo inevitabilmente le palpebre serrate di una Lydia dormiente. Le prime luci dell’alba la destarono da quel sonno, come ogni giorno. Ma sveglia o addormentata non faceva alcuna differenza per lei. Durante il sonno, ogni notte, faceva incubi ricorrenti. Durante il giorno, la realtà era anche più spaventosa e dolorosa, e le costanti visioni di un angelo taciturno e piangente, che la fissava tutto il tempo senza aprir bocca, non le rendevano certo più sopportabile quell’esistenza infernale. Difatti quella notte aveva faticato parecchio ad addormentarsi, ed il sonno che tanto disperatamente riuscì infine ad ottenere era stato tormentato e sofferto.
Si sollevò da quello scomodo giaciglio, accingendosi ad affrontare l’ennesima giornata vuota e priva di uno scopo. Si diede una sistemata approssimativa e si recò rapidamente nelle cucine per dedicarsi alla preparazione della colazione, mentre il resto dell’abitazione era ancora silenziosa e dormiente.
Trascorsero poche ore, l’atmosfera si fece più movimentata. Quegli omoni non vedevano l’ora di iniziare la giornata con i loro stomaci pieni ed appagati e Jorgen sembrava compiaciuto all’idea di poter offrire loro ciò che desideravano senza far fatica. Per lui era tutto perfetto.
Una volta servita la colazione, la giovane schiava si apprestò a proseguire nel resto delle faccende di sua competenza. Sistemò le loro stanze, quegli uomini non conoscevano il senso della misura e vivevano nella sporcizia e nel disordine.
Si ritrovò poi nell’ultima camera rimasta, l’unica apparentemente meno devastata delle altre. Non le parve vero di aver quasi terminato la gran parte del lavoro, ma iniziava a percepire dell’improvviso torpore. Pensò che fosse dovuto alla mole di lavoro decisamente raddoppiata, ma c’era dell’altro che ella si sforzava di ignorare.
D’un tratto, alle proprie spalle si udirono dei passi in avvicinamento. Lydia non ne conosceva la provenienza, ma ciononostante la indussero a sobbalzare. Si voltò con uno scatto in direzione della porta, notando una presenza familiare: Askeladd, l’uomo della sera precedente, era fermo sulla soglia d’entrata, lievemente sorpreso; probabilmente non si aspettava di trovare la giovane donna nella sua stanza.
I due rimasero per diversi istanti a fissarsi, incapaci di aprire bocca. Askeladd era ben conscio di cosa fosse accaduto la notte precedente, lo aveva visto con i suoi occhi. Negli sguardi di entrambi vi era tacita consapevolezza.
« Uh… devo soltanto prendere una cosa, poi mi levo di torno. » si giustificò in tal maniera l’uomo dagli occhi scaltri, mentre prese ad incamminarsi verso un sacchetto posato su una panca in legno. Lydia rimase silente come al solito, ma smise anche di operare. Senza un apparente motivo, seguiva attentamente ogni movimento compiuto da quell’uomo, quasi come se ne fosse ipnotizzata. Si trovava china sul pavimento mentre continuava a fissarlo. Accortosi di essere osservato, Askeladd si voltò a propria volta nella sua direzione, e fu in quel momento che le iridi ambrate della giovane slittarono altrove. Egli era davvero perplesso.
Lydia si forzò quindi a concentrare l’attenzione sul compito che stava precedentemente svolgendo, decidendo di rialzarsi da terra. Ma le cose non parvero andare secondo i piani: nel risollevarsi, la forza nelle proprie gambe sembrò d’improvviso soccombere. La vista divenne annebbiata, sentì d’un tratto il proprio corpo appesantirsi e cedere inesorabilmente, accasciandosi all’indietro. Il sottoposto di Jorgen, dal canto suo, era alquanto allibito ed indeciso sul da farsi per i primissimi istanti. Ma riuscì a scattare verso di lei appena in tempo per impedirle di toccare terra a peso morto. Non poteva rimanere lì inerte e con le mani in mano, infondo.
« Ehi, ehi! Stavi cercando di spaccarti la testa o cosa? Ma che diavolo ti piglia all’improvviso?! » Askeladd cercò di scuoterla come più poté, abbrancando con ben poca grazia le sue esili spalle; aveva dei modi tutt’altro che cavallereschi, come d’altronde si addiceva ad un guerrirero vichingo, quale egli era, ma per lo meno aveva avuto la discrezione di intervenire prontamente in soccorso della sventurata fanciulla. Quest’ultima, dopo diversi scuotimenti, parve riacquistare i sensi, risollevando con lentezza le pesanti palpebre. Quando i loro sguardi si incrociarono per l’ennesima volta, l’uomo dall’ispida barbetta fu avvolto da una curiosa sensazione, la stessa che aveva provato nel momento in cui aveva udito per la prima volta il suo nome, la stessa di quando l’aveva vista umiliata, maltrattata ed infine violata. Quella ragazza suscitava in lui memorie che avrebbe decisamente preferito non rievocare.
« Beh? Come ti senti? » chiese, pareva sorprendentemente allarmato. Come forse avrebbe dovuto aspettarsi, Lydia non fornì alcun responso. Aveva ripreso conoscenza, ma probabilmente avrebbe preferito immergersi in uno stato comatoso piuttosto che tornare alla realtà. Evidentemente, però, Askeladd si aspettava davvero di ricevere una risposta rapida, sebbene avesse ormai appurato che quella graziosa giovane fosse tutt’altro che loquace.
« Certo che Jorgen ha ragione, è veramente irritante parlare e non ricevere risposta. Si può sapere perché diamine non--... » dovette interrompere quel suo breve soliloquio, quando si accorse di qualcosa di strano. Il volto della schiava era irrorato di rapide ed inarrestabili lacrime, il suo sguardo era perso, vacuo. Lo stupore provato dall’uomo lo indusse ad allentare inconsapevolmente la presa alle sue spalle, e così la rossa si lasciò scivolare debolmente verso il basso, finendo inginocchiata sul pavimento, ai suoi piedi. Askeladd era semplicemente sbigottito e senza parole, si era messo in una situazione complessa, dalla quale sentiva però di non poter fuggire. O forse, semplicemente, non desiderava realmente farlo.
« Ti fa vivere un inferno, è così? » le domandò, il suo tono parve d’improvviso più mansueto. Si piegò sulle ginocchia, tentando di raggiungere la stessa altezza della rossa, che tuttavia non lo guardava.
« Ho assistito a quello che è successo questa notte, ma lo sai già. E a giudicare dall’aspetto devastato che hai non doveva nemmeno essere la prima volta. Credi sul serio di poter continuare in questo modo? Ti sta uccidendo lentamente. »
A seguito di quel quesito, il silenzio continuò a farla da padrone. Lydia non pareva intenzionata ad aprir bocca, il suo sguardo era fisso verso il basso, sembrava che non lo stesse neppure ascoltando. Sembrava pietrificata.
A quel punto, seccato, Askeladd lasciò andare un esasperato sospiro. Si risollevò in piedi.
« Va bene, basta così. Ho già perso fin troppo tempo. » dichiarò infine, stanco di quella situazione. Decise quindi di incamminarsi verso l’uscita della stanza.
« Il destino… governa le nostre vite. » d’un tratto una voce, flebile e soave, che mai prima aveva udito, interruppe la sua avanzata. Quasi totalmente incredulo, egli si voltò verso la fonte di quella voce. La schiava era ancora inginocchiata sul pavimento, il suo sguardo ancora proiettato verso il basso, ma per la prima volta in sua presenza, quelle rosee labbra si erano schiuse e da esse un docile suono era fuoriuscito.
« Se il destino ha voluto questo per me, allora io… non posso oppormi. » continuò la giovane, ora rivolgendogli finalmente il proprio madido guardo. Askeladd smorzò una risata piuttosto enigmatica, dopo qualche secondo di evidente sbigottimento.
« Oooh, allora parla! » riconobbe giocosamente, ma pochi istanti dopo il suo volto sembrò incupirsi nuovamente ed egli tornò a rivolgerle le spalle.
« Quante stronzate. Se avessi lasciato che il destino decidesse per me, a quest’ora io non sarei… » si interruppe, era meglio così. Strinse una mano in pugno e rimase in silenzio per pochi attimi, prima di riattaccare a parlare.
« Prendi in mano la tua vita. Solamente tu sei in grado di farlo. Se non farai al più presto qualcosa per afferrarne le redini… sarà la tua vita a manovrare te. »
Lydia era ammutolita. Fissava quell’uomo senza fiatare. Ascoltava silenziosamente quelle parole mentre contemplava la sua figura, che in quel momento pareva aver preso a brillare di luce propria. Ancora silenzio, diversi secondi trascorsero, riempiti unicamente dal canto di un merlo che si aggirava attorno alla finestra di quella stanza.
« Che cosa posso fare io? Non ho la forza necessaria per fare niente. » chiese la giovane, d’improvviso, rompendo quel silenzio. Askeladd si voltò nuovamente verso di lei.
« Comincia a domandarti cosa non puoi fare. Rimanere ferma e lasciare che la tua tortura continui in eterno rientra fra le opzioni. Agisci. Se rimarrai ferma non avrai scampo. Forse è vero, il destino governa le vite degli uomini. Ma ciò non impedisce agli uomini di detronizzare il maledetto destino e mettersi a capo delle loro stesse vite, o no? » era dannatamente diretto e colpiva dritto in ogni punto. Lydia era incapace di replicare a quelle parole.
« Combatti per la tua libertà, riprenditi la vita che ti spetta. Se sarai in grado di farlo, se sarai capace di afferrare con le tue mani il timone della tua esistenza, allora ti considererò mia pari. » affermò con risolutezza, concludendo infine il suo monologo. La rossa sussultò alla sua ultima affermazione, con incredulità nello sguardo. Essere considerata al pari di un uomo come lui? Era realmente possibile? Faticava ad immaginarlo.
Tuttavia Askeladd aveva parlato a sufficienza, non aveva nessuna garanzia di aver davvero convinto la giovane con le sue parole, ma ormai non v’era più altro da aggiungere a riguardo. Le rivolse ancora una volta le spalle, e ridusse definitivamente la distanza che lo separava dalla porta della camera, ma prima di poterne varcare la soglia, si espresse un’ultima volta: « Ah, comunque le aringhe affumicate di ieri sera sono state davvero ottime! Quasi mi spiace dover ripartire, ne avrei fatto volentieri un’altra scorpacciata. La vita è così ingiusta! ».
Quelle affermazioni accompagnarono la sua uscita di scena. Lydia rimase lì, da sola, a riflettere su quanto appena ascoltato per ancora diversi minuti.
D’un tratto, un’apparizione familiare, dai capelli rossi e dalle ali spezzate, catturò la propria attenzione. L’angelo era lì, di fronte a lei, ancora una volta.
 
Che cosa c’è ora? Perché mi guardi in quel modo? Perché il tuo pianto… si è improvvisamente interrotto?

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Capitolo 3
*** Rinascita ***


Wounded Wings

Capitolo 3 – Rinascita
 
« Allora buon viaggio, Askeladd! Spero che la permanenza sia stata soddisfacente per te e i tuoi uomini! »
« Puoi giurarci, Jorgen, erano mesi che non mangiavo così bene! Beh, allora grazie e arrivederci. »
Askeladd e i suoi soldati erano in procinto di lasciare quel luogo che era stato per loro fonte di ristoro e di divertimenti, anche se solamente per una notte. O forse lo era stato per quegli ignari uomini, ma meno per il loro capo.
Due penetranti occhioni lo fissavano dall’uscio del palazzo. La figura di Lydia era parzialmente celata, ma ciononostante il leader vichingo poté percepirne lo sguardo puntato su di sé. La guardò anch’egli, un’ultima volta. Probabilmente non l’avrebbe rivista per un bel po’, o forse mai più.
L’esercito di Askeladd lasciò il palazzo e da quel momento la vita sembrò tornare quella di sempre. Fatta eccezione per un particolare: nelle settimane successive, Jorgen iniziò a manifestare strani sintomi. Tossiva spesso, era debole, malaticcio. Pareva addirittura essersi rabbonito nei riguardi della fanciulla dalla chioma ramata. O forse, semplicemente, non aveva la forza necessaria per tormentarla come solitamente avrebbe fatto. Lydia non poteva saperlo. Ciò che sapeva per certo, tuttavia, era che i frequenti episodi di violenza non si erano più verificati, da quella notte nelle cucine. Il vecchio nobile passava ormai la sua vita costretto a letto, con la febbre costantemente alta ed una tosse abbaiante, ad inveire contro l’infausto destino che gli era toccato. Che stesse giungendo la sua fine? Lydia sperava fervidamente che così fosse. Periodicamente le tornavano alla mente le parole che Askeladd le aveva rivolto. Prendere in mano la situazione e reagire, così da diventare sua pari, sarebbe stato eccezionale, ma come avrebbe potuto, una come lei, riuscire a ribellarsi davvero a quella tremenda realtà? Sperava solamente che l’improvvisa malattia agisse al posto proprio.
In quelle giornate sembrava tutto più semplice, con Jorgen confinato a letto, debilitato e perennemente stanco. Lydia aveva senza dubbio ricominciato a respirare e le continue visioni dell’angelo dai capelli rossi sembravano essere del tutto svanite.
Trascorsero all’incirca dieci giorni quando, una sera, la giovane serva si trovò a varcare, per la terza volta nell’arco di quella giornata, la soglia della camera da letto del proprio padrone. Recava con sé un vassoio, contenente la cena destinata all’infermo. Lo posò sul letto.
Quella sera Jorgen pareva più vivace e reattivo rispetto ai giorni precedenti e ciò non fu propriamente di conforto per la fanciulla.
« Finalmente, ce ne hai messo di tempo. Stavo morendo di fame. » grugnì aspramente egli, sistemandosi come meglio poté sul materasso, così da permettere alla piacente schiava di imboccarlo.
« Di’ la verità, farmi morire di fame era il tuo obiettivo, ah? Oppure dentro queste brodaglie che puntualmente mi propini sciogli ogni giorno qualcosa per accopparmi? » bofonchiò l’anziano padrone, pur ospitando tra le proprie labbra il primo boccone della liquida pietanza. Lydia non rispose, come suo solito. Neppure lo guardò, era convinta che non fosse serio in quelle accuse. Se ella avesse realmente avuto tra le mani una qualsivoglia sostanza in grado di uccidere un tipo come Jorgen, non avrebbe certo atteso che lo spedisse all’altro mondo con cotanta lentezza.
Nonostante ciò, fu quello sguardo evasivo che insospettì maggiormente l’uomo, il quale, con un rapido scatto, bloccò bruscamente l’avanzata del braccio di Lydia verso la propria bocca, afferrandole con forza l’esile polso. La morsa attorno ad esso fu tanto energica e dolorosa da indurre la giovane a lasciar andare la presa sul legnoso cucchiaio, che finì inesorabilmente a scontrarsi col pavimento. Ora la rossa lo guardava, la propria espressione appariva allarmata. Lord Jorgen aveva ottenuto finalmente la sua attenzione.
« Guardami, stronzetta. E’ quello che stai facendo o no? »
La situazione stava divenendo preoccupante. Sentì i propri muscoli irrigidirsi. Era come se la quiete di quei giorni si fosse improvvisamente dissolta davanti ai propri occhi. La dolce e confortante illusione che tutto stesse andando nel verso giusto scomparve così con essa. Il proprio cuore martellava insistentemente nel petto.
Con lentezza e quel briciolo di audacia che pareva esserle rimasto, scosse appena il capo, in segno di negazione. Non aggiunse altro, taciturna come suo solito.
In quell’istante, uno strano sorriso si dipinse sulle labbra secche e pallide del più anziano. Un sorriso indecifrabile, sinistro. Questi lasciò andare d’improvviso il polso della fanciulla, smorzando una risatina.
« Ha! Sto delirando. Non lo faresti mai, non è vero? » le domandò egli, ma era convinto di conoscere già la risposta. Lydia lo guardava, temeva ancora il peggio, mentre con le esili dita di una mano massaggiava appena l’area del proprio polso che era stato stretto con tanta veemenza, e che ora riportava i segni rossastri delle dita di Jorgen.
« Non faresti del male ad una mosca, tu… sei un agnellino. Un piccolo, insignificante agnellino di fronte ad un lupo in procinto di divorarlo. » e ghignò a quelle parole, mentre tese un braccio nella direzione altrui.
« Su, vieni incontro al tuo destino, agnellino. »
Si sporse appena verso di lei, la stava invitando ad avvicinarsi a lui senza ricorrere alla violenza, gesto che egli ritenne estremamente magnanimo. Ma Lydia non pareva essere della stessa idea. L’insolita generosità dimostrata dall’uomo non fu che un pretesto per arretrare di un mezzo passo da lui. Tale risposta non venne accolta di buon grado da quest’ultimo, il quale inarcò un sopracciglio a quell’inattesa trasgressione.
« Che c’è, hai perso anche l’udito, oltre che la parola? Ti ho detto di avvicinarti. » la esortò una seconda volta, ma neppure quella sollecitazione parve sortire l’effetto sperato. Stava perdendo la pazienza.
Lydia arretrò ancora, mentre il palpitare nel proprio petto si faceva sempre più incalzante. Trattenne il fiato.

« CHE PROBLEMA HAI, PUTTANA MALEDETTA?! » esplose. Jorgen scoppiò in quel collerico ruggito, qualche secondo dopo, squarciando il silenzio. Con un violento gesto del braccio sinistro, allontanò da sé e gettò via il vassoio contenente il suo pasto, che finì rovinosamente al suolo, provocando un fracasso terribile. Il tutto indusse la rossa a sobbalzare dal terrore, indietreggiando ulteriormente. Sul volto di Jorgen un’espressione intrisa di ferocia era dipinta. Si sollevò dal letto, la furia che provava gli conferì la forza necessaria per schizzare fuori dalle coperte. Tentò di avventarsi contro l’inerme e terrorizzata preda, ma in quel momento un forte senso di debilitazione colse impreparate le sue membra e dovette reggersi alla pediera del letto, accasciandosi contro di essa.
La fanciulla schiuse le labbra per lo stupore. Egli era davvero tanto indebolito da non riuscire a raggiungerla? Non fece in tempo neppure a terminare tale quesito nella propria mente, che l’anziano signore aveva già ritrovato lo slancio necessario per risollevarsi. Lydia retrocesse ulteriormente ma, a pochissimi centimetri di distanza sé, un divampante fuoco ardeva alle proprie spalle, nel caminetto della stanza. Se avesse indietreggiato ancora, il proprio abito sarebbe andato a fuoco istantaneamente. Ciò diede adito a Jorgen di raggiungerla e, con un rabbioso e violento schiaffo, atterrarla. Ella finì in ginocchio, ai suoi piedi, ma non soddisfatto, l’uomo la colse in pieno volto con un brutale calcio, che la fece stramazzare al suolo.
« Cagna schifosa! Ti distruggo! » sbraitò contro il corpo inerte e disteso della giovane, per poi iniziare freneticamente a liberarsi degli abiti che lo coprivano.
Frattanto, in procinto di perdere i sensi, Lydia parve scorgere qualcosa di familiare di fronte a sé. Jorgen sembrava essersi dileguato, ora era l’angelo dai capelli rossi a fronteggiarla. Il suo volto era costellato di lividi, nei punti esatti in cui ella stessa era stata colpita. In quel frangente l’angelo era triste, ma non piangeva. Con esitazione, sembrò porgerle qualcosa: un arco ed una freccia, che le venivano offerti.
Fu in quel momento che comprese. Qualcosa nella propria mente scattò.
 
« Prendi in mano la tua vita. Solamente tu sei in grado di farlo. Se non farai al più presto qualcosa per afferrarne le redini… sarà la tua vita a manovrare te. »
 
Quelle parole le rimbombarono nella testa e d’un tratto tutto parve più chiaro.
Sgranò le palpebre. Lord Jorgen era piegato verso di lei, le aveva disgiunto le cosce, pronto ad insinuarsi tra di esse. Il suo viso trasudava lurida eccitazione, la sua mente era annebbiata dalla libidine, il suo sguardo inchiodato sulle forme gentili della schiava che egli tanto bramava. Fu allora che, con adrenalinico ardore, quest’ultima trovò il coraggio di afferrare l’attizzatoio per il fuoco, posto a pochi centimetri dal proprio capo e fermo lì, accanto a lei, come un dono divino. Senza lasciargli neppure il tempo di realizzare quanto appena accaduto, ella gli piantò l’acuminato oggetto dritto nell’occhio destro, senza alcuna remora.
I successivi istanti, Lydia li vide passare davanti ai propri occhi come a rallentatore. Alcune gocce di sangue colpirono la propria gota, poco prima che un urlo straziante riempisse le mura di quell’umida stanza. Le grida disperate e raggelanti di Jorgen furono tutto ciò che colmò l’atmosfera per i secondi successivi. Questi inarcò il busto all’indietro e si lasciò cadere al suolo, mentre agonizzava dal dolore. La giovane scattò all’impiedi ed afferrò nuovamente l’appuntito aggeggio per il manico, tirandolo a sé con forza e liberando l’occhio del proprio padrone, il quale reagì con un ulteriore strillo, ancor più assordante. Un getto di sangue zampillò dalla ferita, ora esposta, che l’uomo coprì disperatamente con ambo le mani, mentre si contorceva per l’estrema sofferenza che stava provando.
Lydia rivolse lo sguardo alle proprie mani, intrise del sangue di colui che fino a qualche attimo precedente temeva. Era stata realmente lei a ridurlo in quelle miserevoli condizioni? Le risultava davvero difficile avvezzarsi a quell’idea. Eppure l’angelo dai capelli rossi era lì, di fronte a lei, e per la prima volta le sorrideva genuinamente, sembrava orgoglioso. In quell’istante parve muoversi, avanzare con lentezza verso di lei, fino a raggiungerla. E come in un caldo abbraccio, il suo corpo etereo avvolse quello della fanciulla, fondendosi con esso. Fu una sensazione tiepida, accogliente, docile. Qualcosa che non provava da lungo tempo. Qualcosa che rasserenò il proprio animo per una breve manciata di secondi.
 
Sì, io… ora comprendo. Questo angelo in realtà è…
 
« DANNATA PUTTANA!!! »
Un ringhio spietato la fece tornare alla realtà e distrusse quell’apparente quiete in pochi attimi. Lord Jorgen aveva strisciato verso di lei, con l’esigua forza rimastagli in corpo, tentando di riacciuffarla per l’orlo della sua gonna. Ella, approfittando dell’evidente debolezza dell’altro, se ne liberò con un calcio in pieno volto, ricambiandogli il favore di poco prima. Questi finì nuovamente disteso al suolo, stremato. La rossa lo guardò un’ultima volta e chinò appena il busto verso di lui. Forse egli non riusciva a guardarla ma di sicuro poteva sentirla.
« L’agnellino manda i suoi saluti. » sibilò, rivolgendogli la parola per la prima ed ultima volta. Il moribondo spalancò le labbra per la sorpresa, ma fu l’unica reazione che ebbe il tempo di manifestare. Con un gesto secco, rapido e mirato, la giovane puntò al suo addome, trafiggendolo con l’arma che ancora stringeva tra le mani. Accompagnò a quel colpo un grido liberatorio, molto simile ad un ruggito, che esorcizzò tutto ciò che fino a quel momento aveva trattenuto dentro di sé. Il ruggito di una combattente che con le unghie e con i denti si stava battendo per rimpossessarsi della vita che le era stata portata via.
Un rantolo di dolore seguì da parte della figura lesa, ma la schiava non sembrò soddisfatta. In quel momento le tornò alla mente tutto il male che quell’uomo era stato in grado di infliggerle, derubandola dell’innocenza, della dignità e della libertà.
Lo colpì ancora, ancora e ancora. Lo colpì complessivamente quattro volte, in punti disparati dell’addome, fino a togliergli la vita. Fu feroce, incontrollabile, brutale come non lo era mai stata. Fu ciò che avrebbe dovuto essere fin dall’inizio.
A fatto compiuto, trascorse interi minuti immobile, a fissare il vuoto. Il proprio viso, pervaso di sangue non proprio, era illuminato scarsamente dalla fioca luce proveniente da quel camino che le aveva salvato la vita. Il proprio respiro era pesante.
D’un tratto, si risollevò gradualmente. Con passi lenti e di piombo si approssimò ad un vecchio specchio presente nella stanza, dall’aspetto consumato e con delle macchie scure sulla superficie. Guardò la propria immagine riflessa in esso e quasi faticò a riconoscersi. In preda ad un improvviso sbigottimento tentò di ripulire forsennatamente con le proprie mani le tracce di fluido ematico presenti sul proprio volto, ma ciò non fu particolarmente efficace. Accortasi dello scarso successo di quel gesto si fermò, avvilita.
 
« Combatti per la tua libertà, riprenditi la vita che ti spetta. Se sarai in grado di farlo, se sarai capace di afferrare con le tue mani il timone della tua esistenza, allora ti considererò mia pari. »
 
In quell’esatto istante, le parole di Askeladd, che tanto l’avevano colpita la prima volta, le tornarono alla mente, come di punto in bianco. Fu allora che si rese conto che quell’immagine proiettata nello specchio, infondo, non faceva poi così paura.
Un repentino sorriso sorse ad agghindare le proprie labbra. Il primo, vero sorriso da quando la propria prigionia aveva avuto inizio. Successivamente, un solo ed unico sibilo fuoriuscì da quelle labbra distese ed appena dischiuse:
« Aspettami. »

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