Trouble-sitter

di Pervinca95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nella Tana Del Lupo ***
Capitolo 2: *** Condanna ***
Capitolo 3: *** Bella giornata ***
Capitolo 4: *** Beccata ***
Capitolo 5: *** Coronare Un Incubo ***
Capitolo 6: *** Inferno ***
Capitolo 7: *** Scacco Matto ***
Capitolo 8: *** Beccata, di nuovo ***
Capitolo 9: *** Mai Una Gioia ***
Capitolo 10: *** Colpo Basso ***



Capitolo 1
*** Nella Tana Del Lupo ***


Nella Tana Del Lupo 








Suonai al campanello che riportava i cognomi Sodini e Curti con un mattone d'ansia nello stomaco. 

Speravo ardentemente che i bambini a cui avrei dovuto fare da babysitter fossero tranquilli e disciplinati. In caso contrario, non sarei stata pronta ad avere a che fare con dei piccoli teppisti che probabilmente indossavano ancora i Pampers. 

Nella mia mente si proiettò l'immagine di due bambini con occhiali da sole scuri, giacchetto di pelle nero e pannolone allacciato saldamente. 

Sorrisi per quella sciocca fantasia e mi sfregai le dita agitata. 

<< Chi è? >> domandò una voce femminile dal citofono. Dal tono sembrava piuttosto seccata, ma cercai di non concentrarmi su quel particolare molesto e mi avvicinai al campanello. 

<< Sono Nora Gigli >> risposi timidamente. 

La serratura del portone scattò istantaneamente. 

Lanciai uno sguardo interrogativo al campanello, in attesa che la signora aggiungesse altro, ma quando sentii il rumore della cornetta che veniva agganciata scrollai le spalle ed entrai nel condominio. 

Be', come benvenuto non era stato dei più calorosi. 

Salii le scale in fretta senza guardarmi troppo attorno, del resto non c'era molto da vedere. Le pareti erano bianche e piuttosto sporche, ma quel particolare non mi meravigliò essendo un condominio vecchio. Vecchio, non antico. 

L'ascensore era in stile con tutto il resto. Si chiudeva con inferriate e sportelli in vetro, e da quel che avevo potuto notare era abbastanza angusto. 

Raggiunto il quarto piano, i miei occhi corsero ad una signora sulla cinquantina che mi attendeva sulla soglia di casa. Era bassa, leggermente tozza, coi capelli raccolti in un disordinato chignon ed un sorriso amichevole. 

Per qualche ignoto motivo mi ispirò subito simpatia. 

Le sorrisi di rimando e le andai incontro per porgerle la mano. << Salve >> pronunciai impacciata. 

L'ansia che covavo nello stomaco iniziò ad allentare la morsa dinanzi alla schiera di denti bianchi della signora. 

<< Ciao Nora, chiamami pure Caterina. >> La sua mano si strinse vigorosa attorno alla mia ed i suoi piccoli occhi s'illuminarono entusiasti. << Vieni, ti presento le due pesti. >> 

Aveva davvero detto pesti? 

Sfoderai un sorriso plastico ed annuii sempre meno convinta del mio primo lavoro. 

Il mio incubo sui due gangster in Pampers si stava avverando ed io non avevo alcuna chance di fuga. 

Seguii Caterina per uno stretto e buio corridoio arredato con antichi mobili in legno e quadri dall'aspetto spento e severo. Il pavimento era in marmo marrone con spruzzate di bianco, nero e beige che comunicava austerità e freddezza. 

D'un tratto udii degli striduli schiamazzi capaci di farmi pentire, in meno di mezzo secondo, della mia folle idea di cercarmi un impiego. 

<< Sono qua dentro >> mi informò la signora, indicando una porta di vetro decorata dalla sagoma colorata di un pavone. 

Immediatamente immaginai che quella fosse la gabbia in cui venivano rinchiuse le due bestie feroci. Ci mancava solo che Caterina aprisse la porta, lanciasse una bistecca e richiudesse in fretta e furia. 

Sorrisi cercando di apparire a mio agio e mi introdussi nella stanza dopo di lei. 

<< Bambini, lei è la vostra tata >> annunciò con tono gentile, prendendomi sotto braccio. 

I miei occhi rimbalzarono da una peste all'altra mentre mi chiedevo quale dei due mi avrebbe dato più filo da torcere. Apparentemente erano degli angioletti, anzi, una dei due era un angioletto. Il maschietto, invece, aveva uno sguardo serio e per niente simpatizzante. Mi fissava con i suoi grandi occhi blu come se mi disprezzasse o, peggio, come se volesse farmi sparire. 

Dirottai l'attenzione sulla bambina che tra le piccole mani teneva una bambola spelacchiata e sorrisi intenerita dinanzi al suo sguardo spaesato. 

Caterina li richiamò con la mano e fece loro segno di avvicinarsi. << Su, venite a presentarvi. La tata vuole giocare con voi >> affermò sorridente. 

Mi abbassai sulle ginocchia ed attesi che i bambini facessero la prima mossa. Speravo che col gesto di stringerci la mano avremmo stipulato un tacito accordo di civiltà, specialmente col bambino. 

La bimba si alzò da terra e mi venne incontro intimidita. Si strinse la bambola al petto e mi osservò di sottecchi coi suoi curiosi occhi azzurri. I boccoli castani le ricaddero sulle guance rosate e la frangetta le coprì le lunghe ciglia nere. 

Era uno splendore. Riusciva ad intenerirmi e farmi sciogliere con una sola occhiata. 

Le sorrisi cordiale e protesi una mano verso di lei. << Ciao, io sono Nora >> mi presentai in un sussurro. << Tu chi sei? >> 

La piccola alzò lo sguardo su sua mamma, che le sorrise incoraggiante, e poi lo riportò su di me. Si mise una manina davanti alla bocca e nascose una fila non continua di piccoli denti. << Sono Irene >> mormorò prima di scappare ridacchiando e battere i piedi per terra. Si accostò al fratello maggiore e lo guardò con occhi illuminati di divertimento. 

Toccava all'osso duro adesso. E neanche a farlo a posta, mi stava fulminando con lo sguardo. 

Mi sforzai di sorridergli, per non apparire già troppo di parte, e battei le mani sulle gambe. << E tu come ti chiami? >> domandai col tono più ilare di cui disponessi.  

Il bambino mi osservò senza battere ciglio ed incrociò le braccia sul petto. 

Perché quel minuscolo essere di appena sette anni riusciva a farmi sentire una totale cretina? Mi sembrava di essermi appena rivolta ad un muro. 

Il gangster in miniatura alzò il capo e guardò sua madre. << Non voglio nessuna tata >> dichiarò piccoso. << È scema >> aggiunse senza farsi troppi scrupoli. 

Ero allibita.

<< Tommaso! >> esclamò scandalizzata Caterina. << Non si offendono le persone. Vai a presentarti come si deve senza fare storie >> ordinò perentoria. La mascella contratta e gli occhi sprizzanti di rabbia la rendevano ancora più autoritaria; al che il nano da giardino decise di ubbidire e mi si piazzò di fronte.

<< Sono Tommaso >> disse incolore. Mi guardò con più odio di prima e ritornò al suo posto sul tappeto per giocare col gameboy. 

Tra tutti i bambini che avrei potuto beccare, mi era capitato proprio quello con la luna storta e l'occhiata omicida. Un grandissimo colpo di fortuna. 

<< Mi dispiace moltissimo, Nora >> si scusò la signora, mortificata. 

Mi sollevai in piedi e le sorrisi, raddrizzandomi la borsa sulla spalla. << Si figuri, non ci sono problemi. >> E invece sì che ce n'erano! Era ovvio che quel bambino mi avrebbe torturata fino a farmi impazzire e che al novanta percento delle probabilità avrebbe cercato di uccidermi una volta rimasti soli in casa. Avrei dovuto munirmi a dovere in attesa di un suo attacco. 

Lei congiunse le mani e mi restituì un sorriso dispiaciuto. << Tommaso è un po' scontroso con chi non conosce. >> Un po'? Quello le sembrava un po'? Mi pareva fin troppo riduttivo.

<< Non ci sono problemi, poi avremo modo di conoscerci meglio >> la rassicurai senza credere ad un quarto di quanto avevo detto. Tra me ed il bimbo selvaggio non ci sarebbe stata nessun tipo di conoscenza civile, ma solo una guerra senza esclusione di colpi. 

<< Sicuramente >> affermò Caterina, animandosi. << Adesso vi lascio soli che ho da fare un bel po' di commissioni. Sarò qui per le sette. Per qualsiasi cosa mio figlio è in casa >> tagliò corto dirigendosi a passo spedito alla porta. << A dopo, piccoli >> concluse salutando con la mano i due figli. Si richiuse la porta alle spalle e nella stanza calò il silenzio. 

Che splendida situazione. 

Avevo immaginato che il primo incontro sarebbe avvenuto in tutt'altro modo. 

In primis avevo creduto che la signora sarebbe rimasta ad osservarmi per farsi un'idea di me ed in secundis non mi era stato comunicato che sarei dovuta restare in quella casa per la bellezza di tre ore.

Mi voltai a guardare i bambini e m'imbattei in un paio di occhi azzurri che mi scrutavano con aspettativa. Sorrisi alla piccola Irene, appoggiai la borsa ed il giubbotto sul divano di pelle beige ed infine mi sedetti sul tappeto davanti a loro. 

<< Che bella bambola che hai >> esclamai enfatizzando la mia espressione facciale. 

La bambina se la staccò dal petto e me la mostrò con un sorriso timido. << Tommaso le ha strappato i capelli >> confessò cercando di pettinarla con la manina. 

Non mi meravigliava che quel teppistello fosse stato capace di rovinargliela. Gli si leggeva in faccia la sua propensione ad uccidere o sciupare le bambole altrui. 

Me la mise tra le mani ed io la osservai con una stretta al cuore. Quella disgraziata aveva davvero pochissimi capelli, oltretutto mal ridotti. 

<< È bella lo stesso >> affermai con un sorriso. << Come si chiama? >> 

Irene si mise a sedere permettendo che la gonna rosa che indossava si aprisse a ventaglio. << Ambrogina >> rispose frapponendo la lingua tra i denti in un gesto timido. << Ha un anno. >>

Stirai il vestito rosso della bambola e spalancai gli occhi mostrandomi stupita. << Allora è molto piccola. >> 

<< Come la tua testa >> s'intromise una vocina acida e impertinente. 

Cercai di non fare caso alle parole del malefico nano da giardino e virai la mia attenzione su di lui con un sorriso. << Vuoi giocare con noi, Tommaso? >> proposi pacifica. Chissà quante altre babysitter aveva già fatto scappare a gambe levate, quel piccolo demonio. 

Il sopracitato alzò lo sguardo dal gameboy e mi lanciò un'occhiata a dir poco raggelante. << Non gioco con le bambole. Non sono una femmina. >> E non sarebbe potuto essere più chiaro. 

<< Possiamo fare qualche altro gioco tutti insieme >> insistetti restituendo Ambrogina a Irene. 

Gli occhi della peste non si animarono neanche un po'. << Non mi va >> rispose secco. 

Quel bambino era più freddo di un ghiacciolo. Da grande sarebbe diventato Voldemort, ed in quel momento era in versione Tom Riddle. Non a caso si chiamava Tommaso. 

Coincidenze? Non credevo proprio. 

Mi costrinsi a non far cadere la mia maschera di solidale e pacifica babysitter e mantenni il sorriso. << Volete fare merenda? >> 

Tom Riddle mi osservò in silenzio. Irene invece balzò in piedi, fece battere le mani della bambola e picchiò i piedi per terra in preda all'eccitazione. 

<< Ci sono i biscottini al cioccolato >> trillò con gli occhi accesi di entusiasmo. << Andiamo, Tommaso >> aggiunse raggiungendo il fratello per prenderlo sotto braccio. 

Il nano malefico si alzò in piedi e lanciò il suo gameboy sul divano come fosse stato un pezzo di carta. Non solo era privo di emozioni, ma pure violento. 

Dovevo appuntarmelo mentalmente. 

Mi sollevai baldanzosa e tesi un braccio ad Irene. << Mi fai vedere dove si trova la cucina? >> le domandai affabile. 

Lei avvolse la mia mano con la sua, piccola e calda, e mi trascinò fuori dal salotto. 

Fu una sensazione piacevole. Era bello sentire quelle corte dita che si stringevano attorno alle mie, in una presa calda. 

Risalimmo per lo stretto corridoio fino alla porta d'ingresso, poi svoltammo a destra e raggiungemmo una porta chiusa. 

<< I biscotti sono qua >> m'informò Irene su di giri. 

Le sorrisi ed abbassai la maniglia rivelando un ambiente piccolo, ma ordinato e pulito. Sulla parete di destra si trovava la cucina di legno scuro, sulla parete di sinistra un tavolo con cinque sedie che si intonavano a tutto il resto. Di fronte a noi svettava una porta finestra da cui penetrava una luce soffusa attraverso delle tende di mussola bianca. 

Irene mi lasciò la mano e corse al tavolo, tirò una sedia con fatica e ripuntò i suoi grandi occhi azzurri su di me. << Mi aiuti a salire? >> 

<< Certo >> esclamai con un enorme sorriso. Quella bambina era la dolcezza fatta persona, era impossibile non amarla. L'opposto del fratello. 

Quest'ultimo mi sorpassò con pigra arroganza, senza mancare di colpirmi la gamba con una spalla, e si sedette accanto alla sorella. 

Non mi sorprese constatare come non si fosse minimamente offerto di aiutare la sorellina. 

Raggiunsi Irene e la presi sotto le braccia. << Pronta? >> le domandai divertita. 

La piccola annuì e si strinse Ambrogina al petto. 

Ridacchiai per la sua espressione concentrata e la sollevai da terra fino a metterla delicatamente a sedere sulla sedia. << Voilà >> dichiarai passandole una mano sui capelli per appiattirle un boccolo impazzito. << Stai comoda? >> Mi sporsi per guardare il suo viso e lei annuì con un sorriso elettrizzato. 

<< Ho fame. >> La voce annoiata di Tom Riddle mi ricordò, purtroppo, che in quella stanza era presente anche lui. 

<< I biscotti dove sono? >> domandai mentre facevo accomodare Ambrogina su un'altra sedia. 

Il teppistello sorrise spavaldo e congiunse le piccole mani sul tavolo. << Cercali. >> 

Ovvio, che sciocca domanda la mia. Ma se credeva che sarei scappata a gambe levate solo per quel piccolo dispetto si sbagliava di grosso. Il nano non sapeva con chi aveva a che fare.

Appoggiai una mano sulla spalla di Irene e le sorrisi teneramente. << Me lo dici tu dove sono i biscottini? >> 

La piccola annuì e scalpitò con le corte gambe in preda all'euforia. Si girò e m'indicò un barattolo di ceramica che adocchiai sul pianale della cucina. 

Mi avvicinai a prenderlo e lo posai sul tavolo, in mezzo ai due. Lo stappai delicatamente, timorosa che mi si sgretolasse tra le mani, e da subito si diffuse nell'aria un vibrante aroma di cioccolato. 

<< Che belli >> affermai con un'espressione piacevolmente colpita. << Uno alla volta mettete la mano dentro e prendete un biscotto, va bene? >> 

Sembrò che non avessi neanche parlato. Il nano pestifero ficcò la sua mano dentro il barattolo e ne estrasse una decina di piccoli biscotti che gettò sul tavolo. 

Ci mancò poco che non gli staccassi la testa e lo prendessi a calci nel sedere. 

Era evidente, voleva la guerra. 

Irene rise di quel gesto ed io andai a sedermi in una delle sedie a capotavola, accanto al demonio. 

Lo guardai con un'espressione severa, cercando di monitorare la vena che mi pulsava sulla fronte, e congiunsi le mani con calma. Il sadico bimbo ricambiò il mio sguardo con un sorrisetto cattivo. 

<< Non si gioca col cibo, Tommaso >> dissi calibrando il tono. << E non si lancia come hai fatto tu. >> 

In tutta risposta, Tom Riddle mi fece il verso con tanto di boccacce e voce stridula. 

La mia espressione rimase immutata durante tutto il suo teatrino. Ne avevo già fin sopra i capelli di quel dannato teppistello, ma di certo non avrei calpestato il mio orgoglio dandogliela vinta. Quella pustola immonda non aspettava altro che mi arrabbiassi per poi sparlare di me con sua madre. 

Appena ebbe finito, mi alzai e raggiunsi Irene per passarle un biscotto. << Tieni, piccola, mangiane uno. >> 

Quella santa di una bambina lo prese senza fare storie e se lo mise in bocca. 

Che fosse lodato il cielo, su due almeno una era sana di mente. 

Mentre ero piegata sul tavolo ad osservare Irene, scorsi un movimento sospetto nel corridoio. Alzai il capo di scatto e sgranai gli occhi per lo spavento. Ci mancavano solo i fantasmi e poi sarei davvero potuta scappare da quella casa. 

Cinque secondi più tardi un ragazzo immise piede nella cucina. Inizialmente sembrò non notarmi, tant'era preso dal cellulare che teneva in mano, poi alzò il capo e mi scagliò addosso i suoi interrogativi occhi azzurri. 

Sollevò un sopracciglio con l'aria di uno che era appena stato disturbato e si fermò sulla soglia. << E tu chi sei? >> domandò secco. 

Maleducazione portami via. Doveva essere un carattere genetico che si tramandavano tra fratelli maschi. 

Lo fissai senza l'ombra di un sorriso. Prima il piccolo Tom Riddle, adesso arrivava Voldemort in carne ed ossa, non ero psicologicamente pronta. << Sono la babysitter. >> 

Il ragazzo continuò ad esaminarmi senza un briciolo d'interesse per una decina di secondi. Infine aprì il frigorifero, ne estrasse una lattina di RedBull e si eclissò dalla stanza con passo lento e gli occhi nuovamente puntati sul telefono.   

La sua maleducazione mi lasciò a dir poco sbigottita. Sia lui che il fratello minore concorrevano al premio come più grande cafone della storia. Si vedeva lontano un miglio quanto duramente lottassero per strapparsi il titolo a vicenda. 

Eppure quel paio di occhi azzurri non mi erano affatto nuovi. Ero sicura di averli già visti, anche se non da così vicino. 

Che cognomi erano incisi sul campanello?

Signore!

Sgranai gli occhi di colpo e mi tirai su dritta con uno scatto fulmineo. 

Sodini

Come avevo fatto a non sospettarlo prima? Ero caduta nella tana del lupo senza nemmeno rendermene conto. 

Riccardo Sodini era iscritto al mio liceo e frequentava il mio stesso anno. Eravamo in classi diverse, ma questo non aveva assolutamente impedito che la sua nomea di bello della scuola e di portento in qualsiasi sport si diffondesse a macchia d'olio. 

Era stressante sentire sempre le ragazze parlare di lui o dei suoi amici. Stressante se a farlo erano in particolar modo le mie amiche. 

Non volevo immaginare quali sarebbero state le reazioni di Francesca, Vanessa e Linda quando glielo avessi raccontato. Di una cosa ero certa: quelle tre, come molte altre ragazze, si sarebbero scannate pur di stare al mio posto. 

 

 

 

 

 

 

Angolo dell'autrice:

Ciao a tutte, ragazze!

Come state? Come state trascorrendo questa quarantena?

Spero tutto bene! 

Per chi già mi conoscesse sono certa che vi starete chiedendo: "ma com'è che questa, dopo tempo immemore, invece di aggiornare le storie storiche ne pubblica una nuova?"

Avete perfettamente ragione, ma dato che non avevo capitoli nuovi al momento ho pensato che sarebbe stato bello tenerci compagnia, come ai vecchi tempi, con una storia.

E così, considerando il periodo, ho deciso di cominciare a pubblicare questa (di cui ho dei capitoli pronti) con il solo scopo di esservi vicina e, perché no, strapparvi un sorriso. 

La cosa che più vorrei è davvero questa, sapere che avete sorriso o riso nel leggere questa nuova bizzarra creazione. 

Ciò non significa che ho abbandonato le altre storie, anzi, ho intenzione di rimettermi in pari e dedicarmi ai nuovi capitoli, ma ci vorrà tempo. 

Intanto spero vivamente che questi nuovi protagonisti vi possano tenere compagnia e divertire e magari farvi innamorare come hanno fatto con me *_* (anche se io sono di parte >.<). 

Vi mando un bacione ed un abbraccio stritolante!!! 

  

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Capitolo 2
*** Condanna ***


Condanna 









Sorpassai il cancello del mio liceo e tirai dritto in direzione del portone d'ingresso. 

La traversata, come ogni mattina da cinque anni, la si poteva definire un incontro di football americano. Rimanere vittima di qualche spallata, gomitata e, sporadicamente, calcio non era poi così difficile.

Ricordavo ancora gli sguardi di superiorità che durante il primo anno mi ero dovuta sorbire dai ragazzi di quarta e quinta. 

C'era da dire, però, che al momento mi sentivo io quella superiore ai cosiddetti primini

Probabilmente era un meccanismo che si attivava spontaneamente nel cervello di ogni studente che, avanzando di anno in anno, vedeva coloro che dovevano ancora affrontare quelle classi come delle piccole vittime ignare. 

Mentre superavo un gruppetto di fumatori, spostai distrattamente lo sguardo sulla sinistra. Ed eccolo lì, il maleducato. 

Riccardo Sodini se ne stava in compagnia del suo branco di amici con una cuffietta in un orecchio e lo zaino mollemente appoggiato su una spalla. I suoi capelli biondo scuro sembravano assorbire i raggi del sole, rendendo più vivo il loro colore. 

Distolsi lo sguardo e continuai a camminare verso la mia meta. 

Avevo già sprecato fin troppi secondi per concedergli quell'occhiata. 

Quando salii in classe tirai un sospiro di sollievo. Per mia fortuna la professoressa non era ancora arrivata, o avrei dovuto giustificare l'ennesimo ritardo. 

Io e la puntualità avevamo vite parallele, non ci saremmo mai incontrate. Era matematicamente impossibile. 

Per di più la professoressa Brodoli era particolarmente severa sui ritardi dei propri alunni, ma estremamente indulgente con i suoi. Più volte era capitato che arrivasse dieci o persino quindici minuti dopo il suono della campanella. 

Era odiosa da quel punto di vista, ma estremamente brava a spiegare la sua materia: letteratura italiana. 

Probabilmente era il rispetto che nutrivo nei suoi confronti a spingermi ad accettare ogni rimprovero per i ritardi. 

In fondo, dovevo ammetterlo, provavo del sano affetto per quella sessantenne ligia al dovere e dal pugno d'acciaio. 

Mi accomodai al mio banco in prima fila, accanto alla finestra, e mi girai verso i due dietro. << Buongiorno tipe losche >> salutai le mie amiche, piegate sul banco a copiare gli esercizi d'inglese. << Da chi lo avete preso? >> domandai indicando col mento il libro in mezzo a loro. 

Francesca alzò la testa e mi rivolse un sorriso furbo. << Da Giacomo. >> 

Giacomo Grandi, il secchione della classe, aveva una cotta clamorosa per lei. Lo avevamo scoperto in seconda superiore, durante una lezione di ginnastica. 

Ruggero Urri, il classico tipo chiassoso della classe, lo aveva urlato ai quattro venti. 

Subito dopo avevamo assistito ad un inseguimento epico, al termine del quale Giacomo era letteralmente saltato addosso all'amico per metterlo KO. 

Da quel momento Giacomo non aveva potuto che farsi avanti e chiedere a Francesca di uscire. 

La loro era una relazione strana. Continuavano ad uscire, ma non li si poteva definire una coppia fatta e finita. Ero sicura che se fosse stato per Giacomo a quell'ora sarebbero stati fidanzati a tutti gli effetti, era la mia amica a tenerlo sulla corda. 

Oltretutto Giacomo non era nemmeno brutto. Capelli castani, occhi di una calda sfumatura marrone, lineamenti fini da angioletto ed un corpo asciutto, anche se non muscoloso. Ma, soprattutto, era garbato ed educato, due qualità erroneamente sottovalutate. 

Inarcai un sopracciglio. << Lo stai sfruttando, ne sei consapevole? >> 

Francesca sbuffò piano e sollevò lo sguardo dal libro. << Non è così, e poi sono solo tre esercizi. >> 

Non ero molto d'accordo. Da quando aveva scoperto che Giacomo teneva a lei, aveva cominciato a copiargli i compiti che non aveva avuto tempo o voglia di fare. 

E lui glieli aveva sempre ceduti senza problemi, probabilmente scambiando quelle richieste come dimostrazioni d'interesse. 

Non mi piaceva quando la mia amica si comportava così. Trovavo ingiusto il modo in cui sfruttava i sentimenti di Giacomo per trarne un vantaggio. 

Contrassi le labbra e lasciai dondolare i piedi. 

<< Ci devi raccontare com'è andato il primo giorno di lavoro >> cambiò discorso Linda, chiudendo il suo libro. I suoi piccoli occhi verdi mi incastrarono in uno sguardo curioso. 

Avevo conosciuto Linda durante il terzo anno, quando si era trasferita dal classico. 

La prima volta che mi ero avvicinata al suo banco per rivolgerle la parola ero inciampata in uno zaino abbandonato a terra ed avevo compiuto una sorta di volo d'angelo, per poi planare con poca grazia sul pavimento. 

Lei si era subito precipitata a risollevarmi e ad aiutarmi a pulire i vestiti. 

Da quel momento avevamo iniziato a conoscerci, e fra noi si era instaurato un rapporto più stretto rispetto a quello che avevo con Vanessa e Francesca. 

Con Linda sapevo di potermi confidare, possedeva una maturità rara per la sua età. Era sincera ed obiettiva, quando sbagliavo non si faceva problemi a riprendermi, e molto spesso era capace di capire cosa non andava con una sola occhiata. 

Mi sentivo fortunata ad averla nella mia vita. 

Le rivolsi un sorriso e mi strinsi nelle spalle. << È andata bene, la signora che mi ha accolto è gentile. I bambini sono carini... be', la piccola lo è, il maschio è un demonio. >> 

<< Ti ha già dato del filo da torcere? >>

La guardai truce. << Eccome. È un bambino... maligno. >> Mi spuntò una smorfia al ricordo dei biscotti sparsi sul tavolo. 

<< Allora diventerà il mio protetto, lo adoro già >> commentò Francesca, le iridi castane pervase da una luce entusiasta.

<< Sì, certo, prova a passarci un'ora. Sono sicura che dopo non lo chiamerai più protetto. Saranno altri gli epiteti che vorrai affibbiargli, fidati. >> 

Lei scoppiò a ridere. 

<< Forse vuole solo attirare l'attenzione >> ipotizzò Linda, sorridendo. 

La faccenda divertiva anche lei, lo intuivo dall'espressione spensierata del suo bel viso tondo. 

Risposi con una smorfia. 

Attenzione o non attenzione, avrei stroncato il piccolo Tommaso. Fra noi si era instaurata una muta sfida volta all'annientamento dell'altro. Non sarei stata io quella a finire KO, no di certo. 

<< Ma non è questo il peggio >> borbottai tra i denti con riluttanza. Passai lo sguardo da una all'altra. << I bambini sono i fratelli di Riccardo Sodini. >> Avevo sganciato la bomba a sangue freddo, speravo solo che a nessuna delle due prendesse un colpo.

Francesca spalancò gli occhi, si schiacciò una mano contro il petto e sbatté la schiena al sedile della sedia con un tonfo poderoso. << No >> disse incredula. 

<< Sì >> dichiarai seccata. 

<< No >> ripeté ancora. Probabilmente per riprendersi avrebbe avuto bisogno di qualche minuto di profonda meditazione durante la quale avrebbe fantasticato sulle coincidenze volute dal destino. Ne era a dir poco fissata, per lei anche una penna caduta a terra era opera del destino. 

Linda sorrise maliziosa e si sfregò le mani. << Lo sai, vero, che dovrai spiarlo per conto nostro? Vogliamo essere informate su ogni dettaglio. >> 

Risi beffarda e sbuffai con un'espressione falsamente complice. << Ma certo, non preoccupatevi. Rinchiuderò i bambini nello sgabuzzino e m'insinuerò nella camera di Sodini per scattare qualche foto. >> 

Francesca annuì con vigore. << Mi sembra un'ottima idea, e nel caso lui ti scoprisse dirai che la porta era aperta e che pensavi fosse il bagno. >> 

<< Sicuro >> sentenziai con un'alzata di spalle. << Logico. >> Mi feci seria tutto d'un tratto. << Ma dico, state scherzando? Non m'interessa minimamente la sua vita, perché dovrei spiarlo? Devo solo fare il mio lavoro. >> 

Francesca si portò una mano sul cuore con fare tragico, così distolse gli occhi da me e diede una pacca sul braccio di Linda. << Ti prego, spiegaglielo tu. Ho quasi rischiato il collasso coronario ad ascoltarla. >> 

Alzai gli occhi al cielo con un sorriso. 

Linda si strinse il mento fra le dita, la bocca stesa in un sorriso furbo. << Potresti estendere il tuo ruolo di baby sitter. Fai conto di dover supervisionare anche lui per nostra richiesta in quanto datrici di lavoro. Mamma Sodini ti ha chiesto di controllare i bambini, e noi ti chiediamo di controllare lui. >> La sua espressione si fece teatralmente preoccupata. << Non vorremmo mai che si mettesse nei guai. >> 

Il mio volto era indifferenza pura, al che Francesca sbuffò energicamente e si protese verso di me a mani congiunte. << Non capisci che è destino? >> 

Inarcai le sopracciglia. << Devo rispondere? >> 

Scosse il capo. << No, mi daresti solo un'altra pugnalata al petto. >> 

Ridacchiai del suo atteggiamento melodrammatico. 

Sia Francesca che Linda e Vanessa erano ammiratrici segrete di Riccardo Sodini da tempi diversi. Francesca se ne era invaghita già dal primo anno, Vanessa dal secondo. Da quel momento era nata una disputa dalla quale ne era uscita vittoriosa Francesca col rivendicare la sua supremazia in quanto la prima ad infatuarsi di Sodini. 

All'arrivo di Linda, il terzo anno, si era aperto un nuovo conflitto di cotte poi dissoltosi con la stipulazione di un accordo che prevedeva la libertà di cotta e la libertà di pettegolezzo condiviso sul loro pupillo. 

L'accordo era stato scritto e firmato davvero, con me come giudice supremo dotato dell'immenso privilegio di porre un timbro a stella, rubato da una rivista per bambini della sorella di Linda, sul contratto. 

Da quel fatidico giorno era regnata la pace tra le platoniche infatuate. 

Linda congiunse le mani e sfoderò uno sguardo supplichevole. << Ti prego, ti prego. Fallo per noi, in nome della nostra amicizia. >> 

Francesca imitò la sua espressione e sbatté violentemente le ciglia. << Sì, in nome della nostra amicizia. Se Vanessa fosse qui ti chiederebbe la stessa cosa. Su, non vorrai davvero arrecare un dispiacere ad una povera ragazza che al momento è costretta a letto febbricitante? Non voglio credere che tu sia così crudele. >> 

Sorrisi divertita. Era quasi comico il modo in cui erano ossessionate da Sodini. 

Ogni giorno mi chiedevo che cosa ci trovassero in lui. Certo, possedeva un bell'aspetto, un bel portamento, era un asso negli sport, aveva l'aria di uno abituato a parlare poco e a mettere a nudo con lo sguardo, ma volevamo dimenticare la sua maleducazione? A mio avviso era menefreghista, altezzoso e, neanche a dirlo, un cafone con tutte le carte in regola. 

Alla fine sospirai rassegnata. << Va bene, gli darò un'occhiata. Ma non vi prometto di entrare nella sua camera, verrei licenziata in tronco. >> 

Le due infatuate si entusiasmarono così tanto da liberare urletti di giubilo che calamitarono l'attenzione di tutta la classe su di noi. E non solo. 

La professoressa Brodoli fece il suo ingresso in aula proprio in quel momento, i suoi occhietti neri protetti da un paio di strette lenti rettangolari rimasero incagliati sulle nostre figure per tutta la traversata fino alla cattedra. Poi sorrise, o meglio, ghignò come ogni volta che la scintilla dell'interrogazione le scoppiettava in testa. 

La classe piombò in un silenzio tombale, come se muovere un solo muscolo avesse decretato il proprio destino. 

<< C'è qualche volontario? >> chiese squadrando la classe con sottile goduria. 

Mi voltai per osservare gli altri: gli unici a testa alta erano quelli che erano già stati interrogati. Io invece me ne stavo quasi rincarcagnata su me stessa con il battito cardiaco fuori controllo per l'ansia. E c'era da dire che ero preparata, avevo studiato il pomeriggio prima di andare a lavoro. 

Non volevo immaginare come si stesse sentendo Francesca in quel momento, dato che in un messaggio aveva scritto che non avrebbe studiato letteratura perché era sicura che la professoressa avrebbe spiegato. 

<< Mosconi, Ricciardini venite voi. >>

Mi si gelò il sangue nelle vene nel sentir pronunciare i cognomi delle mie amiche, in particolare quello di Francesca. 

Ruotai la testa e la vidi con gli occhi spalancati. 

Ero sicura che stesse scavando in ogni angolo della sua mente per mettere insieme una scusa che risultasse plausibile. 

Francesca era una ragazza che, malgrado le apparenze, teneva molto alla scuola. Più volte l'avevo vista disperarsi per un voto basso che non avrebbe dato soddisfazione ai suoi genitori, come tante erano state le volte in cui aveva messo anima e corpo nello studio pur di risollevare la media e inorgoglire i suoi. 

Non era giusto che per una supposizione sbagliata tutti i suoi sforzi venissero vanificati. 

Alzai la mano ancor prima di essermi accordata col cervello. << Potrei venire io al posto di Mosconi? Credo di essere tra gli ultimi a non avere il secondo voto. >> Deglutii in ansia mentre la professoressa si accertava della veridicità di quanto detto attraverso un esame scrupoloso del registro. 

<< Sì, si può fare. Vieni Gigli. >> 

Issai la mia sedia per trasportarla fino alla cattedra, anche nota come patibolo. 

Quando passai davanti al banco di Francesca mi sentii afferrare un polso in una stretta calorosa. I suoi occhi castani erano lucidi e profondamente riconoscenti, così tanto che in quel momento mi sembrò che mi stesse promettendo aiuto eterno. 

Le sorrisi mentre mimava un grazie con le labbra, dopodiché alzò i pollici per incoraggiarmi. Annuii e ricambiai il suo gesto per farle capire che ero carica. 

E poi, con un sospiro, ma il cuore gonfio per aver aiutato Francesca, mi preparai ad affrontare un'intera ora di inquisizione. 

 

 

 

 

                                                                      *  *  *

 

 

 

 

Ero di nuovo davanti al campanello di casa Sodini. 

Speravo con tutto il cuore, l'anima e il corpo che il maleducato non ci fosse, così non avrei dovuto dare un'occhiata alla sua persona, concedendogli così un'importanza che non meritava. 

Avevo pregato il cosmo intero perché lui fosse fuori casa e, invece, fu sua la voce che uscì dal citofono. Purtroppo le mie preghiere non erano state ascoltate. 

Giunsi davanti al portone dell'incubo con più ansia del necessario. La verità era che il pensiero di dover spiare il maleducato mi metteva in agitazione per il timore di essere beccata. Avrei dovuto fare un lavoro pulito: un'occhiata qui, un'occhiata là con l'indifferenza più assoluta. 

Non era difficile, che ci voleva a muovere gli occhi? Nulla, solo che la mia espressione mutava irrimediabilmente in quella di una criminale della peggior specie. 

Liberai uno sbuffo per calmarmi e sistemai la mia coda di cavallo. 

C'era solo una nota stonata: la porta era chiusa. Me ne stavo lì come una demente a fissare il legno scuro senza che nessuno venisse ad aprirmi. 

Battei dei colpi ed allungai l'orecchio per carpire dei passi nella mia direzione. 

La porta venne spalancata di colpo, spaventandomi per giunta. 

Gli occhi azzurri della vittima del mio spionaggio mi sondarono come se fossi stata un marziano... oppure una cretina. Non riuscivo a decidermi. 

<< Era aperta >> disse senza tante cerimonie. 

Ma sì, in fondo salutare con un "ciao" era roba da femminucce. Lui invece era maschio, maschio fino all'ultimo neurone privo di scopo che gli bazzicava nella testa. Se voleva poteva esordire con un laconico "era aperta" e guardarmi come una deficiente capitata lì per caso. 

Mi morsi la lingua e provai a tirare fuori un sorriso amichevole. << Quando sono salita era chiusa, magari è stato un colpo di vento >> ipotizzai sotto il suo sguardo palesemente scettico. 

Non mi credeva, pareva piuttosto sicuro che io fossi scema. Probabilmente si stava chiedendo dove sua madre avesse trovato il coraggio di affidarmi due bambini, dalla sua espressione trapelava che non avrebbe consegnato nelle mie mani neanche una noce. 

Fortunatamente si fece di lato per farmi passare, mettendo così fine a quel momento terribilmente scomodo. 

<< Seguimi >> disse incamminandosi per lo stesso corridoio tetro del giorno precedente. 

Aprì la porta in vetro con la sagoma colorata del pavone, nella mia mente nota come il varco, e non si premurò di farmi spazio per permettermi di entrare prima di lui. Figuriamoci, lui era maschio. 

I bambini si voltarono a guardarci. Irene era seduta sul tappeto a giocare con la sua bambola Ambrogina, ad una prima occhiata ancora più spelacchiata, mentre il nano malefico era seduto sul divano con una pistola giocattolo tra le mani. Dalla sua espressione compiaciuta sembrava che mi stesse aspettando. 

Si era armato, il piccolo Tom Riddle. Avrei tanto voluto estrarre dal mio zaino un bazooka giocattolo e farlo scappare con la coda tra le gambe. 

<< Sono tutti tuoi fino alle sette >> annunciò il maggiore, dal cui tono trapelava una sottile presa in giro.

Irene mutò la sua espressione in una afflitta. << Non resti con noi, Ricki? >> 

<< No, ho gli allenamenti di calcio. Vado via tra poco >> rispose estraendo il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans. Allungai innocentemente l'occhio e scorsi che gli era arrivato un messaggio da un certo "Orso". 

La piccola Irene sgambettò fino a noi e prese un lembo della maglietta del fratello in mano. I suoi occhi azzurri incontrarono quelli più intensi del maleducato. << Stasera giochi con me? Facciamo il giochino del volo? >> 

Lui le appoggiò una mano sulla testa per scarmigliarle i boccoli castani. << Sì, stasera sì >> le promise con un sorriso. 

Se non altro sapeva sorridere, era umano. 

Immaginai come le mie amiche si sarebbero sciolte di fronte a quella fila di denti bianchi. 

Poi allungò lo sguardo verso il demonio di suo fratello. << Tommi, fai il bravo. >> Alla fine si degnò di concedermi un'occhiata priva d'interesse. << I soldi sono sul tavolo in cucina. Ci si vede >> concluse spiccio, prima di defilarsi senza darmi il tempo di salutarlo. 

Ero quasi certa che non sapesse che frequentavo il suo stesso liceo. Durante il contatto ravvicinato del pomeriggio precedente, in cucina, non avevo scorto nessuna sorpresa nei suoi occhi, mi aveva semplicemente guardata come un'intrusa.

Non importava, me ne sarei fatta una ragione. La vita andava avanti. 

Al momento a preoccuparmi era il piccolo Tom Riddle con la pistola in mano e le labbra stirate in un ghigno che prometteva guai. 

Appoggiai lo zaino al muro e presi un grosso respiro, successivamente mi sforzai di sorridere e mi accucciai sui talloni per apparire più amichevole. << C'è qualcosa che vorreste fare? Vi andrebbe di disegnare? >> proposi con entusiasmo, concentrando la mia attenzione soprattutto su Irene. 

La piccola mi regalò la prima soddisfazione del pomeriggio, annuendo e saltando di contentezza. 

<< Disegnare è da bambini >> affermò il bastion contrario con tono di disprezzo. 

Il mio sopracciglio scattò da solo. << Perché tu cosa sei? >> 

La sua occhiata fu così truce che pensai che la mia testa avrebbe potuto prendere fuoco. << Ho sette anni, sono un uomo ormai. >> 

Ci mancò poco che gli scoppiassi a ridere in faccia. 

Forse credeva che il trampolino di lancio per diventare uomini fatti e finiti fosse lo svezzamento. Più ci pensavo e più faticavo a trattenere le risate. 

Mi schiarii la voce per ritrovare il contegno. << Quali sono i giochi adatti ad un piccolo uomo? >> 

<< La guerra >> rispose con un certo grado di compiacimento. I suoi occhietti scintillarono pericolosamente mentre si passava la pistola giocattolo da una mano all'altra. 

<< Ma Irene non vorrà giocarci >> cercai di mediare, per salvarmi la pelle. 

Ero piuttosto sicura che per il nano da giardino la guerra non fosse soltanto un gioco, ma il modo più efficace e veloce per annientarmi. 

Contro ogni mia previsione, Irene sembrò eccitarsi per la proposta del fratello. Corse a mettere comoda la bambola Ambrogina mentre il mio mento toccava terra per lo sgomento. 

Dovevo trovare un'arma, e in fretta. 

<< Ho vinto >> mi scoccò il piccolo diavolo, saltando giù dal divano. 

Fui vicina a fargli una linguaccia mostruosa, ma mi trattenni per non perdere il lavoro. 

<< Bambini siete sicuri della vostra scelta? Potremmo sciupare il salotto o romp... >> Mi saltarono addosso. Letteralmente addosso. 

Irene si schiantò contro una mia gamba per stritolarla tra le deboli braccia, Tom Riddle mi montò sulla schiena e mi sparò dell'acqua in faccia con la sua pistola. Non abbastanza soddisfatto, mi strattonò pure i capelli come se fossi stata un cavallo imbizzarrito. 

Per un attimo mi balenò per la mente l'idea di lanciarmi sulla schiena e schiacciarlo come un moscerino, ma anche in quel caso avrei perso il lavoro. 

<< Bambini, aspettate... Tommaso mi stai strozzando >> gli feci presente, dal momento che le sue braccia non facevano che stringersi più forte intorno alla mia gola. 

<< Voglio vedere se svieni >> disse divertito. 

La tentazione di schiacciarlo fu quasi impossibile da scacciare. Mi trascinai piano fino al divano e mi sedetti per bloccare la pustola contro i cuscini, poi gli strappai la pistola di mano e spruzzai in testa a Irene. 

Adoravo quella bambina, ma, cavolo, dovevo pur staccarmela dalla gamba. 

La piccola mi guardò un attimo, poi si lasciò cadere all'indietro e rise sguaiatamente. Capii poco dopo il perché del suo scoppio improvviso. 

Sulla mia faccia piombò un cuscino che aveva tutta l'aria di voler essere usato per soffocarmi. 

Decisi di stare al gioco, così da liberarmi del malefico brufolo che altri non era che Tom Riddle. 

Feci finta di perdere le forze e mi accasciai lentamente su un fianco per dare l'idea di essere svenuta. 

Il nano mi tolse il cuscino dal viso e saltò giù dal divano. << L'ho fatta secca finalmente >> annunciò con orgoglio. 

Irene smise subito di ridere. << È morta? >> 

<< Che t'importa? Adesso possiamo fare tutto quello che ci va. >> 

<< Ma a me stava simpatica. >> La sua voce tremò di dispiacere. << Non volevo che morisse. >> 

<< In guerra succede >> fu tutto ciò che il demonio disse per consolarla. 

Un bambino davvero simpatico e dotato di grandi sentimenti. 

Ci avrei pensato io a sistemarlo. 

Mi alzai di scatto, facendoli strillare di paura, e mi lanciai addosso a loro ridendo. Non potevo non scompisciarmi dopo aver visto le loro facce sconvolte, con tanto di bocche spalancate e occhi fuori dalle orbite. 

<< Sei viva! >> gridò Irene abbracciandomi stretta. 

Il nano cercò di sfuggire dalla mia presa, disgustato. << Stammi lontana, strega. >> 

<< Eri tu quello che ha lanciato quell'urlo stridulo di terrore? >> lo presi in giro, cercando i suoi occhietti innervositi. 

Si fermò per linciarmi con un'occhiata gelida. << Certo che no, io non ho mai paura. >> 

Mi strinsi nelle spalle. << Devo essermi sbagliata, allora. >> 

<< Sei tu la scema, non io >> ribatté prima di ficcarmi due dita negli occhi. Per poco non mi accecò, quel piccolo sacco di fetida immondizia. 

Il dolore era atroce, così ricaddi a sedere sul tappeto e mi coprii gli occhi umidi. 

Non ebbi neanche il tempo di riflettere su come ucciderlo che venni attaccata di nuovo. 

La pustola mi si scagliò contro avvolgendomi il collo con un braccio e gettandomi distesa. Irene, non comprendendo la seria intenzione del fratello di eliminarmi dalla faccia della Terra, cercò di arrampicarsi sulle mie gambe piegate. 

Mi strappai le mani dal viso e riaprii gli occhi che mi bruciavano come tizzoni. 

La prima cosa che rividi, dopo aver creduto di essere diventata cieca, furono gli occhietti malefici del nano ed il suo sorriso da delinquente. 

Avevo sempre sentito dire che nei rari casi in cui le persone riacquistavano la vista descrivevano tutto ciò su cui si posava il loro sguardo come bellissimo. 

A me non successe. 

Quella faccia tonda incorniciata da degli scomposti capelli castani rappresentava il mio incubo peggiore, non una meravigliosa gioia. 

<< Tommaso? >> lo chiamai mentre lui s'impegnava a strozzarmi come una gallina. 

<< Che vuoi? >> rispose brusco. Poverino, lui stava mettendo anima e corpo per uccidermi ed io osavo distrarlo. 

Mi costrinsi a sfoderare un sorriso plastico. << Perdonami, non vorrei disturbarti, ma sai che mi stai facendo male? >> 

La sua bocca si distese in un ghigno dal quale mancava un dente. << Tra poco non sentirai più nulla. >> 

<< Oh, confortante, grazie mille. >> Sorrisi con condiscendenza e lanciai un'occhiata ad Irene che si era posizionata al mio fianco. 

Non capivo cosa stesse facendo. Spostava i grandi occhi dalla mia faccia alla mia pancia con aria innocente, quasi combattuta. 

Poi si lanciò, e fu così che venne messa la parola fine alla mia vita. Perché la piccola che avevo creduto essere un angioletto era della stessa pasta del fratello. 

Si buttò a corpo morto sulla mia pancia tra una serie di urla e risate solo ovattate dal mio fiato spezzato di colpo. 

Mi rovesciai su un fianco con gli occhi fuori dalle orbite e la pancia ridotta ad una Simmental. 

Per un attimo credetti di essere morta, anche perché quel marmocchio che mi attanagliava la gola non aveva ancora mollato l'osso. 

Fui costretta ad acchiapparlo per la maglietta e a gettarmelo addosso, poi lo feci rotolare come un involtino e gli sferrai un pizzicotto su una coscia. 

Ne approfittai per issarmi in piedi ed ammirare la pustola sulla quale si era gettata la sorellina. Godetti nel vederlo schiacciato come il moscerino quale era. 

Mi pulii le mani e puntellai i fianchi con fare autoritario. << Abbiamo giocato abbastanza, che ne dite di fare merenda? >> domandai sfoggiando un sorriso di vittoria al marmocchio contro il quale avevo vinto. 

In tutta risposta, lui mi trucidò con un'occhiata, ma se non altro ebbe la decenza di non contraddirmi. Speravo che avesse capito con chi aveva a che fare e che riconsiderasse i suoi propositi di guerra. 

In caso contrario, aveva trovato pane per i suoi denti. 

 

 

 

 

 

                                                                   *  *  *

 

 

 

 

 

Erano cinque minuti alle sette quando udii la porta di casa Sodini aprirsi. Nel momento in cui, dalla cucina, allungai la testa per appurare chi avesse fatto il suo ingresso, mi arrivò un colpo di quaderno sulla nuca. 

Mi voltai di scatto verso Tommaso, il quale, come se fossi stata una cretina e non fossi consapevole della sua colpevolezza, stava guardando il soffitto con aria innocente. Decisi di lasciar correre e mi girai insieme ai bambini a guardare il simpatico fratello maggiore che faceva capolino in cucina. 

Ci osservò per un momento, poi si soffermò su di me. 

Esaminò la mia testa come avrebbe fatto con la carcassa di un topo da laboratorio, subito dopo gli spuntò un sorriso che covava una risata sapientemente trattenuta. 

Un mio sopracciglio spiccò il volo fin quasi all'attaccatura dei capelli. 

Cos'aveva quel maleducato da ridermi in faccia? 

Ogni nostro incontro aveva fatto acqua da tutte le parti, mai una volta che avesse esordito con un semplice "ciao" e si fosse tolto dai piedi. 

Il mostro più piccolo, giustamente, ne approfittò per ricolpirmi sulla nuca. E così le mie figure di cacca aumentavano esponenzialmente. 

Ciò che fece sprofondare il mio mento per terra, fu che il maggiore dei Sodini non rimbrottò il suo degno seguace per il gesto violento, ma vide bene di farsi scappare la risata che conteneva da un po'. 

Avevo l'imbarazzo della scelta su chi eliminare per primo. 

La rabbia mi esplodeva in scintille dietro le palpebre e le mani mi formicolavano pericolosamente, tant'era la voglia di accapigliarmi con Voldemort. 

Mi sentivo umiliata e ridotta ad un fenomeno da baraccone. 

Così la mia lingua si mosse prima che, ancora una volta in quella giornata, il mio cervello avesse dato il consenso. Quando qualcosa mi stava a cuore o mi imbestialivo non riuscivo ad essere riflessiva, l'istinto prevaleva su tutto. 

<< Non è un gran bell'esempio quello che stai dando ai tuoi fratelli >> mi uscì di bocca in tono acido. << Dovrebbero imparare che non è corretto ridere di un gesto violento. >> 

Ottimo, il maleducato aveva smesso di sghignazzare. Me ne compiacevo. Eppure un sorrisetto era sempre lì, su quella faccia che reclamava schiaffi a gran voce, mentre gli occhi di un azzurro intenso mi fissavano con curiosità. 

<< Mi stai dicendo come devo comportarmi? >> chiese quasi divertito. 

Perché continuavo a sentirmi presa in giro? Che cos'aveva quel ragazzo che non andava? 

Piantai i palmi sui fianchi e cercai di darmi tono con una scrollata di spalle. << Dico che dovresti mostrarti più maturo di fronte ai tuoi fratelli >> azzardai senza slacciare il nostro contatto visivo. << Prendilo come un consiglio >> aggiunsi secca.

Dato che c'ero, tanto valeva dirgli esattamente quello che pensavo. Se avesse voluto licenziarmi me ne sarei fatta una ragione, non ci tenevo a rivedere la sua faccia. 

La sua risata mi corrodeva ancora le orecchie. 

I suoi occhi mi superarono e corsero al piccolo demonio seduto alle mie spalle. << Chiedi scusa, Tommi >> disse con un cenno del capo, il solito sorriso stampato sulle labbra. 

Ero piuttosto sorpresa dalla piega assunta dalla situazione, ma c'era ancora qualcosa che non riusciva a farmi fidare delle buone intenzioni di Voldemort. 

Sentivo puzza di beffa. 

Socchiusi gli occhi sospettosa e lentamente scivolai con lo sguardo sul gangster in miniatura che pareva più disponibile a farsi amputare un braccio che a chiedere scusa.  

Mi guardò con riluttanza, come se fossi stata una cacca di piccione a cui dover dare un bacio, e sbuffò sonoramente. Alla fine, insieme ad una smorfia, pronunciò la fatidica parola. 

Sorrisi compiaciuta dello smacco che aveva subito e gli diedi una pacca sulla testa. << Perdonato. >> 

Due a zero per me, marmocchio. 

<< Il tuo orario è finito >> dichiarò il maggiore, indicandomi l'orologio sopra il tavolo. << Puoi andare. >> 

Annuii e, dopo aver salutato i bambini, sfuggii in salotto a recuperare lo zaino. 

Alla porta d'ingresso trovai Voldemort che mi aspettava con i soldi in mano. 

Li sventolò mollemente, come se gli costasse fatica tenerli in mano. << Li stavi dimenticando. >> Per qualche inspiegabile motivo, appena mi guardò, gli scappò di nuovo da ridere. 

Avevo una faccia tanto ridicola? E pensare che possedevo dei normali occhi castani e degli altrettanto normali capelli castani mossi. Che cosa c'era di così fuori dal comune in me? 

<< Grazie >> dissi incolore, prendendoli e riponendoli in una tasca dello zaino.  

Quei dannati occhi azzurri non mi mollarono neanche un attimo, tale e quale al suo sorrisetto sghembo che già odiavo visceralmente. << Ci si vede >> fu tutto ciò che disse, prima di ruotare le suole per andarsene. 

Appena si fu girato gli feci una boccaccia. Fu un impulso al quale non potetti resistere. 

<< Come hai detto che ti chiami? >> 

Mi bloccai con un piede già fuori dalla porta. Che mi avesse beccata? 

Virai con lo sguardo su di lui, fermo a fissarmi con le mani nelle tasche dei jeans. 

Evitai di fargli notare che non ci eravamo ancora presentati. << Nora >> risposi guardinga. 

Abbassò un attimo gli occhi mentre si mordeva il labbro inferiore per trattenere una risata. Quando li rialzò, l'azzurro delle iridi luccicava di spasso. << Fossi in te, Nora, mi darei un'occhiata >> affermò con un sottile tono schernente. << Prendilo come un consiglio >> aggiunse senza risparmiarmi il suo sorrisino. Poi ruotò di nuovo le suole e si avviò verso la cucina. 

Quando uscii da quella casa mi prudevano le mani. Aveva anche osato lanciarmi una frecciatina rifilandomi la stessa frase che gli avevo detto poco prima. 

Che razza di idiota immaturo. 

Trafficai furiosamente nello zaino ed acciuffai il cellulare, aprii la fotocamera interna e mi diedi un'occhiata. 

Sgranai gli occhi di colpo. 

Avevo tutta la coda sfatta e una miriade di capelli avevano deciso di farmi da aureola sopra la fronte, forse come simbolo della mia santità. 

Come facevano a non risentire della forza di gravità? Erano tutti ritti come soldatini ad una parata. 

Ora mi spiegavo la voglia di ridere del caro Sodini. Come il fratello minore, era dotato di simpatia e grandi sentimenti, un vero gentiluomo. 

Mi chiedevo che cosa ci trovassero in lui le mie amiche. 

Se fosse stato muto forse avrei potuto comprendere che cosa le affascinava tanto. Forse, perché già solo il suo sorriso mi dava sui nervi. 

Ed il peggio era che avrei dovuto vederlo anche a scuola. Sorbirmelo quasi tutti i giorni finché morte non ci avesse separato. 

Suonava tanto come una condanna.

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Capitolo 3
*** Bella giornata ***


Bella Giornata











Piombai in classe col fiatone e le guance paonazze per la corsa. 

Quella mattina la mia sveglia aveva deciso di prendersi una pausa e andare in vacanza. Così, senza preavviso. 

La vigliacca mi aveva lasciata nel momento del bisogno. 

In compenso, ero piuttosto sicura di aver superato qualsiasi record mondiale di velocità. Quella sveglia traditrice aveva fatto di me una campionessa olimpica. 

I miei sogni di gloria si sgretolarono quando constatai che la professoressa Fantucci era già seduta alla cattedra e che mi stava osservando a labbra strette. 

<< Gigli, alla buon'ora >> esordì in tono acido. 

<< Mi scusi. >> Congiunsi le mani con sguardo supplichevole e m'incamminai al mio banco. 

Sentivo tutto il peso dei suoi piccoli occhi da faina su di me. 

<< Non ti accomodare, vieni alla lavagna. >> 

No, no. Perché? 

Cos'aveva fatto di male per meritarmi una simile punizione? 

Mi sarei voluta gettare a terra e alzare le mani al cielo in lacrime. 

In matematica ero una frana, una vera e propria capra.

Mi impegnavo pure, ma il mio cervello sembrava respingere con forza qualsiasi numero e formula.

<< Sì... arrivo >> accordai incerta. 

Tolsi in fretta e furia la giacchetta e rivolsi un'occhiata supplichevole a Francesca e Linda.

Volevo piangere. 

Mi posizionai davanti alla lavagna come una condannata a morte. Nella mia mente imperava il vuoto più assoluto, non ricordavo assolutamente niente. 

La Fantucci sorrise con goduria, probabilmente intuendo il mio stato di agitazione. 

Sembrava profondamente orgogliosa della sua affinata capacità di mettere gli studenti in crisi. Ero quasi certa che ne avesse fatto lo scopo della sua vita. 

<< Molto bene, Gigli. >> Si sfregò le mani mentre ricercava qualche esercizio da dettarmi. << Ecco, questo mi piace, scriv... >> 

Qualcuno bussò alla porta.

Un angelo venuto per salvarmi? 

Il mio cuore palpitò mentre la speranza che un bidello entrasse e si portasse via quella megera cresceva.

<< Avanti >> gridò seccata. 

Mi girai di scatto verso Francesca e Linda per mimare loro di suggerirmi. 

Francesca sollevò il libro e mi scoccò un occhiolino. Linda scivolò sotto il banco e, con l'agilità di un serpente, prese posto al mio, in prima fila.

<< Non ti preoccupare, ci siamo noi >> bisbigliò con una mano davanti alla bocca.

Notai che i suoi occhi, nel voltarsi verso la professoressa, si erano sgranati.

Seguii il suo sguardo fino ad approdare su un ragazzo che se ne stava davanti alla cattedra con una serie di fogli in mano.

I suoi capelli biondo scuro e la sua figura prestante mi fecero sospettare di non essermi mai svegliata. Non era possibile che fosse vero.

Era chiaramente un incubo. 

Riccardo Sodini non poteva essere entrato nella mia classe.  

<< Gigli >> mi chiamò la Fantucci. 

Sobbalzai sul posto come una molla. 

Ti prego, di' che non hai tempo per interrogarmi. Ti prego, rimandami al posto e concedimi di vivere qualche altro giorno della mia giovinezza.

<< Intanto copia questo esercizio e inizia a svolgerlo. >> Mi parve di sentire il rumore dei miei sogni che venivano infranti da una gigantesca palla demolitrice.

Nel momento in cui afferrai il libro, generosamente offertomi dalla professoressa, constatai che un paio di fastidiosi occhi azzurri mi stavano guardando. 

Era davvero una bella giornata.

Ero arrivata in ritardo dopo una corsa che per poco non mi aveva fatto sputare un polmone, ero stata scelta come vittima sacrificale dalla faina e dovevo, per giunta, sorbirmi la presenza di Voldemort mentre facevo una figura caprina davanti alla lavagna. 

Tutto per colpa di una sveglia che da quel giorno non sarebbe più esistita. 

Non le avrei neanche cambiato pile, sarebbe direttamente volata dal mio quarto piano. 

Scrissi il testo dell'esercizio mentre mi chiedevo che cosa fosse quella roba che avevo appena copiato. 

Esisteva davvero una soluzione a quell'intreccio di numeri? Per me erano calcoli alieni. 

Mi voltai verso Linda per ricavare qualche suggerimento. 

Mi venne quasi un colpo al cuore nel constatare che per tutto quel tempo era rimasta imbambolata ad ammirare Sodini.

Come poteva distrarsi mentre io rischiavo la vita e la reputazione? 

Era un incubo, non facevo che convincermene sempre di più. 

Ruppi un pezzo di gesso e glielo lanciai addosso per svegliarla dal suo torpore. 

Quando i suoi occhi verdi atterrarono su di me erano spaesati. Le indicai con urgenza l'esercizio alla lavagna e si ridestò totalmente, lanciandosi a capo fitto su un foglio per svolgerlo.

Per prendere tempo feci finta di scrivere qualcosa, almeno quell'arpia della Fantucci avrebbe pensato che stavo risolvendo quell'enigma alieno. 

Linda mi rilanciò addosso il pezzo di gesso e mi fece segno di seguirla sotto il banco. 

Non ebbi scelta, dovevo agire prima che la professoressa si accorgesse che non avevo scritto nulla e che mi rendesse sorda a furia di urli. 

Lasciai che quel che restava del povero gesso cadesse vicino al mio banco. 

Mi gettai a carponi ed allungai la mano per afferrare il foglietto che Linda mi stava porgendo. 

La ringraziai quasi commossa mentre lei mi incoraggiava stringendomi un braccio. 

<< Gigli, abbiamo le mani di burro? >> mi brontolò la Fantucci, senza staccare gli occhi dai suoi fogli. 

Schizzai frettolosamente in piedi, come se fossi stata la protagonista di un nastro che veniva riavvolto, e mi fiondai sulla lavagna per ricopiare quanto suggerito da Linda. 

<< Vediamo un po' cos'hai scritto finora >> disse la megera, mandandomi nel panico più assoluto. 

Nel breve lasso di tempo che ci mise per voltarsi, agii come una pazza furiosa.

Cancellai con la manica tutti gli scarabocchi che avevo fatto per prendere tempo e nascosi il foglietto di Linda nella tasca posteriore dei jeans, poi mi scagliai sulla lavagna per scrivere in fretta quel poco che avevo visto della soluzione.

<< Gigli, stai dormendo? >> mi riprese subito la faina. << Vedi di darti una mossa. Cosa sono quei geroglifici che assomigliano a numeri? Scrivi bene, non si capisce nulla. >> 

Mi ero quasi slogata un polso per scrivere quei geroglifici, come li aveva definiti lei.

Cancellai tutto, estrassi il foglietto guardinga e attaccai a ricopiare il più veloce possibile, così da togliermi da quell'impiccio quanto prima.

Mentre scrivevo mi resi conto che avevo saltato un passaggio. 

Avrei voluto pestare i piedi a terra e gridare di rabbia. 

Mi allungai per agguantare la cimosa, con un diavolo per capello, e fu proprio in quel malaugurato momento che si consumò la tragedia.  

La cimosa mi sfuggì di mano. 

Cercai di acciuffarla con dei movimenti rocamboleschi finché questa non planò con delicata grazia sulla Fantucci. 

Ero sotto shock mentre osservavo la nuvola di gesso che si sollevava dalla sua testa.

La professoressa rimase immobile per qualche secondo, le spalle rigide e gli occhi che sprizzavano lampi.

<< Mi... scusi >> dissi in un sussurro. 

Sarei morta. La Fantucci mi avrebbe eliminata dalla faccia della Terra senza rimorsi.

Ero finita. Non avrei neanche avuto il tempo di salutare mia mamma. 

In quel frangente colmo di disperazione non mi sfuggì il sorriso, anticamera di una risata, che Voldemort stava nascondendo dietro la mano. 

Avrei voluto tirare una cimosa in testa anche a lui.

<< Gigli! >> urlò la professoressa. I suoi occhi neri scintillarono come la lama di una boia. << Vai subito fuori e restaci finché non suona la campanella! >> strillò in un crescendo di acuti. << Fuori! >> ribadì, come se non fosse già stata abbastanza chiara. 

Ero mortificata. 

Non ero mai stata sbattuta fuori dalla classe, anzi, la mia condotta era sempre stata eccellente fin dalle elementari. 

Mentre procedevo verso la porta non potevo che sentirmi profondamente imbarazzata.   Avevo fatto una pessima figura davanti a tutta la classe e, come se non bastasse, pure davanti a Sodini. 

Volevo sprofondare sotto metri e metri di fango. 

Mi misi a sedere su un banco abbandonato in un angolo, nell'atrio comune su cui affacciavano alcune classi della mia torretta. 

Il mio liceo era piuttosto grande, disposto su più piani e provvisto di quattro torrette, ognuna delle quali si identificava con un colore diverso. 

Nella mia svettava il giallo.

Ogni coppia di torrette era collegata da un corridoio e, purtroppo, quella a cui apparteneva Voldemort era proprio la gemella della mia. 

La porta della mia aula si aprì per sputare fuori Sodini. 

Se ne stava a testa bassa per mascherare il sorriso che gli stirava un angolo della bocca, subito dopo lanciò il suo sguardo nella mia direzione. 

Non disse nulla, e fui grata al cielo per quello. 

In compenso, però, furono i suoi occhi a parlare. Ruotai il capo con stizza per evitare la luce di scherno che glieli accendeva.

Pure quello mi toccava sopportare.

Seguii i suoi movimenti con la coda dell'occhio per assicurarmi che si defilasse il prima possibile. 

Ma un attimo prima che imboccasse il corridoio, si fermò. 

Sperai che i suoi piedi avessero smesso di compiere il loro lavoro, ovvero portarlo lontano dal mio campo visivo, solo perché doveva controllare i suoi benedetti fogli. 

Invece, contro ogni mia aspettativa, come qualsiasi altra cosa in quell'inferno di giornata, parlò. << Comunque, bella presa >> disse canzonatorio, lo spasso nella voce. 

Mi girai di scatto per fulminarlo, ma era già sparito. 

Dovevo mantenere la calma. Dopotutto facevo da babysitter ai suoi fratelli, non potevo rincorrerlo e tirargli un calcio nel sedere. Non sarebbe stato professionale. 

Chiusi gli occhi ed espirai lentamente. Pace e amore.

Eppure sentivo ancora prudere le mani. 

Quello zoticone si era permesso di farsi beffa di me, calpestando la mia dignità già ridotta in coriandoli dalla Fantucci. 

Era chiaro che fossi rientrata tra le sue antipatie dopo la mia uscita del giorno prima. 

Se ripensavo a quando quella purulenta pustola di suo fratello mi aveva sbattuto il quaderno in testa e lui se l'era spassata a mie spese...

Credeva di poter ridere degli altri senza beccarsi il minimo rimprovero? Povero illuso. 

I bulletti non mi erano mai piaciuti, i maleducati ancora meno. E lui era tutt'e due le cose. 

Il resto dell'ora la passai ad alternare momenti di profonda meditazione al fine di cambiare la mia visione del mondo in una piena di amore e momenti in cui macchinavo vendette. 

Al suono della campanella, dopo che la Fantucci si era dileguata senza risparmiarmi l'onore di un'occhiata truce, rientrai in classe con aria sconsolata.

Sprofondai sulla mia sedia e sospirai mesta. 

In pochi secondi il mio banco venne preso d'assalto. 

<< Sei stata fantastica, Nora >> si congratulò Giacomo Grandi. << Stavo per scompisciarmi dalle risate. >> 

<< Quanto avrei voluto essere stato io a tirarle in testa la cimosa >> disse Ruggero Urri, con una mano sul cuore e lo sguardo sognante. 

<< Ti avrei lasciato volentieri questo privilegio >> affermai risoluta. << Credimi. >>

Ruggero mi scompigliò i capelli. << Non è andata poi così male, poteva metterti un rapporto. Invece ti ha solo buttata fuori, io ci sono stato un sacco di volte. >> 

Mi venne da sorridere. Ruggero era stato più a girare la scuola che in aula, diceva addirittura di conoscere dei posti segreti.

Linda mi accarezzò la schiena. << È stata solo sfortuna. >> 

<< Molta sfortuna >> rincarò Francesca. << Oppure destino >> aggiunse prendendosi il mento fra le dita, con fare pensoso.

Alzai gli occhi al cielo e mi sorressi la fronte con la mano. 

Doveva essere un destino davvero crudele il mio. 

 

 

 

 

 

 

                                                                   *  *  *

 

 

 

 

 

Non crudele, spietato. 

Possibile che al citofono mi avesse dovuto rispondere, di nuovo, Sodini? Non poteva esserci sua madre in casa? 

Certo che no, altrimenti sarei stata troppo fortunata. 

Salii gradino dopo gradino cercando di ricordare tutti i pensieri positivi su cui avevo avuto tempo di meditare quella mattina. 

Pace, amore e quant'altro. 

Quando mi ritrovai, per la seconda volta, il portone di casa chiuso, tutti quei buoni propositi andarono a farsi friggere. 

Eh no. No, era uno scherzo. 

Mi impegnavo ad essere una persona migliore, ma era impossibile. Era come correre contromano in una strada pullulante di caproni. 

Bussai contro il pesante legno, in attesa che quel demente si ricordasse come si abbassava una maniglia.  

La porta si spalancò per rivelarmi la presenza di Voldemort. 

Era vestito con una semplice tuta da ginnastica: i pantaloni grigi a vita bassa e una maglietta nera a maniche corte. 

Se non fosse stato per il suo sguardo, tipico di uno che stava palesemente dubitando della sanità mentale della sottoscritta, lo avrei perfino reputato carino. 

<< Era aperta >> esordì, un sopracciglio leggermente sollevato. 

Dovevo stare calma. Forse quell'essere demoniaco era stato mandato sulla terra per sottopormi ad una prova in vista di una ricompensa maggiore. 

Sfoderai il mio miglior sorriso di circostanza. << Sarà stato il solito colpo di vento >> dissi con un'alzata di spalle. 

Ero piuttosto sicura che si stesse ancora chiedendo come fosse stato possibile che sua madre mi avesse lasciato la responsabilità dei suoi fratelli.

Diede un colpetto alla porta per aprirla completamente e si spostò di lato per lasciarmi passare. 

Vidi spuntare Irene dal salotto. I suoi grandi occhi azzurri che mi sorridevano furono la cosa più bella di quella giornata. 

Mi piegai sui talloni ed allargai le braccia per accoglierla in un abbraccio. Mi piombò addosso stroncandomi il fiato, ma, a parte quel piccolo inconveniente, fu bello notare quanto quella bambina si fosse legata a me.

Giustamente Voldemort vide bene di rovinare quel piacevole momento sbattendomi addosso la porta.

<< Non posso chiuderla se non ti sposti >> disse, persistendo a farmi rimbalzare addosso quel legno massello.

La vena sulla mia fronte pulsò pericolosamente. 

Immaginai di compiere quello stesso movimento, che oltretutto mi stava sbriciolando un fianco, con la sua testa. Ero quasi certa che sarebbe rimasto il solco nel legno, tanto ce l'aveva dura.

Sfoderai un sorriso plastico e mi alzai in piedi per farmi da parte. << Certo. >>

Come poteva quell'angioletto di Irene convivere con quei mostruosi fratelli? 

Improvvisamente ricordai che la belva di sette anni, il puffo diabolico, Tom Riddle, ancora non si era fatto vivo.

Ma lui c'era. 

Percepivo il fetore della sua oscura aura nell'aria. 

Era solo questione di tempo prima che zompasse alle mie spalle per infliggermi il colpo di grazia. 

Dovevo stare in allerta. Questione di vita o di morte. 

<< Tommi dev'essersi nascosto da qualche parte >> disse il maggiore, guardandosi attorno con noncuranza.

Come sospettavo. Il nano si era subito messo in linea di attacco. 

<< Lo troverò >> asserii con un'espressione pacifica. 

E lo annienterò, avrei voluto aggiungere. Quel sorcio aveva le ore contate.

Sodini estrasse il suo cellulare dalla tasca e lo sbloccò con una velocità tale da non permettermi di vedere quali numeri avesse digitato. 

Per colpa di Francesca, Linda e Vanessa mi toccava persino spiarlo. 

Notai che molte delle sue chat di WhatsApp erano piene di messaggi non ancora letti. 

Dovevo appuntarmi mentalmente quella notizia priva di importanza per riferirla alle tre comari: Voldemort snobbava allegramente la gente. 

Mentre allungavo il collo come una giraffa e buttavo un occhio con nonchalance al telefono di Sodini, si consumò la seconda tragedia della giornata. 

Udii solo un urlo prima di venire colpita in piena faccia con un portentoso spruzzo d'acqua. Non ebbi neanche il tempo di riprendere fiato che il nano mostruoso mi si avventò contro.

Mi saltò letteralmente addosso dopo aver caricato come un rinoceronte. Per il contraccolpo finii schiacciata contro la porta, dove battei una testata che mi fece vedere le stelle.

Non soddisfatto, strinse pure le sue piccole mani intorno al mio collo per strozzarmi. 

Un bambino decisamente affettuoso. 

A quel punto smisi di reggerlo e lo mollai di scatto per togliermelo di dosso. 

I suoi vispi occhi da assassino mi puntarono con un sorrisetto poco rassicurante. Alzò un indice e se lo passò lentamente sulla gola per intimidirmi con una muta minaccia di sgozzamento. 

Gli sorrisi falsamente, alcune ciocche di capelli che mi gocciolavano. << Felice anch'io di rivederti, Tommaso. >> 

Avrei preferito fare bungee jumping in una giungla piena di tigri affamate piuttosto che passare del tempo con lui, ma la vita a volte era ingiusta. 

Adocchiai un mitra di plastica abbandonato sul pavimento del corridoio. Doveva essere l'arma con cui mi aveva lavato la faccia. 

Era passato all'artiglieria pesante, il sorcio. La pistola del giorno prima non era abbastanza per lui. 

 << Tra cinque minuti esco, poi sono tutti tuoi fino alle sette >> disse il maggiore.

Ancora una volta, quando mi guardò, gli scappò da ridere. 

Era un vizio, allora. 

La vena sulla mia fronte era lì lì per scoppiare, ed ero anche molto vicina a prendere le teste dei fratelli Sodini per sbatterle fra loro. 

Ero certa che sarebbe risuonato un "gong" tibetano, tanto erano vuote. 

<< Comportati bene, Tommi >> aggiunse poi, mentre passava accanto al suo degno successore. 

Quei deboli consigli non facevano effetto sul piccolo cuore di pietra di quel marmocchio. 

Dal modo in cui mi guardava era ovvio che non si sarebbe comportato bene, non ci avrebbe neanche provato. 

<< Andiamo in salotto, bimbi? >> chiesi loro, solare.

Irene, quel meraviglioso angioletto, mi prese per mano e sorrise. Il nano da giardino invece ci seguì a braccia conserte, per poi mettersi a sedere sul divano come un boss mafioso.

<< Cosa vorreste fare? Irene ti andrebbe di fare un disegno di Ambrogina? >> le proposi prendendo la sua bambola, sempre più spelacchiata. << E tu Tommaso dovresti fare i compiti, giusto? >> 

Il teppistello mi rivolse uno sguardo minaccioso, le mani paffute congiunte sulle gambe. Ci mancava solo il sottofondo della colonna sonora del Padrino e poi avrei potuto affermare di aver conosciuto un mafioso in carne ed ossa. 

Evidentemente la parola "compiti" era impronunciabile in sua presenza. 

<< Quelle cose le fanno gli stupidi >> rispose piccato. 

Evitai di fargli notare che il suo ragionamento era esattamente il contrario di quello giusto. 

<< Non ti piace imparare cose nuove? >> chiesi in uno slancio di bonario interesse nei suoi confronti. 

<< No, se poi devo diventare stupido come te >> osò dirmi con lo stesso odioso sorrisetto di suo fratello. 

Piccolo vermiciattolo senza vergogna. 

Ci mancò molto poco che non lo afferrassi per i pantaloni e gli dessi un bello sculaccione. 

<< Bene >> accordai strizzando le labbra. << Allora io e Irene ci divertiremo a fare qualcosa insieme, tu puoi pure restare lì. >> 

Mi misi a sedere per terra e concentrai tutte le mie attenzioni sulla tenera bambina che stava disegnando quella che supponevo fosse la sua bambola.

Non trascorse neanche un minuto prima che Tom Riddle passasse al contrattacco. 

Sperai con tutto il cuore che avesse deciso di darmi retta, invece afferrò la povera Ambrogina per i capelli e la sollevò davanti alla sua faccia.

Irene saltò in piedi con una matita in mano e le guance strizzate. << È mia, prendi il tuo orso se vuoi giocare. >> 

Oh oh, il bulletto aveva un orsacchiotto. 

Il grande uomo fautore della guerra aveva un peluche. 

Gli rivolsi un'occhiata che conteneva una muta domanda canzonatoria. Un orsetto, davvero? 

Avrei voluto lasciarmi andare alla grassa e grossa risata che stavo trattenendo. 

In compenso il nano stava chiaramente cercando di uccidermi con i suoi occhietti blu. 

Vide bene di strappare un'altra ciocca di capelli alla già spelacchiata Ambrogina, forse a mo' di monito.

Irene lanciò un urlo che mi sturò le orecchie, dopodiché si avventò sul fratello per riprendersi la bambola.

<< Bambini, fermi. Irene lascialo >> le ordinai quando ormai aveva un pezzo di braccio di Tom Riddle fra i pochi denti. 

Se non stava attenta, quello glieli faceva cadere tutti.  

La piccola cannibale retrocesse di un passo e si spostò un ricciolo dalla faccia rossa. 

<< Recupero io Ambrogina >> la rassicurai con una carezza. 

Lei strizzò le labbra e annuì fiduciosa. 

In realtà non sapevo nemmeno io come fare. 

Optai per le buone maniere. 

Sorrisi ad Attila. << Tua sorella tiene tanto a questa bambola, gliela potresti restituire? >> Tesi le mani per spronarlo a fare la scelta giusta.

Lui se la tirò più vicina. << No. >> 

Risposta sbagliata, piccolo piantagrane. 

Afferrai la caviglia di Ambrogina e la tirai piano verso di me. << Se la lasci, andiamo a fare merenda. Non hai fame? Possiamo mangiare i biscotti al cioccolato di ieri. >> 

<< Non puoi mangiare i miei biscotti, cicciona. >> 

Come mi prudevano le mani. 

Prima o poi quel grosso brufolo umano avrebbe assaggiato le mie cinque dita del dolore. 

Sorrisi per fingermi calma e pacifica. << Non voglio mangiarli. Allora che ne dici, andiamo? >> 

Mi beccai una linguaccia e una pernacchia infinita.

Basta, lo aveva voluto lui. 

Fui costretta a orientarmi sulle maniere forti.  

Strattonai la caviglia di Ambrogina per liberarla dalla morsa di quel piccolo cinghiale. 

Per un attimo riuscii a destabilizzarlo, ma si riprese subito. Infatti il secondo dopo l'acchiappò per la testa e la tirò energicamente. 

Ci guardammo con sfida, gli occhi ridotti a fessure. << Lasciala >> intimai.

<< No >> rispose. << Grassona >> aggiunse con un sorrisetto sdentato.

Convogliai tutta la mia forza sulle mani e, con somma gioia, fui in grado di aggiudicarmi la vittoria sul nano.

Issai Ambrogina come fosse stata un trofeo. 

Mi era costata non poca fatica quella bambola e finalmente avevo dato un bello smacco al mini gangster che, stranamente, non si poteva definire il ritratto della sconfitta.

Bensì pareva ampiamente soddisfatto. 

Decisi di evitarlo, ormai avevo assodato che quel bambino non avesse tutte le rotelle al posto giusto. 

Mi voltai verso Irene con un sorriso vittorioso. << Ecco Ambrogina, sana e... >> Le parole mi morirono in bocca.

Oh mio Dio. Dov'era la testa? Cos'era quella specie di tacchino che tenevo tra le mani? 

Diedi una fugace occhiata a Irene. 

La povera creatura mirava il corpo della sua bambola con gli occhi sgranati.

Santo cielo, avevo traumatizzato una bambina. Con che coraggio mi sarei guardata allo specchio? 

Tutta colpa di...

Ruotai di scatto la testa, tanto da farmi scrocchiare il collo, e piantai lo sguardo su quel demonio con fattezze da infante che, non potevo credere ai miei occhi, stava palleggiando con ciò che restava di Ambrogina. 

Prima che ingaggiassi una lotta, per mia fortuna, gli sfuggì la testa della bambola. 

L'acciuffai lesta e premetti con forza per riattaccarla al resto del corpo.

Quella dannata cosa non ci voleva entrare. 

Tom Riddle si avvicinò per osservare la mia operazione di salvataggio.

<< Non ti... preoccupare, piccola >> dissi a Irene, mentre compivo lo sforzo di ricongiungere le parti. << Tornerà come nuova. >> 

A furia di spingere, il capo della povera Ambrogina si affossò. In compenso riuscii a restituirle una sembianza meno raccapricciante. 

O almeno ci avevo provato. 

<< Ta-dan >> esclamai mostrandola ad Irene. 

Lei rimase a guardarla per qualche istante, incerta. 

<< È Ambrogina >> dissi sorridendole. 

<< È un mostro >> rettificò la pustola. 

Sapevo anch'io che quella bambola aveva visto tempi migliori. Al momento non aveva più un collo e la testa si era incavata, facendole schizzare gli occhi e il naso in fuori.

Quei pochi capelli che le rimanevano, poi, davano il colpo di grazia. 

Era diventata la riproduzione del mostro di Frankenstein. 

Cercai di trovare il lato positivo. << Nessuna bambina ha una bambola così. È unica al mondo, lo sai? >> 

<< Ti assomiglia, è brutta come te >> si sentì in dovere di dire Tom Riddle. 

Che caro bambino. 

Continuai a concentrarmi su Irene. << Ha tanto bisogno di affetto. Ti andrebbe di prenderti cura di lei? >> 

La piccola strinse le labbra e poi si aprì in un sorriso sdentato che mi sciolse il cuore.

Possedeva una tenerezza struggente, tutto l'opposto del fratello. 

Allungò le corte braccia e se la strinse al petto mentre le faceva delle carezze sui capelli. 

Tirai un sospiro di sollievo e rilassai le spalle.

Se si fosse messa a piangere non avrei saputo da che parte sbattere la testa. 

Battei le mani sulle gambe e m'issai in piedi. << Che ne dite di fare merenda? Avrete fame. >> 

Il pestifero nano da giardino mi superò con aria spavalda per andarsene in cucina. Irene, invece, mi prese per mano e saltellò felice con Ambrogina stretta al petto.

Sperai vivamente che il puffo diabolico non me ne combinasse altre dato che aveva già ampiamente dato sfogo alla sua indole bellicosa. 

Ma mi sbagliavo. 

Un'ora e mezzo più tardi eravamo ancora a lottare sull'argomento compiti.

Quel piccolo sacco di fetida immondizia si era ribellato alla mia autorità versando il succo sul suo libro degli esercizi, accusando poi la sottoscritta.

Aveva aperto il libro, sollevato il suo bicchiere di Thor sopra la zucca vuota che si ritrovava e poi, con un sorrisetto malvagio, aveva rovesciato parte del contenuto sulle pagine.

Ero riuscita ad evitare l'irreparabile solo perché mi ero praticamente lanciata su di lui per strappargli il bicchiere di mano. 

<< Capisco che non ti piacciano i compiti, ma non si sciupano così i libri >> gli dissi mentre ero occupata a tamponare le chiazze arancioni. 

<< Mi hai dato tu il succo. È colpa tua >> rispose alzando le spalle. 

Irene ridacchiò tra sé e sé, per poi dimenare le corte gambe. << Questo è Tommi. >> Issò il suo foglio e indicò una figura dalla testa tonda e con un paio di corna a punta che ghignava. 

Quella bambina aveva capito tutto della vita. Era una vera artista, capace di estrapolare l'anima dai soggetti che disegnava. 

<< E questa sei tu. >> Spostò la matita sull'altra figura stilizzata. 

Se non altro non avevo le corna, sebbene mi avesse disegnato delle occhiaie paurose. 

Tutto sommato potevo ritenermi soddisfatta. 

Il teppistello le strappò il foglio di mano e impugnò un lapis come fosse stato un coltello. 

Irene si lamentò con degli urletti e si sporse a recuperare il suo disegno. << Cattivo, Tommi. È mio. >>

Quel mostriciattolo diede sfogo al suo raptus creativo per poi innalzare l'opera sopra la sua testa con un sorrisino cattivo. 

Ovviamente aveva ritoccato solo il mio ritratto facendomi un naso da strega e il corpo a forma di cerchio. Non soddisfatto, aveva scritto la parola "BEFANA" a caratteri cubitali sulla mia fronte immaginaria.

<< Così è più simile >> disse dispettoso. 

Fui tentata di strappargli di mano quel foglio e ritoccare pure il suo ritratto, ma poi mi resi conto che non avevo sette anni e che io, un cervello, lo avevo.

Quel bambino esercitava una cattiva influenza su di me. 

<< Gentilissimo >> lo ringraziai con un sorriso angelico. 

<< Bel disegno, Tommi >> sentii dire da una voce alle mie spalle.

Per lo spavento, balzai sul posto. 

Santo cielo, era Voldemort. Non avevo minimamente sentito il suo rientro, forse perché il mio udito era stato compresso dall'urlo di quel pomeriggio di Irene. 

Ruotai il capo per planare con lo sguardo su di lui.

Aveva aperto il frigo per estrarre una bottiglietta d'acqua e berla avidamente, il borsone della palestra abbandonato ai piedi.

Aspetta, cos'aveva detto? Bel disegno? 

Speravo vivamente di avere problemi all'udito, non poteva essersi congratulato con quella peste di suo fratello per aver infierito sul mio ritratto. 

I suoi occhi celesti si degnarono di guardarmi, o meglio, ispezionarono la mia faccia finché non vidi un angolo della sua bocca sollevarsi. << Puoi andare >> disse indicando l'orologio con un dito.

Eh no. Quello era troppo. Un altro sorrisino di presa in giro. 

Cos'aveva il mio viso di tanto divertente? Voleva vedere quanto sarebbe stato buffo il suo dopo che gli avessi fatto cadere tutti i denti con un pugno? 

<< C'è scritto "befana" >> gli feci notare in riferimento al disegno. Fu più forte di me, non ce la feci proprio a stare zitta.

Volli sperare che quel caprone non sapesse leggere, forse sarei stata tanto clemente da risparmiargli la vita. 

Sollevò le sopracciglia. << Ah sì? >> 

Urlai dentro di me, nella mia testa sparai un grido da aquila. 

Non si preoccupava neanche di mascherare il tono beffardo o di togliersi quel mezzo sorriso da schiaffi dalla faccia. 

Quella capra insolente non solo era consapevole della parola affibbiatami dal fratello, ma in più osava prendersi gioco di me. 

Inspirai a fondo e schioccai la lingua al palato. << Già, proprio befana. >>

Se cercava la rissa non mi sarei tirata indietro. Ero pronta e carica per asfaltarlo come un bulldozer. 

Dedicai l'ultimo briciolo di pazienza ad Irene e al mostro e mi sforzai di sorridere gentilmente. << Ci vediamo presto, bimbi >> li salutai mentre recuperavo il cellulare sul tavolo.

Dopodiché sgattaiolai rapida nel salotto e acciuffai lo zaino.

Purtroppo, quando rispuntai nel corridoio, Voldemort era già al portone ad aspettarmi con una banconota tra medio e indice. 

Quel borioso se ne stava appoggiato al muro con una spalla, le braccia incrociate al petto e lo sguardo acceso di scherno rivolto a me. 

Afferrai i soldi che mi stava porgendo come se fossero stati raccolti da una cacca di cavallo.

<< Grazie >> dissi con un sorriso stizzito, e non mi preoccupai di nasconderlo. Che notasse pure quanto poco mi andava a genio. 

Aprì la porta e mossi dei passi per defilarmi. 

Prima mi fossi allontanata e meglio sarebbe stato per la mia fedina penale. 

<< Nora, giusto? >> mi domandò di punto in bianco, quando ormai avevo un piede sul primo gradino.

Che fosse un modo per distrarmi e farmi ruzzolare per le scale? 

Gli rivolsi un sguardo di sufficienza. , per rendergli evidente quanto tempo mi stesse facendo perdere.

Sollevai un sopracciglio. << Sì? >> 

Le sue labbra si stirarono in un sorriso canzonatorio. << Fossi in te, Nora, i consigli li accetterei. >> Mi scoccò un'occhiata di scherno. << Prendilo come un altro consiglio. >> 

E con questo mi chiuse la porta in faccia. 

Il grande saggio con le sue perle di vita vissuta si era eclissato dopo quell'enigmatica frase. 

Stupido. Con i suoi consigli potevo, al massimo, pulirci il water. 

Scesi velocemente le scale fino ad approdare nell'ingresso e, per un fortuito momento, la mia vista s'imbatté contro il mio riflesso sul vetro dell'ascensore. 

Che cos'era quella cosa che vedevo? 

Mi avvicinai per osservarmi meglio.

Per poco non mi venne un colpo nel constatare come il trucco mi fosse colato fino al naso. 

Bastava fare due più due per capire chi fosse l'artefice di quel disastro. 

Il puffo diabolico, la pustola immonda, lo scarafaggio stercorario. Sì, proprio lui, quell'incubo in carne ed ossa con il suo mitra mi avevano fatto squagliare la matita e il mascara fino a trasformarmi in un mostro.

Ora mi spiegavo il perché delle occhiaie nel disegno fatto da Irene e della beffa finale di Sodini. 

Bene, bene. 

Volevano la guerra? Era finito il tempo in cui tenevo bassa la guardia. 

Altro che pace e amore. Un corno. Forse con persone più civilizzate poteva anche valere, ma no, quei due erano fatti di un'altra pasta. 

E io non sarei stata da meno.

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Capitolo 4
*** Beccata ***


Beccata 











Il resto della settimana era trascorsa senza che, per grazia divina, avessi dovuto rimettere piede in casa Sodini. 

Quel sabato mi sarei presa tutta la giornata per me stessa, merito di una meravigliosa circolare del giorno prima per la quale non sarei dovuta andare a scuola.

Avevo bisogno di recuperare le energie dopo soli tre giorni di lavoro.

Avrei sfidato chiunque ad avere a che fare con Tom Riddle. 

Quante baby sitter aveva già fatto scappare per esaurimento nervoso? 

Immaginavo che la lista fosse molto lunga, ma non avrei permesso a quel piccolo topo di fogna di spuntare anche il mio nome. 

Finii di sistemare l'ultimo cuscino sul letto e mi soffermai a controllare che tutto, nella mia stanza, fosse in ordine. 

Avevo scelto dei colori rilassanti per arredarla. Al settanta percento era tutto bianco: le pareti, la scrivania, l'armadio, la testiera in ecopelle del letto e vari accessori come le lucine a forma di rosa che avevo attaccato alla parete contro cui era poggiato il letto.

Così la notte, quando avevo bisogno di un po' di luce, mi bastava accedere quelle per percepire tutto il calore del mio angolo di pace.

Per il resto imperavano il rosa e l'oro. 

Il morbido tappeto che campeggiava al centro della stanza era rosa, così come la sedia girevole della scrivania e la poltroncina pelosa nell'angolo. Qualche oggetto qua e là sulle mensole, poi, riprendeva tutti e tre i colori.

Adoravo la mia cameretta, ed avevo speso tanto tempo per riuscire a realizzarla, almeno due anni. 

Quando ritenni che fosse tutto pulito e in ordine, raggiunsi mia mamma in cucina.

Lei si voltò a guardarmi sorpresa. << Ti sei già alzata? Potevi stare ancora a letto, sono solo le otto e mezzo. >> 

Assomigliavo molto a mia mamma. Avevamo gli stessi occhi castani e lo stesso colore di capelli, solo che i suoi erano lisci e corti, mentre i miei mossi e lunghi.

Eravamo alte più o meno uguali, la superavo solo di qualche centimetro. 

Corrucciai le labbra. << Non avevo più sonno >> dissi mentre mi allungavo per afferrare la mia tazza di Frozen.

A diciotto anni avevo la tazza di un cartone animato, mi toccava ammetterlo. Ma era troppo carina, perciò non avevo resistito all'impulso di portarla come me fino alla cassa. E poi, come per magia, i miei soldi nel portafoglio erano spariti e lei era finita nel sacchetto. 

<< Io tra poco esco, lavoro anche oggi >> mi fece presente lei con un breve sospiro. << Tu che fai di bello? >> 

La guardai dispiaciuta. << Avevo pensato di stare con te. >> 

Mia mamma faceva le pulizie nei condomini e nelle case. Lavorava sodo ogni giorno per permetterci di avere uno stile di vita modesto e dignitoso. 

Era stato proprio quello, il suo costante sacrificio, a spingermi a cercare un impiego che al tempo stesso mi consentisse di dedicarmi alla scuola. 

Volevo aiutarla con le spese e alleggerirle il carico, così prima o poi avrebbe potuto concedersi di rifiutare una giornata di lavoro per riposarsi e dedicarsi a sé stessa.  

Il mio più grande motivo di gioia era vederla felice. 

Avrei fatto di tutto per lei, così come aveva sempre fatto lei per me. 

Mi fece una carezza sulla schiena e mi scoccò un bacio sulla guancia. << Domani non lavoro, oggi però esci con le tue amiche. Non voglio che tu stia a casa tutto il giorno. >> 

Mi sedetti al tavolo e versai i cereali nella tazza, per poi affogarli col latte. 

<< Francesca passerà il pomeriggio con Giacomo, Vanessa è ancora malata e Linda per il fine settimana è dai suoi zii al mare. Comunque io a casa sto bene >> affermai prima di ingozzarmi con una cucchiata stracolma. 

Le iridi castane di mia mamma scintillarono. Pessimo segno, significava che aveva appena avuto un'idea. 

<< Andrai ad iscriverti in palestra >> esclamò annuendo risoluta. << Si si, ho visto che la palestra qua vicino ha un sacco di programmi con delle tariffe vantaggiose. Proprio l'altro giorno ci passavo davanti. >> Appoggiò la sua tazza di caffellatte e mi sorrise entusiasta. << Dato che non fai nessuno sport potresti provare a fare ginnastica. Fa bene tenersi attivi, me lo diceva la signora da cui ero a pulire ieri. Aiuta anche per lo studio, il cervello diventa più reattivo. >> 

Non ero del tutto contraria a quella proposta. Avrei potuto sfogare i nervi che Tom Riddle mi faceva venire con un sacco da boxe, immaginando che fosse lui... o suo fratello. << Ma quanto ci costerebbe? >> chiesi titubante. 

<< Ho visto che stanno facendo delle promozioni su alcuni abbonamenti. Potresti andare ad informarti e poi scegliere quello migliore. Così oggi sapresti cosa fare >> asserì soddisfatta. 

Diede un'occhiata all'orologio della cucina. << Io devo scappare, Nora. >> 

Trotterellò da una parte all'altra per raccogliere la borsa e tutto ciò che le serviva. 

<< Mi raccomando. >> Mi diede una carezza sui capelli e si piegò a baciarmi la testa. << Vai in palestra, ma non stancarti troppo. Ci vediamo stasera. >>

La salutai con la mano, la bocca troppo piena per parlare. 

Per smaltire quella caterva di cereali mi ci sarebbe voluta una giornata intera. 

Un po' di ginnastica sarebbe tornata utile. 

Finii di fare colazione e pulii le stoviglie, dopodiché corsi in camera per raccogliere dei vestiti sportivi dall'armadio e riporli in una borsa capiente. 

Terminai di compiere le ultime faccende e di lavarmi. Sistemai i capelli in un'alta coda di cavallo e diedi una passata di mascara sulle ciglia. 

Agguantai il portafoglio, i documenti, una bottiglietta d'acqua ed infine le chiavi di casa.

Dopo circa un'ora ero davanti all'ingresso della grande palestra a cui aveva fatto riferimento mia mamma. 

Esaminai un po' degli abbonamenti che venivano pubblicizzati da dei fogli incollati al vetro adiacente la porta. 

Mi presi tutto il tempo di cui avevo bisogno per valutare la tariffa più conveniente, alla fine optai per quella di tre mesi: la più scontata. 

Sarei potuta andare lì ogni giorno e a qualsiasi orario, godendo anche dell'opportunità di usufruire della piscina. 

Entrai senza esitazione e procedetti con le pratiche per avviare l'abbonamento.

Ricevetti un borsone ed un lucchetto in regalo, cosa che mi entusiasmò come una bambina. 

Avrei voluto chiamare mia mamma e dirle che avevo compiuto la missione, ma sapevo che non avrebbe potuto rispondere, così catturai con lo sguardo ogni dettaglio della palestra per potergliela descrivere più tardi. 

Seguii l'indicazione che conduceva agli spogliatoi, per poi finire in un ambiente spazioso pullulante di donne. 

Rimasi piuttosto scioccata dal constatare che molte giravano quasi o del tutto nude, senza imbarazzo alcuno.

Mi rinchiusi in uno dei pochi camerini che avevo adocchiato. 

Non esisteva che mi spogliassi davanti a delle sconosciute, anche se si trattava solo di scambiare i miei vestiti con la tuta.

Avevo un senso del pudore particolarmente spiccato. 

Terminai di cambiarmi con un semplice paio di morbidi pantaloni grigi e una maglietta bianca che in genere usavo per stare in casa.  

Sistemai il mio borsone in un armadietto e, dopo aver estratto telefono e cuffiette, sigillai tutto con il lucchetto.

Dopo cinque minuti ero davanti ad una notevole serie di attrezzi: dai semplici tapis roulant a quelli più tosti, come il sollevamento pesi.

Altri non sapevo neanche cosa fossero, mi apparivano come macchine di tortura. 

Decisi di cominciare da qualcosa di semplice, o almeno speravo: il tapis roulant. 

Non lo avevo mai usato, ma da quello che avevo visto nei film non sembrava poi così difficile.

Il problema fu che, ancor prima d'iniziare, ero già a terra. Letteralmente a terra.

Mentre stavo per salire sul macchinario, la punta della mia scarpa aveva sbattuto contro l'attrezzo ed ero inciampata.

In quel momento ero bella spiaccicata sul rullo, la mascella che doleva per il colpo subito. 

Alcune persone accorsero ad aiutarmi come se fossi stata un'anziana signora di ottant'anni.

Mi sollevarono da terra e si assicurarono che stessi bene, ma ero troppo intontita dalla botta per capire qualcosa.

<< Sto bene, grazie >> dissi riconoscente.

Ero davvero grata a quelle gentili persone, ma speravo che si defilassero il prima possibile. Ero già tremendamente imbarazzata, tutte quelle attenzioni non facevano che peggiorare la situazione delle mie guance bordeaux.

Una signora mi sorrise. << Se ti fa male da qualche parte vai a chiedere del ghiaccio. >>

Annuii. << La ringrazio. >> 

Il capannello di gente si dissolse pian piano, lasciandomi libera di respirare.

Avrei voluto sotterrarmi, ma purtroppo non avevo una pala a portata di mano.

Inspirai a fondo e salii su quel benedetto attrezzo, per poi avviarlo al minimo della velocità. 

Una lenta camminata era quello che mi ci voleva. 

Mi guardai attorno per studiare le altre persone che utilizzavano il mio stesso macchinario.

Alcuni correvano come se avessero dovuto raggiungere un traguardo; io avrei corso in quel modo solo se mi avessero messo una torta al cioccolato davanti. 

Erano sudati fradici, parevano usciti dalla doccia. 

Uno di questi sospettavo che non sarebbe arrivato al giorno dopo. Sembrava sul punto di stramazzare, ogni passo lo compiva con un grugnito animalesco e una smorfia di dolore. 

Mi chiedevo perché non si fermasse. Se il suo traguardo era la tomba, stava procedendo a gonfie vele. Entro la giornata ci sarebbe arrivato. 

Nella mia mente lo battezzai come "il gladiatore". 

Continuai ad esaminare gli altri, finché non mi si gelò il sangue nelle vene. 

Pensai che fosse un'allucinazione, forse provocata dal brusco impatto di poco prima.

Non poteva essere vero.

Quello non poteva essere Riccardo Sodini. 

Certo che non era lui, altrimenti la mia vita sarebbe stata una brutta commedia. 

Quante probabilità esistevano che frequentassimo la stessa palestra? 

Improvvisamente ricordai il borsone che giorni prima aveva depositato per terra, in cucina.

Sgranai gli occhi di fronte a quella sconvolgente verità.

Come avevo potuto dimenticare quel prezioso dettaglio? Ero stata così sciocca da finire per la seconda volta nella tana del lupo. 

Volevo piangere. 

I miei occhi si sbarrarono di nuovo. 

E se avesse assistito al mio tonfo disumano? 

Sapevo di pormi domande frivole, era ovvio che lo avesse visto. 

Urgevo di una pala e di un pezzo di terra dove potermi sotterrare in santa pace. 

Ma quello non era il momento per abbassare la guardia. Avrei dovuto tenerlo d'occhio, registrare ogni suo più impercettibile spostamento, così da evitarlo come la peste bubbonica. 

Meno contatti c'erano fra noi e più avrei vissuto. 

Non mi era sfuggito, infatti, l'inquietante fatto che ogni qualvolta lui fosse nei paraggi mi accadeva qualche disgrazia. 

Spostai lo sguardo su Voldemort con nonchalance.

Strabuzzai gli occhi.

Dov'era finito? Non c'era più sul tapis roulant.

A quel punto dubitai seriamente della mia sanità mentale. 

Possibile che il piccolo Tom Riddle mi avesse già condotta all'esaurimento nervoso inducendomi a vedere i Sodini ovunque? 

Santo cielo, dovevo lasciare quel lavoro e farmi ricoverare.

<< Forse fra cent'anni avrai bruciato una caloria >> sentii dire alle mie spalle.

Mi voltai di scatto per imbattere gli occhi sulla schiena di Voldemort che si allontanava. 

Magari fosse stato un'allucinazione.

E invece ecco lì, quel borioso maleducato.

Gli feci una linguaccia che non poté vedere perché stava sistemando i pesi in un attrezzo.

Sperai che un peso gli scivolasse dalle mani e gli planasse su un piede. Avrei scodinzolato dalla felicità. 

Ma chiaramente le mie fantasie erano di gran lunga lontane dalla realtà, perché sistemò il tutto con gran calma, per poi impegnarsi nel suo esercizio.

Lo guardai con gli occhi a mezz'asta, infastidita dalla sua presenza. Bastava quella per farmi innervosire. 

Se poi si consideravano le volte in cui apriva il suo forno per parlare, i miei capelli cominciavano a rizzarsi sulla testa.

<< Forse fra cent'anni avrai bruciato una caloria >> gli feci il verso.

Simpatico come un grappolo di emorroidi. 

Sbuffai e mi infilai le cuffiette, per poi aumentare la velocità del rullo e dedicarmi con maggiore energia all'esercizio.

Dopotutto, potevo sempre immaginare di correre sul corpo di Sodini per farne il mio tappeto rosso.

 

 

 

 

 

 

                                                                   *  *  *

 

 

 

 

 

 

Il lunedì mattina arrivò fin troppo in fretta.

Non ero psicologicamente pronta a varcare il cancello del mio liceo. Eravamo solo ai primi di Ottobre ed ero già stanca della scuola. 

Malgrado tutto, però, non avevo scelta. 

Presi un grosso respiro e mi incamminai lungo il viale che conduceva alle porte d'ingresso all'inferno. 

Quello era il punto in cui la maggior parte degli studenti si fermava per chiacchierare, fumare e aspettare che la seconda campanella, quella che intimava ai ritardatari di darsi una mossa, suonasse. 

Mentre procedevo spedita, venni afferrata come una gallina da sgozzare.

Linda mi era piombata addosso, aggrappandosi al mio povero collo per strattonarmi verso le altre due mie amiche.

La sentii ridere al mio orecchio mentre emettevo un verso strozzato. 

<< Scusa, ma non ci hai sentite >> si giustificò dopo avermi mollata.

Era già tanto che avessi ancora la testa al suo posto. << Pensavo foste già in classe >> dissi osservandole confusa. << Di solito non vi fermate mai qua fuori. >>

Francesca mi sorrise sognante, congiungendo le mani in modo poetico. << Dovevamo contemplare la bellezza del nostro grande amore. >>

Per poco la mascella non mi si schiantò a terra.

<< Oggi è più bello del solito >> aggiunse Vanessa, i cui occhi neri scintillavano dall'emozione. << Il sole crea dei chiari e scuri sui suoi capelli che... non trovo delle parole tanto perfette per descriverlo. >> 

Scossi il capo e sospirai paziente. << Cosa devo fare con voi? I sintomi del virus Sodini peggiorano di giorno in giorno le vostre condizioni. >>

Tutt'e tre risero. 

<< Ma dai, guardalo un attimo >> mi spronò Francesca, prendendomi per le braccia. << Aspetta, non girarti. >>

<< Non ti preoccupare, non ci tengo. >> La mia risposta venne completamente ignorata.

<< Ecco, ora >> consigliò Vanessa. << Ma senza voltarti troppo, daresti nell'occhio. >>

Linda annuì concorde. << Sì, guardalo, ma non guardarlo. Non dobbiamo essere scoperte. >> 

Mi venne da ridere per il controsenso palese nelle loro indicazioni. << Come faccio a guardare senza guardare? >> 

Mi fissarono serie, come se da quella mission impossible dipendesse il loro futuro.

<< Confidiamo nelle tue capacità >> disse Francesca. << Ora >> bisbigliò perentoria. 

Ruotai il capo con nonchalance, fingendo di concentrarmi su qualcosa oltre la figura di Riccardo Sodini.

Cosa mi toccava fare.

Notai che il sole creava davvero dei giochi d'ombra in mezzo ai suoi capelli dorati, alcune ciocche parevano più bionde mentre altre viravano sul castano. 

Avrei voluto io quel colore di capelli, glielo invidiavo profondamente. 

Se ne stava appoggiato al muretto del viale scolastico, dal lato opposto al nostro. 

Le mani calate nelle tasche dei pantaloni, lo zaino, che dubitavo contenesse molti libri da quanto era piatto, mollemente appoggiato su una spalla e gli occhi ridenti rivolti ai suoi amici.

Essendo solo ai primi di Ottobre non faceva ancora freddo, perciò indossava un semplice giacchetto di pelle marrone che esaltava il colore caldo dei suoi capelli.

Ero d'accordo anch'io sul fatto che non fosse brutto, il problema consisteva nella sua capacità di parlare.

Ecco, se fosse stato muto l'avrei trovato decisamente più piacevole.

Dovevo mettermi in contatto con Ursula, la nemica della sirenetta, per togliere anche a lui la voce e magari cederla ad un cane.

Ero più che certa che persino un chihuahua avrebbe fatto discorsi più simpatici dei suoi. E io i chihuahua li consideravo particolarmente antipatici. 

Proprio mentre la mia mente sciorinava quel genere di pensieri, gli occhi cerulei di Sodini si spostarono sulla sottoscritta. 

Beccata

Intravidi un angolo della sua bocca sollevarsi impertinente.

Mi ero sbagliata, non solo non avrebbe dovuto avere il dono della parola, ma neppure quello di muovere la bocca.

In quell'imbarazzante momento mi venne solo in mente di sollevare gli occhi sopra la sua zucca vuota per posarli su una finestra.

<< Hai proprio ragione, Franci >> dissi ad alta voce, per farmi sentire. << I rami di quell'albero sono pericolanti. >> 

Non sapevo nemmeno io cosa stavo dicendo. Speravo solo che quel babbuino si bevesse la storia e non pensasse che lo stavo guardando intenzionalmente. 

<< Ma che dici? >> bisbigliò Francesca. << Tu dovevi guar... >> Le pestai un piede per mozzarle le parole in bocca. 

<< È vero, dovremmo andare a farlo presente >> aggiunsi, usando ancora un tono alto.

Acciuffai Francesca per il braccio e feci alle altre cenno di seguirmi.

Una volta lontane dalla vista di Voldemort, mi passai una mano sulla faccia.

La prima brutta figura della giornata. 

Pensare che nel pomeriggio sarei dovuta andare nella tana del lupo mi faceva venire voglia di espatriare.

<< Che ti è preso? >> mi domandò Vanessa mentre salivamo le scale. 

Le rivolsi uno sguardo seccato. << Sodini mi ha beccata a guardarlo. Ho cercato di dissimulare con la prima cosa che mi è venuta in mente. >> Osservai i gradini che si susseguivano sotto i miei piedi emettendo un sospiro. << Sopprimetemi. >>

Linda rise e mi prese a braccetto. << Ma poi come faremmo senza di te? >> 

Francesca mi scoccò un occhiolino. << E poi cerca di vedere il lato positivo >> disse gongolante.

<< E cioè? >> Esisteva un lato positivo in quella pessima figura? 

<< Ti ha guardata >> gettò fuori come se fosse una cosa ovvia.

Vanessa additò Francesca. << Giusto. Ottima osservazione, magari fosse successo a me. >> 

<< Ti cederei volentieri l'onore >> asserii con fermezza. << E anche quello di mettere piede in casa sua, questo pomeriggio, per badare a quel mostriciattolo di suo fratello. >>  

<< Ti ricordi, vero, che tu lavori per noi come spia in incognito? >> mi chiese Francesca mentre mettevamo piede in aula. 

<< Purtroppo sì >> ammisi sconsolata. 

Mi misi a sedere sul mio banco mentre loro mi si stringevano intorno. 

Linda prese una mia ciocca di capelli per giocarci distrattamente mentre ascoltavamo Francesca che aggiornava Vanessa sulle ultime novità in campo Sodini.

Improvvisamente entrambe piombarono con gli occhi su di me. 

<< Devi scoprire se ha la ragazza >> dichiarò Vanessa con un sorriso poco rassicurante. << È un dettaglio fondamentale. >> 

Il suo labbro inferiore si piegò mentre congiungeva le mani e mi fissava con i suoi occhi neri incorniciati da delle lunghe ciglia. Alcuni ciuffi più lunghi della frangetta le ricaddero sulle palpebre. << Per favore >> disse supplichevole. 

Setacciai lo sguardo da cucciolo bastonato di ognuna delle mie amiche.

Non riuscii a trattenere un sorriso, alla fine sospirai e mi strinsi nelle spalle. << E va bene, farò quel che posso. >> 

Perché non ce la facevo a dire di no? 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                   *  *  *

 

 

 

 

 

 

Fa' che non ci sia Voldemort. Fa' che non ci sia Voldemort. 

Avevo suonato il campanello di casa Sodini da cinque secondi buoni.

Nella mia mente continuavo a pregare che lui non ci fosse. Non dopo che quella mattina mi aveva sorpresa a fissarlo come una delle sue spasimanti. 

Sapevo che non avrei potuto evitarlo in eterno, ma almeno speravo in quel poco tempo che bastava a farglielo dimenticare.

<< Sì? >> 

<< No >> mi sfuggì di bocca, sconcertata. 

Perché la fortuna mi voltava continuamente le spalle? Mi schifava proprio. 

<< Eh? >> 

Mi ripresi in fretta. << Sono Nora. >> 

Il portone scattò, permettendomi di fare il mio ingresso nell'angusto atrio condominiale. 

Salii le scale con la vitalità di uno zombie. 

Non era umanamente possibile che ogni mia speranza finisse nel risucchio del water.

Cercai di concentrarmi sul fatto che avrei dovuto sopportare la presenza di Voldemort solo per cinque minuti, poi si sarebbe tolto dai piedi. 

E poi mi sarei sorbita quella del mostro più piccolo. 

Sospirai affranta. I fratelli Sodini avrebbero decretato la mia fine. 

Arrivai alla porta di casa che, per miracolo, era aperta. Una volta su tre ce l'aveva fatta, il demente.

Entrai chiedendo educatamente permesso, per poi chiudermela alle spalle. 

Voldemort spuntò dalla cucina con il cellulare in mano e gli occhi puntati su di esso.

Li alzò solo un attimo per rivolgermi un cenno che interpretai come un saluto, dopodiché ritornò a digitare qualcosa sulla tastiera.

Eccellente, meno contatti c'erano e meglio stavo.

<< Vado ad appoggiare la mia roba in salotto >> lo informai mentre percorrevo il corridoio. 

Quando varcai la soglia del salone trovai Irene distesa sul grosso tappeto rosso che occupava il centro della stanza. Stava giocando con Barbie e Ken, più precisamente stava celebrando il loro matrimonio. 

Il piccolo mafioso, invece, era seduto sul divano con un gameboy in mano da cui sentivo provenire rumore di spari.

Non mi stupiva che si stesse dilettando ad annientare ogni forma di vita presente nel gioco. E notai che ci stava mettendo una certa foga.

Non faceva che arricciare le labbra e strizzare gli occhi, per poi ridacchiare malignamente ogni volta che, supponevo, faceva fuori un nemico.

Quei bambini erano gli antipodi. Da una parte Irene celebrava l'amore, dall'altro Tom Riddle si esaltava per la guerra. 

La prima a rilevare la mia presenza fu la più piccola di casa. Irene si alzò in piedi e venne incontro per abbracciarmi di slancio.

La strinsi forte e sorrisi tra i suoi boccoli dorati. Era così tenera e fragile. 

Le avrei voluto dire di non preoccuparsi, che un giorno l'avrei salvata dalle grinfie dei suoi pestiferi fratelli.

A quel punto anche il diavoletto notò la mia esistenza, ma da lui ebbi solo una smorfia come benvenuto.

Non male come inizio. Almeno non mi ero beccata una lavata di faccia o un tentato omicidio. 

Mi liberai dall'abbraccio di Irene e mi tirai su dritta. 

Gli occhi della bimba vennero catturati da qualcuno alle mie spalle. Mi voltai per osservarla mentre trotterellava felice fino alle gambe del fratello maggiore, ancora preso dal suo telefono. 

Lei gli circondò i polpacci con le corte braccia prima di accarezzargli un ginocchio con una guancia paffuta.

Mi sciolsi nel vederla così innamorata di suo fratello. 

Avrei tanto voluto anch'io una sorellina, mi sarei divertita a giocare con lei, a farle degli scherzi innocenti o più semplicemente a condividere tutto. Sarebbe stato bello crescere con una sorella, avere una spalla per tutta la vita. 

Sodini le appoggiò una mano sulla testa per scompigliarle i capelli, poi le rivolse un sorriso. << Vai a giocare, Ire >> disse con un tono caldo.

La piccola non se lo fece ripetere due volte. Praticamente pendeva dalle labbra di suo fratello, era chiaro che avrebbe fatto qualsiasi cosa le avesse chiesto.

A quella vista, dovetti ammettere, che rivalutai leggermente Voldemort.

Almeno un cuore lo aveva, qualche buon sentimento pure. 

Magari non era così antipatico come lo avevo giudicato, magari sotto quella spessa coltre di strafottenza si nascondeva un pizzico di simpatia.

Proseguii a studiarlo mentre digitava velocemente dei messaggi.

Sì, forse il suo bell'aspetto non era del tutto sprecato, qualcosa di buono doveva pur esserci in lui.

Ero sicura che Vanessa, Francesca e Linda si sarebbe strutte quando avessi riportato loro quell'episodio.

Se aveva avuto un piccolo effetto su di me, era inevitabile che lo avesse su di loro. 

<< Hai finito di fissarmi? >> sentii pronunciare tutt'ad un tratto.

Per qualche secondo rimasi imbambolata come una stupida. 

Cosa? No, cos'avevano appena udito le mie orecchie? 

Avevo forse pensato qualcosa di buono su quell'essere? Mi rimangiavo tutto.

Pizzico di simpatia un corno. 

Issai le sopracciglia stampandomi un'espressione innocente. << Come, scusa? >> 

I suoi occhi azzurri mi stavano guardando in tralice. << Ti ho chiesto se hai finito di fissarmi. >> 

<< Non ti stavo affatto fissando >> negai scuotendo il capo, come se fossi stata accusata ingiustamente e lui fosse un pazzo visionario.  

Le sue labbra si arcuarono in un sorrisino. << Sì, come stamani >> disse in tono canzonatorio. 

Deglutii, punta nel vivo. 

All'imbarazzo che stavo provando si sommò quello per l'episodio che aveva menzionato. Era stato così gentile da riportarlo a galla. 

Sentii le mie guance surriscaldarsi, così dirottai l'attenzione sullo zaino che tenevo ancora sulla spalla. Lo aprii nervosa e feci finta di cercare qualcosa al suo interno, almeno non avrei dovuto guardarlo in faccia.

<< In realtà ero concentrata sui rami dell'albero >> dissi facendo spallucce. 

<< Ah davvero? >> 

Alzai il capo con un colpo secco per linciarlo con lo sguardo. << Sì. >> Sfoggiai un sorriso falso. << Se ti ho guardato, per un millesimo di secondo, è stato solo perché ti trovavi esattamente sotto il ramo pericolante. >> 

<< Quanta premura >> disse sollevando un sopracciglio. 

Era deciso, lo avrei ucciso. Quella notte stessa sarei andata a segare un pezzo di quel ramo per tendergli un'imboscata. 

Il mio sorriso falso si stirò. << Prego, non c'è di che. >> 

Evitai di aggiungere che se gli fosse veramente caduto in testa lo avrei raccolto e tenuto come cimelio di grande valore. 

Quel ramo sarebbe diventato il mio eroe. 

Adagiai lo zaino contro il mobile su cui poggiava la televisione insieme ad uno sbuffo mal contenuto. 

Avevo persino perso tempo a sfornare pensieri buoni su di lui. Il giorno dopo avrei raccontato solo peste e corna alle mie amiche. 

Avevo un diavolo per capello. Quel mollusco con cervello di rana mi aveva davvero chiesto di smettere di fissarlo

Poverino, si sarebbe potuto sciupare. Cosa credeva d'essere, un'opera d'arte?

Ero una iena. 

<< Senti, devi portarli al parco qua vicino >> disse cambiando tono, più disinteressato. 

<< Bene >> risposi seccata. 

Quel parco lo conoscevo piuttosto bene dato che, purtroppo, era vicino anche a casa mia. 

Si sviluppava in un'area per bambini con scivoli e altalene, una zona con attrezzi ginnici impiantati nel terreno e un campetto da calcio. 

<< Vi accompagno in macchina >> aggiunse indolente. 

Mi voltai a guardarlo fulminea. 

No, non ce l'avrei fatta a sopportarlo ancora. Per quel giorno avevo fatto il pieno della sua antipatia e arroganza.

<< Non importa, possiamo andare a piedi >> proposi di slancio. 

L'occhiata che mi rivolse rese palesemente idea di quanto dubitasse della mia intelligenza. << Non ti sto facendo un favore, devo essere al campetto tra dieci minuti. >>

Ebbi un tic alla palpebra. 

Ma certo che non faceva favori, chi glieli chiedeva poi.

Avrei preferito salire in macchina con una scimmia piuttosto che con lui.

Ero sul punto di rifilargli una risposta al vetriolo, quando girò i tacchi e si defilò dalla mia vista. 

Forse fu meglio così, o avrei attaccato rissa. Anche se non mi sarebbe dispiaciuto rendere la sua capigliatura simile a quella di Ambrogina. 

Inspirai profondamente e gettai fuori l'aria in un secco sbuffo. 

Calma e sangue freddo. 

Guardai i bambini e battei le mani con un sorriso che, speravo, desse una parvenza di falsa gioia. << Su, andiamo a metterci le scarpe. Si va a giocare al giardino. >> 

Stranamente Tom Riddle non mi fece tribolare e ubbidì, seppur con uno sguardo poco amichevole. 

Aiutai la piccola Irene ad allacciare gli strappi delle sue scarpette rosa e le lisciai i pantaloni che avevano raccattato un po' di polvere dal tappeto. 

Le infilai la giacchetta di jeans e sorrisi nel constatare quanto fosse tenera la sua espressione mentre rimirava le sue barbie sparse per terra.  

<< Quando torniamo le mettiamo in ordine >> le dissi dolcemente. 

<< Hai fatto? >> Quella voce che presentava una fastidiosa nota d'impellenza, mi fece sollevare la testa.

Ero piegata sui talloni per essere all'altezza di Irene, perciò ebbi una visione completa di Voldemort.

Aveva indossato un paio di pantaloni neri lunghi fino alle ginocchia, come quelli dei calciatori, e una maglietta a mezze maniche blu. Le scarpe erano bianche e piuttosto consunte, probabilmente le usava solo per giocare a pallone con gli amici. 

Con la mano appoggiata alla spalla reggeva un borsone nero che ricordai con orrore essere quello della nostra palestra. 

<< Io sono pronto da cinque minuti >> intervenne quel mollusco di suo fratello minore, congiungendo le braccia sul petto. 

Cercai di mostrarmi paziente. << Tu sei più grande, Irene è piccola. Ha bisogno di aiuto. >> 

Mi scoccò un'occhiata truce mentre gli sorridevo amabile. 

Presi la bambina per mano e la condussi fuori dal portone mentre gli altri due ci seguivano.

Scendemmo le scale e camminammo per qualche metro prima che Sodini si fermasse davanti ad una Polo grigio scuro metallizzata. 

A parte qualche leggero graffio, notai che era tenuta bene. La carrozzeria era lucida e pulita, il che mi fece sospettare che tenesse molto al suo gioiellino. 

Mentre infilava il borsone nel bagagliaio, aprii lo sportello posteriore per far salire i bambini.

Tom Riddle partì subito all'attacco. Tirò una spinta a sua sorella, che aveva osato trovarsi davanti a lui, per poter essere il primo ad entrare.

Irene rimbalzò all'indietro e ci mancò poco che non cadesse per terra.

<< Tommaso, no >> lo ripresi perentoria. << Non si tirano le spinte, adesso fai salire prima tua sorella. >> 

Se gli sguardi avessero potuto uccidere, sarei morta proprio in quell'istante.

I suoi occhietti blu mi infilzarono sul posto. Ed ero certa che avrebbe voluto farlo anche fisicamente.  

Gli sorrisi pacifica, ignorando la luce minacciosa presente nelle sue iridi. << Su, da bravo >> aggiunsi beffarda.

Presi la piccola per mano e la condussi dentro la vettura per prima. 

Tom Riddle entrò subito dopo, sistemandosi con le braccia sul petto in segno di stizza. 

Avevo la pressante sensazione che stesse evocando qualche fulmine sulla mia testa, oppure un falò. Non aveva smesso di guardarmi male neanche per un secondo. 

Lo ignorai ancora. 

Mi allungai su di loro con l'intenzione di allacciargli le cinture. 

<< Irene, mi passi la tua? >> chiesi alla bimba. 

Speravo si sbrigasse perché ero praticamente piegata sopra il nano da giardino e temevo che da un momento all'altro me ne combinasse una. 

Sistemai la sua, per poi ritrarmi appena e dedicarmi a quella del mostriciattolo.

<< Guarda >> mi disse, in tono tranquillo.

E fu proprio quello a fregarmi. 

Alzai il capo ingenuamente per beccarmi due simpatiche dita negli occhi.

Mi tirai su dritta di scatto, picchiando la testa contro il tettuccio dell'auto ed emisi un lamento di dolore.

<< Tommaso >> quasi urlai, mentre lo sentivo ridacchiare soddisfatto. 

Sentivo, appunto, perché ero diventata cieca.

Lacrimavo come una fontana, percependo il trucco colare insieme a tutto il resto.

<< Oh, hai fatto? >> mi chiese Sodini senior, seccato.

Ma certo, perché sgridare la sua malvagia miniatura? Dopotutto aveva solo reso cieca la babysitter. 

Chiusi lo sportello posteriore e andai a tastoni per trovare la maniglia del mio.

Montai in macchina e ricercai un fazzoletto nello zaino. Non solo stavo espellendo tutta l'acqua presente nel mio corpo dagli occhi, ma aveva cominciato a gocciolarmi pure il naso. 

Non volevo sapere cosa stesse vedendo in me Sodini.

Dopo poco che eravamo partiti, malgrado l'intenso bruciore, riuscii a sollevare una palpebra. 

Abbassai il parasole ed aprii lo specchietto per guardarmi.

Santo cielo. Un mostro. 

Trascurando il fatto che sembrava avessi fumato qualcosa di strano tant'erano rossi i miei occhi, avevo le palpebre completamente sporche di trucco. 

Acciuffai un altro fazzoletto e me lo passai attorno agli occhi per rimuovere tutte le sbavature, cercando di fare un lavoro più pulito possibile. 

Insomma, mi sarei dovuta presentare in pubblico, ad un giardino frequentato da bambini. Volevo evitare di far scappare intere famiglie e comparire su un giornale con la qualifica di animale fino a quel momento ritenuto estinto. 

Il risultato che ottenni non fu esattamente quello sperato, ma almeno sarei potuta scendere di macchina. 

Ad ogni modo, quel pestifero puffo me l'avrebbe pagata cara. La mia mente tramava e bramava vendetta. 

Sodini s'infilò in un parcheggio e spense il motore, ridestandomi dai miei pensieri.

Notai che il parco si stagliava proprio di fronte a noi, con i suoi alberi, i giochi e i tanti bambini urlanti che schizzavano da una parte all'altra come trottole. 

In una sola parola: un suicidio. 

Smontammo di macchina rapidamente, per poi addentrarci nel giardino. Sodini camminava davanti a noi col borsone mollemente appoggiato sulla spalla e le chiavi dell'auto in mano. 

Intravidi, vicino all'ingresso del campetto da calcio, un gruppo di ragazzi tra cui riconobbi alcuni compagni di classe di Voldemort. Altri non li avevo mai visti, mi erano del tutto sconosciuti.

A quel punto Sodini si voltò per piantarmi gli occhi addosso. << Ci troviamo all'ingresso del giardino alle sette >> sentenziò facendo ruotare le chiavi attorno all'indice con un colpo secco.

Non ebbi neanche il tempo di annuire che girò i tacchi. 

Il mio sopracciglio ballò per un improvviso tic nervoso. 

Che razza di maleducato. La mia risposta, poverino, gli avrebbe fatto perdere attimi preziosi per rincorrere un pallone. 

Stupido.

Afferrai la mano di Irene e procedetti, tenendo d'occhio la peste del fratello, verso la spaventosa orda di bambini.

Quello era l'inferno, il girone per le babysitter. 

Mi piacevano i bambini, e molto anche, ma quello era un incubo. Piccoli esseri caricati a pallettoni che saettavano come schegge impazzite: chi cadeva e piangeva sguaiatamente, chi si scontrava con altri bimbi, chi urlava in preda all'euforia, chi giocava a nascondino e scappava a destra e a manca. 

Mi spaventava l'idea di sguinzagliare le mie belve. 

E se si fossero fatti male? Anche se era più probabile che sarebbe stato Tommaso a fare male a qualcuno. E se li avessi persi? 

Prima che sprofondassi nell'angoscia, il mio personale cavatore di occhi partì alla carica con un urlo di guerra. 

Mi slanciai in avanti per acchiapparlo, ma fu più rapido. E, come se non bastasse, anche Irene si slacciò dalla mia presa e si diede all'inseguimento del fratello. 

<< State attenti >> urlai loro dietro, non perdendoli di vista.

Mi sfregai le dita sulla bocca nervosamente.

Quelle sarebbero state le due ore più lunghe della mia vita. 

Pensai alle mie amiche che se ne stavano belle comode a casa, magari a studiare per il giorno dopo, cosa che invece avrei dovuto fare dopo cena. 

All'improvviso ebbi un'illuminazione. 

Estrassi il cellulare dai jeans e aprii il nostro gruppo su WhatsApp.

Prima di digitare il messaggio mi accertai che i bambini fossero ancora tutti interi.

Il puffo diabolico era salito sullo scivolo e si stava sedendo, Irene gli era subito dietro. 

Sono al giardino vicino a casa mia, Sodini sta giocando al campetto da calcio. Chi mi vuole raggiungere? 

Spedii il messaggio e riposi il telefono nella tasca posteriore. 

 

 

 




 

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Capitolo 5
*** Coronare Un Incubo ***


Coronare Un Incubo














Che coooooosa?? Arrivo subito, il tempo di mettermi qualcosa di carino! 

Lessi il messaggio di Linda con un sorriso. 

Vengo anch'io! Cinque minuti e sono lì!, aggiunse Vanessa.

Ragazze, questo è destino, scrisse per ultima Francesca. Non mi farò scappare quest'opportunità, aspettaci Noraaaaaaa!

Alzai gli occhi al cielo divertita. Quelle tre erano dei casi persi, e me lo confermarono nel momento in cui le vidi apparire dopo dieci minuti esatti.

Erano state puntuali come mai in vita loro. 

Linda indossava un paio di jeans sbiaditi ed una camicetta bianca. Notai che si era data una ripassata al trucco con qualche aggiunta di mascara per incorniciare i suoi grandi occhi castani. 

Francesca aveva uno svolazzante vestito marrone fino al ginocchio, i capelli castani raccolti in un'alta coda di cavallo da cui non sfuggiva nemmeno un ciuffo e un giacchetto di pelle nero sulle spalle. 

Ed infine Vanessa aveva optato per degli aderenti pantaloni neri a vita alta che si sposavano perfettamente col colore dei suoi capelli, e una maglietta a mezze maniche bianca con il logo della marca. 

Sorrisi mentre si avvicinavano. << Ci siamo messe in tiro, eh? >> le presi in giro scherzosa. 

Francesca mi fece l'occhiolino. << È un'occasione troppo golosa per non approfittarne. >> 

<< Che hai fatto agli occhi, Nora? >> mi chiese Vanessa, facendosi più vicina. 

Mi uscì un sospiro. << La peste ha cercato di accecarmi, perciò mi è colato tutto il trucco. Ho cercato di migliorare la situazione con scarsi risultati. >> 

<< Secondo me, sotto sotto, quel bambino ti adora >> intervenne Linda con un sorriso che nascondeva una risata. 

<< Certo, talmente tanto da volermi uccidere >> asserii secca. 

Francesca batté le mani con un piccolo balzello. << Perché non ce li presenti? Sono curiosa di vedere questo minaccioso bimbo. >> 

<< D'accordo, ma tappatevi gli occhi quando si sarà avvicinato. Non vorrei che cercasse di cavare pure i vostri. Insomma, tenetevi a debita distanza. >> Le guardai una ad una, seria. << È pericoloso. >> 

Scoppiarono a ridere, trascinando anche me nella risata. 

<< Ma dico davvero >> mi difesi tirando loro dei deboli schiaffetti sulle braccia. 

Allungai lo sguardo verso i giochi per rintracciarli, finché non li individuai sopra lo scivolo.

Il sorriso mi si spense di colpo. 

<< No, no e no >> vociai marciando spedita.

Ma perché proprio a me doveva toccare il bambino rissoso? 

Il puffo stava litigando con un altro nano, probabilmente su chi dovesse scivolare per primo. 

Questioni della massima importanza. 

Quando vidi la mia belva dare la prima spinta all'altro, cominciai a correre come una pazza. 

<< Tommaso, basta >> urlai da sotto il gioco. << Scendi subito. >> 

Non venni considerata. 

In compenso, mi partì un embolo quando l'altro bambino rispose con una forte spinta facendo cadere Tom Riddle sul legno consunto della casetta. 

Irene, accanto a suo fratello, mancò che non facesse la stessa fine. 

<< Bambini, no >> ripetei infervorata. 

Optai per la strada più breve.

Salii sullo scivolo e mi misi a scalarlo al contrario, slittando in continuazione sul liscio metallo. 

<< Sto arrivando >> dissi a fatica, mentre per poco non mi ci schiantavo.

Afferrai l'asse di legno da cui ci si dava la spinta per la discesa e gettai un'occhiata alle due pesti.

Strabuzzai gli occhi.

<< Fermatevi subito >> gridai alla vista di quei due che si stavano prendendo a manate. 

Perché? Perché a me

Allungai un braccio per acciuffare il mio nano con uno slancio mal studiato. Il piede mi sdrucciolò e in meno di un secondo mi ritrovai spiaccicata sullo scivolo.

La mia cassa toracica accusò il colpo mozzandomi il respiro. 

Nella mente continuavo a farmi la stessa domanda. Perché? 

Cosa dovevo espiare? 

Mi ponevo quei quesiti esistenziali mentre ero lì, distesa e priva di dignità, su un gioco per bambini. 

Una fine davvero ingloriosa. 

<< Nora, tutto bene? >> mi chiesero in coro le mie amiche, sopraggiunte sulla scena della mia disfatta. 

Per lo meno la mia mano era ancora ancorata all'asse di legno. Feci leva su quella per tirarmi su e appigliarmici con tutte le mie forze. 

<< Tutto... a posto >> risposi come se stessi scalando una montagna. 

Con notevole sforzo, vista la botta subita, riuscii a raggiungere i due mostri che continuavano a discutere per quel dannato scivolo. 

Li separai frapponendo le braccia fra loro. << Finitela. Basta, ho detto. >> 

I due pugili in erba si guardarono in cagnesco. 

<< Questo gioco è mio, qui comando io >> rivendicò Tom Riddle, battendosi una mano sul petto. 

Alzai gli occhi al cielo. Mi ero quasi uccisa per quella sciocca lotta di potere? 

<< È mio, ci gioco sempre io. Devi andartene. Sono io a decidere chi può salire >> spiegò l'altro rissoso. Subito dopo mi rivolse un'occhiata dal basso verso l'alto. << Neanche tu puoi salire. >> 

Ma che simpatica pustola. 

Tommaso cercò di scagliarsi di nuovo su di lui, ma feci pressione per tenerli ancora divisi. 

<< Basta, adesso scendiamo tutti di qua >> affermai perentoria. Cercai di afferrare la mano di Tom Riddle, ma lui la strattonò via e mi rivolse uno sguardo fiammeggiante.

<< Non vado via. Non è suo >> s'impuntò arrabbiato.

Notai che la sua maglietta era stropicciata e sporca di terriccio. Un ciuffo di capelli gli stava dritto sulla fronte e una guancia era più rossa dell'altra, con molte probabilità a causa delle manate che si erano dati. 

Vederlo in quel modo mi smosse qualcosa dentro. 

Espirai pesantemente dal naso e dirottai l'attenzione sull'altro mollusco. << Senti, perché non facciamo un bel gioco? Questo su cui ci troviamo adesso è un veliero dei pirati >> inventai guardando entrambi. << Il mare è in tempesta, ma da lontano abbiamo scorto un veliero nemico che sta puntando proprio verso di noi. Abbiamo bisogno di due forti capitani per vincere questa battaglia >> dichiarai battendo un pugno sulla mano. << Ve la sentite di essere voi? >> 

<< Voglio farlo solo io il capitano >> rispose Tommaso.

Forse non c'eravamo capiti. 

Scossi il capo, paziente. << La leggenda narra che solo l'unione delle forze dei capitani... >> Mi soffermai ad esaminarli per cercare dei nomi appropriati. Osservai prima Tommaso, poi l'altro. << Del capitano Ciuffo Ribelle e del capitano Mano Pesante porterà alla vittoria. Allora, volete proteggere questo veliero a costo della vita? >> li spronai alzando il tono.

Entrambi gridarono affermativamente, fracassandomi i timpani. 

<< Bene, allora fate del vostro meglio. Vi lascio al comando >> mi congedai con un saluto militare e tesi la mano verso Irene per farla scendere assieme a me. 

Quando tornai tra le mie amiche tirai un sospiro di sollievo.

Sapevo che sarebbe stato un inferno quel pomeriggio. 

<< Te la sei cavata alla grande >> si congratulò Linda, sfregandomi il braccio. 

<< Solo con qualche costola fratturata >> scherzai facendo spallucce. << Comunque lei è Irene, la piccola di casa >> la presentai sorridendo alla bambina che si era nascosta tra le mie gambe per timidezza. 

Le mie amiche si abbassarono sui talloni per fare le presentazioni e giocare con lei. 

Irene alzò la testa piena di boccoli e mi fece un caloroso sorriso sdentato. 

<< Vuoi andare a giocare con gli altri bambini? >> le chiesi con una carezza.

Annuì ridacchiando e scappò via verso l'altalena, dove si trovavano delle bimbe più o meno della sua età.  

<< È così tenera >> commentò Vanessa. 

<< Stupenda >> aggiunse Francesca. 

<< Sì >> confermai mentre la guardavo seguire le altre bambine con dei saltelli. << Ma voi siete venute qui per Sodini >> ricordai loro, schioccando le dita. 

<< Giusto >> disse Francesca. Si passò un dito sul mento con fare meditativo. << Pensavo che potremmo fare una passeggiata proprio davanti alla rete del campetto e poi tornare qua per ammirarlo dalla panchina. Che ne dite? >> Mosse velocemente le sopracciglia, facendomi ridere. 

Le ragazze annuirono con decisione. 

<< Andate pure, io terrò occupata la panchina >> dissi cacciandole con un gesto della mano. 

Tutt'e tre si sistemarono i capelli e i vestiti prima di incamminarsi verso la loro meta umana. 

Andai ad accomodarmi sulla panchina da cui potevo tenere d'occhio i bambini e simultaneamente le mie amiche che percorrevano un lato del campetto. 

Scorsi Sodini che correva dietro ad un altro giocatore, gli sfilava la palla con un abile movimento di gambe e ripartiva verso la rete. 

Lo avevo visto giocare raramente e solo per qualche secondo. 

Anche se per quell'anno le nostre classi avevano educazione fisica alla stessa ora, non mi ero mai soffermata a guardarlo. 

Conoscevo solo la sua fama di asso negli sport. 

Non m'intendevo molto di calcio, ma da quel poco che stavo vedendo mi sembrava piuttosto bravo. Si muoveva in maniera fluida, rapida e pulita. 

Vanessa, Francesca e Linda stavano camminando con passo cadenzato, lanciandogli furtivamente degli sguardi. 

Non potei trattenere un sorriso. 

Proprio in quel momento Sodini tirò la palla in rete, per poi spalancare le braccia a mo' di fenomeno.

Alzai gli occhi al cielo con riluttanza. Neanche avesse compiuto un'impresa eroica come la mia nel salvare due bambini intenti a scannarsi. 

Mentre tornava a centro campo, dopo le scimmiesche esultanze con quelli della sua squadra, si passò una mano fra i capelli e sollevò lo sguardo sulle mie amiche che, scioccamente, lo stavano ammirando ferme sul posto.

Linda, fortunatamente, fu la prima a ridestarsi. Rifilò una piccola gomitata a Francesca, che la diede a Vanessa, e tutt'e tre ripresero a camminare come se niente fosse. 

A Sodini, che aveva riabbassato il capo, spuntò un sorrisetto. Subito dopo dirottò le sue iridi azzurre su di me, l'espressione irrisoria.

Aggrottai la fronte, non comprendendo quale fosse il percorso compiuto dal suo unico neurone. 

Prima che si voltasse, mi accorsi che si era portato un pugno davanti alla bocca per mascherare una risata.

Ero alquanto confusa. 

Cos'aveva da guardare? E da sghignazzare, poi? 

Decisi di trascurare quei dettagli e d'imputare quello strano comportamento alla sua limitata capacità cognitiva. 

Dopotutto ognuno aveva i suoi problemi, e lui doveva convivere col fatto di essere uno stupido. Non doveva essere facile, poverino. 

Controllai che i bambini avessero ancora tutti gli arti al loro posto. 

Fui felice di constatare che Tommaso stava giocando ai pirati col suo compagno di botte e che Irene si stava facendo spingere sull'altalena.  

Tutto filava liscio. 

<< È una divinità >> annunciò Francesca congiungendo le mani, a pochi passi da me. 

Sprofondò sulla panchina e liberò un sospiro sognante. << Ci ha viste, adesso credo di poter morire felice >> aggiunse. 

Risi e le diedi una spinta scherzosa. << Quale onore. >> 

<< Puoi dirlo forte >> sentenziò, lo sguardo perso nel nulla. 

Era decisamente andata. 

<< E ci pensate che domani avremo ginnastica insieme? >> chiese Vanessa. 

<< Potremo ammirarlo ancora >> rispose Linda, sbattendo velocemente le ciglia. 

Studiai il volto di ciascuna. 

Pareva avessero davvero visto una divinità, e non un babbuino che rincorreva una palla. 

La loro cotta per Voldemort stava raggiungendo livelli preoccupanti. 

<< Bene, ragazze >> dissi battendo le mani sulle gambe. << Perché non mi ripetete quello che avete studiato per domani? Così mi aiutate a finire prima stasera. Vi prego. >> Tirai fuori il labbro e le guardai supplichevole. 

Un'ora dopo avevo la testa piena di nozioni di storia, letteratura italiana e filosofia. 

Sentivo le tempie pulsare convulsamente per lo sforzo d'incamerare quanto più possibile e non lasciarsi sfuggire nulla. 

Sul fronte della letteratura italiana e della storia mi sentivo abbastanza sicura, ma filosofia avrei dovuto ripassarla. 

Ci avevo capito poco e niente su Hegel e la sua Fenomenologia dello Spirito. 

Quello per me era arabo, assieme alla matematica. 

Dopo aver salutato le mie amiche, mi avvicinai ai giochi per richiamare i bambini.

Il sole stava lentamente discendendo verso l'orizzonte, i colori erano più caldi e l'aria si era raffrescata per via del leggero vento sollevatosi. 

Irene mi corse subito incontro, i riccioli che le rimbalzavano sulla testa ad ogni balzello. 

Il ribelle, invece, continuò a fare tranquillamente i suoi comodi. Era troppo occupato ad inseguire un bambino con un rametto per degnarmi. 

<< Tommaso, noi ce ne andiamo >> lo minacciai nel momento in cui mi sfrecciò davanti. 

Il nano si bloccò di colpo e mi rivolse un'occhiata guardinga. 

Intuendo che non stavo scherzando, gettò il tronchetto con riluttanza e si decise ad ubbidirmi. 

La mia supremazia era stata finalmente ristabilita. 

Quando mi fu davanti, mi piegai sui talloni e lo osservai. 

I capelli castani, più scuri di quelli di suo fratello, gli schizzavano in tutte le direzioni. I grandi occhi blu erano severi mentre studiavano gli altri bambini, le guance rosse e la bocca contratta.

Sollevai una mano e, con un gesto lento, l'appoggiai sulla sua testa per sistemargli la capigliatura. 

Non mi sfuggì la sorpresa che gli illuminò le iridi mentre le spostava su di me, per poi tornare ad accigliarsi. 

<< Non mi toccare, befana >> disse, simpatico come sempre. 

Lo ignorai e passai a ripulirgli i vestiti con dei deboli colpetti. Aveva persino delle foglie attaccate addosso, sembrava si fosse rotolato per terra da quant'era sporco. 

<< Ora va meglio >> dichiarai esaminandolo. << Possiamo andare. >>

Mi issasi in piedi e tutti e tre procedemmo verso l'uscita del giardino. 

Lanciai un'occhiata in direzione del campetto da calcio per controllare che anche Sodini si stesse dando una mossa, così da non farci aspettare un'eternità. 

Con somma soddisfazione, constatai che era uscito dal campo insieme agli amici e che... 

Un attimo

Cos'era quel branco di ragazzi che stava venendo proprio nella mia direzione? 

Santo cielo, no. Già dovevo sorbirmi Voldemort, pure i suoi amici no. Era troppo. 

Oltretutto non si trattava di uno o due baldi giovanotti, ma di almeno una dozzina. 

Speravo che tirassero dritto e che neanche uno di loro osasse soffermarsi a guardarmi. 

Avevo ancora gli aloni di trucco attorno agli occhi e sicuramente i miei capelli avevano visto tempi migliori. Tempi in cui non sembravano vittima di una scarica elettrica ad alto voltaggio. 

Sfrecciai fuori dal giardino trascinandomi dietro Irene, Tom Riddle camminava da solo. 

Mi fermai, controllai che il nanetto mi fosse vicino ed attesi che il maggiore ci raggiungesse. 

Quando scorsi il folto gruppo di ragazzi, la mia condizione emotiva era disperata. 

Volevo diventare un tutt'uno con l'asfalto. 

Perché la fortuna non ne voleva sapere di aiutarmi? Non pretendevo che tutto mi filasse liscio, ma almeno qualcosa. 

Insomma, la sfortuna si era davvero accanita con me. E quella ne era l'evidente dimostrazione. 

Mi concentrai su una macchia sulla punta della mia scarpa, facendo finta di non averli sentiti arrivare. 

Dentro di me pregavo che si levassero dai piedi il prima possibile. 

Dopo qualche scontro di mani e conseguente saluto, vidi, con la coda dell'occhio, che alcuni si stavano defilando. 

A quel punto issai il capo per cercare Sodini, nella speranza che fosse pronto per andarcene. 

Incontrai subito i suoi occhi azzurri che mi stavano puntando con un sorrisetto. 

Se non altro era rimasto solo lui, undici preoccupazioni in meno. 

<< Hai chiamato le tue amiche per farmi spiare? >> buttò fuori di colpo.

Per qualche secondo ebbi uno scompenso cardiaco.

Cos'aveva detto? 

Non potevo credere di essere stata beccata per la terza volta in quella giornata. Non potevo essere tanto scarsa. 

Ecco spiegato perché, dopo aver visto Linda, Vanessa e Francesca mi aveva lanciato quell'occhiata beffarda. 

Il sorcio aveva capito. 

Incrociai le braccia sul petto e mi stampai un'espressione altezzosa. << Certo che no, le ho chiamate per farmi aiutare coi compiti per domani. >> 

Lui sollevò un sopracciglio. << Senza libri. >> 

<< Memorizzo di più ascoltando >> mi difesi. 

Gli spuntò un sorriso che la diceva lunga su quello che stava pensando. 

Non credeva ad una sola parola di quello che avevo detto. Ce l'aveva chiaramente scritto in faccia. 

Ruotò le suole delle scarpe e s'incamminò verso la macchina. 

<< Se per te va bene, potrei tornare a casa da qua. Abito vicino >> proposi di slancio. 

Non avevo la minima intenzione di farmi pure il viaggio di ritorno con lui. Non dopo che mi aveva smascherata senza pietà. 

Era una situazione troppo imbarazzante, e per quel giorno ne avevo fatto il pieno. 

Mi guardò con sufficienza, come se fossi stata un lombrico che strisciava per terra. << Fai come vuoi >> disse solo. 

Quant'era simpatico, uno spasso. 

<< Bene, allora vi saluto. Ci vediamo domani. >> Scompigliai i capelli dei bambini, beccandomi un'occhiata omicida dal nano, e m'incamminai verso casa. 

Non vedevo l'ora di lanciarmi sul letto e di abbandonarmi ai sogni. Speravo che almeno quelli sarebbero stati meno imbarazzanti e tragici di quella giornata. 

Respirai a pieni polmoni la brezza del tramonto e distesi le spalle, irrigidite per la tensione. 

Sì, volevo essere positiva. 

Osservai le sfumature rosse e arancioni che screziavano il cielo con un sorriso. 

Com'era il detto? Rosso di sera, bel tempo si spera? 

Be', per me sarebbe stato: rosso di sera, bel giorno si spera. 

E ci speravo ardentemente. 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                   *  *  *

 

 

 

 

 

 

 

Una volta avevo letto una frase che, lì per lì, mi era apparsa troppo drammatica. 

Suvvia, chi poteva definire la propria vita un cimitero di speranze sepolte? Era esagerato.

Avevo cambiato idea. 

Io potevo urlarlo a gran voce. Quella frase era diventata la precisa descrizione della mia vita. 

Dopotutto avevo appena finito di seppellire la speranza del giorno prima sotto cumuli e cumuli di delusione.  

Perché non poteva filare tutto liscio, no. Non a me, almeno. 

Non dopo che la mia professoressa di ginnastica e il professore della classe di Sodini avevano deciso di farci svolgere lo stesso orrido esercizio. 

Consisteva in un percorso ad ostacoli, con delle piccole prove intermedie da risolvere nel minor tempo e con meno sbagli possibili per guadagnarsi il primo posto.

Il trofeo era una torta al cioccolato preparata, apposta per la speciale occasione, dalla nostra professoressa. 

Se si considerava il fatto che stavamo tutti morendo di fame, essendo l'ora prima della ricreazione, il premio era più che ambito. 

Osservai con riluttanza ciò che le diaboliche menti dei nostri insegnanti avevano ordito.

Il percorso iniziava con una capriola sopra un materassino, proseguiva con dieci salti alla corda per poi camminare in equilibrio su una stretta panca, correre contro la spalliera, appendersi e sollevare le gambe per far lavorare gli addominali. Successivamente era richiesto lo slalom tra una serie di sette birilli, si doveva afferrare la palla a terra e compiere dei palleggi contro il muro; da ultimo bisognava correre contro la rete da pallavolo per saltare su un lato, al centro ed infine sull'ultima estremità. 

Era un incubo. Pareva un allenamento per reclute, non per semplici alunni. 

A quello si sommava il fatto che ogni povera vittima in fila per l'esercizio doveva fare i conti con un numeroso pubblico, per lo più maschile. 

<< Ragazzi, andatevi a cambiare in fretta. Così cominciamo! >> affermò entusiasta la professoressa Trotti, battendo le mani. 

Avrei voluto vedere lei al nostro posto.

Mi sarei messa in fondo alla fila, era deciso. Magari non ce l'avremmo fatta a farlo tutti e mi sarei salvata in corner. 

Insomma, eravamo ben due classi per un totale di almeno quaranta persone. 

Considerando che le ragazze avrebbero svolto l'esercizio più lentamente dei maschi, avevo buone probabilità di passarla liscia. 

<< Non mi piace questo gioco, non potevamo fare un torneo di pallavolo? >> si lamentò Linda, mentre appoggiava il suo sacchetto in tessuto con i vestiti sportivi. 

<< Ti capisco >> ammisi sconsolata. << Per questo me ne andrò in fondo alla fila. >> 

Indossai dei leggins neri, una maglietta lunga fino al sedere verde militare ed una felpa del medesimo colore. 

Perfetta per l'occasione, pensai. 

<< Dai ragazze, dobbiamo far vedere di che pasta siamo fatte >> cercò d'incoraggiarci Francesca. 

Si allacciò le scarpe rosa shocking e saltò in piedi, ancorando le mani sui fianchi. << Siamo delle guerriere, anzi, delle principesse guerriere. >>

Sorrisi mentre mi si avvicinava con sguardo minaccioso. 

<< Vero, Nora? >> 

Annuii divertita. 

Francesca possedeva un'esuberanza travolgente. Quando qualcuna di noi si sentiva giù di corda, lei sapeva sempre come risollevarla. Con i suoi metodi, certo, ma ci metteva tutta sé stessa, e quella era la cosa che più apprezzavo. 

Non sopportava che una di noi si desse per vinta, ma si prendeva tutto il tempo per motivarci e strapparci un sorriso.

Mi passò un braccio attorno al collo e guardò Vanessa e Linda. << E voi? Siete convinte quanto me e Nora di essere delle meravigliose principesse guerriere, vero? >> 

Vanessa fece un saluto militare. << Convinta. >> 

Linda sbuffò con un sorriso. 

Francesca si staccò da me e si buttò su di lei, ancora seduta, per pungolarla con un dito. << Non ti ho sentita, devi dirlo più forte. >> 

Risi mentre sistemavo i capelli in un'alta coda di cavallo. 

<< E va bene, sono una principessa guerriera >> accordò Linda tra le risate. << Ma ti prego, smettila di farmi il solletico. >> 

Le altre ragazze presenti nello spogliatoio, alcune di classe nostra e altre di quella di Voldemort, ci guardavano con un sorriso.

Francesca era riuscita a far divertite tutte quante.

Uscimmo dallo spogliatoio e facemmo il nostro ingresso in palestra, dove supponevo fossero già presenti tutti i ragazzi. 

Individuai Sodini che se ne stava seduto su una cattedra circondato dagli amici, dopodiché dirottai l'attenzione sui professori che stavano richiamando tutti all'ordine. 

<< Disponetevi in fila, così cominciamo >> esordì Ciuffini, l'insegnante dell'altra sezione. 

Notai che, malgrado il comando, Sodini non si era mosso di un millimetro. 

Zitta zitta, sgattaiolai verso gli ultimi posti della coda. Lì sarei stata protetta e al sicuro e chiunque si fosse infilato dopo di me lo avrei fatto passare avanti. 

Ero molto generosa. 

<< Prima le ragazze >> urlò un babbuino del gruppo di amici di Voldemort.

Mi voltai di scatto per fulminarlo. Chi era quel topo di fogna che osava mandare all'aria il mio piano ben congegnato? 

Non mi sfuggì il sorrisetto che si era pennellato sulla faccia di Sodini mentre altri due stupidi ripetevano quella proposta a mo' di coro da stadio. 

I suoi occhi approdarono nei miei per osservarmi con un che di sfida, il sorriso beffardo.

Razza di stupido. 

Voleva mettermi alla prova? Ottimo, avrei dato sfoggio delle portentose qualità di una principessa guerriera. 

Lui, il re dei vermi, non avrebbe potuto nulla contro di me. 

<< D'accordo, d'accordo, prima le ragazze. Forza, venite tutte qui davanti. Nora, anche te >> mi richiamò la Trotti, notando che mi ero imbucata in fondo. 

Girai così veloce la testa da frustarmi la faccia con i capelli, ma feci finta di niente e raggiunsi le altre.

Non avrei dato a quel mentecatto di Sodini la soddisfazione di vedermi in difficoltà. 

<< Chi vuole aprire i giochi faccia un passo avanti >> disse la professoressa, i grandi occhi castani che sprizzavano felicità. 

Tutte fecero un passo indietro. 

Mi voltai a guardarle sconcertata. Non ci volevo credere. 

Un tradimento di massa. 

<< Nora >> esclamò la professoressa, entusiasta. << Tu sarai la prima, vai in posizione. Ti dico io quando partire. >>

Guardai quanto distava l'uscita della palestra. E se fossi scappata? 

No, non potevo darla vinta a Voldemort. 

E se avessi finto uno svenimento? Troppo imbarazzante. 

Con somma disperazione, mi resi conto che non avevo scelta. Ero segnata. 

E tutto per colpa di quel sorcio con fattezze umane. 

<< Forza, Nora. Puoi farcela >> mi incoraggiò Linda con una carezza sulla schiena mentre andavo a prendere posto sulla linea di partenza. 

<< Noi facciamo il tifo per te >> aggiunse Vanessa. 

<< Non mollare >> intervenne Francesca. 

Ero inconsolabile. Non vedevo l'ora che quel supplizio finisse. 

Le guardai una ad una con l'umore a terra. << Pregate per me. Ne avrò bisogno. >> 

<< Nora, ci sei? >> mi richiamò la Trotti.

<< Vorrei non esserci >> risposi mesta.

Alle mie orecchie giunse una bassa risata. Un suono estremante odioso che calamitò la mia attenzione su una pustola ancor più odiosa.

Il signorino stava sghignazzando. 

Le mie viscere presero fuoco, il mio sguardo si accese di sfida mentre cercavo di trucidarlo con gli occhi. 

Un suo sopracciglio scattò verso la fronte, l'espressione derisoria. 

Quanto avrei voluto andare lì e tirargli un pugno in faccia. Avrei provato una soddisfazione inestimabile. 

<< Uno, due... >> cominciò a contare la professoressa. 

Il cuore prese a battermi a ritmo sostenuto, le mani che sudavano. 

Non dovevo concentrarmi sulla massa di studenti alle mie spalle. Dovevo immaginare di essere sola e concentrarmi esclusivamente su me stessa. 

Più facile a dirsi che a farsi. 

Una parte di me voleva piangere, dileguarsi e fuggire lontano, l'altra m'imponeva di restare e far vedere a Voldemort di che pasta fossi fatta. 

<< Via! >> gridò la Trotti, schiacciando il pulsante del cronometro. 

Il mio cervello recepì quel comando prontamente. 

Scattai in avanti e mi tuffai sul materassino per fare la capriola. Mi tirai su dritta, ritrovandomi col cappuccio della felpa in testa, e procedetti verso la corda. L'afferrai e cominciai a saltarla il più velocemente possibile. 

Al decimo saltello, l'ultimo, quella stupida corda mi sfuggì da una mano e mi si attorcigliò attorno alla caviglia come un serpente. 

Sbuffai seccata, me la slegai di dosso e la scagliai via con somma stizza.

Ero già sfinita, ci mancava pure quella dannata cosa a farmi perdere tempo ed energie. 

Una volta libera, balzai sulla panca e la percorsi tenendomi in equilibrio con le braccia aperte. 

Corsi alla spalliera, la scalai in fretta e ruotai tutto il corpo per issare le gambe. 

Per sbaglio, e solo per un attimo, i miei occhi misero a fuoco tutte le persone che mi stavano osservando. 

Santo cielo. Due intere classi come spettatrici.

Per una come me, che odiava stare al centro dell'attenzione, era il coronamento di un sogno. O meglio, di un incubo. 

Cercai di scacciare quel piccolo dettaglio e mi lanciai dalla spalliera per atterrare sul pavimento. 

Volai ai birilli e mi prodigai in un slalom piuttosto lento. Non avevo la minima esperienza con quel genere di esercizio, e non eccellevo negli scatti brevi. 

Successivamente acciuffai la palla e feci una serie di veloci palleggi contro il muro, corsi alla rete e conclusi con i tre ridicoli salti finali.

Ero libera. Avrei voluto buttarmi per terra e morire.

Avevo un fiatone da fumatore incallito, e i miei polmoni stavano collassando per lo sforzo. 

Non ero abituata a muovermi e a sudare, in palestra avevo fatto solo una corsetta per non stancarmi troppo. Mi sentivo una vecchietta di novant'anni, in quel momento, appoggiata alle ginocchia per riprendere fiato.  

Le mie amiche mi vennero incontro eccitate. << Sei stata bravissima >> si congratulò Linda.

<< Una vera bomba >> affermò Vanessa. 

Francesca si tirò via un ciuffo di capelli dal viso con un colpo studiato. << Chi aveva ragione? Una principessa guerriera può tutto. >> Mi strizzò l'occhio, strappandomi un sorriso. 

<< Un minuto e trenta secondi, Nora >> urlò la Trotti, alzando in aria il cronometro. << Alberto, segna per favore >> disse poi, rivolta al professor Ciuffini. 

Ce la feci solo a sollevare un pollice e a sorridere. 

Ero senza fiato. 

Mi tirai su dritta e sgranchii la schiena. Sentivo tutti i muscoli tremolanti sia per l'adrenalina che per lo sforzo, ma almeno quel supplizio era finito. 

Ritornai in mezzo al gruppo insieme alle mie amiche e, dopo aver battuto il cinque ad alcuni della mia classe, mi sedetti al muro per essere io la spettatrice. 

Non mancai di rivolgere un'occhiata a Sodini, ma il sorcio non mi stava più guardando. 

Pensava che mi sarei ridicolizzata? Povero illuso. 

Non vedevo l'ora toccasse a lui, stavo pregando intensamente che gli si sciogliesse una scarpa o qualcosa del genere, purché facesse brutta figura.

Non ero cattiva. Agognavo quello che lui aveva sperato per me. 

Le ragazze svolsero l'esercizio una dopo l'altra e in due fecero un tempo di leggermente migliore rispetto al mio. Battei il cinque a tutte loro e mi congratulai con ciascuna. 

A quel punto vidi Voldemort scendere dalla cattedra con indolenza e prendere posizione sulla linea di partenza. 

Si tolse la felpa e la lanciò a un amico, restando con una t-shirt verde e i pantaloni neri della Nike. 

Notai solo in quel momento che eravamo vestiti con gli stessi colori. 

<< È bellissimo >> commentò Francesca. 

Da altre ragazze, tutte sedute sulla mia stessa linea, si alzò un sospiro sognante. 

Mi sporsi ad esaminarle una ad una. Il virus Sodini continuava a mietere vittime, presentavano tutte gli stessi indiscutibili sintomi: occhi a cuoricino, sorriso ebete, pupilla dilatata e lieve rossore sulle guance. 

Scossi la testa, quello era il principio della fine. Sodini aveva innescato un'epidemia di cuori spezzati. 

Udii il professor Ciuffini decretare il "via", così mi voltai ad osservare Voldemort. 

Non ero riuscita a vedere la sua capriola tant'era stato veloce, e non riuscivo neanche a vedere la corda girare da quanto la muoveva rapido. 

Ero impressionata. 

Montò sulla panca e la percorse come fosse stato un gioco da ragazzi, io avevo dovuto lottare con l'equilibrio per sopravvivere. 

Con un salto si ancorò ai pioli della spalliera e issò tutto il corpo, i bicipiti contratti, per svolgere più di quanto fosse stato richiesto.

Alzai gli occhi al cielo. Il solito fenomeno

Proseguì con uno slalom scattoso, i palleggi al muro ed infine i tre salti. 

<< Quarantacinque secondi >> gridò Ciuffini, su di giri. 

Strabuzzai gli occhi e guardai il professore. Non era possibile, quel cronometro si era rotto per forza. 

Non resistetti all'impulso di appostarmi alle sue spalle per sbirciare il risultato. 

Quando lessi il tempo che aveva detto piegai la bocca, delusa. 

Quarantacinque secondi in meno a me, e nessuna scarpa slacciata. 

Neanche a dirlo, il vincitore della torta, dopo che tutti ebbero completato il percorso, fu lui. 

Mentre mi dirigevo allo spogliatoio insieme alle altre ragazze, guardai la scena di lotta che stava avendo luogo al centro della palestra.

Sodini teneva in mano il piatto con il dolce mentre gli altri ragazzi, tra cui molti miei compagni di classe, gli si avventavano contro per rubargliela.  

Lui si ritrasse ridendo, strappò un pezzo di torta e se lo mise in bocca, causando il caos tra gli altri bisonti.

<< Secondo voi se vado a chiedergliene una fetta, me la dà? Sembra buona >> disse Vanessa, lo sguardo perso verso il dolce. 

Appoggiai le mani sulle sue spalle e la trascinai via. 

Se quel babbuino le avesse risposto negativamente, come minimo, avrebbe passato il pomeriggio a piangere. 

<< Domani vi porto una torta al cioccolato fatta da me >> affermai di slancio, per consolarla. 

Alle mie amiche s'illuminarono gli occhi. 

<< Lo faresti? >> mi chiese Linda, congiungendo le mani. 

Sorrisi e annuii. 

Subito dopo ricordai che quel pomeriggio sarei dovuta andare a casa del sorcio, quindi avrei dovuto prepararla dopo cena. 

Sempre se fossi sopravvissuta al nanetto che speravo non mi stesse aspettando armato.

Ma speravo ancora più ardentemente che, pure quella volta, non ci fosse il fratello ad accogliermi. 

La sua vista stava diventando il mio peggior incubo.

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                   *  *  *

 

 

 

 

 

 

 

E vabbè, quando uno nasceva sotto il segno della sfortuna doveva per forza convivere con una marea di aspettative disilluse.

Sì, al citofono aveva risposto il sorcio. 

Entrai in casa del nemico chiedendo permesso, per poi chiudermi la porta dietro. 

Lui, purtroppo, spuntò dal salotto con Irene abbarbicata alla schiena, le piccole braccia di lei che gli avvolgevano il collo. 

Sarebbe stato un quadretto carino se lui non fosse stato presente. 

Mi sforzai di sorridere solo per la bambina che mi stava salutando con la mano paffuta. 

<< Da quassù si vedono tante cose >> disse allegra. 

<< Sì, ma ora scendi, Ire >> le rispose Voldemort, abbassandosi sulle ginocchia.

La piccola, come sempre, ubbidì senza farselo ripetere due volte. Era troppo innamorata di suo fratello per non rispettare le sue decisioni. 

Sodini si tirò su dritto ed estrasse un paio di banconote dalla tasca posteriore dei pantaloni che aveva indossato quella mattina per educazione fisica. 

<< Sono quelli di ieri e di oggi >> disse porgendomi i soldi. << Quarantacinque >> aggiunse con un mezzo sorriso mentre li prendevo. 

Afferrai l'antifona. E capii anche perché ci aveva tenuto a pagarmi subito, giusto per infierire sullo stacco di tempo che c'era stato fra i nostri percorsi. 

<< Grazie >> dissi con una nota di stizza nel tono. << Noto con piacere che sai fare i calcoli >> aggiunsi con un sorriso plastico. 

Mi osservò di sottecchi, la luce beffarda nelle iridi azzurre. << A quanto pare meglio di te. >> 

Il mio finto sorriso si spense di colpo per cedere il posto ad uno sguardo truce. 

Bene bene, aveva deciso di girare il coltello nella piaga di tutti i miei punti deboli. Adesso toccava alla disastrosa interrogazione di matematica a cui aveva assistito e che gli aveva rivelato quanto fossi negata per quella materia. 

<< Forse se avessi avuto tempo per riscaldarmi, ci sarebbero stati meno di quarantacinque secondi a dividerci >> gettai fuori d'un fiato. << Ma qualcuno ha rovinato i miei piani >> conclusi irritata.

Incrociai le braccia sul petto e lo guardai dritto negli occhi.

Aveva scatenato la belva che era in me. Stavo facendo appello a tutto il mio autocontrollo per non acchiappargli i capelli. 

<< Forse >> ripeté sollevando un sopracciglio, divertito. 

<< Di sicuro >> mi corressi. 

Il suo sorrisetto di scherno si allargò. << Che peccato, allora. >> 

Basta, lo avrei spelacchiato come il nano aveva fatto con Ambrogina. 

Era chiaro che fosse stato lui la mente di quella proposta, solo che aveva relegato lo sporco compito di urlarla ai suoi fidi scagnozzi. 

E mi era cristallino anche il perché. Lo stupido si era vendicato per il giorno prima, quando avevo chiamato le mie amiche per guardarlo giocare. 

Era stato così gentile da procurare un pubblico anche a me. 

Mi morsi la lingua per trattenere gli epiteti poco carini che stava sciorinando la mia mente e diedi un'occhiata al mio orologio da polso. << Fino alle sette? >> 

Il suo cellulare trillò per un messaggio.

Lo estrasse e, senza degnarmi di una risposta, si avviò lungo il corridoio.

Rimasi lì impalata, con un diavolo per capello ed una vena pulsante sulla fronte, finché non fece ritorno con un borsone differente da quello della palestra. 

Probabilmente si trattava del logo di una squadra di calcio. 

Era talmente preso dal suo telefono che non fece caso al fatto che fossi ancora accanto alla porta d'ingresso, così lo stupido la spalancò di scatto. 

Percepii solo l'impatto con la mia faccia, oltre ad un leggero stordimento. 

Il mio naso fu quello che risentì di più dell'incontro ravvicinato con lo spesso legno del portone. 

Me lo racchiusi tra le mani ed emisi un lamento. 

<< Che stai facendo? >> mi chiese quel demente, atono.

Lo fulminai. 

Se mi aveva rotto il naso avrebbe sostenuto lui le spese per la mia chirurgia plastica. 

<< Niente, mi piace prendere le porte in faccia >> risposi spazientita. 

In tutta risposta, rimase inespressivo. Come se, ancora una volta, stesse dubitando della mia sanità mentale. 

<< Mia mamma sarà qui per le sette >> cambiò argomento, per poi riconcentrarsi sul cellulare. E senza aggiungere altro, se ne andò. 

Se il mio mento non fosse stato compromesso dalla botta, sarebbe caduto a terra. 

La piccola Irene rise, forse della mia espressione sbigottita. 

Mi faceva piacere che, almeno lei, trovasse divertente quella situazione perché per me era inverosimile che quel cafone non mi avesse chiesto come stessi dopo che avevo lasciato la faccia sulla sua porta. 

Ma non c'erano problemi. No, andava bene così. 

In fondo, il criceto nella sua testa lavorava part-time, non potevo pretendere che fosse sempre vigile e reattivo. 

Ma quel giorno mi sentivo così generosa che, sì, auguravo a Sodini di beccarsi almeno una dozzina di letterali porte in faccia. 

Di legno massello. 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo dell'autrice:

Buonasera, ragazze!

Come state? Spero tutto bene.

Ci tengo a ringraziare di cuore chiunque fosse arrivato a leggere fino a qua con la viva speranza che il capitolo vi sia piaciuto. *_*

Vi mando tanti baci e, con l'occasione, ho pensato di lasciarvi un piccolo spoiler del prossimo capitolo.

Alla prossima settimana!! 

Federica~

 

 

Spoiler: 

 

<< La babysitter si dà all'alcool. >> Quella voce e quella frase mi fecero irrigidire come se avessi ricevuto una doccia ghiacciata. 

Non ci volevo credere. 

I miei occhi atterrarono in quelli azzurri di Sodini. 

Lo stupido era lì. Adesso il nome del locale aveva ancora più senso. 

Gli riservai un'occhiata di sufficienza. 

Indossava una camicia bianca risvoltata sui gomiti ed un paio di jeans chiari con alcuni strappi sul ginocchio. I capelli erano scomposti e al contempo impeccabili, lo sguardo pervaso di scherno. 

<< È analcolico >> precisai sollevando il bicchiere. 

E ora puoi sparire, avrei voluto aggiungere. 

Il mio tono seccato sembrò non scalfirlo perché non si mosse di un centimetro. 

<< Mi dai uno dei tuoi dischetti per la bevuta? >> domandò invece, aprendo il palmo. 

Guardai la sua mano aperta con pretesa, poi il suo viso. 

Forse avevo sentito male e mi stava semplicemente chiedendo un baciamano per farsi perdonare di quanto fosse antipatico. 

  

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Capitolo 6
*** Inferno ***


Inferno













Era di nuovo sabato.

Un'altra settimana stava volgendo al termine senza che il diabolico nano Sodini mi avesse uccisa o provocato un esaurimento nervoso irreversibile. 

Potevo dunque ritenermi fortunata.

Il bernoccolo che aveva fatto capolino in mezzo alle mie sopracciglia la sera stessa della porta in faccia, si era finalmente ritirato. Insomma, ero tornata ad avere un aspetto umano. 

Potevo ringraziare Sodini senior se per qualche giorno ero stata un unicorno. 

In compenso, avevo avuto il piacere di non incontrarlo più per tutta la settimana. Seppur in ritardo, le mie preghiere erano state ascoltate e sia mercoledì che giovedì mi aveva accolta sua mamma. 

Potevo dunque ritenermi doppiamente fortunata.  

<< Ragazze, ho una notizia bomba >> esordì Francesca, dopo una breve corsa fino al mio banco.

Batté le mani su di esso e ci guardò una ad una, le iridi castane che sprizzavano lampi di eccitazione. 

Vanessa, seduta sulla sedia, continuò a masticare il suo panino senza scomporsi. 

Era ricreazione e, grazie all'orario ridotto del sabato, dopo un'ora saremmo uscite da scuola per goderci il pomeriggio libero.

Considerando che l'ultima lezione in programma era letteratura italiana e che la professoressa avrebbe spiegato, ero estremamente rilassata. 

Mi ero accomodata sul banco, la schiena appoggiata al pilone di cemento dietro di me. Linda, invece, se ne stava in piedi accanto a Vanessa a spilluzzicare la sua merenda. 

<< Che notizia? >> le chiesi curiosa. 

Francesca sfoderò un sorriso accattivante. << Una festa, stasera. >> 

Salutai tutt'e tre con la mano. << Buon divertimento. >> 

Vanessa e Linda risero, Francesca mi rifilò uno schiaffo poco delicato sulla gamba. 

<< Non hai libertà di scelta >> disse. << Nessuna di voi ce l'ha. Ormai ho già detto a Giacomo che ci saremo. >> 

<< Grazie per esserti consultata con noi >> rimbrottai massaggiandomi il punto in cui mi aveva colpita.

<< E dai >> si difese prendendomi sotto braccio. << Ci divertiremo un sacco. >> Appoggiò la testa sulla mia spalla in un'astuta mossa per farsi perdonare. 

Faceva sempre così quando le rimordeva un po' la coscienza. Cercava di essere assolta dai suoi peccati diventando docile e coccolosa. 

Ed io non avevo la forza di avercela con lei. 

<< Di chi è questa festa? >> domandò Linda, infilandosi un pezzo di schiacciata in bocca. 

Francesca saltò su, euforica. << Di Virginia Puccini, della 5ª D, che essendo amica di Giacomo gli ha chiesto di invitare un po' di gente. Mi ha detto che si terrà in centro, alle 21:00, al locale Inferno. >> 

<< Speriamo che non lo sia di nome e di fatto >> scherzai.

<< Vedrai che sarà un successo >> mi rassicurò lei. << Dobbiamo metterci d'accordo su come arrivarci. Giacomo ha la macchina, quindi potremmo chiedergli un passaggio. Che ne dite? >> 

<< Sono d'accordo >> intervenne Vanessa. << Meglio che ci sia un ragazzo con noi dato che dovremo fare un pezzo a piedi. >> 

<< Giusto, allora dopo, fuori da scuola, sistemiamo la cosa con Giacomo >> concluse Francesca mentre suonava la campanella. 

Annuii, seppur reticente all'idea di sorbirmi la festa di una sconosciuta. 

Avrei voluto trascorrere la serata davanti ad un film insieme a mia mamma, ma i miei piani erano destinati a fallire miseramente.

Pregavo solo che qualcuno mi assistesse.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                   *  *  *

 

 

 

 

 

 

 

Ero davanti al letto da almeno mezz'ora. 

Avevo fatto la doccia, mi ero spalmata un po' di crema corpo dolcemente fruttata ed avevo asciugato i capelli. 

In quel momento ero indecisa su quali vestiti indossare. Ne avevo selezionati alcuni e li avevo stesi sulla coperta in modo da esaminarli meglio. 

Eppure ero ancora lì, indecisa sulla scelta.

<< Mamma >> urlai in direzione della porta. << Puoi venire un attimo? >> 

Mia mamma arrivò poco dopo con uno strofinaccio in mano. 

Si scostò un ciuffo dal viso e mi venne vicina. << Dimmi. >> 

<< Non so quale mettere >> le spiegai. << Mi aiuti? >> 

Lei studiò attentamente ogni outfit, increspando le labbra come tutte le volte che meditava su qualcosa. 

<< Questo >> disse infine, indicandone uno. 

Consisteva in un morbido maglioncino bianco con uno scollo a barchetta decorato da delle perline e in una gonna blu, lunga un po' sopra il ginocchio, arricchita da dei motivi geometrici dorati. 

<< Aggiungi un paio di calze nere leggere, degli orecchini dorati e gli stivaletti bassi che hai comprato l'anno scorso. Per i capelli ci penso io >> dichiarò annuendo. << Vai, intanto vestiti che ho la roba sul fuoco. >> 

Sorrisi nel vederla sfrecciare fuori dalla camera con dei movimenti goffi. 

Feci come mi aveva detto e mi osservai allo specchio.

Lisciai il maglioncino mentre analizzavo il mio profilo, constatando che, tutto sommato, stavo bene. 

Proseguii col trucco. 

Stesi un leggero velo di ombretto beige luminoso, passai una linea sottile di matita nera intorno agli occhi e infine il mascara. 

Conclusi con qualche spennellata di cipria e di blush sugli zigomi. 

<< Mamma, io ho fatto >> la chiamai mentre riordinavo tutto ciò che avevo messo in disordine. 

<< Arrivo, prendimi una molletta nera >> urlò dalla cucina. 

Cercai nei cassetti del mio comodino e ne tirai fuori una, poi sistemai la sedia della scrivania davanti allo specchio e mi accomodai in attesa che arrivasse. 

Mancavano ancora dieci minuti prima che Giacomo e le ragazze passassero a prendermi con la macchina. Dentro di me speravo che Francesca mi inviasse un messaggio in cui scriveva che, purtroppo, la festa era saltata.

Avrei ballato la Macarena dalla gioia.  

<< Eccomi. >> Mia mamma entrò con un largo sorriso. Si sistemò alle mie spalle ed armeggiò con i capelli. << Pensavo di rotolare queste due e fermarle dietro la testa >> disse mentre attorcigliava prima una ciocca e poi l'altra. Le imprigionò con la molletta e si dedicò ai due ciuffetti che mi aveva lasciato ai lati del volto. << E questi li terrei così, ad incorniciarti il viso. Non farei altro, sono già belli di loro questi capelli. >> Li toccò con dolcezza e sorrise. << Ti piace? Io dico che stai benissimo. >> 

Annuii, restituendole il sorriso. << Grazie, mamma. >>

Mi alzai in piedi e la abbracciai stretta. << Avrei voluto stare con te stasera >> le confessai, la testa appoggiata sulla sua spalla.

Mi accarezzò la schiena con una risata. << È giusto che tu esca un po' con le amiche. E poi domani abbiamo tutta la giornata per stare insieme. >> 

Mi ritrassi per guardarla imbronciata. << Dovresti impedirmi di uscire, sai quanti pericoli potrei incontrare fuori da queste mura? È un mondo troppo pericoloso per una dolce donzella come me. >>

Sciolse l'abbraccio scoppiando a ridere. << Ma stai zitta. Basta, non ti voglio più sentire. Esci subito di qua. >> 

<< Ma mamma, almeno dammi un coprifuoco. Le undici? >> tentai muovendo le sopracciglia rapidamente.

<< Nora, le undici sono tra due ore e mezzo. >> 

<< Infatti, è un tempo più che sufficiente per stare fuori >> mi difesi. 

<< Basta, esci subito >> disse scuotendo il capo, ilare. 

Raccattai la borsa e una giacchetta leggera, che con molta probabilità avrei lasciato in macchina di Giacomo dato che indossavo già un maglioncino.

<< E va bene, ma sappi che sono molto offesa >> affermai mentre procedevo verso la porta di casa. 

Mi voltai sulla soglia, lo sguardo supplichevole. << Nessun ripensamento? >> 

Lei scosse la testa, divertita, per poi accarezzarmi i capelli che scendevano morbidi fino a sopra il gomito. << Mi fido ciecamente, so che sei una ragazza giudiziosa. Quindi ora vai, o ti butti fuori a pedate. >> 

Sospirai rassegnata, dopodiché mi abbassai per farmi scoccare un bacio sulla fronte. 

Salutai mia mamma che il cellulare mi squillava. 

Scesi di corsa le scale e uscii dal condominio, per poi correre alla macchina dei miei amici e prendere posto nei sedili posteriori insieme a Linda e Vanessa. 

<< Ehilà, bella fanciulla >> mi salutò Francesca, ruotandosi a guardarmi. 

Notai che il suo trucco era decisamente più pesante del mio per via dell'ombretto nero sapientemente sfumato su tutta la palpebra. 

Era bravissima a truccarsi, frutto di anni e anni di intenso studio di tutorial su internet.  

I capelli castani e lisci erano stati arricciati con la piastra e possedevano un volume alla radice che ero sicura fosse riuscita ad ottenere solo grazie alla lacca. 

Le sorrisi. << Chi si rivede. >> Spostai lo sguardo su Giacomo e mi sporsi a toccargli la spalla. << Grazie per il passaggio. >> 

<< No problem >> rispose dandomi il pugno per batterlo contro il suo. 

<< Ti stanno proprio bene i capelli così >> mi disse Linda, il tono carezzevole. 

Sorrisi felice. << Grazie, me li ha sistemati mia mamma. Comunque siete tutte belle. >> 

Linda indossava un paio di jeans neri a vita alta ed una maglietta bianca attillata che finiva dentro i pantaloni. Sulle spalle aveva una giacchetta nera a mantellina. 

I suoi grandi occhi verdi erano incorniciati da un accentuato trucco nero, ma meno eccentrico rispetto a quello di Francesca. 

Vanessa, invece, aveva optato per un vestito fino a metà coscia di velluto verde. I capelli neri erano sciolti sulle spalle, la frangetta bombata. 

<< E io? Non sono bello? >> chiese Giacomo, scherzosamente risentito. 

Ridemmo per quasi tutto il viaggio, sebbene nella mente non avessi smesso di pregare un attimo a causa della guida di Giacomo, talvolta non proprio fluida dato che era fresco di patente.

Per fortuna riuscimmo ad arrivare a destinazione sane e salve. 

Giacomo parcheggiò nel primo posto libero ed insieme camminammo fino al locale. 

Una volta raggiunto, dovetti armarmi di tutta la pazienza di cui disponevo per non fare dietrofront. 

<< Mai nome fu più azzeccato >> borbottai alla vista della ressa di gente fuori dal pub.

Quello era davvero l'inferno. 

La strada brulicava di ragazzi e ragazze, alcuni con un bicchiere in mano, altri a fumare, altri ancora a scambiarsi solo qualche chiacchiera. 

E il peggio doveva ancora venire dato che era richiesto che entrassimo. 

Linda mi prese sottobraccio per infondermi coraggio. A quanto pareva la mia espressione doveva essere la perfetta descrizione dello sconforto. 

Francesca, che amava stare in mezzo alla gente, si voltò a guardarci entusiasta. << Entriamo? >> 

Volevo possedere un briciolo della sua vitalità. 

Avrei avuto il suo stesso sguardo eccitato solo davanti ad un bel film, una tisana calda ed una gustosa crostata alle more. 

Ed invece mi toccava stare lì. Ancora una volta, le ingiustizie della vita. 

Linda mi trascinò all'interno del locale che, per lo meno, era più spazioso di quanto avessi immaginato. 

Si sviluppava in una pista da ballo centrale sui cui lati erano disposti tavolini e divanetti. Su un fianco si stendeva un lungo bancone dove i barman servivano da bere a chi occupava gli sgabelli. Sul fondo della pista, in un angolo, imperava il dj con la sua console che, in quel momento, muoveva il capo come un piccione per seguire il ritmo dell'orribile musica che aveva messo.  

Notai che una scala a chiocciola conduceva al piano superiore che aveva il campo visivo aperto sulla pista. Infatti molti che erano seduti ai tavoli di sopra osservavano chi ballava di sotto. 

Individuai una ragazza dai corti capelli rossi andare incontro a Giacomo. Aveva le guance paonazze e alcuni ciuffi bagnati attaccati alle tempie. << Ciao Giacomo, hai portato qualche amica? >> chiese sporgendosi a guardarci. 

Sorrise calorosamente, il che me la fece reputare subito simpatica. 

<< Vi lascio due cartoncini ciascuno per le bevute, così da non doverle pagare. E niente >> disse stringendosi nelle spalle. << Vi auguro di divertirvi, ci vediamo in giro. >> 

Salutò tutti con un cenno della mano e fuggì per essere inghiottita dalla folla. 

Giacomo smistò i cartoncini, per poi alzare lo sguardo oltre la mia testa.

Non ebbi il tempo di voltarmi perché venni investita da una montagna umana. Il mio collo venne avvolto da un braccio, così come quello di Linda.

<< Ma guarda un po' chi c'è >> sentii urlare all'orecchio da una voce inconfondibile. 

Spostai gli occhi su Ruggero Urri, il casinista di classe, che mi stava fissando con un largo sorriso. 

Da qualche giorno aveva cambiato stile di capelli: sui lati li aveva tagliati decisamente corti per lasciare la zona centrale più folta.

Dovevo ammettere che quel taglio gli donava, rispecchiava di più la sua personalità eccentrica.  

Il suo brillantino al lobo attirò la mia attenzione dato che non l'avevo mai notato.

<< Sai che sei proprio carina? >> disse all'improvviso, spiazzandomi.

Annaspai per qualche secondo mentre le mie guance assumevano colore. 

Se non altro non lo avrebbe notato nessuno dato che le luci erano piuttosto soffuse. 

<< Grazie >> risposi impacciata. << Ma hai bevuto? >> mi uscì spontaneo. 

Lui rise e si mise su dritto per sgranchirsi la schiena. << Solo un drink, niente di compromettente. >> 

<< Sta forse nascendo una coppietta? >> ci stuzzicò Giacomo, abbracciandosi e mandando baci a caso. 

Scoppiò a ridere quando Ruggero gli si lanciò addosso, afferrandolo per il collo. 

Sorrisi imbarazzata e cercai Linda con lo sguardo in una muta richiesta di salvataggio.

Per fortuna recepì istantaneamente il mio messaggio e mi trasportò in uno dei divanetti liberi intorno alla pista. 

Vanessa e Francesca ci seguirono a ruota e insieme occupammo un tavolino.

<< Quanto sono stupidi i maschi >> osservò Francesca, sprofondando nel sedile davanti a noi. 

<< Per caso ti piace Ruggero? >> mi domandò Vanessa con un'espressione maliziosa. 

Ritrassi il capo. << No >> risposi di getto. Abbassai gli occhi sulle mie mani congiunte sul tavolo. << Lo trovo simpatico e mi piace stare con lui, ma come amico >> specificai.  

Ruggero era davvero un ragazzo spiritoso e alla mano. Era sempre stato gentile e disponibile nei miei confronti, ma per lui nutrivo un semplice affetto. 

Non riuscivo proprio a vederlo come un potenziale fidanzato. 

E lui non mi aveva mai dato motivi per pensarla diversamente. Quella era la prima volta che mi faceva un complimento. 

<< Secondo me gli piaci >> ipotizzò Vanessa. << Martedì, mentre facevi il percorso ad ostacoli, non ti staccava gli occhi di dosso. >> 

Ero piuttosto imbarazzata da quel discorso. E ricordare tutti gli sguardi che avevo avuto addosso quel giorno non aiutava. 

Se Ruggero avesse avuto davvero una cotta per me non avrei saputo come comportarmi. Non volevo né dargli false speranze né farlo stare male.

Scacciai via quel pensiero con un gesto della mano. 

Speravo solo che Vanessa si sbagliasse o avrei cominciato a vivere quella situazione con il patema d'animo. 

Giacomo spuntò dalla massa di gente, i capelli scompigliati per la lotta con Ruggero. << Siete qui, finalmente vi ho trovate. Volete gettarvi in pista con me, Ruggero e gli altri? >> 

Francesca saltò in piedi. << Io ci sto >> disse, facendo la felicità del suo pseudo ragazzo. 

Vanessa la seguì a ruota e Linda mi guardò titubante.

<< Voi intanto andate, io prima voglio approfittare di uno di questi cartoncini >> affermai con un sorriso. 

Linda mi toccò una mano. << Sicura? Se vuoi vengo con te. >> 

Le diedi una spinta scherzosa col fianco per farla alzare dal divanetto. << Vai pure >> la incoraggiai. 

Francesca mi rivolse una muta domanda, a cui annuii per rassicurare anche lei. 

Dopo che se ne furono andati, mi sollevai dalla mia comoda postazione per dirigermi al bancone. 

Non mi piaceva ballare in pubblico. Non sapevo come muovermi, mi sentivo estremamente impacciata e la vicinanza con degli sconosciuti non mi andava a genio. E poi non volevo rompere nessun piede o mollare un pugno in faccia a qualcuno per sbaglio. 

Raggiunsi il bancone e mi accomodai su uno sgabello vuoto. 

Il barman fu da me in meno di cinque secondi.

<< Un Mojito analcolico >> ordinai barattando il primo cartoncino.

Seguii la preparazione del mio cocktail per assicurarmi che non ci venisse gettato dentro niente di strano. Ero paranoica su quel fatto, mi sentivo un'ispettrice in incognito, ma dopotutto le precauzioni non erano mai abbastanza. 

Afferrai il bicchiere che mi veniva servito, per poi ruotare lo sgabello e cercare i miei amici in mezzo alla folla. 

Non avevo la minima intenzione di aggregarmi a quella massa indistinta di corpi umani, me ne stavo benissimo lì vicina al bancone. 

<< La babysitter si dà all'alcool. >> Quella voce e quella frase mi fecero irrigidire come se avessi ricevuto una doccia ghiacciata. 

Non ci volevo credere. 

I miei occhi atterrarono in quelli azzurri di Sodini. 

Lo stupido era lì. Adesso il nome del locale aveva ancora più senso. 

Gli riservai un'occhiata di sufficienza. 

Indossava una camicia bianca risvoltata sui gomiti ed un paio di jeans chiari con alcuni strappi sul ginocchio. I capelli erano scomposti e al contempo impeccabili, lo sguardo pervaso di scherno. 

<< È analcolico >> precisai sollevando il bicchiere. 

E ora puoi sparire, avrei voluto aggiungere. 

Il mio tono seccato sembrò non scalfirlo perché non si mosse di un centimetro. 

<< Mi dai uno dei tuoi dischetti per la bevuta? >> domandò invece, aprendo il palmo. 

Guardai la sua mano aperta con pretesa, poi il suo viso. 

Forse avevo sentito male e mi stava semplicemente chiedendo un baciamano per farsi perdonare di quanto fosse antipatico. 

Aprii bene gli occhi e mi sporsi verso di lui. << Come scusa? >> 

Un angolo della sua bocca si incurvò sardonico. Fece vagare lo sguardo per il locale mentre si toccava i denti superiori con la lingua, le labbra increspate in un sorrisetto. Poi schioccò la lingua al palato e, quando riportò gli occhi su di me, si picchiettò l'orecchio. << Fatti controllare. >> 

Se il mio pugno non partì dritto verso la sua faccia fu per puro miracolo. 

Percepii le mie narici dilatarsi come quelle di un bue. Ci mancava solo che cominciassi a scalciare e gli caricassi addosso.

<< Il mio udito funziona benissimo >> risposi secca. 

<< Allora, me lo dai? >> richiese, incurante della mia occhiata omicida. 

Issai un sopracciglio. << E perché dovrei? >> 

Osò guardarmi come se tra noi due fossi io la stupida che non capiva. << Perché mi serve. >> 

<< Chiedilo ai tuoi amici >> controbattei, per poi allungare lo sguardo verso la pista.

Improvvisamente avrei preferito trovarmi in mezzo a quella ressa piuttosto che lì con lui. 

Mi aveva persino dato della sorda. Ero basita, incredula e pericolosamente nervosa. 

<< Non sarei qui se li avessero ancora >> ammise senza scrupoli.

Mi voltai di scatto, gli occhi che sprizzavano fiamme. 

La mia simpatia nei suoi confronti mi provocava un'irrefrenabile voglia di prenderlo a botte. Ero lì lì per rimboccarmi le maniche e trasformare la pista in un ring. 

Persino un moscerino avrebbe avuto più tatto di lui. E aveva anche il coraggio di pretendere il mio cartoncino. 

Mi stampai un sorriso falso. << Ritenta con qualcun altro, sarai più fortunato. >> 

Un suo sopracciglio schizzò verso la fronte, le sue iridi si accesero di una luce pericolosa. << Sarebbe un peccato se perdessi il tuo lavoro per cattiva pubblicità >> disse osservandosi le unghie della mano con disinteresse. << Non credo che a mia mamma piacerebbe sapere che la babysitter è un'accanita bevitrice. >> 

Strinsi i denti. << È analcolico >> ribadii irritata. 

In tutta tranquillità estrasse il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans, lo puntò sulla sottoscritta e mi scattò una foto col bicchiere in mano. 

Ero frastornata.

Esaminò la fotografia prima di mostrarmela con un sorrisetto scaltro. 

Non ebbi la forza di guardarla, non capivo dove volesse arrivare con quello stupido giochino degno solo di un cervello come il suo. 

Se la riguardò con sommo divertimento. << Da qui non si distingue l'alcolico dal non >> disse prima di osservarmi di sottecchi. << Potrei inventare un sacco di storie intorno a questa foto >> continuò, mentre nella mia mente cominciava a suonare la sirena d'allarme. << E a chi pensi che crederebbe mia madre? >> concluse, il tono compiaciuto. 

Ero sconcertata. 

Quell'essere era stato concepito dal diavolo.

Volevo sperare scherzasse, ma la sua faccia da schiaffi diceva tutto il contrario. 

La prima cosa che feci fu individuare il suo telefono con l'intenzione di strapparglielo di mano e cancellare la foto, ma intercettò il mio sguardo prima che passassi all'azione.

<< Non ti conviene, sarebbe patetico >> pronunciò con un tono estremamente odioso. 

Piantai gli occhi nei suoi. << Il tuo ricatto lo è ancora di più >> ribattei nervosa. 

Sollevò un sopracciglio, il sorrisetto derisorio ancora lì. << Quindi? Cosa decidi? >> 

Destavo l'idea di dargliela vinta, ma non potevo permettergli di farmi licenziare per una stupida questione di orgoglio. 

Espirai pesantemente ed estrassi l'altro cartoncino dalla borsetta che tenevo in grembo.

Speravo ci si strozzasse con quel drink. Sarebbe stata la giusta punizione per la sua prepotenza. 

Glielo schiaffai sulla mano con uno sguardo fulminante. << Goditelo >> dissi sprezzante. 

Lo prese con un sorriso vittorioso, le iridi azzurre colme di pungente ironia. << Sarà fatto. >> 

E detto ciò, girò i tacchi per sparire dalla mia vista. Il che fu l'unica mossa intelligente che compì, perché stavo trattenendo la belva racchiusa in me dal prenderlo per i capelli.

Ero un fascio di nervi. Non m'interessava del cartoncino o della seconda bevuta persa, perché non avrei avuto intenzione di sfruttarla, ma avrei preferito cederla ad uno sconosciuto piuttosto che a lui.

La pretesa insita nel suoi modi, come se tutto gli fosse dovuto, era irritante. Per non parlare del suo tono, della sua faccia, della sua semplice presenza e di tutto ciò che lo riguardava. Ogni cosa era irritante. 

E il problema peggiore era che mi toccava averci a che fare. 

Bevvi avidamente la mia bevanda per placare il fuoco della rabbia che mi stava divorando. 

Lasciai il bicchiere sul bancone e mi diressi spedita verso i miei amici sulla pista. 

Avevo bisogno di distrarmi o avrei finito per farmi venire l'ulcera al pensiero di Sodini.  

Adocchiai Linda che si stava sbracciando per farmi cenno di raggiungerla. 

Mi feci spazio tra la folla, tirando spinte a tutto spiano, per poi essere sputata davanti alle mie amiche. 

<< Eccoti finalmente >> urlò Francesca, cercando di sovrastare la musica. 

Linda mi prese le mani e mi guidò in un balletto che, dovetti ammettere, era divertente. 

Prevedeva un sacco di giravolte l'una sotto il braccio dell'altra e dondolamenti a destra e sinistra. 

Scoppiai a ridere quando vidi Ruggero e Giacomo improvvisare una mossa di tango: il casque. 

Ruggero si voltò a guardarmi ilare. << Vuoi provare? >> 

Scossi il capo, divertita. << Non ci tengo >> gridai sopra una nuova canzone. 

Mi fece la linguaccia. << Fifona. >>

Gli sorrisi e proseguii a ballare con Linda che mi trascinava a ritmo di musica in mosse di sua invenzione. 

<< Al mio tre, ragazzi >> pronunciò il dj dal microfono della console. << Voglio vedervi saltare, ok? >> 

Saltare? Stavo già sudando come un porcello. 

Tutti urlarono una risposta affermativa, il mio no fu calpestato senza pietà. 

Il dj mise Without You di Avicii e, una volta giunto a pochi secondi dal ritornello, la rallentò. << Pronti, ragazzi? Ci siamo! Uno... uno, due e tre >> vociò prima di ruotare rapidamente una manopola e dare sfogo al ritornello. 

Tutti cominciammo a saltare sul posto al battito della musica. 

Le note della canzone risuonarono con tanta forza che percepii la loro vibrazione fin dentro la cassa toracica. Mi riempirono le orecchie e la testa mentre mi lanciavo in quella danza a balzelli. 

Il pavimento tremava sotto il peso dei nostri salti, e la musica assordante pareva buttare giù le pareti. 

Scoppiai a ridere alla vista di Vanessa che ad ogni saltello litigava con l'orlo del vestito. Lei mi guardò divertita, rilasciando uno sbuffo che le smosse la frangetta. 

Vagai con lo sguardo per la pista, osservando quanti fossero i ragazzi e le ragazze che si muovevano al nostro stesso tempo. E poi, sul fondo della sala, mi scontrai con gli occhi azzurri di Sodini, voltatosi proprio in quell'istante. 

Era in mezzo al suo branco di amici, la schiena appoggiata al muro, una mano calata nella tasca dei jeans.

Sulle sue labbra si pennellò un mezzo sorriso canzonatorio mentre issava il bicchiere per cui mi aveva ricattata. 

Ancora non gli era andato di traverso. 

Per tutta risposta gli feci una boccaccia, sì, proprio come i bambini. 

<< Con chi ce l'hai? >> mi urlò Linda all'orecchio.

Spostai lo sguardo su di lei. << C'è quello stupido di Sodini >> le feci presente scocciata. 

I suoi occhi si sgranarono e cercò subito di individuarlo nella folla, poi strattonò Vanessa e Francesca per un braccio e le avvertì della presenza del sorcio. 

Entrambe fecero ciò che aveva fatto Linda cinque secondi prima. Si rivolsero un'occhiata complice e poco dopo mi ritrovai ad essere strattonata brutalmente fuori dalla pista. 

Approdai su un divanetto ancor prima di essermene resa conto. 

Linda si accomodò accanto a me, Francesca e Vanessa davanti. 

<< Ok, dobbiamo studiare un modo per attirare la sua attenzione >> esordì Francesca. << Non possiamo lasciarci scappare quest'occasione. >> Lanciò uno sguardo nella direzione di Voldemort. << Cavolo, questo è proprio destino >> dichiarò assorta. 

Mi portai una mano davanti alla faccia. 

Cos'avevo fatto di male? Qualcosa di molto grosso se quella era la mia punizione. 

Avevo cercato di distrarmi e loro rievocavano quello stupido. Era una maledizione.

<< Non so cosa inventare >> intervenne Vanessa, picchiettando un dito sul tavolo. << E se una di noi gli passasse davanti e fingesse di svenire? >> 

Sospirai rassegnata. 

<< Non male come idea >> asserì Francesca dopo aver soppesato la sua proposta. 

<< Ma io mi vergogno >> ammise Linda. 

<< Perché non gli offrite un vostro dischetto? Sono sicura che apprezzerà >> dissi con una nota acida che non colsero. 

Se non si era strozzato con quel drink avrei ritentato con un altro. 

Vanessa spalancò gli occhi e m'indicò con l'indice. << Ottima idea. Io ci sto. >> 

<< Bene, allora come procediamo? >> chiese Linda. << Chi va? >> 

Tre paia di occhi atterrarono sulla sottoscritta. 

Sbattei le palpebre, sfasata. Cos'era quella muta domanda che leggevo nelle loro iridi? 

No, non era vero. 

Stava per scapparmi una risata isterica. 

<< Scordatevelo >> asserii spiccia. << Non ci penso nemmeno. Siete voi quelle che bramano la sua attenzione. >>

Francesca mi guardò supplichevole. << Ma tu sei la babysitter dei suoi fratelli. Cosa penserebbe di noi se, così dal nulla, ci presentassimo lì? Non gli abbiamo mai parlato, tu invece sì. Dai, ti prego. >> 

<< No. >> Ero irremovibile, non sarei andata da quello stupido. Non dopo il simpatico scambio di carinerie di poco prima. Avrei accettato solo se mi avessero chiesto di rifilargli un calcio negli stinchi. 

La cosa incredibile fu che, dopo dieci minuti, ero in piedi, con un cartoncino in mano e l'espressione di una che avrebbe preferito la morte a tutto il resto.

Ero stata irremovibile come una piuma. 

Dopo dieci minuti di lagne, suppliche, finte lacrime e ancora preghiere avevo ceduto. Più per disperazione che per pietà. 

Mi vergognavo di me stessa. Ero debole, molliccia, una pappamolla. 

Diedi un ultimo sguardo alle mie amiche nella vana speranza che avessero cambiato idea.  

Fu sconsolante vederle sorridere e sollevare i pollici a mo' d'incoraggiamento. 

Volevo sprofondare sotto terra, e la cosa più drammatica era che, la fossa, me l'ero scavata da sola. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo dell'autrice:

Hola! 

Come state? Spero tutto bene malgrado i tempi difficili. E mi auguro di avervi tenuto un po' di compagnia con questo capitolo e i precedenti. *_*

Mi fa tanto piacere leggere i vostri commenti e sapere che in un modo o nell'altro sono stata in grado di strapparvi un sorriso. 

Spero con tutto il cuore che questa storia continui a donarvi una risata e un po' di spensieratezza, cose di cui abbiamo tutti bisogno in questo periodo.

Detto ciò, vi mando un grosso bacio e vi lascio un piccolo spoiler del prossimo capitolo.

A lunedì prossimo!

GRAZIE. 

 

Federica~

 

 

Spoiler:

Tirai un sospiro di sollievo e m'incamminai lungo il corridoio che congiungeva le torrette finché non mi accolse la vista di una striscia viola che correva per tutto il muro. 

Individuai la classe di Voldemort e mi schiarii la voce prima di bussare.

<< Avanti. >>  

Oh no. Quella era la voce della Fantucci. 

Speravo di sbrigare la faccenda in poco tempo, così da togliermi quel disturbo in fretta. 

Quando la mia testa fece capolino nella classe, scorsi che negli occhietti neri della professoressa saettò il mio stesso pensiero.

<< Mi scusi, il professor Iradi mi ha dato questi fogli da farle firmare >> mi introdussi avanzando verso la cattedra. 

Solo quando le porsi il plico, mi resi conto che alla lavagna c'era il buon vecchio Sodini.  

Me ne compiacevo. Finalmente le posizioni erano invertite, così avrei avuto io il piacere di godermi la sua brutta figura. 

Se ne stava pigramente appoggiato al termosifone, le gambe allungate davanti a sé, le caviglie incrociate e un braccio steso a reggere il gesso mollemente.

Mi rivolse uno sguardo tra le ciglia dopo aver issato il mento in una posa spavalda. 

Bastò quello ad irritarmi. 

Era borioso e pieno di sé. Ed era necessaria una sola occhiata per evincerlo dato che non si premurava di nasconderlo. 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Scacco Matto ***


 

Scacco Matto

 

 

 

 

 

 

 

Perché mia mamma non mi aveva proibito di uscire? 

In quel momento sarei stata spaparanzata sul divano in compagnia di un bel film, e non lì con quella missione ridicola. 

Inspirai a pieni polmoni l'aria pesante del locale e puntai il gruppo di Voldemort.

Di qualcosa si doveva pur morire dopotutto, nel mio caso di vergogna. 

Ripassai mentalmente ciò che avrei dovuto dire mentre avanzavo. 

Non ero psicologicamente pronta a umiliarmi in quel modo, ma non avevo scelta. 

Mi schiarii la voce per attirare l'attenzione di uno dei ragazzi dietro cui mi ero appostata, ottenendo meno considerazione di un moscerino. 

Perché? Perché dovevo anche faticare? 

Ritentai, stavolta sporgendo la testa per farmi notare. << Scusate >> dissi con un piccolo sorriso.

Sette paia di occhi approdarono su di me, il ragazzo dietro cui mi ero nascosta si spostò di lato per osservarmi. 

Sentii le guance surriscaldarsi per l'imbarazzo. Odiavo quel genere di situazioni, soprattutto quando finivo per trovarmi sotto i riflettori in mezzo ai ragazzi.

Un altro incubo coronato. 

Abbassai lo sguardo sul cartoncino che tenevo in mano.

Cosa dovevo dire? 

<< Ehm... alle mie amiche è avanzato questo dischetto >> pronunciai indicandole al tavolo. << Stavo chiedendo in giro se qualcuno lo volesse >> conclusi guardandoli.

Ignorai il mezzo sorriso di Sodini. 

Un ragazzo dai capelli neri e il naso leggermente adunco allungò la mano e me lo prese. << Grazie >> disse con un sorriso.

<< Quali sono le tue amiche? >> chiese un altro che avevo visto una marea di volte fuori da scuola insieme al sorcio. 

Era un giovanotto alto, con i lineamenti squadrati, la mascella larga e gli occhi vispi come una volpe. 

Mi voltai a guardare le tre comari che, non appena notarono che le stavo indicando, presero a parlare tra loro con noncuranza. 

Lui sorrise e mi squadrò da capo a piedi mentre altri due gorilla gli rifilavano delle gomitate o delle pacche sul petto. 

Non vedevo l'ora di defilarmi. La mia voglia di stare in mezzo a loro era pari a quella di un condannato che si accingeva alla decapitazione. 

<< E tu sei? >> mi domandò. 

Mi sforzai di essere gentile. << Nora. >> 

<< Nora >> ripeté, come se volesse imprimersi il mio nome nella mente. Se possedeva il cervello dell'amico era naturale che memorizzare quattro lettere gli costasse fatica. 

<< Perché non ci presenti anche le tue amiche? >> aggiunse con un ampio sorriso.

Il pollo non sapeva di essere caduto nella trappola di Linda, Vanessa e Francesca. E non sapeva di aver fatto la mia felicità, così sarei potuta sgattaiolare via una volta aver portato quel branco di scimmie da loro. 

Avrei escogitato un modo per tornare a casa il prima possibile, non importava come. Sorbirmi ancora quel supplizio era fuori discussione. 

Sorrisi affabile. << Certo. >> 

Ruotai le suole degli stivaletti e m'incamminai verso il tavolo intorno a cui erano sedute le mie amiche, i ragazzi che mi seguivano. 

Francesca fu la prima a ruotarsi. Per poco non le uscirono gli occhi dalle orbite quando vide la pesca miracolosa che avevo fatto. 

<< Loro sono Linda, Vanessa e Francesca >> le presentai indicandole una ad una. 

Vanessa si ritoccò là frangetta in un gesto nervoso, Linda si mosse irrequieta sul divanetto. 

Ciascun ragazzo strinse la mano alle mie amiche, ma Sodini non si mosse. Se ne stava sul fondo del gruppo ad osservare silenziosamente la scena mentre sorseggiava il suo drink. 

La sua maleducazione non mi sorprese. Quando uno nasceva tondo non poteva morire quadrato, e lui cafone era e cafone sarebbe rimasto. 

Intercettò il mio sguardo infastidito e sollevò un sopracciglio con fare provocatorio. 

Sviai dai suoi occhi con stizza. 

Avevo fatto tanta fatica per portarlo fin lì e quello stupido osava rovinare i miei sforzi non introducendosi nemmeno. 

<< Nora ci ha portato il vostro dischetto >> disse il ragazzo che aveva insistito per conoscerle e che, se non avevo sentito male, si chiamava Lorenzo. 

<< Ha girato molto prima di trovare qualcuno a cui lasciarlo >> s'intromise l'odiosa voce di Sodini, il tono che conteneva una palese presa in giro. 

Le mie amiche non colsero quella nota stridente, così come il suo sorrisetto da schiaffi, erano troppo intente a contemplarlo. 

Non mi sarei sorpresa di vedere dei cuori uscire dai loro occhi. 

Ridacchiarono come se quello stupido avesse fatto la battuta più divertente del mondo. 

Io invece avevo afferrato alla lettera la beffa insita nelle sue parole. Mi ero presentata nel suo gruppo affermando che stavo chiedendo alla gente chi volesse quel cartoncino, ma in verità ero andata solo da loro, e per di più spedita.

Il babbuino lo aveva chiaramente notato. 

<< Perché ho cominciato il giro da voi >> ribattei pungente.  

<< Certo >> asserì irrisorio.

Razza di stupido. Voleva farmi passare davanti ai suoi amici per una che aveva intenzionalmente cercato le loro attenzioni? 

Il fatto che fosse vero non gli dava il diritto di rivelarlo ai quattro venti. 

<< Perché non ci trasferiamo ai tavolini di sopra? Sono più spaziosi >> propose Lorenzo, indicando la balconata. 

Santo cielo, no. Se avessi trascorso altro tempo con Sodini il mio sistema nervoso sarebbe stato danneggiato in maniera irreversibile. 

Prima che potessi anche solo provare a inventare una scusa per filarmela, Francesca e Vanessa acconsentirono con entusiasmo. 

Balzarono praticamente in piedi mentre i ragazzi procedevano verso la scala a chiocciola. 

<< Grazie, Nora >> bisbigliò Francesca abbracciandomi di slancio. 

Io volevo morire. 

<< Posso rifiutarmi di salire con voi? >> chiesi mesta. 

Linda scattò in piedi. << Certo che no, tu devi stare con me. >> Mi fece ruotare sul posto e, con le mani sulle mie spalle, mi sospinse verso la scala. 

Speravo ardentemente che mia mamma mi chiamasse e mi ordinasse di tornare a casa. Non sapevo come liberarmi di quella situazione. 

Avrei avuto bisogno di tutta la domenica per riprendermi psicologicamente. 

Salii gradino dopo gradino con uno stato d'animo che rasentava la depressione. 

Un altro ragazzo, che mi sembrava si chiamasse Matteo e che conoscevo solo di vista, mi sorrise mentre Lorenzo indicava il tavolo a cui dovevamo prendere posto. 

Sorrise mosso a pietà, era ovvio. 

Scivolai sul divanetto per prima, finendo all'estremità del tavolo, attaccata al balcone da cui si vedeva la pista. 

Quel posto aveva i suoi pro e contro. Da una parte me ne sarei potuta stare in un angolo, lasciando al centro le mie amiche, dall'altra mi era praticamente impossibile fuggire. A meno che non mi fossi buttata di sotto, ma quell'alternativa valutavo di non utilizzarla. 

Linda si sedette accanto a me, poi entrarono Francesca e Vanessa.

Davanti a me prese posto il ragazzo coi capelli neri e il naso adunco a cui avevo ceduto il cartoncino-trappola.  

Sodini si sedette per ultimo, all'estremità opposta alla mia, con totale disinteresse. 

Se non altro condividevamo la voglia di stare lì. 

Stese un braccio sulla testata del divano, posizionò una caviglia sul ginocchio ed estrasse il cellulare per dedicarsi a quello. 

<< Di che sezione siete? Mi sembra di avervi già viste in giro per la scuola >> domandò naso adunco. Purtroppo non ricordavo il suo nome. 

<< Siamo della F. Abbiamo educazione fisica alla stessa ora il martedì >> rispose Vanessa. 

Si misero a chiacchierare del più e del meno: a partire dai professori in comune fino a raccontarsi aneddoti di ogni tipo. 

Io ascoltavo senza partecipare. Ritenevo che la mia presenza in vece di mummia fosse più che sufficiente. 

<< Sì, è stato l'anno scorso >> esclamò Francesca, ridendo. << È stata Nora la colpevole. >> 

Rizzai le orecchie. Chi osava rovinare il mio momento di quiete nominandomi?

Guardai i volti ilari delle mie amiche domandandomi di cos'avessero parlato. 

Per gli ultimi cinque minuti avevo staccato la spina del cervello e smesso di prestar loro attenzione. 

<< Ti ricordi quando hai intasato tutti i bagni della scuola? >> insistette Francesca, innocentemente.

Santo cielo, detta in quel modo era terribilmente fraintendibile.

Scorsi la testa di Sodini voltarsi nella mia direzione. 

Oh mamma. 

Ma cosa raccontavano quelle tre? 

Mi schiarii la voce per dissimulare l'imbarazzo. << È stato un incidente >> spiegai alle numerose paia d'occhi che mi osservavano divertite. << Non mi ero accorta di aver fatto cadere un rotolo di carta igienica nel water e... >> Ma perché dovevo parlare di quello a dei ragazzi? << E ho tirato lo sciacquone. È... è venuto su di tutto, e sono scappata >> conclusi congiungendo le mani sul tavolo. << Non ero pronta a vedere tutto quello >> aggiunsi con un'espressione schifata.

Potevo ben dire di aver visto cose che gli altri esseri umani non potevano neanche immaginare.

I ragazzi e le mie amiche risero, a Sodini spuntò un mezzo sorriso mentre rizzava il capo e mi osservava tra le ciglia. 

<< Quindi è stata colpa tua se per tutta la mattina abbiamo dovuto usare il giardino come un gabinetto >> disse naso adunco, sorridendo.

Mi strinsi nelle spalle e strizzai gli occhi. << Mi dispiace. >>

<< Nora! >> sentii urlare dal piano di sotto. 

Mi sporsi e misi a fuoco Giacomo e Ruggero.

Li salutai con la mano come una scema.

<< Francesca è lì? >> chiese Giacomo, le mani intorno alla bocca per farsi sentire. 

Annuii energicamente, così sollevò il pollice e si avviarono alla scala.

Gongolai. 

Magari Giacomo avrebbe fatto una scenata di gelosia per la sua pseudo-ragazza, avrebbe intimato a quei giovanotti di lasciarci in pace e ci avrebbe riportate a casa. 

E così mi sarei liberata di Sodini e combriccola.

I miei compagni di classe spuntarono dalla scale e si incamminarono verso di noi.

Fremevo all'idea di assistere ad un rapido scontro verbale che sarebbe culminato con la mia liberazione. 

Ancora qualche secondo e...

Giacomo spalancò gli occhi. << E voi? >> esclamò entusiasta, prima di lanciarsi a dare il cinque a tutti i ragazzi insieme a Ruggero.

La mia mascella cadde a terra. 

Non era possibile, si conoscevano. 

Un'altra speranza sepolta sotto metri e metri di delusione.

<< Che ci fate qua tutti insieme? >> domandò Giacomo, incuriosito dalla nostra unione. 

Sodini sfoderò un sorrisetto mordace. << La tua amica voleva abbordarci >> rivelò indicandomi con un cenno del capo. 

Sbarrai gli occhi, presa in contropiede. 

Quel mollusco stava spiattellando la verità senza ritegno, veicolando un messaggio del tutto sbagliato. Non potevo certo difendermi confessando che ero stata costretta ad andare da loro da Linda, Vanessa e Francesca. 

Avrei voluto scavalcare quel tavolo e strangolarlo senza pietà. 

<< Nora? Sul serio? >> chiese Giacomo, incredulo, alternando lo sguardo tra me e lui. 

<< Ovviamente no >> ribattei con un sorriso tirato. 

Lo stupido topo di fogna issò un sopracciglio. << Ah davvero? >> 

Cercai d'infilzarlo con un'occhiata truce. << Davvero. >> 

Nella mia mente provai a contare fino a dieci per placare i nervi. 

In fondo stava solo cercando di umiliarmi difronte a undici persone, perché scaldarsi tanto? 

Strinsi una mano a pugno e incamerai aria lentamente. 

Ero arrivata a nove quando quello stupido arricciò il naso con un'espressione beffeggiatoria. << In effetti non eri molto credibile >> pronunciò.

Stava forse dicendo che non ero credibile in veste di seduttrice? 

Per quella serata avevo sentito fin troppo. 

Ero consapevole di essere piuttosto impacciata e sicuramente non portata per adescare ragazzi, ma il fatto che lui minasse volontariamente alla mia autostima era inconcepibile. 

Se non mi alzai in piedi per menarlo fu solo perché avvertii la mano di Linda sulla gamba. Stava cercando di calmarmi e non farmi agire d'istinto. 

Presi un grosso respiro e lo guardai con sfida. << Eppure sei qui >> gli feci notare.

Un angolo della sua bocca si sollevò divertito. Non disse nulla, non fu necessario perché i suoi occhi contenevano una risposta che m'irritò più di quanto avesse potuto fare a parole. 

Le sue iridi cerulee erano la perfetta descrizione della derisione, come se mi stessero dicendo che gli facevo solo pena. 

<< Ok, ragazzi >> intervenne Giacomo, cauto. Con la coda dell'occhio notai che alternava ancora lo sguardo fra noi.  

<< Che ne dite di andare a ballare? >> propose, forse per allentare la tensione. 

<< Io dico di sì >> disse qualcuno. 

<< Nora? >> mi chiamò Ruggero. Solo a quel punto smisi di fulminare Sodini e mi voltai verso il mio amico.

I suoi occhi castani mi fissavano con aspettativa. << Andiamo? >> 

Annuii e mi alzai in piedi mentre le mie amiche scorrevano sul divanetto per uscirne.

Una volta che riuscii a liberarmi anch'io da quella trappola, nel momento in cui stavo per girarmi verso la scala, notai che il babbuino era proprio dietro a me. 

E stava bevendo l'ultimo sorso del suo drink. 

La mia mente partorì un piccolo ed innocente scherzetto che, senza perdere tempo, misi subito in atto.

Quando capitavano certe occasioni non era saggio lasciarsele sfuggire.

Cacciai un gomito all'indietro e lo beccai nello stomaco. Un secondo dopo le mie orecchie udirono la soave musica composta dai suoi colpi di tosse. 

Poverino, si era strozzato. Mi stava giusto scendendo una lacrimuccia. 

Mi voltai e sfoderai dal mio repertorio di attrice uno sguardo dispiaciuto. << Ops, ma che sbadata >> dissi strizzando le labbra per trattenere una grassa risata.

Il cafone era leggermente piegato in avanti che continuava a tossire, la mano sullo stomaco.

Alzò lo sguardo tra i ciuffi di capelli che gli erano ricaduti sulla fronte e mi infilzò con un'occhiata fredda. 

Un amico gli rifilò una pacca sulla schiena che gli fece scappare un altro colpo di tosse. 

Non potei trattenere un sorriso gongolante. Girai i tacchi e seguii i miei amici che erano già scesi al piano di sotto. 

Saltellai fino alle mie amiche con un sorriso smagliante. 

Finalmente una nota positiva in quella serata disastrosa. Provavo un'immensa soddisfazione, come se avessi appena portato a compimento la missione della mia vita.  

Le ragazze mi circondarono: Francesca a mani congiunte, Vanessa che sbatteva rapidamente gli occhi, Linda con un'espressione preoccupata. 

<< Non sei arrabbiata con noi, vero? >> mi chiese Linda. << Non volevamo metterti in una situazione scomoda. >> 

<< E perdonerai Sodini? >> aggiunse Francesca. << Lui è così... >> Il suo sguardo divenne sognante. << Insomma, è così... lui. >> 

Il suo ragionamento non faceva una piega. 

<< Non vi preoccupate, non sono arrabbiata >> ammisi serena. << E Sodini l'ho già perdonato >> conclusi con un ghigno a cui non fecero caso. 

Avevo già regolato i conti a modo mio. 

Sodini aveva saldato il suo debito nei miei confronti. 

<< Nora non è una persona rancorosa >> affermò Vanessa in mia difesa. 

No infatti, la vendetta era sopraggiunta prima che potessi covare rancore. 

La mia pace mentale era stata ristabilita. Mi sentivo leggera come una piuma.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                   *  *  *

 

 

 

 

 

 

 

 

Avevo trascorso la domenica mattina a dormire e il pomeriggio a studiare come una matta con l'obiettivo di avvantaggiarmi quanto più possibile. 

La sera avevo potuto dedicare tutte le attenzioni a mia mamma. 

Mi ero imposta con lei per preparare la cena e successivamente rimettere tutto in ordine. Era il minimo che potessi fare dopo una settimana in cui non aveva fatto altro che lavorare. 

Con tutta calma ci eravamo poi trasferite sul divano e mi ero accoccolata contro di lei per guardare un film. 

Purtroppo il tempo era volato e il lunedì aveva fatto il suo ingresso in scena con un sole caldo ed un cielo terso. 

Quella mattina salutai mia mamma con un bacio sulla guancia e uscii di casa per recarmi a scuola.

Per tutto il tragitto ripassai mentalmente le lezioni a cui sarei potuta essere interrogata. 

Su filosofia mi sentivo abbastanza sicura, ma matematica era una battaglia persa in partenza. 

Linda, che era davvero brava in quella materia, aveva cercato più e più e volte di spiegarmi le formule e la teoria, ma il mio cervello pareva respingere con decisione quelle nozioni. 

La cosa drammatica era che il mio liceo era uno scientifico. Il fatto che amassi la chimica e i suggerimenti delle mie professoresse delle medie mi avevano chiaramente tratta in inganno nella scelta della scuola. 

Avevo la spiacevole sensazione che quella mattina la Fantucci mi avrebbe interrogata dato che era stata assente per malattia, o meglio, per colpa della sua allergia al gesso.

Me la immaginavo sul piede di guerra dato che ero stata io la causa del suo sfogo.

Varcai il cancello della scuola tirando dritto per tutto il vialetto. 

Con la coda dell'occhio, infatti, avevo intravisto Sodini e i suoi amici stanziati sempre nel solito punto, accanto al muretto. 

Ero certa che l'innocente gomitata che gli avevo mollato nello stomaco avesse alzato l'asticella della sua antipatia nei miei confronti. 

Me ne compiacevo, perché il sentimento era reciproco. 

Giunsi in classe e salutai alcuni compagni di classe con un sorriso, poi puntai alle mie amiche. 

Linda stava spiegando a Francesca e Vanessa lo svolgimento di un esercizio di matematica. 

<< Buongiorno, fanciulle >> esordii appoggiando lo zaino sul banco. 

Alzarono la testa per guardarmi, forse sorprese dalla mia tranquillità. 

<< Non per metterti ansia, ma lo sai, vero, che la Fantucci ti interrogherà di sicuro? >> mi domandò Vanessa.

Estrassi l'astuccio e lo collocai sul lato destro, come sempre. << Lo so, ma dato che ce l'abbiamo alla quarta ora ripasserò durante la ricreazione >> spiegai stringendomi nelle spalle. << Non ho la forza di cominciare ora, il mio cervello deve ancora svegliarsi. >> 

Linda sorrise. << Dopo ti aiuterò io. >> 

<< E io ti suggerirò a più non posso >> aggiunse Francesca, stringendo un pugno con foga.

Risi e annuii portandomi una mano sul petto. << Ne sono onorata. >> 

<< Buongiorno, ragazzi >> udii dal fondo della classe.

Raggelai all'istante.

Perché il professor Toschi aveva una voce femminile? E perché indossava dei tacchi? 

E perché aveva assunto le fattezze della Fantucci? 

I piccoli occhi incavati della vipera mi puntarono non appena raggiunse la cattedra. 

Eravamo tutti immobilizzati, ero quasi sicura che Francesca avesse persino smesso di respirare. 

<< Cosa sono quelle facce imbambolate? Mettetevi subito a sedere >> pronunciò la professoressa, accomodandosi. << Io e il professor Toschi abbiamo fatto uno scambio di ore, perciò non perdiamo altro tempo. Gigli vieni alla lavagna >> disse da ultimo, rischiando di farmi venire un colpo.

Il cuore cominciò a battermi furiosamente e le mani mi divennero fredde come una lastra di ghiaccio. Avevo persino perso la salivazione. 

Come avevo fatto ad abbonarmi alla sfortuna? Dovevo assolutamente trovare il modo di sciogliere quell'abbonamento. 

Non era possibile che ogni mio piano finisse con un fallimento. 

La Fantucci si voltò a guardarmi con freddezza. << Gigli, hai sentito cosa ho detto? Alla lavagna, subito. >> La indicò con un cenno del capo e poi spostò l'attenzione su Vanessa e Francesca, ancora in piedi accanto al mio banco. << Siete sorde anche voi? Ho detto a sedere. >> 

Loro praticamente volarono al posto. 

Io presi un grosso respiro e mi alzai dalla sedia. 

Avrei voluto avere il tempo di inviare un ultimo messaggio a mia mamma in cui la mettevo al corrente che, quel giorno, la professoressa di matematica avrebbe stroncato la mia vita. Perché era chiaro che quella sarebbe stata la mia triste sorte.

<< Copia quest'esercizio, e che sia leggibile >> ordinò porgendomi il libro. 

Non sapevo da che parte sbattere la testa. Ero disperata, oltre che spaventata all'idea di beccarmi i suoi urli e rimproveri. 

Cominciai a ricopiare quella serie di numeri e segni senza capirci nulla. 

Ero talmente agitata che il cervello aveva deciso di fare le valigie e abbandonarmi. 

Le restituii il libro e mi rigirai il gesso tra le dita mentre fissavo la lavagna con la vana speranza che la soluzione uscisse fuori da sola. 

<< Hai avuto un'intera settimana per ripassare >> sottolineò la Fantucci.

Nel suo tono si poteva già percepire una nota di nervosismo. Odiava quando un alunno non si buttava subito a capofitto nella risoluzione di un problema, ma si prendeva del tempo per pensarci. 

Il problema era che a me ne serviva parecchio. 

Spostai lo sguardo su di lei e mi sfregai le mani in un gesto nervoso. << Infatti ho studiato >> dissi a mia difesa. 

I suoi occhietti mi inforcarono. << Allora lo sapresti risolvere. >> 

Se me ne dava il tempo, forse, qualche numero l'avrei cavato fuori. 

Tornai a guardare la lavagna e spremetti le meningi per cercare nella memoria una formula che mi potesse aiutare. 

Mi avvicinai e appoggiai il gesso per cominciare a scrivere, seppur lentamente, il primo passaggio. 

Ad un certo punto mi fermai per ragionare. 

<< Gigli, a posto >> sentenziò la professoressa, tagliente. 

Sgranai gli occhi. << Ma lo stavo risolvendo. >> 

<< Se avessi studiato, lo avresti già risolto >> s'impuntò aprendo il registro con un colpo secco. << È un tre. Vai a sedere. >>

<< Tre >> ripetei sconvolta, più a me stessa che per controbattere. 

Non avevo mai preso un tre ad un'interrogazione. Mi chiedevo come avrei potuto recuperare, neanche con un sette avrei raggiunto la sufficienza data la media scarsa che avevo nella sua materia. 

<< Sì, tre. E se continui a rispondere ti metto due >> asserì lei, irritata. 

Mi zittii e, sconsolata, andai al mio banco mentre un'altra vittima prendeva il mio posto alla lavagna. 

Linda mi accarezzò un braccio per rassicurarmi.  

Ero spacciata e assolutamente inconsolabile. Il solo pensiero di confessare a mia mamma che avevo preso un altro brutto voto a matematica mi faceva venire il mal di stomaco. 

Ci tenevo molto a renderla orgogliosa di me. Non a caso, prima che iniziasse la scuola, le avevo promesso che in quella materia mi sarei sforzata di non prendere mai un voto più basso del cinque, almeno per quell'ultimo anno.

E invece, pur essendo solo ad Ottobre, avevo già collezionato una schiera di voti tutti al di sotto del cinque. Quel tre, poi, aveva inferto il colpo di grazia.   

L'ora trascorse senza che prestassi la minima attenzione alle interrogazioni altrui. 

Ero troppo abbattuta per dedicare agli altri un solo pensiero che non mi facesse sprofondare ancora di più nella depressione. 

Anche la lezione successiva, quella d'italiano, la vissi ad autocommiserarmi mezza riversa sul banco. 

E se mia mamma avesse imputato quel brutto voto al mio lavoro? 

L'equazione veniva spontanea. Più lavoro, meno tempo per studiare, uguale a pessimi risultati nelle materie in cui già zoppicavo. 

Sbuffai impotente. Se mia mamma mi avesse impedito di guadagnare qualcosa con quel lavoro, come avrei potuto aiutarla nella gestione delle spese?  

Non volevo permettere che quello succedesse, ma dall'altra parte non sapevo neanche come avrei potuto risollevare la mia media. 

Urgeva un miracolo. 

Alla terza ora fece il suo ingresso il professore di filosofia. 

Mi tirai su dritta per darmi un minimo di contegno e venni colpita da una pallina di carta.

Mi piegai per raccoglierla e spiegai il foglietto. 

Riconobbi subito la calligrafia tondeggiante di Francesca.  

Ti aiuteremo noi a recuperare con quella vecchia megera. Ricordati che sei una principessa guerriera! 

Mi spuntò un sorriso.

Ripiegai il biglietto e lo riposi con cura nell'astuccio, poi mi voltai e la guardai da sopra la spalla.

Era piegata sul banco, intenta a scarabocchiare uno spazio bianco nel libro di filosofia. 

Si portò la penna tra i denti e la mordicchiò nervosamente, preoccupata che potesse essere interrogata. 

<< Gigli >> udii pronunciare dal professore. 

Per la seconda volta, mi si gelò il sangue nelle vene. 

Non volevo credere di essere stata chiamata proprio io. 

Si erano messi d'accordo e a fine mattinata mi avrebbero confessato che si trattava di una candid camera. Per forza. 

Spostai lo sguardo sul professore con dei movimenti lenti e misurati.

Notai che reggeva dei fogli in mano, tesi proprio nella mia direzione. 

<< Mi porti questi in 5ªD? Ho bisogno che la professoressa me li firmi >> spiegò, ridonandomi vita.

Vidi i fuochi d'artificio intorno alla sua testa. 

Sentii la tensione allentarsi e le spalle cedere stancamente.

Finalmente una lieta notizia. In quel momento non m'importava se si trattava della classe di Sodini, mi bastava aver scampato il pericolo. 

Balzai in piedi e raccolsi i fogli che mi stava porgendo, poi mi defilai prima che riuscissi ad udire il nome della sua prima vittima. 

Tirai un sospiro di sollievo e m'incamminai lungo il corridoio che congiungeva le torrette finché non mi accolse la vista di una striscia viola che correva per tutto il muro. 

Individuai la classe di Voldemort e mi schiarii la voce prima di bussare.

<< Avanti. >>  

Oh no. Quella era la voce della Fantucci. 

Speravo di sbrigare la faccenda in poco tempo, così da togliermi quel disturbo in fretta. 

Quando la mia testa fece capolino nella classe, scorsi che negli occhietti neri della professoressa saettò il mio stesso pensiero.

<< Mi scusi, il professor Iradi mi ha dato questi fogli da farle firmare >> mi introdussi avanzando verso la cattedra. 

Solo quando le porsi il plico, mi resi conto che alla lavagna c'era il buon vecchio Sodini.  

Me ne compiacevo. Finalmente le posizioni erano invertite, così avrei avuto io il piacere di godermi la sua brutta figura. 

Se ne stava pigramente appoggiato al termosifone, le gambe allungate davanti a sé, le caviglie incrociate e un braccio steso a reggere il gesso mollemente.

Mi rivolse uno sguardo tra le ciglia dopo aver issato il mento in una posa spavalda. 

Bastò quello ad irritarmi. 

Era borioso e pieno di sé. Ed era necessaria una sola occhiata per evincerlo dato che non si premurava di nasconderlo. 

<< Sodini, risolvi un attimo quest'esercizio >> comandò la Fantucci, consegnandogli il libro, poi alzò lo sguardo su di me. << E tu, Gigli, vai a sederti un attimo al posto di Sodini, così guardi come si fa dato che non l'hai saputo svolgere. >> 

Mi si spalancò la bocca per lo shock. 

Non era possibile che mi avesse appena umiliata davanti ad un'intera una classe di sconosciuti. Come osava, quella faina, calpestare la mia dignità senza un briciolo di compassione?

Alle mie sensibili orecchie sopraggiunse il suono di una risata mal trattenuta: quella di Sodini. 

Ormai ero diventata brava a riconoscerla dato che mi urtava ogni tre per due. 

<< Ma io... >> La protesta mi morì sulla punta della lingua all'occhiata raggelante della strega. 

Non ebbi altra scelta. 

Sorpassai la cattedra e, dopo una veloce ispezione, mi fiondai agli ultimi tre banchi della fila centrale che già ospitavano Lorenzo e Naso Adunco.

Scivolai sulla sedia, che fino a quel momento aveva sorretto il regale sedere del sorcio, e puntellai i gomiti sul tavolo per appoggiare il mento. 

Lorenzo mi diede una piccola spinta al braccio, così mi voltai per salutarlo con un sorriso.

<< Gigli, ci distraiamo? >> mi riprese la Fantucci. 

Quell'arpia aveva occhi fin dietro la testa. 

Sospirai per concentrarmi sul topo di fogna alla lavagna. 

Prima di focalizzare lo sguardo su quanto stesse scrivendo, constatai che indossava dei jeans a vita bassa e una camicia blu lasciata fuori dai pantaloni e arrotolata sui gomiti. 

Rilevai come il suo polso si muovesse sicuro mentre metteva in fila numeri e simboli. 

Nel costante picchiettio del gesso contro la superficie di ardesia non c'erano esitazioni. 

In meno di un minuto finì l'esercizio che avevo provato a risolvere quella mattina. 

La Fantucci mi rivolse un sorriso velenoso. << Hai visto, Gigli? Basta studiare. >> 

La vena sulla mia fronte pulsò pericolosamente.

La mente quadrata di quella strega non riusciva a capire che studiare, a volte, non bastava. Trovava inaccettabile il fatto che, semplicemente, non fossi portata per la sua materia. 

Evitai di risponderle e ingoiai l'amaro boccone. 

Ripensandoci, avrei preferito essere interrogata a filosofia piuttosto che starmene lì. 

<< Dovresti farti dare ripetizioni da Sodini >> aggiunse, rischiando di farmi ridere.

Come no, sarebbe stata la prima cosa che avrei fatto.

Non vedevo l'ora di trascorrere altro tempo con quello stupido. 

Sorrisi educatamente. << Linda Ricciardini mi sta già dando una mano. >> 

L'espressione della Fantucci si indurì come se l'avessi insultata. << A giudicare dai risultati, non si direbbe >> rispose tagliente. I suoi occhietti mi sondarono per qualche secondo, facendomi sudare freddo. << Faremo così >> esordì poi, rigirandosi la penna fra le mani. << Sodini ti darà delle ripetizioni. E vi avverto: non pensate di fregarmi perché per ogni tuo voto mediocre, Gigli, abbasserò la media ad entrambi >> concluse, puntando la penna prima su di me e poi su Sodini. 

Volevo morire. 

Perché il professor Iradi aveva scelto me per portare quei benedetti fogli? 

Era tutto un complotto. Qualcuno mi voleva fare secca. 

Non solo non avevo la minima intenzione di umiliarmi accettando ripetizioni da quel babbeo, ma non potevo neanche farla franca. 

A giudicare dall'espressione seccata di Sodini, quella novità non andava a genio neppure a lui.

Il che mi irritò ancora di più. Ero io la povera vittima, non lui. 

Per quello stupido doveva solo essere un privilegio. 

La Fantucci batté una mano sulla cattedra, compiaciuta del suo piano per annientarmi. << Bene, Gigli, ora puoi andare. Mi aspetto grandi miglioramenti. >> 

Io, chissà perché, mi aspettavo solo un rapido ed inesorabile declino verso la tomba. 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                   *  *  *

 

 

 

 

 

 

Quando lo avevo raccontato a Linda, Vanessa e Francesca la loro reazione era stata il contrario della mia. 

Erano esplose in degli urletti isterici, su di giri per il fatto che avrei potuto trascorrere del tempo con il loro amore.

Vanessa aveva avuto il coraggio di dire che vantavo di tutte le fortune. 

Mi era scappato da ridere. 

Io e la fortuna eravamo come rette parallele: non ci saremmo mai incrociate. E quell'ennesima punizione ne era la dimostrazione. 

Quando poi, a ricreazione, il sorcio si era affacciato alla mia classe per cercarmi, loro erano rimaste imbambolate come delle sceme. 

Sembrava avessero visto un angelo scendere dal cielo. 

Il sorcio era venuto per avvertirmi che mi sarei dovuta presentare a casa sua un'ora prima per iniziare con le ripetizioni. Il tutto con un atteggiamento a dir poco sfavato che mi aveva umiliata ancora di più. 

Era mortificante dover elemosinare l'aiuto di qualcuno che non aveva la minima intenzione di concedertelo. 

E con quella magra consapevolezza ero giunta dinanzi al campanello di casa Sodini. 

Mentre salivo le scale, la mia disperazione era tale che avrei preferito le ripetizioni della Fantucci piuttosto che le sue. 

Per partorire un simile pensiero ero messa davvero male. 

Bussai alla porta e mi introdussi in casa. 

Per tutto l'ambiente risuonava una canzone rock contaminata dal rap. Era così alta che l'avevo udita fin da quando avevo messo piede nel condominio. 

Sodini spuntò dal corridoio con il cellulare in mano: il suo inseparabile amico.

Indossava dei morbidi pantaloni da ginnastica grigi e una maglietta nera a maniche corte. 

Sollevò lo sguardo su di me, ferma alla porta, e inclinò la testa come per studiarmi.

Intanto l'energico ritornello della canzone continuava a scandire il tempo, il ritmo rock riempiva la casa mentre la voce del rapper si frapponeva fra noi, colmando il silenzio. 

Ad un certo punto liberò uno sbuffo e si toccò i capelli sulla nuca. << Muoviamoci >> disse indicando la cucina con un cenno del capo.

Evitai di fargli presente quanto quella faccenda pesasse molto di più a me e mi diressi in cucina. 

Presi posto a capotavola ed estrassi, con un sospiro, il libro di matematica e il quaderno dallo zaino. 

Mi sentivo una bambina che aveva bisogno di aiuto per i compiti. 

Lui strascicò la sedia accanto alla mia e ci sprofondò con indolenza. Stese gli avambracci sul tavolo e congiunse le mani mentre osservava il libro che stavo sfogliando. 

Per me potevamo passare tutta l'ora senza rivolgerci parola. Bastava che scrivesse le cose su un foglio. 

Stavo per proporgli quella brillante idea, quando decise di far prendere aria al cervello. << Facciamo prima se mi dici cos'è che non hai capito >> annunciò secco.  

Quant'era simpatico, dolce come uno zuccherino. 

Arrestai la mia ricerca della pagina per alzare gli occhi su di lui. 

Le sue iridi azzurre mi stavano puntando con un'intensità che trovai fastidiosa. Era uno sguardo che aveva il puro scopo di mettermi a disagio, e ci stava riuscendo. 

Mi schiarii la voce ed abbassai lo sguardo sulla pagina. << Le funzioni continue >> dissi ricominciando a sfogliare.

Il sorcio mi sottrasse il libro da sotto il naso e, con pochi movimenti, lo aprì sulla teoria dell'argomento che gli avevo nominato. 

Me lo restituì e indicò con l'indice una formula che svettava in cima alla pagina. << Questa è la definizione di una funzione continua. Il limite destro e il limite sinistro per X che tende a C devono coincidere. E il valore di questi limiti deve essere uguale al valore assunto dalla funzione nel punto C >> spiegò sbrigativo.

Ero inebetita. 

Che aveva detto? 

Era stato come ascoltare uno straniero parlare velocemente nella sua lingua. Avevo afferrato solo qualche parola sparsa qua e là, il resto era avvolto nel mistero. 

<< Certo >> dissi, annuendo con poca convinzione. 

<< Significa che una funzione è continua quando non devi staccare la penna dal foglio per disegnarla >> tradusse, il tono svogliato. 

E non poteva dirlo subito? Tanta prosopopea per un concetto elementare come quello.

Proseguì con la sua rapida spiegazione per una decina di minuti, al termine dei quali mi scoppiava la testa per la quantità di nozioni impartite. 

Sentivo le guance e le orecchie calde come tizzoni, il cervello ridotto in pappa. 

<< Fai quest'esercizio >> mi ordinò indicando il primo dopo la teoria. 

Fissai il problema con la prontezza mentale di un'ameba.

Ero troppo stanca persino per leggere il testo, e la musica che non aveva smesso per un attimo di fracassarmi i timpani non aiutava.  

<< Mm... e come si fa? >> chiesi timidamente, piegando il capo di lato per guardarlo.

Mi trapassò con uno sguardo freddo, le braccia incrociate sul tavolo. << Te l'ho spiegato finora. >> 

<< No, tu mi hai spiegato la teoria >> precisai.

<< Senza cui non potresti risolverlo >> puntualizzò con tono di sfida. 

Che babbuino testardo. Cosa gli costava spiegarmi quell'esercizio? 

Cercai di controllare la vena che stava cominciando a pulsarmi sulla fronte. 

<< Basterà che tu me lo faccia vedere una volta, il prossimo lo farò senza chiederti niente >> proposi con un cenno di solenne affermazione.  

Se avesse rifiutato gli avrei veramente strappato i capelli.  

Sbuffò piano dal naso e afferrò il mio quaderno in un gesto stanco, lo aprì e attaccò a scrivere. Subito dopo tirò due linee per disegnare un grafico.

Esaminai, ancora una volta, come il suo polso si muovesse sicuro mentre il suo avambraccio si tendeva per ogni movimento della penna. 

Pensai che le mie amiche sarebbero state capaci di staccare quel foglio per incorniciarlo. 

Chiuse la penna e la lanciò in mezzo alla pagina, poi si lasciò cadere contro lo schienale della sedia e mi buttò il quaderno davanti. << Ora tocca a te >> affermò indicandomi col mento. 

Mi sorprese la velocità con cui aveva portato a termine l'esercizio. 

Guardai cos'aveva scritto cercando di cavarci qualcosa di utile, ma con scarsi risultati. Notai che possedeva una calligrafia pulita e ordinata, i suoi calcoli non erano pieni di scarabocchi come i miei.

Decisi di tentare con il problema sotto al suo, speranzosa che fosse quasi uguale e che così mi sarebbe bastato scopiazzare. 

Dopo pochi secondi ero ferma a contemplarlo. Avevo disegnato un grafico o, per meglio dire, solo le rette e ricopiato il testo di partenza. 

Mentre mordicchiavo la penna, lanciai uno sguardo a Sodini con la coda dell'occhio. 

Lui sollevò un sopracciglio in una muta provocazione. 

Non potevo chiedergli aiuto, avevo promesso che l'avrei risolto da sola. La mia dignità era già stata pesantemente calpestata. 

Solo che non sapevo da che parte cominciare. 

<< È facile >> mentii con un sorriso ancora più falso. 

Aprì la mano in un gesto plateale mentre un angolo della sua bocca si incurvava beffardo. << È tutto tuo. Prego. >> 

<< Già. È solo che la musica, sai, mi disturba un po' >> asserii con una smorfia, per prendere tempo. 

<< Credo proprio che dovrai sopportarla >> rispose sardonico. 

Inspirai a fondo e tirai un lungo sospiro. << E va bene. Allora... faccio l'esercizio >> dichiarai rigirandomi la penna tra le dita. << Da sola, perché tanto è facile >> aggiunsi annuendo. << Facilissimo. >> 

<< Infatti. >> 

<< Infatti > ripetei fissando il foglio. 

Forse per lui, io non sapevo neanche come si leggessero tutti quei simboli. 

Come facevo a disegnare un grafico se avevo a disposizione più lettere che numeri? Era impossibile. Forse avevo beccato un esercizio senza soluzione. Doveva essere così. 

<< Tommaso lo avrebbe già risolto >> disse con un tono odioso, di sottile scherno. 

Lo fulminai con un'occhiata. Non bastava l'umiliazione di essere lì a farmi dare ripetizioni da una capra, dovevo pure sorbirmi la beffa. 

<< Evidentemente non sei un bravo insegnante >> ribattei acida. 

Mi chiedevo perché la colpa dovesse sempre ricadere sull'alunno e mai sulla persona che impartiva lezioni. 

Quando, poi, quella persona era Sodini era scontato aspettarsi che non gli passasse neanche per l'anticamera del cervello il pensiero di mettersi in discussione.

Dopotutto lui era perfetto. 

Incrociò le braccia sul petto e issò un sopracciglio. << Qui l'unica cosa evidente è che, dopo mezz'ora, non hai capito niente. >>

Spalancai la bocca, punta nel vivo. 

Come osava, quel moscerino, parlarmi in quel modo? 

Boccheggiai per qualche istante mentre nella mente riuscivo solo a vedere immagini di me stessa che lo strozzavo. 

<< Sei tu che, dopo mezz'ora, non sei stato in grado di farti capire >> mi difesi stizzita. << Sei andato troppo veloce. >>

Mi osservò con l'aria di uno che si stava seriamente chiedendo se stessi scherzando. Poi gli spuntò un sorriso che non presagiva niente di buono e abbassò lo sguardo mentre si sporgeva in avanti. << Fossi in te, Nora. >> Pronunciò il mio nome come se fosse stata una presa in giro, gli occhi incastrati ai miei. << Mi iscriverei alle elementari, potresti aver bisogno di ripassare anche le tabelline. >> 

Fui pericolosamente tentata di sbattergli il libro in faccia. 

Mi era montato un nervoso che faticavo a domare. 

Alle elementari. Quello stupido mollusco mi aveva appena detto che sarei dovuta tornare a studiare le tabelline. 

Era persino peggio della Fantucci.

Dovetti contare almeno fino a venti prima di fare un pensiero che non prevedesse il mettergli le mani addosso. 

<< Fossi in te, Sodini >> cominciai a dire, marcando il suo cognome col suo stesso tono. << Eviterei certe battutine. Non ci metto nulla a farti precipitare la media >> dichiarai con un sorrisetto, riferendomi all'ammonimento della professoressa. 

Il poverino era così stupido da non capire che, se non miglioravo, i suoi voti sarebbero sprofondati insieme ai miei. 

Il demente, purtroppo, non perse la voglia di sorridere. << Senza dubbio. Non ti costerebbe neanche fatica >> osò dire. 

Mi stava sfidando? Ottimo.

Al primo compito avrei riconsegnato il foglio in bianco per prendere un bel due che gli avrebbe inficiato la media. In quel momento non m'importava nulla dei miei voti, mi crogiolavo nel pensiero di annientare i suoi. 

Chiusi il libro con un colpo secco, immaginando che lì in mezzo ci fosse la sua testa. 

<< Per oggi basta così >> affermai mentre sistemavo tutto nello zaino. 

<< Che media hai con la Fantucci? >> mi chiese all'improvviso, bello comodo sulla sedia. Aveva la schiena appoggiata allo schienale e le braccia mollemente stese in mezzo alle gambe. 

Lo studiai con diffidenza. << Perché? >> 

<< Per sapere >> disse soltanto, con una scrollata di spalle. Peccato che la vispa luce presente nelle sue iridi e il sorrisino che gli increspava le labbra non facessero pensare ad una domanda innocente. 

<< Non sei tenuto a saperlo >> sentenziai.

<< Non ci metto nulla a scoprirlo >> rispose sicuro.

Un mio sopracciglio scattò verso l'attaccatura dei capelli. << Ah sì? E sentiamo, come faresti? >> 

<< Credi che la Fantucci si farebbe scrupoli a rivelarmelo? >> domandò divertito. 

Probabilmente aveva ragione, ma non gli avrei dato la soddisfazione di ammetterlo. 

Sfoderai un sorriso. << Be', divertiti a scoprirlo. >> 

Chiusi la cerniera dello zaino con un nervosismo mal celato. 

Cosa gli importava conoscere la mia media disastrosa? Anzi, lo sapevo benissimo.

Avrebbe avuto qualcos'altro con cui farsi beffa di me, quello stupido sorcio. 

Si alzò dalla sedia e si fermò a guardarmi. << Senti, tra un quarto d'ora Tommaso e Irene escono da scuola >> disse sbloccando lo schermo del cellulare. << Vieni a prenderli con me e poi vi riporto qua >> decise lanciandomi una breve occhiata.

Annuii. Dopotutto non avevo altra scelta se non quella di accettare le sue condizioni. 

Mi diede le spalle e si incamminò per il corridoio.

Io rimasi seduta al tavolo, in attesa che lui tornasse. 

Il pensiero di dover trascorrere l'intero pomeriggio con la peste minore mi faceva venir voglia di spalancare la portafinestra della cucina e di lanciarmi di sotto.  

L'unica nota positiva sarebbe stata rivedere la piccola Irene. 

I miei occhi vagarono per la cucina, composta di mobili in legno dalle tonalità scure. Il pianale era pulito e in ordine, nel lavello non c'era neanche un piatto o una tazza usata per la colazione. 

Era tutto perfettamente riposto. 

Pensai che se Sodini aveva pranzato a casa, doveva essere stato lui a sistemare e ripulire tutto. 

A giudicare anche da come teneva la sua auto, probabilmente era un fautore dell'ordine, e quella, forse, era l'unica cosa in cui ci assomigliavamo. 

Il rumore dei suoi passi nel corridoio mi fece intuire che era giunto il momento di alzarsi. 

Lasciai lo zaino sulla sedia e riposi il cellulare nella tasca dei jeans, per poi recarmi alla porta d'ingresso. 

Sodini uscì dal salotto con due mazzi di chiavi in mano, quello della macchina lo fece ruotare attorno all'indice mentre avanzava verso di me con un borsone appeso alla spalla. 

Notai che aveva sostituito i pantaloni con un paio di pantaloncini da calcio bassi sui fianchi. 

Nel complesso, mi toccò ammettere, stava bene. Molto bene. 

Non mi riusciva difficile capire perché la maggior parte delle ragazze nella nostra scuola fosse stregata da lui. Aveva un bel fisico, tonico e muscoloso, e la maglietta che indossava non lasciava certo dubbi. 

Mi resi conto della sua effettiva prestanza fisica solo in quel momento, non mi era mai capitato di soffermarmi troppo a guardarlo.

I suoi occhi, invece, avevo cominciato a conoscerli piuttosto bene. Quell'azzurro magnetico era tanto fastidioso quanto la sua capacità di mettere in soggezione.

Quando mi fu abbastanza vicino, distolsi lo sguardo ed aprii la porta. 

Ci mancava solo che quel brutto piccione facesse battutine sul fatto che lo avessi guardato. 

Lo aspettai sul pianerottolo mentre chiudeva a chiave casa. Subito dopo, senza degnarmi della benché minima considerazione, si diresse all'ascensore e ne spalancò i cancelletti. 

Fui colta dall'indecisione: sarei dovuta scendere a piedi oppure no?  

Non ebbi molto tempo per crogiolarmi nel dubbio amletico, Sodini vide bene di non aspettarmi e di premere il pulsante del piano terra.

Ero a dir poco basita. 

Restai per qualche secondo immobile, a contemplare il vuoto che aveva lasciato l'ascensore. 

Non potevo credere che quel moscerino mi avesse mollata lì, senza neanche pormi il civile invito di condividere il passaggio.  

Di tipi maleducati era pieno il mondo, ma un simile cafone probabilmente faceva parte di una specie protetta. Se ne poteva trovare uno su un miliardo, e quella fortuna era toccata a me. 

Decisi di concedermi un profondo respiro al fine di recuperare la calma. 

Ancora qualche minuto e mi sarei tolta quello stupido essere primitivo dai piedi. 

Con la compagnia di quel piacevole pensiero, iniziai a scendere le scale.

Sugli ultimi gradini percepii lo sguardo del caprone addosso. Alzai gli occhi in uno sguardo tutt'altro che amichevole per trovarlo che mi aspettava appoggiato al portone. 

<< Se ci dovevi mettere tanto potevi prendere l'ascensore >> disse.

Cos'era, uno scherzo?

Ingoiai l'insulto che mi stava per scappare di bocca. 

Un mio sopracciglio scattò nei pressi del soffitto mentre strizzavo le labbra. << Te ne sei andato prima che potessi metterci piede. >>

Capii che si stata solo prendendo gioco di me quando vidi un angolo delle sue labbra incurvarsi. 

Si staccò dal portone e schioccò la lingua al palato mentre sollevava il mento. << Ops, che sbadato >> disse, lo sguardo irrisorio. 

Dovetti fare appello a tutte le mie forze per non prenderlo a pugni. 

Il fatto che si stesse vendicando della gomitata che gli avevo rifilato sabato sera scimmiottando le mie stesse parole, mi urtò non poco. 

Quel gigantesco pezzo di sterco trovava sempre il modo per rendermi pan per focaccia. Quando meno me lo aspettavo mi serviva la vendetta. 

Era irritante, e odioso. Mi faceva sentire continuamente in svantaggio.  

Mi morsi la lingua per trattenere anche tutti gli altri insulti che la mia mente stava partorendo a mitragliatrice. 

Lo seguii fuori dal condominio senza smettere per un attimo d'infilzargli la nuca con lo sguardo. 

Quando giungemmo alla sua cara macchina tirata a lucido pensai che ci sarebbe stato propio bene un bel rigo su tutta la fiancata. Speravo che qualcuno glielo facesse, gli avrei stretto la mano. 

Montai sul sedile del passeggero mentre il demente sistemava il borsone nel baule. 

A differenza della volta precedente, in cui avevo visto ben poco dato che Tommaso mi aveva acciecata, notai che al bocchettone centrale dell'aria condizionata era attaccato un piccolo profumatore. Accanto al cambio, in uno scomparto rotondo, erano stipate delle chiavette USB, dedussi per ascoltare la musica dato che una era già inserita nello stereo.  

Per il resto era tutto in ordine e pulito, il che mi confermò quanto tenesse a quella macchina.  

Sodini sprofondò al mio fianco e si passò una mano fra i capelli per ravvivarseli all'indietro, inserì la chiave nel riquadro di accensione e si voltò a guardarmi. 

<< Fossi in te, invece di fissarmi, allaccerei la cintura >> gettò fuori con una faccia da schiaffi mentre faceva scattare la sua, di cintura. 

Le guance mi presero subito colore, intanto che la mia bocca assumeva la forma di quella di un pesce in apnea.  

Come si permetteva? 

Ne avevo fin sopra i capelli delle sue insinuazioni e delle sue beffe. Era chiaro che cercasse la rissa.

Gli scoccai un'occhiata truce. << Non ti stavo fissando >> scandii tra i denti. << Forse la tua eccessiva autostima comincia a farti immaginare le cose. >>

Inarcò un sopracciglio, le iridi azzurre palesemente divertite. << O forse il tuo cervello e i tuoi occhi non vanno a braccetto. >> 

La mia mascella per poco non cadde a terra. 

Stava spudoratamente insinuando che lo fissavo senza rendermene conto. 

Povero, stupido, illuso. Non sapeva che, se ogni tanto, lo osservavo era per renderne conto alle mie amiche. 

<< Che faccia tosta >> sputai stizzita, strattonando la cintura per allacciarla.

Incrociai le braccia al petto e puntai lo sguardo dritto davanti a me mentre l'auto si muoveva nel traffico cittadino. 

Una cosa era certa: avrei dovuto prestare molta più attenzione nella mia missione di spionaggio o quello scemo mi avrebbe presto smascherata. 

Come minimo, Vanessa, Francesca e Linda avrebbero dovuto erigermi una statua d'oro massiccio. Ogni giorno rischiavo la reputazione per carpire uno straccio d'informazione sul caprone. 

Sodini rallentò di fronte a un semaforo prima di fermarsi del tutto. 

Con la coda dell'occhio vidi la sua mano scivolare sulla parte superiore del volante mentre puntellava l'altro gomito al finestrino e appoggiava il viso sul suo pugno chiuso. 

Nell'abitacolo risuonavano le note di una canzone pop che avevo intuito intitolarsi Beautiful People,  intanto che il sole ci investiva coi suoi raggi caldi.

Notai come un lato del suo viso ne venisse illuminato, tanto da rendere una sua iride ancora più azzurra e alcuni ciuffi di capelli di un biondo caldo. 

E poi scorsi un angolo della sua bocca piegarsi. << Lo stai rifacendo >> disse prima di voltarsi a guardarmi. La sua espressione era una chiara provocazione, come se mi stesse ancora sfidando a negare l'evidenza. 

Come faceva a beccarmi ogni dannata volta? Ero così scarsa? 

Cominciavo ad avere dei seri dubbi esistenziali. 

Battei le ciglia innocentemente, mascherando l'agitazione interiore. << Stavo guardando oltre la tua testa >> mentii scrollando le spalle. 

<< Fammi indovinare. Un altro ramo pericolante? >> Sollevò entrambe le sopracciglia con una faccia che sembrava chiedermi se stessi facendo sul serio. 

Gonfiai le guance per il crescente nervoso.

Non riuscivo ad accettare che quel cervello di gallina in brodo si facesse beffa di me. 

In un modo o nell'altro spettava sempre a lui l'ultima parola, e io, puntualmente, finivo con le spalle al muro. 

Il colpo di grazia me lo inferse quando distese le labbra in un sorriso. Uno di quegli odiosi sorrisi che, in una partita di scacchi, avrebbero preceduto le urtanti parole: "scacco matto".

Ingranò la marcia e scivolò nel traffico senza più rivolgermi la parola. 

Fu un bene, perché così ebbi tutto il tempo per macchinare una serie di vendette che purtroppo mi ritrovavo a scartare. L'unico motivo per cui ero costretta ad accantonarle era che l'epilogo di ciascuna prevedeva me dietro delle sbarre.  

La mia parte giudiziosa mi diceva che dovevano esistere altri modi per fargliela pagare. 

E li avrei trovati, a costo di spendere intere nottate a lavorarci su. 

Giungemmo davanti alla scuola, in mezzo ad una ressa di genitori, nonni e bambini, che ancora meditavo sul da farsi. 

Mi ripresi dall'oscurità mentale dei miei pensieri solo quando avvertii la vicinanza fisica di Sodini. Capii che si era leggermente piegato su di me quando un mio gomito sfiorò la sua maglietta.

<< Perché non saluti i tuoi prossimi compagni di classe? >> Il suo respiro s'imbatté contro i capelli che mi coprivano l'orecchio sinistro, facendomi il solletico. 

Ciò che non mi solleticarono l'udito, invece, furono le sue parole, pervase di scherno. 

Strinsi i denti alla vista di alcuni bambini delle elementari che ci camminavano davanti, mano nella mano ai parenti. 

Razza di stupido.

Senza pensarci due volte mandai il gomito all'indietro e lo colpii nell'addome, per poi scostarmi i capelli dalla spalla ed avanzare a passo deciso. 

Udire i suoi strozzati colpetti di tosse fu la musica più piacevole che avessi ascoltato da sabato sera. 

Un dolce suono che mi strappò un ampio sorriso. 

Mi voltai a guardarlo divertita, fino a scontrarmi con le sue iridi cerulee che parevano volermi folgorare. Sì, erano decisamente poco amichevoli. 

Mi strinsi nelle spalle e rivolsi i palmi al cielo. << Ops >> dissi gongolante. 

Quanto mi dispiaceva, ero proprio una sbadata. Almeno quanto lui che aveva premuto il tasto dell'ascensore senza rendersene conto. 

Eravamo pari, la palla al centro.

E non sarei certo stata tanto fessa da farmela soffiare da sotto il naso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo dell'autrice:

Ciao a tutte!

Prima di ogni altra cosa volevo scusarmi per l'immenso ritardo con cui è arrivato questo capitolo! 

In questi giorni ho avuto più da fare e mi sono scordata di aggiornare. 😭Chiedo umilmente perdono. *_*

Il prossimo arriverà lunedì come da programma! 

Intanto spero che questo vi abbia divertito e tenuto compagnia.

Un bacio grasso a tutte!! 

Grazie!!

 

Federica~

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Capitolo 8
*** Beccata, di nuovo ***


Beccata, di nuovo







 

Era giovedì quando la Fantucci, al termine della lezione, ci avvisò che la settimana successiva avremmo dovuto svolgere una verifica. 

Prima di uscire dalla classe mi aveva rivolto uno sguardo da brividi, accompagnato da un sorriso da diabolica faina. 

Pessimo segno.

Mi riversai sul banco, la guancia appoggiata al freddo pianale mentre meditavo sul poco tempo che avrei avuto per prepararmi. 

Era da lunedì che il re dei vermi, alias Sodini, mi dava ripetizioni. O meglio, si limitava a sciorinare qualche definizione con una verve a dir poco sfavata. 

La sua voglia di spiegarmi era paragonabile alla mia di ascoltarlo. Non c'era da stupirsi che non avessi ancora capito nulla, anzi, mi sembrava di avere solo più confusione. 

<< Sono spacciata >> mormorai sconsolata. 

Vanessa saltò a sedere sul banco accanto al mio. << Ma se hai Sodini che ti dà ripetizioni >> ribatté addentando un pezzo di schiacciata. << Non puoi immaginare quanto ti invidi >> aggiunse. 

Mi tirai su e la guardai dritta negli occhi. 

Era da quando la Fantucci aveva sancito quello stupido vincolo tra me e il caprone che lei non faceva che ripetermi quella frase. 

Ogni giorno ci teneva a ribadire che godevo di un sacco di opportunità per stare vicina al suo grande amore. Se da principio ero semplicemente sorvolata sulla cosa, adesso il fatto che mettesse sempre di mezzo la parola "invidia" cominciava ad infastidirmi.

Possibile che non riuscisse a vedere nient'altro oltre a Sodini? Io e le mie preoccupazioni non contavamo nulla? 

<< In effetti avere la media del quattro a matematica è una bella fortuna >> dissi risentita. << La tua media del sei dev'essere proprio una condanna. >> 

I suoi occhi neri atterrarono nei miei, seri. 

Ciò che più mi stupì fu notare come i tratti del suo volto si fossero induriti. Non c'era traccia di pentimento nel suo sguardo, anzi, lessi una punta d'astio che mi fece male. 

<< D'accordo che a te non piace Sodini, ma potresti almeno sforzarti di capire come mi sento. Non c'è bisogno che tu te la prenda tanto se a volte esterno quel che provo >> asserì secca.  

Mi portai una mano sul petto, basita dalle sue parole. << E secondo te io come dovrei sentirmi quando la tua unica preoccupazione riguarda il tempo che trascorro con lui? Sono giorni che, di fronte al mio scoraggiamento, non fai che ripetere che mi invidi. >> 

Il mio stomaco si contrasse per il nervoso. 

Se c'era una cosa che detestavo era proprio discutere. Mi spaventava il pensiero che una persona potesse ferirmi e che io, di conseguenza, potessi fare altrettanto.

Anche se, in genere, ne uscivo sempre io ammaccata. 

Ero talmente emotiva da vivere quelle situazioni con maggiore coinvolgimento rispetto agli altri, non riuscivo a farmele semplicemente scivolare addosso.

In quel momento arrivarono anche Linda e Francesca, munite del panino che avevano comprato al bar della scuola. 

Ci studiarono con sospetto, dopotutto Vanessa aveva smesso di guardarmi e io probabilmente avevo una faccia che parlava da sé. 

<< Che succede? >> chiese Francesca, cauta. 

Vanessa smontò dal banco e, senza dire una parola, uscì a testa alta dalla classe.  

Io, come una stupida, mi ritrovai ad essere ferita dal suo gesto.

Per un attimo pensai di aver esagerato a dirle come mi sentivo, pensai che fosse tutta colpa mia. 

<< Avete litigato? >> domandò Linda, cercando il mio sguardo. 

Spostai gli occhi su di loro e scossi lievemente il capo, assorbita dai pensieri. 

Se c'era un'altra cosa che detestavo era portare avanti le discussioni troppo a lungo. Preferivo cercare subito un confronto, o almeno la maggior parte delle volte. Ogni tanto preferivo prendermi del tempo per stare sola. 

Appoggiai i palmi sul banco e feci leva per alzarmi. << Vado a parlarle. >>

Uscii dall'aula sotto lo sguardo incuriosito di alcuni compagni che avevano assistito alla scena. 

Mi diressi spedita al piccolo bagno vicino al laboratorio di chimica, sicura che Vanessa si fosse nascosta lì. Ed infatti non sbagliai: la trovai attaccata al termosifone, le braccia strette al petto e lo sguardo a terra.

I suoi occhi neri approdarono su di me, sorpresi. Sentimento che ben presto lasciò spazio al risentimento. << Che vuoi? >> chiese tagliente. << Vieni a cercare un'amica che t'invidia? >> 

Deviò lo sguardo alla sua sinistra tirando su col naso. 

In quel preciso istante mi sentii una schifezza. Ero talmente dispiaciuta di vedere i suoi occhi riempirsi di lacrime che dimenticai l'amarezza provata per le sue parole. 

Mi avvicinai a lei lentamente, sfregando le mani agitata. 

Avevo le parole sulla punta della lingua, eppure non riuscivo a lanciarmi per esternarle. 

Mi sentivo così in colpa da temere che le mie scuse sarebbero state accolte con un secco rifiuto, facendomi soffrire. 

<< Non piango per te >> confessò d'un tratto, passandosi una mano sotto il naso. << Ma perché mi sono resa conto di essere una pessima amica e... >> Le sfuggì un singhiozzo che le scosse le spalle mentre continuava ad evitare il mio sguardo. << Sono arrabbiata con me stessa e poi... >> Un altro singhiozzo. << E poi ho le mie cose >> aggiunse in un mormorio.

Mi venne da ridere. 

Scossi il capo e mi gettai su di lei per abbracciarla. 

Non ce la facevo proprio ad essere arrabbiata, non dopo quella piccola confessione. 

Le scoccai un bacio sui capelli e presi a dondolare con lei sul posto, intanto che le sue braccia mi stringevano forte e le sue lacrime mi bagnavano la maglietta. 

<< Che sciocca che sei >> dissi con un sorriso. << E poi che tipo di amica sei lo giudico io, e per me non sei affatto pessima >> sentenziai annuendo. 

Le accarezzai la schiena, per poi liberare un sospiro e alzare gli occhi al cielo. << Tutta colpa di quel caprone di Sodini e degli ormoni. >>

Fui contenta di essere riuscita a strapparle una risata. 

Mi distanziai per guardarle il volto sorridente e sporco di trucco, così poco dopo la aiutai a ripulirsi le guance. 

<< Grazie >> disse con un leggero imbarazzo.

<< Scusami, Vane. >> Le lisciai i capelli con un sorriso, sapendo che quel gesto riusciva a rilassarla. << E per farmi perdonare oggi mi impegnerò a scoprire se Sodini ha la ragazza, come da tua richiesta. >> 

Avrei preferito buttare giù un bicchiere di acqua e moringa, tortura a cui mi aveva sottoposta mia mamma quella mattina rischiando di farmi vomitare, piuttosto che investigare ancora su Voldemort, ma per Vanessa avrei compiuto quello sforzo. 

Lei ridacchiò e annuì. 

La luce viva e divertita che le inondò le iridi scure bastò per farmi rassegnare a quel triste destino.

Non avevo la più pallida idea di come avrei fatto a cavare fuori quell'informazione, ma non potevo fallire.

Mission Impossible: mode ON.

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                   *  *  *

 

 

 

 

 

 

 

 

Erano le tre in punto quando varcai il portone di casa Sorcio Sodini.

Il suddetto topo di fogna mi accolse con la solita pigra flemma, non premurandosi di mascherare quanto fossi per lui una seccatura. 

In genere amavo la sincerità, la schiettezza, ma la sua oltrepassava il confine dell'educazione e sfociava apertamente nelle cattive maniere. 

Razza di cafone. 

Mi accomodai al solito posto al tavolo mentre lui posava le sue terga sulla sedia vicina. 

<< Potrei avere un bicchiere d'acqua? >> chiesi mentre estraevo libro e quaderno dallo zaino. 

Inarcò un sopracciglio, seccato. << E non potevi chiedermelo quando ero in piedi? >> 

Non potevo credere alle mie orecchie. 

Non solo non mi offriva mai nulla, neanche una goccia d'acqua, forse sperando nella mia morte per disidratazione, ma aveva pure la faccia tosta di rimbeccarmi. 

Poverino, gli pesava il sedere. 

<< Fare qualche squat non ti ucciderà >> replicai con un sorriso di mal celata beffa. 

Mi osservò in silenzio per qualche istante, per poi increspare un angolo della bocca in un modo che non prometteva nulla di buono. << Ne hai più bisogno tu di me, perciò prenditelo da sola. >> 

Per la seconda volta in meno di un minuto ero restia a credere a quanto udito. 

Sbattei le palpebre e sollevai le sopracciglia. << Come, prego? >> 

La vena sulla mia fronte stava cominciando a pulsare pericolosamente.

<< Hai sentito bene >> ribatté con una faccia che reclamava schiaffi a gran voce.

Sarei stata contenta di servirgliene uno per lato. E fui anche tentata di licenziarmi in tronco solo per potergli stampare la mia cinquina; a trattenermi fu solo il mio senso del giudizio. 

Feci leva sui palmi per alzarmi mentre lo fulminavo con un'occhiata. Ad innervosirmi ancora di più fu la sua espressione: scherno e divertimento puro. 

Spalancai lo sportello delle stoviglie e, allungandomi sulle punte, riuscii ad afferrare un bicchiere. 

Percepivo il suo odioso sguardo piantato sulla schiena, il che, oltre ad infastidirmi, mi fece agitare come una stupida. Detestavo essere fissata. 

Tornai al tavolo dopo aver riposto il bicchiere nel lavello, ci avrei pensato più tardi a sistemarlo nella lavastoviglie. 

Aprii il libro di matematica con un colpo secco, nervosa per il nostro breve scambio di battute. 

La cosa sconcertante era proprio quella. Non ci parlavamo molto, condensavamo l'antipatia reciproca in poche frasi che avevano il potere di irritarmi come una iena. 

<< La Fantucci ci ha fissato un compito per settimana prossima >> esordii senza degnarlo di un'occhiata. << Perciò cerca di essere comprensibile questa volta >> conclusi acida, inforcandolo con lo sguardo. 

Appoggiò una caviglia sul ginocchio e congiunse le braccia sul petto, le labbra stirate in un mezzo sorriso. 

Già solo quella posa mi fece rizzare i capelli in testa. Come si poteva essere tanto odiosi senza neanche parlare? 

<< Ti consiglio di passare ad accendere qualche cero più tardi. >> Nelle sue iridi azzurre saettò un lampo di spasso, subito dopo il suo sorriso si estese diabolico. << Dopotutto una media del quattro la può risollevare solo un miracolo >> concluse trattenendo a stento una risata, forse causata dalla mia espressione sbigottita. 

Quel mucchietto di cacca puzzolente si era davvero informato sulla mia media. 

Da lunedì, ovvero da quando me l'aveva chiesta, non ne aveva fatto più parola. Ma dovevo aspettarmelo, quel fetido sacco d'immondizia mi colpiva quando meno me lo aspettavo. 

Cercava ogni golosa opportunità per infliggermi un tiro mancino. 

Mi sforzai di ricompormi, gli avevo dato fin troppi motivi per prendermi in giro. 

Ridussi gli occhi a due fessure e strinsi i denti. << Ridi pure. >> Evitai di aggiungere l'insulto che mi bruciava sulla punta della lingua. << Farò lo stesso quando i tuoi voti sprofonderanno insieme ai miei. >> 

La cosa sospetta, e su cui decisi di sorvolare, fu che il babbeo non accennò a rispondere. In compenso, pareva ampiamente divertito.

Decisi, per immensa clemenza, di lasciare che si crogiolasse nella stupida area giochi del suo misero cervello. 

Che ridesse pure, il demente, a conti fatti avrei riso io. 

I successivi venti minuti trascorsero tra le sue svogliate spiegazioni e i miei continui sospiri di frustrazione. 

Venni persino assalita dai dubbi esistenziali: com'era possibile che quel cerebroleso capisse quella materia? Insomma, mi rifiutavo di credere che fosse davvero intelligente. 

In confronto mi sentivo io, la stupida. 

Era sconfortante che dopo venti minuti avessi afferrato un concetto su dieci, o almeno mi sembrava di esserci riuscita. 

La sfida più grande era, poi, applicare tutte quelle formule agli esercizi. 

Non a caso, erano due minuti buoni che stavo fissando un problema come se da un momento all'altro potesse saltare fuori la soluzione. 

Emisi l'ennesimo sospiro, la penna tra le labbra. 

Quello dovette spazientire Sodini che, rischiando di farmi saltare un dente, mi strappò la penna di mano e attirò a sé il quaderno. 

Mi accigliai per i suoi modi tutt'altro che delicati. 

Una volta era andato vicino a rompermi il naso sbattendomi la porta in faccia, adesso ci mancava poco che mi staccasse un dente. 

Dove saremmo andati a finire di quel passo? Cosa sarebbe rimasto di me? 

Mi vedevo già ridotta nelle condizioni della povera Ambrogina. 

<< Non è difficile >> esordì scocciato Sodini. << Basta definire la continuità della funzione nel punto x=0. >> 

E aveva detto poco. Già solo l'italiano della sua frase lo trovavo incomprensibile, figurarsi tradurre il tutto in numeri e calcoli. 

<< Certo >> accordai annuendo. 

Persistette a fissarmi come se stesse cercando di vedere fin dentro la mia scatola cranica, probabilmente alla ricerca del cervello. 

Ad un certo punto indicò un punto sul quaderno con la punta della penna. << Cos'è questa? >> 

Esaminai la pagina ed aggrottai le sopracciglia. << Una parentesi graffa. >>   

Che razza di domande faceva? Non capivo dove volesse andare a parare. 

Scrollò le spalle ed abbassò lo sguardo sul libro. << Qualcosa sai. >> Un angolo della sua bocca si piegò beffardo, producendo in me un moto di stizza. 

<< Molto divertente >> dissi con una smorfia. 

Voltò il capo e mi guardò tra le ciglia. << Non stavo scherzando. >> 

Per qualche secondo non volò una mosca, ci limitammo ad osservarci. 

I suoi occhi azzurri erano inchiodati ai miei. 

Cercai di trasmettergli mentalmente tutti i fantasiosi insulti che gli stavo dedicando. 

Avrebbe dovuto considerarlo un privilegio dato che, per nessun altro in vita mia, ero arrivata ad inventarne tanti. 

Poi increspò le labbra in un sorrisetto, segno che stava per spararne un'altra delle sue. 

Cercai di armarmi di tutta la pazienza che mi era rimasta mentre si accomodava con la schiena e lanciava la penna sul tavolo. 

<< Se non altro potrai scriverle che cos'è una parentesi graffa. La Fantucci apprezzerà lo sforzo >> sentenziò divertito. 

Nella mia testa sparai un acuto da soprano. 

Lo avrei ucciso, era deciso. Quella notte stessa sarei andata a segare il ramo sotto cui si appostava sempre. E addio, Sorcio Sodini. 

Chiusi libro e quaderno con dei colpi secchi, avrei ripassato da sola durante il fine settimana. Ormai era assodato che quel tacchino col cervello a nocciolina non sapesse spiegare. Era inutile perderci tempo. 

Lanciai un'occhiata all'orologio: mancavano venti minuti alle quattro. 

Per quel pomeriggio non avrei dovuto occuparmi dei suoi fratelli, quindi i miei nervi avrebbero goduto di un po' di riposo. 

Era bello vivido, infatti, il ricordo del giorno prima, quando quel dolce angelo di Tommaso mi aveva schiacciato una mano sotto la ciabatta mentre tentavo di raccattare la matita di Irene finita sotto il divano.  

Mi dolevano ancora le dita. 

Il mio non era un semplice lavoro, ma una scuola di sopravvivenza. 

Riposi la mia roba nello zaino e guardai Sodini, che stava dedicando tutta la sua attenzione al cellulare. 

<< Io vado >> dissi, vedendo che si stava alzando.

Ovviamente non mi degnò di considerazione, anzi, mi diede le spalle mentre, in piedi in mezzo alla cucina, digitava qualcosa sulla tastiera. 

Mi interrogai su cosa diavolo stesse scrivendo di tanto importante. 

Come osava ignorarmi?

All'improvviso ricordai la promessa che avevo fatto a Vanessa. 

Mi schiacciai una mano sulla fronte mentre ragionavo lesta su come risolvere il problema.

Non potevo fallire, le avevo assicurato che avrei ottenuto quell'informazione.  

Puntai Sorcio Sodini con fare cospiratorio. 

Volente o nolente, quel babbeo mi avrebbe dato quel che volevo. 

Mi alzai silenziosamente dalla sedia e, con passo felpato, mi appostai alle sue spalle. 

Era troppo alto rispetto a me perché potessi leggere i suoi messaggi. Vicina com'ero, mi sentii piccola e fragile in confronto al suo corpo solido. 

Osservai la linea sinuosa della sua schiena fasciata da una maglietta nera, per poi allungarmi sulle punte e sporgermi oltre la sua spalla destra. 

Nel fatidico momento in cui stavo per decifrare qualcosa, quello stupido ruotò il capo e successivamente l'intero corpo. 

Studiò con sospetto la mia espressione innocente. << Che stavi facendo? >> chiese guardingo. 

Mi dondolai sui talloni e piegai il labbro inferiore. << Nulla, volevo passare. >> 

Inarcò un sopracciglio. << Mi stavi spiando? >> insisté, come se non avessi parlato un secondo prima. 

In nome dell'affetto che mi legava a Vanessa, decisi di giocarmela tutta. 

Quella era la mia ultima opportunità di fare la sua felicità. 

<< Sinceramente, Sodini, non m'interessano i messaggi che ti scambi con la tua ragazza >> buttai là con un sorrisino studiato. 

Sperai che il pesce abboccasse all'amo come una settimana prima aveva fatto il suo amico. 

Mi bastava che affermasse o negasse la mia insinuazione e poi mi sarei potuta defilare, facendo la mia di felicità. 

Il sorcio mi scrutò per una serie di istanti interminabili, finché le sue iridi non si accesero di una luce irrisoria. << Cos'è, un'implicita domanda per sapere se ho la ragazza? >> gettò fuori con un sorrisetto pungente. 

Tentai di mascherare lo sconcerto aggrottando la fronte.

Avevo decisamente sottovalutato il suo quoziente intellettivo. Il suo cervello forse era più grande di una nocciolina, probabilmente raggiungeva le dimensioni di una noce. 

E io stavo seriamente rischiando di avvampare come una stupida colta in flagrante.

<< Certo che no >> mentii scuotendo il capo. 

Non sapevo cos'altro dire, la mia facoltà d'intendere e di volere era evaporata insieme al mio pessimo tentativo di concludere la missione in maniera pulita. 

Era una situazione troppo imbarazzante perché il mio cervello riuscisse a maturare un pensiero che non riguardasse l'espatrio. 

Ancora una volta mi sentivo con le spalle al muro. 

Poi, un qualcosa nel suo sguardo fece sorgere in me un terribile sospetto. 

Forse la luce beffarda, forse il fatto che il suo sopracciglio fosse inarcato come a voler dire: "beccata, di nuovo", o forse quell'aria arrogante e sicura di sé che si rifletteva nel sorrisetto che gli increspava le labbra. 

Ripensai a tutte le volte in cui aveva insinuato che lo stessi fissando, alla volta in cui mi aveva accusata di aver chiamato le mie amiche per spiarlo o a quella in cui aveva spifferato che avevo provato ad abbordare lui e i suoi amici. 

Il sospetto prese forma, facendomi scuotere la testa inorridita.

Ma non era che quel demente credeva che mi piacesse? 

Chiusi un attimo gli occhi e massaggiai le tempie per placare l'agitazione. 

Un incubo. Era un incubo. 

Sollevai il capo e piantai gli occhi nei suoi, mettendo le mani avanti. << Forse c'è stato un malinteso >> esordii, seria. << Non sono minimamente interessata a te. Per niente >> aggiunsi per rimarcare il concetto. 

Il mio discorso sembrò divertirlo ancora di più. 

Abbassò per un attimo la testa per trattenere una risata, per poi osservarmi tra alcuni ciuffi biondi, il capo leggermente piegato di lato. 

Ce l'aveva scritto in faccia quello che pensava: non mi credeva.

Quel cerebroleso si era convinto che fossi infatuata di lui. 

<< Dico sul serio >> ribadii esasperata. << Senza offesa, ma ti trovo anche un po' antipatico >> confessai incrociando le braccia sul petto.

Un po' era riduttivo, ma non volevo peggiorare una situazione già tragica. Era paradossale che fossi finita a difendermi da un'implicita accusa di cotta. 

A quel punto gli scappò davvero da ridere. 

Si curvò in avanti per sghignazzare delle mie parole, il che contribuì ad aumentare il mio livello di stress.  

Pestai i piedi per terra, frustrata. Il suo povero cervello a noce non era capace di fare due più due. 

<< Ma perché ridi? Io sto parlando seriamente. >> Mi tirai indietro i capelli, i palmi sudati. << Dio, un incubo >> borbottai disperata. 

Continuavo a parlare ad un muro.

Quello stupido era talmente pieno di sé da non riuscire ad afferrare una verità tanto semplice. 

Ad un certo punto, mentre fissavo il vuoto sconsolata, lo vidi passarsi una mano tra i capelli ed avanzare di un passo. Mi ritrovai costretta ad alzare il mento per poterlo guardare negli occhi, tant'era vicino. 

Percepii tutto il peso di quelle iridi azzurre addosso, fisse com'erano su di me.

Subito dopo notai che un angolo della sua bocca era stirato in un sorrisetto da schiaffi. 

<< Puoi risparmiare il fiato, in ogni caso non sei proprio il mio tipo >> disse con una tranquillità disarmante. 

Avevamo toccato il fondo. Cos'avevo appena sentito? 

Sbattei le palpebre più volte, sgomenta. << Fammi capire: mi stai rifiutando? >> domandai, un sopracciglio nei pressi del soffitto. 

Io sprecavo fiato a dirgli che non mi piaceva e quello mi scaricava. Ovviamente col tatto e la dolcezza di un piede di porco. 

Fece spallucce e calò le mani nelle tasche dei pantaloni della tuta, lo sguardo pervaso di beffa. 

La mia vena sulla fronte rischiò di esplodere. << Sei tu a non essere il mio tipo, te lo assicuro >> dissi fra i denti. 

Ero estremamente vicina a mettergli le mani addosso per strozzarlo. 

La sua faccia tosta e la sua presunzione erano irritanti oltre ogni dire. 

<< Sai, Nora >> iniziò, pronunciando il mio nome in tono odioso. Mi resi conto che aveva avvicinato il viso solo quando scorsi le striature più chiare e più scure presenti nelle sue iridi azzurre, ma mi imposi di non retrocedere. Non mi sarei fatta intimidire. 

<< Questo è esattamente quello che direbbe una ragazza col cuore spezzato. >> Sulla sua bocca si delineò un perfido sorriso di scherno mentre arricciava il naso. << Cerca di non soffrire troppo. >>

Detto ciò si tirò su dritto, recuperò il telefono dal bancone della cucina e mi diede le spalle. 

Nel giro di pochi secondi vissi una serie di emozioni l'una di fila all'altra, a cominciare dallo sbigottimento fino alla rabbia cieca.

Fui tentata di saltargli sulle spalle e torcergli il collo come avevo visto fare nei film. 

Quel sorcio con cervello di gallina e fattezze di demonio mi stava trasformando in una persona violenta e propensa alla guerra. 

Dovevo uscire da quella casa, o avrei seriamente rischiato di ritrovarmi in prigione il giorno seguente. 

Ero un fascio di nervi, non vedevo l'ora di lanciarmi sul letto e sfogare la frustrazione in un urlo contro il cuscino. 

Per questo procedetti spedita fino alla porta, la spalancai e me la ribattei alle spalle, facendo propagare quel rumore per la tromba delle scale. 

Era l'essere più odioso sulla faccia della terra, superava persino la Fantucci, il che era grave. 

Il fatto che si fosse convinto di piacermi era un insulto. Era così abituato a ricevere lusinghe, confessioni e complimenti dal genere femminile da non poter accettare qualcosa di diametralmente opposto. 

Osava rifiutarmi, la capra. 

<< Non sei proprio il mio tipo >> gli feci il verso mentre camminavo per strada. 

Un uomo anziano, di cui mi accorsi solo in quel momento, si voltò a guardarmi con un'espressione inorridita. << Lo credo bene, potrei essere tuo nonno >> rispose agitando la mazza a mo' di rimprovero. 

Volevo sprofondare. 

Sospirai, prossima ad un'esplosione di nervi, e mi sforzai di sorridergli. << Non dicevo a lei, parlavo... da sola >> spiegai sotto il suo sguardo stranito. 

Decisi di tirare dritto prima che potesse consigliarmi una visita dallo psichiatra. 

Era tutta colpa di Sodini se mi ero ridotta in quelle condizioni, ma mi sarei vendicata. 

Eccome, quando meno se lo fosse aspettato. 

Occhio per occhio, dente per dente. 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                   *  *  *

 

 

 

 

 

 

 

 

Il fine settimana lo aveva trascorso a restaurare la condizione dei miei poveri nervi. 

Sabato, dopo la scuola, ero uscita con le ragazze per fare un giro nel centro cittadino. 

Mi ero divertita e riposata, e avevo sgomberato la mente dai pensieri nocivi che riguardavano Sorcio Sodini. 

Dopo aver raccontato loro del terribile malinteso con lo stupido, avevo chiesto alle mie amiche di non nominarmelo più, almeno per quel giorno. E così mi ero goduta l'intero pomeriggio proprio come ai vecchi tempi, quando non avevo ancora a che fare con Voldemort.  

La domenica, invece, l'avevo quasi tutta passata a studiare come una pazza. 

Quel compito di matematica pesava sulla mia testa come la spada di Damocle. Solo che, a giudicare dai numerosi fogli che avevo riempito di scarabocchi, prevedevo una decapitazione impietosa. 

La sera, dopo cena, mi ero abbarbicata a mia mamma sul divano. Avevo cercato il suo favore in caso di un altro pessimo voto, preparandola psicologicamente con qualche frase lanciata qua e là in modo studiato. 

Nel sentirle dire che avrebbe cercato di raggruppare un po' di soldi per mandarmi a ripetizioni, mi si era stretto il cuore. Così l'avevo rassicurata che in realtà mi stava già aiutando un amico, ma che per i primi tempi forse avrei preso ancora qualche brutto voto. 

Pronunciare quella parola mi era costata non poca fatica, avevo quasi avuto gli urti di vomito.

E, peggio ancora, quella confessione a mia mamma aveva segnato la mia fine dato che, giunta a quel punto, non avrei potuto troncare le ripetizioni col sorcio. 

Non potevo permettere a mia mamma di spendere soldi per mandarmi da qualcun altro. 

Inorridivo nel constatare come la mia vita finisse sempre più per intrecciarsi con quella di Sodini. Meno volevo starci e più mi toccava vederlo. 

Parlando in termini di destino, come diceva Francesca, il mio era davvero infame. 

Lunedì mattina arrivò in un battito di ciglia. 

Mi alzai alle cinque per avere il tempo di ripassare quanto più possibile in vista del compito di matematica. Con gli occhi ancora mezzi chiusi mi trascinai alla scrivania e sprofondai sulla sedia, per poi riempirmi la vista di formule, definizioni e grafici. 

Mezz'ora dopo ero schiantata sui libri. Letteralmente, dato che avevo finito per addormentarmi.

Fu mia mamma a svegliarmi, un'ora più tardi, intimandomi di sbrigarmi. 

Feci una rapida doccia, sistemai i capelli con delle mollettine, una per lato, e mi truccai in fretta. 

Alla colazione dedicai un po' più di tempo dato che tirai di nuovo fuori il libro di quell'odiosa materia per tentare, in maniera disperata, di capirci qualcosa. 

Alla fine salutai mia mamma con un gesto da militare e, con la consapevolezza che la mia personale spada di Damocle mi avrebbe decapitata, mi incamminai verso la scuola. 

Giunsi in classe che tutti, nessuno escluso, stavano ripassando per il compito. 

Se non altro non ero l'unica disperata. 

Arrivai al mio banco ed appoggiai la cartella, per poi sfilarmi il cappotto mentre osservavo le mie amiche e Giacomo che discutevano sulla soluzione di un problema. 

Erano così occupati da non essersi resi conto della mia presenza, cosa che invece non sfuggì a Ruggero.

Avvertii un suo braccio circondarmi il collo per attirarmi a sé. La mia spalla toccò il suo costato mentre alzavo il capo per guardare il suo sorriso smagliante.

Il suo gesto mi imbarazzò non poco, ma cercai di mascherarlo dietro un sorriso. 

<< Pronta per suggerirmi? >> chiese.

Mi scappò da ridere. << Hai scelto la persona sbagliata. Al massimo posso suggerirti la data. >> 

Scrollò le spalle. << Ottimo, ti sei aggiudicata il posto vicino al mio >> disse facendomi l'occhiolino. 

Risi di nuovo, perché con lui era facile divertirsi. I suoi modi erano tutto l'opposto di quelli arroganti e odiosi di Sorcio Sodini. Tiravano fuori la parte migliore di me, la Nora docile e scherzosa, non quella acida e bisbetica. 

Intercettai il sorriso malizioso di Vanessa con la coda dell'occhio. 

Immediatamente sentii le guance riscaldarsi e abbassai il capo per guardare il mio zaino sul banco. 

Ruggero dovette scambiare quel mio cambio d'umore repentino per un momento di sconforto perché risalì con la mano fino ai miei capelli e li accarezzò piano. << Tranquilla, recupererai. Se non ora col prossimo compito >> mi confortò, il tono gentile.

Spostai gli occhi nei suoi e mi aprii in un sorriso grato. 

Ma perché non poteva essere lui un genio in matematica? Farmi dare ripetizioni sarebbe stato molto più facile. 

<< Ruggi! >> urlò Beatrice Corsi, dall'altro lato dell'aula, sbracciandosi. << Puoi venire un attimo? >> 

Era risaputo fra tutte le ragazze della classe che Beatrice aveva una cotta per Ruggero da almeno due anni. Il primo anno le era andata bene dato che lui l'aveva assecondata, uscendoci insieme, ma poi nel giro di qualche mese Ruggero l'aveva scaricata. 

Avevamo assistito alla disperata crisi di pianto di Beatrice negli spogliatoi della palestra e, per circa un mese nel quale non aveva fatto altro che trascinarsi da una parte all'altra come uno zombie, l'avevamo tutte aiutata a superare la rottura. 

Poi, di punto in bianco, era tornata all'attacco più agguerrita di prima. 

Voleva riconquistare Ruggero con le unghie e con i denti. 

Beatrice si puntellò le mani sui fianchi e strizzò le labbra, rivolgendomi un'occhiata di sprono ad aiutarla. 

<< Dovresti andare >> dissi a lui. 

Ruggero sbuffò pesantemente dal naso. << Che vuole, quella cretina? >> 

Gli tirai un leggero colpo nello stomaco per rimproverarlo, anche se mi riusciva difficile trattenermi dal ridere. << Dai, vai a sentire. E trattala bene >> lo ammonii divertita.

Lui mi guardò con un ampio sorriso, poi, dopo avermi scompigliato i capelli fece scivolare il braccio dal mio collo e si allontanò per avanzare in direzione della sua ex ragazza. 

Vanessa mi fu subito addosso, Linda e Francesca mi accerchiarono come se fossi stata una preda.

<< Gli piaci, è sicuro >> dichiarò Vanessa, su di giri. << Lo sapevo, lo sapevo >> aggiunse tutta eccitata, battendo le mani. 

Sbattei le palpebre più volte, imbarazzata. << Ma no, si comporta solo da... amico >> dissi incerta, aggrottando la fronte.

Mi costava essere sincera con me stessa su quella questione, ma dovevo ammettere che non erano sfuggite neanche a me le attenzioni di Ruggero. 

Speravo con ogni fibra del mio corpo di sbagliarmi perché non avrei sopportato l'idea di ferirlo. Con lui stavo bene, e non era nemmeno brutto, ma non ero in grado di vederlo in modo diverso. Non in modo romantico

Vanessa mi osservò come se fossi stata un caso perso. << Ti pare che con me si comporti nello stesso modo? Eppure siamo amici. Questa si chiama cotta, mia cara, una gran bella cotta >> affermò battendo il dorso della mano sull'altra.

Francesca annuì. << Sono d'accordo. >> 

Linda alzò un braccio con un sorriso da orecchio a orecchio. << Mi aggiungo. >> 

Sospirai e subito dopo scossi il capo. << Non voglio pensarci, non adesso. Devo concentrarmi sul compito di matematica >> sentenziai risoluta. << Perciò andiamo a ripassare. Scattare >> dissi scherzosa, prendendo Vanessa per le spalle per ruotarla.

Si prospettava già una giornata difficile, se mi fossi fatta assalire anche dall'ansia per la situazione con Ruggero a fine giornata avrei avuto i capelli bianchi. 

Per il momento volevo relegarla nei meandri più reconditi del mio cervello.

Prima o poi ci avrei pensato. Più poi che prima. 

 

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Capitolo 9
*** Mai Una Gioia ***


Mai Una Gioia 







 

 

 

 

Lunedì pomeriggio, martedì e mercoledì erano stati un incubo.

Il caro, piccolo ed angelico Tommaso me ne aveva combinata una dietro l'altra.

Lunedì, ad esempio, ero stata tanto sciocca da assecondare il gioco partorito dalla sua mente diabolica. 

Lui e Irene mi avevano fatta distendere sul divano e, assicurandomi di usare la penna con l'inchiostro simpatico, mi avevano dipinto la faccia.

L'idea di riposarmi un po' su quel comodo divano non mi era apparsa tanto malvagia, così, ingenuamente, avevo acconsentito.

Inoltre avevo espressamente chiesto ai bambini di mostrarmi la loro penna magica, che avevo riconosciuto essere uguale a quella che tenevo sulla mia scrivania. 

Mi ero fidata come una polla. 

Il marmocchio aveva visto bene di sostituire l'inchiostro invisibile con uno nero.

A fine turno mi ero presentata davanti a Sorcio Sodini con un paio di bellissimi baffi, un appariscente pizzetto, delle lacrime a cascata sotto agli occhi e la dolce scritta befana sulla fronte. 

Ignara delle condizioni della mia faccia mi ero persino risentita quando il sopracitato era rimasto a fissarmi per qualche secondo, per poi strozzarsi con una risata mentre si defilava nel corridoio. 

Inutile descrivere le espressioni della gente che mi aveva vista camminare per strada. 

Ebbene sì, perché quel demente di Sodini non si era premurato di avvertirmi. Mi aveva lasciata uscire da casa sua in quelle pietose e ridicole condizioni.

Un animo davvero cavalleresco il suo. 

Giunta a casa ero corsa in bagno per guardarmi allo specchio. 

Per una serie indefinita di istanti, probabilmente per lo shock, non avevo mosso un muscolo. Successivamente avevo lanciato un urlo misto ad un ringhio di rabbia e mi ero fiondata in camera per prendere a cuscinate il mio letto, immaginando fosse Sodini. 

Quella sera avevo sprecato quasi un'ora a lavarmi il viso, riducendomi ad una faccia paonazza.

Se non altro, meditai giovedì mattina, un'altra settimana stava per volgere al termine.

Mi strinsi nel cappotto mentre procedevo verso la scuola, i palmi sudati per l'ansia che la Fantucci potesse restituire i compiti.

Quella faina era velocissima a correggere le verifiche, secondo molti perché godeva nel trovare errori e nell'elargire brutti voti. 

Non contavo di aver preso la sufficienza, non potevo aspirare a tanto dopo aver tentato di risolvere i problemi, ma almeno avrei abbassato la media del mio caro amico

Varcai il cancello e camminai spedita lungo il viale, avvistando Sodini e compagnia con la coda dell'occhio. 

Mi scappò un sorrisetto vittorioso. 

Avevo poco di cui rallegrarmi, in effetti, dato che il pessimo voto me lo sarei beccato lo stesso, ma il pensiero di poter nuocere a quel demente mi elettrizzava. 

Un po' di giustizia, perbacco. 

Le prime due ore passarono senza complicazioni dato che a letteratura italiana aveva spiegato e ad arte pure. 

Al termine della seconda ora volai in bagno, incrociando quello stupido di Sodini nell'atrio del primo piano che si recava al laboratorio di chimica. 

Evitai di concedergli il lusso di una mia occhiata. 

Mi parve solo di scorgere un angolo della sua bocca incurvarsi mentre gli passavo accanto, ma non gli diedi importanza.  

La campanella della terza ora suonò che salivo gli ultimi gradini della mia torretta. Accelerai il passo per evitare che la Fantucci arrivasse prima di me, considerata la sua puntualità. 

Non appena raggiunsi il banco, infatti, la faina fece il suo ingresso in aula, portando con sé una nube di freddezza e malumore.

Vanessa, seduta impettita accanto a me, trattenne il respiro.

Mi voltai a guardare Linda e Francesca da sopra la spalla: la prima apparentemente tranquilla, sebbene sapessi quanto fosse agitata, la seconda con una mano davanti alla faccia. 

Saltai letteralmente sul posto, spaventata, quando la Fantucci sbatté qualcosa sulla cattedra. I miei occhi misero a fuoco un plico di fogli: le verifiche corrette.

Sudai freddo mentre lo stomaco mi si stringeva. 

<< Mantucci, distribuiscili >> ordinò severa.

Edoardo Mantucci scattò come un soldatino. 

<< Non ho parole per descrivere l'orrore di questi compiti >> attaccò lei, congiungendo le mani. << Ore e ore a spiegare per nulla. Neanche i ciuchi avrebbero potuto fare peggio. >> 

Malgrado la drammaticità della situazione, mi venne da sorridere per quella frase.

La Fantucci, ogni volta che restituiva le verifiche, partiva con dei monologhi che duravano anche tutta l'ora e che io trovavo molto divertenti. 

Non capivo nemmeno io perché dato che spesso ci andava giù pesante: forse era la combo di ciò che diceva con il suo tono acido, a tratti stridulo. 

<< Una parola: schifo >> continuò. << Mi sono vergognata per voi e spero che farete altrettanto una volta visti i vostri errori, asini. >> Sull'ultima parola alzò la voce, gli occhietti in fiamme. 

Sul mio banco planò il compito, un tempo bianco come una colomba. In quel momento, invece, pieno di segni e scarabocchi rossi, con un bel tre al centro dell'ultima pagina. 

Sospirai mesta. 

Subito dopo arrivò quello di Vanessa, che rilassò le spalle alla vista di un sei meno. 

Le feci una carezza sulla schiena e le sorrisi per congratularmi. 

Lei guardò il mio voto e s'incupì, dispiaciuta. Mi strinsi nelle spalle e alzai i palmi al cielo, il tutto col sottofondo della Fantucci che persisteva a lamentarsi.

Mi voltai a cercare lo sguardo di Francesca, speranzosa che avesse preso la sufficienza. 

Fui contenta di constatare che stesse sorridendo, così, notando che la stavo guardando, girò il foglio e mi mostrò un grosso sei, gli occhi che sprizzavano felicità. 

Battei le mani silenziosamente e l'attimo dopo mi concentrai su Linda che, imitando Francesca, mi fece vedere che aveva preso sette.

Sollevai un pollice e sorrisi a entrambe, contenta per loro. 

<< Per oggi non ho intenzione di  spiegare, sarebbe inutile andare avanti dopo questi pessimi risultati >> disse la Fantucci con una smorfia schifata. << Ricopiate gli errori e meditateci su, in silenzio. Il primo che parla vola dal preside. >> 

Per tutto il resto dell'ora cercai di fare quanto aveva comandato. Provai davvero a capire cos'avessi sbagliato e, seppur con qualche difficoltà, afferrai alcune delle correzioni scritte dalla professoressa. 

Le altre, quelle su cui avevo dei dubbi, le ricopiai così da poter chiedere a Linda di spiegarmele.  

La campanella suonò mentre stavo scrivendo i restanti numeri. Mi alzai tra gli ultimi per riconsegnare il compito e, quando lo feci, la Fantucci mi scoccò un'occhiata raggelante.

<< Puoi trattenerti, Gigli? Vorrei parlarti, gli altri possono uscire >> disse alzando il tono, fulminando uno a uno quelli che erano ancora in classe.

Ero confusa e agitata. 

Che volesse rimproverarmi per il brutto voto? Lo aveva fatto per circa un'ora, anche se non a me personalmente. 

Salutai mentalmente tutti i miei compagni, anche le mie amiche, che si allontanavano con sguardo preoccupato. 

La Fantucci impilò le verifiche e le picchiettò sulla cattedra per allinearle. << Dimmi un po', Gigli, cosa vogliamo fare quest'anno? >> mi chiese, senza alzare gli occhi su di me. 

La mia confusione aumentò. 

Aggrottai la fronte e mi sfregai le mani, agitata. << Voglio recuperare, mi sto impegnando per migliorare. >> 

Lei annuì con un piccolo sorriso da brividi. << E in che modo? >> Puntellò un gomito sulla scrivania ed appoggiò il mento sul pugno, ruotandosi a fissarmi.

La situazione stava diventando inquietante. Il mio naso avvertiva puzza di guai, ma non capivo dove fosse nascosto il tranello. 

<< Sto prendendo ripetizioni da Sodini, come ha voluto lei >> dissi.

Le sue iridi nere furono attraversate da un lampo. Lì capii di essere caduta nella trappola. 

<< Sicura, Gigli? Perché vedi... >> Abbassò le mani e le congiunse, per poi inclinare il capo e studiarmi con nervosismo. << Sodini mi ha riferito tutt'altro. >> 

La mia mascella sfondò il pavimento.

<< Che cosa? >> mi uscì di bocca prima che potessi pensarci, il tono più alto. 

<< Gigli, evitiamo i melodrammi >> mi rimbrottò subito lei, severa. 

Ingoiai la caterva di parole che avrei voluto riversarle addosso. 

Le tempie presero a pulsarmi per la rabbia mentre il mio battito cardiaco accelerava. 

<< Ti affianco un tutor valido e capace per permetterti di migliorare e tu che fai? >> Assottigliò lo sguardo, rendendolo affilato quanto una lama. << Non ti presenti alle ripetizioni? >>

Quella falsità mi urtò le orecchie come acido. 

Feci per rispondere, ma lei mi interruppe subito alzando una mano. 

<< Non m'interessano le tue giustificazioni >> asserì secca. << La considero una mancanza di rispetto nei miei confronti. Credi davvero di poterti concedere il lusso di fare come ti pare, contravvenendo ad una mia direttiva? Vuoi finire l'anno a piangere? >> 

Strinsi così forte i denti da non poter contrattaccare. 

Era chiaro quanto la Fantucci stimasse Sodini, non avrebbe mai creduto a me. La mia media del quattro mi classificava tra coloro che non avevano diritto di replica. 

Lei scosse il capo con una smorfia infastidita. << È chiaro che per questa volta il tuo voto non andrà ad incidere su quelli di Sodini, sarebbe ingiusto. >>

Nella mia mente urlai, urlai con tutte le mie forze. 

Quell'odioso essere era riuscito a scamparla accampando quella sporca menzogna. 

Ora mi spiegavo il perché della sua aria rilassata l'ultima volta che gli avevo fatto presente della clausola stipulata dalla professoressa o del suo sorrisetto nel corridoio, proprio quella mattina.

<< D'ora in poi, Gigli, farai esattamente come ho detto >> disse lei, ridestandomi dalle maledizioni che stavo riversando su Sodini. << O a fine anno piangerai sul serio >> concluse acida. 

Annuii soltanto, accecata dalla rabbia. 

Lo avrei trovato e ucciso, quel mucchietto di sterco suino. 

Aveva superato il limite, mettendomi persino nei guai con la Fantucci. 

<< Ora puoi andare >> sentenziò con un gesto stanco della mano. 

Non me lo feci ripetere due volte. Partii con la furia di un bulldozer, mi precipitai fuori dalla classe e puntai alle scale.

Quel fetido sorcio doveva trovarsi nei pressi del laboratorio di chimica. Speravo che fosse ancora lì per potergli riversare addosso il fiume d'insulti che stavo trattenendo da un po'. 

Prima che riuscissi a mettere piede sul primo gradino, fui strattonata all'indietro. 

Riconobbi i volti delle mie amiche, a metà tra il preoccupato e l'interrogativo. 

<< Che cos'è successo? >> mi chiese Linda, scavando nel mio sguardo. << Sembra tu voglia picchiare qualcuno. >> 

<< Hai indovinato. Sodini ha le ore contate >> sputai tra i denti. << Quello schifoso bugiardo ha raccontato alla Fantucci che non mi sono mai presentata alle ripetizioni così da non farsi sciupare la media dal mio voto >> spiegai frettolosamente. 

Ripeterlo mi fece montare ancora più rabbia. 

Era assurdo che la faina gli avesse creduto senza prima accertarsi che fosse la verità. 

Francesca strabuzzò gli occhi. << Cosa? Da lui non me lo sarei mai aspettato. >> 

<< E non sei riuscita a spiegare alla Fantucci che non era vero? >> mi chiese Vanessa, le sopracciglia arcuate. 

Battei le mani sulle gambe. << Non mi ha creduta, non mi ha neanche lasciata parlare. >> 

Vedevo rosso, se avessi beccato Sodini lo avrei incornato come un toro.

<< Scusate, ma ora devo andare a regolare i conti >> dissi prima di voltarmi. 

Linda mi trattenne ancora una volta. 

Le rivolsi un'occhiata truce, ma non perché ce l'avessi con lei. Era solo che in quel modo prolungava il lasso di tempo che mi separava dallo scannare il sorcio.

<< Non pensi sia meglio sbollire un po' di rabbia prima? >> tentò con sguardo supplichevole.

Il suo consiglio era saggio, molto saggio. Peccato che i miei neuroni fossero di tutt'altro avviso: più propensi alla vendetta. 

<< No >> dissi infatti. 

<< Ma pensaci bene >> continuò lei. << Se qualcuno vi vedesse discutere animatamente potrebbe chiamare qualche professore o persino il preside. >> Vanessa e Francesca annuirono per darle manforte. << E poi tra poco finisce la ricreazione, non avresti molto tempo. >> 

Dovevo ammettere che le sue ragioni non facevano una piega. Non mi interessava se professori o preside ci avessero visti, anzi, avrei approfittato dell'occasione per raccontare loro la verità, ma il fatto di non avere abbastanza tempo per regolare i conti mi seccava parecchio. 

Sbuffai nervosamente e alzai gli occhi al cielo. << E va bene >> accordai. 

Tutt'e tre sorrisero. 

<< Così nel frattempo avrai modo di spegnere il fuoco della rabbia che ti divora >> aggiunse Francesca, facendomi l'occhiolino. 

La guardai severamente. << Ne dubito. >> 

Vanessa si strinse nelle spalle. << Tu provaci. >>

Sbuffai ancora. << E va bene. >> 

Ci avrei provato solo perché ero una persona civile e ben educata. 

Odiavo la violenza e le discussioni, non volevo proprio averci a che fare. Perciò avrei fatto l'immane sforzo di perdonare Sodini, o almeno di convincermi che era possibile farlo. 

Dovevo ricordarmi che ero una dolce fanciulla, tenera e compassionevole, garbata e angelica. 

Espirai dal naso e rilassai le spalle. 

Sì, potevo farcela. Potevo abbandonare l'ascia di guerra e tornare ad essere la me stessa cortese.

Potevo farcela. 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                   *  *  *

 

 

 

 

 

 

 

 

Ero carica a pallettoni. Lo avrei steso, quel mollusco rivoltante. 

La meditazione delle ore precedenti non aveva sortito in me l'effetto sperato, bensì mi aveva rammentato quanto Sorcio Sodini fosse stato infido e sleale. 

Ero arrivata alla conclusione che non avrebbe potuto passarla liscia. 

Volevo la rissa selvaggia, al diavolo la civiltà. 

Diedi ben due scampanellate al suo numero civico, sperando vivamente che fosse in casa. 

Il portone scattò dopo avermi fatto attendere per almeno una quindicina di secondi che contribuirono ad irritarmi.

Mi precipitai per le scale e salii gradino dopo gradino con una furia animale. Ero un toro pronto ad incornare.

Una volta giunta al suo pianerottolo, mi fiondai in casa e lo cercai con sguardo omicida, sbattendomi la porta alle spalle. 

Il suddetto topo di fogna si affacciò dalla cucina con una lattina di Coca Cola in mano. 

Gli spuntò un sorrisetto da schiaffi mentre si appoggiava alla porta con una spalla, le caviglie incrociate. << Com'è andato il compito? >> chiese prima di bere un sorso della bibita. 

Il babbuino osava fare pure dello spirito. 

Ridussi gli occhi a due fessure ed avanzai verso di lui puntandolo con un dito. << Tu, lurido sacco di fetida immondizia, come hai potuto? Hai idea della figura che mi hai fatto fare con la Fantucci? >> 

Arricciò il naso, l'espressione derisoria. << Che peccato. >>

Chiusi per un attimo gli occhi, raccogliendo quanto più ossigeno nei polmoni. 

Stavo per esplodere, me lo sentivo. 

<< Come ti sei permesso di mettermi nei guai? >> chiesi fra i denti, guardandolo truce. << Sono già ai ferri corti con la prof, e tu mi peggiori la situazione? >>

Lui inarcò un sopracciglio. << Dovrebbe importarmi? >> 

Spalancai la bocca di fronte alla sua risposta. Come poteva essere tanto insensibile? 

Contrassi così forte la mandibola da rischiare di perdere un dente. La rabbia mi stava esplodendo in scintille dietro le palpebre. 

Dovette trovare la mia espressione particolarmente spassosa perché subito dopo gli scappò da ridere. 

<< Pensavi davvero che mi sarei fatto rovinare la media da te? >> domandò con sguardo incredulo, come se fossi solo una povera stupida. 

Arcuai un sopracciglio con stizza. << Pensavo che saresti stato leale ai patti. >> 

Fece spallucce, le labbra stese in un mezzo sorriso di scherno. 

Potevo dire di aver conosciuto l'essere più odioso sulla faccia della terra. 

Era quanto di più irritante potesse esistere. 

Abbassai gli occhi sulla sua lattina. L'idea di rovesciargliela in testa fu talmente allettante che non riuscii a trattenere il mio braccio dal muoversi fulmineo per strappargliela di mano. 

Lui si mosse di scatto per riafferrarla, ma io retrocessi di un passo e gli lanciai direttamente il contenuto addosso. 

Osservai con immensa soddisfazione i suoi vestiti e i suoi capelli bagnati, per poi esaminare la sua faccia gocciolante nel momento in cui la alzò per infilzarmi con un'occhiata. 

Sfoggiai un sorriso ed inclinai la testa di lato. << Chi la fa, l'aspetti. Te l'hanno mai insegnato, Sodini? >> 

Dalla sua bocca uscì un insulto rivolto alla mia splendida persona. 

Poco me ne importava, quella piccola vendetta mi aveva ben ripagata. 

<< Che fate? Giocate? >> La voce della piccola Irene sopraggiunse da dietro di me. 

Mi voltai per sorriderle calorosamente mentre i suoi occhioni oscillavano tra me e il sorcio. Mi piegai sulle ginocchia e indicai la pozza ai piedi del demente. << Tuo fratello si è fatto la pipì addosso, visto? >> 

Irene rise divertita e batté le mani paffute, per poi additare il fratello e urlare la parola "pipì" a ripetizione. 

Accanto a lei spuntò il terribile Tom Riddle, armato del suo fido fucile ad acqua, per accertarsi dei fatti. 

<< Tommi, mi presteresti il tuo fucile? >> Il suo tono spazientito fece risuonare nel mio cervello la campana d'allarme. 

No, non gli avrei permesso di farla franca. 

Scattai subito in piedi e mi frapposi fra loro. << No >> dichiarai risoluta, alternando lo sguardo fra i fratelli. 

Sodini senior prese ad avanzare verso il suo degno seguace con determinazione. 

Spalancai le braccia e gli ostruii il passaggio. << Non provarci >> sibilai.

I suoi occhi azzurri mi puntarono beffardi mentre compiva un ulteriore passo avanti, finendo per interporre solo pochi centimetri fra i nostri corpi.

Sollevai il mento per non slegare i nostri sguardi, ritrovandomi ad osservare i ciuffi mossi che gli coprivano parte della fronte, la linea decisa dei suoi zigomi, della sua mandibola. E poi ancora quelle iridi del colore del cielo, così irritanti quanto scombussolanti. 

Sentii il suo avambraccio sfiorarmi il fianco, così sgranai gli occhi, conscia di quanto stesse accadendo.

Non ebbi il tempo di voltarmi verso il piccolo traditore che Sodini aveva già afferrato il fucile. 

Me lo puntò contro impugnandolo con un solo braccio, da cecchino esperto, mentre retrocedevo in un vano quanto disperato tentativo di sfuggirgli.

Un angolo della sua bocca si incurvò divertito. << Ultime parole? >> 

<< Me la pagherai >> dissi fra i denti. 

Lanciai un urlo nel momento in cui quel demonio mi sparò addosso un fiotto d'acqua gelida. Mi colpì dritta al petto, per poi mirare alla faccia ed infine alla schiena quando mi misi a correre nel corridoio. 

Giunsi in salotto che mi gocciolava una parte dei capelli, che avevo mezza maglietta fradicia e il trucco colato. 

Mi passai le dita sotto gli occhi per ripulire le sbavature, osservando poi i polpastrelli completamente neri. 

La mia vena sulla fronte pulsò per il nervoso. 

Sodini si appoggiò allo stipite della porta con la spalla, il fucile puntato al soffitto e l'espressione soddisfatta. 

I bambini entrarono uno dopo l'altro, per poi scoppiare a ridere delle mie condizioni. 

Oltre al danno anche la beffa. Avrei voluto pestare i piedi per terra e urlare. 

Non avevo avuto il tempo di godermi una piccola rivincita che subito mi ritrovavo con le spalle al muro. Perché finiva sempre in quel modo? 

Fulminai Sorcio Sodini con odio per beccarmi un sorrisetto derisorio in risposta. 

Ero stufa di lui, ne avevo fin sopra i capelli. 

Era finito il tempo in cui subivo senza attaccare. Dovevo seriamente studiare una vendetta appropriata, toccarlo nel suo punto debole. 

Tutti avevano un tallone d'Achille e lui non faceva eccezione. Lo avrei trovato e colpito senza pietà. 

Si era messo contro la Nora sbagliata. 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                   *  *  *

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Erano le sette e un quarto di sera quando uscii dal condominio di casa Sodini.

Restai per un attimo ferma sulla soglia ad inspirare a pieni polmoni la brezza serale e trovare un po' di pace.

Essendo alle soglie di Novembre, le giornate stavano cominciando ad accorciare. 

Il cielo era segnato da un tramonto rosso come il fuoco, intanto che avanzava l'oscurità. 

Mi presi del tempo per osservare la volta celeste farsi man mano più buia, lasciando spazio alla luna. 

Se solo avessi potuto spedire Sodini su quel satellite... Mai una gioia.

Un tiepido alito di vento mi smosse i capelli ancora umidi, così mi decisi a mettere in fila un passo dopo l'altro. 

Procedetti a testa bassa, stringendomi nel cappotto leggero. Almeno fin quando, casualmente, individuai la macchina di Sodini parcheggiata lungo la strada. 

Era così lucida da far sfigurare quelle accanto. 

La cura che aveva per quell'auto, oltre che maniacale, era quasi inquietante. 

Speravo con tutto il cuore che gliela picchiassero o graffiassero, avrei scodinzolato di felicità.  

Poi, a quel pensiero, nel mio cervello si accese una lampadina. 

Rallentai il passo mentre ponderavo la cosa. 

Scossi il capo, dandomi della stupida, per poi lasciare che, ancora una volta, la mia mente si soffermasse su quell'idea malsana.

Ripensai al primo incontro con Sodini, a quando aveva scimmiottato il mio consiglio, a  quando, ad educazione fisica, aveva fatto in modo che fossi la prima a svolgere il percorso ad ostacoli, a tutte le volte in cui si era preso gioco di me, a quando mi aveva umiliata di fronte ai suoi amici, alla festa, a quando mi aveva fatta uscire da casa sua con la faccia tutta disegnata e dulcis in fundo la bugia inventata a mio danno. 

La miccia della rabbia tornò ad accendersi.

Lui si era forse fatto scrupoli a nuocermi? Gli era mai importato di come mi sentissi? 

Lasciandomi guidare dal corso di quei pensieri estrassi le chiavi di casa dalla tasca dello zaino, poi, zitta zitta, mi avvicinai allo sportello del passeggero della sua macchina. 

Mi guardai intorno per assicurarmi che non ci fosse nessuno, subito dopo, lesta, incisi una piccola riga sulla carrozzeria. 

Mi ritrassi come scottata, il cuore in folle corsa e le mani sudate.

Ero una vandala. Santo cielo, in cosa mi ero trasformata? 

Nascosi le chiavi nella tasca dei pantaloni e ripresi a camminare lungo il marciapiede, solo a passo più spedito. 

Provavo un miscuglio di sensazioni: da una parte soddisfazione, dall'altra profondo pentimento. 

Un lato del mio cervello mi diceva che avevo fatto bene a vendicarmi, che lui non si era mai fatto tanti problemi a colpirmi, la coscienza, invece, mi rimproverava severamente.

In fondo un brutto voto avrei potuto recuperarlo, forse. 

Ero una persona troppo perbene per non provare sensi di colpa, a differenza di quello stupido. 

O forse mi facevo tanti problemi per nulla. Forse non si sarebbe mai accorto di quel piccolo graffio sulla portiera, dopotutto non poteva essere tanto maniacale da controllarla ogni giorno. 

E poi poteva essere stato chiunque, non avrebbe certo pensato a me. 

Sì, sicuramente. Non ci avrebbe mai fatto caso.

E non avrebbe mai potuto accusare me. 

Mai.

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Capitolo 10
*** Colpo Basso ***


Colpo Basso





















Ero una persona orribile, della peggior specie, un parassita. 

Se mia mamma avesse saputo cos'aveva combinato mi avrebbe spedita in un riformatorio, ed io non avrei opposto resistenza. 

Ma Sodini era più parassita di me. A pensarci bene non avevo fatto poi così male a rigargli la macchina. 

Una stupida carrozzeria non valeva più dei miei sentimenti feriti. 

Volevamo ricordare la figura pietosa che mi aveva fatto fare con la Fantucci? 

Pur di salvarsi la faccia aveva montato un castello di bugie. A mie spese. 

Era giusto che pagasse il prezzo delle sue malefatte. Anche se forse avrei potuto trovare un altro modo per vendicarmi, forse ero stata troppo crudele.

Ma quale crudele? Lui era il pezzo di sterco che aveva calpestato la mia dignità, umiliandomi più e più volte. 

Non avevo certo agito per partito preso, solo perché mi stava antipatico, ma per delle valide motivazioni. 

Alternavo quel genere di pensieri da tutta la mattina. Passavo dall'esaltarmi come una prode eroina allo sprofondare nell'auto-demolizione psicologica.  

Il mio umore aveva degli sbalzi paurosi, da schizofrenica.  

Mi ero imposta di fare il possibile per evitare Sodini in quegli ultimi giorni di scuola prima del fine settimana, al lunedì ci avrei pensato a tempo debito.

Ero così decisa in quell'impresa da aver supplicato mia mamma di firmarmi il permesso per entrare alla seconda ora, così non avrei incrociato il sorcio nemmeno nel vialetto. 

Probabilmente quello stupido non sospettava di me, ma le precauzioni non erano mai abbastanza. Gli sarebbe bastato guardarmi in faccia per un millesimo di secondo per leggerci la verità, perciò era saggio evitarlo come la peste. 

Aspettai che la campanella suonasse prima di varcare l'ingresso del liceo. 

Salii le scale con aria circospetta, come una ladra, accertandomi che quella faccia da schiaffi non fosse nei paraggi. Sgattaiolai lesta su per la mia torretta, per poi lanciarmi in classe ed esalare un sospiro di sollievo.

Pericolo scampato. 

Giacomo mi studiò con un sorriso scaltro, in piedi accanto a Ruggero che invece era seduto sul banco. << Forca, eh? Ma hai fatto bene, ti sei risparmiata una noiosissima spiegazione di storia. >> 

Sorrisi inebetita. << Ah, eh, già. Che fortuna. >> Non potevano minimamente immaginare il motivo per cui ero stata costretta ad entrare un'ora dopo. 

Percepii gli occhi di Ruggero fissi sul mio volto. << Sei strana... e pallida >> aggiunse aggrottando le sopracciglia. << Ti senti bene? >> 

Annuii con vigore, timorosa che potessero smascherarmi. Mi sentivo talmente in colpa da immaginare cose impossibili, come che avrebbero potuto scoprire cos'avevo combinato con un solo sguardo.

Giacomo ridacchiò. << Sembra che tu abbia gli sbirri alle calcagna. Ci nascondi qualcosa, Nora? >>

Oh cavolo

Sgranai gli occhi, sconvolta. Ero così leggibile? 

Le mie amiche sopraggiunsero sulla scena mentre io scuotevo il capo come una pazza.

<< Ma che dici? >> Risi istericamente. << È tutto... normale. >> Talmente normale che stavo sudando come un porcello solo a parlare con loro. 

Sodini mi avrebbe scoperta subito. 

A ricreazione avrei dovuto rifugiarmi in bagno o avrei rischiato una morte violenta.  

Per mia fortuna, prima che mi potessero rivolgere altre domande scomode, fece il suo ingresso il professore di scienze.

Svicolai dai loro sguardi e corsi al mio banco.

Vanessa si sedette accanto a me e mi rivolse un'occhiata interrogativa. 

Avrei voluto gettarmi a terra e confessare la mia malefatta, ma me ne vergognavo troppo. Non ero psicologicamente pronta a sorbirmi degli eventuali rimproveri, anche se li meritavo. 

Decisi di scuotere il capo e simulare un verso di dolore nel basso ventre.

Lei aprì la bocca e annuì, per poi sorridere solidale. << Se vuoi ho delle pasticche per i dolori. >> 

Arricciai il naso, mentre la mia mente mi ricordava che ero una pessima bugiarda. << Magari più tardi. >>

Il senso di colpa stava rischiando di schiacciarmi. Avevo rigato una macchina, nascosto la verità a mia mamma e mentito alle mie amiche. 

Era colpa di Sodini se mi ero ridotta ad essere una teppista che raccontava balle. 

Di mia spontanea volontà non sarei mai arrivata a tanto, la sua influenza su di me produceva effetti deleteri. 

Ma non dovevo pensarci, avrei dovuto scacciare il ricordo della sera prima dalla mente. 

Mi bastava passare inosservata per quei due giorni e poi lunedì, se mi avesse detto qualcosa, avrei dissimulato sapientemente.

Ero un'attrice più talentuosa di quanto credessi, dovevo solo fare un po' di pratica. 

Fu proprio per quella ragione che, non appena suonò la campanella della ricreazione, mi stampai un'espressione rilassata e, in netto contrasto con ciò che volevo mostrare, andai a nascondermi in bagno. 

O almeno ci provai. 

Finii di scendere di volata l'ultimo gradino quando i miei occhi misero a fuoco un paio di scarpe bianche della Nike. 

Il mio cuore perse un battito nel momento in cui, con una lentezza estenuante, alzai il capo per scontrarmi con il viso di Sodini.

Indossava una felpa grigia con una scritta nera che non ebbi modo di leggere, il cappuccio tirato sopra la testa e gli occhi in fiamme.

<< Quanta fretta >> sibilò con un tono da brividi.

Non ebbi il coraggio di proferire parola, mi limitai ad esaminare come i ciuffi biondi gli coprissero la fronte, incorniciando il suo sguardo torbido e tagliente. 

Notai che la sua mascella era più serrata di una morsa d'acciaio un attimo prima che mi stringesse il gomito e mi strattonasse verso il corridoio semibuio e deserto che conduceva ai laboratori.

Approdai con la schiena al muro, picchiando lievemente la testa. 

Mi toccai la nuca con una smorfia di dolore mentre puntavo lo sguardo nel suo. << Cosa vuoi da me? >> dissi seccata, optando per la negazione delle mie colpe.

Era fuori discussione che rivelassi di mia iniziativa la verità. 

<< Come accidenti ti sei permessa di toccare la mia macchina? >> gettò fuori, alzando un angolo del labbro superiore inferocito. 

Sfoderai un'espressione innocente. << Non so di cosa tu stia parlando. >>

Inspirò a pieni polmoni e strinse le mani a pugno fino a far sbiancare le nocche. 

Ringraziai il cielo di essere una ragazza, se fossi stata un maschio non mi sarebbero stati risparmiati due occhi neri e un naso rotto. 

Sempre che Sodini non decidesse di accapigliarsi anche con me. 

<< Sai benissimo di cosa sto parlando >> disse tra i denti, avanzando di un passo.

Ingoiai un bolo d'ansia mentre tentavo di fondermi col muro. 

Lanciai uno sguardo alla porta a vetri che segnava il confine tra il corridoio nel quale eravamo e la libertà. 

<< Non pensarci nemmeno >> mi precedette lui, piazzando un braccio accanto al mio viso per precludermi quella via di fuga.

Sprofondai con gli occhi nei suoi: freddi quanto il colore che li permeava e infuocati per la rabbia che gli irrigidiva i tratti. 

Nella semioscurità il suo volto spiccava in un gioco di contrasti: i capelli biondi, le iridi chiare, le labbra rosate. Il cappuccio che aveva calato sopra la testa, poi, creava dei chiari scuri quasi affascinati sui suoi lineamenti più marcati per via dello stato d'animo.

Incrociai le braccia sul petto. << Non avrei motivi per scappare dato che non ho fatto nulla. >> 

Sulle sue labbra si distese un sorriso inquietante. << Non sai mentire. >> 

Mi trattenni dallo spalancare la bocca. 

Lo sapevo, accidenti. Nonostante mi sforzassi di mantenere un atteggiamento di distanza dai fatti non riuscivo a mascherare del tutto la cosa. 

La mia faccia era un libro aperto che puntualmente mi fregava. 

Issai le sopracciglia. << Perché non cominci a stare attento a come guidi invece di riversare la tua frustrazione su di me per... per non so cosa? >> mi ripresi in corner. 

Mi diedi della stupida per l'avventatezza con cui avevo parlato. 

<< Perché non lo dici? C'eri quasi >> mi spronò lui, lesto a cogliere quel mio breve momento di esitazione. Mi parve di sentire la pelle graffiarsi sotto il suo sguardo linciante. << Credi sia tanto cretino da farmi fregare da te? C'è la tua firma su quell'incisione. Hai idea di quanto mi costi la carrozzeria? >> 

E lui aveva idea di quanto mi fosse costata la sua bugia? 

Inarcai un sopracciglio. << Dovrebbe importarmi? >> dissi, scimmiottando la sua risposta del giorno prima.

Serrò la mascella, per poi girare un attimo il viso e sputarmi addosso un insulto con un sorrisetto sprezzante.

La rabbia mi fece formicolare le mani, oltre che rizzare i capelli. 

Come osava offendermi dopo tutto quello che mi aveva fatto? Se ero stata spinta a tanto era unicamente colpa sua. 

<< Dovresti chiudere quella fogna, potrebbero entrarti le mosche >> ribattei acida. 

I suoi occhi ripiombarono su di me in un battito di ciglia. 

Gli scoccai un'occhiata di sfida; non mi sarei fatta intimidire dal suo sguardo gelido o da qualsiasi altra parolaccia mi avesse riversato addosso. 

<< E tu dovresti tenere le manine a posto >> soffiò a pochi centimetri dal mio viso.

Avvertii distintamente il suo fiato caldo contro la pelle, ma m'imposi di non muovere un solo muscolo. 

Ressi il suo sguardo per una quantità di tempo indefinita. 

Ebbi persino modo di notare che, attorno alla sua pupilla, si annidava una pagliuzza dorata non presente nell'occhio sinistro. 

La campanella trillò sopra le nostre teste, decretando la fine del nostro contatto visivo perché spostai gli occhi sulla porta a vetri. 

Sodini si diede una spinta col braccio e si tirò su dritto, per poi retrocedere di qualche passo senza scollarmi lo sguardo di dosso. << Fossi in te terrei gli occhi aperti >> disse calandosi meglio il cappuccio sul capo.

<< Mi stai minacciando? >> domandai con un sorriso di beffa. 

Fece spallucce, per poi increspare un angolo delle labbra. << Prendilo come un consiglio >> mi canzonò prima di voltarsi e sparire dalla mia vista, le mani calate nelle tasche dei pantaloni e il passo svelto. 

Strinsi i pugni ed emisi un lungo sbuffo. 

Quello era Riccardo Sodini, il tipo per cui tutte perdevano la testa. 

Quel maleducato, borioso, stupido e quanto di peggio esistesse era il tanto ammirato e amato ragazzo del mio liceo. 

Avrei voluto aprire gli occhi ad ognuna delle povere disgraziate che perdevano tempo ad ammirarlo e rivelare loro quanto fosse spregevole. 

Perché ne avrei avute di cose da raccontare. Eccome, avrei potuto scriverci un libro. 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                   *  *  *

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Martedì mattina era il primo giorno di Novembre e, com'era consuetudine nel mio liceo, iniziava la sciocca tradizione della raccolta voti per Miss e Mister Liceo. 

Le candidature avevano luogo nella terza settimana di Ottobre, al termine della quale venivano raccolte e ingrandite le foto fornite da chi si proponeva e creati i cartelloni che sarebbero stati affissi per tutta la scuola.

Era un modo per scimmiottare la tradizione americana, dato che non esistevano balli di fine anno in cui eleggere Re e Reginetta.

Da che avevo messo piede in quel liceo, dal secondo anno in poi, aveva sempre vinto Sodini tra i ragazzi.  

Quella mattina, quando entrai in classe, trovai le mie amiche intente a rimirare qualcosa nel cellulare di Vanessa. 

<< Cosa state combinando? >> chiesi loro con un sorriso, saltellando per vedere lo schermo. 

Francesca si portò le mani sul cuore, lo sguardo stralunato. << Stiamo ammirando il nostro amore >> confessò nel momento in cui Vanessa mi mostrò la foto che avevano scattato alla foto di Sorcio Sodini presente nel cartellone di quella mattina. 

Mi stampai una mano sulla faccia. 

Anche quella era una tradizione, almeno per le mie amiche.

Da quando lo stupido era entrato a far parte di quella competizione loro, ogni anno, immortalavano la sua foto per conservarla gelosamente. Dalla terza superiore, quando Linda si era aggregata al duo delle spasimanti, era diventato un rituale irrinunciabile e consacrato.

Guai a chi toccava loro quelle foto. 

Presi posto sulla sedia e piantai un gomito sul banco. << Tra le ragazze c'è qualcuna che conosciamo? >> chiesi per allontanare il discorso da Sodini.

Sentivo le orecchie andare in fiamme solo a sentir pronunciare il suo nome. 

Linda scosse il capo. << Ancora non hanno esposto i cartelloni delle candidate, credo lo stiano ultimando. Ma ho sentito dire che si è proposta Beatrice >> bisbigliò con un sorriso. << Dice che vuol sapere se Ruggero la voterà. >> 

Ridacchiai divertita. Cosa non si faceva per amore. 

<< Si comincia a votare a ricreazione, vero? >> s'intromise Francesca. << Perché voglio essere la prima a dare il voto a Sodini, se non avete niente in contrario >> aggiunse dando un'occhiata prima a Linda e poi a Vanessa. 

<< Tanto verremo con te >> rispose quest'ultima, stringendosi nelle spalle. 

<< Ragazze, proprio voi cercavo. >> La voce di Giacomo mi colse alle spalle prima che raggiungesse Francesca, in piedi davanti al mio banco, e le appoggiasse un avambraccio sulla spalla. 

Lei lo guardò fissa. << Sputa il rospo. >> 

 << Che ne dite di andare al cinema sabato? >> propose scrutandoci una ad una. << Ieri io e Ruggi eravamo fuori coi ragazzi della 5ªD e si pensava di organizzare una serata cinema. Perché non venite anche voi? >> 

<< Ci sto >> esordì di slancio Francesca.

<< Anch'io >> si aggregò Vanessa.

Non riuscii a trattenere un sorriso. Era bastato che Giacomo nominasse la sezione del sorcio perché a quelle due si illuminassero gli occhi. 

Spostai lo sguardo su Linda che mi stava fissando interrogativa. Nelle sue grandi iridi verdi vidi riflesso il desiderio che Vanessa e Francesca avevano espresso apertamente. 

L'unica differenza era che lei, prima, si voleva assicurare che anche a me andasse bene. 

Sapevo che se avessi risposto negativamente lei avrebbe scelto di stare con me, rinunciando a tutto il resto. 

La mia antipatia per Sodini passava in secondo piano di fronte a quella manifestazione di sincera amicizia. 

Annuii risoluta nella direzione di Giacomo. << Va bene anche per noi >> dissi. 

Immediatamente scorsi le labbra di Linda stendersi in un ampio sorriso, così mi voltai a farle una linguaccia affettuosa che la fece ridere. 

<< Andata >> sentenziò lui, sollevando il pollice. << In settimana vi fornirò altri dettagli. >> 

Francesca gli scoccò un bacio sulla guancia che per poco non gli fece venire un colpo. << Grazie >> gli disse dolcemente. 

Lui si grattò la nuca imbarazzato e si schiarì la voce. << Di niente. >> 

Ero rimasta piuttosto sorpresa anch'io dato che Francesca, in classe, non lo aveva mai sfiorato con un dito. Non l'avevo mai vista rivolgergli un gesto carino o che esprimesse affetto. 

In genere era lui che compiva quel tipo di gentilezze nei suoi confronti.

Durante educazione fisica l'avrei bombardata di domande per scavare più a fondo in quella faccenda. 

Il professore di filosofia entrò in aula al suono della seconda campanella, quella per i ritardatari, per poi rifilarci un'intera ora di spiegazione della quale capii poco e niente. 

Mi domandavo perché fosse necessario studiare una simile materia se si trattava di idee, pensieri e supposizioni poggiate su fondamenta indubbiamente instabili. 

La trovavo estremamente inutile. 

La seconda ora toccò a letteratura inglese, che invece adoravo. 

Mi godetti tutta la lezione senza un solo calo di attenzione, ero rapita dalla poesia e dal tono caldo con cui la professoressa esprimeva i concetti importanti. 

Il trillo della campanella, purtroppo, ruppe la bolla di pace ed estasi in cui ero racchiusa, ricordandomi che toccava all'ora di ginnastica. 

Con una voglia che sfiorava il sottosuolo, mi diressi con tutta la classe al piano terra, dove si trovava la palestra. 

La professoressa Trotti ci accolse con un largo sorriso. << Oggi corsa, ragazzi. Preparatevi, si va fuori alla pista dei cento metri >> annunciò su di giri, battendo le mani. << Fate veloce a cambiarvi, su. >> 

Se non altro non avrei dovuto sorbirmi un nuovo gemellaggio con la classe di Sodini. 

Quel pensiero bastò a farmi apprezzare persino l'idea di correre, tutto era meglio che rivedere la faccia di quel sorcio.

Giunte nello spogliatoio, adagiai la borsa sulla panca e lanciai uno sguardo a Francesca. 

<< Cos'era quel bacio sulla guancia a Giacomo? >> le chiesi muovendo rapida le sopracciglia, per prenderla giocosamente in giro. 

Lei sorrise e si passò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. << Solo un modo per ringraziarlo >> disse facendomi una linguaccia. 

Mi sporsi per guardarla bene in viso, piegata com'era ad allacciarsi le scarpe, e sorrisi alla vista del colore vermiglio delle sue guance. 

<< Non sarai mica arrossita? >> la punzecchiai divertita.

Francesca si tirò su dritta e cominciò ad arrotolare la maglietta che si era tolta. << Nora Gigli credo che tu debba essere disciplinata >> affermò con un ampio sorriso. 

Non ebbi il tempo di fuggire che mi beccai una sferzata sul sedere che mi fece scappare un urlo da gallina strozzata. 

Linda, Vanessa e la mia carnefice scoppiarono a ridere come se avessero assistito alla scena più spassosa della loro vita mentre io mi massaggiavo il punto colpito con sguardo accigliato. 

<< Non sono d'accordo con questi metodi terapeutici >> asserii, ma ormai nessuna faceva più caso alle mie parole tant'erano impegnate a sbellicarsi. 

Ed io non ero riuscita a cavare un ragno dal buco sulla situazione sentimentale di Francesca. 

Dieci minuti più tardi eravamo in pista. 

Durante il breve tragitto tra lo spogliatoio e il punto di ritrovo con la mia classe, le mie amiche avevano individuato Sodini e compagnia bella nel campetto di calcio. 

Gli avevo riservato solo una breve occhiata, giusto per vedere se sarebbe inciampato sulla palla, ma purtroppo niente. 

<< Allora, ragazzi, cominciamo con un po' di riscaldamento >> esordì la Trotti, issando le braccia. Peccato che con quel gesto improvviso le schizzò via il cronometro che, dopo una breve parabola, si schiantò a terra. 

<< Oddio >> esclamò lei, correndo a raccattarne i pezzi. << Oh, Giacomo, andresti dai bidelli a chiederne un altro? Questo ha cessato di vivere. Veloce, per favore. >> 

<< Troppo entusiasmo, prof >> commentò Ruggero. 

Mi scappò da ridere, così misi le mani nelle tasche della felpa e alzai lo sguardo sul mio compagno di classe che, con mia sorpresa, mi stava già guardando. 

Gli sorrisi imbarazzata e abbassai velocemente la testa per concentrarmi sulla punta delle mie scarpe. 

Per fortuna la Trotti vide bene di cominciare a farci riscaldare con dello stretching, almeno non mi sarei sentita gli occhi di Ruggero addosso. 

Ero lusingata dalle sue attenzioni, ma non sapevo come comportarmi. Mi sentivo ancora più impacciata di quanto già non fossi.

Giacomo tornò poco dopo con un nuovo cronometro, lo sguardo pervaso di uno stupore incomprensibile. Soprattutto se si considerava che quello stupore pareva rivolto a me. 

Avevo forse qualcosa di strano in testa? Mi toccai i capelli e controllai che la mia alta coda di cavallo fosse ancora lì, poi passai ad esaminare i miei vestiti. 

Sembrava tutto nella norma: la felpa blu non aveva macchie, lo stesso valeva per la maglietta bianca e i pantacollant neri. 

Forse erano i colori a stonare? Non sapevo che Giacomo fosse così sensibile agli accostamenti di colore. 

<< Bene, cominciamo dalle ragazze. Bellezze andate a disporvi sulla linea di fondo e aspettate il mio segnale prima di partire >> dichiarò la Trotti. << Voi, ragazzi, disponetevi su un lato e non distraetele. Forza, andate. >> 

Girammo i tacchi e prendemmo a camminare lunga la pista. 

<< Ho qualcosa in faccia? >> chiesi toccandomela. 

Le mie amiche si sporsero per scrutarmi. 

<< Nulla, per...>>

<< Nora! >> Giacomo spuntò al mio fianco, facendosi spazio con foga. Un ciuffo di capelli gli cadde sugli occhi spalancati dalla sorpresa. << Quando l'ho visto non ci potevo credere, ma... cavolo, perché non ce l'hai detto? >> 

Corrugai la fronte. Che si stesse riferendo all'incisione sulla macchina di Sodini? 

<< Parla chiaro, Giacomo >> lo reguardì Francesca. 

Lui si voltò a guardarla. << Nora si è candidata per Miss Liceo! >> 

Mi bloccai sul posto e sgranai così tanto gli occhi da rischiare di farmeli scappare.

Il cuore mi perse una serie infinita di battiti mentre i palmi cominciavano a sudare. 

<< Cosa? >> La mia voce uscì flebilmente intanto che la rabbia mi montava nello stomaco. 

Ruggero mi si accostò. << Che succede, ragazzi? Avete delle facce scioccate. >> 

Non riuscii a rispondere, mi sentivo ribollire il sangue nelle vene. Perché sapevo chi era stato tanto squallido da rifilarmi quel colpo basso. 

<< Ragazzi, forza, muovetevi! >> ci urlò dietro la professoressa.

Lo avrei ucciso. Ero stata fin troppo clemente fino a quel momento. 

Avrei dovuto rigargli l'intera macchina, demolirgliela, ridurla in cenere come successivamente avrei fatto con lui. 

Linda mi prese sottobraccio e mi sospinse a camminare, immediatamente Francesca e Vanessa si strinsero attorno a me. 

<< Com'è possibile che tu sia finita tra le candidate? >> domandò Vanessa, allibita. 

<< Lo ucciderò >> sputai tra i denti. 

<< Ucciderai chi? >> intervenne Giacomo. 

Presi posto sulla linea di fondo e allungai lo sguardo verso il campetto da calcio. 

Era finito. Le mie mani reclamavano a gran voce la sua faccia e i suoi capelli per strapparglieli uno ad uno. 

Ero consapevole delle occhiate stranite e preoccupate dei miei amici, ma non riuscivo a staccare gli occhi da quel maledetto campetto dove al momento stava giocando quel simpatico cretino. 

<< Pronte... >> 

Il mio corpo fu attraversato da una scarica di adrenalina. 

Mi chiedevo dove avesse trovato una mia foto da far affiggere al cartellone. 

Di sicuro aveva corrotto qualche demente per poter candidare qualcun altro che non fosse sé stesso, dal momento che il regolamento non lo permetteva. 

Come se una piccola e insignificante incisione potesse valere quanto una perdita di dignità di fronte a tutta la scuola.

Aveva superato il limite.

<< Via! >> 

Scattai in avanti di slancio, sospinta dalla rabbia che mi incendiava i muscoli. 

Ero così furiosa da desiderare di avere qualcosa da rompere sotto le mani, possibilmente la sua testa.  

E più lo guardavo giocare spensierato, più mi montava la rabbia. 

Chiunque avrebbe potuto vedere la mia candidatura, mentre solo lui avrebbe visto quella minuscola incisione sulla sua stupida carrozzeria. 

Era infido e maligno. 

Prima la menzogna alla Fantucci, ora questa. 

Non gli era bastato umiliarmi di fronte alla professoressa, adesso aveva mirato all'intero corpo decenti e studentesco. 

Ero stufa di lui. I suoi dispetti da quattro soldi mi aveva già causato fin troppi danni. 

<< Bravissima No... Nora, dove vai? >> La voce stranita della Trotti mi sfiorò un orecchio prima che virassi verso il campetto da calcio.  

Non sarebbe rimasto impunito. Oh no, neanche per sogno.

Se pensava che dopo quell'ennesimo colpo basso avrei abbassato il capo, si sbagliava di grosso. 

Corsi in direzione del cretino macinando asfalto sotto le suole, le urla della professoressa erano un lontano sottofondo di cui non mi curai. 

Rallentai finché non mi aggrappai con le dita alla rete protettiva attorno al campetto, il fiato corto per la folle corsa. 

<< Sodini >> gridai per attirare la sua attenzione. 

Il primo a girarsi non fu certo lui, troppo concentrato sul suo stupido gioco, ma il suo professore. 

<< Sodini è richiesto in presidenza >> mentii di fronte alla sua fronte fitta di rughe. 

Ciuffini mi si avvicinò a braccia conserte, ancora palesemente dubbioso. << Come mai hanno mandato te a chiamarlo? >> 

<< La vicepreside mi ha fermata nel corridoio per chiedermi di mandarle Sodini della 5ªD, ma poi mi sono scordata di avvertirlo >> inventai su due piedi. 

Ero una frana nel raccontare bugie, perciò mi sorpresi nel constatare come la rabbia mi avesse sciolto la lingua. 

Il professore sembrò cascarci dato che un istante dopo aveva fermato il gioco col fischietto. 

Dentro di me sfoggiai il diabolico sorriso del gatto di Cenerentola.

<< Riccardo, vieni qui. Voi altri continuate a giocare >> urlò con dei cenni della mano.

Sodini dapprima riservò un'occhiata di sufficienza solo a Ciuffini, poi mise a fuoco la mia figura sprizzante rabbia. 

Avanzò con indolenza, visibilmente seccato da quell'interruzione. 

Il suo atteggiamento mi urtò ancora di più. Come osava mostrasi persino infastidito dopo quello che aveva fatto? 

Avrebbe dovuto coprirsi il capo di cenere e camminare sulle ginocchia. 

<< Che c'è? >> chiese, prima di sollevare la maglietta per asciugarsi il viso sudato. 

Una buona porzione del sue ventre fu reso visibile dai pantaloncini bassi sui fianchi. 

<< La vicepreside ti ha mandato a chiamare >> gli spiegò sbrigativo Ciuffini. 

Gli spalancò la porta del campetto e lo incitò a muoversi con urgenza. 

Gongolavo all'idea di avere Sodini tra le grinfie, non vedevo l'ora di afferrargli quei dannati capelli e ridurlo calvo. 

Il sorcio mi seguì senza proferire parola, mentre io procedevo spedita verso la palestra. 

Una volta aver messo piede nel corridoio e dopo che il portellone si fu chiuso alle nostre spalle, mi voltai a fronteggiarlo.   

Il demente issò un sopracciglio, l'espressione neutra. 

<< Come ti sei permesso di candidarmi? >> soffiai fissandolo truce. 

Un angolo della sua bocca si stese divertito, gli occhi azzurri assunsero una luce consapevole. 

<< Non so di cosa tu stia parlando >> mi scimmiottò. 

Peccato che la sua faccia fosse in netta contraddizione con le sue parole. 

Le mani mi formicolavano così tanto che fui tentata di mollargli uno schiaffo e correre a rigare la sua preziosa auto. 

Strinsi gli occhi. << È uno scherzo patetico, per cui tu, adesso, andrai a ritirare la mia candidatura. >> 

<< Cosa ti fa pensare che io stia scherzando? >> chiese in tono schernente, come se io fossi una povera demente. 

Il desiderio di riempirgli il viso di schiaffi fu quasi irresistibile. 

Quelle iridi cerulee mi fissavano con un misto di arroganza e sfida, un connubio che trovavo particolarmente snervante. 

<< Il fatto che tu ricorra a questi stupidi metodi per farti vendetta dimostra quanto tu sia piccolo >> sputai avanzando di un piccolo passo. << Un totale imbecille, per usare termini più appropriati. >> 

Non ero più disposta a trattenermi dal dirgli chiaro e tondo cosa pensassi di lui per timore che mi facesse licenziare. 

Il confine della civile sopportazione era stato di gran lunga oltrepassato. 

La sua espressione mi fece ribollire il sangue nelle vene: era il dipinto dello spasso. 

Mi faceva davvero sentire una pazza isterica che inveiva sul primo capitato a tiro.

Il suo sorriso si stese beffardo. << Invece di prendertela tanto dovresti ringraziarmi per averti regalato un po' di popolarità. >> 

Era un idiota. Non nutrivo dubbi su quel fatto scientificamente provato dalle sue parole. 

Avrei voluto urlare, pestare i piedi e urlare ancora. 

Mi sentivo prossima ad un esaurimento nervoso. 

La mia palpebra sinistra ebbe un tic, prima che ruotassi leggermente il capo e schioccassi la lingua al palato. << Sai una cosa? Al tuo cofano donerebbe molto una bella incisione a caratteri cubitali. Tutti dovrebbero sapere chi guida quella macchina. >> E detto ciò, gli diedi le spalle e presi a marciare in direzione del parcheggio. 

I passi che riuscii a mettere in fila, purtroppo, furono decisamente pochi. 

Mi acciuffò per il cappuccio della felpa e mi strattonò all'indietro, rischiando di strangolarmi. Anzi, ero più che certa che quello fosse il suo obiettivo primario. 

Nello stesso istante udimmo il portellone aprirsi. Sodini mi mollò di scatto, tanto che persi l'equilibrio e finii per schiantarmi a terra.  

Atterrai sui palmi e le ginocchia, accusando non poco dolore alle giunture. 

Rimasi per un attimo immobile, ferma a fissare il pavimento livida di rabbia, il cappuccio calato sulla testa per il contraccolpo.

<< Cosa sta succedendo qua? >> chiese guardinga la mia professoressa di ginnastica. 

Mi voltai fulminea per rivelarle la verità, ma il sorcio fu più veloce di me.

Sfoderò un amabile sorriso, falso quanto una banconota da sette euro, e si piegò sui talloni, accanto a me. << Non si sentiva molto bene, così mi sono offerto di accompagnarla in infermeria >> mentì con una scrollata di spalle. Scorsi un angolo della sua bocca stirarsi nel consueto ghigno beffardo. 

<< Non... >> Venni interrotta dal suo braccio che si era mollemente appoggiato sulla mia testa, pesandomi non poco.

<< Ma come può notare, ha rifiutato il mio aiuto ed è caduta >> proseguì disinvolto. 

Questa poi, come se il pensiero di aiutare qualcun altro all'infuori di sé stesso gli avesse mai sfiorato il cervello.

La Trotti, purtroppo, si bevve quella sporca bugia. Mutò istantaneamente la sua espressione in una più preoccupata e compassionevole. 

<< Nora, ti senti la febbre? Se è così bisogna chiamare subito tua mamma. Avresti dovuto dirmelo, così non ti avrei fatta correre >> iniziò a dire in tono concitato, in preda all'ansia.

Espirai seccata dal teatrino che quel cretino aveva montato su. 

Perché nessuno riusciva a vedere quanto fosse spregevole e subdolo? 

<< Non deve credere ad una sol... >> Il braccio di Sodini mi avvolse il collo per stringere appena, poi la sua mano mi sfiorò la fronte. 

Spostai il mio sguardo colmo d'odio sul profilo del suo viso. 

<< Ha decisamente la febbre >> asserì prima di guardarmi con un sorrisetto vittorioso. Le sue iridi cerulee luccicavano di una muta presa in giro, sfidandomi a fare di meglio. 

Se solo la Trotti non fosse stata presente non ci avrei pensato due volte a mollargli un pugno in faccia. 

Peccato che non potessi fare poi molto, limitata com'ero dalle sue menzogne costruite ad arte. 

<< Allora, per favore, portala a misurarsela >> disse la professoressa, la fronte contrita per la preoccupazione. << Io mi devo occupare del resto della classe. >> 

Sorcio Sodini slacciò il nostro contatto visivo per annuirle con la sua finta maschera rassicurante. 

Era più falso di Giuda. 

Nel momento in cui rimanemmo soli, mi premette il braccio sulla testa e fece leva per issarsi. 

Mi alzai sulle ginocchia e gli rifilai uno schiaffo sulla gamba, per poi scattare in piedi e sistemarmi il cappuccio. << Sei un bugiardo, oltre che un grandissimo infame >> ringhiai scostando pure un ciuffo sfuggito alla coda. 

Incrociò le braccia sul petto e alzò un sopracciglio mentre il solito sorrisetto gli affiorava sulla bocca. << Sei in vena di complimenti. >> 

Ridussi gli occhi a due fessure. << Non credere di averla fatta franca. La Trotti molto presto ascolterà la verità >> dissi prima di slanciarmi in avanti, verso il portellone.

Ciò che sentii dopo fu piuttosto strano. 

Il mio stomaco sembrò accartocciarsi e la mia pelle pizzicare per il braccio con cui Sodini mi stava sbarrando il passaggio. 

Perché quel dannato arto era contro la mia maglietta e la sua mano piantata sul mio fianco, sotto la felpa aperta. 

Mi aveva presa del tutto in contropiede. Non mi era mai capitato di avere un contatto tanto ravvicinato con un ragazzo, a meno che non si trattasse di un rapido abbraccio con un amico. 

A quello non ero psicologicamente pronta, soprattutto considerato il soggetto. 

Ruotai il capo di lato alla ricerca dei suoi occhi per imbattermi in un sorrisetto da schiaffi. 

Le sue iridi azzurre erano pervase di una finta pietà che sfociava nella pungente ironia. << Fossi in te, Nora, terrei la bocca chiusa >> dichiarò inclinando la testa. 

Dei ciuffi castani gli scivolarono sulla fronte e adombrarono leggermente il colore freddo dei suoi occhi. 

Notai che la linea del suo collo era tesa per la posa del capo, le ampie spalle apparentemente rilassate e il braccio rigido contro il mio ventre. 

<< Altrimenti? >> soffiai in tono di sfida. 

Mi resi effettivamente conto della sua vicinanza solo in quel momento. 

Come il giorno prima individuai la pagliuzza dorata accanto alla sua pupilla destra mentre il suo respiro regolare mi sfiorava le ciglia. 

Era strano e del tutto fuori luogo, ma il pensiero che se solo mi fossi alzata sulle punte le nostre bocche sarebbero potute coincidere mi fece provare di nuovo una stretta allo stomaco.

Ero così nuova a quel genere di contatto, di cui avevo letto solo nei libri, che la mia fantasia galoppava come quella di una stupida ragazzina.

Sarebbe stato decisamente più soddisfacente tirargli una testata e fargli cadere tutti i denti. 

A riportarmi coi piedi ben piantati per terra ci pensò il suo mezzo sorriso irrisorio. << Dubito che tu voglia avere altri problemi con la Fantucci >> asserì mellifluo. 

Contrassi la mascella, colpita e affondata dalle sue parole. 

Era frustrante ammetterlo, e mi costava uno sforzo esagerato, ma aveva vinto quella battaglia. 

Non potevo permettere che quel demonio mi cacciasse in altri guai con la Fantucci, o sarei stata spacciata. 

Avrei sistemato la faccenda della candidatura per conto mio, senza richiedere l'intervento della Trotti. Ma lui avrebbe fatto bene a dormire con un occhio aperto.

Bramavo vendetta. 

Scacciai il suo braccio con stizza, provocando l'estendersi del suo tedioso sorriso.

Era evidente quanto ci tenesse a sbattermi in faccia la sua vittoria ottenuta in modo subdolo e sleale. 

Allontanai in fretta lo sguardo e presi a camminare verso lo spogliatoio. 

Avevo bisogno di stare sola, magari a fantasticare su vari tipi di dolorosa vendetta oltre che per depurare il mio cervello dalla sua vista.

Prima che abbassassi la maniglia della porta, però, mi voltai per linciarlo con un'occhiata. 

Il babbuino era ancora piantato lì, a fissarmi con un'espressione che avrebbe strappato gli schiaffi di mano persino ad un santo. 

<< E comunque >> iniziai a dire, il tono acido. << Nora è un nome, non un insulto. >> Abbozzai un sorrisino falso e mi chiusi la porta alle spalle, per poi appoggiarmici e prendere un profondo respiro. 

Odiavo il modo in cui pronunciava il mio nome. Sembrava stesse sputando la peggiore offesa, sempre con quell'atteggiamento superiore, come se in confronto a lui fossi una cerebrolesa.  

Non esisteva niente in lui che non fosse snervante. 

Com'era possibile che gli altri non lo notassero? 

Scossi il capo per scacciare quei pensieri che ruotavano ancora attorno a lui. Avevo altro di cui occuparmi, primo fra tutti: rimuovere la mia candidatura. 

 

 

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