The heart of a volunteer

di unsensoaquestonome
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


Capitolo 1

Guardo il paesaggio che mi scorre davanti dal finestrino: che simpatica metafora! E' come se vedessi tutta la mia vita, come se la stessi vivendo una seconda volta. Mi viene quasi da ridere pensando al fatto che ho solo diciannove anni: quale vita? mi chiedo. Sono cresciuta nella stessa casa in cui i miei genitori si sono sposati ed hanno avuto i miei fratelli: non ho mai viaggiato, mai visto una città diversa dalla mia New Orleans. Ma adesso, da questo finestrino un po' polveroso, rivedo le dolci campagne del Missouri, il luogo in cui sono nata. Rivedo la fattoria dei miei nonni, i genitori di mia madre, che si staglia tra i campi di grano giallo, le lunghe file di ulivi e i vari alberi da frutto. Da piccola adoravo quando mia madre mi raccontava la storia di come sono nata e a pensarci mi scappa un sorriso spontaneo. Mi sforzo di ricordare la sua voce e le esatte parole che usava, ma non ci riesco, eppure non c'è stato un giorno in cui non me l'abbia raccontata. Sono sicura che in quel giorno non sia successo niente di speciale, ma, non so come, mia madre è stata capace di creare un alone di magia intorno alla mia storia. Incominciava sempre con la solita solfa: "Era una sera buia e tempestosa..." e lo era davvero! La pioggia finalmente aveva deciso di inondare la campagna dopo un'estate di siccità, ed era giunta con tanta furia. Era un giorno di inizio ottobre, il dieci per precisare, cosa a cui mio nonno faceva tanta attenzione, dato che il cattivo tempo aveva interrotto la sua raccolta delle olive e il vento violento rischiava di farle cadere sulla terra fangosa, mandando in fumo mesi di lavoro e attesa. Il tutto fu molto veloce: la levatrice mi teneva tra le braccia dopo solo mezz'ora dal suo arrivo. In un attimo in tutta la casa calò il silenzio: la pioggia era cessata, mia madre, dopo i suoi sforzi, mi cullava tra le braccia stringendomi teneramente, persino i miei nonni avevano smesso di agitarsi in solotto. La pace era calata su tutta la campagna: non una singola persona fiatava e la tempesta? Dove era finita? "In quel momento ho capito che tu, bambina mia, eri speciale. La quiete dopo la tempesta", è così che mia madre finiva la sua storia. Da piccola la adoravo: mi sentivo destinata a qualcosa, come se avessi un dono. Adesso però non riesco a coglierne il senso: d'altra parte non c'è un senso, è solo una storia molto forzata che mia madre usava per farmi sentire una bambina particolare. Un altro sorriso mi sfugge dalle labbra che reprimo non appena vedo un giovane ragazzo sedersi davanti a me: mi rendo conto che potrei sembrare una pazza che sorride da sola. Questo pensiero non fa altro che strapparmi una piccola risata, ma mi nascondo girando il viso al finestrino. Da qui riesco a vedere il riflesso del giovane che si è messo a leggere un giornale: il titolo in prima pagina scritto in grassetto non mi sfugge e riesco perfettamente a leggerlo "Continua la guerra in Europa". Con la mente ritorno improvvisamente al presente e alla realtà.
"Mi scusi, posso?" chiedo indicando il giornale non appena il ragazzo lo posa sul tavolino che ci divide.
Mi guarda attentamente e con un sorriso cordiale me lo porge. "Dopo Tokyo, vengono ufficialmente annullati anche i Giochi Olimpici di Helsinki, in Finlandia... La guerra non si ferma e continua a travolgere l'Europa... Il contingente britannico combatte sopra i cieli di Londra nel tentativo disperato di difendere il paese dal Reich di Hitler. E qual è il ruolo degli Stati Uniti d'America in tutto questo? Quando il nostro paese prenderà una posizione decisiva in questa guerra?". Le parole scorrono veloci mentre leggo la prima pagina del giornale: è surreale, ma non credo di rendirmi veramente conto della situazione. E' una realtà così lontana da me ma così reale che certe volte mi chiedo se tutto questo verrà mai a piombarci addosso. Ne ho abbastanza.
"Grazie" dico rivolta all'uomo davanti a me, appoggiando il giornale sul tavolino.
"Che situazione surreale, eh?" mi dice notando il mio sguardo pieno di apprensione.
"Speriamo di non vivere mai quello che stanno provando dall'altra parte del mondo" rispondo con una vena di preoccupazione.
"Già... mi perdoni, non mi sono presentato: mi chiamo Finn" dice porgendomi la mano. Rispondo con un sorriso accettando la sua stretta di mano.
"Grace, piacere di conoscerla".
"Posso chiederle dove è diretta Grace?" 
"Certo, scendo alla prossima: Washington. Lei?" rispondo gentilmente. Mi chiedo dove voglia arrivare. Non che sia una di quelle ragazze totalmente diffidente, ma preferisco tenere le distanze dai giovani sconosciuti. Oh, mia madre sarebbe così fiera.
"Anch'io. Mi scusi se sono troppo sfacciato, ma spero di poterla incontrare in giro" bingo! Lo sapevo. Mi dispiace caro, ma ci vuole molto di più per attirare la mia attenzione: sono pur sempre una signorina rispettabile. Mi viene quasi da ridere al suo tentativo disperato di fare colpo. 
"E' una città così grande. Crede davvero che possa esserci una possibilità di incontrarci?" dico quasi ridendo.
"Beh, perchè no? Se è destino, forse..." risponde con un sorriso sfacciato stampato in viso. Ragazzo, sto per infangere i tuoi deboli tentativi.
"Signor Finn, lei è così sfrontato... non sono in viaggio per piacere, devo lavorare" dico severa, cercando di reprimere il sorriso divertito che mi spunta tra le labbra.
"Oh anch'io... più o meno" dice grattandosi la testa. Ora sembra quasi impacciato. E' così divertente questa situazione.
"Quel più o meno significa che sfrutterà quest'opportunità anche per altri... motivi?" chiedo, con un finto tono sconvolto.
"Ora è lei quella sfacciata signorina Grace. Cosa intende dire?" ribatte.
"Non faccio nessuna supposizione" rispondo quasi timidamente. Non sembrerebbe ma non sono abituata a questo tipo di attenzioni, tantomeno sono abituata a questo tipo di risposte. Da dove arriva tutta questa fiducia? Non lo so, ma è divertente ogni tanto lasciarsi andare. Nel frattempo il treno ha cominciato la sua frenata, fino ad arrestarsi del tutto. Finn si affaccia verso il finestrino e guarda la banchina avvicinarsi.
"Arrivederla, Grace" dice alzandosi frettolosamente e voltandosi per andare verso la porta. Mi affretto anch'io prima che il treno riparta. Che curioso incontro. Una volta arrivata alla banchina, faccio di tutto pur di non far divagare lo sguardo alla ricerca dell'affascinante uomo che ho appena conosciuto. Odio ammetterlo, ma alla fine cedo e mi lancio qualche sguardo intorno. Sembra essere scomparso, all'improvviso, così come è apparso. 

***

Scesa dal taxi cammino fino ad arrivare davanti ad un grande edificio bianco. Suono al campanello e, dopo aver sentito qualcuno scendere le scale velocemente, una faccia sorridente spunta davanti ai miei occhi.
"Grace, finalmente! Ti stavamo aspettando" la mia amica mi abbraccia mentre mi porta all'interno della casa, chiedendomi come è andato il viaggio.
"Ragazze, è arrivata Grace!" altre ragazze mi vengono incontro e mi stritolano tra le loro braccia. Sono le mie compagne, le mie amiche. Le ho conosciute tutte qualche mese fa, quando ho iniziato a lavorare a Chicago come infermiera. Lontana dalla mia casa e dalla mia famiglia, sono state un supporto per me, e ne sono profondamente grata.
"Piccola Grace, ancora non capisco perchè non hai fatto il viaggio con noi" mi chiede Barbara, con un finto ed esilarante sguardo da bambina.
"Ho deciso di passare qualche giorno a New Orleans con la mia famiglia, prima di venire qui"
"Oh, e dimmi, come stanno i tuoi fratelli?" mi chiede con un sorriso malizioso. Questa è la solita Barbara, senza peli sulla lingua. Non che mi dispiaccia, anzi, è una mia amica, è fatta così, le piace scherzare. Da una parte la colpa è anche mia: le ho raccontato molto dei miei fratelli e ogni volta che fa una delle sue battute, io le do corda. E' così divertente.
"David e Nathan vi salutano tutte ragazze" dico facendo finta di non aver sentito e trattenendo una risata.
"Avanti Grace, permettimi il lusso di fantasticare. E' troppo tempo che non ho a che fare con un bel maschione" una risata generale si alzò nella stanza. Come sarebbe noiosa questa casa senza la nostra Barbara!
"Allora penso proprio che domani i tuoi sogni si avvereranno, mia cara" le risponde Evelyn. 
"Ragazze mie che ci posso fare, se il governo vuole che assistiamo centinaia di uomini in mutande, io sono pronta ad adempiere al mio dovere" afferma solennemente Barbara. 
"Ed è per questo che dobbiamo andare a letto. Un sonno di bellezza per essere pronte a visitare tutti quegli uomini!" dice Elizabeth, la più grande del gruppo. Oserei dire la più seria anche, ma altrettanto simpatica. Ed ha ragione, così ci avviamo tutte verso la camerata che dividiamo con altre infermiere e ci mettiamo a letto. Domani abbiamo un importante appuntamento: più di cento persone, tra noi infermiere e altro personale medico, sono state chiamate a visitare e ad accertare le condizioni mediche degli uomini dell'esercito. E' per momenti come questo che mi sono arruolata come infermiera militare: per essere d'aiuto al mio paese, per contare qualcosa. La guerra non è ancora giunta a noi, ma sapere che posso contribuire alla sicurezza del mio paese mi rende fiera ed orgogliosa. Wow, che pensieri da persona grande e matura. Certe volte mi stupisco di me stessa. Ora basta, è ora di riposare Grace. Penso, mentre tutta la stanchezza dovuta al viaggio mi piomba addosso e mi fa addormentare in un batter d'occhio.

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


Capitolo 2

Mi sveglio con il rumore di piatti e padelle che proviene da sotto, accompagnato da un delizioso profumo di cannella che sono sicura sta inondando tutta la casa, oltre che alla mia stanza. Scendo dal letto e una musica leggera mi invita verso la cucina. La scena che mi ritrovo davanti è confortante: Carrie, Elizabeth e Rachel sono alle prese con i fornelli mentre Katherine e Evelyn sistemano la grande tavolata, il tutto accompagnato da un sottofondo di jazz. Che bello, tutto questo mi ricorda la mia New Orleans, la mia casa.
"Ma che bel buongiorno ragazze!" esclamo entrando in cucina.
Dopo aver sistemato tutto ci mettiamo a mangiare e a chiacchierare del più e del meno: mi sento a mio agio con le ragazze, con loro riesco a parlare di tutto, dalle cose più serie al più e meno. Le adoro, l'ho già detto? Ho lasciato la mia famiglia con la paura di perdere tutto e di dover abbandonare questa parte della mia vita, fatta di affetto e calore, ma sono stata abbastanza fortunata da trovare un'altra grande famiglia di infermiere, amiche, sorelle.
"Io esco prima! Devo fare un salto alle poste per imbucare una lettera... Ho visto ieri che non è lontano dall'ospedale quindi farò la strada a piedi" dico alle altre quando, una volta finita la nostra colazione, ci alziamo per sparecchiare. Questa mattina mi sono svegliata prima di tutte per scrivere una lettera a mia madre, dato che ieri dal taxi che mi portava dalla stazione alla casa ho visto un ufficio postale non molto lontano dall'ospedale: so che a mia madre fa piacere avere mie notizie, la fa stare più tranquilla e in più ha un figlio in meno di cui preoccuparsi.
"Un altro viaggio senza di noi piccola Grace? Non starai mica crescendo senza dircelo?" mi dice Kate con un sorriso, puntandomi un mestolo davanti al naso. Adoro quando mi chiamano "piccola Grace": sono la più piccola del gruppo e avere queste attenzioni apprensive, mi fa sentire speciale in un certo modo. Mi piace essere coccolata, forse sono troppo egocentrica? Ogni tanto mi ci vuole.
"Giuro è l'ultima volta" le rispondo ridendo.
"Aspettami G, ti accompagno" mi dice Carrie, correndo a prepararsi.
Aspettavo che me lo dicesse: in tutta onestà non avevo proprio voglia di farmi la strada da sola. E quale compagnia migliore di Carrie? E' una delle ragazze con cui ho legato di più. E' la tipica ragazza della Florida: la pelle abbronzatissima fa da contorno ad una personalità frizzante e solare. Non direi che è il mio opposto, ma decisamente la sua positività e la sua parlantina veloce la distinguono molto da me.
Una volta fuori dalla grande casa ci incamminiamo verso l'ufficio postale.
"Hai scritto a tua madre?" mi chiede mentre finisce di sistemarsi i capelli.
"Sì... le ho chiesto le solite cose: come sta, come stanno David, se ha avuto notizie di Nathan..."
"Devono mancarti molto..."
"Certo che mi mancano tutti lo sai..." dico abbassando lo sguardo ai miei piedi. Non mi piace parlare della mia famiglia e nemmeno di come sento la mancanza di una parte importante di me.
"So che anche se ti mancano, casa tua è l'ultimo posto in cui vorresti stare" dice mentre mi prende a braccetto, continuando a guardare dritto davanti a sè. 
"Se la metti così mi fai sembrare un mostro..." dico ridendo, per smorzare il clima triste, "da quando mio padre se ne è andato non è più lo stesso... è come se mancasse un pezzo importante, tipo un pezzo di tetto o qualcosa di fondamentale per una casa, mi spiego?"
"Ti capisco G, credimi... vivevo con i miei nonni, ma l'enorme vuoto dentro l'ho sentito comunque" dice fermandosi e, finalmente, guardandomi negli occhi.
"Beh, dobbiamo guardare avanti, no?" dico guardandola con un sorriso e dandole una carezza. Non è il mio forte risollevare gli animi, ma è Carrie, un minimo ci devo provare.
"A proposito di guardare avanti... sai cosa vedo? Una bella spiaggia di sabbia bianca e acqua cristallina..." con il braccio fa cenno davanti ai miei occhi, ma l'unica cosa che vedo è un marciapiede vuoto e un edificio grigio davanti a noi: siamo arrivate finalmente.
"Carrie, lo sai quante sono le probabilità di farci trasferire alla base di Pearl Harbor? Contati le dita delle mani e poi sottrai dieci e mentre lo fai io vado a far spedire questa" dico prendendola in giro per i suoi sogni stravaganti. Povera Carrie, sempre con la testa tra le nuvole e le sue mille fantasie. Come biasimarla? Certo anch'io mi definirei una sognatrice, ma c'è sempre un limite. Un limite che vorrei anch'io certe volte superare, ma c'è sempre qualcosa che mi blocca, che non mi permette di andare avanti: sarà il buon senso? Quando esco dall'edificio Carrie mi guarda con le braccia incrociate.
"Quand'è che la finirai di fare la guasta feste e inizierai a sognare un po'?" mi rimprovera bonariamente.
"Ma io sogno, anche troppo, solo che ogni tanto mi ricordo di tutto ciò che mi circonda, a differenza tua mia cara..." dico mentre abbasso per puro caso lo sguardo sull'orologio.
"Carrie è tardissimo, dobbiamo correre"
Iniziamo a correre e, mannaggia a me, non potevo aspettare un altro momento per questa lettera? Odio arrivare in ritardo, tanto quanto odio correre: l'attività fisica non è decisamente il mio forte. Beh, nemmeno Carrie sembra cavarsela più di tanto con le sue gambe lunghe e, sarà brutto da dire, ma questo mi conforta. Mi viene quasi da ridere ai pensieri stupidi che mi passano per la testa, fino a che non riesco a trattenermi: scoppio a ridere mentre boccheggio alla ricerca di aria. La mia mente malinconica mi riporta di nuovo indietro nel tempo, a quando correvo con i miei fratelli nel piccolo giardino che abbiamo dietro casa: ci rincorrevamo fino a rimanere senza fiato e le nostre risate facevano da dolce sottofondo. Ritorno alla realtà solo quando vedo in lontananza il grande portone dell'ospedale e finalmente mi rendo conto che non ci sarà mia madre ad affacciarsi dalla veranda a chiamarci per la cena. Ultimamente mi succede spesso: mi perdo nei miei pensieri e ricordi. Dovrei smetterla di fantasticare, dovrei guardare avanti, non pensare più al passato. 
"Ce l'abbiamo fatta!" mi dice Carrie, scoppiando in una grassa risata.

***
 
"Il prossimo!" dico senza alzare lo sguardo. Sono due ore che sono l'incaricata dei vaccini contro la febbre gialla, evviva: ormai è diventato un gesto meccanico. Prendo la cartella dall'uomo in piedi davanti a me e comincio a leggere le poche righe che mi interessano: nome, cognome, altezza, peso... per regolarmi con le dosi e non stendere il poveretto. Anche se sarebbe esilarante una scena del genere, proprio quello che mi ci vorrebbe dopo una giornata così stressante. Sto forse delirando?
"Buongiorno..." il timido saluto del soldato in piedi di fronte a me mi stupisce. Nessuno mi aveva salutata fino ad ora. Non per scortesia, certo: tutti qui sono impegnati nei loro affari e dopo due ore o più di file, iniezioni ed esami, nemmeno io avrei più le forze di essere minimamente cortese. Ma una piccola cosa come questa fa sempre piacere.
"Buongiorno..." rispondo cercando il più possibile di nascondere il mio stupore, alzando lo sguardo dalle scartoffie. Incontro due piccoli occhi marroni che mi scrutano attentamente e ricambio lo sguardo. 
"Sono Joseph Myers" mi dice accennando un piccolo sorriso. 
Ricambio il sorriso: "Lo so" dico facendo cenno alla cartella che ho ancora in mano.
"Già..." ride piano scuotendo la testa. 
"Bene tenente Myers, da prassi devo fornirle qualche informazione: la vaccinazione è altamente raccomandata come misura preventiva per tutti i soldati dell'esercito americano. Lei può rifiutarla ma questo comporterà un'immediata espulsione dal corpo militare" mi fa cenno con la testa, perciò continuo: "Si appoggi al lettino e si scopra"
"Così?" mi chiede senza guardarmi e con un filo di imbarazzo. Mh, timido il ragazzo.
"Sì..." rispondo dando una veloce occhiata al suo fondo schiena.
Mi avvicino da dietro e senza preavviso affondo l'ago profondamente nella sua natica. Sento provenire dalle sua labbra un piccolo lamento: questa è la parte che preferisco. Mi scappa una risatina per tutti questi uomini grandi e grossi che non si fanno scalfire da nulla, ma che davanti ad un ago riescono a mala pena a sopportare il dolore.
"Le fa ridere? Beh, signorina, è tutta la mattina che mi ficcano siringhe nel corpo" mi dice, probabilmente seccato per il fatto che sto ridendo di lui.
"E' il nostro lavoro tenente. Siamo qui per far sì che i valorosi uomini che devono proteggerci siano in salute" rispondo prendendolo un po' un giro. 
"Già.." dice mentre il sorriso sulle sue labbra sfuma via e si rimette a posto. Perfetto, non ha colto l'ironia. Cavolo, cercavo di essere simpatica, volevo continuare questa specie conversazione. Dio, sono un disastro.
"Allora... arrivederci, tenente Myers" dico ricomponendomi. 
"Arrivederci e grazie, tenente..." mi dice, questa volta con un sorriso teso. Diamine, ho fatto davvero una così brutta impressione?
"Barlow, Grace Barlow" rispondo diligentemente.
"Arrivederci tenente Barlow" dice avvicinandosi alla porta mentre penso che dovrei iniziare a guardarmi in giro e a mettermi in gioco. E' ora che cominci a fare pratica con gli uomini, per evitare queste figuracce e questi primi approcci maldestri. Con le ragazze mi vanto sempre della mia sicurezza e di come sarei facilmente in grado di parlare con un uomo con nonchalance, ma la verità è che sono così imbarazzante da allontare gli uomini non appena apro bocca. Prima di aprire la porta si gira e ritorna indietro verso di me. Sta... davvero tornando da me? Forse non sono stata poi così male...
"Emh..." fa cenno alla sua cartella che era rimasta sulla mia scrivania. Oh. Nascondo la delusione mentre gli porgo le sue scartoffie.
"Grazie" esce e se ne va, non prima di avermi lanciato un'ultima occhiata.
Oh, avanti. Cosa mi aspettavo? Ripensandoci mi viene da ridere: sono davvero arrivata ad una situazione in cui mi emoziono se un uomo mi saluta? Ho pur sempre una dignità, suvvia. Sono diventata un fenomeno da baraccone. Dovrei farmi dare dei consigli da Barbara, lei sì che saprebbe darmi qualche dritta.
"Il prossimo" urlo verso la porta che si apre di scatto facendo entrare un ennesimo omone muscoloso. Reprimo il sorriso scaturito dai miei pensieri, folli, e mi rimetto a lavoro: mi aspetta ancora una lunga fila di testosterone da bucare.

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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


Capitolo tre

Sono passati tre giorni da quando io e le ragazzze abbiamo iniziato il nostro incarico. Finalmente siamo giunte alla fine di una settimana stressante e faticosa: non vedo l'ora di togliermi questa divisa di dosso.
"Ragazze, che ne dite di andare a cena fuori? Dobbiamo inaugurare questa prima settimana a Washington!" dice Rachel quando vede che siamo tutte nello spogliatoio a cambiarci.
Un coro di approvazione si alza tra di noi. E' proprio quello che ci voleva: un po' di relax, giusto per liberarci dalle fatiche della settimana. 
Prima di andare però dobbiamo fare una sosta a casa, per cambiarci e renderci belle. Io metto un semplice vestito scuro a cui accompagno un trucco leggero: non ho per niente voglia di agghindarmi. Ho solo voglia di divertirmi con le mie ragazze e non pensare a nient'altro. Decidiamo di andare in un ristorante non molto lontano; con un viaggio in taxi di qualche minuto siamo arrivate e il posto ci lascia a bocca aperta: è elegante, chic e molto affollato. Deve essere molto popolare da queste parti.
"Beh, non siamo state le uniche ad avere quest'idea" dico alzando gli occhi al cielo e facendo ridere tutte.
"Oh andiamo, sono sicura che troveremo un posto" esclama Evelyn facendosi avanti e andando a chiedere informazioni.
Si capisce che lei è quella positiva del gruppo? E in effetti aveva ragione: riusciamo a trovare un tavolo libero! Ci sediamo e ci gustiamo un pasto con i fiocchi, accompagnato dalla musica di sottofondo. L'atmosfera è delle migliori: ci sono persone che ballano sulla pista e chi si gode la cena al proprio tavolo, ma le risate non mancano a nessuno.
All'improvviso, Kate si mette a fare una specie di rullo di tamburi con le posate esclamando: "Evelyn ha una storia da raccontare!"
"Che storia?" chiediamo tutte insieme curiose.
Evy arrossisce e, dopo aver insistito un po', inizia a raccontarci quello che le è successo questa mattina: durante il turno delle visite ha incontrato un "affascinante pilota dell'esercito", parole sue, che le ha fatto la corte. Dice che l'ha conquistata con la sua parlantina impacciata e quando, con un ultimo gesto romantico, le ha detto che era bellissima, ha fatto breccia nel cuore della nostra Evy.
"Mi ha chiesto se volevo andare a cena con lui e alla fine ho detto di sì..." ci racconta arrossendo.
Ci mettiamo a ridere e scherzare e anche a prendere un po' in giro Evy: è così carina e cotta, decisamente cotta. Vorremmo tutte essere al suo posto e vivere un'avventura che ci faccia pensare meno al lavoro e più a noi stesse.
Finito di mangiare anche il dolce ci alziamo per fiondarci nella pista: balliamo a ritmo di jazz accompagnate da trombe e sassofoni. E' il momento più bello di questa settimana e a renderlo ancora più allettante è l'atmosfera che ci circonda: tutti ridono, tutti si divertono e nessuno parla di guerra, pensano tutti a ballare e a non pestare i piedi a nessuno. E io faccio altrettanto: faccio qualche giravolta intorno a Carrie e Rachel, saltello maldestramente con Betty e Barbara e improvviso qualche passo con Evelyn e Kate. 
All'improvviso Evy si ferma arrossendo e spalancando gli occhi, puntandoli alle mie spalle.
"Oh mio Dio, è lui..." dice con una vena di eccitazione nella voce.
Ovviamente noi, non preoccupandoci di farci notare, guardiamo tutte nella direzione da lei indicata e vediamo un gruppo di uomini in divisa vicino la zona bar.
"Avanti Evy, devi essere più specifica" la canzona teneramente Barbara.
"Ok, giratevi non guardate. E' quello castano che sta parlando con il barista" 
Come se non l'avesse detto, ci giriamo di scatto senza neanche aspettare che finisca la frase e puntiamo gli occhi sull'uomo che Evy ha brevemente descritto. Sembra davvero un affascinante pilota: è alto e ben composto, e dal suo sguardo e dal modo con cui si guarda intorno riflette molta sicurezza. 
"Evy hai proprio fatto centro!" le dico ridendo, mentre le sue guance di nuovo si colorano di un rosso acceso.
"Devi andare a parlargli!" le dice Carrie spingendola fuori dal nostro piccolo cerchio, verso il pilota.
"Cosa? Che dici?" chiede nervosamente.
"Sì, e magari digli di presentarci i suoi amici" come sempre Barbara non perde un colpo.
"Ok, facciamo così: ritorniamo al tavolo, Evelyn la mettiamo verso l'esterno e aspettiamo che il suo pilota si accorga di lei..." 
"E poi quando verrà a salutarti gli dirai di aggiungersi a noi con i suoi amici!" finisco la frase di Carrie, prendendo Evelyn per un braccio e portandola di nuovo verso il tavolo.
Come al solito, abbiamo fatto centro: non passano nemmeno dieci minuti che lui si accorge di lei ed inizia a camminare nella nostra direzione.
"Ragazze, sta arrivando" dice Betty facendo finta di niente e mantenendo un sorriso.
"Tra tre, due, uno..." inizio a contare scherzosamente.
"Evelyn, ciao..." la voce profonda e risoluta proviene dalle mie spalle, mentre vedo Evy seduta davanti a me che guarda in un punto preciso dietro di me.
"Miles, che sorpresa vederti qua" lo saluta Evelyn, fingendo spudoratamente di non averlo adocchiato già da un po'.
Io e le ragazze guardiamo estasiate il loro piccolo momento: sembra che lui non si sia accorto di nessun altro se non di lei. 
"Loro sono le mie amiche: Grace, Carrie, Kate, Barbara, Rachel e Betty" 
"Salve..." diciamo all'unisono.
"Oh, anch'io sono con degli amici... magari potreste unirvi a noi... se vi va" propone il pilota, stavolta guardandoci tutte.
Io e le ragazze facciamo finta di pensarci, anche se sappiamo che la risposta è palese. E' così divertente. 
"Perchè no?" alla fine ci alziamo e ci incamminiamo al loro tavolo, guidate da Miles.
"G, guarda quanti sono" mi sussurra ad un orecchio Carrie, estasiata dalla vista di tutti quegli uomini in divisa.
"Abbiamo l'imbarazzo della scelta stasera" mi dice Barbara nell'altro orecchio.
Mi viene da ridere: siamo davvero così disperate? No, in realtà vogliamo solo divertirci e spassarcela, senza pensare più a niente, e perchè no, magari anche in compagnia degli uomini che ora ci scrutano attentamente mentre ci avviciniamo al loro tavolo.
"Ragazzi lei è Evelyn... e loro sono le sue amiche" ci presenta Miles facendo cenno ai suoi amici.
Iniziamo a salutarli e a presentarci una ad una, finchè i miei occhi non incontrano quelli famigliari di un soldato che avevo incontrato qualche giorno prima.
"Ci rivediamo tenente" mi dice con un piccolo sorriso.
E' il ragazzo che mi aveva salutato. Wow, che bel modo di ricordarmelo. 
"Salve" rispondo diligentemente, ricambiando il suo sorriso.
In poco tempo incominciamo a ridere e scherzare come se fossimo tutti grandi amici e ci conoscessimo da sempre: è questo che avevamo aspettato per tutta la serata. Evelyn e Miles si sono presto appartati, e nel frattempo anche Barbara e Kate si sono avvicinate a due piloti, due bei biondi che si assomigliano talmente tanto da sembrare fratelli. Io invece? Me la sto godendo davvero, in fondo mi accontento con poco: sono rimasta insieme a Carrie e Rachel al tavolo con altri tre piloti, il ragazzo che avevo visitato qualche giorno prima compreso. Ci vorrà poco perchè le mie amiche conquistino qualcuno con le loro risate contagiose e i loro sguardi ammiccanti e, con tanto di cappello, io faccio il tifo per loro.
"Vado al bar a prendermi un drink, volete qualcosa?" chiedo, non appena noto che siamo rimasti io e il tenente che mi aveva salutato ad intralciare i momenti di intimità che Carrie e Rachel stavano cercando di costruirsi con le loro nuove conquiste.
"Ti accompagno" dice il tenente, forse intuendo le mie intenzioni.
Gli rispondo con un sorriso e un timido "grazie". E' tutto così imbarazzante, ma non per la sua presenza, assolutamente, più perchè mi sto letteralmente sforzando, ma non riesco a ricordarmi il suo nome. E l'ha anche detto mentre si presentava alle mie amiche: come ho fatto a perdermelo?
"Non mi aspettavo di rivederla così presto, tenente" mi dice interrompendo i miei pensieri.
"Si aspettava di rivedermi, perchè?" gli chiedo sfacciatamente mentre ci avviciniamo al bancone.
"Beh, per le visite finali, in ospedale..."
"Oh, certo" rispondo imbarazzata.
E' ovvio, a che stavo pensando? Forse dovrei smetterla di tirare la corda, dovrei smetterla di provarci così spudoratamente, tanto non ne sono capace, finirò solo per fare una figuraccia.
"Lo speravo più che altro" mi dice con un piccolo sorriso e scuotendo la testa.
Un sorriso si apre spontaneamente nelle mie labbra e comincio a credere di aver scampato la brutta figura.
"Davvero?" 
Mi guarda annuendo piano con la testa. 
"Cosa prende?" mi chiede mentre fa un cenno al barista richiamando la sua attenzione.
"Un martini, grazie"
Un silenzio imbarazzante cala tra di noi mentre il barista prepara le nostre bevande. Ok, cosa devo fare? Qual è il prossimo passo? Mi sto innervosendo, non ho la più pallida idea di che cosa parlare: non riesco a pensare a niente. Del tempo? No, decisamente no.
"E' da tanto che è a Washington?" mi chiede, forse capendo che non sono molto brava a conversare. Decisamente pessima.
"Oh no, sono qui da una settimana circa, solo per lavoro" rispondo prendendo un sorso dal mio bicchiere.
"E di dove è?" 
"New Orleans, lei?"
"Io vengo da Nashville, nel Tennessee" mi risponde, mentre sorseggia il suo drink.
E di nuovo caliamo nel silenzio: la musica che fino a prima era piacevole ora sembra solo rendere ancora più assordante questo silenzio tra di noi. Forse mi sto facendo troppe aspettative, ed è questo che mi blocca dall'avere una normale conversazione tra adulti. Cerco di sciogliermi e rilassarmi, anche con l'aiuto del drink, quando gli chiedo:
"Cosa l'ha portata a fare il pilota, tenente?"
"Penso di averlo avuto nel sangue fin da piccolo: ho sempre amato volare. Era il mio destino e quando ne ho avuto la possibilità mi sono arruolato... e ho avuto la possibilità di farlo con il mio migliore amico" mi dice indicando sulla pista il pilota con cui sta ballando Evelyn.
"E di lei invece che mi dice? Cosa l'ha portata a fare l'infermiera?"
"Non lo so in realtà: volevo essere d'aiuto, contare qualcosa per qualcuno. Non sono nata con questa vocazione nel sangue ma alla fine mi ci sono ritrovata" 
"Per esperienza posso dirle che è un'ottima infiermiera"
"Grazie per la sua sincerità tenente" gli sorrido.
"Dammi pure del tu" mi dice facendomi un cenno con la testa.
"Certo..." ci sono cascata diamine.
Ora si è accorto che non mi ricordo come si chiama.
"Non si ricorda il mio nome" mi dice guardandomi con gli occhi assottigliati, facendo finta di essere indignato e spalancando la bocca scherzosamente.
"Anche tu puoi darmi del tu" dico, cercando di sviare la questione.
"Lo farò Grace, ma tu continui a non sapere come mi chiamo" dice questa volta con una grassa risata.
"Ti ho incontrato più di una settimana fa e poi stavo lavorando, non posso permettermi di famigliarizzare con i miei pazienti" gli spiego, cercando di tirarmi fuori da questa situazione tanto scomoda quanto imbarazzante.
"Va bene, va bene, ma sappi che mi ritengo offeso, Grace" dice scherzosamente, marcando di proposito il mio nome.
"Ora me lo dici?" gli chiedo bonariamente lanciandogli uno sguardo di scuse.
"E' Jo"
"Ma certo sì: Jo, Jonathan!" 
"Joseph"
"Ok, forse è meglio se sto zitta" dico finendo con un sorso il mio martini.
Entrambi scoppiamo in una risata che mi lascia senza fiato.
"Va bene, forza, ricominciamo da capo..." 
Lo guardo confusa non capendo cosa intende.
"Salve bella ragazza, sono Jo" mi dice porgendomi la mano.
"Piacere Grace" gli dico stringendogli la mano e trattenendo una risata.
"Cosa ci fa una bella ragazza come te qui?" mi chiede facendo finta di niente e guardandosi intorno.
"Ero alla ricerca di qualche bel ragazzo che mi facesse compagnia" gli rispondi reggendo il gioco.
"Credo sia la tua serata fortunata" si avvicina a me appoggiandosi al bancone.
"Ne sei così sicuro?" gli chiedo avvicinandomi a mia volta.
Ok, cosa sta succedendo? Mi piace, qualunque cosa sia. Mi guarda con un sorriso sfrontato e di sfida: 
"Pronta a vivere la serata più bella della tua vita?"
Lo guardo confusa ma allo stesso tempo interessata mentre mi porge una mano.
"Ti assicuro che non te ne pentirai Grace..." mi dice, cercando di rassicurarmi.
"Sarà meglio per te" dico sorridendo ricambiando il suo sguardo provocatorio.
Mi porta fino alla porta del locale e stranamente nessun dubbio mi passa per la testa: perchè mi sto fidando così? Usciamo e il freddo serale della città mi travolge. Non parliamo mentre mi fa passare in mezzo alla folla, sempre tenendo salda la mia mano nella sua. Arriviamo ad un piccolo vicolo buio e, ancora, nessun campanello d'allarme si accende in me: quanto sono ingenua? Arriviamo alla fine del vicolo dove davanti a noi si staglia un grande giardino, impossibile da notare da lontano
"Dove mi hai portato?" gli chiedo guardando estasiata il bellissimo giardino dal cancello che ci separa da questo. 
"Non ne ho idea..." mi dice guardandomi con un sorriso mozzafiato mostrandomi i denti e guardandosi intorno.
Scuote energicamente il cancello, che però sembra non volersi aprire.
"Ho visto questo posto mentre andavo al ristorante e mi sembrava perfetto per te" mi dice mentre continua a cercare un modo per aprire quella barriera di ferro.
"Avevi previsto tutto?" gli chiedo mentre faccio qualche passo per ammirare, anche se da lontano, le meravigliose piante che adornano il giardino.
Deve essere un parchetto privato, di qualche villa prestigiosa: anche nel buio riesco a vedere i colori vividi del glicine e dei fiori di ciliegio. La mia percezione si concentra sul profumo inebriante dei fiori freschi sbocciati: con una mano tocco il freddo del ferro, scorgendo tra le grate dei boccioli non ancora sbocciati.
"A dire il vero sto improvvisando un po'" mi risponde risvegliandomi dai miei pensieri.
Ridiamo insieme nello stesso momento in cui, dopo un ultimo strattone, il cancello si apre.
"Sei sicuro..." inizio timorosa.
"Certo! Ne varrà la pena" mi interrompe confortandomi.
Entriamo e il giardino è bellissimo: quel che riuscivo a vedere da fuori non è niente rispetto a quello che ho davanti. Gli alberi alti fanno da contorno a prati pieni di fiori che ancora devono sbocciare, e il tutto è messo in modo circolare, così da incorniciare una piccola panchina posta sotto la chioma di una grande quercia.
"E' stupendo" è l'unica cosa che riesco a dire.
Sento Jo deglutire nervosamente dietro di me.
"Speravo che ti piacesse" mi dice rasserenato.
"Beh, è perfetto" gli dico girandomi verso di lui con un sorriso radioso.
Mi fisso nei suoi occhi e non potrebbere essere un momento migliore. Ad un tratto mi sento colmare dal suo sguardo sereno e risoluto: un mare di emozioni che nemmeno io saprei spiegare, mi travolge. Non ho mai provato niente di simile per nessun altro e mi sento rapita: possibile che due occhi scuri e teneri possano far cadere tutte le mie certezze? Possibile che una persona sola possa ridurmi in questo modo? I nostri sguardi continuano a non lasciarsi e io mi sento incatenata a lui. I rumori della città si rifanno vivi nelle mie orecchie e mi riportano alla realtà: avevo perso la concezione del tempo. Abbasso subito imbarazzata gli occhi alle mie scarpe. Mi sento impacciata, quasi sbagliata: non so cosa fare, non so come comportarmi. Ma ci pensa Jo a guidarmi: mi prende il mento lentamente, riportando i miei occhi ai suoi. E poi mi bacia. Sento di volare, di spiccare il volo e salire in alto verso l'infinito e fare mille capriole. Niente mi disturba mentre con le labbra tremanti accolgo la sua dolce lingua che mi accarezza e mi manda ondate di piacere che raggiungono ogni punto del mio corpo. Non c'è più niente, nessuno: ci siamo solo noi, legati da questo nostro momento che vorrei non finisca mai. Quando ci separiamo per riprendere fiato, mi accarezza delicatamente una guancia.
"Ne è valsa la pena?" mi sussurra sulle labbra ancora bagnate.
"Oh sì" gli rispondo sorridendo e, per la prima volta, prendendo l'iniziativa.
Soffochiamo una risata in un altro bacio impetuoso, ma allo stesso tempo estremamente delicato. Appoggia la sua fronte alla mia, guardandomi di nuovo: per nulla al mondo, ora, vorrei distogliere il mio sguardo dal suo. Aveva ragione: sto vivendo la serata più bella della mia vita.

***
 
"Ragazze che serata!" esclama Kate appena varchiamo la soglia di casa.
"Evy come possiamo ringraziarti?" le chiede Barbara che non riesce a smettere di saltellare dalla felicità.
Direi che è stata una serata proficua per tutte. Le ragazze si sono date da fare e nessuna è rimasta senza compagnia: la serata perfetta, piena di emozioni che abbiamo la fortuna di condividere tra di noi. Scoppiamo tutte a ridere mentre andiamo in camera a cambiarci. E' quasi l'una di notte, ma nonostante questo la stanchezza non si fa sentire. 
"Abbiamo tante cose da raccontarci!" esclama Betty.
Un coro di "uh" si propaga nella stanza: anche Betty, la più seria tra di noi, è riuscita a rilassarsi e a godersi la serata. Le sue guance si colorano di un rosso acceso mentre si copre il viso con le mani.
"Sapete chi ci deve delle spiegazioni?" chiede Rachel, creando della suspense.
"Grace!" finisce la frase.
Tutti gli sguardi finisco immediatamente su di me. Stranamente non arrossisco, anzi, non vedo l'ora di raccontare tutto, ma proprio tutto alle mie amiche. Le guardo mentre un sorriso si allarga sulle mie labbra.
"Vero, sei scomparsa per tutta la sera" mi dice Carrie ammiccando.
"Diciamo che ho trovato una buona compagnia" dico mordendomi un labbro.
"Oh avanti, dicci tutto" mi sprona Evelyn prendendomi per un braccio e scuotendomi leggermente.
Le ragazze si riuniscono in un piccolo cerchio intorno a me: mi siedo sul pavimento con le spalle poggiate al mio letto, mentre le altre mi seguono. Carrie, seduta alla mia destra, mi prende una mano tra le sue guardandomi con attesa.
"Sono stata con Jo...  e credo che mi piaccia un pochino" dico abbassando lo sguardo al pavimento al ricordo degli eventi successi meno di un'ora prima.
Dirlo ad alta voce mi fa un insolito effetto. Soprattutto è davvero strano: può una serata sola con un uomo appena incontrato farmi perdere la testa? Forse sto correndo troppo, in fondo è stata solo una serata e un bacio... qualche bacio. 
"E' stata la serata perfetta: volevo che non finisse mai. E lui è stato così gentile, dolce... non potevo chiedere di meglio" comincio a raccontare sognante.
Continuiamo a parlare di quei soldati tutta la notte, come delle ragazzine alle prese con le prime cotte... e non è forse così, per me? Joseph Myers. Mi emoziono al solo pensiero. Nessuno mi era mai entrato in testa come lui, è tutto così nuovo per me. Sono davvero felice ma allo stesso tempo ho un po' di paura: e se questo fosse solo nella mia testa e per lui non sono altro che una ragazza con cui ha parlato per una sera e basta? Di nuovo questa paura, quella che mi ha sempre fermata dall'andare avanti, dal buttarmi sulle situazioni: paura di non essere ricambiata, paura di essere umiliata con i miei sentimenti. Più che altro, non vorrei fare la figura di quella che ha preso un colpo di fulmine, quando in realtà quella sera il cielo era sereno. Non lo sopporterei. Ma per ora non posso farci niente, devo solo aspettare e vedere se le cose si evolveranno in qualche modo. Non l'ho mai fatto, ma questa volta ci spero tanto. Non posso far altro che addormentarmi, pensando e ripensando a quegli occhi scuri e dolci che mi hanno incantata per tutta la serata, e che continuano a farlo nei miei pensieri.

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


Capitolo quattro

La giornata in casa è iniziata in modo parecchio frenetico: tra i ricordi di ieri sera, le battute e gli imbarazzi si sono sprecati. Ci siamo prese un po' in giro a vicenda facendo commenti poco casti sui bei ragazzi che abbiamo conosciuto ieri. Devo dire che è stato tutto molto divertente e me la stavo ridendo alla grande, finchè non sono stata presa di mira: ho provato a prenderla alla leggera reggendo il gioco, ma il solo pensiero delle cose che soprattutto Barbara non finiva di dire fantasticando associato a Jo, mi faceva infuocare non solo le guance. Al solo ricordo mi viene da mordermi le labbra e sento un calore rovente accendersi nello stomaco fino a propagarsi in tutto il corpo. Lascio andare il labbro inferiore che mi sto mordendo insistentemente e incosciamente non appena me ne rendo conto: di nuovo mi sono persa in questi pensieri poco pudici. Tutta colpa di Jo Myers e dell'effetto che mi fa. Meglio lasciar perdere o andrà finire che anche le ragazze se ne accorgeranno. Ritorno con la testa alla realtà e cerco di seguire la conversazione che si è accesa nella camera di Evelyn. Oggi le nostre attenzioni sono tutte rivolte a lei, è il suo grande giorno: tra poco uscirà per il suo primo appuntamento ufficiale con Miles e non so se siamo più eccitate noi o lei. 
"Che ne dite di questo?" ci chiede sventolandoci davanti un vestito bordeaux.
"E' perfetto... se dovete andare in chiesa" le risponde Rachel facendoci ridere tutte quante.
"No Evy metti il vestito che hai comprato l'ultima volta. Ti stava alla perfezione!" le suggerisco andando a frugare nel suo armadio.
Ha una marea di vestiti, uno più bello dell'altro, e non capisco come faccia a farsi prendere dal panico quando tutto ciò che mette le sta a pennello. Quando trovo quello che stavo cercando glielo mostro con un grande sorriso.
"Con questo sarai uno schianto!" esclama Betty.
Me lo prende dalla mani provandoselo frettolosamente: poverina, è così nervosa.
"Lo adoro" mi dice con un sorriso di ringraziamento.
"Avanti non c'è tempo da perdere, vieni qui che ti sistemo i capelli" le ordina Barbara con il suo solito fare da capo.
"Io ti faccio il trucco" si aggiunge Carrie.
Sentiamo suonare il campanello e in un attimo il panico attraversa le nostre facce: non siamo pronte, cioè, Evy non è pronta dobbiamo ancora finire di renderla impeccabile. Evelyn afferra nervosamente il polso di Barbara controllando l'orologio.
"E' in anticipo" dice soffocando un piccolo urletto di frustrazione.
"Voi finite qui, io gli vado ad aprire" ci dice Kate.
Non appena esce dalla stanza ci rimettiamo a lavoro di fretta e furia, neanche stessimo in ospedale e dovessimo curare una ferita urgente. Dobbiamo ancora finire gli ultimi ritocchi e poi sarà pronta. Sentiamo i passi frettolosi di Kate che sale le scale ritornando da noi: quando spalanca la porta ha un sorriso malizioso in viso.
"Buone notizie non è Miles... è Jo" 
Scatto appena sento il suo nome. La guardo con uno sguardo confuso ed eccitato allo stesso tempo mentre mi spinge verso la porta della stanza. Prima di scendere le scale la guardo sistemandomi velocemente.
"Come sto?"
"Alla grande" mi dice facendomi l'occhiolino.
Arrivo alla porta e lo vedo in piedi di spalle nel portico. Mi fa strano vederlo senza divisa, ma è più bello che mai.
"Joseph, ciao" lo saluto facendolo girare.
"Hey... scusami se mi sono presentato senza invito" mi dice con il suo solito sorriso che mi fa mancare il fiato.
"Ma no, non ti preoccupare. Vuoi entrare?" gli chiedo, spostandomi leggermente e facendogli un cenno.
"Sì grazie" fa un passo verso di me ma poi improvvisamente si fa indietro.
"No, non posso... i ragazzi mi aspettano e so già che se entro non riuscirò più ad andarmene" mi dice grattandosi la testa in modo impacciato.
"Volevo solo passare a salutarti... e sapere come stai?" riprende.
"Ci siamo visti solo ieri Jo" gli rispondo ridendo.
"Lo so, è che... non sono riuscito a dormire stanotte, non riuscivo a smettere di pensarti" 
La vecchia me avrebbe riso a tutta questa sdolcinatezza, e forse le sarebbe anche salito il diabete, ma la nuova me, la me innamorata, per poco non sviene.
"Anche io..." gli confesso, cercando di sembrare il più disinvolta possibile, ma la realtà è che fa sempre un certo effetto confessare queste cose, soprattutto a lui.
"Dovremmo ripeterlo... dico uscire insieme, non il... resto... non che non mi sia piaciuto, anzi, vorrei ripeterlo certo... cosa sto dicendo? Forse dovrei smetterla di parlare" mi dice impacciato.
Mi strappa una risata: mi piace vedere che anche lui non sa bene come comportarsi. E' brutto da dire? Direi di no, lo trovo veramente carino... come fa? Perchè io in una situazione simile sembro una bambina mentre lui è semplicemente perfetto in tutto quello che fa?
"Tranquillo... sì dovremmo ripeterlo" dico abbassando lo sguardo ai miei piedi.
Sì, lo sento, sono arrossita e sicuramente sembrerò un pomodoro.
"Che ne dici di venerdì?" mi chiede piegando la testa di lato e assottigliando leggermente gli occhi.
"Venerdì è perfetto" rispondo guardandolo negli occhi e sorridendogli.
"Bene"
"Sicuro di non voler entrare?" gli richiedo speranzosa, più perchè lo voglio che per cortesia.
"Vorrei, davvero, ma i ragazzi mi uccideranno..." mi dice ridendo.
"Capisco"
"Allora, ci vediamo Grace"
"A presto" 
Tutto qui? Al diavolo: scuoto la testa dandomi il coraggio necessario, prima di avvicinarmi e dargli un piccolo bacio sulla guancia. Jo mi dona un sorriso stupendo e se ne va. Quando rientro in casa faccio un piccolo saltello sul posto, scuotendo le braccia in aria nella mia personale danza della felicità. Per quanto ancora dovrò sentirmi una ragazzina impacciata al suo fianco? Non lo so, ma quasi quasi mi piace ritornare piccola e sentirmi così.

***

Non avrei mai pensato di passare un sabato sera a New York: quando ero a New Orleans la mia casa era fuori città e l'unico svago che avevo, che tutti nel mio piccolo paesino avevano, erano le lunghe passeggiate in riva al fiume. Le serate passate in centro città erano qualcosa di un altro livello: le persone, i locali, ma, soprattutto, la musica. Un tratto distintivo che non dimenticherò mai della mia bellissima città è la musica che si sentiva in qualsiasi angolo tu andassi, persino da casa mia, quando mi affacciavo dalla finestra della mia camera, sentivo in lontananza il suono delle trombe che rimbombavano nell'aria. Persino lungo il fiume ogni tanto venivano organizzate delle serate per i ragazzi a ritmo di blues o accompagnate dalle chitarre di una band di miei coetanei. Ma New York... mi spiego? La Grande Mela dove le sere sono infinite e si può vivere la città. Stando con le ragazze ho scoperto una nuova parte della mia personalità: sono una vera festaiola, adoro stare in mezzo alla gente e divertirmi. Ma stasera sarà qualcosa di più: stasera io e le ragazze non faremo festa tra di noi, avremo una fuga romantica con i nostri piloti. E finalmente potrò rivedere il mio pilota: Jo, dopo quasi tre settimane. Dopo il successone del nostro primo appuntamento le cose sono andate a gonfie vele: non avrei potuto chiedere di meglio. Non me lo aspettavo, ma mi ha portata a fare un picnic, cosa che mi aveva fatto storcere il naso, in cima ad una collina fuori città. Mi bastava solo stare con lui, non avevo molte pretese, non mi importava dove saremmo andati, ma ho sempre odiato i picnic: non sai mai dove appoggiarti e se provi a sistemarti per stare comoda rischi di far scivolare tutto e, non solo sporcare la tovaglia su cui siete seduti, ma anche il tuo vestito. Tratto da una triste storia vera. Alla fine con Jo è andato tutto magnificamente e persino il posto ha fatto colpo su di me: non esagero se dico che Jo era l'unica vista che avrei voluto ammirare, ma, puntuale alle otto, il tramonto ci ha regalato i suoi colori più vivi e caldi e ci ha lasciati entrambi senza fiato. E a quel punto l'ho saputo: mi stavo innamorando perdutamente di Joseph Myers. Abbiamo fatto l'amore, in mezzo al nulla, in mezzo alla natura. Folle, vero? E io rispondo sì, non avrei mai pensato che sarebbe stato così ma quell'uomo mi fa perdere la concezione del tempo, dello spazio, mi fa sentire capace di tutto, mi manda fuori di testa, mi fa sentire sempre tanto lucida quanto totalmente pazza. Quando sono con lui sono pronta a rischiare, a mettermi in discussione, con lui mi sento al sicuro: sento che sarò accettata, rispettata, amata. Quella notte mi sono buttata, tra le sue braccia sentivo di poterlo fare, senza pensare a nient'altro, senza pensare a quella solita vocina nella mia testa che mi frena e mi impedisce di vivere. E effettivamente mi sono sentita viva, per la prima volta dopo tanto tempo. Come direbbe Jo: ne è valsa la pena.
Dopo poco più di tre settimane, quando ormai aveva finito le visite a Washington, Jo è dovuto ritornare a Long Island, nella sua base. Prima che se ne andasse non c'è stato giorno in cui non ci siamo visti, anche solo per poche ore: non avevo intenzione di sprecare il poco tempo che avevamo. Davvero, se qualcuno mi avesse detto qualche mese fa che sarei stata così mi sarei messa a ridere, perchè io non sono mai stata così: ma da quando l'ho conosciuto è tutto diverso. E mi piace. Saranno pure stati pochi, ma sono stati i mesi più emozionanti della mia vita.
"Ragazze c'è posta!" sento gridare Rachel di sotto.
Mi vesto velocemente e con il turbante per asciugare i capelli ancora in testa scendo al piano di sotto, in salotto dove sono tutte riunite.
"Saranno le lettere dall'ospedale..." dice pensierosa Carrie.
"E' già arrivata la fine del mese? Oh sono così nervosa... e se dovessimo separarci?" esclama preoccupata Betty.
Mi avvicino a loro andando dritta al tavolino prendendo la mia lettera, mentre continuo a tamponarmi i capelli.
"Non ci credo... Pearl Harbor" esclama Kate con un piccolo grido di gioia.
"Le Hawaii" dice con un gridolino Rachel abbracciando Kate.
Le guardo sorridendo mentre penso a che cosa sarà scritto nella mia.
"G, cosa dice la tua?" mi chiede Carrie ansiosa.
Perdo un battito leggendo. Non ci credo, non può essere. Non riesco a distogliere lo sguardo dalle parole stampate sul foglio che tengo tra le mani. Deglutisco e mi siedo incredula, quando Barbara mi strappa la lettera dalle mani.
"Grace..."
Cerco di ricompormi, non voglio dare inutili preoccupazione alle mie amiche, non voglio nemmeno che mi compatiscano, non lo sopporterei, anche perchè non ce ne sarebbe motivo.
"E' un programma per volontari creato dall'esercito americano, mi ero offerta mesi fa, prima di conoscervi. E' passato così tanto tempo che non pensavo mi avrebbero più risposto..." dico cercando di spiegare alle altre che non hanno letto la lettera e che mi guardano confuse.
"Sono stata presa anch'io..." mi dice Evy avvicinandosi a me:
Lo sguardo che vedo nel suo viso è sicuramente uguale al mio. In un attimo mi passano davanti tutti gli ultimi mesi: mia madre, i miei fratelli, le ragazze, Jo... l'ennesima prova che l'amore e la felicità sono qualcosa di troppo grande per me. Diamine, era tutto così perfetto, troppo, me lo sarei dovuta apettare... e adesso che farò?

***

"Cara mamma, 
come stai? Mi mancate tanto tu e i ragazzi. Io sto benissimo, qui va tutto così bene. In fondo lo sai che questa è l'unica cosa che ho sempre voluto fare: aiutare, contare qualcosa. 
Non hai di che preoccuparti per me, io e le mie amiche ci guardiamo le spalle a vicenda. Ti ricordi di loro? Te ne ho parlato nell'ultima lettera che ti ho mandato. Come vorrei fartele conoscere, sono delle ottime compagne da avere accanto: mi ricordano te. Vorrei fartele conoscere un giorno, se ci sarà l'occasione. 
C'è una cosa che devo dirti. Non faccio che girarci intorno ma devo dirtelo, solo non so come fare. Quindi andrò dritta al punto: sono stata presa in una squadra composta da personale medico volontario creata dall'esercito per intervenire nelle basi militari in Inghilterra. Dovrei partire presto, se accetto di andare. Non te l'ho detto perchè mi ero offerta molto tempo fa e non avevo più saputo niente, e in più non volevo farti preoccupare inutilmente. Ora è tutto cambiato, deve esserci un disperato bisogno di aiuto in Europa. 
Il punto è che tutto cambiato anche nella mia vita, mamma: ho incontrato una persona... Per questo non so che fare adesso, non ci ho ancora pensato. Hai sempre detto che tu mi conosci meglio di me stessa, quindi adesso sai cosa deciderò di fare? Ti prego dimmelo, perchè io non so come comportarmi. Beh, forse in fondo anch'io lo so già: "segui il tuo cuore", come mi hai sempre detto no?
Ora ti saluto mamma. Ti giuro che ti farò avere mie notizie presto. Prenditi cura di te e salutami David e Nathan. Vi voglio bene immensamente.
Baci, 
Grace"
Finito di scrivere rileggo velocemente le parole ben marcate sul foglio. Ho fatto un casino: sono stata più di un'ora a stropicciare il foglio e a segnare delle righe spesse sopra le frasi che non mi sembravano adatte, pensando e ripensando alle parole giuste da usare e ora il tutto è quasi illeggibile. Comunque non credo che a mia madre disturberà la cosa, abituata com'è alle lettere disordinate che le scrivo di solito. Una volta che l'inchiostro si è asciugato, piego precisamente il foglio e lo metto nella busta, ma prima di chiuderla guardo il piccolo pezzo di carta che ho tenuto sempre sott'occhio mentre scrivevo. E' l'ultimo ricordo che mi è rimasto di mio padre, prima che se ne andasse: me lo ha dato il giorno del mio diciottesimo compleanno, dicendomi che era fiero di me e della donna che stavo diventando. 
"Quale donna?" gli chiesi e gli dissi che sarei sempre stata la sua bambina. 
"Bambina mia, hai diciotto anni, è ora che tu cresca. Non ho mai preteso niente da te, in fondo ho origini umili, non ho potuto permetterti un futuro ragguardevole..."
"Papà ma che dici..." cercai di interromperlo.
"L'unica cosa che mi fa passare il senso di colpa è la consapevolezza che diventerai una donna fantastica: lo vedo da come ti comporti, con me, con tua madre, con i tuoi fratelli, con tutto il vicinato. Grace tu hai avuto il dono più caro che la vita potesse mai farti: un buon cuore, un'anima gentile. E ora so che non ho niente di cui preoccuparmi, perchè già sei quello che speravo di poter vedere in mia figlia. Ricordati sempre di essere premurosa quando possibile, perchè nessun atto di gentilezza, per piccolo che sia, è mai sprecato"
Non capivo perchè mi dicesse tutte quelle cose: mi faceva strano ricevere un discorso tanto serio da mio padre, ma mi faceva altrettanto piacere. L'inconsuetudine della situazione si fece però da parte per far spazio all'orgoglio che sentivo: mio padre doveva davvero amarmi per dirmi certe parole. In qualche modo mio padre se lo sentiva, che se ne sarebbe andato e voleva farmi sapere tutto ciò che non mi aveva mai detto ma che aveva sempre pensato. Infatti non passò nemmeno una settimana: il tutto fu improvviso e solo con il tempo me ne resi conto e cominciai ad elaborare. Il dolore più grande della mia vita, qualcosa di indescrivibile. Quel giorno insieme alle sue parole mi diede anche quel pezzo di carta che non riesco a smettere di leggere.
"Se io potrò impedire a un cuore di spezzarsi non avrò vissuto invano. Se allevierò il dolore di una vita o guarirò una pena o aiuterò un pettirosso caduto a rientrare nel nido non avrò vissuto invano"
E' lo steso pezzo di carta che guardai quando decisi di lasciare la mia casa e arruolarmi come infermiera. Vorrei dire che fu mio padre a darmi la forza, ma sarebbe una bugia. La verità è che ho usato le parole di mio padre come scusa per abbandonare la situazione di strazio che si era creata in casa mia e fuggire. E mi vergogno molto. Penso di essermi proposta come volontaria per estinguere questa vergogna e questo senso di colpa che mi affliggono. Ma nemmeno qua sarei completamente sincera: io voglio farlo, voglio davvero "aiutare un pettirosso caduto" perchè sento che questo è il mio scopo, al di là di tutto ciò che mi ha detto mio padre. Allo stesso tempo sento un bisogno costante di renderlo orgoglioso di me. Nemmeno io riesco a definire e capire questi sentimenti contrastanti.
"Hai scritto a tua madre?" mi chiede Evelyn entrando nella mia camera.
"Sì, dovevo..." dico alzando le spalle.
"Non so come dirlo a Miles stasera" mi dice sospirando profondamente.
Ci guardiamo malinconicamente e tutte le parole non dette, tutte le emozioni che abbiamo nascosto alle altre riemergono e mi rendo conto che io e Evy siamo nella stessa situazione. Non resisto e prendo la mia amica tra le braccia, cercando di confortare sia me che lei.
"Evy, quello che è successo questi mesi ha cambiato tutto e non devi fartene una colpa se decidi di rivalutare questa cosa. Ricordati che puoi sempre tirarti indietro" le dico cercando di confortarla.
"E tu?" mi chiede prendendomi le mani tra le sue.
"Non si tratta di me, non devi pensarci... devi pensare a te stessa. E io farò lo stesso"
Sospiriamo all'unisono e di nuovo, ci abbracciamo cercando di darci forza. Che situazione tremenda. 
"E' arrivato il taxi" ci dice Rachel affacciandosi dalla porta della camera.
Io e Evy prendiamo le nostre borse e scendiamo al piano di sotto: le ragazze hanno tutte dei musi lunghi e l'allegria di questa mattina sembra essere scomparsa in un batter d'occhi. 
"Ragazze, ragazze... non voglio vedervi così. Che sono queste facce? Questa deve essere una serata indimenticabile, per tutte noi e non non sono ammessi visi tristi" dico facendole sorridere.
"Se questa deve essere l'ultima serata per lungo tempo che passerò insieme a voi voglio passarla felice" dico loro continuando a mantenere il sorriso tirato.
"Grace ha ragione" dice Evy.
Mi avvicino alle mie amiche avvolgendole tutte in un abbraccio di gruppo. Non voglio che vada tutto così: in realtà ancora non ho preso una decisione eppure tutte sembrano pensare alla peggiore delle ipotesi.
Il viaggio in treno lo passiamo scherzando e ridendo, proprio come volevo, ricordando le nostre avventure passate. Quante ne abbiamo passate in così poco tempo. Più parliamo più mi rendo conto che ognuna di queste ragazze occupa un posto incolmabile nel mio cuore. Cosa succederà se deciderò di partire? Continuo a ripetermelo ma in cuor mio so di aver già preso una decisione ed è inutile continuare a fare supposizioni. Forse dovrei ripeterlo anche a me stessa: che senso ha tenere i musi lunghi? Questa sarà una delle serate più belle di sempre.
"Vi ricordate quando ci siamo viste per la prima volta?" 
"Certo! Mi sembravi una bambina, piccola Grace" esclama Barbara
"Betty era furiosa" mi dice Rachel.
La guardo ridendo con gli occhi leggermente spalancati.
"Mi sembra normale: eri una ragazzina e io avrei dovuto farti da supervisora... non mi sembrava più di essere un'infermiera, ma una maestra d'asilo" mi confessa ridendo.
"In effetti era diventato un'asilo: abbiamo fatto comunella io e te" mi ricorda Carrie dandomi il cinque con la mano.
"Solo perchè eravate arrivate nello stesso periodo"
"Betty ammettilo, poi ti sono entrata nel cuore" le dico punzecchiandola.
"Tesoro, non ci è voluta nemmeno metà giornata" mi dice sventolando con la mano davanti al mio viso.
"Avevo paura di non piacervi, di fare qualcosa di sbagliato il primo giorno..." confesso.
"Ma poi ho capito che ero troppo simpatica e che sarebbe stata facile cavarmela" aggiungo pavoneggiandomi un po'.
"Ma sentila" mi dice Evelyn schiaffeggiandomi scherzosamente un braccio.
Continuiamo a parlare dei nostri primi incontri fino ad arrivare alla stazione di New York. Una volta scese troviamo i ragazzi ad aspettarci. Faccio scorrere il mio sguardo su di loro fino a che, non riuscendo a trattenermi, corro tra le braccia di Jo. Mi solleva da terra e mi fa girare, prima di rimettermi giù.
"Piacere di rivederla, tenente" 
"Altrettanto, tenente"
"Mi sei mancata" 
"Tu non sai quanto" gli rispondo staccandomi dall'abbraccio e guardandolo finalmente.
Si avvicina lentamente a me mentre mi prende il viso tra le mani. E così mi bacia, teneramente, dolcemente, un classico bacio alla Jo Myers.

***

A cena è scorre tutto divinamente. Jo mi ha chiesto di ballare ed ora ci troviamo in mezzo alla pista, abbracciati l'uno all'altro, muovendoci lentamente. Stasera le parole mi mancano e forse è meglio così.
"Jo... pensi mai che la guerra verrà a piombarci addosso?" gli chiedo continuando a ballare, sicura del fatto che non può vedermi mentre ho il viso appoggiato alla sua spalla.
"Non lo so... non ci penso, finchè è così tutto lontano da noi"
"Non credi che prima o poi ci troveremo coinvolti?"
"Potrebbe succedere, in fondo è per questo che mi addestrano. Ma non siamo noi a deciderlo, Grace, non siamo noi a scrivere il nostro destino"
Alzo il viso dalla sua spalla confortante e lo guardo.
"Hai ragione" sussurro, ritornando alla posizione di prima.
"Per ora il nostro comando ha deciso di spostarci a Pearl Harbor... spero che anche tu sarai assegnata alla base" mi informa.
"Lo sai che non siamo noi a deciderlo, Jo" gli dico mentre guardo come se fossi assente le altre coppie che ci ballano vicino.
"Già... ma ti immagini le spiagge bianche, i cocktail alla frutta e quanto surf potremmo fare?" mi dice eccitato al solo pensiero.
"Sembra fantastico" dico sorridendo amaramente. 
Fortunatamente lui non mi vede.
"E poi, grazie alle cure di un'amabile infermiera, non ci saranno più addestramenti per me, ma solo tante tante ore di vole... quello che ho sempre sognato" mi dice baciandomi il collo lentamente.
"Non fai altro che pensare agli aerei, e a me quando ci pensi? Scommetto che persino adesso stai pensando a volare" gli dico facendo finta di essere infastidita.
"Ma no... ora sto pensando a come non pestarti i piedi" mi dice abbassando gli occhi ai miei piedi.
Scoppio a ridere stringendolo più forte a me.
Decidiamo poi di pagare il conto e di spostarci in un locale poco lontano e più informale del ristorante in cui abbiamo gustato una cena da cinque stelle. Prima di raggiungere gli altri io e Jo decidiamo di andare, in taxi, fino alla spiaggia più vicina, per staccare dal clima della città e goderci l'aria di mare. Mi sento un po' in soggezione e non mi era mai successo con Jo: è tutta la sera che non riesco a trovare le parole, per qualsiasi cosa. Certe volte non mi capisco, davvero. Jo, invece, sembra tranquillo e non sembra nemmeno essersi accorto della mia stranezza, meglio così. Mi dispiace, ma sta chiacchierando praticamente da solo.
"Ok, Grace ora mi dici che ti prende?" mi chiede improvvisamente interrompendo il suo discorso.
Quindi se ne è accorto. Si ferma e si mette davanti a me.
"Pensavo che ti piacessero le mie storie ma sono dieci minuti che ripeto la stessa e tu non te ne sei nemmeno accorta" mi dice ridendo cercando di sdrammatizzare. 
Non riesco nemmeno a guardarlo negli occhi. Da quando mi è così difficile? 
"Jo, ti devo dire una cosa..." gli dico finalmente.
"Ti ascolto" mi risponde spronandomi.
Ma non riesco a parlare, è tutto bloccato. Perchè devo essere così? Perchè deve sempre andare a finire così?
"Grace che è successo?" mi chiede questa volta preoccupato.
"Devo partire Jo..." gli dico, continuando a non guardarlo negli occhi.
Sono fissa a guardare la sua camicia e non mi azzardo a spostare lo sguardo.
"Mi avevi detto che ancora non ti avevano assegnato a nessuna base" mi dice confuso.
Sono sicura che stia scuotendo la testa, come fa sempre.
"Parto per l'Inghilterra... sono stata presa in una squadra di medici e infermieri che verranno mandati come supporto medico nelle basi militari" 
"Cosa? Non capisco... non possono comandarti lì" sento che si sta innervosendo.
"Non mi hanno comandata... parto volontaria" e finalmente lo guardo.
Improvvisamente non ricordo più come si respira, riesco solo a trattenere il fiato nell'attesa di una sua reazione. Perchè nei suoi occhi non vedo più la sua solita dolcezza, ma solo un senso di disperazione e dolore? 
"Cosa? Perchè? Grace è il posto più pericoloso sulla terra e tu decidi di andarci?"
"Non è una tua scelta, Jo, sono io che ho deciso di farlo" 
"Perchè, a che scopo?" mi chiede disperatamente.
Non mi capisce: l'uomo che pensavo sapesse tutto di me, non riesce a capirmi. 
"Per aiutare chi, a differenza nostra, sta combattendo una guerra per tutti noi" la faccio semplice.
Se solo sapesse la profondità delle mie ragioni. Cala il silenzio tra di noi. Questa volta è lui a non guardarmi.
"Jo... questi ultimi mesi sono stati i più belli della mia vita e non vorrei mai, per nulla al mondo, rovinarli..." gli confesso.
"Non potresti mai rovinarli" mi dice sospirando e avvicinandosi a me.
"Ma non posso chiederti di aspettarmi... anzi non voglio farlo" la parole che prima cercavo disperatamente ora strabordano come un fiume in piena e io le lascio andare senza pensare.
Mi guardo i piedi capendo il senso di quello che sto dicendo. E' davvero questo che voglio?
"A che scopo?" quasi mi chiedo da sola.
"Questa è l'ennesima prova della mia vita che non sono adatta a tutta questa felicità... non saprei come gestirla e avrei comunque rovinato tutto prima o poi" continuo.
"Grace io t..." lo interrompo.
"Non dirlo... ti prego non rendere tutto più difficile"
"Io sto rendendo tutto difficile? Se tu mi amassi come ti amo io... non te ne andresti" mi dice ferito.
Non posso tirarmi indietro ora, non lo farò. Ho preso una decisione: ho riflettuto ed è meglio che vada così. Come posso chiedergli di aspettarmi quando neanche io so quando tornerò. In questo lasso di tempo potrebbe succedere di tutto: non potrei mai chiedergli di lasciare in sospeso la sua vita per me. Per aspettarmi. Potrebbe cambiare tutto quando ritornerò, potrebbe odiarmi se, dopo tutta l'attesa, si trovasse davanti qualcuno che non vuole. Io mi odierei per questo. Lui forse ora non riesce a capirlo, ma l'ultima cosa che voglio è ferirlo. E se per evitare questo dovrò essere io a riempirmi di dolore, sono disposta a farlo.
"Joseph non è una tua scelta, si tratta di me: il tuo sogno è stato sempre quello di volare? Beh, il mio quello di aiutare quando posso"
"Grace vuoi andare a fare l'eroina? Là c'è la guerra, le persone muoiono sotto i bombardamenti... e tu ti ci vuoi fiondare in picchiata!"
"Jo, ti prego, voglio che tu capisca..." lo imploro.
Non capisce e per questo mi detesta. Non voglio partire se questa deve essere l'ultima immagine che ho di lui.
"Devo farlo perchè voglio farlo. Non sono una stupida, conosco i miei rischi... ma cosa ne sarà di noi? La lontananza logorerebbe il nostro rapporto... per questo voglio ricordarti, così: come l'uomo che mi ha salutata in ospedale, come quello che mi ha portata a vede il giardino più bello che abbia mai visto, come quello che ha reso un tramonto indimenticabile... come quello che mi ha fatto scoprire l'amore" 
Ora ci guardiamo, occhi negli occhi. Non so per quanto tempo restiamo immobili in questa posizione: il tempo perde forma e l'unico suono che mi tiene ancorata alla realtà è quello delle onde del mare che si infrangono violentemente negli scogli. Nemmeno un orologio servirebbe per capire quanto tempo è passato: è uno di quei momenti che non si può misurare con un orologio, ma solo con i battiti del cuore.
"Grace, non farmi questo..." 
I suoi occhi, i suoi bellissimi occhi, si riempono di lacrime. Non posso sopportarlo. 
"Ti prego non odiarmi..." 
Gli faccio un ultima carezza e lo sento appoggiarsi alla mia mano. E' troppo: prima che mi perda di nuovo a guardarlo, faccio un passo indietro e, dopo un'ultima occhiata che per me valeva più di mille parole, me ne vado dandogli le spalle.

***

Le ragazze hanno deciso di accompagnarmi in stazione: io non volevo, ma loro hanno, ovviamente, insistito. Non credo riuscirò a reggere tutte le emozioni che mi stanno esplodendo dentro, figuriamoci farlo con loro davanti a me. Quando stavo per uscire di casa Barbara mi si è piazzata davanti con le braccia conserte e mi ha minacciato: "Grace tu non uscirai di qui senza di noi" e quando Barbara dice qualcosa, è quella e basta. Non ho resistito e le ho accontentate con un sorriso. Ma d'altra parte continuo a pensare che non voglio che gli ultimi momenti che passo con loro siano pieni di lacrime e singhiozzi... come sta succedendo adesso.
"E' arrivato il momento..." dico alle mia amiche non appena sento chiamare il mio treno.
"Grace, fai attenzione, non..." mi raccomanda Betty, interrompendosi improvvisamente per la voce rotta.
La guardo con un sorriso addolorato. Mi mordo la lingua cercando di trattenere le lacrime che presto, sono sicura, mi bagneranno il viso. Prima che vedano le prime goccioline solcare le mie guance le abbraccio tutte forte, cercando di trasmettere loro tutto il mio amore, tutte le parole che non ho mai detto, tutta la gratitudine che sento nei loro confronti. Quasi mi pento adesso di tutte le volte in cui avrei potuto dimostrare quanto tenessi a loro e non l'ho fatto. Quando ci stacchiamo Evelyn si fa avanti fra tutte e mi riprende tra le sue braccia.
"Non volevo lasciarti da sola Grace, mi dispiace" mi sussurra singhiozzando ad un orecchio.
Come risposta la stringo più forte. Le ho già detto che non mi sento nè tradita nè altro, non potrei mai: ha preso la sua scelta, così come io ho preso la mia. 
"Ragazze..." dico seriamente guardandole una per una negli occhi.
Cerco di immagazzinare i loro sguardi, i loro tratti, i loro colori, così da averle sempre nelle memorie a farmi compagnia. Addolcisco i lineamenti rigidi del mio viso e con un sorriso giocoso le saluto a modo mio.
"Ritornerò ad occupare il bagno di casa per ore per prepararmi, statene certe" dico assottigliando gli occhi a mo' di sfida.
E così saluto le mie amiche con un ultimo abbraccio, questa volta fatto di noi, lacrime e risate. Lancio loro un ultimo sguardo prima di scomparire tra le porte del treno che mi porterà all'aeroporto. Prendo posto nel mio vagone e finalmente mi metto seduta. Mi stiracchio cercando di spazzare via tutta la pressione e lo stress e rilassarmi nel mio sedile. Sarà un viaggio lungo, meglio che mi prepari agli acciacchi che sicuramente avrò una volta giunta a destinazione. Meglio che cominci ad abituarmi al fatto che sto andando via da tutto e tutti, e che sarò in balia del destino, in balia di me stessa. Scuoto la testa cercando di scacciare questi pensieri negativi: perchè devo essere così? Mi sto facendo del male da sola. E' da stamattina che parlo di addii, e perchè mai? Io ritornerò a casa. Non sto andando a fare la guerra, non rischio come i valorosi soldati che ogni giorno devono scendere in campo e mettere a rischio le loro vite. Di nuovo: la sto facendo troppo tragica, sto pensando troppo a me stessa quando è mio dovere assistere a chi ogni giorno combatterà per far sì che io sia al sicuro. Nella lettera non c'erano molte informazioni: una volta arrivata in Inghilterra sarò assegnata ad un campo medico di primo soccorso in una base militare, questo è tutto quello che so. Sono pronta? Devo esserlo... l'unico pericolo che corro è quello di mancare al mio dovere. Io ritornerò e devo far sì che anche gli uomini che curerò ritornino dalle loro famiglie. 
Mentre penso e guardo fuori dal finestrino mi sembra di avere un deja-vù. Il treno comincia a muoversi e un milione di emozioni mi travolge: è come se fossi sulle rotaie, non a bordo, e il treno mi passasse sopra con tutta la sua forza e vagone dopo vagono i turbamenti crescono. Guardo le mie amiche allontanarsi e non ce la faccio. Quando sposto lo sguardo da un'altra parte mi sembra di scorgere qualcuno di familiare: strizzo gli occhi cercando di esaminare meglio l'uomo che sembra spaesato tra i binari. Dal modo in cui si muove frettolosamente verso il mio treno che sta iniziando la sua corsa sembra smarrito, sembra angosciato, sembra... Jo. Cerco di assottigliare lo sguardo più che posso ma ormai è troppo tardi: il treno ha preso velocità e si allontana dalla stazione. Prendo un respiro profondo e mi impongo di non pensarci: non può essere, non era lui. Non era lui.

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***


Capitolo cinque

Il taxi mi lascia di fronte all'edificio giallo: pago il conducente con un sorriso cordiale e scendo. Le mura sono sporche di nero, piene di polvere e l'intonaco in alcune parti si sta staccando, segno del tempo che è passato su questo edificio.
"Questo è l'alloggio delle signore" mi informa il signor Ripley.
Da quando mi è venuto a prendere dalla stazione non ha chiuso bocca: poverino, è stato molto gentile a spiegarmi come funzionano le cose qui, ma io di parlare non ne avevo proprio voglia. Le due ore di viaggio in taxi le ho passate lanciandogli piccoli sorrisi forzati, annuendo di tanto in tanto e guardando il paesaggio desolato che scorreva fuori dal finestrino.
Sono stata assegnata ad un campo militare a qualche ora di distanza da Londra: praticamente lavorerò in una semplice tenda allestita per il primo soccorso vicino ad un aeroporto, come mi ha spiegato il signor Ripley, non si è fermato sui dettagli.
"Il campo è a dieci minuti di camminata, cinque in macchina: sa, per ragioni di sicurezza... in casi come questi la distanza, anche se minima, è nostra amica" continua a parlare freneticamente mentre entriamo nell'edificio.
Il giallo sporco dei muri esterni non rispecchia l'interno: tutto sommato, nonostante le mura spoglie, sembra tenuto bene. Davanti a me si presenta una grande scalinata, posta subito davanti all'entrata, che decora il tutto in stile vittoriano, vecchio, ma vittoriano. 
"E' un edificio di importanza storica da queste parti: era un collegio molto prestigioso, solo i rampolli delle famiglie più aristocratiche erano ammessi..."
Quasi non lo ascolto mentre saliamo per le scale, alla cima delle quali, il signor Ripley si ferma.
"Bene, signorina. Di sotto, vicino alla sala comune vi è la sala da pranzo, mentre dall'altro lato della stanza c'è la cucina. Qui sopra ci sono i bagni e le camere: condividerai la stanza con altre quattro signore... mi segua"
Mi porta alla fine del corridoio in una camera non poi così male: ci sono tre letti da un lato e due dall'altro, un tappeto al centro della stanza, un grande finestra e degli armadi non troppo spaziosi; vicino ad uno degli armadi c'è una porta di legno, che presumo porti al bagno. Il signor Ripley mi fa cenno per farmi accomodare e mi avvicino a quello che sarà il mio letto.
"La sua compagna di stanza sarà qui a momenti e finirà il suo piccolo giro turistico... spero di esserle stato di aiuto, signorina Barlow" mi dice con un grande sorriso.
Solo ora mi rendo conto di quanto i suo baffi grigi e le sue guance rosse lo rendano paffuto. Gli rispondo immediatamente con una stretta di mano, cercando di mostrargli la mia gratitudine, che durante il viaggio non ho gli fatto percepire più di tanto.
"Grazie mille, signor Ripley"
Quando esce dalla stanza, mi metto a curiosare in giro: non è niente in confronto alla casa che avevo a Washington, tanto meno si avvicina alla casa di famiglia a New Orleans. Tutto sommato non mi lamento: non mi aspettavo mica chissà cosa. 
"Grace Barlow?" mi chiede una ragazza dai capelli rossi mentre entra nella stanza.
"Sono Nancy"
"Piacere" le dico stringendole la mano.
"Vedo che già ti sei sistemata... gli altri letti sono di Helen, Shirley e Margaret, ma non credo avrete modo di incontrarvi: i turni qua sono estenuanti, vedrai che userai questa stanza solo per dormire" mi informa con una risatina.
"Questi sono i tuoi turni, coincidono con i miei, quindi direi che passeremo molto tempo insieme Grace... ora mettiti la divisa e seguimi" mi dice consegnandomi un foglio stropicciato con segnati gli orari che farò.
Cosa? Sta correndo un po' troppo per i miei gusti. Non che mi aspettassi un corteo di benvenuto e i migliori comfort, ma non ho nemmeno disfatto le valige! Nonostante questo faccio come mi dice e mi cambio velocemente in bagno. 
"Siete tutte americane?" le chiedo mentre cerco di stare al suo passo, una volta uscite dalla stanza.
"Sì" mi risponde frettolosamente troppo impegnata a controllare le cartelle che ha in mano.
"Da quanto sei qui?" chiedo cercando di fare conversazione.
"Due settimane... bisogna ambientarsi subito qui" continua notando il mio sguardo sorpreso.
La ragazza che mi farà da guida e che dovrebbe spiegarmi come funzionano le cose qui è praticamente una novellina.
"Ora ti porto al campo così vedrai come funziona, poi andremo in ospedale" mi informa varcando la soglia dell'alloggio.
"Ospedale? Quale ospedale?" le faccio un'altra domanda.
Sono più che confusa ora, non ci sto capendo più niente.
"L'ospedale della città: è a un'ora da qui. Tutti noi facciamo turni diversi e ci alterniamo tra il campo e, quando serve, diamo una mano in ospedale"
"Il signor Ripley non me ne aveva parlato" ammetto.
"E' vecchio, si sarà dimenticato" mi dice con una scrollata di spalle e un sorriso.
Ci incamminiamo sulla strada sterrata che presumo porti al campo. Sta accadendo tutto troppo velocemente, non so se riuscirò a mantenere questo passo, non sono abituata. E pensare che a quest'ora mi sarei potuta trovare in una calda spiaggia delle Hawaii a godermi il sole in tutta tranquillità.
"Allora Grace, di dove sei?" mi chiede cercando di fare conversazione.
In effetti sono quasi cinque minuti che nessuna di noi apre bocca e, a pensarci bene, dovrei provare a conoscerla, dato che sarà molto probabilmente l'unica persona con cui legherò e avrò un rapporto qui.
"New Orleans, tu?"
"Seattle... perchè mai hai abbandonato la città del jazz per venire qui?"
"Credo sia la mia immensa dedizione per il dovere" le dico facendola ridere.
"Sei divertente ragazza... mi piaci"
"Anche tu non sei male"
"Immagino che il signor Ripley non ti abbia detto più di tanto"
"In effetti no"
"Povero vecchio, riesce solo a parlare di quanto il nostro alloggio sia un edificio importante e bla, bla, bla... come biasimarlo? E' uno storico, o meglio, lo era, prima della guerra"
"Ha perso il lavoro?"
"Ha perso il posto di lavoro in tutti i sensi... demolito da una bomba"
"E' tremendo"
"Va così qui, Grace... e se ti fa pena un misero edificio, aspetta a quando dovrai correre da tutte le parti per salvare vite. Al campo non è tanto disastrosa la situazione: se un pilota è tanto fortunato da ritornare all'aeroporto, di solito non è in fin di vita, grave sì, ma niente di irrimediabile. La parte orribile arriva quando dobbiamo prestare soccorso all'ospedale: lì è tutto diverso, perchè si tratta di civili, praticamente persone che con questa guerra non hanno niente a che fare... eppure sono i primi a rimetterci"
"Beh, è il nostro lavoro... è per questo che siamo qui" le dico cercando di risollevare il morale della conversazione.
"Già..." mi risponde con un sorriso amaro.
Di nuovo il silenzio cala tra di noi, finchè, qualche minuto più tardi, giungiamo al campo.
"Eccoci qui! Quello è l'alloggio dei piloti, qui come puoi vedere ci sono gli aerei ma quello che interessa a noi è quel tendone laggù" mi dice indicandomi la tenda da campo blu davanti a noi. 
Entriamo nel tendone e troviamo delle persone che parlottano freneticamente tra loro e sistemano il posto.
"Dottor O'Donnell, lei è Grace Barlow" 
Nancy richiama l'attenzione dell'uomo alto in camice: deve essere il mio superiore.
"Benvenuta tra noi, tenente" mi saluta stringendomi la mano.
"Grazie, dottore"
"Loro sono alcune ragazze del nostro turno... Grace ti presento Martha, Rosalie, Constance e il dottor Roland" continua Nancy presentandomi a tutti i pochi presenti.
"Ah, carne fresca!" esclama scherzosamente la bionda, Rosalie.
"Appena servita!" dico cercando di stare allo scherzo.
"Noi stavamo andando in pausa... Nancy falle vedere dove stanno gli strumenti" le dice il dottor Roland, un uomo basso con i folti baffi scuri.
"Sì, dottore"
"Se ne vanno tutti?" chiedo a Nancy, quando mi accorgo che il tendone si è svuotato.
"Sì, è un raro momento di calma questo, non ti stupire, succede. I guai arrivano quando si sente la sirena"
"La sirena?" chiedo confusamente.
"Sì, la sirena... se la senti, significa che gli aerei stanno per partire per un raid: in quel caso dobbiamo prepararci per il peggio, in caso qualcuno ritorni ferito" mi spiega pazientemente.
"Allora: qui ci sono le sostanze liquide, su questo cassetto le garze, cotone e... Kit! Grace aspettami qui, ritorno subito" si interrompe non appena un giovane ragazzo entra nel tendone.
Sono confusa, non dovrebbe lasciarmi qui da sola, non so cosa fare, dove guardare. Non mi sono mai sentita così fuori luogo: non è da me. Non ho bisogno della balia, e allora perchè mi sento persa, senza Nancy che mi spiega tutto passo dopo passo? Scaccio via questa sensazione e ne approfitto per guardarmi intorno: ci sono a malapena venti lettini, anche se vedo dei materassini ammassati in un angolo, per le emergenze, credo. Tutto sommato, sebbene sia fornita con lo stretto necessario, questa tenda mi sembra funzionale: c'è tutto il necessario per stabilizzare qualcuno e da guadagnare abbastanza tempo per trasferirlo ad un ospedale vero e proprio. Comincio a sentirmi un po' più tranquilla, ora che sto prendendo confidenza con il posto. Prendo dalla tasca della gonna il foglio che mi aveva dato Nancy appena incontrate: dalla tabella leggo che ho principalmente turni di notte. 
All'improvviso un grande boato fuori dal tendone mi attira fuori: vedo un soldato impanicato che trasporta un altro uomo che si regge la mano piena di sangue. Si avvicinano a me di fretta, mentre io sono ancora immobile sul mio posto.
"Infermiera, abbiamo bisogno di aiuto" mi dice il soldato, superandomi ed entrando nel tendone.
Ci metto qualche secondo prima di riprendermi e seguirlo all'interno: dov'è finita Nancy? Cosa devo fare? Sono immobile e spaventata, perchè questo non mi è mai successo: forse è perchè non sono abituata a questo posto, non so dove sono gli attrezzi, non so dove mettere le mani. E' una sensazione orribile, soprattutto perchè oltre alle urla del soldato, vedo inchiodati su di me gli occhi dell'uomo dolorante e sanguinante.
"Infermiera! Sta sanguinando ed ha già perso molto sangue!"
"Io... io sono nuova, non so dove si trova l'attrezzatura" è l'unica cosa che riesco a dire, ancora bloccata all'entrata della tenda.
"Lo va dire lei al comandante che ha fatto perdere la mano ad uno dei migliori piloti del campo?" 
Basta il tono altamente sgarbato del soldato a farmi smuovere: non permetto a questo tipo di parlarmi in questo modo, tantomeno di sottovalutarmi. Mi avvicino al grande armadio con le ante di vetro cercando qualunque cosa mi possa servire. Non faccio più caso alle parole che mi urla contro e, quando trovo il necessario, mi avvicino al paziente, affrontando il suo amico scortese.
"Si faccia indietro" 
Ho perso la calma in questa situazione di pericolo e non riesco a spiegarmi come ho sono riuscita a mantenerla invece con il soldato maleducato.
"Ora è questo che ci mandano? Persone incompetenti che non sanno dove sbattere la testa?" lo sento sparlare alle mie spalle, ma evito di rispondergli.
Vorrei passare alle mani, ma mi trattengo. Una volta finito di curare il pover'uomo, pulisco la ferita e la fascio. Poi, finalmente, mi giro, con le mani che mi pizzicano, verso il soldato, pronta a risputargli addosso tutta la cattiveria che lui ha usato contro di me.
"Senta, non le permetto di rivolgersi a me in questo modo. Cosa crede, che quella divisa le dia un qualche diritto su di me? Le ho già spiegato, pacatamente, mentre lei non faceva altro che gridarmi addosso, peggiorando la situazione, che sono appena arrivata qua. Al mio posto un'altra infermiera sarebbe andata nel panico a causa delle sue urla, ma ringrazi il cielo per il suo amico che si è trovato davanti me"
"Grazie?" mi risponde guardandomi beffardemente.
Non mi faccio sminuire da questo tipo, ma cerco di comportarmi meglio di lui, perciò mantengo la calma più assoluta, mantenendomi professionale. Quindi, lo ignoro completamente, andando a pulirmi le mani sporche. Una volta finito lo guardo, squadrandolo dall'altro al basso.
"Se ne vada... a meno che non sia in fin di vita" 
E mi da ascolto, andandosene stizzito, dopo aver lanciato un'occhiata al suo amico, che ora dorme sotto l'effetto della flebo. Cosa diavolo è appena successo? 
"Hey ho sentito gridare... che è successo?" mi chiede Nancy una volta rientrata.
"E' successo che mi hai lasciata da sola con un ferito, per andare a fare gli occhi dolci a qualche stupido pilota" le rispondo non riuscendo a trattenermi.
"Mi dispiace, Grace, non pensavo sarebbe venuto qualcuno... ti prego non farne parola con il dottor Roland" mi prega.
Scuoto la testa facendole capire che non importa. Che diavolo di giornata!

***

E' ormai una settimana che sono in Inghilterra e ormai, quasi forzatamente, ho preso il ritmo che va da queste parti. Ormai penso solo a lavorare e lavorare: la mia vita scorre in questa tenda. Non mi lamento, anzi, mi sta andando alla grande: ho scoperto che la parola che lega tutto qui è "solidarietà", poichè ci troviamo tutti nella stessa situazione e chi, meglio delle altre ragazze, può capire come mi sento ora? Ci siamo passate tutte. Con Nancy, fortunatamente, va tutto bene: dopo la mia arrabbiatura iniziale per la brutta posizione in cui mi aveva messo, ho ceduto alle sue scuse; ma se non ho lei con cui scambiare due chiacchiere, posso contare su chiunque altro: è facile fare amicizia, o per lo meno, è facile andare d'accordo con tutti. All'inizio sono stati tutti super pazienti con me e mi hanno aiutata moltissimo, ma presto mi sono resa conto che qui non si tollerano dei principianti e ce l'ho messa tutta per adattarmi al meglio, senza più essere d'intralcio e a diventare indipendente.
Il solo sta calando mentre finisco di scrivere le cartelle che ieri sera ho lasciato in sospeso. Sento qualcuno entrare nella tenda ed alzo lo sguardo: è lui, il pilota maleducato, che mi fa un cenno con la mano facendomi vedere la fasciatura sul polso. Con riluttanza mi alzo e silenziosamente lo faccio stendere. Inizio il controllo e, lo ammetto, ho tastato con un dito proprio sopra il grosso livido viola, sentendolo sibilare. 
"Male?" gli chiedo, con lo stesso sguardo beffardo che mi aveva rivolto qualche giorno prima.
Mi allontano con un piccolo sorriso di vittoria che cerco di nascondere, andando a prendere la sua cartella: ho scoperto che la persona più sgarbata che abbia mai conosciuto si chiama Finn, ed ha una contusione al polso, causata da qualche sballottamento in volo. Sono due giorni che viene per farsi controllare, ed ho avuto la fortuna di non averci nulla a che fare, fino ad ora. Leggo le medicazioni che Martha gli ha dato i giorni precedenti e prendo la pomata che usa di solito: gliela spalmo e ci stendo sopra delle garze per tenere ben saldo il polso. Il tutto facendo più pressione del dovuto: mi sto comportando da bambina? Può essere, ma se lo merita.
"Quello che sta facendo non è professionale" mi dice notando quello che sto facendo.
"Forse sono le mie scarse capacità da infermiera... la sto medicando, ha da ridire anche su questo?" mi rivolgo a lui con un sopracciglio alzato.
Lo sento sbuffare rumorosamente.
"La ferita del mio amico, l'ho causata io... non me lo sarei mai perdonato se gli fosse successo qualcosa" ammette, dopo un lungo silenzio.
"Questo non giustifica il suo comportamento" gli rispondo, ancora concentrata sulla sua medicazione.
"Ha ragione, ma ero nel panico... forse non sa che significa stroncare la carriera di qualcuno"
"Lei lo sa?" gli chiedo già intuendo la risposta.
"Fortunatamente no" mi risponde con un sorriso beffardo.
"Ancora scusa non me l'ha detto" dico finendo il bendaggio e guardandolo in viso.
"Mi scusi..."
Pensavo ci sarebbe voluta un po' di insistenza, infatti mi stupisco quando sento quelle parole uscire dalla sua bocca. 
"Tenente, lei ha un viso familiare" se ne esce dopo qualche momento di silenzio.
"Non mi sembra di averla mai vista..." gli rispondo mentre compilo la sua cartella alla scrivania.
"Di dove è?" lo sento sedersi davanti a me.
"New Orleans, perchè me lo chiede?"
"Impossibile, non sono mai stato a New Orleans... ha mai vissuto da qualche altra parte?"
"Beh, certo, per lavoro: sono stata a Long Island, Washington..."
"Ma certo, Washington!"
Che sia uno dei piloti che ho visitato a Washington? Non me lo ricordo per niente.
"L'ho vista nel treno diretto a Washington, era nella mia carrozza! Mi ha chiesto il giornale che stavo leggendo"
"Oh, ora ricordo, ma certo!" esclamo alzando lo sguardo.
"Le avevo detto che il destino me l'avrebbe fatta rincontrare!" mi dice con un sorriso gongolante.
"Non nel migliore dei momenti, però" ammetto maliconicamente.
"Beh, ma ci siamo comunque rincontrati" 
"Già..." dico continuando a scrivere.
"Spero che la buona impressione che ho fatto la prima volta valga anche ora"
"Cosa le fa pensare che ha fatto una buona impressione?" alzo lo sguardo guardandolo sinceramente interrogatoria.
"Lo so che le sono piaciuto: lo vedevo dai suoi occhi"
"Tenente lei è così..." dico alzando gli occhi al cielo.
"Sfrontato? Me l'ha già detto" mi interrompe con una risata.
"Sfrontato e maleducato: cosa le fa pensare che abbia una buona impressione di lei?" 
"Le ho già chiesto scusa"
"Credo che ci voglia qualcosa di più delle sue scuse, tenente"
"Va bene... la inviterei fuori a cena con me ma sa, la situazione in cui ci troviamo non me lo permette" mi dice con un sorrisetto insolente.
Smetto di scrivere sulla cartella e lo guardo. Ma che ha in mente?
"Non intendevo questo... e poi le ho già detto che non mi piace la sua sfrontatezza"
Ma chi si crede di essere? Come gli viene in mente che vorrei uscire con uno come lui?
"Mi distrugge l'autostima così, tenente" dice scherzosamente posando una mano al cuore.
"Facciamo così: ripartiamo da capo?"
"No" rispondo pacatamente.
"Oh, avanti, le sto provando tutte!"
"Provi di più, tenente" dico alzandomi.
Vado verso il grande armadio con le medicazioni e tiro fuori quello che mi occorre.
"Questa la deve mettere due volte al giorno per una settimana e queste le serviranno per rifare la fasciatura, così non dovra ritornare qui tutti i giorni" gli spiego pazientemente.
"Quando potrò ritornare a volare?" dice con un tono di voce, questa volta, serio.
"Ritorni tra due giorni per un altro controllo"
"Lei ci sarà?" 
Come non detto: ecco che ritorna il suo solito fare.
"Arrivederla, tenente Holbrook" taglio corto.
Continua a guardarmi mentre, finalmente, si arrende e se ne va facendomi un cenno.

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