Il succo di carota è omicidio

di Spoocky
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Cari lettori benvenuti al mio primo tentativo di contest.
E' la prima volta che mi cimento con il noir e spero di non fare una figura troppo pessima. Il seguente racconto è un'opera di fantasia, i tratti di alcuni personaggi sono stati caratterizzati ironicamente ma non è mia intenzione offendere nessuno. 

Ringrazio Old Fashioned che ha postato genere e prompt per questo racconto.

Buona Lettura ^^

Era una sera cupa e piovosa, come solo gli autunni inglesi sanno esserlo.
Passeggiavo per Tachbrook Street ed ero quasi arrivato all’incrocio con la Churton quando due persone, un uomo e una donna di mezz’età, mi si avvicinarono sorridendo.
Erano vestiti eleganti ma con modestia, dall’assenza di cartelle e penne a sfera capii che non erano lì per farmi firmare una petizione. Non portavano segni distintivi di nessuna associazione in particolare ma sotto il braccio dell’uomo intravidi dei volantini colorati di sospetto contenuto religioso.
Non ho nulla contro la religione, purché siano gli altri a praticarla e non vengano ad imporla a me, di qualunque credo si tratti.
Non essendo in vena di litigare tentai di svicolare ma la donna riuscì a placcarmi, tagliandomi la strada con un sorriso mellifluo: “Buonasera, signore. Vorremmo chiederle cosa fa per essere felice nella vita.”
Cercando di non lasciar trapelare il veleno che mi era salito al cervello mi mantenni impassibile: “Di solito bevo. Lei?”
La mia risposta la colse di sorpresa. Il labbro inferiore comincio a tremarle come un budino su una lavatrice in centrifuga ma, con mia grande delusione, riuscì comunque ad incassare il colpo: “Ci sono altri modi, figliolo. Più costruttivi…”
Alzai un sopracciglio scettico: “Per esempio?”
“Per esempio potrebbe venire ad una delle nostre riunioni. Vede, noi crediamo che...”
Di norma sarei rimasto a fissarla in silenzio, lasciandomi scorrere addosso le sue parole come la pioggia sul cappotto, ma era ora di cena e volli tagliare corto: “Ognuno di noi ha bisogno di credere in qualcosa nella vita. Io credo che mi farò un’altra birra. Con permesso.”

Quella citazione è sempre stata il mio asso nella manica e anche quella volta dimostrò la sua efficacia.
La donna impallidì e divenne rigida come una tavola da bara.
Decisi di essere galantuomo ed allontanarmi senza infierire: le scivolai accanto e feci per tornare sui miei passi, ma l’uomo fu lesto ad infilarmi in tasca uno dei suoi volantini.
In un unico movimento gli afferrai il polso e ruotai su me stesso, facendogli perdere l’equilibrio e proiettandolo in una pozzanghera.
“Mi scusi, signore: pensavo stesse cercando di derubarmi. La prossima volta si fermi a riflettere prima di infilare le mani in tasca ad un ispettore al servizio di Sua Maestà.”
Senza ulteriori commenti mi defilai, lasciandomi alle spalle i due devoti sconcertati.

Ero all’altezza del London Bride Couture quanto m’accorsi che il famigerato opuscolo mi era rimasto in tasca. Per pura curiosità lo sfilai e quasi mi prese un colpo: di tutti i personaggi biblici e non, proprio Giona doveva capitarmi!
Di norma non sono superstizioso, ma penso che se per secoli i marinai lo hanno evocato come segno di malasorte un qualche motivo ci sarà pur stato. Il fatto che il profeta avesse uno strabismo pronunciato e che la barca alle sue spalle avesse la vela gonfia nonostante la pioggia fittizia fosse orientata nella direzione opposta non contribuirono al risollevarmi l’umore e provvidi a disfarmi del malaugurato orpello al primo bidone che trovai.
Mi vergogno ad ammetterlo ma mi fece sentire meglio, come se quel gesto avesse esorcizzato la cattiva sorte. E con passo allegro varcai la soglia del Constitution.
 


Una porzione abbondante di pasticcio d’agnello con piselli e carote, annaffiato da una pinta abbondante di Pale Ale, mi rimise in pace con il mondo e mi fece quasi dimenticare il pessimo incontro di poco prima.
Decisi di trattenermi per un po’ in quello che consideravo il mio angolino nel locale e sfilai dalla tasca interna del soprabito un’edizione economica di Duello sul Mar Ionio di Patrick O’Brian. Fin da ragazzino ho sempre adorato i romanzi su Jack Aubrey ma quello è senza dubbio il mio preferito: un concentrato di suspense, azione, storia e imbarcazioni. Insomma, quanto di meglio possa desiderare di leggere un nostalgico dell’Età della Vela. L’unica cosa positiva del mio pur breve ricovero in ospedale era stata poter ricominciare da capo la saga in santa pace.

L’atmosfera del locale, i cui interni erano arredati in modo da ricordare la cabina di un veliero e da cimeli della USS Constitution (che poi, perché nel centro di Londra si trovi un locale dedicato ad una fregata americana anziché ad una delle nostre non sono ancora riuscito a capirlo) conciliava la lettura e mi trattenni per un’ora abbondante dopo aver spazzolato quanto avevo nel piatto.
Quando i partecipanti al torneo amatoriale di freccette e gli appassionati di slot cominciarono a produrre un livello di decibel incompatibile con la mia omeostasi misi il segnalibro al punto in cui ero arrivato, mi alzai discretamente e pagai il conto.
Uscendo mi accorsi che aveva iniziato a piovigginare e benedissi chiunque avesse progettato il mio cappotto con una tasca interna: io posso anche infradiciarmi fino al midollo ma i miei libri devono sempre essere assolutamente al sicuro.
Come d’abitudine, sollevai il bavero ed incassai la testa fra le spalle per proteggermi la nuca. Con le mani ben infilate nelle tasche stavo dirigendomi verso casa quando qualcosa d’inaspettato attirò la mia attenzione.

In una delle stradine laterali vicino ai giardini Longmoore esisteva la bottega di un fruttivendolo che conoscevo solo perché qualche buontempone aveva scritto con una bomboletta  “Amo le carote” su un muro laterale, forse in riferimento all’omosessualità – vera o presunta non si seppe mai – del proprietario.
Quella sera non fu il graffito ad attrarre la mia attenzione, bensì lo stato in cui versava il negozio: la vetrina era stata sfondata, le cassette di ortaggi erano state sfracellate e svuotate: in tutto il perimetro non vi era traccia di un singolo vegetale.
Esclusi un’improvvisa carestia e, data la presenza di un minimarket e diversi fast food nelle vicinanze, anche il passaggio di qualcuno con un attacco di fame incontrollabile. Un dettaglio inaspettato mi permise di capire cosa fosse successo in realtà.
Del cadavere mi accorsi dopo, quando arrivarono i miei colleghi. A colpirmi fu la particolare disposizione delle macerie: i frammenti delle casse strappate dagli espositori erano stati posizionati per formare la scritta “Liberi tutti!”.

Riconobbi subito quella firma e con un brivido afferrai il cellulare per contattare il mio partner.
Il congedo per malattia aveva del tutto distorto il mio senso del tempo e provai un attimo di rimorso quando sentii la sua voce impastata dal sonno: “Che succede, Jack? Condividi la posizione via messaggio: tempo di vestirmi e ti vengo a prendere.”
“Mi spiace disturbarti, Tom. No, non mi sono perso. E’ qualcosa di più grave.”
“Non sarai di nuovo in Pronto Soccorso, spero?”
“No. Sono davanti al fruttivendolo di Longmoore e ho bisogno urgente di rinforzi. Lui è tornato.”
“Chi è lui? Cioè: quale dei tanti.”
“Il Fruttariano, Tom! Il Fruttariano è tornato!”
In un nanosecondo il mio collega si svegliò del tutto: “Merda! Ne sei sicuro?”
“Assolutamente. Devi venire subito! E porta tutti quelli che puoi!”

Il buon vecchio Tom chiuse la chiamata senza neanche rispondere ma sapevo che si sarebbe precipitato da me non appena avesse infilato i calzoni. Non mi restava che attendere il suo arrivo.
Badando a non inquinare in alcun modo la scena, mi riparai sotto la tettoia del negozio per non bagnarmi inutilmente.
L’attesa mi fornì il pretesto per rimuginare su quanto accaduto.

Era iniziato tutto con una serie di atti vandalici e piccoli furtarelli: una graziosa vecchina di Camden aveva trovato il suo prospero melograno spogliato di tutti i frutti, uno scapolo di Battersea era stato derubato dei peperoni che coltivava sul balcone, ad una famiglia di Fulham avevano tolto le zucche dall’orto e una donna di Brixton si era vista spogliare un prezioso pesco arrivato direttamente dalla Cina.
Poi erano iniziate le scritte offensive, scritte a pennarello sui manifesti di diversi mercati di prodotti freschi in ogni angolo della città. Avevamo intuito che si trattasse sempre dello stesso delinquente ma non riuscivamo a riscontrare alcuna logica nelle sue azioni se non che al centro di tutte c’erano dei vegetali e per questo lo avevamo soprannominato “Il Fruttariano”.

Nei suoi messaggi deliranti, scritti con una grafia a malapena comprensibile, il Fruttariano denunciava le drammatiche condizioni di vita in cui, secondo lui, erano ridotti i vegetali e ne pretendeva la liberazione immediata. Ogni messaggio terminava con l’imperativo “Liberi tutti!” che comparve come firma in ciascuno dei suoi numerosi delitti.

Quando il suo fascicolo era arrivato sulla mia scrivania non gli avevo dato troppa importanza: io e Tom ci occupavamo di terroristi, narcotrafficanti e pluriomicidi. Il Fruttariano ci era sembrato un individuo strambo, sicuramente squilibrato ma nel complesso innocuo.
Poi però iniziò l’escalation.


Ignorato dalle Forze dell’Ordine il Fruttariano si era ringalluzzito e aveva iniziato ad ampliare il suo raggio d’azione. Prima aveva fatto irruzione in una serra, forzando il lucchetto e sottraendo tutte le zucchine che vi erano conservate. Poi si era introdotto in una stazione di servizio e aveva rubato un camion che trasportava pomodori approfittando della distrazione del guidatore, che era sceso per una tazza di tè.
Il rimorchio venne ritrovato, i pomodori no.
A quel punto iniziarono gli omicidi.

I primi ad essere colpiti furono i fattori fuori città, i cui pozzi erano stati avvelenati con la cicuta.
Poi fruttivendoli, cuochi di ristoranti vegani e infine un ordigno artigianale piazzato sotto una bancarella ad un mercato ortofrutticolo, che aveva mietuto ben cinque vittime.
Da quel momento il Fruttariano divenne la mia ossessione: avevo smesso di uscire, mangiavo senza appetito e solo perché Tom mi costringeva a farlo, dormivo poco e male, spesso trascorrevo intere nottate in ufficio a lambiccarmi il cervello.
Niente di quel caso tornava: ogni indizio sembrava suggerire che si trattasse di un sociopatico disorganizzato eppure aveva sufficiente lucidità per non lasciare tracce che potessero ricondurre a lui.
Quando vandalizzava un cartellone si premurava anche di citare me e Tom. Ci chiamava “Schiavi del sistema”, “Assassini di bietole”, “Sterminatori di fragole” e nomignoli simili.
Il fatto che detestassi le bietole fin dalla prima infanzia e che Tom fosse allergico alle fragole doveva essergli sfuggito ma questo ci dava sicurezza: voleva dire che stava solo fingendo di conoscerci.


Ero talmente preso dal caso da trascurare la mia salute. Non mi ero neppure accorto dei segni precursori dell’appendicite, e mai più sarei andato a pensare una cosa simile se non mi fosse successa, fino a quando non mi accasciai a terra sulla scena di un crimine e Tom dovette chiamare l’ambulanza per farmi venire a prendere.
Quando giunsi al Pronto Soccorso ero già in peritonite e dovettero operarmi d’urgenza.

Alle due settimane di ricovero il mio capo fece seguire un mese e mezzo di congedo per malattia. Minacciò anche di impormi un’ordinanza restrittiva qualora mi fossi avvicinato all’ufficio in quel periodo.
Non fu necessario: la batosta che avevo preso si era rivelata un deterrente più che sufficiente.
Del resto Tom continuava a lavorare al caso del Fruttariano e sapevo che, se ci fossero stati aggiornamenti, me li avrebbe comunicati.
E invece nulla: il Fruttariano se n’era rimasto tranquillo per tutto quel tempo.
Fino a quella sera, la vigilia del mio rientro al lavoro.



Note:

Il Constitution e le strade citate esistono davvero e si trovano a Londra.
Patrick O'Brian è il mio scrittore preferito e non potevo esimermi dal citarlo.
Il negozio di fruttivendolo con la scritta "Amo le carote" esiste ma non si trova in Inghilterra. Molti dei furti attribuiti al Fruttariano si sono realmente verificati e sono rintracciabili nella cronaca. 


 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Eccoci giunti al capitolo conclusivo di quest'infausta vicenda.
A causa di un concatenarsi di impegni improrogabili ho dovuto condensare tutto in due capitoli, è una circostanza che rimpiango ma non è stato possibile fare diversamente.
Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno commentato e in modo particolare chi mi ha aiutato a capire i punti critici di questo racconto affinché possa migliorare in futuro.
A tutti, buona lettura ^^

La mattina seguente mi presentai al lavoro in perfetto orario.
Non mi aspettavo un comitato di benvenuto e non fui sorpreso di non trovarne alcuno: l’improvviso ritorno del Fruttariano aveva colto tutti di sorpresa e tutti erano tanto indaffarati da accorgersi a malapena del mio rientro.

Dal canto mio non persi tempo in convenevoli e giunto all’ufficio che condividevo con Tom mi sorpresi nello scoprire che la sua metà, di solito ordinata con una precisione maniacale, era stata completamente messa a soqquadro: fascicoli, fotografie, libri e ritagli di giornale erano completamente sparpagliati sul suo piano di lavoro e lui stava digitando compulsivamente qualcosa sul suo portatile.
Mi sorprese anche il suo aspetto.
Le occhiaie e le borse sotto gli occhi le avevo previste: aveva fatto le ore piccole per interrogare i testimoni e catalogare la scena del delitto. Non mi aspettavo l’assenza della cravatta ed il maglione blu,  che compariva solo in momenti di grave crisi e da cui spuntava un orlo sospettosamente simile a quello di una T-shirt al posto della consueta camicia. Tanto meno avrei potuto immaginare che indossasse ancora le Converse che di solito toglieva una volta in ufficio.
Era in pieno assetto d’emergenza.

Gli allungai immediatamente il bicchiere di carta con il tè caldo, nero niente latte né zucchero, che gli avevo comprato alla solita caffetteria. Lo accolse come una manna dal cielo insieme ad un muffin ai mirtilli ancora caldo.
Mentre il mio collega spiluccava la sua colazione mi appollaiai su un angolo della mia scrivania e addentai un sublime muffin pera e cioccolato. Con la bocca ancora piena sbiascicai nella sua direzione: “Qualche novità?”

Tom deglutì il boccone e si sciacquò la gola con un sorso di tè prima di rispondere: “Al momento no. Il fruttivendolo, William Burrows, scapolo di quarantacinque anni, è morto come gli altri: avvelenamento da cicuta, ha stabilito il coroner. Siamo ancora in attesa dell’autopsia ma lo stato del corpo e la temperatura del fegato suggeriscono che sia morto qualche ora prima del ritrovamento, poco dopo l’orario di chiusura. Come al solito il Fruttariano dev’essersi introdotto nel negozio dopo la morte della vittima e non ha lasciato nessun’impronta, di nessun genere. La finestra è stata sfondata con… il rapporto preliminare della Scientifica ipotizza un mattone, che non è stato rinvenuto sulla scena né sulle vicinanze e che presumiamo si porti in giro ovunque.”
Trangugiai un sorso abbondante della mia cioccolata calda: “C’è il sospetto che possa trattarsi di un imitatore?"
Masticando lentamente senza smettere di digitare Tom scosse la testa: “L’orario del delitto è di molto antecedente all’orario dell’irruzione: solo il Fruttariano ha una tale conoscenza del veleno e quel particolare non è mai stato comunicato alla stampa. Quindi non può trattarsi di nessun altro.”

Bussarono alla porta ed entrò un agente con un fascicolo: “Adams, ho il fascicolo che avevi richiesto. Ehi, Smith! Bentornato!”
“Grazie, Larry. Tu come te la passi?”
“Non c’è male. Nel periodo in cui sei stato assente il vostro amico è rimasto tranquillo, per cui non ho avuto molto da fare. Ma il divertimento non manca: pensa che due settimane fa una vecchietta di Waterloo ha chiamato perché dall’appartamento del vicino proveniva un odore di verdura andata a male e voleva che intervenissimo.”
Per poco Tom non si strozzò con il suo tè: “Come, scusa?” Balbettò tra i colpi di tosse.
“Come ti ho detto: si lamentava di un forte odore di rancido. Ho pensato che fosse affetta da una qualche forma di demenza e ho lasciato correre. Perché t’interessa?”
“Potrebbe non essere niente, ma…”
Lo sguardo di Tom s’incrociò con il mio ed ebbi la stessa illuminazione:  “Vale la pena di controllare. Larry, ti ricordi per caso l’indirizzo?”
“Come no! Io e Parker ci abbiamo riso sopra per tre giorni: il 42A di Roupell Street.”

Senza aggiungere altro io e Tom agguantammo i cappotti e uscimmo rapidi come fulmini.




La cara signora Darcy aveva ragione: dall’appartamento accanto al suo proveniva un terribile fetore di rancido, come ne avevo sentiti solo nell’angolo dell’orto in cui mia nonna faceva il compost.
Anche Tom era impallidito per il cattivo odore ma dalla sua espressione capii che, come me, era convinto si trattasse del nostro sospettato. La presenza di un mattone e di schegge di vetro davanti alla porta sembrava confermare quest’ipotesi.
Per strada, Larry mi aveva informato via telefono che l’appartamento apparteneva ad un certo Peter O’Doyle, di origini irlandesi.

Peter era rimasto orfano in tenera età ed era stato allevato dalla nonna paterna, che gli raccontava storie della Grande Carestia come favole della buonanotte.
Il bambino aveva dimostrato fin da ragazzo uno strano attaccamento ai vegetali, rifiutandosi addirittura di mangiarli alla mensa scolastica. Durante la ricreazione preferiva conversare con la mela che aveva di spuntino piuttosto che interagire con i suoi compagni.
Da adolescente era stato internato in un istituto psichiatrico prima ed in riformatorio poi, perché era diventato fisicamente violento con i suoi coetanei, in particolare con quelli che mangiavano o cucinavano verdura o frutta in sua presenza.
Gli era stato diagnosticato un disturbo antisociale della personalità ed era stato affidato alla custodia della quasi decrepita nonna, che era deceduta pochi mesi prima dell’inizio della sua lunga sequela di delitti.
Tutto combaciava.


Estraemmo le pistole e ci posizionammo davanti alla porta: “Peter O’Doyle! Polizia! Apri la porta!”
“Ooohhh! Prego! Entrate: è aperto!”
Io e Tom entrammo in sincrono con le pistole spianate e subito fummo investititi da una zaffata di fetore che ci fece quasi perdere i sensi.
Ovunque ci voltassimo ogni anfratto trasudava di vegetali vari ed eventuali: frutta e verdura di ogni genere, forma e dimensione erano accatastate ovunque ed in vari stadi di putrefazione.
Non c’era dubbio che si trattasse del nostro uomo.

Ed eccolo lì, Peter O’Doyle, il Fruttariano in tutto il suo sudicio splendore.
Se ne stava seduto beatamente al centro di tutta quella spazzatura, vezzeggiando e coccolando un cavolfiore come se fosse stato un grazioso animaletto.
Ci sorrise e notammo che gli mancavano diversi denti, mentre i capelli sudici schizzavano da ogni parte, irrigiditi da mesi di lerciume: “Ce ne avete messo di tempo! Vi stavo aspettando! Ora, prima di arrestarmi, credo vorrete sapere perché ho fatto quello che ho fatto, nevvero?”
“Sì, Peter. Ci faresti una cortesia.”
“Ooohhh! Oh! Oh! Bene, bene, bene. Prima di tutto dovete sapere che questo è un arresto politico.”
“Un arresto politico?”

Il Fruttariano annuì tanto violentemente che temetti gli si svitasse la testa dal collo: “Sì, sì, sì, sì. Voi schiavi del sistema oppressivo non  ve ne rendete conto ma io dovevo liberare queste povere creaturine. Io li sento urlare, capite? Pensate cosa può voler dire essere strappati ancora giovani e teneri alle proprie calde casupole, essere scuoiati, spremuti a sangue e tagliuzzati. O essere messi a liquefarsi nell’acqua bollente, o frullati fino a diventare una fanghiglia informe. Anche i vegetali sono creature viventi: hanno dei sentimenti, una dignità.”
Improvvisamente si alzò in piedi e gridò: “Ebbene io vi dico: questa è la mia ora migliore! Ucciderei ancora e ancora quei maledetti trafficanti di schiavi! Farei una strage pur di liberare un solo innocente cavoletto dalle loro luride grinfie. L’umanità deve saperlo: il succo di carota è omicidio! Il purè di patate è omicidio! La zuppa di piselli è omicidio!”
Continuò a strillare per un bel po’, mentre Tom ed io lo ammanettavamo e lo portavamo in centrale.

Non tentò mai di difendersi ed in Tribunale sostenne apertamente la propria causa. Non gli valse a molto: si beccò l’ergastolo in un ospedale psichiatrico criminale.
Quanto a me, non uscii granché cambiato da quell’avventura. O almeno così credevo.
Finché un giorno non mi sorpresi a chiedere scusa ad una carota prima d’infilarla nel frullatore.

 
Carrot juice constitutes murder (and that's a real crime)
Greenhouses are prisons for slaves (let my vegetables go)
It's time to stop all this gardening (it's dirty as hell)
Let's call a spade a spade (is a spade is a spade is a spade)

- The End –
 
 

Note:
Ogni strada e luogo citato, esclusion fatta per il 42A di Roupell Street, esistono sul serio e sono parte della città di Londra.
Il titolo della storia e la strofa finale sono tratti dalla canzone “Carrot Juice is Murders” del gruppo canadese Arrogant Worms, che parla appunto di un pluriomicida che sostiene di voler liberare i vegetali dall’oppressione e che consiste nella principale ispirazione per questo testo:

https://www.youtube.com/watch?v=dII1gqGmyso

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