Incatenato alla morte

di Astry_1971
(/viewuser.php?uid=9660)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una splendida serata ***
Capitolo 2: *** Cap. 2: Amara verità ***
Capitolo 3: *** Cap. 3: Solo un incidente ***
Capitolo 4: *** Cap. 4: La Rosa nera ***
Capitolo 5: *** Cap. 5: Il volto del nemico ***
Capitolo 6: *** Cap. 6: Ricatti e fiducia ***
Capitolo 7: *** Cap. 7: Due Pozionisti per un calderone ***
Capitolo 8: *** Cap. 8: Al di sopra della pietà ***
Capitolo 9: *** Cap. 9: Un segreto mortale ***
Capitolo 10: *** Cap. 10: Condannato dalla menzogna ***
Capitolo 11: *** Cap. 11: Un esercito per Severus ***
Capitolo 12: *** Cap. 12: Fuga da Hogwarts ***
Capitolo 13: *** Cap. 13: Il prezzo della pace ***



Capitolo 1
*** Una splendida serata ***


Incatenato alla morte



Autore/Data: Astry, Luglio 2009.
Beta - reader: Ale85LeoSign.
Personaggi:Severus, Neville, Harry, Lucius, nuovo personaggio.
Rating: per tutti.
Avvertimenti: nessuno
Riassunto: : “Ce la faremo anche questa volta, lui non tornerà.” Lo rassicurò, poi fissò la macchia scura sulla parete, accanto al ritratto di Silente. Era ciò che restava della cornice d’argento che ospitava la sua effige, sparita magicamente dopo che Potter l’aveva riportato in vita.
“E farò anche in modo che quella parete resti vuota ancora per molto tempo.” Affermò deciso.

Note: Questa storia è il seguito di “Per amore di un figlio” ed è dedicata a tutti quelli che hanno storto il naso per finale di quella storia. Evidentemente non mi conoscono bene. A tutti gli altri è severamente sconsigliata la lettura, per il bene dell’autrice che non ama guardarsi le spalle.

CAP. 1: Una splendida serata

Era l’ora della cena al Castello di Hogwarts. Tutti, professori e studenti, erano riuniti nella sala grande, e davanti a loro erano appena comparse prelibatezze di ogni genere.
Severus Piton quel giorno si sentiva particolarmente euforico. La squadra di Serpeverde aveva giocato una splendida partita, superando di molti punti i rivali Grifondoro.
L’ex Mangiamorte, professore e spia, eroe della guerra contro Voldemort tornato dall’aldilà, ora se ne stava sul suo trono da preside, al centro del tavolo degli insegnanti, beandosi come un bambino delle facce livide di rabbia degli sconfitti.
La professoressa Chapman era una di questi, infatti, oltre ad aver sostituito Minerva McGranitt come insegnante di trasfigurazione e come capo della sua stessa casa, aveva ereditato dalla collega più anziana anche la passione per il Quidditch e per la squadra rosso e oro.
Era seduta accanto a lui, ma, contrariamente al solito, non aveva proferito parola durante la cena, mentre Severus, dal canto suo, non aveva perso occasione di stuzzicarla.
Certo non era come con Minerva: Lucrezia Chapman era una donna giovane, gentile, ma a volte troppo impicciona, come del resto quasi tutti i suoi nuovi colleghi. Piccola e nervosa, pareva sempre sbucare dagli angoli del corridoio nei momenti meno opportuni. A Piton ricordava molto uno strano folletto. Aveva i capelli castani raccolti in uno chignon, piccoli occhiali sul naso e indossava un improbabile tailleur grigio perla che la faceva sembrare un blocco di granito con le gambe.
No, decisamente, non era paragonabile all’austera e saggia Minerva, pensò il mago arricciando le labbra.
Era passato un anno dal suo ritorno in vita, e, da quando aveva ripreso il suo incarico di preside, Piton si era trovato spesso a provare nostalgia della vecchia squadra di professori.
Infatti, a parte Vitius che aveva ripreso ad insegnare incantesimi, e Hagrid, al quale Severus aveva voluto rinnovare l’incarico, più per rispetto del suo predecessore che per fiducia nelle sue capacità di insegnante, tutti gli altri erano stati sostituiti. Qualcuno tornava a scuola di tanto in tanto, come Minerva McGranitt, col ruolo di commissario esterno, in occasione degli esami, ma la maggior parte si stava godendo felicemente la pensione o aveva trovato un’altra occupazione.
E poi c’era Neville Paciock, il nuovo professore di Erbologia. Un serio professionista, doveva ammetterlo, tuttavia non riusciva a non provare un certo disagio in sua presenza, e, probabilmente, Neville era altrettanto imbarazzato di fronte al suo ex insegnante.
Un sorriso sghembo si disegnò sulle labbra del preside, mentre con la coda dell’occhio scrutava l’uomo stempiato e corpulento, seduto in fondo alla tavolata, così diverso dal bambino spaventato che faceva esplodere i calderoni durante le sue lezioni.
Anche Paciock sembrava appena aver subito un lutto. Continuava a giocherellare con la carne nel suo piatto, ma non l’aveva nemmeno assaggiata.
Severus addentò con soddisfazione un pezzo di anatra, ripromettendosi di ricordargli questa sonora sconfitta alla prossima riunione degli insegnanti.
Accanto a Paciock sedeva Estragone Wilkinson, il nuovo docente di Pozioni e attuale capo della casa dei Serpeverde. Era un uomo alto e magro, dalla pelle scura e i lineamenti medio orientali. Indossava una stravagante tunica verde acido, con alamari in oro e un ampio cappuccio pendeva dalle sue spalle come una sorta di mantellina. Aveva la barba e i capelli neri erano raccolti dietro la nuca e fermati da uno strano monile a forma di serpente.
Per tutto il tempo non aveva fatto altro che riempire i bicchieri dei suoi più prossimi commensali, forzandoli, loro malgrado, a brindare alla vittoria di Serpeverde.
Neville, ormai stanco di rifiutare, permetteva a Wilkinson di versargli il vino, per poi farlo sparire, subito dopo, con un annoiato colpo di bacchetta.
Severus si lasciò sfuggire un sospiro di commiserazione. Poi, versandosi anche lui da bere, brindò mentalmente all’insegnante che, era certo, Neville avrebbe voluto avere quando frequentava Hogwarts.
Aveva avuto modo di apprezzare il suo lavoro come Pozionista. I suoi metodi erano alquanto discutibili, per non dire folcloristici, ma il risultato era comunque valido.
Wilkinson non si trovava a proprio agio in ambienti chiusi, indubbiamente l’aula di Pozioni di Hogwarts doveva sembrargli una specie di prigione se preferiva trasferire le sue lezioni all’aperto.
Una cosa che aveva giudicato a dir poco folle, visto le conseguenze imprevedibili che gli elementi atmosferici potevano avere sull’esito della preparazione di una Pozione.
Si era dovuto ricredere: Estragone sembrava addirittura contare sugli effetti del vento, del calore del sole o persino di un improvviso temporale per ottenere straordinarie varianti ai suoi elisir. Li calcolava e predisponeva tutto: la temperatura della fiamma, la posizione dei calderoni nel piazzale, tutto era studiato in modo che i liquidi potessero catturare il vento, o un raggio di sole.
Ad Estragone mancava la sua esperienza e la sua immensa conoscenza delle più antiche formule, ma indubbiamente era un Pozionista di tutto rispetto. Avevano fatto spesso delle piacevoli chiacchierate durante le pause dalle lezioni, scambiandosi pareri e consigli. Tuttavia, Severus aveva sempre preferito tenersi a distanza dalla sua sfrenata espansività. Era ormai convinto che Estragone fosse affetto da allegria cronica. Un morbo che si riacutizzava particolarmente in giornate come quella: la vittoria di Sepeverde lo aveva reso davvero insopportabile.
Severus ringraziò di non occupare il posto di Neville in quel momento, così da potersi godere la cena in tutta tranquillità, festeggiando la vittoria a modo suo.
Si accomodò meglio sul massiccio sedile, appoggiandosi allo schienale, mentre con la meticolosità e la destrezza di un chirurgo si preparava altri piccoli bocconi di anatra, separando la polpa dalle ossa. Per un attimo quell’arrosto squisito occupò completamente ogni suo pensiero, ogni sua sensazione. Non voleva perdersi nulla: il gusto, ma anche il profumo e persino la consistenza della carne. Gli occhi neri erano fissi sul prezioso piatto di porcellana, una particolare luce illuminava il suo sguardo, mentre portava alle labbra anche l’ultimo pezzetto di arrosto.
Era felice. Ecco, forse era l’unica ragione per cui quella pietanza gli era sembrata tanto speciale. Le cene a Hogwarts erano tornate ad essere un piacere, anche per lui che non era mai stato un grande estimatore della tavola.
Aveva impiegato mesi prima di cominciare ad apprezzare la sua nuova vita. Per tutto il primo anno aveva continuato a sentirsi fuori posto. Si era adattato alle disposizioni del suo predecessore, portando avanti il lavoro di Vitius meccanicamente, quasi temesse di imporsi troppo.
In realtà temeva di rivedere nei suoi colleghi gli stessi sguardi che gli avevano rivolto così tante volte durante la sua prima nomina. Sguardi di odio verso un preside imposto loro da Voldemort.
Sapeva che non era più così, ma per molto tempo, nei volti dei ragazzi e degli insegnanti, aveva continuato a vedervi quegli stessi sentimenti di disprezzo. Immagini vive che si frapponevano tra lui e il resto del mondo, come un doloroso schermo che per mesi gli aveva impedito di tornare ad apprezzare la bellezza e l’amicizia.
Ora però, con l’inizio del nuovo anno scolastico, anche quelle ultime immagini dolorose sembravano essere svanite. Ora riusciva a vedere i sorrisi degli amici. Era come se improvvisamente tutti si fossero levati dal viso delle orribili maschere. Maschere che erano esistite solo nella sua immaginazione, obbligandolo alla solitudine.
Un basso grugnito attirò la sua attenzione. Si voltò e vide Lucrezia Chapman che maltrattava il suo arrosto come se avesse nel piatto il colpevole della sconfitta Grifondoro.
“Se solo potessi mettere le mani su quel Potter!” brontolò.
Le labbra di Piton si piegarono leggermente, assumendo una forma bizzarra, come se un filo invisibile le tirasse verso l’alto, opponendosi alla volontà del proprietario.
Il mago lasciò correre lo sguardo per la sala, individuando al tavolo Serpeverde il ragazzino che malauguratamente portava il suo nome.
Continuava a gesticolare, mimando coloriti insulti rivolto a suo fratello che era seduto dalla parte opposta, al tavolo dei Grifondoro.
Il sorriso sul volto di Piton si allargò raggiungendo dimensioni tanto insolite per lui, da farlo sembrare quasi una caricatura di se stesso.
Eccolo, l’oggetto dell’ira della sua collega: James Potter era diventato il nuovo cercatore di Grifondoro. Un’eredità pesante quella dei Potter, troppo pesante per chi come James non era dotato nello sport quanto suo padre e suo nonno, cosa che lo rendeva molto più simpatico agli occhi di Piton, ma, evidentemente, la sua collega non la pensava allo stesso modo.
Distolse lo sguardo dal giovane Grifondoro e tornò ad osservare con curiosità la strega seduta alla sua destra. Era davvero furiosa, e il petto d’anatra che aveva nel piatto ne aveva fatto le spese: era stato tagliato così finemente da assomigliare ad un frullato.
Severus allora decise che non si era ancora divertito a sufficienza, afferrò con noncuranza una grossa fetta di torta al cioccolato, e schiarendosi la voce si rivolse alla donna.
“Professoressa Chapman, mi chiedevo, se lei condivide la scelta del capitano dei Grifoni.”
Un altro grugnito fu tutto ciò che ottenne, ma non si diede per vinto.
“James Potter mi è sembrato un po’ distratto oggi, forse non è ancora pronto per affrontare lo stress di una partita.” Continuò, portandosi alla bocca un pezzo abbondante di dolce.
“Distratto?” strillò lei. “Certo che era distratto. Come si può mettere una come quella fra i battitori?”
“Una come quella?” chiese Piton, ammirando pensieroso il cucchiaio vuoto.
“Sì, sì, la biondina di Serpeverde, miss reginetta della scuola. Lo sanno tutti che Potter ha un debole per lei.”
“Oh, la signorina Jones. Mi è sembrata piuttosto brava.” Ghignò, Piton, rituffando la posata nella torta. “Dovrò ricordarmi di fare i complimenti al capitano Buchan per la scelta.” Mormorò a se stesso, ma in modo che lei potesse sentire.
Lucrezia lo fulminò con gli occhi.
Piton sorrise e afferrò la brocca del vino.
“Vino, Lucrezia?” chiese con voce di seta.
“Sì, grazie!” rispose un po’ brusca porgendogli il bicchiere.
Il mago si sporse verso di lei, allungò il braccio e, inclinando con eleganza la brocca di cristallo, iniziò a versarle da bere. Improvvisamente, però, il braccio del mago ebbe un tremito e gran parte del vino si rovesciò sulla tavola.
Lucrezia sussultò lasciandosi sfuggire un breve e acuto grido che richiamò l’attenzione degli altri insegnanti: la bevanda, scivolando sul legno lucido, era finita oltre il bordo colando sul suo vestito. Wilkinson scoppiò a ridere, quando la strega, dopo aver cercato di salvare il salvabile bloccando con la magia il liquido color rubino che continuava a piovere sul suo tailleur, sollevò lo sguardo indignato e si accinse a fare qualche scortese commento allo sbadato coppiere. L’espressione sul volto del mago, però, la lasciò senza parole. Anche le risate cessarono immediatamente. Piton era rimasto immobile, fissando il risultato del piccolo incidente come se stesse guardando la più immane delle catastrofi.
“Preside, si sente bene”. Pigolò la strega, notando che impallidiva a vista d’occhio.
Non ottenne risposta, solo dopo parecchi secondi, Severus si riscosse, come se si fosse ridestato da uno stato di trance, si guardò attorno rendendosi conto che tutti i suoi colleghi erano ammutoliti e aspettavano una sua reazione. Si alzò, scansò la sedia, e, borbottando delle frettolose scuse, si allontanò con passo veloce.
Lo strano comportamento del preside era stato notato anche da molti ragazzi.
Lo sguardo di Albus Severus era corso ad incontrare quello di Neville, che considerava quasi uno zio. L’insegnante di Erbologia sembrava spaventato, lui che conosceva Piton più di tutti gli altri, sapeva bene che non era da Severus comportarsi in quel modo.
Tuttavia, appena si rese conto di aver attirato l’attenzione dei ragazzi, tentò di nascondere la sua preoccupazione, e riprese a maltrattare il suo pranzo, più svogliato di prima.
L’idea che fosse suo dovere di insegnante accertarsi di persona dello stato di salute del preside si era fatta strada nella sua mente, un’idea che non gli piaceva affatto. Piton era sempre stato un uomo riservato e il suo ritorno dall’aldilà non lo aveva certo trasformato nel più socievole degli amici. Eppure, a parte Hagrid, lui era l’unico in quella scuola ad aver conosciuto il preside in un momento ben più triste della sua vita. Non sapeva perché, ma si sentiva quasi in dovere di offrirgli la sua amicizia, in fondo cosa mai poteva accadergli? Nella peggiore delle ipotesi, Piton lo avrebbe invitato ad occuparsi dei suoi affari, ma non poteva di certo metterlo in punizione, dopotutto ora erano colleghi.
Intanto, mentre Paciock si perdeva nei suoi ragionamenti, gli altri professori avevano cercato di minimizzare, tornando a dialogare amichevolmente fra loro.
Finché, uno strano brusio, proveniente dai tavoli degli studenti, attirò di nuovo l’attenzione dell’insegnante di Erbologia.
Paciock osservò con la coda dell’occhio un gruppetto di Serpeverde che si era avvicinato ad Albus Potter, tra loro c’era il figlio di Draco Malfoy, Scorpius. Anche al tavolo dei Grifondoro sembrava esserci altrettanto movimento. Indubbiamente quei ragazzini stavano già escogitando un piano per ficcare il naso nella vita privata del preside di Hogwarts.
In effetti, pensò Neville, era esattamente quello che avrebbero fatto i loro genitori: Harry Potter e i suoi inseparabili amici, ma anche lo stesso Draco, se si fossero trovati nella stessa situazione. Senza contare che, per dei ragazzini nati in un mondo di pace, quell’uomo venuto dalla morte costituiva una vera curiosità.



Continua…






Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Cap. 2: Amara verità ***


Ernil: Grazie! Sono contenta che tu abbia letto anche "per amore di un figlio" dato che ciò che avviene in questa storia è strettamente legato alle vicende dell'altra. Ci sono molti riferimenti che non si possono capire senza conoscere i precedenti. Neville avrà un ruolo molto importante, anche a me piace molto come personaggio. Mi piacciono i suoi dubbi e le sue paure, e mi piace come lui riesce a vincerle sempre e a dimostrarsi una persona coraggiosa e leale.
PS: sì "Amando il vento" l'ho scritta io. :-)
Allison91: Grazie anche a te, spero davvero di non deludere le tue aspettative. :-)

Buona lettura!


Cap 2 Amara verità

Intanto Severus, che si era precipitato in corridoio chiudendo piuttosto bruscamente la porta dietro di sé, non era andato molto lontano. Aveva fatto appena qualche metro prima di fermarsi appoggiandosi con la schiena al muro.
Ansimava, come se avesse fatto una lunga corsa. Sollevò il braccio sinistro, fissandolo con un’espressione mista di orrore e disgusto.
La manica della tunica arrivava fino al polso, ma lui sapeva cosa avrebbe visto sotto la stoffa. Era una sensazione fin troppo familiare, qualcosa che credeva di essere riuscito a dimenticare.
Ripiegò lentamente il tessuto arrotolandolo su se stesso, e poi, con altrettanta lentezza, prese a sbottonare i polsini della camicia. La mano tremava, e il cuore sembrava volergli sfondare il petto.
Sollevò la stoffa candida e lo vide: l’orribile serpente, il simbolo della sua antica schiavitù, era tornato, come se avesse attraversato la barriera della morte per raggiungerlo e farlo precipitare di nuovo nell’inferno del suo passato.
Si piegò in avanti colto da un conato di vomito, e rimase chino, con gli occhi chiusi, cercando di riprendere il controllo. Avrebbe voluto solo urlare in quel momento, ma si portò una mano alla bocca e appoggiò l’altra al muro. Affidandosi a quelle amate pietre come avrebbe fatto un cieco, si trascinò curvo fino alla sua camera.
Giunto nel suo appartamento, chiuse la porta con la magia ed entrò in bagno. Aprì il rubinetto e prese a lavarsi il viso con l’acqua gelida, come se ciò servisse a svegliarlo da quello che sperava potesse essere solo un incubo.
Non riusciva a capacitarsene, non poteva essere reale.
Solo il ritorno di Voldemort avrebbe potuto risvegliare il Marchio, ma l’unico modo per tornare dal mondo dei morti era attraversare il Velo, ed ora che lui l’aveva distrutto, il passaggio era stato sigillato per sempre.
Forse esisteva un altro Horcrux? Il mago scosse il capo. No, non era possibile. Ammesso che Voldemort avesse creato un ottavo Horcrux, non avrebbe di certo aspettato vent’anni per tornare.
Era tutto così assurdo. Sollevò di nuovo la manica e guardò il Marchio. Non stava sognando, l’emblema del suo antico padrone era vivo e pulsante e, anche se sembrava una cosa impossibile, non poteva negare la realtà.
Magari stava solo impazzendo? Forse era un effetto collaterale del Velo? In fondo nessuno lo aveva mai attraversato prima.
Ecco, forse, dipendeva da lui, doveva essere un’allucinazione.
Un’allucinazione fin troppo dolorosa, pensò, mentre una nuova fitta lo costringeva ad appoggiarsi al lavandino e un lamento soffocato sfuggiva dalle labbra serrate.
Sollevò il viso; dallo specchio un uomo giovane gli restituì il suo sguardo.
Aveva i capelli ben curati e l’acqua scivolava sui lineamenti spigolosi formando una rete di rivoli sottili. Il volto era quello di un uomo preoccupato, gli occhi leggermente arrossati, probabilmente per la febbre. Il Marchio infiammandosi provocava anche questa conseguenza. Era come una ferita infetta.
Ciò nonostante, il Severus che aveva di fronte era molto diverso dall’uomo morto vent’anni prima. Sembrava persino più giovane.
La vita tranquilla aveva di sicuro giovato al suo fisico.
Quello appena trascorso era stato un anno sereno, il primo dopo tanto tempo.
Un anno in cui aveva imparato lentamente ad assolversi, ad accettare la sua nuova vita, senza provare sensi di colpa ad ogni respiro, ad ogni battito di cuore, come se sentisse di rubarlo alla sua Lily.
Avrebbe barattato la propria vita per quella di Lily, anche ora, ma, dopo averla finalmente raggiunta nella morte, aveva capito che oltre quella soglia non era possibile provare odio o rancore. Lily era in pace e lo aveva perdonato.
Sospirò. Per un anno si era davvero illuso di riuscire a dimenticare. In fondo un anno di serenità era più di quanto avesse potuto sperare. Più di quanto avesse mai meritato.
Un anno pieno di tutte quelle piccole cose che nella sua precedente vita aveva imparato ad ignorare, persino a disprezzare: il pranzo nella Sala Grande, una bella partita, i raggi di sole che, attraversando le vetrate istoriate dell’ufficio di Silente, proiettavano immagini colorate sulla scrivania. Tutte quelle cose che in prospettiva di un’altra terribile guerra, sarebbero tornate ad essere inutili sciocchezze.
Il pensiero lo fece rabbrividire.
Cosa sarebbe successo?
Come avrebbero potuto difendersi questa volta, se Voldemort fosse davvero tornato in vita? Un'altra fitta lo distolse dai suoi pensieri.
Si tolse la giacca e la camicia, con rabbia, quasi strappandosela di dosso. Gettò tutto in terra senza curarsene, poi, stringendosi il braccio che continuava a tremare incontrollato, se lo portò al petto, e si diresse verso la cassettiera nella stanza da letto.
Aprì con la mano destra il cassetto più in basso e afferrò una piccola fiala all’interno.
Conteneva un liquido color sangue: una Pozione preparata vent’anni prima.
Piton la fissò disgustato. Non sapeva nemmeno perché avesse deciso di conservarla e, soprattutto, portarla a Hogwarts. Ne aveva una ricca scorta nella sua casa di Spinner’s End. Dopo il suo ritorno, aveva deciso di sbarazzarsene, conservando solo quell’ultima fiala. Troppi penosi ricordi erano legati a quella Pozione. L’unica che riusciva ad alleviare il dolore del Marchio. L’unica che gli permetteva di entrare in un’aula e affrontare i suoi studenti ignorando i terribili effetti dell’ira del suo Padrone.
Si portò la fiala alle labbra, ma prima che potesse berla, un colpo alla porta lo bloccò.
“Chi è?” chiese seccato.
“Preside, sono Paciock, volevo, ecco, volevo chiederle se ha bisogno di qualcosa.” rispose una voce amabile, ma resa particolarmente acuta dall’ansia.
Severus sbuffò, posando sul ripiano del mobile la fiala con la pozione ancora intatta.
Neville, non aveva ancora imparato a non farsi prendere dal panico in sua presenza, pensò. Possibile che dopo aver affrontato Voldemort in persona, quel ragazzo ancora non riuscisse ad affrontare il suo ex insegnante?
Si alzò tenendo il braccio sinistro accostato al petto, afferrò il mantello che pendeva dall’attaccapanni e, gettandoselo sulle spalle, ne accostò i lembi in modo da nascondere il tremore.
Aprì la porta con un colpo di bacchetta e si affacciò con un’espressione minacciosa dipinta sul viso, cosa che non aiutò a far sentire a proprio agio l’incauto visitatore.
“Sì, professor Paciock?” chiese in un sibilo.
“Ecco, mi dispiace, non volevo disturbare, ma ho avuto l’impressione che stesse poco bene.”
Poi, come se si fosse ricordato tutto ad un tratto di non essere più un alunno, drizzò la schiena e affermò con ritrovata decisione: “Volevo farle sapere, che se ha bisogno di qualsiasi cosa, può contare su di me.”
Piton lo fissò confuso, mosse le labbra per rispondere, ma qualcosa attirò la sua attenzione. Sollevò lo sguardo oltre la spalla di Paciock.
Neville si voltò, cercando di capire cosa stesse guardando Piton, ma non c’era nulla in corridoio a parte una fila di armature addossate alle pareti.
Il volto di Piton passò dall’attenzione, alla curiosità, fino all’ira furibonda.
Sorpassò Neville e agitò la bacchetta puntandola verso il fondo del corridoio. Un vento improvviso gettò a terra tutte le armature, provocando un frastuono terribile.
L’insegnante di Erbologia sobbalzò, ma immediatamente, dopo lo sbigottimento iniziale, il suo volto si fece cupo, era arrabbiato e deluso al tempo stesso.
Sul pavimento un groviglio di gambe sembrava fuoriuscire dal nulla. Non fu difficile per Neville capire a chi appartenessero.
Severus si avvicinò e fece come per agguantare l’aria, ma non era aria ciò che stringeva tra le dita un attimo dopo, bensì l’antico Mantello dell’Invisibilità che apparteneva a Harry Potter.
Lo sguardo truce del preside si soffermò per qualche istante su Albus e James ancora in terra a cercare di districarsi, poi il mago rivolse l’attenzione alla terza persona che condivideva il Mantello con i fratelli Potter.
Scorpius Malfoy sembrò rimpicciolire davanti allo sguardo furente di Piton. Rimase immobile, come se un peso lo schiacciasse contro il pavimento, con la bocca aperta e gli occhi che correvano dal preside all’uomo al suo fianco, quasi implorandone l’intervento in propria difesa.
Per tutta risposta il preside regalò un’occhiata altrettanto gelida al suo ex alunno.
“Professor Paciock, voglio augurarmi che non fosse al corrente dei piani di questi ragazzi. Non vorrei trovarmi costretto a prendere provvedimenti contro un docente di questa scuola.
Neville scosse il capo confuso.
“No, certo che no, come può pensarlo?”
Ma Piton sembrò non sentirlo nemmeno. Si chinò sui ragazzi e sussurrò, la voce simile ad una lama.
“Naturalmente il vostro comportamento non resterà impunito.” poi, rivolgendosi ai fratelli Potter e accennando al Mantello dell’Invisibilità, “Questo lo conserverò io.”
Arricciò le labbra in un sorrisetto di scherno.
“A quanto pare Harry Potter non ha ancora imparato a rispettare le regole visto che permette ai propri figli di portare a scuola un oggetto che esula dal normale equipaggiamento di uno studente, oltre ad essere potenzialmente pericoloso.”
I ragazzi non risposero, ma si alzarono da terra esibendo una delle loro migliori espressioni da cuccioli pentiti, che Piton ignorò completamente, bensì, dopo aver lanciato i suoi dardi infuocati ai due fratelli, rivolse lo sguardo rovente all’altro imputato.
“Sono davvero deluso, signor Malfoy. Oggi stesso chiederò a suo nonno di presentarsi a scuola per un colloquio.”
“Mio nonno?” squittì Scorpius. “Ha capito benissimo, signor Malfoy”.
“Ma, signor preside,” intervenne Paciock. “non crede che Draco vorrebbe essere informato sul comportamento di suo figlio? Lucius è…”
“Lucius è ancora uno dei maggiori finanziatori di questa scuola; è suo interesse conoscere i nostri metodi educativi e il modo in cui vengono applicati.”
Neville guardò sconsolato i suoi alunni, ma non ribatté.
“Ora potete tornare ai vostri dormitori.” Proseguì Piton gettando sul gruppetto un’occhiata gelida.
Mentre James e Scorpius continuavano a fissarsi le scarpe, gli occhi verdi del piccolo Albus corsero al Mantello di suo padre.
Non osava implorare Piton di restituirglielo, ma la sua espressione era più che eloquente. Per tutta risposta, il preside strinse la stoffa con più forza. Un gesto istintivo, come se il desiderio dipinto negli occhi verdi del suo alunno, gli stessi di Lily, bastasse a strapparglielo dalle mani.
Il preside restò immobile, intanto che i tre giovani si allontanavano a testa bassa. Li seguì con lo sguardo finché non scomparvero dietro l’angolo del corridoio, poi, finalmente, lasciò libere le sue labbra di piegarsi in una smorfia di dolore. Il Marchio continuava a pulsare. Era come se un fuoco fluisse nelle vene, a ondate. Dandogli tregua per alcuni minuti, per poi tornare con più vigore, provocandogli degli spasmi incontrollati.
Ormai il leggero mantello che si era gettato sulle spalle non riusciva più a camuffare i sussulti del suo braccio. Così il mago era costretto ad usare anche la stoffa di quello di Harry per nascondere il tremore. Lo teneva appallottolato intorno al braccio come una sorta di cuscino.
Senza voltarsi si rivolse al suo collega.
“Credo che, per stasera, sia tutto, professor Paciock.” disse stringendo con più forza l’involucro di tessuto scuro. Doveva resistere ancora pochi minuti, il tempo di sbarazzarsi di quella visita inopportuna. Ancora poco, poi la pozione avrebbe calmato, almeno temporaneamente, il dolore che lo stava facendo impazzire.
Neville esitò, avrebbe voluto riprendere il discorso, chiedergli di restare: era chiaro che l’uomo che aveva di fronte, infagottato alla meglio nel suo mantello, come un barbone in una coperta, non era di certo l’impeccabile e rigoroso Severus Piton che conosceva.
Poi decise che, forse, non era il caso di irritarlo ulteriormente. Gli aveva già detto quello che doveva: se il preside avesse avuto bisogno, gli avrebbe offerto il suo aiuto. Anche se, conoscendo quanto poteva essere orgoglioso Severus Piton, sapeva che non lo avrebbe comunque accettato a meno che non fosse questione di vita o di morte, e, forse, nemmeno in quel caso.
Mugugnò qualcosa che somigliava ad un saluto e si allontanò. Severus fece altrettanto: appena Paciock lo superò dirigendosi verso il fondo del corridoio, si voltò e rientrò nella sua stanza, bloccando di nuovo la porta.
Lì si sfilò il mantello e lo gettò sul letto assieme a quello di Potter.
Fu un sollievo: il contatto della stoffa sul Marchio, ne accresceva il bruciore. Distese il braccio, assaporando l’improvvisa sensazione di fresco sulla pelle nuda.
Si avvicinò alla cassettiera e afferrò l’ampolla con la pozione. Chiuse gli occhi prendendo un profondo respiro.
Se la portò alle labbra, ma si bloccò. Sollevò la fiala osservandola contro la luce della candela e le sue labbra si piegarono in una smorfia di disgusto.
Il Marchio gli tormentava la carne, ma, come se non avesse più percezione del dolore, Severus iniziò a far oscillare il piccolo contenitore di vetro, con calma, come avrebbe fatto un sommelier con un prezioso calice di vino o, piuttosto, come se stesse osservando un mortale veleno.
La pozione aveva un sapore amaro, ma non provocava particolari effetti collaterali. Agiva in pochi minuti come un semplice calmante.
Eppure berla diventava ogni minuto più difficile.
Quelle poche gocce vermiglie erano ciò che restava della sua vita passata, una vita fatta di rimorsi, ma anche di determinazione. La stessa determinazione che lo aveva spinto a creare quel filtro, simbolo della sua ribellione all’Oscuro Signore.
Un liquido che gli permetteva di opporsi al richiamo del suo padrone, di ignorare il dolore della schiavitù, di disobbedire.
Era fiero di ciò che aveva creato, ma allo stesso tempo lo odiava, perché sapeva che la sua era solo una falsa libertà.
Mitigare la sofferenza fisica non era come cancellare il Marchio. Ed ora più che mai si rendeva conto di quanto potesse essere potente il controllo di Voldemort su i suoi servi, tanto da riuscire a raggiungerli persino oltre la barriera della morte.
Avvicinò ancora la boccetta alla bocca. La mano tremò.
Se solo avesse potuto, non l’avrebbe bevuta.
Aveva l’impressione che nel momento in cui il liquido avrebbe di nuovo toccato le sue labbra, tutto sarebbe ricominciato.
Non voleva ammettere a se stesso che stava accadendo di nuovo. Bere la Pozione sarebbe stato come accettare la terribile verità: le sue catene non si erano mai spezzate.
Voldemort era ancora il suo padrone e poteva raggiungerlo persino ora.
Ci volle una nuova e più violenta fitta, tanto dolorosa da farlo cadere in ginocchio, per convincerlo ad ingoiare il filtro. Lo bevve con rabbia e poi gettò la fiala contro il muro.
Il vetro sottile esplose in una miriade di frammenti che si sparsero sul pavimento, assieme a quel poco che restava della pozione.
Severus rimase chino e ansimante per diversi secondi, fissando con orrore quelle che parevano schegge insanguinate.
Infine si alzò. Aveva un’espressione di disgusto dipinta sul volto, mentre si obbligava a distogliere lo sguardo da quel piccolo disastro e ad andare verso il letto. Si stese sopra le coperte e rimase immobile in attesa che il liquido facesse il suo dovere.



Continua…






Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Cap. 3: Solo un incidente ***


Lily483 Grazie, spero che troverai interessanti anche i prossimi capitoli. La storia non è molto lunga comunque.
Chialla Wow! Hai letto tutto in una mattinata? Chissà che mal di testa. Menomale che le mie storie non sono lunghissime. ;-) Comunque grazie!
Piccola Vero Grazie spero che continuerai a seguirmi.
Alida No, in effetti non vuol per forza dire che Voldemort sia tornato. Ma cosa sarebbe la vita senza Tom e senza nutella?
Damnedmoon Sì, avevo promesso, ma è più forte di me. Non so scrivere di Severus che si gode la vita. Non c’è Piton senza guai. Sulla fine del topo… non garantisco.
Marty4ever Eh, il Marchio fa i capricci, ma per ora nemmeno Piton sa cosa succede.
Ernil Ehm, vediamo… come faccio a rispondere alle tue domande?
-Voldemort è tornato? No. Non ancora comunque.
- Come?- Lo scoprirai.
- Quando?- A questa è meglio se non rispondo.
- Perché?- Quando lo scoprirà Piton, lo saprai anche tu.
- E’ davvero lui? Sì? No?- Credo che un “NI” dovrebbe bastare.
- Che c’è per cena?- Mmmm! Spiedini. ;-DDD

Buona lettura!


Cap 3 Solo un incidente

Quando la porta dell’ufficio del preside si aprì, il mago seduto alla scrivania sollevò appena lo sguardo, osservando distrattamente l’uomo di fronte a lui: era alto, paludato in un elegante mantello nero, aveva i capelli chiari, resi opachi e un po’ stoppacciosi dalle molte striature biancastre. Anche il mento, una volta fiero e spigoloso, ora era nascosto da una corta barba, ben curata.
L’uomo fissò il suo ospite, studiandone l’aspetto con eccessivo interesse.
“Ti trovo bene, Severus.” Sbottò infine, piuttosto stizzito.
“Lucius!” Lo salutò l’altro, la voce era bassa e calma. Si drizzò sulla schiena, incrociando le mani davanti al mento, e lo fissò a sua volta.
“Vorrei poter dire altrettanto.” disse piegando leggermente la testa di lato.
“Beh, non sono qui per ricevere complimenti sul mio aspetto, mi pare evidente che non posso vantare più un fisico da quarantenne e non credo che tu mi abbia fatto chiamare solo per rinfacciarmelo. Cos’ha combinato Scorpius di così grave?”
“Cosa ti fa credere che lui abbia fatto qualcosa?” Chiese Piton, assumendo un tono più serio.
“Normalmente sono i genitori che vengono convocati a scuola, non i nonni. Qualunque cosa tu abbia da rimproverare a mio nipote, credo che dovrai riferirla a Draco, non ha me.”
“Dunque, devo pensare, che tu non abbia la minima idea del motivo per cui ho voluto parlarti?”
Malfoy avanzò di qualche passo.
“Dovrei?” chiese piuttosto alterato, mentre si guardava attorno con curiosità.
L’ufficio che era stato di Silente, poi di Vitius, non era stato modificato dal suo nuovo inquilino. Oggetti dalle forme bizzarre erano allineati ordinatamente sugli scaffali. Il vecchio trespolo di Fanny era ancora al suo posto racchiuso entro una campana di vetro.
Unico elemento insolito in quell’ambiente allegro e luminoso era costituito da una grande libreria in legno d’ebano, così alta da sfiorare il soffitto, e colma di libri vecchi e polverosi. Quasi una macchia nera in una stanza che pareva ancora sorridere come gli occhi del suo vecchio proprietario, la cui effige troneggiava solenne sulla parete dietro la scrivania.
Severus si alzò di scatto, girò intorno al massiccio tavolo facendo frusciare il mantello, e si avvicinò a Malfoy, il quale, abbandonato immediatamente il suo esame ambientale, tornò a rivolgere l’attenzione al preside di Hogwarts .
“Non vorrai farmi credere che non te ne sei accorto?” ringhiò Piton, sollevando la manica della tunica e mostrando all’altro mago il Marchio scuro e pulsante.
“No!” Lucius balzò indietro, come se fosse stato morso da un serpente. Poi fissò sbalordito gli occhi neri colmi di collera di Piton.
“No, non può, non è possibile” strappò con foga i bottoni dei suoi polsini e si arrotolò la manica della camicia fino a scoprire anche il proprio avambraccio.
Il cuore di Piton mancò un battito: sulla pelle diafana dell’amico non c’era nulla a parte una piccola ombra più scura, unico sbiadito ricordo del terribile Marchio Nero.
Com’era possibile? Era certo che qualche antico seguace di Voldemort stesse cercando di riportare in vita il suo padrone. Un’impresa che avrebbe definito impossibile, fino al giorno prima. Fino a quando il Marchio sul suo braccio non si era risvegliato precipitandolo nuovamente nel peggiore degli incubi.
Non si era preoccupato di capire come potesse essere successo, ma, piuttosto, di scoprire chi fosse l’artefice di un simile incantesimo.
Ora, però, non sapeva più cosa pensare. Possibile che Lucius avesse trovato qualche oscura formula magica capace di provocare un simile fenomeno? E poi a quale scopo? Se veramente qualcuno avesse voluto riportare in vita Voldemort, perché lasciare che fosse proprio il Marchio dell’uomo che lo aveva tradito per anni ad attivarsi, rivelandogli i suoi piani?
Ci fu un lungo silenzio, poi il mago più giovane si abbassò la manica e fece qualche passo indietro appoggiandosi alla scrivania.
“Cosa stai tramando Lucius?” domandò, tradendo un leggero tremito nella voce.
Le labbra di Malfoy si piegarono in una smorfia.
“Dovrei essere io a farti questa domanda, non è il mio Marchio che sta bruciando, Severus.”
Il mago bruno non rispose. Si voltò dando le spalle all’altro, e si avvicinò alla finestra.
Malfoy lo raggiunse, ed entrambi fissarono i giardini di Hogwarts.
“Non è opera mia, Lucius.” Mormorò.
“Lo spero per te.”
“Per me?” Piton si voltò lentamente e gli occhi si posarono per alcuni istanti sul profilo dell’amico, apparentemente intento ad osservare il prato. Per poi tornare a perdersi di nuovo tra gli alberi che circondavano la scuola. “Qualsiasi cosa stia succedendo, non sarò certo l’unico ad essere coinvolto.” Disse cupo.
Poi, all’improvviso scosse il capo, come per scacciare un insetto fastidioso: per un attimo, gli era parso di vedere quel lussureggiante paesaggio deturpato da terribili ferite. Così come lo aveva visto vent’anni prima. Un’immagine di Hogwarts che non avrebbe mai dimenticato. L’ultima prima di morire.
“Severus, io non voglio entrarci, anzi, non avresti dovuto chiamarmi, affatto.” Scattò Malfoy.
Piton si voltò, afferrò l’altro per il bavero della giacca con la rapidità di un serpente e lo tirò a sé.
“Tu avrai da perdere molto più di me in questa faccenda.” Sibilò, il volto a pochi centimetri da quello dell’amico.
“Lasciami!” Malfoy scansò Piton allontanandosi dalla finestra. “Io non l’ho tradito.”
“Ah no? A quanto mi hanno raccontato, tu non eri al suo fianco quando è morto. Pensi che lui accetterà le tue scuse e ti riaccoglierà a braccia aperte nella sua cerchia?”
“Lo farà.”
“Ne sei certo? Sei disposto a rischiare la vita di tuo figlio? Di tuo nipote? Sai bene che saranno loro a pagare per primi.”
Il volto del mago biondo s’irrigidì, e lui barcollò all’indietro lasciandosi cadere sulla poltrona.
Severus sollevò il mento, gli occhi ridotti a due fessure.
“Bene, vedo che sai anche essere ragionevole.”
“Cosa pensi di fare?” mugugnò Malfoy prendendosi la testa fra le mani.
Piton lo fissò in silenzio. Il volto sempre più cupo, mentre la comprensione cominciava a farsi strada nella sua mente.
“Spero di sbagliarmi, ma credo di aver capito quello che sta succedendo.” Mormorò con voce incrinata. “Se ho ragione…” Distolse lo sguardo, lasciandosi sfuggire un profondo sospiro. “…avrò bisogno del tuo aiuto.”
“Non combatterò contro di lui. Come hai detto tu, ho troppo da perdere. Non ho intenzione di morire facendo l’eroe, né di mettere in pericolo la mia famiglia.”
“Se riuscirà a tornare, non avremo nessuna speranza di fermarlo. Non ci sarà un nuovo prescelto. La profezia si è avverata e non si ripeterà.” Lo riprese con decisione.
“Allora cosa vuoi da me?”
Piton, chiuse gli occhi scuotendo il capo.
“Non lo so ancora, devo fare delle ricerche.” Si voltò e tornò a sedersi alla scrivania. “Tuttavia devo potermi fidare di te.” Sollevò il braccio con la bacchetta e richiamò un grosso volume dallo scaffale. “Forse possiamo fermare tutto questo prima che sia troppo tardi, e prima che altri lo vengano a sapere. Voldemort potrebbe avere ancora dei sostenitori.”
Su volto di Malfoy un muscolo si contrasse impercettibilmente.
“E tu non credi che ci sia qualcuno di loro dietro questa faccenda?”
“No, lo credevo fino a qualche istante fa, ma ora oserei dire che ci troviamo di fronte ad uno spiacevole incidente.”
“Un incidente?”
“Esatto, un incidente, solo un maledettissimo incidente, tuttavia altri potrebbero approfittarne. Non ho intenzione di dare inizio ad un’altra guerra: il mondo magico non sopravvivrebbe. Il fatto che sia solo il mio Marchio ad essersi svegliato potrebbe essere un vantaggio: nessun’altro dovrà sapere”.
“Per quanto tempo pensi di poterlo tenere nascosto. Quando il bruciore diverrà insopportabile, qualcuno lo noterà.”
“Questo è un mio problema, Lucius.” Disse senza guardarlo, rivolgendo invece la sua attenzione al voluminoso libro. “Ho bisogno di un po’ di tempo, ho qualcosa da fare.” Continuò distrattamente, lasciando scorrere l’indice della mano sulla pagina ingiallita, come se cercasse qualcosa in una sorta di elenco. “Ti aspetto fra una settimana a casa mia.”
“A casa tua?”
“Sì, Lucius, a casa mia.” Severus sollevò improvvisamente la testa, e fissò l’amico, con aria seccata. “Immagino che ricordi ancora dove abito.” Disse senza nascondere una punta di acidità. Poi, tornando a guardare il libro: “Ti consiglierei, inoltre, di non coinvolgere Draco in questa storia, e tantomeno tuo nipote. Quel ragazzino è un insopportabile ficcanaso, ed è sempre appiccicato al figlio di Potter.”
“Decisamente non ha preso da me.” borbottò, Lucius, infastidito.
Il mago alla scrivania sollevò nuovamente lo sguardo, osservando in silenzio il suo interlocutore. Gli occhi neri ne percorsero l’intera figura registrando ogni dettaglio.
“Non fraintendermi.” disse poi con voce calma, quasi benevola. “Non mi interessa affatto sapere con chi trascorrono il loro tempo libero i miei alunni, ma l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno in questo momento è un Potter fra i piedi.”
“Non ho l’abitudine di coinvolgere nei miei affari un ragazzino di dodici anni.”
Piton sorrise.
“E’ evidente, Lucius, che non sei mai stato un insegnante.” constatò, sottilmente divertito.
Malfoy fece una smorfia, si voltò e lasciò la stanza, mentre Piton lo accompagnava con uno sguardo malinconico.
Restò per diversi minuti a fissare la porta chiusa, finché una voce alle sue spalle, lo distolse dai suoi pensieri.
“Severus!”
Piton non si voltò, ma si prese la testa fra le mani.
“Cosa vuole?” sbuffò.
“So cosa stai pensando di fare.”
Piton arricciò le labbra e, poggiando mani sul tavolo, si rimise in piedi.
“Davvero?” chiese in tono provocatorio gettando un’occhiata sbieca al ritratto di Silente.
“Se ha un’idea migliore, le consiglio di tirarla fuori, perché io non ne ho”.
“Vorrei poterti aiutare, Severus.” Scosse il capo. “Mi dispiace”.
Piton abbassò lo sguardo, la sua era una provocazione, ma aveva quasi sperato che il vecchio mago potesse davvero indicargli una via d’uscita.
Poter parlare con lui, anche nei momenti più bui gli aveva sempre dato sicurezza. Quando tutto il mondo magico lo riteneva un assassino e un traditore, sarebbe di certo impazzito se non avesse avuto almeno il ritratto dell’uomo che considerava un maestro e un padre con il quale confidarsi. A lui si era affidato completamente, si era gettato nel baratro fidandosi solo della sua parola. Su quella parola aveva costruito la sua esistenza. Aveva una missione, uno scopo, e Silente aveva i suoi piani, e, anche se non gli aveva mai rivelato tutta la verità, quei piani erano diventati la sua sola ragione di vita.
“Non ha importanza.” Mormorò simulando un gelido di stacco, ma poi, di fronte allo sguardo colmo di tristezza di Silente, non poté fare a meno di sorridergli.
“Ce la faremo anche questa volta, lui non tornerà.” lo rassicurò, poi fissò la macchia scura sulla parete, accanto al ritratto di Silente. Era ciò che restava della cornice d’argento che ospitava la sua effige, sparita magicamente dopo che Potter l’aveva riportato in vita.
“E farò anche in modo che quella parete resti vuota ancora per molto tempo.” affermò deciso.
Il ritratto di Silente annuì, abbozzando un sorriso.
“Certo!” sussurrò, mentre l’altro aveva già lasciato la stanza portandosi dietro il voluminoso libro.



Continua…






Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Cap. 4: La Rosa nera ***


Lunanera75 Grazie! Conosco bene Ida59, mi ha anche fatto da beta qualche volta. Spero che questa e le altre mie storie non ti deluderanno. Mi raccomando fammi sapere cosa ne pensi.
Piccola Vero Sì, Severus è un mito, come non essere d’accordo? ;-)
Alida Beh, il coraggio, Lucius dovrà farselo venire. Non ha molta scelta. I ragazzi faranno la loro parte, anche se è ovvio che Severus vorrà fare da solo, come sempre.
Allison91 Harry ci sarà, ma devo deluderti su Ron ed Hermione. Stavolta la questione riguarda soprattutto Piton e lui vorrà coinvolgere meno gente possibile. Paciock avrà un ruolo importante, necessariamente. E Harry, beh, Harry è Harry, figurati se non si impiccia. Lui fuori dai guai non ci sa proprio stare.
Marty4ever Harry non sarà proprio chiamato, non da Piton comunque. Ma lui se sente odore di guai arriva sempre. No, nessuno sta riportando in vita Voldemort, non volontariamente. Hai letto quello che ha detto Piton: si tratta di un “incidente”.

Buona lettura!


Cap 4 La Rosa nera

Il mago fissò la fila di boccette di vetro sullo scaffale.
Come preziosi rubini, le piccole ampolle, colme di liquido color sangue, brillavano allegramente al riflesso delle candele. Il vetro pulito e lucido dei contenitori appena riempiti, risaltava particolarmente sul vecchio ripiano polveroso.
Una ruga comparve sulla fronte del mago, mentre ammirava il risultato di una nottata trascorsa chino sul calderone: una scorta abbondante della Pozione che lui stesso aveva ideato per poter placare il dolore del Marchio.
Per prepararla aveva approfittato della stanza che era stata approntata per lui quando aveva curato il piccolo Potter.
Dopo aver ripreso il suo incarico da preside, aveva deciso di lasciare intatto quell’ambiente e di attrezzarlo come suo laboratorio personale, dato che il nuovo studio era troppo esposto alla luce e soprattutto troppo frequentato da insegnanti e studenti, per poter essere un luogo adatto al lavoro di un Pozionista.
In quella piccola stanza, invece, accanto all’aula di Pozioni, la sua ex aula, si sentiva a suo agio: lì aveva potuto lavorare indisturbato.
Aveva riempito decine di ampolle di pozione. Un lavoro lungo e faticoso, dato che quel particolare filtro poteva essere distillato solo in piccolissime quantità, e ogni volta il calderone doveva essere vuotato e ripulito prima di iniziare la preparazione di una seconda fiala.
Un lavoro che, alla luce di quello che aveva appena scoperto dopo l’incontro con Malfoy, si era rivelato un’inutile perdita di tempo.
Il mago si avvicinò allo scaffale e, appoggiando entrambe le mani al ripiano più in alto, chinò la testa sconfortato: quella pozione non sarebbe servita a molto.
Ora aveva capito, ora sapeva quello che era successo. Nessun Mangiamorte aveva cercato di riportare in vita il suo vecchio padrone.
No, il problema era lui. Solo lui e quella dannata cicatrice.
Il bruciore del tatuaggio non era una conseguenza della ricomparsa di Voldemort, ma ne era la causa. Era il Marchio ad attirare Voldemort verso la vita, e placare il dolore con una Pozione non sarebbe servito a neutralizzare il suo potere.
Eppure non voleva arrendersi: si voltò appena e gli occhi si posarono sul voluminoso libro che aveva preso nel suo ufficio. Lì c’era la soluzione.
Una soluzione drastica e pericolosa, ma non aveva altra scelta.
“E’ colpa mia.” Mormorò.
Poi, staccandosi dal mobile, afferrò il libro, lo guardò per diversi minuti, quasi temesse di sfogliarlo, e, infine, lo aprì nel punto in cui aveva inserito un pezzetto di pergamena come segnalibro.
In quella pagina c’erano le istruzioni per la preparazione di un’altra Pozione, molto più potente di quella contenuta nelle ampolle sul ripiano. L’unica Pozione in grado di neutralizzare il Marchio e di spezzare la catena che lo legava al suo padrone.
Conosceva da tempo l’esistenza di quella formula, ma non l’aveva mai usata, anche se avrebbe desiderato farlo. La sua preparazione era così complicata che un piccolo errore avrebbe potuto ucciderlo, ma non era stata la paura a fermarlo in passato, piuttosto il dovere.
Quella pozione, Severus Piton la spia non avrebbe mai potuto usarla.
Non avrebbe potuto spezzare quel legame maledetto, senza rivelare il suo tradimento.
Ora però non era più una spia, ora poteva liberarsi per sempre del suo incubo, poteva aggrapparsi al sogno che aveva accarezzato per anni.
Poteva, anzi doveva usare quella pozione, poiché rompere il vincolo che lo univa ancora al Signore Oscuro, come una catena tesa fra due mondi, era l’unico modo per salvare la propria vita.
Si portò le mani nei capelli, scuotendo il capo.
Sì, era inutile illudersi, adesso aveva capito tutto, anche Silente aveva capito, sapeva che il marchio ora non era più solo un segno di schiavitù, ma era diventato qualcosa di peggio: un orrendo filo che l’avrebbe trascinato verso il baratro succhiandogli la vita. Come il cordone ombelicale che lega un figlio alla madre morta, lo avrebbe sicuramente ucciso.
Trasse un profondo respiro, non c’era nessuna certezza che quella pozione potesse funzionare, ma doveva tentare.
Probabilmente era solo la speranza a spingerlo.
Le labbra si serrarono in una smorfia stizzita.
La speranza: una parola di cui credeva di aver dimenticato il significato, fino a quando Silente non aveva provveduto a ricordarglielo dopo che era tornato in vita.
Forse era solo pazzo.
Non era nemmeno certo di quello che stava realmente succedendo. Voldemort era morto, quella Pozione non era stata creata per un’eventualità del genere. Non era mai accaduto che si istaurasse un simile legame fra una persona viva e una morta.
Forse provando quella Pozione avrebbe peggiorato le cose.
Forse doveva solo attendere senza fare nulla.
Voldemort sarebbe potuto tornare, usando il Marchio come una sorta di richiamo per se stesso. O, forse, avrebbe attirato nuovamente a sé il proprio servo. In questo caso il mondo magico sarebbe stato salvo, ma lui?
Si morse il labbro: no, non poteva arrendersi senza combattere, in ogni caso doveva reagire.
Tenendo il libro aperto con una mano, iniziò a passare in rassegna gli ingredienti sparsi nei vari ripiani, cassetti e bauli presenti nella stanza. Tutte sostanze troppo pericolose per essere lasciate nell’aula di Pozioni, a disposizione degli studenti.
Si portò una mano sul mento, pensieroso: possedeva quasi tutto ciò che era elencato nella pagina. Almeno in quello era stato fortunato.
Mancava sono un ingrediente, ma, anche se molto raro, preferì pensare che sarebbe riuscito a trovarlo prima di aver terminato la fase iniziale della preparazione della Pozione. Ci sarebbero volute ventiquattrore, poi sarebbe potuto passare alla fase successiva. Aveva ancora tempo. Posò il pesante tomo sul tavolo, e iniziò a radunare le varie boccette sullo stesso ripiano, accanto al libro.
Accese il fuoco sotto il calderone con un colpo di bacchetta e iniziò a versare all’interno il contenuto delle ampolle che aveva posizionato più vicine a lui.
Fissò i liquidi colorati che iniziarono a vorticare velocemente senza che lui li avesse minimamente mescolati, sprigionando un enorme calore.
Come un automa, iniziò a sparpagliare sul tavolo erbe e polveri colorate. Sminuzzò le prime e, dopo averle raccolte con la lama del coltello, le gettò in un vaso di pietra, insieme a piccole quantità delle varie polveri, in dosi crescenti. Col pestello ridusse il tutto ad una pasta omogenea che versò poi nel calderone.
Il lavoro si fece frenetico: altri ingredienti dovevano essere aggiunti in successione in un brevissimo intervallo di tempo da uno all’altro. Poi la pozione avrebbe dovuto essere mescolata, con movimenti precisi e regolari.
Il mago eseguì tutti i passaggi con maestria, senza una pausa.
Mescolò la Pozione per dieci minuti, poi aggiunse altri ingredienti e di nuovo affondò il mestolo nella mistura, imprimendogli un movimento circolare, preciso e cadenzato.
Infine si addrizzò sulla schiena asciugandosi il sudore con la manica. Era stanco, ma non sarebbe rimasto seduto, in attesa. Ciò che lo aspettava era forse inevitabile, eppure non si rassegnava ad attendere passivamente. Tenersi occupato gli dava l’impressione di poter gestire la situazione; riusciva a non sentirsi impotente e, anche se le possibilità di successo erano minime, questo lo faceva star meglio.
Si scostò dal calderone per controllare una nota nel libro, intanto la pozione aveva raggiunto la giusta temperatura e doveva essere lasciata bollire per altre due ore, prima di poter aggiungere altri ingredienti.
Si accomodò sulla sedia più vicina al tavolo, e lasciò scorrere l’indice sul foglio ingiallito. C’erano delle scritte minute accanto al disegno di una pianta strana, una specie di alga scura. Era l’ingrediente mancante: l’Euriale.
Tenendo il segno col dito e senza sollevare la testa, il mago gettò un’occhiata al fuoco sotto la pozione, assicurandosi che il calore fosse sempre costante, per poi, quasi distrattamente spostare lo sguardo sulla clessidra che si trovava nello scaffale, prima di tornare a concentrarsi sulle scritte.
Euriale, o Rosa di palude, un’alga di colore nero dalle proprietà strabilianti. Usata per contrastare incantesimi molto potenti, può essere a sua volta mortale. Deve essere maneggiata con cautela. Se guardata direttamente può portare un uomo alla...
D’improvviso le dita del mago si strinsero sulle delicate pagine come gli artigli di un rapace.
Severus sgranò gli occhi, colto da un improvviso terrore.
“NOOOO!”
Il braccio scattò come se fosse legato ad un elastico e il libro fu lanciato con forza verso il calderone.
Colpì il metallo, facendo oscillare la grossa pentola che per poco non si capovolse, e cadde sulla fiamma.
Le vecchie pagine s’incendiarono immediatamente, ma Severus, dopo alcuni istanti di smarrimento, si lanciò sul fuoco afferrando il prezioso libro a mani nude.
Riuscì a farlo cadere sul pavimento e ci si gettò sopra soffocando le fiamme col suo corpo.
Si sollevò sulle braccia e fissò il mucchio di fogli accartocciati e anneriti sotto di lui.
Ansimava, incredulo. Gli occhi erano sbarrati.
Si mise in ginocchio e con delicatezza prese ciò che restava del libro. La mano tremò, e lui trattenne il respiro mentre lo sfogliava.
Finché non trovò conferma della sua paura: il libro era rimasto aperto cadendo nel fuoco e le fiamme avevano aggredito proprio le pagine che lui stava leggendo. Il foglio era in parte bruciato e alcuni passaggi della preparazione della pozione erano andati perduti.
Sì alzò da terra, tenendo il libro con entrambe le mani. Lo posò nuovamente sul ripiano, con delicatezza, lasciandolo aperto, per timore che altri frammenti di carta bruciacchiati potessero spezzarsi, portandosi via altre preziose informazioni.
Sollevò per un istante lo sguardo verso il calderone: la pozione era intatta, continuava a bollire.
Poi, gli occhi neri tornarono all’antico libro sul tavolo. Un misto di sentimenti contrastanti trapelavano dal suo sguardo, orrore, rabbia, sconforto.
Allungò il braccio e fece per toccare il libro, ma immediatamente scattò indietro come colto da una scossa, stringendo il pugno con forza.
Afferrò la bacchetta e la puntò verso la pozione.
Una bolla d’aria si formò attorno al calderone. Il fuoco si congelò, e allo stesso tempo la pozione smise di bollire e vorticare. Come se il tempo all’interno della bolla si fosse fermato, tutto divenne immobile.
Ripose la bacchetta ed uscì velocemente dalla stanza sbattendo la porta dietro di sé.


* * *



Un gruppetto di bambini del primo anno era radunato in circolo, nascondendo completamente l’insegnante di Erbologia, chinato in mezzo a loro, e intento a spiegare ai suoi alunni come maneggiare una piantina di Aneto evitando di coprirsi di fastidiose bolle. Il vegetale, molto utilizzato per creare filtri d’amore, era infatti innocuo per i babbani, ma capace di provocare forti reazioni cutanee in chiunque fosse dotato di poteri magici.
Quando la porta della serra si spalancò, una folata di vento freddo invase il locale.
I bambini si voltarono immediatamente verso l’ingresso dell’imponente costruzione di ferro e vetro. Neville Paciock spuntò fuori dal drappello di piccoli maghi, sollevandosi in tutta la sua statura. Pareva dominare sui suoi alunni, come una massiccia torre, ma sul suo volto c’era la stessa espressione stupita e un po’ intimorita dei bimbi che lo circondavano.
La snella figura del preside di Hogwarts si stagliava sulla soglia come una macchia nera contro la fredda luce del sole invernale. Severus esaminò con occhio critico gli studenti ammutoliti, lasciando scorrere lo sguardo lentamente su ciascuno di loro, prima di soffermarsi per qualche istante sul volto, ora serio e preoccupato del professore.
Fece qualche passo avanti. La corrente d’aria che attraversava l’ingresso, gonfiò il suo mantello nero, rendendolo maestoso e inquietante al tempo stesso, tanto che i bimbi reagirono istintivamente stringendosi al loro insegnante. Un movimento quasi impercettibile, ma che non passò inosservato al preside, né a Neville che sorrise posando la mano sulla spalla di uno di loro, prima di rivolgersi a Piton.
“Buongiorno, preside!” lo salutò con voce amabile.
Ma ciò che ottenne fu solo un debole cenno del capo da parte dell’altro mago che fece ancora qualche passo, fino a trovarsi a circa un metro dagli studenti.
“La lezione di Erbologia per oggi è terminata. Potete attendere in biblioteca il prossimo corso.” Disse senza guardarli, continuando a fissare Paciock.
Neville, sospirò, facendosi largo per uscire dal gruppo di bambini.
“Avete sentito? Continueremo domani con la lezione sull’Aneto. Ora potete andare.”ordinò sottolineando le sue parole con gesti delle braccia, come se volesse spingere la folla di ragazzini fuori dalla serra con le sue bracciate.
Gli studenti uscirono in silenzio.
Dopo alcuni istanti in cui i due maghi si guardarono senza parlare, Piton abbandonò la rigida postura che aveva tenuto fino a quel momento e prese a camminare fra i banchi con le mani dietro la schiena, come se stesse facendo una semplice passeggiata, seguito dallo sguardo curioso di Neville.
“Cosa sa dell’Euriale?” Disse d’improvviso, senza voltarsi.
Neville divenne cupo.
“La rosa nera di palude,” mormorò, quasi a se stesso. “E’ un’alga molto rara.”
Piton si voltò di scatto, facendo nuovamente ondeggiare il mantello.
“Bene, vedo che conosce i rudimenti. Immagino che questo sia riportato su tutti i libri di scuola.” Sbottò acido. “Mi interessa sapere se sarebbe in grado di procurarsela.”
“L’Euriale è proibita.” Evidenziò l’altro infastidito.
Le labbra di Piton si piegarono in una smorfia.
“Ne è stata proibita la raccolta, ma questo non significa che non si possa trovare, per chi ha le conoscenze giuste.”
“Certo che è stata proibita la raccolta,” continuò Neville piuttosto alterato. “Il solo guardarla può uccidere un uomo. I maghi hanno usato per anni gli Elfi domestici per procurarsi quella maledetta Alga. Gli elfi possono sopravvivere, ma molti di loro sono impazziti.”
Piton sospirò, chinò il capo e si appoggiò con entrambe le mani ad uno dei banconi stipati di vasi e recipienti colmi di terra e fertilizzanti.
“So bene che, per i suoi studi, è riuscito a procurarsi semi e piante piuttosto rare, oserei dire introvabili nei canali ufficiali.”
“Qui non si tratta di una pianta introvabile, ma di procurarmi un biglietto per Azkaban. E potrei sapere per cosa dovrei rischiare?”
“No, non può!” rispose secco.
“Beh, allora credo che sia tutto.” Concluse deciso.
Piton fremette. Le dita si strinsero come artigli sul ripiano di legno.
“Se le dicessi che è questione di vita o di morte?”
“Ha deciso di uccidere qualcuno?” domandò Neville, lanciandogli un’occhiata provocatoria.
Piton si allontanò dal bancone e fece qualche passo verso il suo interlocutore.
“Questo è possibile.” Disse, mentre un sorriso amaro si disegnava sulle labbra sottili.
“Ma temo che dovrà fidarsi unicamente della mia parola. Se cambierà idea mi troverà in laboratorio.”
Neville non ribatté, ma rimase a fissare l’uomo che si allontanava dalla serra, finché non sparì alla sua vista.



Continua…






Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Cap. 5: Il volto del nemico ***


Ernil Ehm, sì! Immagino, dalla tua esclamazione, che tu abbia intuito quello che sta succedendo al povero Sev, quindi non dirò altro, anzi dirò che ciò che hai visto non è ancora niente e la risposta la troverai già in questo capitolo, anche sull’entrata in scena di Harry.
Piccola Vero Severus avrà mooooolto bisogno di Neville questa volta
Alida Non ho capito se hai fatto la predica a me o a Severus. Ma lui è così, come si può pretendere di cambiarlo? Può non essere giustificabile il suo comportamento, ma il carattere di Piton non l’ho inventato io. E’ sempre stato ingiusto con Neville, ma Neville ora è adulto ed è abbastanza Grifondoro da non farsi intimorire dal tono di Piton. Per anni lo hanno odiato, lo hanno accusato e hanno sospettato di lui solo perché era un professore antipatico, è ora che dimostrino di essere cresciuti. Piton non diventerà mai uno zuccherino, Merlino ci scampi.
Allison91 Neville è anche l’unico della vecchia generazione ad essere presente a Hogwarts. Harry, Hermione, Ron, han messo su famiglia e non sono proprio a portata di mano. Ora Piton è preside, e Neville un insegnante di Hogwarts, dovranno fidarsi l’uno dell’altro, come Silente si fidava di Severus. Riguardo all’Euriale, beh, Piton è un Pozionista esperto, eheheh, ovvio che c’è un modo per maneggiare l’alga senza lasciarci le penne. Sulle virgole devo darti ragione, ogni volta che rileggo la ff, mi accorgo di averne messe alcune alla rinfusa. Io sono molto distratta quando scrivo, ma ahimè le mie beta sono più ditratte di me, dev’essere l’effetto Piton. Sono troppo impegnate a scoprire cosa succede al loro prof preferito, per far caso alle mie virgole. Giuro che la prossima volta mi trovo una beta che non sia Snapista.
Marty4ever La storia è già conclusa ( non pubblico mai una ff senza averla terminata prima). Quindi gli aggiornamenti saranno abbastanza regolari, ogni quattro, cinque giorni.


Buona lettura!


Cap 5 Il volto del nemico

La bellissima civetta bianca se ne stava sul suo trespolo godendosi la ricompensa dopo il lungo viaggio da Hogwarts: una tripla razione di biscotti.
Harry Potter non mancava mai di premiare la sua fedele compagna ogni volta che tornava con la posta.
Ginny gli rimproverava sempre di viziare l’animale, ma lui non poteva farne a meno. Si sentiva ancora in colpa per non aver potuto fare altrettanto con la sua Edvige.
Prese la lettera assicurata alla zampa della civetta con un nastro, si accomodò o, meglio, si tuffò sul divano, pronto a gustare il resoconto di un’altra settimana scolastica dei suoi figli, ma non fece in tempo a sollevare le gambe per accavallarle al bracciolo del divano, vizio che faceva andare Ginny su tutte le furie, che saltò in piedi, come se i cuscini sotto di lui avessero preso improvvisamente fuoco.
“Il mantello?” gridò mentre leggeva.
Nella lettera erano facilmente riconoscibili due grafie diverse. Albus e James erano soliti scrivere insieme. Infatti, la prima parte, in caratteri minuti e un po’ nervosi, era scritta da Albus che iniziava scusandosi con suo padre per aver preso il mantello dell’invisibilità, senza chiedergli il permesso.
Ginny, che era in cucina, uscì di corsa a vedere cos’era successo, e dietro di lei la piccola Lily che, superando sua madre, si tuffò sul divano ora libero e si posizionò con le gambe incrociate, come se si preparasse ad assistere ad uno spettacolo. Adorava ascoltare i racconti su Hogwarts che facevano i suoi fratelli, e, anche questa volta, era certa che la lettera di James e Al sarebbe stata ricca di fantastiche novità.
“Cosa è successo? Perché hai urlato?” Chiese Ginny rivolgendosi al marito.
“Al ha preso il mio mantello dal baule in soffitta e lo ha portato a scuola.” Brontolò Harry, tentando una goffa imitazione di genitore severo.
Ginny scoppiò a ridere.
“Beh, cosa ti aspettavi? E’ tuo figlio. Tu avresti fatto lo stesso. A quanto pare, voi Potter non siete molto bravi a seguire le regole.”
“Ma Ginny, quei due pivelli dei nostri figli si son fatti beccare da Piton. Assieme a Scorpius per di più.” Sulle sue labbra si disegnò un sorriso beffardo. “Cosa darei per vedere la faccia di Malfoy!” sogghignò, poi si colpì la fronte con la mano. “Accidenti, come ho fatto ad avere figli così maldestri? Credo che dovrò fargli delle lezioni su come non farsi scoprire, la prossima volta che vorranno ficcanasare negli affari del preside.”
Ginny si fece improvvisamente seria.
“Ma perché avrebbero dovuto spiare Piton?”
Harry la fissò per un attimo perplesso poi, scansando una sedia dal tavolino rotondo accanto alla finestra, si accomodò per proseguire la lettura.
La strega intanto sbirciava da sopra le sue spalle. Finito di leggere entrambi si guardarono preoccupati.
“Che c’è? Che ha combinato Al?” chiese la piccola Lily, che non riusciva a spiegarsi l’improvviso silenzio.
“Nulla tesoro.” Ginny si avvicinò alla figlia e, prendendola per mano, la fece scendere dal divano. “Ora vai in camera tua a giocare.”
“Ma mamma, io voglio sapere. Il prossimo anno dovrò andare anch’io a Hogwarts, e James non racconta mai la verità.”
“Non ora Lily.” la bloccò con freddezza. “Ti racconteremo tutto. Promesso! Ora lasciami parlare con tuo padre.”
Quando furono di nuovo soli, Ginny si sedette accanto a Harry.
“Qui dice che Piton ha lasciato improvvisamente la cena.” Mormorò il mago fissando la lettera. “Per quello i ragazzi hanno seguito Neville. Sembrava che Piton stesse male. Lui li ha scoperti e ha sequestrato il mio mantello.” Guardò Ginny pensieroso. “In effetti è strano il comportamento di Piton. Non si è presentato a tavola nemmeno l’indomani, ed ora sono già alcuni giorni che non si fa vedere in giro.”
“Ma forse sta semplicemente poco bene, magari ci stiamo preoccupando per un banale raffreddore.” Cercò di tranquillizzarlo.
Harry fece una smorfia.
“Hai mai visto Piton assentarsi per malattia?”
“No, ma…”
“E poi, se fosse solo malato a che scopo piombare nel mezzo di una lezione di Erbologia del primo anno?” continuò. “Di certo non per fare due chiacchiere con un collega. Leggi qui.” Disse indicando un punto nella lettera. “Ha annullato la lezione e ha spedito tutta la classe in biblioteca. Senza contare che dopo la faccenda del mantello ha convocato a scuola Lucius Malfoy.” si alzò di scatto. “Capisci? Ha chiamato il nonno di Scorpius, ma non ha convocato me o Draco che siamo i genitori dei ragazzi. No, secondo me, James e Al hanno ragione: se Neville è preoccupato, dev’essere successo qualcosa di grave. Andrò a Hogwarts e già che ci sono mi farò restituire il mantello.”


* * *



L’indomani Harry Potter camminava lungo il viale alberato della sua vecchia scuola, dirigendosi verso le serre.
Aveva deciso di incontrare per primo l’amico Neville, anche se sapeva che la notizia della sua visita sarebbe arrivata alle orecchie del preside immediatamente, non appena avrebbe varcato i cancelli del castello.
Voleva saperne il più possibile sulla faccenda, prima di trovarsi faccia a faccia con Severus Piton.
Neville, quando lo vide arrivare, uscì dalla serra e gli corse incontro.
“Harry, che bello vederti!” esultò stringendolo in un forte abbraccio.
Harry sorrise.
“Anch’io sono contento di vederti Neville.” disse, poi piegò leggermente la testa di lato, accennando con gli occhi alla torre in cui si trovava l’ufficio di Piton. “Ma puoi immaginare che non sono qui solo per riabbracciare un amico.”
Neville si sciolse da lui e fece un passo indietro.
“Al e James ti hanno raccontato?”
Harry annuì.
Paciock allora gli posò una mano sulla spalla e lo invitò ad entrare nella serra.
“Sai cosa è venuto a chiedermi Piton?”
L’altro scosse il capo.
“Euriale.”
Harry si bloccò, fissando Neville con l’aria di chi cerca di capire se ha appena avuto una buona o una cattiva notizia.
Paciock sorrise.
“E’ un’alga. Credo che gli serva per una pozione. Ma oltre ad essere un ingrediente proibito è anche potenzialmente mortale.”
“Pensi che voglia usarla contro qualcuno?” domandò Harry, allarmato.
“Beh, sicuramente non sta creando una pozione per eliminare i brufoli.”
Trasse un profondo respiro. “Mi dispiace Harry, non so che pensare. Certo, se stesse tramando qualcosa di poco pulito, non sarebbe venuto a cercare il mio aiuto. Pensi che dovrei procurargli quello che ha chiesto?”
Harry si morse il labbro e fissò gli occhi rattristati di Neville. “Dagli quello che vuole e cerca di scoprire cosa sta combinando. Non mi piace sospettare di lui, lo sai. Non dopo tutto quello che è successo. Non voglio sbagliare ancora.”
Neville annuì.


* * *



Nel frattempo Severus, che, come Harry immaginava, era stato prontamente informato del suo arrivo, stava percorrendo velocemente i lunghi corridoi di Hogwarts per raggiungerlo.
Era certo che Harry Potter sarebbe passato prima dall’insegnante di Erbologia, e aveva deciso di incontrarlo alle serre.
Aveva con sé il mantello dell’invisibilità. L’avrebbe restituito al suo proprietario, non senza risparmiargli una severa critica ai suoi metodi educativi.
Improvvisamente un gruppetto di studenti sbucò da un angolo del corridoio, bloccandogli la strada.
Alla vista del preside, tutti si fecero da parte, tranne uno. Continuava a urlare e saltellare davanti al mago, indubbiamente era vittima di uno stupido scherzo. Qualcuno dei suoi amici, quasi tutti di Grifondoro, doveva avergli scagliato addosso una Tarantallegra.
Severus lanciò un’occhiataccia ai ragazzi che, allineati contro la parete, sembravano volersi confondere con le pietre del muro. Poi afferrò la bacchetta e la puntò contro la loro vittima. Ma qualcosa gli impedì di pronunciare l’incantesimo che voleva per liberare il malcapitato. Le dita si strinsero con forza sul legno magico imprimendogli un brusco movimento verso l’altro.
Il ragazzo, come se fosse stato legato ad una fune invisibile, fu sollevato da terra e, sotto lo sguardo allibito dei suoi compagni e dello stesso Piton, fu scagliato con violenza verso il fondo del corridoio.
Gli amici fuggirono terrorizzati.
Severus gettò la bacchetta e il mantello che teneva sotto il braccio, e corse verso il giovane mago riverso sul pavimento.
Il cuore batteva così forte che ogni altro suono sembrò annullarsi in quel rombo assordante.
Cadde in ginocchio accanto al ragazzo, con un tonfo sordo, come se le gambe avessero perso improvvisamente la loro forza.
Lo afferrò per le spalle, sollevandolo per controllare le sue condizioni.
Era appena cosciente, ma vivo. Severus sentì l’aria tornare nei propri polmoni e quasi singhiozzò, mentre i muscoli del suo petto si scioglievano in un improvviso respiro liberatorio.
Guardò il volto del suo studente: un rivolo di sangue colava da un brutto taglio sulla fronte, rigandogli una guancia.
Si chinò, lo prese tra le braccia sollevandolo dal pavimento, e si avviò correndo verso l’infermeria.
Tuttavia, si rese subito conto che la sua corsa procurava al ragazzo dolorosi scossoni. Lo strinse con più forza, e si obbligò a rallentare il passo. Forse avrebbe dovuto trasportarlo con la magia, ma aveva lasciato in terra la sua bacchetta e non aveva intenzione di toccarla, finché non fosse stato certo che non avrebbe fatto altri danni.
Mai quel percorso gli era sembrato così lungo. Sentiva le proprie braccia tremare, mentre stringevano la vittima di quella sua involontaria magia. L’idea di potergli fare altro male lo terrorizzava. Sperava solo di raggiungere l’infermeria o chiunque avesse potuto strappargli quel ragazzino dalle braccia e portarlo al sicuro.
Improvvisamente sentì una voce alle sue spalle.
“Professor Piton! Professore aspetti!”
Harry Potter correva a perdifiato per raggiungerlo.
Severus non si voltò, esitò solo un attimo e poi riprese il suo percorso, finché Harry non lo affiancò.
In mano stringeva una bacchetta, la sua. L’aveva trovata e raccolta mentre si stava recando all’ufficio del preside, e insieme alla bacchetta aveva raccolto anche il proprio mantello.
Protese il braccio mostrandoli all’altro mago, ma subito si bloccò, non appena si accorse del ragazzo ferito tra le braccia del professore.
“Che gli è successo?” chiese e accelerò il passo superandolo, poi si voltò in modo da trovarsi proprio di fronte a lui.
Piton non rispose, ma continuò per la sua strada finché non giunse alla porta dell’infermeria. Sul volto nessun’espressione, gli occhi neri fissi nel vuoto e la mascella contratta. Harry avrebbe pensato che qualcuno l’avesse pietrificato se non fosse per il piccolo particolare che stava camminando.
Davanti all’entrata si fermò, non fece nessun gesto e non disse nulla, fu Harry ad aprirgli la porta, come se Piton glielo avesse appena ordinato col pensiero.
Entrambi entrarono nell’infermeria e lì una donna gli corse incontro.
“Preside? Cosa… cosa è accaduto?” domandò allarmata, vedendo lo studente tra le braccia di Piton. “Venga, qui, ecco… lo distenda qui.” si affrettò indicandogli il letto libero più vicino.”
Severus aiutato dalla Medistrega, sistemò il paziente sul letto, e poi fece qualche passo indietro permettendo all’altra di esaminarlo.
Dopo pochi minuti, che al mago sembrarono interminabili, lei si voltò, guardò Harry, che era rimasto in silenzio vicino all’entrata, e poi si rivolse a Piton.
“Ha solo preso un brutto colpo in testa, si riprenderà.” sentenziò con voce amabile.
Harry sorrise, mentre solo un fremito impercettibile spezzò l’immobilità di Severus.
“E’ caduto dalla scopa? Lei ha visto cosa gli è successo?” riprese la donna.
Severus mosse le labbra per parlare, ma dalla sua gola uscì un unico suono, che avrebbe dovuto essere un no, ma era più simile al rumore secco prodotto da qualcosa che si spezza.
“Questi ragazzi diventano ogni giorno più spericolati.” continuò lei, sottolineando ogni parola con ampi movimenti delle braccia, incurante della freddezza del preside. “L’ho sempre detto che bisognerebbe...”
“E’ stato un incidente.” la interruppe gelido Piton. “Mi chiami quando starà meglio.” disse voltando le spalle alla strega e dirigendosi verso l’uscita.
Guardò Potter, che a sua volta lo fissava col suo solito sguardo indagatore.
Sentì montare la rabbia. Presto, molto presto quella curiosità si sarebbe trasformata in accuse. Quanto avrebbe impiegato la notizia di ciò che era appena accaduto a fare il giro della scuola? Quanto tempo prima che Potter e, con lui, il resto del mondo magico puntassero nuovamente l’indice contro l’ex Mangiamorte?
Avrebbe dovuto Obliviare quei ragazzi, quella forse sarebbe stata una scelta saggia. Eppure qualcosa in lui si era rifiutato di farlo.
Non era solo il timore di usare la bacchetta. No, era qualcosa di peggio, qualcosa che non aveva ancora mai provato.
Lui non si era mai arreso, nemmeno quando la vita lo stava abbandonando. Anche in quel momento aveva lottato, aveva portato a termine la sua missione col suo ultimo respiro.
Ma ora no, ora stava cedendo, stava rinunciando a combattere. La scuola, il consiglio dei genitori, la sua probabile rimozione dall’incarico di preside, erano nulla di fronte all’enormità di ciò che stava per accadere. Qualcosa a cui, questa volta, non sapeva come opporsi.
A che scopo tentare di salvare un posto di lavoro, il suo nome, la sua reputazione, quando il mondo stava per sprofondare nuovamente all’inferno?
Lo avevano già ritenuto una spia e un traditore una volta. Allora aveva lasciato che ciò accadesse, lo aveva fatto volutamente perché era suo dovere. Perché c’era una ragione per farlo.
Ora la sua reputazione non era nemmeno da prendere in considerazione, visto che sarebbe stato addirittura costretto a lasciare Hogwarts se non fosse riuscito a neutralizzare il Marchio.
Ormai era diventato un pericolo per i suoi studenti.
Non si trattava più di combattere contro Voldemort, questa volta il nemico era dentro di lui, aveva il suo volto, e uccideva usando le sue mani.
Come poteva lottare se non poteva essere certo delle proprie azioni, persino della propria magia?
Harry gli si avvicinò e protese la mano con la bacchetta.
“Questa è sua!” disse riconsegnandogliela.
Piton restò a guardarla per qualche secondo, poi fece per prenderla, ma si bloccò. Le dita sfiorarono il legno magico e lui rabbrividì.
“E’ la seconda volta che recuperi la mia bacchetta, Potter.” disse gelido, cercando di distrarre l’attenzione dell’uomo dalle proprie dita che tremavano incontrollate. “Spero che non diventi un vizio!” sbuffò imponendosi di afferrare con rapidità la bacchetta e riporla nella tasca del mantello.
Sul volto di Harry Potter si dipinse un’espressione di sincero stupore. In effetti era stato lui a recuperare la bacchetta del suo insegnante vent’anni prima, e a conservarla fino al suo ritorno. Ma a Piton non l’aveva mai detto.
“Non è caduto dalla scopa, vero?” domandò accennando alla porta dell’infermeria.
“Questo non è affar tuo, Potter. Sono tenuto a spiegare l’accaduto solo ai genitori del ragazzo, e lo farò quando sarà il momento.”
“Come padre, mi interessa sapere se gli alunni di questa scuola corrono dei pericoli.” proseguì alzando il tono di voce.
“I tuoi figli sono al sicuro qui, e lo saranno ancora di più quando smetteranno di ficcare il naso in questioni che non li riguardano.” ribatté astioso. “Ah, a proposito,” le labbra si piegarono in un sorrisetto tirato. “sarà meglio se non ti presenti alla partita di lunedì, James non giocherà. Lui e suo fratello saranno in punizione per tutto il prossimo mese.” disse poi con voce melliflua e si voltò per allontanarsi.
Harry allora lo bloccò afferrandolo per il braccio sinistro. Severus, si sottrasse bruscamente alla presa, lasciando Harry disorientato per alcuni secondi.
Entrambi si scrutarono in silenzio, come due felini pronti alla lotta.
“Non sono affatto contrario, se è quello che pensa.” esclamò infine Harry. “Se hanno sbagliato è giusto che paghino. Ma conosco i miei figli: se hanno ficcanasato,” Sottolineò particolarmente l’ultima parola. “evidentemente avevano una ragione per farlo.” Concluse con veemenza
Piton si avvicinò. Harry poté sentire il suo respiro spezzarsi per la collera.
Il mago fissò i suoi occhi verdi come faceva quando era ancora suo alunno. E Harry si sentì raggelare da quello sguardo.
“Sei sempre così sicuro di te, Potter?”soffiò minaccioso.
Harry si morse il labbro, stava per fare uno dei suoi scortesi commenti. L’impulsività era stata sempre il suo peggior difetto. Non aveva mai saputo tenere a freno la lingua, cosa che gli era costata non poche punizioni quand’era a scuola. Tuttavia, non era certo per timore di un rimprovero, che decise che era preferibile moderare il suo tono.
Ora che sapeva la verità su Piton, aveva anche imparato a riconoscere certi suoi atteggiamenti. C’era il Piton brusco, chiuso e severo, quello orgoglioso e quello provocatorio, ma esisteva anche il Piton teso, tormentato, e quello disperato. Il Piton che aveva visto mentre uccideva Silente era così. Ora che lo scudo d’odio si era frantumato, riusciva a distinguere la sofferenza nel buio dei suoi occhi neri.
Era evidente come un faro nella notte. Si stupì solo di non averla vista prima.
Cosa poteva aver portato il preside di nuovo a quel punto?
Cosa poteva essere successo di così grave da indurlo a chiedere l’aiuto di Neville? E cosa tentava di nascondere riguardo al suo studente?
“Non sono affatto sicuro di me, in realtà non lo sono mai stato.” mormorò infine amareggiato. “E non sono venuto qui per mettere in dubbio la sua autorità. Sono più preoccupato del fatto che, dopo tutti questi anni, lei non abbia ancora imparato a fidarsi delle persone.”
Il professore lo guardò torvo. A Harry sembrò, in un primo momento, che volesse leggere nella sua mente, ma Piton non stava usando la magia.
“E’ evidente che nemmeno tu hai imparato, Potter.” sbuffò dopo diversi secondi.
Harry non rispose.
Severus piegò appena le labbra in un sorriso triste.
“Riprenditi il tuo mantello: non è un giocattolo, e dovrebbe essere usato per scopi migliori che spiare un insegnante.”
Fece qualche passo allontanandosi poi si voltò indietro.
“Fossi in te, lo terrei a portata di mano, potresti anche averne bisogno, un giorno o l’altro.”
Harry lo guardò andar via, con un’ombra di incredulità sulla faccia.
Le parole del preside erano forse un suggerimento o, peggio, una richiesta d’aiuto?
Decisamente la questione doveva essere più grave di quanto avesse immaginato. Se era giunto al punto di chiedere l’assistenza di Neville ed ora addirittura sembrava pensare di aver bisogno di lui. In ogni caso non si sarebbe tirato indietro.
Sapeva che Piton non sarebbe mai stato più esplicito di così: non era da lui ammettere di aver bisogno degli altri, ma promise a se stesso che non lo avrebbe lasciato combattere da solo, non per la seconda volta.



Continua…






Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Cap. 6: Ricatti e fiducia ***


Ernil: Ahaha! Adoro i tuoi commenti, sono troppo divertenti, vorrei proprio sentirli i tuoi neuroni sul tapis roulant. Piton continuerà a fare il paguro, ma Neville non è uno che si arrende facilmente. Riguardo all’intervento di Hermione, stavolta bisognerà farne a meno, anche perché Piton non vorrà che il suo problemino si sappia in giro, no? Ritrovarsi il trio al completo fra i piedi potrebbe mandarlo su tutte le furie. E poi meglio se non dico altro, anche se le tue domande mi tentano. Intanto preparo le valige e prenoto un volo per l’Australia, nel caso il tuo cuore regga fino al tredicesimo capitolo.
Piccola Vero: Sì Harry doveva arrivare per forza. Neville è troppo legato a lui per non coinvolgerlo in qualche modo.
Alida: Certo Harry è cresciuto, ma quando sarà il momento saprà fare la scelta giusta?
Allison91: Harry farà la sua parte anche se dall’esterno. Ora è soprattutto Neville che può fare qualcosa. Verrà anche il turno di Harry.
Marty4ever: Beh, con certi figli ficcanaso, doveva per forza venire a conoscenza di qualcosa.
Chialla: Grazie a te che continui a seguire. ^_^


Buona lettura!


Cap 6 Ricatti e fiducia

La stanza laboratorio era immersa nella luce tremolante del focolare. Severus era seduto di fronte all’entrata. Gli occhi fissi sulla bolla che circondava la pozione bloccata nel tempo, in attesa del prezioso ingrediente.
Le mani del mago, poggiate sui braccioli della poltrona, si strinsero sul legno come colte da uno spasmo, quando sentì bussare alla porta.
L’aprì con un impercettibile movimento della bacchetta e rimase in silenzio a fissare l’uomo sulla soglia.
Neville Paciock fece qualche passo, i lineamenti erano tesi, sembrava intimorito e determinato al tempo stesso.
Non una parola o un gesto di saluto. I due maghi si guardarono; poi gli occhi di Severus scesero a posarsi sul piccolo bauletto di metallo che l’altro teneva in mano.
“L’ha trovata?” mormorò Severus, quasi a se stesso.
Neville annuì, ma, quando l’altro mago si alzò dalla poltrona per avvicinarsi, gettò il bauletto sul tavolo e vi puntò contro la sua bacchetta.
Piton si bloccò di colpo.
“Ora se non vuole che faccia saltare in aria la sua preziosa alga, dovrà dirmi che sta succedendo.” minacciò Paciock.
Le labbra di Piton si piegarono in una smorfia e lui fece un passo indietro.
“Mi sta forse ricattando, professor Paciock?” sibilò.
Neville non rispose, ma ribadì le sue intenzioni tendendo maggiormente il braccio con la bacchetta.
Piton allora gli voltò le spalle e si diresse lentamente verso la poltrona. Stringeva la bacchetta in mano, la guardò per un attimo, muovendola distrattamente fra le dita, come se ci stesse giocando, e sorrise.
Neville era perplesso. Lo seguì con lo sguardo, poi decise di insistere con la sua richiesta.
“Ho il diritto di sapere.” ringhiò. “Non è stato facile trovare l’Euriale. Ho rischiato grosso per lei. Senza contare che ho dovuto barattarla con qualcosa di altrettanto raro in mio possesso. E lei non si degna nemmeno di dirmi per che cosa sto rischiando di finire ad Azkaban.
“Ha paura, signor Paciock?” chiese Severus. La voce del Preside era mortalmente bassa, mentre continuava a voltare le spalle all’insegnante di Erbologia.
“Affatto! Non ho paura di rischiare, ma voglio sapere per che cosa lo faccio.” disse orgoglioso l’altro, sollevando il mento. Poi piegò la testa di lato: “Sa di aver attirato l’attenzione con quello che è successo ieri?”
Piton s’irrigidì.
“Oh, sì, l’ho saputo.” continuò. “Un preside che aggredisce un proprio alunno, senza alcuna ragione apparente, non è cosa di poco conto. La voce si sta spargendo per tutta la scuola, e non si fermerà all’interno delle sue mura. Se ha deciso di andare a fondo, io non voglio essere trascinato con lei, a meno che non sia per una buona ragione.” Fece qualche passo girando intorno al tavolo. Il braccio con la bacchetta sempre puntato allo scrigno.
“L’incidente susciterà un polverone e questo vorrà dire: gente che ficcherà il naso dappertutto. Controlleranno i suoi collaboratori, tutti quelli che prestano servizio a Hogwarts. Cosa penseranno, se dovessero scoprire che un insegnante ha introdotto a scuola un ingrediente proibito e potenzialmente mortale?”
“Probabilmente, penseranno che quell’insegnante è complice del preside che aggredisce i propri alunni, signor Paciock.” rispose Piton con una smorfia, voltando appena la testa per guardarlo.
Ci fu un lungo silenzio, poi Severus ripose la bacchetta e prese un profondo respiro.
“Bene, vuole sapere quello che sta succedendo?” disse gelido. “L’accontenterò.”
Neville lo fissò incredulo, non si aspettava che Piton cedesse così facilmente.
Infatti continuò a tenere sotto tiro lo scrigno che conteneva l’Euriale.
L’altro diede un ultimo uno sguardo alla poltrona sulla quale era seduto poco prima, poi si voltò e prese ad arrotolare la manica della tunica. Con lentezza, sollevando di tanto in tanto lo sguardo sul suo visitatore. Sbottonò i polsini della camicia e arrotolò anche quella.
L’avambraccio era avvolto in una fasciatura. Le misture di erbe usate per lenire il dolore rendevano scure le bende. Piton, infatti, aveva deciso di smettere di prendere la vecchia pozione. L’impiastro spalmato sulla cicatrice del Marchio era meno efficace, ma gli avrebbe permesso di controllare meglio le sue improvvise reazioni violente: se la magia di Voldemort avesse nuovamente preso il controllo su di lui, il bruciore sarebbe aumentato, dandogli, forse, la possibilità di allontanarsi in tempo o di avvertire i presenti, in modo che potessero impedirgli di fare ancora del male.
Neville fissò inorridito il braccio del preside.
Aveva già capito di cosa si trattava, ancora prima che Piton finisse di sciogliere la fasciatura. Tuttavia sperò fino all’ultimo di sbagliarsi: pregò di non vedere l’orribile tatuaggio sotto le garze.
Ma la sua speranza si infranse quando l’ultimo brandello di stoffa cadde sul pavimento.
Il Marchio era nero, e la pelle intorno era arrossata e gonfia. Sembrava una ferita infetta.
A quella vista Neville barcollò all’indietro e il braccio con la bacchetta ricadde al suo fianco come se non avesse più forza.
“Voldemort! Lui… lui è tornato?” balbettò.
“No! Non ancora per lo meno.” disse cupo, Piton. “Ma lo farà se non riusciremo a fermarlo.”
“E l’Euriale lo fermerà?”
Piton abbassò la manica nascondendo di nuovo il tatuaggio.
“La Rosa nera è l’ingrediente fondamentale di una Pozione che dovrebbe neutralizzare il Marchio, spezzando la catena che mi unisce a lui e che lo sta trascinando verso la vita,” strinse le labbra sottili piegandole in una smorfia. “No!” scosse il capo. “E’ più giusto dire che trascina me nel vortice della sua oscura magia.” si corresse.
“Ma il Marchio non può richiamare una persona. E’ solo un avvertimento, no? Io… io credevo che Voldemort lo usasse per far sapere ai Mangiamorte che dovevano presentarsi al suo cospetto.”
Piton sospirò.
“Il Marchio è molto più di questo. E’ potere, è Magia oscura. E’ il suo potere malvagio che diventa parte della persona che lo riceve, come un’infezione, una malattia. Era usato come richiamo, ma, attraverso di esso, il Signore Oscuro poteva anche controllare i propri adepti, punirli, spiarli, e, soprattutto, invadere e sporcare la loro anima come un morbo.” spiegò pacato: i suoi lineamenti, tuttavia, erano tesi e gli occhi ardevano di rabbia e odio per la sua scelta scellerata di farsi marchiare.
“Ma lui è morto! Non può tornare. Il velo è stato distrutto, come è possibile?” pigolò, Neville. La voce era resa improvvisamente acuta e infantile dall’ansia.
Piton chiuse gli occhi.
“La sua magia è ancora viva, anche se il suo corpo non c’è. Non ci sono Horcrux, la sua anima non c’è più, ma il suo potere è rimasto, la magia di Voldemort è nel Marchio, lui è nel Marchio,” Riaprì gli occhi. “ed ora si sta svegliando dentro di me.” mormorò e le parole si spezzarono in gola.
“Non può essere, non… non deve tornare, dobbiamo fermarlo.” Disse Neville scuotendo il capo.
“Potrebbe essere più complicato di quanto pensa, signor Paciock.” sbottò il preside gettando sull’altro un’occhiata caustica.
Neville fece un passo avanti e strinse i pugni con rabbia. “Io l’aiuterò. Farò tutto quello che è in mio potere per fermarlo. Non ho paura. Sono pronto a combattere, come l’ultima volta.” ribadì con decisione.
Piton lo afferrò per le spalle. “Questa non sarà come l’ultima volta.” soffiò a pochi centimetri dal viso del suo ex alunno. “Non vedremo ricomparire il Signore Oscuro in una nuvola di fumo, non ci saranno resurrezioni da un calderone, né fantasmi, né frammenti di anima da distruggere…” Esitò, mentre un lampo attraversava le sue iridi scure. “… né serpenti da uccidere.” sussurrò.
Lo lasciò di colpo facendolo barcollare all’indietro e si artigliò il braccio con rabbia.
“Ora lo so, l’ho capito quando ho perso il controllo. Quando ho ferito il ragazzo. Sarà la sua magia stessa a prendere vita e coscienza. Già ora è riuscita a controllarmi e usarmi. E’ come se cercasse di ricongiungersi al suo proprietario, ma fosse nello stesso tempo già completa. Voldemort non sta tornando, è la sua Magia che sta diventando viva.”
“Io…” Neville abbassò lo sguardo sconsolato. “Mi dica quello che devo fare e lo farò.”
Piton non disse altro, fece qualche passo, avvicinandosi al tavolo su cui Paciock aveva poggiato lo scrigno.
Neville si fece da parte per permettere al preside di prendere l’Alga, ma Piton protese il braccio con la bacchetta e un raggio colpì il contenitore che esplose in una miriade di frammenti.
“E’ impazzito?” gridò Neville.
L’altro arricciò le labbra e puntò di nuovo la bacchetta, stavolta contro un vaso sul piano più alto dello scaffale.
“Non è mia abitudine cedere ai ricatti, signor Paciock,” disse, poi, muovendo appena il legno magico come se stesse disegnando nell’aria un piccolo cerchio, pronunciò: “Transmigro Rosam Nigra!”
Mosse di nuovo la bacchetta come tracciando un percorso e la puntò su un contenitore pieno d’acqua sistemato sul tavolo. Un oggetto scuro, la cui forma ricordava la corolla di un fiore, comparve all’interno facendo tracimare un po’ dell’acqua contenuta nel bacile.
“L’ha spostata! L’Euriale non era più nello scrigno.” Neville si sentì uno sciocco, ma nello stesso tempo era felice. Felice di sapere che Piton si era confidato perché voleva farlo e non a causa del suo stupido ricatto.
“Un incantesimo piuttosto semplice, professor Paciock, mi meraviglio che non ci abbia pensato.”
“Ma io credevo che a Hogwarts non fosse permesso…”
“Ho eliminato alcuni incantesimi di protezione, compreso quello Anti-Smaterializzazione. Dato che il pericolo, al momento, si trova all’interno della scuola, ho ritenuto opportuno, piuttosto che tentare di impedire a qualcuno o qualcosa di entrare nel castello, fare in modo che sia più facile e rapido uscirne.”
“Capisco, ma allora perché…”
“Perché le ho rivelato la verità?” lo anticipò. “E’ semplice: lei mi serve. Ho bisogno del suo aiuto per preparare questa pozione.”
Neville si morse il labbro e guardò incerto il bacile sul tavolo, non osava avvicinarsi, anche se sapeva che, vista attraverso la superficie dell’acqua, l’Euriale non poteva nuocergli.
“Il mio aiuto? Ma lei sa che le pozioni…”
Piton sorrise. “Se sta cercando di ricordarmi di non essere portato per la materia, non sarà necessario. Ricordo benissimo i suoi fallimenti scolastici.”
Neville emise un brontolio di disappunto e, distogliendo lo sguardo dal suo ex insegnante, prese a fissare un barattolo sullo scaffale che conteneva una cosa viscida e verdognola.
“Non dovrà occuparsi della pozione, a quella penserò io.” Continuò il preside. “Lei dovrà solo impedirmi di distruggerla.”
Gli occhi di Neville tornarono a posarsi su di lui, erano spalancati per lo stupore.
“Ma cosa vuole che faccia?” domandò allargando le braccia, sconfortato.
“Sì accorgerà da solo se e quando sarà necessario un suo intervento.” rispose asciutto.
Paciock annuì semplicemente, si voltò e andò ad accomodarsi sulla poltrona, mentre Piton iniziava a tagliare l’Euriale tenendola immersa nell’acqua.
Lavorò alla Pozione per circa un’ora.
Dopo aver eliminato la bolla temporale che circondava il calderone, il liquido all’interno riprese a bollire e borbottare rumorosamente.
Piton vi aggiunse altri ingredienti, mescolando con attenzione. Poi puntò la bacchetta verso il recipiente che conteneva la Rosa Nera ora sminuzzata in striscioline sottili.
Senza guardare, pronunciò l’incantesimo di spostamento e alcuni pezzetti di Euriale si materializzarono direttamente all’interno del liquido gorgogliante.
Neville, intanto aveva passato in rassegna con lo sguardo tutte le piccole ampolle allineate sullo scaffale, aveva studiato con attenzione uno strano occhio che galleggiava in un vaso di vetro posizionato nel ripiano più in basso. Aveva imparato a memoria i nomi scritti a mano su almeno altri dieci piccoli contenitori, e infine aveva preso a tamburellare nervosamente con le dita sui braccioli della poltrona. Fare la balia a Piton mentre cucinava non era esattamente ciò che intendeva quando si diceva pronto a combattere. Inoltre, l’odore della pozione era tutt’altro che piacevole.
Aveva appena iniziato a muovere ritmicamente anche i piedi, quando un rumore di cocci rotti attirò la sua attenzione. Tuttavia non ebbe il tempo di sollevare lo sguardo che sentì Piton gridare:
“Noooo, non guardi.”
Un muro d’acqua lo investì. Dopo un attimo di smarrimento, Neville capì che era stato evocato dal preside per impedirgli di guardare direttamente l’Euriale che giaceva sparsa a terra, assieme ai frammenti del vaso che la conteneva.
Ma non era finita, Piton, subito dopo aver fatto l’incantesimo per proteggerlo, puntò la bacchetta verso il basso e l’Euriale fu come agganciata e volò contro Paciock che poté solo ripararsi gli occhi.
“Si fermi!” Gridò, tenendo le mani davanti al viso, poi tornò a guardare Piton, facendo attenzione a non abbassare lo sguardo, immaginando che il pavimento dovesse essere cosparso della pericolosa Alga. Severus si era voltato e si dirigeva verso il calderone, di certo con l’intenzione di rovesciarlo.
Paciock puntò la bacchetta.
“Stupeficium!”
Il preside crollò a terra con un tonfo sordo.
Neville ansimava ed era completamente sconvolto, le dita strette con forza sul manico della bacchetta fin quasi a spezzarla. Nonostante le spiegazioni di Piton, non si aspettava una cosa del genere.
Si chinò sul mago svenuto e, afferrandolo per le spalle, lo trascinò in un angolo della stanza. Poi ripulì tutto e fece sparire l’Euriale dal pavimento immergendola nuovamente in un bacile pieno d’acqua.
Tornò infine ad occuparsi di Piton.
Cadendo aveva battuto la testa. Aveva un piccolo taglio sulla fronte che Neville si preoccupò di pulire dal sangue, prima di allontanarsi di qualche passo e puntare ancora la bacchetta su di lui.
“Incarceramus!”
Corde magiche comparvero dal nulla e avvilupparono il mago come sottili serpenti.
“Innerva!”
L’uomo in terra batté le palpebre e si mosse appena, emettendo un flebile gemito.
Ci volle qualche secondo perché Severus si rendesse conto di essere immobilizzato. Sollevò la testa e guardò le corde che lo stringevano, poi rivolse uno sguardo interrogativo al mago in piedi al suo fianco.
“Mi dispiace! Aveva perso il controllo.” mugolò Paciock.
“La pozione…”
“E’ salva.” Lo rassicurò.
Piton tornò ad appoggiare il capo sul pavimento sciogliendosi in un sospiro di sollievo.
“Ha agito bene.” mormorò.
Neville sorrise, poi alzò il braccio tornando a puntare il legno magico.
“Dif…”
“No!” gridò Piton. “Non mi liberi! Non è prudente.” parlava con fatica, Neville immaginò che fosse per via del dolore al braccio.
“Ma la… la pozione?” balbettò.
“Dovrà pensarci lei, io la guiderò.”
Neville fissò il suo ex insegnante con la bocca spalancata. Il preside gli stava davvero chiedendo di terminare la pozione al suo posto?
“Lei dev’essere impazzito, io non posso preparare quella pozione, un minimo errore e potrei ucciderla.”
“Allora mi auguro che farà molta attenzione, signor Paciock.” ribatté Piton con voce glaciale.
Neville guardò il calderone e poi di nuovo Piton chiedendosi quando si sarebbe svegliato da quello che doveva essere certamente un incubo.



Continua…






Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Cap. 7: Due Pozionisti per un calderone ***


Ernil Ma povero gatto e povera me, come sarebbe che vuoi giurarmi vendetta se Neville sbaglia la pozione? Ehm, ma nuuuu, se sbaglia lo fulmina prima Piton. Certo che per fulminarlo dovrebbe poter sopravvivere. Comunque, chi ti dice che io non sia capace di far del male a Sev? Hai letto bene l’introduzione a questa storia? Io intanto tengo pronto il biglietto di sola andata per l’Australia. Riguardo al cap 13, è semplicemente l’ultimo capitolo. E’ la fine… della fanfiction.
Piccola Vero Si, è un guaio, puoi immaginare come si sente Neville.
Kira90 Non gli ho dato molta scelta povero tesoro, dovrà fidarsi per forza, ma in fondo in fondo credo che abbia più fiducia Piton in Neville che lui in se stesso.
Allison91 Di Neville chissenefrega? Ma non sai che chi scrive non fa mai del male ad un personaggio del quale non gli interessa? Di solito i più maltrattati sono quelli a cui teniamo di più. Augurati che io non ami abbastanza Severus.
Chialla Anche tu mi giurerai vendetta nel caso che questa storia non dovesse essere a lieto fine? Sono tredici capitoli in tutto, abbiamo superato la metà, comincia a pregare.


Buona lettura!


Cap 7 Due Pozionisti per un calderone

La pozione gorgogliava e sbuffava in maniera tutt’altro che rassicurante. Neville dovette ricorrere a tutto il suo coraggio Grifondoro, per costringersi ad affondare il mestolo in quella bocca infernale.
Nonostante i fumi che fuoriuscivano dal calderone, l’uomo aveva gli occhi fissi e spalancati all’inverosimile, tanto che le lacrime, superando la debole barriera delle ciglia, presero a scivolare sulle guance, mentre Neville sembrava addirittura non accorgersene.
Aveva l’impressione che il solo movimento delle palpebre potesse distrarlo dalla sua impresa: non sentiva il calore sul viso, come non sentiva quei piccoli rivoli salati che gli segnavano il volto tirato. Era così teso che, quando Piton parlò, ebbe un sussulto, e per poco il mestolo non sfuggì alla presa.
“Se le sue mani non smetteranno di tremare, Signor Paciock, quella Pozione diverrà una poltiglia grumosa.” sibilò il preside che, intanto, si era sollevato appoggiando la schiena al muro. Le corde evocate da Paciock lo stringevano, ma non eccessivamente, e, da quella posizione, era in grado di controllare meglio il lavoro del suo collega.
Gli occhi attenti seguirono la mano dell’involontario pozionista, quasi sforzandosi per assecondarne il movimento circolare.
Anche il volto di Severus era irrigidito dalla tensione. La mascella contratta, il respiro spezzato. Era così concentrato che per un attimo riuscì persino a dimenticare il dolore al braccio.
Neville continuava a mescolare la Pozione, con lentezza, come lui si era raccomandato. La mistura era piuttosto densa e questo rendeva la cosa abbastanza faticosa.
Severus lo sapeva. Sarebbe stato necessario inclinare maggiormente il mestolo, così da vincere con più facilità la resistenza della sostanza, ma Paciock era già abbastanza agitato e, ad ogni nuova indicazione da parte sua, il tremore delle sue mani sembrava aumentare.
Piton si morse il labbro: era arrivato il momento di aggiungere un nuovo ingrediente.
Era un passaggio delicato perché bisognava introdurre una radice, che lui aveva già sminuzzato e dosato, ma bisognava farlo lasciandola scivolare con delicatezza nel filtro bollente, evitando di sollevare spruzzi di pozione.
Con la voce affaticata, ma ferma, spiegò il procedimento a Paciock, cercando di non allarmarlo troppo.
Dal momento in cui aveva preso il mestolo in mano, Neville sembrava essere improvvisamente ritornato all’infanzia. Di fronte a Piton, non c’era più un uomo adulto, un insegnante, ma lo studente impacciato che faceva esplodere i calderoni alle sue lezioni.
Purtroppo stavolta non era alle prese con un innocuo compito scolastico. Se la pozione fosse fuoriuscita dal calderone toccando la fiamma, nessuno di loro due avrebbe più dovuto preoccuparsi del ritorno di Voldemort, dato che sarebbero morti entrambi.
Paciock, per fortuna, eseguì il suo compito alla perfezione e d’istinto si voltò verso Piton con un sorriso soddisfatto stampato sul viso.
Severus annuì appena.
“Bene, signor Paciock, ha superato brillantemente questa fase della preparazione, ora bisognerà…” la voce si spezzò e il volto del mago si contrasse in una smorfia di dolore, mentre il suo corpo si contorceva con violenza, trattenuto dalle corde magiche.
Neville scattò verso di lui, e lo afferrò per le spalle, impedendogli di sbattere con violenza la testa sulla parete.
“Professore, professor Piton, mi sente? La smetta!” Urlò all’uomo che continuava a dibattersi sul pavimento. “La prego, professor Piton!”
Neville cercava di trattenerlo, ma il preside era in preda a spasmi incontrollati, sembrava fosse avvolto dalle fiamme.
Paciock abbassò lo sguardo fissando inorridito il Marchio Nero: il serpente sembrava vivo. La pelle si tendeva come se l’orribile creatura si muovesse al suo interno.
Piton stringeva i pugni aggrappandosi alla stoffa del proprio mantello. Aveva gli occhi chiusi e la bocca spalancata in un grido muto.
Neville capì: Voldemort, o qualunque cosa avesse preso il controllo del preside, stava lottando per sopravvivere. Quella Pozione poteva distruggere il suo potere e questo era il suo modo di difendersi. Voleva impedire a Piton di andare avanti con la preparazione.
Aveva cominciato col prendere il controllo del suo corpo. Ed ora, attraverso il dolore, tentava di zittirlo, in modo che non potesse spiegare all’altro il procedimento da seguire.
Neville scosse il capo in preda alla disperazione.
Non poteva andare avanti da solo, Piton doveva assolutamente aiutarlo, doveva dirgli cosa fare.
Guardò il calderone: la pozione si stava gonfiando in maniera allarmante.
Anche da quella posizione riusciva a vedere le bolle in superficie. Il liquido era arrivato al bordo e presto sarebbe tracimato cadendo nel fuoco.
Tornò a posare lo sguardo sul preside. Il mago continuava a tremare, ma era come se non avesse più forza. Lo strattonò.
“Professore, mi dica che devo fare. Come vado avanti?”
Severus aprì appena gli occhi, rivolgendogli una sguardo carico di sofferenza.
“La… la fiamma… blu.” Balbettò, poi le sue parole si tramutarono in un grido straziante e l’uomo perse conoscenza.
“No, no, no, la prego!” Paciock riprese a scuoterlo. “Professore, mi parli! Che significa la fiamma blu? Come faccio a farla diventare blu?” Gridò in preda al panico.
Poi si alzò e corse verso la pozione che stava per fuoriuscire dal calderone.
Si portò le mani ai capelli, era tentato di spegnere la fiamma, ma immaginò che questo potesse rendere inservibile il filtro. Forse doveva farla diventare blu con qualche incantesimo. Scosse il capo e corse di nuovo verso l’uomo a terra, si chinò, ansimando per l’ansia.
“Non lo so, non so che fare, io… mi dispiace non…” alzò la testa e gli occhi si posarono sull’antico camino in pietra.
D’improvviso gli venne l’idea, scattò di nuovo in piedi e corse verso il focolare acceso. Raccolta una manciata di polvere magica da un vasetto posato sulla cornice, la gettò nel fuoco e si buttò in ginocchio infilando la testa dentro il camino.
“Wilkinson! Wilkinson!” Urlò con tutto il fiato che aveva “Mi risponda! Wilkinson!”
Il volto sorridente del nuovo insegnante di Pozioni comparve nel focolare.
“Neville, amico mio! Ha già stappato la bottiglia di vino elfico che le avevo mandato?”
“Venga qui, nel laboratorio di Piton. Subito!”
“Certo, certo, stavo facendo una doccia, mi rendo presentabile e arrivo.”
“Maledizione, Wilkinson, deve venire ora, venga anche nudo se crede, ma faccia in fretta!” strillò quasi isterico Paciock.
“Oh, beh, sì, se è urgente…” borbottò piuttosto contrariato.
Neville sì alzò, fece per allontanarsi, ma poi tornò a chinarsi sul focolare.
“Ah, e non perda tempo per i corridoi, Piton ha tolto la barriera Anti-Materializzazione, può…”
“Ma che diavolo succede?”
Wilkinson comparve alle spalle di Neville, facendolo sussultare.
Era intento a sistemarsi la pesante vestaglia di velluto verde e non si era neppure guardato attorno.
Neville si alzò e voltandosi di scatto lo afferrò per le spalle.
“La Pozione, deve aiutarmi, Piton sta male.” farfugliò aggrappandosi alla vestaglia del collega.
“Calma. Ehi, un momento, ma cosa le prende?” lo bloccò Estragone, afferrandogli i polsi. Poi il suo sguardo individuò il preside sdraiato in un angolo, ancora imprigionato dalle corde magiche, e il volto del mago cambiò subito espressione.
“Ma che è successo?” domandò allarmato.
Si precipitò verso il mago a terra. Gli sollevò appena la testa assicurandosi che fosse ancora vivo e poi si voltò a fissare Neville, con un’espressione mista di incredulità, paura e rabbia.
“E’ diventato matto? Ha aggredito il preside.” disse puntando la sua bacchetta su Neville.
“No, no, non è come pensa.” tentò di rassicurarlo, Paciock, agitando le braccia davanti a sé.
“E’ stato necessario, Voldemort, il Marchio…” ansimò, tentando disperatamente di trovare le parole più adatte per spiegare tutto nel minor tempo possibile. “Piton non era in sé, ho dovuto legarlo, ma, la prego, deve aiutarmi. Il preside stava preparando una pozione, io non posso portarla a termine, deve farlo lei.”
Estragone si alzò e fece qualche passo avanti. Era confuso, si guardò attorno con la bacchetta sempre puntata sull’altro. Poi si avvicinò alla Pozione e sbiancò.
“Io non conosco questa Pozione.” Guardò l’altro mago allargando le braccia. “Non ho idea di cosa sia questa roba, e non ha affatto un bell’aspetto.” Tornò a fissare la pozione, pensieroso. “Se questa cosa non smette di gonfiarsi, qui ci lasciamo le penne tutti e tre.”
Gli occhi di Neville erano spalancati, e si movevano dal calderone, all’uomo svenuto. Poi indicò il libro posato sul tavolo. “Guardi là: credo che Piton stesse seguendo le istruzioni in quella pagina.”
Estragone si avvicinò al libro, e la sua espressione divenne ancora più cupa.
“Euriale, Sanguisorba, Artemisia… e poi più nulla, la pagina è bruciata.” Scosse il capo. “E’ impossibile, non posso fare niente senza conoscere tutti gli ingredienti e le giuste dosi.” Poi tornò a guardare il calderone e immediatamente afferrò l’altro per un braccio. “Dobbiamo uscire di qui. Questa roba è pericolosa.”
“No, no, la Pozione, bisogna terminarla, bisogna fermare Voldemort.” gridò l’altro cercando di divincolarsi.
“Neville, questo è un suicidio.” Estragone cercò di farlo ragionare scuotendolo per spalle. “Aiuti il preside, e allontaniamoci. Non sono sicuro che spegnere la fiamma servirà a renderla innocua. Possiamo solo tentare di mettere più distanza possibile fra noi e quella maledetta brodaglia.”
Neville si liberò dalla presa. “La fiamma, ma certo.” urlò, ricordandosi all’improvviso delle parole di Piton. “Lui ha detto una cosa sulla fiamma, ha parlato di Fiamma blu”.
Estragone, spalancò la bocca sbalordito e, senza ribattere, si precipitò al tavolo, dove gli ingredienti erano tutti allineati. Puntò la bacchetta su una strana cosa scura che galleggiava in un piattino cupo, e la fece levitare fino a tuffarla nel calderone.
Dalla Pozione si levò una nuvola luminosa, simile ad una fiammata di colore blu.
Entrambi rimasero impietriti a guardare quello spettacolo.
Il chiarore sprigionatosi illuminò la stanza, riflettendosi nei vetri delle varie ampolle e moltiplicandosi in un caleidoscopico balletto di luci.
Estragone si rivolse a Neville, ansimando. “Poteva anche dirlo subito, professore. Mi ha quasi fatto venire un infarto.” Poi, sollevando fiero il mento lo informò: “Fiamma blu è il nome dato ad una scaglia di Drago, anzi la scaglia di una razza particolare di Drago.” gongolò soddisfatto. “Come ha potuto vedere, una volta a contatto con altri ingredienti, produce una fiammata di questo colore.”
“Quella cosa era una scaglia di Drago?” Paciock indicò il piattino con una smorfia.
“Esatto! Quella di un Grugnocorto Svedese, un Drago di un bel colore blu, l’ha mai visto, Paciock?”
“Sì, certo.” mugugnò, ripensando a quando il suo compagno di scuola Cedric lo aveva sfidato per il torneo dei tre maghi.
Estragone prese un profondo sospiro, e si avvicinò a Piton.
“Bene, ora che la pozione è stabilizzata, possiamo pensare a lui.” disse chinandosi ad osservarlo. “Per andare avanti ho bisogno di qualche informazione.” continuò.
“Non parlerà.” mormorò Neville abbattuto. “Ho avuto l’impressione che il Marchio gli provocasse dolore per impedirglielo.”
L’insegnante di pozioni si guardò attorno pensieroso, e individuò, sullo scaffale, le ampolle piene di
Pozione rossa. Ne richiamò una e dopo averla osservata con attenzione, ne annusò il contenuto.
“Questo è un filtro per calmare il dolore,” concluse. “Deve averlo preparato appositamente per attenuare il bruciore del Marchio. Chissà perché non l’ha bevuto?”
Neville sollevò le spalle. Poi distolse lo sguardo disgustato, quando l’altro sollevò la manica della tunica di Piton per controllare il tatuaggio.
L’avambraccio del preside era ridotto in uno stato pietoso, la carne sembrava ustionata e il serpente si muoveva avvolgendosi nelle sue spire come un orrido parassita.
Estragone gli fece scivolare una mano dietro la nuca, sollevandolo il tanto da permettergli di bere, e lasciò che il filtro color sangue gocciolasse sulla sua bocca.
Nonostante Severus fosse ancora incosciente, il liquido sulle labbra riarse sembrò dargli sollievo. Tanto che le dischiuse avido, consentendo a Wilkinson di versargli l’intera pozione in gola.
Piton tossì e aprì gli occhi.
Appena riconobbe Estragone, che aveva di nuovo il suo solito sorriso stampato sul volto, mosse lo sguardo cercando di individuare l’altro mago.
“Cosa ci fa lui qui?” domandò con un filo di voce, ma in un tono che fece rabbrividire Neville.
“Mi dispiace, ho dovuto chiedere il suo aiuto, la Pozione…”
“Ma preside,” intervenne Estragone sornione. “Devo pensare che non si fida della mia cucina?”
Neville spalancò gli occhi e si chiese se le corde che ancora trattenevano Piton fossero abbastanza resistenti da impedirgli di strangolare il suo collega.
“Il suo brodino è quasi pronto,” continuò, invece, Wilkinson allegramente, accennando al calderone. “la fiamma blu è stata uno spettacolo magnifico, sembrava un’aurora boreale. Peccato che non l’abbia vista.”
Nel volto di Piton, stupore, tristezza, dolore e rassegnazione si fusero in una smorfia che aveva un che di buffo e tragico al tempo stesso. Nonostante l’immensa sofferenza che si leggeva nei suoi occhi, sembrava quasi incredulo e stordito dalle parole di Estragone. Come se non riuscisse a concepire che si potesse definire ‘brodino’ una Pozione, e in special modo quella Pozione, il filtro che lo avrebbe liberato per sempre dalla schiavitù e da una probabile dolorosa morte.
Neville per la prima volta nella sua vita fu d’accordo con Piton. Estragone era senza dubbio un professore simpatico, ma in quel momento trovò il suo eccessivo buonumore del tutto fuori luogo.
Anche se Piton non ribatté, probabilmente non aveva la forza di farlo, fu Neville a sentirsi ferito dalle parole di Wilkinson. Era come se riuscisse a comprendere lo stato d’animo del preside e si stupì di provare persino tenerezza per quell’uomo, così duro e inflessibile, che lo aveva terrorizzato per anni, ma che aveva saputo trovare così tanta bellezza in una miscela di sostanze maleodoranti.
La memoria tornò alla sua prima lezione di Pozioni e provò una stretta al cuore immaginando quanto amore poteva esserci nelle parole dell’ex insegnante quando esaltava il fascino dei vapori inebrianti di un calderone.
Ora che anche lui aveva degli alunni riusciva a comprendere pienamente il significato delle sue parole. Piton amava la materia che insegnava, amava la magia, e aveva solo cercato di trasmettere quell’amore. Ma le sue parole, a causa dell’atteggiamento troppo severo del mago, non erano mai state comprese e accettate.
Wilnkinson lo aiutò a mettersi seduto, con la schiena appoggiata al muro.
“Si può sapere perché non ha bevuto questa Pozione?” domandò, accennando all’ampolla ora vuota posata sul pavimento.
Severus fece una smorfia.
“Speravo che sarei riuscito a controllare meglio il potere del Marchio se avessi avvertito in tempo il bruciore, ma, a questo punto, mi pare evidente che mi sbagliavo.” sospirò.
“Ho bisogno che mi dica cosa fare.” continuò l’altro. “La pagina del libro è bruciata. Immagino che stesse preparando la pozione a memoria.”
Piton si morse il labbro, ed Estragone impallidì.
“Lei non è sicuro di ricordare la formula a memoria, non è vero?” domandò Wilkinson con voce strozzata. “Sa che, se sbaglia, il filtro potrebbe rivelarsi una trappola mortale?”
“Non ho molta scelta mi pare, ha visto anche lei che la pagina è illeggibile.” ribatté cupo.
Estragone e Neville si scambiarono uno sguardo preoccupato.
“D’accordo, troveremo una soluzione.” affermò con decisione il Capocasa di Serpeverde.
“Gli ingredienti sono tutti sul tavolo. Per le dosi, beh, credo che sarà necessario l’intuito di un ottimo Pozionista.” lo provocò Severus.
“Una sfida interessante, professore!” Wilkinson sorrise e si avvicinò al calderone seguito dallo sguardo attento dell’altro.
“Bene!” si arrotolò le maniche della vestaglia e iniziò a controllare gli ingredienti rimasti. “La Pozione è quasi terminata. Dunque… vediamo.” osservò pensieroso un piattino con all’interno delle foglie secche. Ne prese alcune e le sbriciolò con le dita facendole cadere nel calderone come coriandoli.
Poi fece per prenderne ancora, mentre con lo sguardo cercava conferma al suo gesto negli occhi del preside. Piton non si mosse, lasciando al suo collega la decisione.
Wilkinson rimase a fissarlo ancora per qualche istante, con la mano tesa verso il piattino pieno di foglie; poi la allontanò e rivolse la sua attenzione all’ingrediente successivo.
Le labbra di Piton si piegarono appena in un sorriso. Appoggiò il capo sulle ruvide pietre della parete e chiuse gli occhi.
Wilkinson proseguì il suo lavoro. Ora conosceva gli ingredienti e l’ordine da seguire. Se Piton poteva decidere le dosi affidandosi solo al suo intuito, poteva, anzi doveva riuscirci anche lui.
Era chiaro che Piton aveva deciso di dargli carta bianca. Non l’avrebbe deluso.
Dopo circa mezzora la pozione fu pronta.
Wilkinson guardò Neville che era rimasto per tutto il tempo ritto al suo fianco, immobile come se fosse stato pietrificato.
“Ci siamo.” mormorò il Pozionista.
Neville annuì, ma era così agitato che non riuscì a distogliere lo sguardo dal filtro bollente: ne era quasi ipnotizzato. Il pensiero che Wilkinson, o lo stesso Piton, potessero aver sbagliato qualcosa lo terrorizzava.
Estragone, intanto, si avvicinò al preside che si era faticosamente raddrizzato rivolgendogli uno sguardo fiero e determinato.
“Sono pronto.” La voce di Severus era affaticata, ma decisa.
Estragone lo liberò dalle corde e lo aiutò ad alzarsi, sostenendolo fino a raggiungere il calderone.
Lì lo lasciò, fece un passo indietro e puntò la bacchetta sul mago che rispose con un cenno di approvazione. Poi si rivolse a Neville incoraggiandolo con lo sguardo a fare altrettanto.



Continua…






Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Cap. 8: Al di sopra della pietà ***


Ernil Mmm! Beh, in Amando il vento il finale era abbastanza obbligato, ma lì Piton è morto ottantenne. Non sono così cattiva, quasi tutte le mie ff hanno il lieto fine. Se nel “quasi” è compresa questa, non te lo dico.
Piccola Vero Eh sì, nonostante tutta la buona volontà di Neville, per quella Pozione era meglio un esperto, così stiamo tutti più tranquilli.
Kira90 In questo capitolo saprai se hanno sbagliato o no.
Allison91 Mi piace, per quanto possibile, evitare le forzature… farà caldo in Australia in questo periodo?
Chialla Posso darti un consiglio? Comincia a pregare. :-)


Buona lettura!


Cap 8 Al di sopra della pietà

Una luce blu illuminava i volti dei tre maghi. La fiamma sotto la pozione era stata spenta, ma il liquido emanava uno strano chiarore, freddo e irreale.
Piton era ritto davanti al calderone. Si era tolto il mantello e aveva arrotolato la manica lasciando scoperto il marchio: prese un profondo respiro e protese il braccio in avanti.
Estragone e Neville erano al suo fianco, con la bacchetta puntata su di lui, pronti ad intervenire, se non fosse stato in grado di contrastare da solo il potere del Marchio.
Per un attimo ci fu solo il silenzio. I tre uomini parevano aver smesso persino di respirare, mentre il braccio sinistro di Piton scendeva lentamente fino al bordo del calderone.
Le dita arrivarono a pochi centimetri dalla pozione.
Gli occhi di tutti erano fissi sulla sua mano, aperta e col palmo rivolto verso il basso.
Neville sussultò quando le dita di Piton giunsero a sfiorare il liquido e il volto del preside si contrasse in una smorfia, mentre tentava invano di mantenere il braccio fermo in quella pozione. La mano cominciò a muoversi, come se un vento la spingesse lontano dal filtro, contrastando la sua volontà.
Gli occhi di Piton cercarono quelli di Paciock; il preside non parlò, ma Neville rispose alla sua muta richiesta d’aiuto pronunciando un incantesimo che lo immobilizzò impedendogli di allontanare il braccio o, peggio, di rovesciare la pozione.
Il raggio scaturì con forza dalla sua bacchetta e investì l’altro, che barcollò, facendo un passo indietro prima di irrigidirsi, e, come una marionetta appesa ai suoi fili, sollevarsi da terra.
Severus ora galleggiava a qualche centimetro dal pavimento, sorretto solo dalla forza della magia del suo ex alunno, il braccio sinistro sempre proteso in avanti, proprio sopra al calderone.
Estragone, in quell’istante, puntò il legno magico sul filtro e quello cominciò a gorgogliare, formando una sorta di colonna liquida, che, sollevandosi dal pentolone, raggiunse la mano di Piton. Le sue dita si contrassero, chiudendosi in un pugno, mentre il corpo iniziò a tremare con violenza.
Severus gettò la testa all’indietro, serrando di colpo le palpebre e un flebile lamento sfuggì dalle sue labbra.
Il liquido aveva preso a scorrere risalendo dalle dita e formando dei sottili rivoli blu, simili a vene rigonfie che avvilupparono tutto il braccio, ricoprendolo completamente.
Era il momento decisivo. Paciock si sentì mancare quando la pozione raggiunse la carne nuda nel punto su cui il Marchio spiccava scuro e minaccioso.
Ci fu un grido terribile, ma non era Piton ad urlare, bensì un’altra voce. Una voce che sembrava non avere una fonte precisa. Proveniva da Piton, ma non dalla sua gola. Era come se fosse il suo intero corpo ad emettere quel suono orrendo.
Due voci si sommarono: quella del preside, trattenuta e imprigionata fra i denti stretti all’inverosimile, e quella della magia che lo possedeva.
Paciock strinse la bacchetta con tutta la forza che aveva, continuando a tenere Piton immobilizzato, mentre Wilkinson si portò le mani alle orecchie. Entrambi impallidirono nell’udire quello che sembrava l’urlo furioso e terrorizzato di Voldemort stesso. Una voce che non apparteneva più al mondo dei vivi, che risuonò e si amplificò rimbalzando contro pareti come un eco spaventoso.
Nel mantenere attiva la magia che immobilizzava il Preside, Neville non poté fare a meno di chiedersi come si sarebbe sentito se la Pozione si fosse rivelata mortale.
Piton era pallido come una statua di marmo. Il braccio si contorceva nel tentativo di sfuggire alla magia di Paciock.
Neville si morse il labbro a sangue cercando di non cedere alla tentazione di liberarlo.
Forse la pozione stava funzionando, o forse Piton stava morendo.
Un solo piccolo errore nella preparazione del filtro, e il suo tentativo di aiutarlo si sarebbe trasformato, invece, in una condanna a morte per il mago.
Scosse il capo e abbassò appena la bacchetta. La magia che legava Piton si indebolì quel tanto da permettere al suo braccio destro di artigliare l’altro ormai coperto di Pozione. Il liquido si era solidificato, formando una patina bluastra, traslucida come vetro.
Severus tentò con le unghie di strapparsela dalla carne, ma Estragone gridò rivolto a Neville:
“Non lo liberi, deve continuare!”
“Lo sta uccidendo!” Paciock ansimava. Non si aspettava che l’effetto di quella pozione sarebbe stato così doloroso per Piton.
“No, no, la pozione funziona. Il Marchio sta svanendo. Continui!” Lo incitò Estragone.
Neville annuì e si obbligò a sollevare nuovamente la bacchetta stringendola con entrambe le mani. Ormai aveva le lacrime agli occhi, non riusciva nemmeno più a guardare il risultato del suo incantesimo. Serrò con forza le palpebre chinando il capo.
Rimase in quella posizione, con le braccia tese, la bacchetta puntata contro Piton finché quell’urlo orribile cessò di colpo. L’unico suono ancora udibile nella stanza era un flebile lamento. Un gemito acuto e prolungato, come una voce nel sonno. Piton era piombato nell’incoscienza, aveva gli occhi chiusi a la testa abbandonata all’indietro.
Su cenno di Estragone, Neville annullò l’incantesimo che impediva a Piton di muoversi e, appena libero, il suo braccio sinistro cadde senza vita al suo fianco. Il guscio vetrificato che lo avvolgeva si spaccò, frantumandosi in miriadi di piccole schegge e il mago crollò in ginocchio.
Estragone lo afferrò prontamente per le spalle e si chinò al suo fianco, sorreggendolo, imitato dal collega.
“Preside!” la voce di Paciock era ridotta ad un sussurro.
Piton aprì faticosamente gli occhi e sul volto di Neville si allargò un luminoso sorriso.
Poi l’insegnante di Erbologia si rivolse a Wilkinson:
“Ce l’abbiamo fatta?”
Gli occhi di tutti corsero al braccio sinistro di Piton che pendeva senza vita al suo fianco. Il tatuaggio era sbiadito, anche se la pelle intorno era arrossata e coperta di piccole ferite.
Severus prese un profondo respiro.
“Il filtro ha funzionato, il potere del Marchio si è indebolito, ma non abbiamo ancora vinto.” Mormorò osservando l’emblema del suo antico padrone. Tentò di sollevare il braccio, ma non ci riuscì.
Neville e Wilkinson si scambiarono uno sguardo triste.
“Ci vorrà tempo… e altra Pozione.” Sospirò di nuovo, afferrando con mano destra l’arto ferito e accostandoselo al petto.
“Vuol dire che dovrà mettere ancora quella roba sul braccio?” Neville era avvilito e furioso al tempo stesso. L’idea di dover assistere nuovamente a quella scena lo terrorizzava.
“Non subito, Signor Paciock.” Le labbra si piegarono appena in un ghigno. “Non credo che sopravvivrei se tentassi di ripetere l’esperimento in queste condizioni.” Poi si rivolse ad Estragone: “E’ rimasta abbastanza Euriale, appena sarò nuovamente in grado di usare la Pozione…”
“Ne preparerò ancora, non si preoccupi.” Lo anticipò l’altro.
“Ma non può distillarla ora?” chiese Neville.
“Purtroppo no. Questa Pozione deve essere utilizzata immediatamente, non può essere conservata.” Intervenne Piton, poi si alzò da terra, sostenuto dal suo collega Pozionista. “Vi chiamerò appena sarò pronto.” Si gettò il mantello sulle spalle e uscì dalla stanza: quella sera stessa avrebbe dovuto incontrare Malfoy a casa sua.


* * *



Quando la porta della piccola casa di Spinner’s End si aprì, il mago biondo si trovò di fronte uno spettacolo insolito. Severus Piton era seduto nella vecchia poltrona, di fronte all’entrata. La stanza era immersa nel buio, fatta eccezione per la fioca luce di alcune candele sparse sul pavimento, senza alcun criterio. Il volto pallido del mago risaltava nell’oscurità come uno spettro.
Lucius afferrò la bacchetta e si accinse a pronunciare l’incantesimo Lumos.
“No!” Severus lo bloccò.
Malfoy, allora, si avvicinò e osservò l’amico: aveva gli occhi lucidi e arrossati, i capelli ricadevano disordinati sul viso stanco. Teneva entrambe le mani appoggiate sui braccioli della poltrona, immobili. Gli occhi di Lucius indugiarono sul braccio sinistro.
“Il Marchio?” mormorò con un filo di voce.
“Potrei affermare con una certa approssimazione che sta dormendo.” disse ironico.
“Dormendo?” Malfoy spalancò gli occhi e fece un passo indietro. “Dormendo!” ripeté stizzito, scoppiando in una risata priva di allegria.“Io invece non ho più chiuso occhio da quando ci siamo incontrati, sai? Passo le notti a fissarlo. A volte ho l’impressione di vederlo muoversi. Lo sento persino bruciare.” Si portò le mani ai capelli. “Maledizione, Severus, non so nemmeno se è reale o è la mia immaginazione. Se dovesse svegliarsi, io…”
“Non accadrà.” Lo interruppe con voce pacata.
“Che vuoi dire? Hai scoperto qualcosa?”
“Il tuo marchio non si accenderà, Lucius, perché tu non sei più legato all’Oscuro. Quel legame si è spezzato con la sua morte. Voi tutti siete stati liberati, quando Potter l’ha distrutto,” La mano destra si strinse con rabbia sul bracciolo della poltrona, mentre l’altra continuava a restare immobile. “Io no: il mio Marchio era acceso quando…” si bloccò.
“Quando sei morto?”
Severus annuì.
“Eravamo vicini, il potere dell’Oscuro era forte in quel momento. Quel potere l’ho portato con me nella morte, e con me si è risvegliato. Tutto ciò che resta della sua magia è qui.” Accennò con gli occhi al tatuaggio.
“Ma lui non sta tornando, non è vero?”
“Tom Riddle è morto, lui non ritornerà, ma tutto ciò che lo ha reso un mago potente e terribile è ancora qui, nel Marchio. La sua magia, il potere dell’oscurità sta prendendo il controllo del mio corpo. Per ora la Pozione ha funzionato, ma non sono certo che riuscirà a fermarlo per sempre.” “Ma cosa ti aspetti esattamente da me?”
Il mago bruno accennò un vago sorriso.
“Mi aspetto che tu faccia tutto il possibile per difendere la tua famiglia. Ti conosco abbastanza da sapere che metterai la loro vita al di sopra di ogni cosa, inclusa l’amicizia e la pietà. Sentimenti che sono invece fastidiosamente radicati in certe altre persone.”
“Ti riferisci a Potter?”
“Mi riferisco a chiunque non abbia fatto una scelta come la tua…” Sospirò. “…O la mia, Lucius.”
“Una scelta che tu hai rinnegato.” lo rimproverò l’altro. “Eppure, adesso vuoi farmi credere di aver bisogno di uno come me.” osservò acido.
“Una scelta che entrambi abbiamo rinnegato, anche se per ragioni diverse. Ognuno di noi aveva i suoi personali interessi, ed io conto sul fatto che tu difenderai i tuoi, anche questa volta.”
“I miei interessi?”
“Non fare l’ipocrita, Lucius, sei stato un Mangiamorte, non sei certo uno che si fa degli scrupoli, ed ora, sei esattamente l’uomo di cui ho bisogno. Oserei dire quello del quale il mondo magico ha bisogno.” Si alzò con fatica dalla poltrona, aiutandosi con la mano destra, mentre il braccio sinistro scivolò dal bracciolo e ricadde abbandonato al suo fianco, seguito dallo sguardo curioso di Lucius. “Se sarà necessario un tuo intervento, conterò su questo.”
“E tu? Potresti essere tu a farteli venire,” Arricciò le labbra. “Gli scrupoli.” concluse con una smorfia.
Severus lo fissò per alcuni secondi, poi sorrise.
“Se e quando mi servirà il tuo aiuto, i miei scrupoli non avranno più alcun valore: se lui prenderà il controllo, potrei anche ucciderti.”
Malfoy s’irrigidì.
“Tu sai bene di cosa è capace, e fino a che punto è in grado di controllare le menti delle persone. L’Occlumanzia in questo caso non mi servirà.”
Ci fu un lungo silenzio. Malfoy voltò le spalle all’amico e fece qualche passo verso la vecchia libreria. Era troppo buio perché il mago potesse distinguere i libri allineati sugli scaffali, tuttavia prese a fissarli come se riuscisse a leggere i caratteri incisi sulle rilegature. In realtà non li stava guardando affatto, i suo occhi erano persi nei ricordi. Memorie di una vita passata a servire il mago che lo aveva ripagato pretendendo la vita di suo figlio. L’uomo che lo aveva umiliato assieme alla sua famiglia.
Si voltò di scatto e guardò Piton, le labbra si piegarono appena in un sorriso malinconico.
“Bene, Severus, posso solo augurarti che la tua Pozione funzioni, così che io non debba ‘fare i miei interessi’.” Accentò in modo particolare le ultime parole e si allontanò.


* * *



Piton restò per diversi minuti a fissare la porta che l’altro si era chiuso alle spalle, prima di lasciarsi cadere di nuovo sulla poltrona.
Sollevò la manica della tunica e posò la mano destra sul Marchio. Non bruciava, e non pulsava. Per la prima volta nella sua vita non ne sentiva la presenza. Le dita si strinsero sull’avambraccio e le unghie artigliarono la carne ancora lacera e gonfia. Nulla. Non sentiva dolore: il braccio era divenuto insensibile, come morto.
Quante volte l’aveva desiderato. Quante volte avrebbe voluto strapparselo dal corpo, come si fa con un arto in cancrena; tagliarlo e dimenticarlo, assieme al fatale veleno che recava in sé. Continuò a stringere, finché le unghie si conficcarono nella carne che iniziò a sanguinare. Gli sembrò un meraviglioso dono non sentire assolutamente niente. Come se il braccio non fosse il suo e quell’orrenda macchia che lo deturpava non gli appartenesse.
Sospirò chiudendo gli occhi.
Se avesse potuto diventare altrettanto insensibile alle ferite della sua anima, guarendo con una pozione tutte le sue dolorose cicatrici.
Morire non era stato sufficiente per cancellarle. L’oscurità era ancora dentro di lui, scorreva nelle sue vene e avvelenava ancora il suo cuore.
Era lui ad essere corrotto, avvelenato, ed era quel veleno a nutrire e alimentare il Marchio Nero.
Si alzò di scatto dirigendosi come una furia verso la libreria. Camminando urtò le candele che cadendo si spensero lasciandolo nella più completa oscurità, ma lui non se ne curò.
Si aggrappò con la mano sana ad alcuni libri sullo scaffale facendoli franare rumorosamente sul pavimento. Poi ne afferrò altri alla cieca e gettò in terra anche quelli.
Scosse il capo, le dita si strinsero in un pugno che si scagliò con forza contro il mobile di legno.
“NOOO!” gridò e si lasciò cadere in ginocchio.
“Non mi libererò mai di te.” Mormorò afferrandosi di nuovo il braccio sinistro.
No, non si sarebbe mai liberato del Marchio. Il tatuaggio era solo la parte visibile di qualcosa di più profondo e radicato nella sua anima.
Forse si stava illudendo. Forse stava combattendo solo contro se stesso.
Il Marchio Nero non era il nemico, almeno non l’unico. Era come un demone che si stava nutrendo dei suoi peccati, dell’orrore che i suoi occhi non erano stati capaci di dimenticare.
Si alimentava della sua debolezza, la stessa debolezza che lo aveva spinto a farsi marchiare e che ora sarebbe stata la sua condanna.
Aveva davvero creduto di poter cancellare il passato, si era ripreso una vita che non gli apparteneva più, ma il Marchio era tornato a perseguitarlo, a ricordargli che quello non era il suo posto.
Anche se avesse vinto, se la pozione fosse riuscita a bloccare il potere oscuro che cresceva dentro di lui, come avrebbe potuto dimenticare di aver rischiato di precipitare il mondo nell’incubo di una nuova guerra? Di essersi strascinato dietro l’orrore che le nuove generazioni non avrebbero mai dovuto conoscere e di aver rischiato di sconvolgere la pace faticosamente raggiunta a prezzo di così tante vite?
Appoggiò il capo al vecchio mobile e chiuse gli occhi. Rimase così per tutta la notte.



Continua…






Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Cap. 9: Un segreto mortale ***


Ernil Ehm, sì, dalla chiacchierata con Lucius si capiscono abbastanza bene le intenzioni di Piton, ma la speranza è l’ultima a morire, no?
Kira90 Povero Piton, un giorno dovrò chiedergli scusa per tutto quello che gli faccio patire. Però è un personaggio che sembra stato creato per quello. Come si fa a scrivere di lui che trascorre le sue giornate felicemente, tra una partita a scacchi e un “brodino”?
Allison91 Sì, Neville ed Estragone hanno fatto un buon lavoro, la pozione funziona, ma sarà abbastanza potente?


Buona lettura!


Cap 9 Un segreto mortale

La porta dell’ufficio del preside si spalancò e l’anta sbatté violentemente contro la parete. Sulla soglia Neville Paciock, spettinato e trasandato, stringeva un giornale arrotolato nella mano destra e lo scuoteva come se volesse far schizzar via dal foglio i caratteri stampati.
“Quella donna è una vipera!” Gridò.
“Immagino che si riferisca alla signorina Skeeter, professor Paciock.” Disse calmo Piton, sollevando appena lo sguardo dal libro che stava consultando.
“Distruggere la porta del mio ufficio, non le servirà a cancellare il suo articolo.” Continuò.
“Ma come fa a restare così tranquillo? Si rende conto del polverone che solleveranno le parole di questa pazza?”
Piton tese la mano e afferrò la sua copia della Gazzetta del Profeta che aveva spinto in un angolo della scrivania, dopo averla letta. Lo sguardo individuò il titolo che campeggiava in prima pagina: Preside di Hogwarts aggredisce uno studente. E poi sotto: Severus Piton, pazzo o pericoloso criminale?
“Quella bugiarda scriteriata è arrivata a paragonarla ad un nuovo Voldemort. Scatenerà il panico.”
“Ho letto l’articolo questa mattina, professor Paciock e mi rendo perfettamente conto del fatto che questa notizia metterà in allarme il mondo magico, tuttavia, devo ammettere che, nella sua carriera fatta di menzogne, la signorina Skeeter non è mai stata così vicina alla verità come questa volta. Dobbiamo augurarci solo che non sia convinta di quello che ha scritto, ma che sia solo il suo solito modo di attirare l’attenzione dei lettori”.
“Cosa vuole dire?”
“Tutto il mondo magico sa che è sua abitudine gettare fango su tutto e tutti, pur di accaparrarsi la prima pagina. Immagino che, anche questa volta, abbia costruito ad arte la notizia con il medesimo intento, senza rendersi conto di quanta verità ci sia nelle sue parole.”
“Ma cosa sta dicendo? Lei non è Voldemort, non è un mago oscuro, non tenterà di prendere il potere e non farà nessuna delle cose di cui farnetica quella donna.” Disse agitando le braccia.
“No, ma io e lei sappiamo quanto, in questo momento, un potere oscuro minacci la scuola e l’intero mondo magico. Se riuscirà a prendere il sopravvento…” abbassò lo sguardo. “Se vincerà,” continuò con voce strozzata. “Severus Piton non esisterà più, ma, come sostiene la nostra amica giornalista, al suo posto nascerà qualcosa di non molto diverso dal mago oscuro che tutti temono. Non sarà lo stesso Voldemort che è stato sconfitto vent’anni fa, ma avrà tutto il suo potere e la sua malvagità.”
“Lei sta scherzando?” scattò Neville.
“Non sono mai stato così serio, professore.” soffiò. “Al momento sembra che la pozione sia riuscita a bloccarlo, ma vi consiglierei di cominciare a pensare a me in questi termini, se vorrete sopravvivere.”
“Allora, deve rivelare la verità. Il mondo magico deve sapere quello che sta succedendo, deve sapere, e deve poterla aiutare. Altrimenti sarà accusato e allontanato da Hogwarts. Deve farlo.” Disse con enfasi, poggiando i pugni sul ripiano della scrivania.
Piton non rispose. Chiuse gli occhi e si appoggiò sospirando allo schienale della poltrona.
“Sa che è stata indetta una riunione del consiglio per domattina?” proseguì Neville, drizzando le spalle e fissando l’altro con gli occhi ridotti a due fessure. La voce apparentemente calma nascondeva tutta la frustrazione dell’insegnante.
“Le toglieranno l’incarico, sarà accusato di agire con chissà quali fini malvagi, o, se le va bene, le daranno del pazzo.”
“E se rivelassi la verità, cosa crede che succederebbe?” domandò il preside tenendo gli occhi chiusi, mentre le sue labbra si piegavano in una smorfia.
“Io, io non so,” Fece un passo indietro e sollevò le spalle. “Immagino che faranno in modo di essere preparati. Se dovesse scoppiare una nuova guerra, dovranno essere pronti a difendersi.”
Piton si alzò avvicinandosi al suo collega.
“Glielo dico io, signor Paciock, cosa succederebbe.” Gli occhi del preside s’infiammarono all’improvviso. “Probabilmente tenteranno di rendermi inoffensivo, magari rinchiudendomi ad Azkaban. Non rendendosi conto che, senza la pozione, la magia che si sta impossessando di me, sarebbe libera di agire. Rinchiuso in una prigione non potrei far nulla per tentare di contrastarla e, quando il processo sarà completo, di certo non basteranno delle mura, per quanto spesse, a trattenermi.”
“Non può credere questo. Noi non lo permetteremo.”
“Il personale di Hogwarts potrà fare ben poco, temo.” Disse senza nascondere una punta di amarezza. “Oltretutto, una volta diffusa la notizia, fanatici e antichi sostenitori di Voldemort accorreranno come api al miele, nella speranza di guadagnarsi i favori del nuovo Signore Oscuro. E, di fatto, potrebbero tentare di facilitarne il ritorno.”
“Dunque non si difenderà dalle accuse?”
“Per il bene del mondo magico, è preferibile che mi credano pazzo. Se dovessi essere allontanato dalla scuola, confido che lei e il professor Winkilson proseguirete il lavoro. La pozione è l’unica arma che abbiamo, per ora.”
“Per ora?”
Piton lo guardò con le labbra serrate. Neville rabbrividì.
“Se la pozione non…” L’insegnante di Erbologia non ebbe il coraggio di terminare la frase, la voce gli si bloccò in gola.
“Se la pozione dovesse rivelarsi un fallimento, Signor Paciock, dovremo ricorrere a metodi più… ” Piton si passò un dito sulle labbra. “… drastici.” Concluse.
Neville scosse il capo. “No, non voglio nemmeno prendere in considerazione un’eventualità del genere.”
“Non si preoccupi,” Severus voltò le spalle al collega, avvicinandosi alla vetrata. “Ho preso le mie precauzioni.” Disse fissando il bosco in lontananza. “Come direbbero i Babbani, il piano B è pronto, e sarà messo in pratica immediatamente, al primo segnale di pericolo.”
Nel sentirlo parlare in quel modo, Neville non poté fare a meno di sorridere. Quello del preside sembrava proprio un maldestro tentativo di spezzare la tensione. Per un attimo gli parve di sentir parlare Silente, ma quel genere di umorismo si addiceva così poco a Severus Piton che, immediatamente, il pensiero di cosa potesse significare ‘Piano B’ per il suo ex insegnante gli gelò il sangue. Si avvicinò e, afferrandolo per un braccio, lo costrinse a voltarsi.
“C’entra Malfoy in questa storia? E’ per questo che l’ha convocato a scuola?”
Piton non rispose.
“Cosa potrebbe fare lui, per aiutarla, che noi non saremmo in grado di fare?” Continuò Neville con rabbia.
Il sopracciglio del preside si inclinò pericolosamente.
“Ci sono compiti che non affiderei mai ad un Grifondoro.” disse acido. “Preferisco essere sicuro del risultato.”
“E di Lucius si fida?”
“Non esattamente, ma mi fido di un Mangiamorte spaventato all’idea che un nuovo Signore Oscuro possa vendicarsi di lui e della sua famiglia.”
Ci fu un lungo silenzio. Alla fine, Neville fece un passo indietro.
“D’accordo, è lei che deve decidere. Per quanto mi riguarda sarò a sua disposizione e non la ostacolerò in nessun modo. Spero solo che il suo piano funzioni.”
Piton lo guardò andar via senza aggiungere altro.


* * *



Intanto a Hogwarts la vita procedeva con apparente normalità: le lezioni, i pranzi nella Sala Grande. Unica nota stonata: la sedia vuota al tavolo degli insegnanti.
Piton non si era più presentato a tavola dal giorno dell’incidente con la professoressa Chapman. Ad ogni pranzo, tutti gli studenti fissavano la sua sedia sperando di vederla nuovamente occupata e, anche se nessuno commentava, era evidente che il comportamento del preside era stato al centro dei loro discorsi fino a pochi istanti prima. Infatti, pur in silenzio, i ragazzi si scambiavano sguardi e cenni d’intesa.
Soprattutto dopo che la voce dell’aggressione da parte del preside ad un loro compagno aveva fatto il giro della scuola, tutti sembravano ansiosi di poter vedere il volto di Piton, sperando di essere i primi a carpire i segreti nascosti nei suoi occhi, nei suoi atteggiamenti, dimenticando, guidati dall’ingenuità che solo i ragazzi possono vantare, di aver a che fare con uno dei più grandi Occlumanti del mondo magico.
Finché, quella sera, la piccola porta dietro il tavolo degli insegnanti si aprì, e Severus Piton fece il suo ingresso nella Sala Grande.
Il chiacchiericcio si placò all’istante, gli occhi di tutti si spostarono sull’uomo in piedi alle spalle di Vitious.
Anche i professori si voltarono a guardarlo. Qualcuno con aria sorpresa, altri piuttosto intimoriti. Altri ancora, come la professoressa Chapman, gli rivolsero uno sguardo severo e infastidito. Neville e Wilkinson, che erano gli unici a sapere la verità, sfoderarono, invece, uno dei loro migliori sorrisi.
Piton passò in rassegna uno ad uno i volti degli insegnanti, soffermandosi sull’ex alunno e il collega Pozionista che scattò in piedi facendo un cenno di saluto.
Severus, però, rimase impassibile e, senza rispondere, si diresse verso il proprio posto al centro del tavolo.
Posò l’avambraccio destro sul ripiano di legno, mentre teneva il sinistro abbandonato in grembo.
Lucrezia, che sedeva proprio accanto al preside, abbassò immediatamente lo sguardo, tuffandolo nel piatto di verdure. Il suo imbarazzo non sfuggì a Piton che, impietoso, decise di provocarla.
“Buonasera professoressa!”
“Mmmsera preside!” mugugnò la donna, mentre la sua testa sprofondava tra le spalle, come quella di una tartaruga nel suo carapace.
Le labbra di Piton si piegarono malignamente: era evidente che Lucrezia l’aveva già condannato. Chissà cosa pensavano di lui gli altri suoi colleghi? Mosse ancora lo sguardo individuando l’imponente figura di Rubeus Hagrid. Si morse il labbro, notando quanto il volto dell’uomo fosse triste, piuttosto che spaventato. Chissà quanto, e cosa sapeva?
Di sicuro ogni informazione giunta alle orecchie del mezzo gigante, doveva essere passata attraverso i Potter. Albus e James avevano imparato dal loro padre a confidarsi con l’insegnante di Cura delle Creature Magiche. Ogni segreto del quale venivano a conoscenza finiva per essere spifferato di fronte ad una doppia razione di biscotti servita nella capanna di Hagrid.
Con lentezza, Severus spostò gli occhi, scivolando sulle prime file di tavoli, fino a raggiungere Albus Severus intento a conversare con i suoi amici Serpeverde. Restò a fissarlo per un po’, mentre il ragazzo, che evidentemente si era accorto di essere osservato, evitava con cura di guardare nella sua direzione. Era certo che il giovane stesse tramando qualcosa, i Potter erano dei gran ficcanaso, e Albus aveva ereditato questo fastidioso difetto di famiglia.
Non sapeva davvero cosa aspettarsi, ma sentiva che avrebbe voluto di nuovo avere a che fare con quella piccola peste. Provò una strana sensazione, quasi il desiderio di trovarsi ancora di fronte l’innocenza dei suoi occhi verdi.
L’immediato futuro non prometteva nulla di buono. Forse i suoi studenti rappresentavano quella piacevole quotidianità alla quale non avrebbe voluto rinunciare.
Credeva di aver sempre odiato fare l’insegnante, ma ora che stava per perdere il suo lavoro, che stava per essere allontanato dal mondo del quale aveva sognato di far parte fin da bambino, si sarebbe aggrappato volentieri a quella vita.
Ne era già stato strappato una volta, quando era dovuto fuggire con la macchia dell’assassino su di lui. Ora non era molto diverso, in fondo: aveva ferito, rischiando persino di uccidere, un ragazzo innocente, e non aveva nemmeno avuto una ragione, un fine più alto che giustificasse quel delitto, come era stato per Silente.
Se fosse accaduto il peggio, sarebbe stato imputabile solo ad un suo errore, alla sua debolezza e ad un passato oscuro del quale non si sarebbe mai liberato. Un passato costruito sulla colpa di una scelta scellerata, e imbrattato col sangue di tanti altri innocenti.
Il mago bruno chiuse gli occhi e scosse il capo sospirando. Non c’era scelta: doveva lasciare che la commissione lo credesse pazzo. Doveva allontanarsi da quei ragazzi e allontanare il potere di Voldemort da tutti loro, non poteva rischiare la vita di nessun altro, non avrebbe sopportato altro sangue sulle sue mani. Così sarebbe stato se avesse fallito, sarebbe stata solo colpa sua, come per Lily.
D’improvviso Scorpius Malfoy si alzò da tavola, si avvicinò al figlio di Potter e gli sussurrò qualcosa all’orecchio prima di ritornare al proprio posto.
Gli occhi di Piton seguirono ogni suo movimento. La mano che teneva il cucchiaio pieno di minestra di zucca rimase sospesa a mezz’aria, mentre la sua attenzione fu attirata dal visetto particolarmente allegro del Serpeverde.
Se solo il giovane mago avesse immaginato quale pericolo correvano lui e tutta la sua famiglia, e che rischio avrebbe affrontato suo nonno per aiutarlo, probabilmente quell’ espressione sorridente si sarebbe mutata in qualcosa di molto simile al grugno, schifato e impaurito al tempo stesso, della sua collega Lucrezia.
Ma che diavolo aveva per essere tanto allegro?
La mano che teneva il cucchiaio ricadde sul piatto con un tonfo.
D’istinto, il preside passò in rassegna degli altri studenti e notò che l’insolito sentimento che animava il piccolo Malfoy pareva aver contagiato anche gli altri.
Doveva essersi diffusa la notizia della sua probabile rimozione dall’incarico. Certo, non c’era altra spiegazione a tanta allegria in un simile frangente.
Fece una smorfia. Beh, se non altro, una volta lontano da Hogwarts, avrebbe potuto pensare a salvare se stesso, senza doversi preoccupare di rischiare altre vite.
La pozione avrebbe avuto bisogno di tempo per sconfiggere definitivamente l’oscura magia che lo aveva colpito. Un tempo probabilmente molto lungo in cui non sarebbe stato in grado di controllare le sue azioni.
Eppure sapeva che non avrebbe dovuto affrontarlo da solo. Si voltò verso il fondo della tavola degli insegnanti. Paciock e Winkilson stavano consumando il loro pasto in silenzio.
Le labbra del preside si piegarono appena, senza che lui se ne accorgesse.
Fissò Neville. Non avrebbe mai creduto di poter essere grato proprio a lui: allo studente imbranato che faceva esplodere i calderoni alle sue lezioni. Ma, incredibilmente, era così: lui e il suo collega Pozionista erano gli unici, in tutta Hogwarts, di cui si poteva fidare in quel momento. Gli unici, oltre a Malfoy, ai quali aveva confidato il suo terribile segreto.
Era abituato a non dover dipendere dagli altri, ma, questa volta, non aveva potuto fare a meno di chiedere aiuto, e, in un certo senso, ne era felice.
Altre persone si stavano preoccupando di salvarlo. Non solo di sconfiggere il male, non di portare a termine una missione fermando Voldemort a qualsiasi costo. Quel compito lo aveva affidato al suo amico Lucius.
Neville ed Estragone stavano lottando per liberare lui, l’ex Mangiamorte, l’uomo dall’oscuro passato, l’assassino. Stavano rischiando il loro posto di lavoro e persino le loro vite, per salvare la sua. Neville era persino preoccupato per la sua reputazione.
Sospirò. In fondo Paciock aveva ragione: per quanto ora gli sembrasse una cosa assurda, se fossero davvero riusciti a vincere, avrebbe dovuto pensare anche del proprio futuro. Non era certo tornato in vita per finire i suoi giorni nel reparto di malattie mentali del san Mungo.
Abbassò lo sguardo sul braccio che giaceva inerte tra le pieghe del mantello.
“Se” fossero riusciti a vincere, cosa di cui dubitava fortemente, avrebbe avuto un futuro.
Chinò il capo sostenendolo con la mano.
Cosa doveva fare?
Aveva l’impressione di trovarsi di fronte ad un bivio. Davanti a sé, tante strade diverse, tante possibili soluzioni. Molte delle quali dipendevano dalla sua volontà.
Poteva accettare passivamente la sentenza del consiglio ed essere allontanato da Hogwarts. Oppure opporsi, rischiando di essere accusato di essere un pazzo pericoloso e finire rinchiuso in un ospedale. O, addirittura, rivelare la verità, rischiando di scatenare il panico e guadagnarsi un soggiorno ad Azkaban.
E poi c’era un’altra strada, una discesa ripida che conduceva dritta verso il baratro, e verso un’ultima possibile soluzione.
Una strada verso la quale stava inesorabilmente scivolando. Lo sentiva.
Le dita si strinsero in un pugno sui capelli, tornati al loro aspetto disordinato di molti anni prima.
Ormai, solo una flebile speranza gli impediva di scegliere definitivamente quell’ultima strada. Una speranza alimentata anche da Paciock e Wilkinson. Forse, era solo grazie a loro se ancora non aveva smesso di lottare. Dopotutto se Paciock non si era arreso di fronte a quella difficilissima pozione, tentando in tutti i modi di portare a termine un lavoro per lui impossibile, Severus Piton non doveva essere da meno.
La professoressa Chapman sollevò di scatto la testa, fissando il piatto del collega, ancora pieno di minestra, ormai fredda.
“Preside?” mugolò un po’ incerta, distogliendo l’uomo dai suoi pensieri.
Severus la osservò per un attimo. “Non ho appetito, signorina Chapman.” Disse con voce bassa e pacata, rispondendo alla domanda che l’altra non aveva osato rivolgergli.
“Certo!” sussurrò lei, tornando ad abbassare lo sguardo.
Anche Vitious, che sedeva dall’altro lato, si voltò verso Piton. Non aveva detto niente per tutta la cena, ma improvvisamente il piatto ancora pieno del preside sembrò turbarlo quanto la peggiore delle catastrofi.
Il piccolo mago aveva molto intuito. Continuò a tacere, ma era evidente che aveva compreso lo stato d’animo del suo superiore. Lanciò un’occhiata irritata a Lucrezia, poi, quando Severus si alzò da tavola, scusandosi, annuì semplicemente, seguendo con lo sguardo l’uomo che si allontanava, accompagnato da un crescendo di sussurri.



Continua…






Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Cap. 10: Condannato dalla menzogna ***


Ernil, già, chi sarà ad aiutare Snape? Harry? Vitious? Neville? Estragone? Oppure i ragazzi? Me ridacchia sotto i baffi. Sarà necessario l’intervento di Lucius? Mmmmm! Compitino per casa? Rifletti su questo: fino a che punto può arrivare il coraggio di un Grifondoro?
Allison91, Wilkinson è una persona corretta e anche buona per come lo vedo io, alla faccia della Rowling che i Serpeverde li vede tutti brutti, viscidi e traditori.
Piccola Vero, eheheh! Scorpius e Albus sono dei gran… birichini.
Akiremirror ben tornataaaaa!!! Mi ricordo esattamente le tue minacce, ma, dall’ultima volta che ci siamo sentite, il mio sadismo è peggiorato, e ho detto tutto. Comunque questa storia non sta più nel forum, era tra quelle in progress e ho dovuto cancellarla visto che, ahimè, ho lasciato MS.


Buona lettura!


Cap 10 Condannato dalla menzogna

La Sala Grande era quasi vuota, i membri del consiglio stavano seduti nel posto occupato solitamente dagli insegnanti durante il pranzo. Il tavolo, tuttavia era stato spostato e le sedie in legno scuro con i loro occupanti erano addossate alla parete ricordando il Coro di una cattedrale.
Piton sedeva al centro, le labbra serrate e lo sguardo fisso davanti a sé.
Il chiacchiericcio era cessato immediatamente, non appena aveva fatto il suo ingresso nella sala. Si era diretto in silenzio al suo posto, camminando con lentezza ma senza esitazioni. Gli occhi di tutti avevano seguito il suo incedere dal momento in cui aveva varcato la soglia, mentre lo sguardo di Piton, al contrario era scivolato pigro su di loro senza vederli realmente, fino ad incrociare quello del suo amico, Lucius.
Malfoy, nonostante il suo oscuro passato, era ancora abbastanza ricco ed influente da far parte del consiglio, insieme ad alcuni genitori degli alunni e a membri illustri della società magica. L’ex Mangiamorte era teso e la sua pelle, già bianchissima, era così pallida da farlo somigliare ad uno spettro. Sembrava persino trattenere il respiro, mentre a Severus pareva che il sibilo dell’aria che continuavano a pompare i propri polmoni fosse l’unico suono udibile in quel silenzio. Era forse il solo a respirare in quella dannata stanza?
Si sedette tenendo le mani incrociate, perché non si notasse che il braccio sinistro era completamente inerte, e attese.
La porta della sala grande si aprì di nuovo, e Neville accompagnò alcune persone verso una fila di sedie sistemate più in basso, dove di solito stavano i tavoli degli studenti. Il gruppetto, piuttosto rumoroso, spezzò la tensione.
Piton individuò tra loro la testa bionda e boccoluta di Rita Skeeter. Era intenta a chiacchierare con un uomo grasso e tarchiato, infilato a forza in una giacca troppo stretta. Passandogli davanti gli lanciò un occhiata maligna, mentre le labbra si piegavano in un sorrisetto soddisfatto. Poi si accomodò nel posto che Neville le aveva indicato, assieme a quelli che evidentemente erano suoi colleghi giornalisti.
Paciock, dopo aver adempiuto ai suoi doveri nei confronti quegli ospiti poco graditi, si voltò verso Piton, accennando con lo sguardo ad una sedia rimasta libera tra quelle che ospitavamo i membri del consiglio. Le dita di Severus si strinsero come colte da uno spasmo. Non l’aveva notata.
In effetti, il consiglio non era al completo, mancava qualcuno: un nuovo membro, che era stato eletto da poco, come riconoscimento dei molti anni prestati al servizio della scuola.
Era strano che fosse in ritardo, pensò.
Beh, forse non così strano, dopotutto. Piton emise un basso sospiro, immaginando quanto potesse essere difficile per lei assistere all’odiosa messinscena che si sarebbe svolta di lì a poco.
Sollevò lo sguardo, quando il grande portone si aprì di nuovo e l’anziana donna fece il suo ingresso in quella che sembrava essersi trasformata per l’occasione in un aula di tribunale.
Minerva McGranitt camminava a fatica, sorreggendosi al suo elegante bastone. Sembrava ancora più vecchia di quando l’aveva ritrovata l’anno precedente.
Piton sussultò sul suo scranno, mentre le dita della mano sana continuavano a stringersi nervosamente sull’altra.
L’ultimo membro del consiglio, giunto di fronte al preside, lo guardò per un lungo istante, poi scosse il capo sospirando, e si diresse al suo posto in mezzo agli altri undici.
Neville, come tutti gli insegnanti di Hogwarts, si sedette in fondo alla sala.
In occasioni normali il consiglio si sarebbe svolto a porte chiuse, ma la notizia aveva fatto così tanto clamore che il ministero aveva voluto che fossero presenti anche i giornalisti e, a causa della giovane età degli studenti chiamati a testimoniare, anche ai docenti fu concesso di assistere perché i ragazzi potessero sentirsi al loro agio.
Appena tutti si furono sistemati e il rumoreggiare cessò, Minerva si alzò di nuovo, srotolò una pergamena e si accinse a leggerne il contenuto, ma Piton la interruppe.
“Può risparmiarci la lettura dell’ordine del giorno, professoressa McGranitt.” disse gelido. “Credo che tutti i presenti siano al corrente delle ragioni di questa riunione.”
“Oh, beh, certo, certo, come preferisce, preside.” borbottò, poi si schiarì la voce. “Dunque, possiamo passare direttamente ad ascoltare le dichiarazioni delle persone presenti allo…” prese un profondo respiro. “… spiacevole avvenimento.”
Si rivolse a Neville.
“Professor Paciock, vuole essere così gentile da chiamare la nostra infermiera?”
L’insegnante di Erbologia, che si era offerto di dare una mano, uscì dalla sala, e rientrò, dopo pochi istanti, accompagnato da una donna piccola e nervosa, con i capelli rossi raccolti in uno chignon.
La Medistrega camminava rapidamente, tanto da lasciare indietro Neville, che, dopo aver tentato inutilmente di stare al passo della minuta donna, decise di lasciare che raggiungesse da sola il posto che le era stato assegnato di fronte al consiglio, e tornò a sedersi fra gli altri suoi colleghi.
“Bene, Susanne, vuoi, per favore, illustrarci quello che è accaduto quattro giorni fa in infermeria?”
La interrogò la McGranitt.
La Medistrega si guardò un po’ attorno e poi iniziò a leggere ciò che aveva riportato minuziosamente nel suo registro medico. Dalle condizioni del ragazzo al momento del ricovero, alle cure che gli aveva somministrato e tutte le sue successive osservazioni.
Di nuovo un mormorio attraversò la sala come un vento gelido, finché la voce acuta e squillante di Rita Skeeter, zittì tutte le altre.
“Ma il ragazzo? Cos’ha detto il ragazzo quando ha ripreso conoscenza?”
Minerva McGranitt si voltò di scatto verso la Strega.
“Signorina Skeeter, non le è permesso intervenire.” Di nuovo si sollevò un vociare dal gruppetto di maghi seduti accanto alla giornalista.
Allora Minerva si alzò dal suo posto e fece qualche passo avvicinandosi a loro.
“Signori, questa è una riunione del consiglio, non una conferenza stampa. Voi giornalisti siete stati ammessi in via eccezionale, per volontà del Ministero, ma vi è consentito solo assistere, e prenderete atto delle decisioni che verranno prese in questa sede, qualunque esse siano.”
Piton ascoltava immobile, non guardò la Medistrega, né il gruppo dei giornalisti, finché, Minerva non gli chiese se desiderava interrogare Susanne.
Allora abbassò lo sguardo sulla donna che continuava ad agitarsi sulla sedia, sembrava seduta su una piastra arroventata. Le labbra di Piton si piegarono appena, notando il suo imbarazzo.
Stupendo tutti, il preside domandò calmo: “Il ragazzo ha raccontato come si è ferito?”
Susanne impallidì.
“Beh, preside, lei… lei sa cosa ha detto.” Balbettò.
Piton si chinò in avanti, fissandola negli occhi.
“Signorina Johnson, io lo so, ma credo che questi signori siano riuniti qui per sentirlo dalla sua voce. Non vorrà deluderli.” Disse malevolo.
La strega sgranò gli occhi, e rivolse uno sguardo supplichevole alla ex insegnante di Trasfigurazioni
“Andiamo, Susanne, non ha nulla di cui preoccuparsi,” la tranquillizzò Minerva. “Non stiamo processando nessuno, vogliamo solo capire quello che è successo, e il professor Piton è qui in veste di preside, non di accusato.”
“Ma lui, cioè, il ragazzo, lui ha detto…”
La Medistrega si guardò attorno cercando un sostegno che però sembrò non trovare, quindi tornò a fissare la McGranitt.
“Ha raccontato che il preside Piton aveva usato un incantesimo su di lui.” Abbassò lo sguardo. “Ha detto di essere stato aggredito da Severus Piton.”
Di nuovo un crescendo di borbottii e mugugni si alzò dal gruppo di giornalisti, mentre gli insegnanti e i membri del consiglio sembravano aver perso la capacità di parlare.
Piton sorrise, e si rilassò poggiandosi sullo schienale della sua sedia, come se, finalmente, avesse ottenuto ciò che voleva.
Dopo un lungo silenzio, Susanne Johnson venne congedata. Neville l’accompagnò fuori dalla sala e rientrò dopo circa due minuti seguito dal suo amico Harry Potter.
“Ma tu guarda, chi c’è! Adesso ne vedremo delle belle.” Fu il commento, non troppo discreto, di Rita Skeeter, condiviso dalla maggioranza dei presenti, che però ebbero la delicatezza di mostrarsi indifferenti.
Potter si accomodò nel posto che prima aveva occupato l’infermiera e, invitato dalla McGranitt, iniziò a raccontare quanto era successo dopo che aveva incontrato Piton in corridoio.
Non avendo assistito all’incidente, si limitò a riferire come il preside si fosse preoccupato di portare immediatamente il ragazzo in infermeria.
“Signor Potter,” intervenne un membro del consiglio, un uomo anziano con dei vistosi baffi grigi. “Il preside, le ha dato forse l’impressione di voler nascondere l’accaduto?”
“Non era lui!” scattò Harry con la sua solita irruenza.
La mascella di Lucius Malfoy scricchiolò pericolosamente, mentre lo sguardo correva a cercare il volto del suo amico.
Piton si era irrigidito, le labbra serrate e gli occhi fissi sul suo ex alunno. Potter doveva sapere molte cose, Neville non avrebbe mai tenuto il suo amico completamente all’oscuro. Ma quanto sapeva? E soprattutto, sarebbe stato capace di tenere a freno la lingua?
Per qualche istante, Potter ebbe l’impressione che il preside volesse incenerirlo con lo sguardo, ma poi Piton guardò Lucius, e annuì, come per rassicurarlo.
“Intende dire che il preside non era in sé quando ha aggredito il ragazzo, signor Potter?” continuò il Mago coi baffi.
“Io…” di nuovo gli occhi neri di Piton lo fulminarono. “Io volevo dire…” Abbassò lo sguardo, rassegnato. “Sì, volevo dire che non era in sé.” mormorò fra i denti.
Minerva, mosse la bacchetta e una penna magica segnò l’ultima dichiarazione del mago sul verbale, dopo di che lo ringraziò e, come dopo i precedenti interventi, fece cenno a Paciock perché lo accompagnasse fuori.
Harry Potter si alzò e, prima di avviarsi all’uscita, rivolse uno sguardo preoccupato al preside, che però rimase freddo e distaccato. Per un attimo sembrò quasi assente.
Al contrario, tra molti membri del consiglio, ma soprattutto tra i giornalisti era evidente un certo nervosismo. Rita Skeeter non sembrava soddisfatta della piega che stava prendendo la riunione. Di certo avrebbe preferito poter accusare Piton di qualcosa di peggio di un semplice esaurimento nervoso, ma almeno era certa, in base alle dichiarazioni fatte fino a quel momento, che il preside sarebbe stato allontanato dalla scuola.
“Bene,” disse la McGranitt con voce ferma appena Potter fu fuori dalla sala. “Ora, signori, ascolteremo la versione dei ragazzi. Come ex insegnante di questa scuola, vorrei pregarvi di essere cauti con le domande. Gli alunni coinvolti sono molto giovani, e abbiamo una responsabilità verso di loro.” Poi alzando il tono di voce, per farsi sentire dal fondo della stanza. “Può far entrare Tommy, professor Paciock”.
Appena fu all’interno, il giovane mago, contrariamente a quanto tutti si aspettavano, trotterellò verso il consiglio schierato, affatto intimorito dalla situazione. Aveva ancora una benda che gli fasciava la fronte. Passando davanti al gruppetto dei giornalisti, le sue labbra si piegarono in un sorrisetto cattivo. Cosa che mandò in visibilio Rita Skeeter.
Si sedette, e passò in rassegna con lo sguardo tutti i presenti. Per poi lasciarsi precipitare nelle iridi buie del sue preside. Senza timore, come se cercasse in quell’oscurità la conferma dei propri pensieri.
Severus, che si era drizzato sulla schiena appena il ragazzo aveva fatto il suo ingresso nella sala, non si era sottratto a quello sguardo, ma l’aveva ricambiato aspettandosi di vedere, negli occhi del giovane una fiamma d’odio, che invece non riuscì a cogliere. Dopo alcuni istanti di palpabile tensione, Piton si rilassò appoggiandosi di nuovo allo schienale della sedia.
Chiuse gli occhi e si apprestò con rassegnazione ad ascoltare il racconto di quel maledetto incidente, dalla viva voce della sua vittima.
Il ragazzo, cominciò con lo spiegare cosa ci facessero lui e i suoi amici in corridoio quel giorno e dello scherzo che aveva subito.
Tutti ascoltavano in silenzio, ma, ad un certo punto, qualcosa nel racconto del giovane sembrò disorientarli.
Anche Piton riaprì gli occhi, mentre la sua espressione passò rapidamente, dall’attenzione, allo stupore, fino allo sbalordimento.
“Ci stavamo divertendo tutti quanti, io continuavo a ridere, a causa dell’incantesimo.” Aveva iniziato a dire, poi le successive parole del ragazzo erano giunte come una valanga, che, attraversando la sala, aveva spazzato via le espressioni compiaciute di molti dei presenti. “Io sono saltato sulla mia scopa…”
“Una scopa?” Rita Skeeter era scattata in piedi, come se temesse di non aver afferrato quell’ultima affermazione.
“…e mi sono lanciato a tutta velocità lungo il corridoio.” Proseguì.
I membri del consiglio si guardarono l’un l’altro, stupiti.
“Tommy,” intervenne amabile la McGranitt. “Questo non è ciò che hai raccontato alla nostra infermiera.”
“Se avessi detto di essere caduto dalla scopa, sarei finito in punizione. Non è permesso volare all’interno del castello.” Pigolò il ragazzo, mostrandosi pentito. “Quando ho visto il preside in corridoio, ho avuto paura, mi sono distratto e sono caduto. Il resto lo sapete.”
“Ma, ma, ragazzo mio, ti rendi conto di quello che hai fatto?” Minerva allargò le braccia scioccata. Incolpare il preside di averti aggredito! Hai fatto una cosa gravissima!” Poi una voce alle sue spalle attirò l’attenzione della maga: una donna molto distinta, un membro del consiglio si rivolse a Piton.
“Ma, preside, perché lei non ha smentito e ha lasciato che credessimo alla bugia di questo ragazzo?”
Severus, che nel frattempo continuava a fissare il suo alunno, come se si fosse trasformato in un folletto, si voltò quasi distrattamente versò la sua interlocutrice.
“Ho immaginato che non avreste creduto alle mie parole.” Rispose con voce atona, quasi a se stesso. “Del resto i suoi amici avevano confermato la versione dell’aggressione.”
“E’ inaudito!” sbottò il mago con i baffi. “Questi ragazzi meritano una severa punizione”.
“Sì, certo è inaudito convocarci qui, mettere in allarme l’intero mondo magico, per una ragazzata!” Aggiunse stizzita la Skeeter.
A quel punto Severus Piton sembrò riacquistare la sua lucidità.
“Signorina Skeeter, devo ricordarle che è stata lei per prima a dar credito alle parole di questo ragazzo, e a pubblicare le sue fantasticherie sul suo giornale?” soffiò cattivo, dedicando alla strega una delle sue peggiori espressioni di disgusto.
La giornalista fece per ribattere, ma fu anticipata da Minerva McGranitt che annunciò con voce squillante: “Bene, a questo punto direi di far entrare gli altri ragazzi. Se confermeranno la versione della caduta dalla scopa, potremo sciogliere il consiglio.”
In effetti gli altri studenti, interrogati, confermarono la nuova versione del loro amico, e, come anticipato da Minerva, il consiglio fu sciolto immediatamente e i giornalisti congedati, ma non prima di aver rivolto le loro scuse al preside di Hogwarts.
Piton, tuttavia, lasciò la sala grande, piuttosto contrariato. Uscendo lanciò un’occhiata truce a Neville, che, più stupito di lui per ciò che era appena accaduto, si precipitò a raggiungere il gruppetto di ragazzi, ai quali ora si erano uniti anche i figli di Potter e Scorpius Malfoy.
“Che significa?” domandò loro.
Tommy, che si massaggiava la fronte fasciata, si fece da parte lasciando passare Albus Severus, che si mise una mano in tasca, ne tirò fuori un Galeone d’oro falso e lo consegnò all’insegnante di Erbologia.
Neville spalancò la bocca, stava quasi per gridare quella parola che era risuonata improvvisa nel suo cervello, ma si trattenne.
Fu Albus a pronunciarla per lui.
“l’E.S si è ricostituito,” annunciò fiero. “Mio padre si fida di Piton. Lei si fida di Piton. Lo faremo anche noi, e lo aiuteremo a modo nostro.”



Continua…






Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Cap. 11: Un esercito per Severus ***


Ernil eheheh! Che ci posso fare? Albus Severus mi è simpatico, sarà merito del nome? Smerdare Rita è uno dei miei passatempi preferiti, ricordi la Skeeter-Asino di “per amore di un figlio”?
Allison91 sì, sono convinta anch’io che Severus ami Hogwarts, in fondo è stata la sua unica vera casa.
Piccola Vero un ES un po’ speciale *Astry sghignazza sotto i baffi*
Kira90 ci avviciniamo a grandi passi verso il finale, incrocia le dita. ;-)
SnapEly adoro maltrattare quell’arpia della Skeeter ;-)
Elfosnape ho voluto restituire a Piton quello che la Rowling non gli ha mai dato. Un po’ di aiuto se lo merita, come merita di avere finalmente chi lotta per lui.


Buona lettura!


Cap 11 Un esercito per Severus

Severus era immobile, non aveva detto una parola da quando era tornato nel suo ufficio, dopo la riunione del consiglio. Aveva chiuso la porta dietro di sé e si era appoggiato all’anta di legno massaggiandosi distrattamente il braccio sinistro.
“Cosa ti turba, Severus?”
La voce del ritratto di Silente lo fece trasalire. Il mago bruno sollevò il viso di scatto.
“Non intendo risponderle, visto che lo sa benissimo.” rispose brusco.
“Lo so?” domandò l’altro passandosi un dito sul mento, pensieroso.
“L’ho vista, era in sala grande poco fa? Un vecchio con la barba bianca non passa inosservato in un dipinto pieno di putti alati che suonano il violino.”
“Dici?” il ritratto sorrise. “E pensare che credevo di essermi camuffato a meraviglia.”
Piton sbuffò chiudendo gli occhi: era inutile discutere con quell’uomo impossibile. Riusciva a scherzare su tutto, persino sulla morte.
Si staccò dalla porta e si avvicinò alla poltrona lasciandovisi cadere con rassegnazione, pronto ad ascoltare l’ennesima, pazzesca paternale di una tela dipinta.
“Non vedo come quello che è accaduto in sala grande possa averti disturbato fino a questo punto, Severus.” continuò il vecchio mago.
“Forse mi disturba il fatto che, ciò che è accaduto, non doveva assolutamente accadere.”
Rispose Piton, rivolgendo al quadro un’occhiata caustica.
“La testimonianza dei ragazzi in tuo favore era imprevista, certo, ma comunque benvenuta, ed è per questo che non riesco a capire il tuo atteggiamento. Dovresti essere grato ai tuoi studenti.”
“Non capisce?” Piton si alzò di scatto e si avvicinò alla cornice. “Hanno mentito! Quei ragazzi hanno mentito!” sbottò.
D’un tratto s’udirono dei colpi alla porta.
“Preside, è permesso?”
Severus si zittì immediatamente, e dopo aver rivolto uno sguardo furibondo a Silente, aprì la posta con un gesto rapido della mano.
Paciock era sulla soglia. Un sorrisetto timido gli deformava appena le labbra, come se gli angoli della sua bocca fossero incerti su quale posizione prendere.
Piton marciò verso di lui, e Neville scattò indietro, aspettandosi di essere aggredito.
“Lei dev’essere impazzito! Cosa gli ha fatto? Li ha confusi?” ruggì il preside.
“No, no, come può pensarlo? E’ stata una loro decisione, io non ne sapevo niente.” si giustificò l’insegnante.
“Che cosa sanno, Paciock? Che cosa è andato a raccontare in giro?” soffiò l’altro, afferrandolo per la tunica con il braccio sano.
“I ragazzi non sanno nulla. Hanno deciso di fidarsi. Beh, diciamo che si fidano perché Harry si fida di lei.”
Le sopracciglia del preside si inclinarono minacciose.
“Ma nemmeno a lui ho detto la verità.” Balbettò Neville, sventolando le mani davanti a sé. “Non tutta, almeno.” Si morse il labbro, poi prese dalla tasca il galeone che gli aveva dato Albus e lo mostrò a Piton.
“Ecco, guardi qui.”
“Cosa significa?” Piton abbassò lo sguardo su ciò che brillava sul palmo della mano di Neville, mentre la presa sulla stoffa della sua tunica si allentava.
“Albus Potter mi ha mostrato questa moneta, poco fa. Noi usavamo i galeoni d’oro falso per contattare i membri dell’E.S. A quanto pare questi ragazzi hanno deciso di ricostituirlo.”
Piton lo lasciò e fece qualche passo indietro. Fissò l’altro ansimando, con un’espressione mista di orrore e disgusto dipinta sul volto.
“Un esercito?” mormorò continuando a guardare Neville come se avesse di fronte un folle.
“Questi ragazzi non si rendono nemmeno conto di cosa significhi.” riprese dopo un lungo silenzio. “Sono nati in un’epoca di pace, per loro questo è solo un gioco, un gioco molto pericoloso.”
“Ma preside…” Neville allargò le braccia in un gesto di supplica.
“Non avrebbe dovuto assecondarli.” la voce di Piton era pericolosamente bassa, come il rombo di un tuono lontano, presagio di tempesta. “Lei è un insegnante. Non ha pensato che il suo comportamento sconsiderato potrebbe mettere in serio pericolo la vita dei suoi studenti?” soffiò.
Neville prese un profondo respiro e si armò di tutto il suo coraggio Grifondoro.
“Io… io non sono d’accordo!” disse sollevando il mento in segno di sfida.
“Non c’è nulla di pericoloso e insensato in quello che stanno facendo i nostri ragazzi. Trovo che l’E.S. sia un’ottima iniziativa. Inoltre, il nuovo E.S. è nato per scopi diversi. Gli studenti, durante le riunioni, si aiutano a vicenda a migliorare negli incantesimi. E’ una sorta di corso di recupero per alunni in difficoltà. Non fanno niente di pericoloso.”
“Permettere ad un mostro di circolare libero per la scuola aggredendo i suoi studenti nei corridoi, lei lo definirebbe ‘niente di pericoloso’?” soffiò.
Neville fece per rispondere, ma improvvisamente tutto divenne chiaro nella sua mente. Scosse il capo e, barcollando all’indietro, andò ad appoggiarsi allo schienale della poltrona.
“Lei… lei voleva essere allontanato.”
Piton lo guardò senza parlare, poi abbassò appena il capo chiudendo gli occhi.
“E’ così, non è vero?” incalzò Neville.
Di fronte al silenzio del preside, Paciock si staccò dalla poltrona e marciò con rabbia verso di lui.
“Lei voleva che fossimo noi ad allontanarla. Lo dica!” urlò stringendo i pugni.
“È rischioso per tutti che io rimanga a Hogwarts.” mormorò Piton con voce atona.
“Certo, ma, dato che non trova il coraggio di lasciare la scuola di sua spontanea volontà, vuole che siamo noi a buttarla fuori. Mi dispiace, ma dovrà varcare quella porta da solo.” disse puntando il dito in direzione dei cancelli di Hogwarts. “Noi non saremo complici della sua fuga.”
Piton non si mosse, il volto irrigidito in un’espressione vuota. Neville, invece, era già pentito delle sue parole, nel momento in cui erano sgorgate con rabbia dalle sue labbra. Sapeva di aver ferito Severus, e capiva come poteva sentirsi in quel momento. No, non era codardia la sua. Non era desiderio di scaricare su altri la responsabilità del suo allontanamento. Sentì una stretta allo stomaco mentre la comprensione si faceva strada nella sua mente.
Gli rivolse uno sguardo colmo di amarezza.
“Lei non vuole lasciare la scuola, perché è convinto che quando lo farà sarà per andare a morire.” Mormorò con voce incrinata.
Severus si avvicinò all’altro mago. Sebbene avessero quasi la stessa statura, per un attimo il preside parve sovrastare l’ex alunno, come un incombente nuvolone temporalesco.
“Vada fuori di qui!” ruggì, scandendo ogni sillaba.
Neville serrò le labbra con forza, imponendosi di non rispondere. Abbassò lo sguardo sconfitto, si voltò e uscì.
Il preside lo seguì con lo sguardo, mentre lasciava la stanza, poi si avvicinò lentamente alla finestra e lì rimase per diversi minuti a fissare in silenzio il pesante tessuto scuro della tenda, come se cercasse, in quella trama ordinata, una risposta ai caotici pensieri che affollavano la sua mente.
Una lama di luce era riuscita a farsi strada attraverso un piccolo spiraglio, tra i drappi.
Piton afferrò la stoffa e, con un gesto rapido, rabbioso, ne accostò i lembi, spegnendo le ultime velleità di quell’allegra invasione.
Lui aveva voluto la tenda a schermare i raggi del sole che ogni giorno attraversavano, quasi con prepotenza, la ricca vetrata istoriata. Si gettavano sui mobili, sulle ampolle, sui libri, disegnando gioiose geometrie colorate ovunque, come un festoso fuoco d’artificio.
Aveva sempre trovato troppo luminoso quell’ufficio. Così poco adatto a lui.
Nell’oscurità si sentiva a suo agio, anche se, nell’ultimo anno, aveva imparato ad apprezzare quei raggi di sole che allegramente riempivano la stanza. Ma ora no. Ora tutto sembrava irriderlo. Il calore, la luce e non solo quella del sole, ma quella dei sorrisi dei ragazzi. Se solo avesse potuto nascondere anche quelli, dietro una tenda scura! O forse avrebbe voluto nascondere se stesso da loro. Non potevano capire, loro non avevano vissuto la guerra, non conoscevano Voldemort, la morte, l’orrore di cui erano state testimoni quelle antiche mura.
Un gioco, ecco cos’era per loro, solo un maledetto gioco.
Sollevò il braccio aggrappandosi al pesante tessuto. Le sue dita l’artigliarono con forza. Chinò il capo e vi appoggiò la fronte.
Sentiva la rabbia crescere dentro di lui, rabbia verso i suoi studenti. Erano arrivati a mentire pur di non rinunciare al loro nuovo trastullo. Certo, non poteva essere che così: il mostro doveva restare a scuola, per rendere più eccitanti le avventure del loro sciocco esercito.
Ma era furioso anche con se stesso.
Era spaventato, inutile negarlo. Si sentiva impotente e l’idea di non essere in grado di controllarsi lo terrorizzava.
Cosa doveva fare? Era certo che sarebbe stato allontanato, così si era rassegnato all’idea di lasciare Hogwarts, ma ora che la decisione dipendeva da lui, gli pareva tutto più difficile.
Davvero non aveva il coraggio di lasciare la scuola di sua spontanea volontà? Era diventato così vigliacco?
Si guardò attorno: nell’ufficio, immerso nella penombra, c’era solo silenzio.
Un silenzio assordante, insopportabile.
Chiuse gli occhi e gli tornarono alla mente tutte le volte che si era ritrovato in quello stesso ufficio, in attesa di parlare con Silente, prima che morisse.
Ricordò il ticchettio dei suoi strumenti d’argento. Gli strani oggetti che ora giacevano muti sopra gli scaffali o rinchiusi nelle teche come in un museo, una volta tintinnavano e si muovevano sbuffando colorate nuvolette di fumo. Non c’era mai stato silenzio assoluto in quella stanza. La vitalità del suo vecchio proprietario era visibile in ogni cosa.
E poi c’era Fanny.
I suoi versi festosi riempivano l’ambiente. Avevano scandito come una musica di sottofondo ogni momento della vita di Albus Silente. Ogni sua decisione, ogni suo attimo gioioso. Fanny era Silente, era il suo canto, la sua voce, le sue lacrime.
Molte volte, ricordando il momento in cui il vecchio preside gli aveva chiesto di ucciderlo, aveva ancora l’impressione di sentire il rumore secco del becco di Fanny, mentre spezzava il suo osso di seppia. Anche se non aveva potuto sentirne il suono, il suo cuore si era spezzato allo stesso modo.
Era buffo come, dopo tanti anni, ogni rumore simile a quello, gli ricordasse la sua terribile promessa.
Tese l’orecchio cercando di captare un minimo suono. Nulla.
Si avvicinò alla scrivania e tese la mano, fino a sfiorare la penna d’oca poggiata sulla superficie lucida del legno. Le dita accarezzarono le soffici barbe. Poi i polpastrelli del pollice e l’indice si strinsero su di essa, finché non si spezzò con un suono netto.
Era il suono che per lui significava la fine di ogni speranza. Ma anche il simbolo della determinazione dell’anziano mago. Un esempio per lui. Aveva detto sì a Silente, aveva accettato la sua assurda richiesta. Aveva scelto il suo destino.
Ora si trovava nuovamente a dover prendere una decisione, non molto diversa di quella del suo predecessore.
Una maledizione gravava su di lui, avvelenando il suo corpo e la sua mente. Una maledizione dalla quale aveva poche speranze di liberarsi, proprio come Silente non era riuscito a liberarsi dal maleficio dell’anello dei Gaunt. Tuttavia il vecchio mago aveva vinto: aveva saputo trasformare una tragedia nel suo trionfo. Aveva deciso di morire nel momento più opportuno, per dare la possibilità alla sua spia di brillare agli occhi del nemico.
Ora quel nemico era tornato, ma Silente, la sua forza, la sua determinazione non c’erano più.
Severus sapeva di non poter più contare sul suo sostegno. Ora era solo. Si sentiva solo.
“Neville ha ragione!” osservò cupo il ritratto.
Severus si voltò, gli occhi neri velati di tristezza si fecero strada nelle iridi color cielo dell’anziano mago.
Sentì un crampo allo stomaco. Ecco, una stupida tela era tutto ciò che gli restava dell’uomo che aveva amato come un padre, l’unico al quale si era sempre affidato e del quale ora sentiva di avere un enorme bisogno.
Non sapeva cosa provare ogni volta che ascoltava la sua voce, ogni volta che il dipinto gli dava dei consigli. Si ostinava a cercare di considerarlo solo parte dell’arredamento, si imponeva di non provare nessuna emozione guardandolo negli occhi. Era un quadro, nulla di più, continuava a ripersi.
“Temi che succeda di nuovo.” continuò Silente.
Piton sospirò: no, non era solo un quadro. Quella tela riusciva a leggergli nell’anima almeno quanto avrebbe fatto Silente, se fosse stato lì in carne ed ossa. Si avvicinò ulteriormente sforzandosi di atteggiare i suoi lineamenti in una smorfia seccata.
L’altro sorrise.
“Sai, io sono stato fortunato. Il mio più grande desiderio era quello di poter morire a Hogwarts. Il luogo in cui mi sono sempre sentito a casa.”
“Cosa sta cercando di dirmi?” brontolò, Severus, mostrandosi infastidito.
Il sorriso sulle labbra di Silente si allargò.
“Non ci sarà un’altra Stamberga, Severus.”
Piton fremette.
“Sei il preside di Hogwarts, non ti lasceranno combattere da solo, questa volta.”
“Loro non possono aiutarmi.” Mormorò abbassando lo sguardo.
“Faranno ciò che possono, ma lo faranno al tuo fianco, di questo sono certo.”
Piegò la testa di lato, e lo guardò con tenerezza.
“C’è una cosa che Neville non ti ha detto.”
Piton tornò a fissarlo.
“L’E.S. è stato ribattezzato. Il nuovo significato di quelle iniziali ora è: Esercito di Severus.”
Gli occhi di Piton divennero due fessure, mentre cercava di decidere se infuriarsi per quello che doveva essere di certo uno scherzo di cattivo gusto, o accettare il fatto che Silente, o, meglio, il suo ritratto e, con lui, tutti gli studenti di quella scuola fossero del tutto usciti di senno.
Alla fine preferì affidarsi al suo naturale sarcasmo.
“Se sta cercando di rallegrarmi, le ricordo che quest’esercito non porta molta fortuna agli uomini ai quali è intitolato.” disse piegando le labbra in un ghigno cattivo.
Silente finse di non aver sentito.
“Se potessi, andrei al settimo piano a sgranchirmi le gambe, e forse cercherei una stanza dove fare un po’ di esercizio.” mormorò quasi a se stesso.
Severus lo guardò stupito, ma non rispose.



Continua…






Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Cap. 12: Fuga da Hogwarts ***


Ernil Mi fa sempre piacere sapere che trovi IC il mio Piton, è il complimento che mi fa gongolare di più. Amo troppo questo personaggio e spesso mi ci immedesimo. Per questo ho sempre paura di metterci troppo di me, allontanandomi dall’originale. Sapere di non averlo tradito è davvero una gioia. Severus è Severus, è meraviglioso così com’è.
Allison91 Già, molte cose sono cambiate, ma tra Silente e Piton ormai c’è sempre quell’Avada di mezzo. Qualcosa che Severus non si perdonerebbe mai nemmeno in una seconda vita.
Piccola Vero Sì, Silente gli rivela dove trovare l’ES e Piton… andrà a ficcanasare?
Manuel Lanhart Tu sai già quanto mi fanno piacere i tuoi commenti. Sì, l’hai notato, il mio Severus è soprattutto un uomo. Non gli risparmio difetti, paure e dubbi, forse le mie stesse paure, ma lui le affronta con l’intelligenza e il coraggio. L’uomo coraggioso non è quello che non ha paura, bensì quello che la vince, quello che nonostante non voglia morire, è capace di sacrificarsi per quello in cui crede, che sia il dovere, la lealtà, o l’amore. Son sempre qui con le dita incrociate, attendo il verdetto. Siamo al penultimo capitolo, prendi fiato che mo arriva la batosta per te e le cruciatus per me.


Buona lettura!


Cap 12 Fuga da Hogwarts

Poco dopo, il preside stava percorrendo, per la quarta volta in dieci minuti, il corridoio del settimo piano.
Aveva scrutato ogni fessura, ogni mattone di quelle pareti, ma non c’era nulla.
Era abituato alle stramberie di Silente. Di solito c'era sempre un indizio, una chiave per aprire porte segrete, nell'intricato mistero delle sue parole.
“Una stanza dove esercitarsi.” Sussurrò.
Nulla.
Continuò a camminare avanti e indietro, dandosi dello sciocco. Cosa c’era in quel corridoio di tanto particolare? Perché Silente avrebbe voluto ‘sgranchirsi le gambe’ proprio al settimo piano?
“Una stanza per esercitarsi.” ripeté esaminando tutte le porte.
Conosceva quei locali: erano tutti troppo piccoli per servire allo scopo.
Passò per l’ennesima volta davanti ad un orrendo arazzo, i cui margini sembravano essere stati aggrediti da fiamme magiche, infatti, nonostante l’impeccabile restauro, le giunture erano ancora evidenti.
Piton immaginò che dovesse essere accaduto durante la guerra. Eppure lo trovò insolito. Se c’era stato un incendio in quel corridoio, perché non se ne vedeva traccia nelle pietre del pavimento o nella parete?
Si fermò davanti all’arazzo e ripeté, questa volta con più forza:
“Una stanza per esercitarsi.”
Improvvisamente una grande porta lucida comparve dietro l’arazzo.
Scostò appena le ante e si sporse all’interno.
In una sala spaziosa col pavimento tappezzato di cuscini, gruppi di ragazzi si fronteggiavano borbottando incantesimi e cercando di colpirsi a vicenda.
Non si accorsero di lui, e il preside si infilò silenzioso nella stanza restando appoggiato alla parete. Poi qualcosa o, meglio, qualcuno gli piombò ai piedi, cozzando contro le sue scarpe.
Severus guardò in basso con un’espressione stupita. Un ragazzino dalla chioma rossiccia si dibatteva borbottando parole incomprensibili, mentre cercava di districarsi dal suo mantello.
Un incantesimo lo aveva fatto volare all’indietro, facendolo finire proprio ai piedi di Piton.
Quando finalmente il malcapitato, uno studente del primo anno, riuscì a liberarsi da quelle ampie ali di stoffa nera, sollevò il viso lentigginoso fissando l’uomo che lo sovrastava. Gli occhi si spalancarono appena realizzò a chi appartenevano le scarpe sulle quali aveva sbattuto il naso.
“Pre… pre… pre…!” balbettò
Le labbra di Piton si piegarono in una smorfia.
“Presumo voglia dire ‘preside’, signor Thomas.”
All’udire la sua voce tutti si voltarono verso Piton e il ragazzo accovacciato ai suoi piedi.
Restarono in silenzio, aspettandosi un rimprovero, ma Piton, aggirando Thomas, che era ancora in terra, si avvicinò ad una poltrona e si accomodò.
“Allora? Siete stati forse pietrificati?” tuonò.
I ragazzi si rivolsero a vicenda sguardi interrogativi.
Ma il preside, dopo aver gustato per alcuni secondi il loro imbarazzo annunciò:
“Sono venuto a vedere se questo” il sopracciglio si sollevò, e le sue iridi scurissime esaminarono, uno ad uno, i giovani maghi schierati di fronte a lui. “Esercito…” accentuò particolarmente quest’ultima parola, mentre lo sguardo si fermava su Albus Severus. “…è degno del nome che porta.”
Ci fu ancora un lungo silenzio poi James Potter prese l’iniziativa.
“Bene ragazzi, allora continuiamo”.
Con un gesto delle braccia richiamò i suoi compagni.
Gli studenti, una nutrita rappresentanza di tutte le case, dal primo fino all’ultimo anno, si schierarono in due file, in modo che ognuno potesse fronteggiare il proprio avversario.
Nel prendere il suo posto nella fila, Albus passò trotterellando davanti al preside, e gli regalò uno dei suoi migliori sorrisi, che Piton, naturalmente, finse di non notare.
Le esercitazioni ripresero da dove erano state interrotte. I primi imbarazzati tentativi, furono piuttosto deludenti. Dopo ogni Expelliarmus e ogni Schiantesimo, sguardi furtivi correvano per cercare di carpire un qualsiasi cambiamento nell’espressione del loro ‘giudice’. Ma Piton li osservava senza fare una piega.
Se ne stava immobile, con le mani appoggiate ai braccioli della poltrona e un’espressione indecifrabile. Gli occhi vagavano per la stanza posandosi su ogni oggetto, ogni pilastro, ogni attrezzo dell’insolita palestra, come se volesse leggerci una parte di quella storia della quale era stato tenuto all’oscuro.
Ecco, ora si spiegava tante cose. Era qui che i ragazzi si nascondevano durante la sua odiata presidenza. Una stanza segreta che Silente non aveva mai voluto rivelargli. Forse non la conosceva nemmeno lui? O forse faceva parte di quelle cose che Severus la spia non doveva conoscere?
Probabilmente l’anziano Preside voleva evitare che il suo zelo nel cercare di rispettare la volontà dell’uomo che aveva dovuto uccidere lo portasse ad impedire quelle riunioni clandestine. Infatti, se da una parte Silente gli aveva chiesto di difendere gli studenti di Hogwarts, e non di addestrarli per una guerra, dall’altra non aveva mai fatto nulla per fermarli, per tenerli lontano dal pericolo, anzi, li aveva sempre incoraggiati.
Forse, l’E.S. doveva esistere dopotutto. Ma per far cosa?
Per mantenere vivo l’entusiasmo e la voglia di combattere nei giovani studenti, perché potessero andare orgogliosi incontro alla morte?
Severus scrollò il capo.
Sì, quel vecchio pazzo ne sarebbe stato capace.
Forse avrebbe fatto bene a sigillare la stanza e rimandare quegli sciocchi ragazzini a studiare sui libri, invece di spingerli a giocare a fare gli eroi.
Eppure, ora che la decisione di sciogliere l’ES dipendeva da lui, qualcosa gli diceva che non sarebbe stato giusto farlo.
Perché?
Di nuovo il suo sguardo percorse la sala, registrando uno ad uno i volti dei giovani maghi, cercando di carpire le loro emozioni.
Ia loro passione era evidente e anche la sincerità dei loro intenti. Avevano molta voglia di rendersi utili, e forse di dimostrarsi degni della pace che i loro genitori gli avevano regalato a costo di enormi sacrifici. Probabilmente per molti di loro era difficile vivere all’ombra di così tanti eroi. Fissò il piccolo Albus e una ruga si disegnò sulla sua fronte. ‘Potter’ era un cognome pesante da portare, e il figlio del Prescelto non avrebbe tardato molto a ficcarsi in qualche guaio pur di emulare suo padre.
La sua vocetta infantile lo distolse per un istante dal proprio ragionamento.
Mentre il giovane Serpeverde gridava l’incantesimo, le labbra di Severus presero una piega insolita somigliante ad un sorriso carico di tenerezza che il mago si affrettò a camuffare e seppellire dietro una smorfia stizzita.
Non poteva permettere ai suoi muscoli di manifestare sentimenti che non voleva e non poteva provare. Non per un ragazzino pelle e ossa che malauguratamente portava il suo nome.
In quel momento avrebbe desiderato poter comandare le proprie emozioni nello stesso modo in cui riusciva a obbligare i suoi nervi a tendersi a suo piacimento, mutando il volto in quella maschera che per tanti anni lo aveva protetto e al tempo stesso isolato dal mondo.
Doveva riuscire ad ignorare Albus Potter, il destino del ragazo non lo riguardava. Poco importava se l’aver contribuito a salvargli la vita gli dava la sensazione di aver partecipato, in un certo senso, ad una sua nuova nascita.
Un profondo sospiro sfuggì dalle sue labbra, quando il ragazzo, dopo aver mandato a segno l’ennesimo incantesimo, gli rivolse ancora un radioso sorriso.
Non doveva affezionarsi a lui, specialmente vista la situazione. E soprattutto non doveva preoccuparsi nel caso il giovane mago avesse voluto fare qualcosa di avventato. Non stava a lui impedirglielo. Se Albus possedeva almeno la metà della caparbietà di suo padre, unita all’ambizione tipica degli studenti della sua casa, niente e nessuno avrebbe potuto indirizzarlo su una strada diversa da quella che si era scelto. L’ES evidentemente faceva parte di questa scelta.
Si costrinse a distogliere lo sguardo che rivolse agli altri partecipanti a quell’allenamento.
Gli studenti avevano cominciato ad acquistare maggiore fiducia nelle loro capacità e lampi colorati avevano preso ad illuminare la stanza come un festoso fuoco d’artificio.
Ad un cenno di James Potter, tutti smisero di pronunciare ad alta voce i loro incantesimi. S’udivano solo i tonfi dovuti agli Schiantesimi, appena attutiti dai cuscini. Di nuovo un ragazzo rotolò ai piedi del preside, che si chinò in avanti ad osservarlo, con aria curiosa.
“Non ne ha avuto ancora abbastanza, signor Collins?” chiese, le labbra sottili atteggiate in un sorrisetto ironico. Infatti era la terza volta che Zachary Collins, un alunno del terzo anno, finiva in terra.
Ma il giovane si alzò di scatto, si spolverò la divisa scolastica, e si gettò di nuovo contro il proprio avversario, più determinato che mai.
Dopo circa mezzora, stanchi ma soddisfatti, i componenti del nuovo ES si voltarono verso Piton, in attesa di un suo commento sui loro progressi, ma la sua sedia era vuota. Presi dagli esercizi non si erano accorti che nel frattempo Severus si era allontanato, in silenzio come era entrato.
Rimasero tutti a fissare il posto che il mago aveva occupato solo qualche minuto prima, piuttosto delusi, tuttavia consapevoli del fatto che, se ne avesse avuto il motivo, Piton non avrebbe certo risparmiato di esprimere loro tutto il suo disappunto.


* * *



La porta della sala dei professori si aprì. Neville, che era intento a scrivere una lettera, sollevò il capo fissando l’uomo sulla soglia con aria abbattuta. Estragone se ne stava in piedi, con le braccia lungo i fianchi e lo sguardo chino. Prese un profondo respiro e fece qualche passo avanti.
“La pozione è pronta.”
Neville non rispose. Strinse con forza la penna d’oca fra le dita e prese a maltrattare la pergamena che aveva davanti, come se stesse incidendo le parole su una superficie di marmo.
“Ho già avvertito il preside, ci raggiungerà nel sotterraneo.” La voce di Estragone era bassa e pacata.
Paciock continuò a sfogare la sua frustrazione sul foglio chiudendosi in un ostinato silenzio.
Wilkinson si avvicinò ancora e, oltrepassando la scrivania, si fermò alle spalle del collega. Si appoggiò con una mano al tavolo e si sporse per osservare la lettera che Neville stava scarabocchiando. Le sue labbra si piegarono in una smorfia di commiserazione.
“Ho bisogno di te. Lui ne ha bisogno. Se avrà un’altra crisi dovrai aiutarmi ad immobilizzarlo.” Disse dopo un po’, chinandosi e guardandolo negli occhi.
“Quanto durerà ancora?” sbottò l’altro, spazzando via dal tavolo la penna e la lettera, con un ampio e repentino movimento del braccio.
Si portò le mani nei capelli chiudendo gli occhi.
“Quanta altra pozione ci vorrà? Sono due settimane che andiamo avanti così, e il Marchio sembra diventare sempre più potente.”
“Non lo so. Nemmeno il preside lo sa.”
Neville si voltò fissando a sua volta il collega.
“L’ultima volta è stato terribile.” Strinse i pugni. “Ogni volta è peggio della precedente.” sospirò. “Sai, per un momento sono stato tentato di liberarlo. E se lo avessi fatto?”
“Avresti liberato Voldemort.” disse gelido il Capocasa dei Serpeverde.
Neville si alzò di scatto facendo cadere la sedia dietro di lui.
“Ma non era Voldemort a gridare. Maledizione! Era Piton.” urlò scuotendo il capo. “Io… io non so se me la sento. Forse sono un vigliacco, magari lo sono sempre stato, ma non riuscirò a torturare ancora quell’uomo, nemmeno per il bene del mondo magico.” Si voltò dando le spalle all’altro. “Forse Piton aveva ragione: ci sono compiti che non si dovrebbero mai affidare ad un Grifondoro.” mormorò amareggiato.
Estragone lo afferrò per le spalle costringendolo a voltarsi e a guardarlo di nuovo negli occhi.
“Credi che io mi diverta? Sei tu che mi hai coinvolto. O pensavi di cavartela dando a Piton la sua brodaglia per poi squagliartela?” soffiò.
“No, ma non credevo di doverlo tenere fermo mentre quel maledetto Marchio gli fa patire le pene dell’inferno. E poi per cosa? Quella pozione non funziona. Quanta ne ha usata finora? Quattro, cinque calderoni? Eppure il Marchio e ancora lì.”
Estragone lo lasciò e fece un passo indietro. Le braccia di nuovo abbandonate lungo i fianchi, e le spalle curvate dal peso della sconfitta. Si morse il labbro.
“Credo… beh, credo che la Pozione non lo eliminerà mai del tutto. Forse riesce a renderlo innocuo. Il Marchio è come addormentato, ma tornerà non appena il preside smetterà di usarla.”
“Quindi dovrà prenderla per sempre?” Neville si portò la mano alla bocca colto da un improvviso attacco di nausea.
Estragone annuì.
“Abbiamo abbastanza Euriale. Dovrebbe bastare per un altro mese. Poi ce ne procureremo ancora.” Continuò Wilkinson, con voce atona.
Paciock si lasciò cadere sulla poltrona, sospirando.
Wilkinson distolse lo sguardo chinando il capo, poi si voltò e si diresse verso l’uscita. Si bloccò ad un metro dalla porta.
“Essere coraggiosi non sempre è semplice come affrontare il nemico con una spada. Un Grifondoro dovrebbe saperlo.” disse rivolgendo all’altro uno sguardo provocatorio. “Forse dovresti prendere esempio da lui.” Accennò con lo sguardo alla finestra, dalla quale si poteva vedere la torre in cui si trovava l’ufficio del preside. Fece ancora qualche passo e afferrò la maniglia. “Ti aspetto nel sotterraneo”. Concluse chinando il capo in un gesto di saluto, poi se ne andò, chiudendo la porta alle sue spalle.


* * *



Poco dopo Estragone percorreva svogliatamente i lunghi corridoi del Sotterraneo.
Neville non era il solo a non voler assistere all’ennesimo disperato tentativo del preside di sfuggire alla sua condanna. Come Pozionista sapeva bene che Piton non avrebbe potuto continuare per molto ad usare quel filtro. Ogni nuovo calderone sembrava meno efficace del precedente. Presto la Pozione sarebbe diventata del tutto inutile.
Giunto alla porta del laboratorio, prese un grosso respiro e si accinse ad entrare, quando un rumore di passi attirò la sua attenzione. Si voltò e vide Neville in fondo al corridoio.
Estragone sorrise e Paciock marciando verso di lui con aria risoluta, annunciò. “Sai, detesto dar ragione ad un Serpeverde, ma ti sono grato per avermi ricordato il vero significato del coraggio. Non mi tirerò indietro.” Piegò le labbra in un sorrisetto ironico. “Anche se non sarà facile come ‘affrontare un nemico con la spada’.”
Il sorriso dell’altro si allargò maggiormente. E senza ribattere protese il braccio e spinse l’anta della porta spalancandola.
Entrò per primo, ma si bloccò non appena varcato l’ingresso, e Neville, che era dietro di lui, per poco non andò a cozzare contro la sua schiena.
La stanza era a soqquadro. Lo sguardo del Pozionista corse al calderone che era rotolato in un angolo, mentre la pozione, fuoriuscendo, aveva colorato di blu le pietre del pavimento. La testa di Neville fece capolino da dietro il mantello del collega che era praticamente pietrificato sulla soglia e gli bloccava il passaggio. Le labbra di Paciock si spalancarono e un’espressione mista di terrore e disperazione gli si disegnò sul volto.
Libri e ampolle frantumate erano sparsi per tutta la stanza. In un angolo, vicino al tavolo, c’era un mucchietto di cenere e tutt’attorno le pietre erano annerite.
I due uomini avanzarono quasi con timore, mentre i loro sguardi vagavano disorientati, in quella devastazione. Neville si stropicciò gli occhi: un forte odore di fumo mescolato all’irritante aroma delle pozioni distrutte aleggiava in quel luogo.
Poi un flebile lamento attirò la loro attenzione. I due maghi si voltarono di scatto.
In un angolo, proprio dietro di loro, c’era Piton. Era in terra, raggomitolato nel suo ampio mantello come per proteggersi.
“Professore!” Neville corse e si gettò in ginocchio al suo fianco, lo circondò con le braccia sollevandolo abbastanza da poterlo guardare in volto.
Il preside teneva gli occhi serrati con forza, i capelli scompigliati erano incollati alle guance.
Appena si sentì stringere da Paciock, tremò e si aggrappò a sua volta all’ex alunno.
“Devo… allontanarmi da qui.” ansimò.
“Ma cosa sta dicendo? Ora l’accompagneremo in infermeria. Estragone farà altra Pozione e…”
“Ho bruciato l’Euriale.” Disse con fatica, mentre lo sguardo correva ad indicare il mucchietto di cenere ai piedi del tavolo. “Non ce n’è più.”
Estragone impallidì.
“Ne procurerò altra, allora.” insistette Neville con decisione.
Le dita di Severus si strinsero sul suo mantello come artigli, e lo strattonò.
“No, non c’è tempo. Stanno arrivando. Devo lasciare Hogwarts immediatamente, me li trascinerò dietro.”
“Chi sta arrivando?” domandò Estragone che, nel frattempo, si era avvicinato.
“I Mangiamorte!” annunciò una voce dietro di loro facendoli trasalire.
Lucius Malfoy avvolto in un ampio mantello da viaggio si era materializzato davanti alla porta. Neville ed Estragone si voltarono puntando le loro bacchette sul nuovo arrivato, che, per tutta risposta, arricciò le labbra in una smorfia di sufficienza.
“E’ riuscito a risvegliare il mio Marchio. Anche gli altri staranno bruciando.” disse.
Estragone lo fissò perplesso abbassando la sua arma.
“Sta richiamando i suoi servi.” continuò Lucius.
Neville saltò in piedi. “Ma i Mangiamorte sono…”
“Ad Azkaban?” lo anticipò l’altro. “Molti dei seguaci del Signore Oscuro sono stati imprigionati, e altri sono morti, ma qualcuno, come me,” le labbra si piegarono in un ghigno cattivo. “E’ ancora vivo e, soprattutto, libero.”
Si avvicinò al preside chinandosi per controllare le sue condizioni. Accanto a lui, in terra c’era la sua bacchetta. Lucius la raccolse riponendola nella propria cintura, poi tornò a rivolgersi agli altri due. “Sono pochi, ma ognuno di loro avrà al seguito decide di fanatici pronti a farsi Marchiare.”
“Un nuovo esercito?” ansimò Paciock, mentre l’improvvisa consapevolezza si faceva strada nella sua mente.
Lucius annuì.
Estragone e Neville si scambiarono un’occhiata preoccupata, mentre Lucius si passò il braccio di Severus intorno al collo, e lo aiutò ad alzarsi da terra.
“Immagino che il tuo intruglio non abbia funzionato.” disse malevolo.
Severus si limitò ad un cenno del capo, permettendo all’altro di sostenerlo.
“Cosa vuol fare?” Neville afferrò il mago biondo per un braccio, trattenendolo.
“Lo porto fuori di qui.”
“Ma dove? Dove andrete?”
“Ovunque ci trascinerà il Marchio.”
“Preside, la prego, ci permetta di aiutarla.” Neville si rivolse a Piton, allargando supplichevole le braccia. “Non può andarsene! Perché vuole combattere da solo?”
Severus allora si drizzò sulla schiena, sostenuto dall’amico.
“Non c’è più nulla che possiate fare per me.” Parlava lentamente, ma con decisione. “Paciock, lei ora deve proteggere la scuola. E’ la sola cosa importante. Quando ce ne saremo andati, dovrà ripristinare la barriera antimaterializzazione.”
“Io… no, no, aspetti! Come farete a tornare? Se vi trovaste in pericolo, non sapremmo come aiutarvi.”
“Paciock!” Il tono di voce di Piton aveva qualcosa di tragico e definitivo che fece rabbrividire l’altro. Scosse il capo, poi rivolse lo sguardo verso il soffitto, come se attraverso la roccia e i mattoni che lo sovrastavano riuscisse a vedere l’intera scuola.
“Neville…” continuò con un tono insolitamente dolce per lui. “Io non tornerò a Hogwarts.”
Paciock sentì qualcosa spezzarsi dentro di sé. Fece per rispondere, ma Piton e Lucius si erano già Smaterializzati. L’ultimo suono che si udì nella stanza fu l’urlo roco e disperato di Neville che, protendendo il braccio verso il suo ex insegnante, aveva tentato invano di trattenerlo.
Poi fu solo il silenzio: lui e Wilkinson rimasero a fissare allibiti il vuoto di fronte a loro.
Nessuno dei due osava parlare, nessuno aveva il coraggio di guardare la disperazione nel volto dell’altro.



Continua…






Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Cap. 13: Il prezzo della pace ***


Ernil, sì, questo cap è l’ultimo. Spero che ti sia lasciata almeno un moncherino, una mezza falange. In ogni caso ora potrai smettere di rosicchiarti le dita. Sono d’accordo sul fatto che Piton sia un grand’uomo e il suo senso del dovere, è l punto dolente di questa ff. Fino a che punto mi sarò spinta? Ehm… Intanto ti ringrazio per avermi seguita fino ad ora. I tuoi commenti sono stati davvero uno spasso, sempre attenti, ma anche divertentissimi. Ah, metti in salvo il tuo gatto, tempo che ti sentirà urlare di nuovo.
Allison91, eh, Severus sembra fatto per soffrire. Ma non sarebbe così bello il suo personaggio senza questo suo aspetto tragico. Adoro versare fiumi di lacrime per lui. Eh, sì, lo ammetto: sono sadica. Grazie per avermi seguito fin ora, e per aver commentato.
Piccola Vero, comincia a pregare, siamo arrivati al nocciolo della questione. Il punto è tutto qui: cosa deciderò per Severus? Lo salverò? Non lo salverò? Ci sarà un lieto fine? Un salvataggio dell’ultimo minuto? Qualcuno interverrà? Grazie anche a te per tutti i tuoi commenti!
Manuel Lanart, vedo che hai afferrato completamente il senso di questa storia. Sì, il punto è proprio il coraggio. Un tipo di coraggio diverso dall’affrontare il proprio nemico in duello. I nostri eroi dovranno dimostrare di possedere questo diverso tipo di coraggio. Lo dimostrerà Piton, ma non solo lui. E no, non sarà affatto facile, per nessuno. Ora saprai se le tue previsioni sono giuste. Se la conclusione sarà negativa. In ogni caso spero che condividerai la mia scelta.
Feffi88, scusami per la mia sbadataggine, il tuo commento mi ha fatto davvero piacere, e mi dispiace doppiamente di non averti ringraziata proprio quando finalmente avevi deciso di manifestarti. Come ti ho spiegato, è stato solo un errore nel copiare e incollare i nomi dei recensori. Ho dimenticato di aggiungere le recensioni del primo capitolo. E ti ringrazio anche a nome della mia beta, ne ho avute diverse, ma ho visto che tra i tuoi preferiti c’è la mia amica Nykyo. Un’adorabile pignola alla quale devo davvero tutto, senza di lei non avrei mai continuato a scrivere, dopo i miei primi e goffi tentativi.

Buona lettura!


Cap 13 Il prezzo della pace

Dopo diversi minuti, Neville si voltò di scatto e, senza aggiungere una parola, si precipitò per le scale, seguito dal collega.
“Che cosa vuoi fare?” domandò Estragone, mentre si affannava dietro all’insegnante di Erbologia. “Piton ha detto di innalzare la barriera, dove vai?”
“Non ho intenzione di obbedire!” urlò Paciock, svoltando l’angolo e infilando il corridoio che portavano all’ufficio di Piton.
“Cosa?” Estragone si fermò per riprendere fiato. “Ma… non starai pensando di andarlo a cercare?” Ansimò, poi riprese a seguirlo.
Neville, intanto, per poco non travolse un gruppo di studenti che si scambiarono uno sguardo stupito e poi presero a correre anche loro, ma in direzione opposta.
L’insegnante di Erbologia entrò trafelato nell’ufficio e marciò in direzione della vetrata, strappò con violenza il drappo scuro che copriva la finestra e la spalancò, sporgendosi dal davanzale. Sotto lo sguardo allibito de Wilkinson, evocò il suo Patronus che si gettò verso i giardini fino a perdersi tra le cime degli alberi in lontananza.
Si voltò e fissò il collega.
“Non isolerò Hogwarts, non finché Piton è là fuori.”
Estragone incrociò le braccia.
“Immagino che quel Patronus fosse diretto al tuo amico Potter.” mugugnò.
“Esatto! Seguirò Piton e un aiuto mi farà comodo. Tu dovrai restare a proteggere la scuola.”
“Certo, così sarete in tre là fuori in pericolo.” brontolò Estragone
“Tu lasciaci la porta aperta e non chiuderla, a meno che non lo riterrai necessario per la salvezza di Hogwarts.” Sorrise, poi rivolse uno sguardo impaziente all’esterno. “Speriamo solo che Harry faccia in fretta.”
Estragone si voltò e andò ad accomodarsi sulla poltrona, fece una smorfia e iniziò a tamburellare con le dita sui braccioli, preparandosi ad un’attesa snervante.


* * *



Severus e Lucius si erano materializzati all’aperto. Davanti a loro, sotto un cielo nuvoloso rischiarato da lampi in lontananza, si stendeva un paesaggio cupo. Filari di lapidi ferivano il terreno come schegge. Alcune, molto antiche, erano sprofondate inclinandosi fino a nascondere in parte le iscrizioni incise sulla superficie marmorea. Altre, più recenti, puntavano dritte verso il cielo, sfuggendo alla vegetazione. Altre ancora erano sovrastate da statue, colonne o altri segni che sembravano gareggiare fra loro nell’attirare gli sguardi pietosi dei visitatori.
Severus notò che molte delle lapidi più vicine recavano la stessa data. Erano tutti i caduti della battaglia di Hogwarts; le vittime di entrambe le parti.
Rabbrividì, immaginando che tra quelle doveva esserci anche la sua. Non aveva mai voluto sapere dove avessero seppellito il suo corpo vent’anni prima. Non si era mai recato in quel luogo. Chinò lo sguardo sull’ombra di fronte a lui. Qualcosa alle spalle dei due maghi aveva ingoiato le sagome che i loro corpi avrebbero dovuto disegnare sul terreno. Si voltò e vide che la fonte di quell’ombra era una grande statua. Un angelo della morte spalancava le sue maestose ali a protezione di una tomba spoglia, diversa da tutte le altre. Monumentale, ma abbandonata.
Nessuno fiore era stato mai posato sulla pietra che la ricopriva. Nessuno si era mai preoccupato di recidere l’edera che la soffocava.
Severus si chinò e scansò un ramo che nascondeva l’iscrizione.
“Tom Riddle!”
Quel nome uscì come un soffio dalle sue labbra, mentre lo sguardo del mago correva a cercare la conferma dei suoi pensieri negli occhi dell’amico.
“E’ buffo, vero?” disse amaro Malfoy. “Hanno voluto regalargli una tomba imponente, ma è solo un monumento alle loro paure.” Le labbra si piegarono in un ghigno. “Ecco, qui giace il più grande mago di tutti i tempi. L’uomo che ha fatto tremare l’intero mondo magico.” continuò indicando la tomba con un gesto teatrale del braccio. “Ora non potrà più nuocere.”
Severus passò la mano sull’incisione, ripulendola delicatamente dal terriccio. Poi le dita si strinsero in un pugno.
Non sapeva se provare odio, disgusto o pietà per l’uomo che aveva distrutto la sua anima e il suo cuore, e che ora lui stesso stava riportando alla vita.
Una folata di vento gli gonfiò il mantello, mentre la pioggia prese a ticchettare sulla pietra.
“Severus!”
La voce di Malfoy si era fatta gelida, come l’acqua che aveva iniziato a rigargli il volto.
Il preside di Hogwarts si alzò da terra e si voltò lentamente. Gli occhi nerissimi si gettarono in quelli grigi dell’amico. Lucius aveva estratto la bacchetta ed ora la puntava determinato al suo petto.


* * *



Nel frattempo a Hogwarts, Neville continuava a camminare avanti e indietro, misurando a grandi passi l’ufficio di Piton.
“Credi che i Mangiamorte capiranno che lui non è più a scuola?” disse Estragone per spezzare la tensione.
“Ha detto che se li sarebbe trascinati dietro. Evidentemente loro andranno dove il Marchio di Piton li attira.”
“E immagino che tu ti sia fatto un’idea di dove potrebbe trovarsi ora il nostro preside.”
Neville si fermò e guardò Estragone mordendosi il labbro.
“Beh, suppongo che sia andato da Voldemort.”
“Che vuoi dire?” Wilkinson sussultò.
“Beh, insomma, voglio dire nel posto in cui Voldemort si trova ora.”
“Al cimitero?” Le labbra di Wilkinson si piegarono in una smorfia sconcertata e disgustata al tempo stesso, come se cercasse di cancellare dalla sua mente l’idea che il mago che tutti temevano potesse nuocere persino dalla tomba.
“Tom Riddle è stato seppellito come tutti gli altri. Se il suo potere è in qualche modo rimasto aggrappato al Marchio di Piton, quello è l’unico posto in cui potrebbe attirarlo.” Il rumore della Materializzazione li fece voltare entrambi: Harry Potter era davanti alla porta chiusa e stringeva tra le braccia il mantello dell’invisibilità.
Neville si precipitò verso di lui e lo afferrò per le spalle.
“Andiamo, non c’è tempo da perdere.” esclamò.
“Andiamo dove?” Harry lo fissò stupito.
“Al cimitero, credo che Piton sia lì.”
Lo sguardo di Harry passò dall’amico all’altro insegnante, che si era alzato dalla poltrona, avvicinandosi.
Poi tornò a rivolgersi a Paciock. “Nel tuo ultimo gufo dicevi che Voldemort stava prendendo il controllo di Piton e che usavate una pozione per contrastare il suo potere. Che è successo?” “La situazione è precipitata. Piton ha lasciato la scuola assieme a Lucius Malfoy. Ha intenzione di proteggerci, ma non possiamo permettergli di agire da solo, qualsiasi cosa abbia in mente.”
Harry annuì ed entrambi si Smaterializzarono.
Estragone fece qualche passo e si fermò nel punto in cui i due erano appena scomparsi.
“Buona fortuna!” mormorò.


* * *



Intanto, nel corridoio davanti al Gargoyle che chiudeva l’ingresso dell’ufficio di Piton, si era radunato un gruppo di ragazzi.
“Dobbiamo raggiungerli.” disse James Potter intento ad arrotolare un lungo filo color carne.
“Accidenti, per fortuna avevi con te le Orecchie Oblunghe.” disse Albus Severus osservando ciò che il fratello stringeva tra le dita. “Questi affari sono stati davvero un’idea geniale. Zio George è fantastico!” esultò il giovane mago.
Scorpius Malfoy, che era con loro, incrociò le braccia. “Già, anche i giocattoli possono rivelarsi utili, qualche volta.” sbuffò.
Gli altri ragazzi lo fulminarono con lo sguardo. Ma lui continuò serio.
“A quanto pare mio nonno è con il preside, ma noi come faremo a raggiungerli?”
“Dovremo smaterializzarci.” rispose Albus.
“Starai scherzando. Nessuno di noi sa farlo.” scattò Scorpius.
“Nessuno, tranne quelli di noi che hanno compiuto diciassette anni.” Precisò James. “Formeremo delle coppie. Tutti quelli che non sono in grado di Smaterializzarsi dovranno farsi trasportare da uno studente maggiorenne. Andiamo.”
Fece cenno agli altri di seguirlo.


* * *



Al cimitero i due maghi erano in piedi, l’uno di fronte all’altro, sotto la pioggia che si era fatta scrosciante.
Severus teneva le braccia lungo i fianchi. Il mantello, pur appesantito dall’acqua, ondeggiava alle sue spalle. L’espressione tesa del mago era messa in risalto dalle due bande di capelli neri che cadevano gocciolanti ai lati del volto.
Trattenne il respiro, quando le labbra di Malfoy si schiusero e le parole dell’incantesimo, appena udibili, risuonarono, invece, come un boato nella sua mente. L’aria intorno a lui crepitò. Chiuse gli occhi e barcollò all’indietro. Aveva sentito il cuore sussultare per poi immobilizzarsi come ogni altro muscolo del suo corpo. Ma fu solo un istante, un infinito istante prima che il mago si rendesse conto di essere ancora in piedi.
Le gambe ancora lo sostenevano, ma non per sua volontà. Aveva l’impressione che non gli appartenessero più. Così come non riusciva a percepire il battito del proprio cuore, che però doveva esserci, dato che, evidentemente, non era morto. Ma com’era possibile?
I suoi occhi si aprirono e vide che intorno a lui si era formata una bolla luminosa che pareva assorbire la luce verde dell’Avada Kedavra.
Malfoy era stato scaraventato all’indietro e fissava sbalordito la propria bacchetta o, piuttosto, quello che ne rimaneva: un manico annerito e fumante.
Poi il suo sbalordimento si tramutò in terrore, quando dalla gola di Severus Piton uscì una voce sibilante.
“Tu, viscido traditore, come osi ostacolarmi?”
Malfoy si sollevò da terra e si mise in ginocchio.
“Mio… mio signore… io…” balbettò, riconoscendo la voce di Voldemort. “Io non vi ho mai tradito, voi…” Tentò di prendere tempo, mentre frugava nelle tasche del mantello alla ricerca disperata della bacchetta di Piton. L’afferrò e tese di nuovo il braccio tremante puntando l’arma contro il suo antico padrone.
Sul volto di Piton si disegnò un sorriso cattivo.
“Sciocco! Non puoi uccidermi. Nessun incantesimo funzionerà, hai di fronte la potenza di due maghi,” si chinò, e Lucius si sentì gelare fissando le pupille dell’altro divenute rosse come brace ardente. “E uno di loro è morto.” proseguì il mago bruno. La sua voce carica di rabbia e odio risuonò come il ruggito di un animale ferito.

Qualche metro più in là, Potter e Neville si erano appena Materializzati. Nascosti sotto il mantello dell’invisibilità osservavano la scena.
Videro Lucius rimettersi in piedi e scagliare un secondo incantesimo e poi un terzo, ma tutti sembrarono rimbalzare sullo scudo che circondava il preside.
Harry Potter fece per sfilarsi il mantello con l’intenzione di raggiungerli, ma Neville lo trattenne.
“Dove vai?” sussurrò.
“Sta cercando di ucciderlo, non lo vedi?” si divincolò.
“Fermati! Non capisci?”
“Cosa c’è da capire? Quell’assassino sta cercando di uccidere Piton!” continuò cercando di parlare a bassa voce per non farsi scoprire.
“Quello non è Piton. Guarda.” Paciock indicò il mago che ora aveva sollevato il braccio su cui il marchio nero spiccava nitido come non mai.
Lucius si afferrò il suo, colto da uno spasmo di dolore. Cadde in ginocchio e l’altro con un ampio gesto della mano gli strappò la bacchetta, afferrandola al volo.
La puntò contro il suo avversario che prese a gridare e a contorcersi nell’erba.
“Dov’eri?” gridò. “Dov’eri, mentre gli altri morivano per il loro signore?”
Si avvicinò fino a sovrastarlo completamente.
“Pagherai Lucius e poi…” le labbra si piegarono in un sorriso malevolo. “Sterminerò la tua famiglia.” disse con disprezzo.
“Nooo!” Lucius afferrò il suo pugnale da Mangiamorte, e si gettò contro l’altro con tutta la forza rimastagli. La lama affilata non fu bloccata dalla barriera magica che proteggeva Piton e riuscì a lambire il suo mantello strappandolo, ma subito Malfoy fu scaraventato indietro e cadde riverso nel fango. Il pugnale ancora stretto rabbiosamente fra le dita. Tentò di rialzarsi, ma un nuovo incantesimo lo schiacciò al suolo.
Piton si avvicinò e puntò la bacchetta.
Il mago biondo era stremato. Sollevò lo sguardo.
“Se… verus!”
Il legno magico tremò nella mano del preside, le pupille tornarono nere e l’uomo ansimò come se fosse tornato improvvisamente padrone dei propri polmoni.
Harry sussultò, avrebbe voluto cedere all’impulso di intervenire, ma Neville continuava a trattenerlo, a malincuore, ma sicuramente a ragione. Cosa avrebbe potuto fare? Da quale parte schierarsi?
Anche lui sapeva bene che il nemico non era Malfoy. Non questa volta. Ma come avrebbe potuto aiutarlo ad uccidere l’uomo che aveva salvato suo figlio?
Fissò il volto del Preside: era l’immagine della disperazione. Gli occhi erano arrossati e colmi di lacrime, mentre guardava orripilato il suo amico ferito.
Quando il braccio che teneva la bacchetta tornò a tendersi, il volto del mago si deformò in una smorfia che rivelava chiaramente tutto l’orrore che l’uomo provava in quel momento.
Voldemort lo controllava. Guidava i suoi muscoli e la sua voce, ma, nello stesso tempo, gli lasciava la capacità di comprendere ciò che stava facendo.
Di nuovo il suo corpo sfuggì al controllo.
Come mosso da fili invisibili, si chinò in avanti, e il braccio arrivò a sfiorare con la bacchetta il petto di Malfoy.
Quando le sue labbra si dischiusero per pronunciare la maledizione, Severus tentò di opporsi. Serrò la mascella e, con uno sforzo terribile, mosse il braccio abbastanza da allontanare la sua arma da Lucius. Chiuse gli occhi e barcollò all’indietro afferrandosi alla statua dell’angelo. Poggiò la fronte sul marmo scolpito aggrappandosi alla pietra come un bambino alla propria madre.
“Fermami!” disse con voce strozzata. “Ti prego, fermami!”
Scivolò in ginocchio e si piegò su se stesso, ansimante. Rimase in quella posizione per diversi secondi, cercando di non dare ascolto all’odio che lo divorava assieme al desiderio irrefrenabile di uccidere. La magia oscura che lo possedeva diventava sempre più potente, scorreva nelle sue vene come un fiume in piena, mescolandosi col suo sangue e infettandolo. Non era più solo il marchio a bruciare: l’inferno stesso ardeva dentro di lui. Era come se l’anima dannata del suo antico padrone si fosse impadronita di ogni fibra del suo corpo.
Si voltò di scatto. Gli occhi erano tornati ad infiammarsi. Gemette, ma, immediatamente, il lamento mutò in un grido, un urlo che non aveva nulla di umano.
Neville e Harry si tapparono le orecchie scuotendo il capo.
Non era un grido di dolore, ma piuttosto un richiamo, infatti, poco dopo, decine di maghi fecero la loro comparsa in quel luogo.
Il preside si sollevò da terra appoggiandosi alla statua, scrutò uno ad uno i nuovi venuti. C’erano vecchie conoscenze, e altri fanatici ansiosi di ricevere il dono del marchio. Tutti, dopo un primo istante di smarrimento, si inginocchiarono davanti al loro padrone, e lui non tardò ad esercitare la sua autorità.
“Uccidetelo!” ordinò indicando il mago steso di fronte a lui.
Questa volta fu Neville a scattare in avanti. Liberandosi dal mantello dell’invisibilità, si parò tra i Mangiamorte e Lucius Malfoy in un inutile tentativo di salvarlo.
Gli uomini di Voldemort nel vederlo esitarono, ma subito dopo gli puntarono contro le loro armi sghignazzando e insultandolo. Non c’era scampo per lui, erano troppi e loro lo sapevano.
Harry si guardò attorno. Doveva trovare una soluzione, oppure gettarsi nella battaglia e farsi uccidere assieme al suo amico.
Era già pronto a togliersi il mantello, quando la soluzione si presentò da sola: decine di ragazzini si materializzarono a coppie, rompendo le fila dei Mangiamorte, che rimasero spiazzati.
Incantesimi illuminarono il campo, confondendosi coi lampi del temporale.
Gli occhi di Harry, individuarono Albus Severus e James nel mezzo della battaglia. Erano uno accanto all’altro e lanciavano incantesimi contemporaneamente contro il loro avversario che annaspava tentando inutilmente di rispondere, mentre rideva in un modo grottesco, per essere stato colpito dall’incantesimo Rictusempra.
Il cuore di Harry si riempì d’orgoglio, tanto che riuscì a soffocare il suo primo istinto, che era quello di correre a proteggere il suoi figli. Dopo aver lanciato un ultimo sguardo ai due, si voltò di scatto imponendosi di non intervenire e si precipitò verso Malfoy. Si chinò su di lui sollevando il mantello dell’invisibilità abbastanza perché l’uomo potesse riconoscerlo. Senza dire nulla, Lucius gli afferrò la mano infilandovi a forza la sua arma.
“Fallo!” mormorò prima di perdere i sensi.
Harry nascose il pugnale tra le pieghe del mantello e si alzò.
Mentre la battaglia infuriava, si avvicinò a Piton che era in piedi sulla tomba di Riddle e osservava irritato e teso i suoi nuovi adepti, mentre venivano tenuti in scacco da un gruppo di studenti.
Quando fu di fronte al mago, Harry brandì il pugnale, il braccio teso sotto il drappo magico pronto a colpire, ma si bloccò: non poteva ucciderlo senza permettergli di guardarlo negli occhi.
Dando ascolto al suo cuore, gettò in terra il mantello, e, senza preoccuparsi alle conseguenze, si mostrò a Piton.
Immediatamente, l’altro puntò la bacchetta contro di lui e Harry fu certo che l’avrebbe ucciso.
Ma il mago non pronunciò la maledizione, anche se sentiva le parole magiche bruciare come veleno nella sua gola. Le labbra si dischiusero appena, e per un istante, rimase immobile, pietrificato. Sentimenti di rabbia, paura, stupore e, nello stesso tempo, di sollievo si affollarono nel suo cuore e nella sua mente. Qualcosa gli stava dando la forza di resistere, permettendogli di disporre del proprio braccio e della propria voce.
Strinse con più forza le dita intorno alla bacchetta. Sentì la ruvidezza del legno intarsiato sui polpastrelli, e in quel momento capì. La presenza del ragazzo sopravvissuto era sufficiente per disorientare Voldemort, o almeno destabilizzare l’essenza della sua magia. Sapeva che quel sentimento di paura che provava non gli apparteneva: era la paura della morte che Riddle aveva tentato in tutti i modi di sfuggire, finché non aveva puntato la sua bacchetta contro un bambino. Un cieco terrore lo assalì, ma Severus sentiva che quel sentimento non era il suo. La paura di Voldemort di fronte allo stesso mago che l’aveva sconfitto vent’anni prima, era invece la sua forza, e anche l’ultima occasione per fermarlo. Avvertì il suo cuore spaccarsi in due, mentre tornava padrone di se stesso, libero di scegliere l’unica soluzione possibile. Nel momento in cui la sua mente formulava quel pensiero, sentì gli artigli di quell’anima condannata, che si aggrappava disperatamente alla vita, alla sua vita. Una vita che non gli avrebbe più permesso di usare.
Tutto avvenne in un istante davanti allo sguardo allibito di Harry Potter. Gli occhi rossi di Voldemort lasciarono il posto alla dolorosa ombra di quelli di Severus.
Il mago sollevò il braccio gettandolo all’indietro.
Il polso colpì con tale violenza il marmo della statua da spezzarsi con un rumore sordo e inquietante, e anche la bacchetta che il mago stringeva fra le dita si frantumò nell’urto.
Harry in quel momento comprese che non poteva più tirarsi indietro: Piton stesso si stava consegnando disarmato al suo assassino.
Si lanciò ad occhi chiusi contro di lui stringendolo in un mortale, ultimo, disperato abbraccio. La lama del pugnale penetrò la carne con una tale facilità, che Harry capì di essere riuscito a ferirlo solo quando sentì il calore del suo sangue sulle proprie mani.
Non un lamento sfuggì dalle labbra di Piton, che si aggrappò alla tunica dell’altro trascinandolo con sé in ginocchio.
Nello stesso istante, un grido agghiacciante salì dalla terra. La lastra di marmo che chiudeva il sepolcro di Riddle sussultò tanto che Harry fu costretto ad appoggiarvisi con le mani per non esserne sbalzato fuori. Una grossa crepa si arrampicò sul panneggio della statua, allargandosi verso l’alto fino a sgretolarne completamente la parte superiore. La testa cadde, con un tonfo, sprofondando nel fango.
In quel momento, i Mangiamorte, rendendosi conto della sconfitta del loro padrone, fuggirono spaventati.
Neville si voltò di scatto e vide quello che era appena accaduto. Portandosi le mani nei capelli in un gesto disperato, si precipitò verso Piton e aiutò Harry ad adagiarlo sulla lastra che si era posizionata di traverso lasciando in parte scoperta la tomba.
Si lasciò cadere anch’egli in ginocchio. Era come stordito e gli sembrava di aver perso completamente le forze.
“No, no, no!” prese a ripetere come una cantilena, scuotendo il capo, mentre Harry accanto a lui si fissava inebetito le mani che teneva appoggiate sulle ginocchia coi palmi sporchi di sangue rivolti in alto.
In pochi secondi i tre furono attorniati da tutti i ragazzi dell’ES. Anche Lucius Malfoy, sostenuto dal nipote, si era avvicinato, mentre Albus Severus che si era fermato a raccogliere la bacchetta di Piton, si inginocchiò accanto a suo padre porgendogli i frammenti del legno magico.
“E’ rotta”. Singhiozzò come se quel legno spezzato rappresentasse la vita stessa del mago al quale apparteneva.
Harry la prese e la posò sul petto di Piton.
“Perdonami!” mormorò.
Tremava. Avrebbe voluto non essere lì. Avrebbe voluto non intromettersi, non sapere. Non aveva avuto scelta, tutti ne erano consapevoli, suo figlio, Neville che sembrava lottare per svegliarsi da un incubo. Persino Malfoy che se ne stava curvo dietro di loro, forse ringraziando di non essersi dovuto macchiare le mani con quel sangue. Sarebbe stato troppo anche per un ex Mangiamorte. Harry guardò la bacchetta, sentì che qualcosa si era spezzato per sempre dentro di lui. Come la piccola asticella di legno non si sarebbe più potuta rimettere insieme. Ora sapeva cosa significava uccidere un amico. Scosse il capo. “Io non posso, non voglio portare questo peso.” mormorò con la voce incrinata.
Gli occhi di Piton trovarono i suoi. Harry in un primo momento distolse lo sguardo, ma immediatamente cercò dentro di sé il coraggio di fissare le pupille che aveva tanto odiato un tempo. Si gettò nel buio degli occhi dell’altro, come un bambino si getta disperato tra le braccia di sua madre, in cerca di aiuto, di perdono. Glielo doveva e lo doveva anche a se stesso.
“Sei… un uomo coraggioso, Harry… Potter”. disse il preside. Poi le sue labbra si piegarono in un sofferente ghigno. “Per essere un Grifondoro.”
Non c’era cattiveria in quelle parole, ne odio. La voce era ridotta ad un soffio, ma fu sufficiente a squarciare il cuore di Harry, riducendo in briciole tutto il suo autocontrollo. L’ex bambino sopravvissuto si piegò su se stesso coprendosi il volto con le mani sporche di sangue, ed esplose in un pianto dirotto. Il piccolo Albus si aggrappò a lui, stringendolo in un abbraccio.
Il preside mosse appena la mano ferita e le dita sfiorarono la bacchetta.
“La con…serverai? Co…me l’ultima volta?” disse.
Harry si sollevò e annuì, pulendosi le lacrime con la manica della tunica.
Piton allora voltò il capo di lato e il suo sguardo si perse tra i filari di lapidi e statue di quel lugubre paesaggio.
Le parole del ritratto di Silente erano risuonate improvvisamente nella sua mente, portatrici di una tenera, paterna dolcezza.
“Non… ci sarà… un’altra Stamberga!” mormorò poi il mago, dando voce ai propri pensieri.
Sentendo quelle parole, Neville sembrò riaversi da uno stato di trance; si piegò su di lui e, passandogli il braccio dietro la schiena, lo sollevò da terra.
“Che stai facendo?” Chiese Harry, stupito.
“Lo riporto a casa. Il suo posto è Hogwarts.”
Si Smaterializzò tenendo Piton tra le braccia per ricomparire qualche istante dopo nel cortile della scuola, seguito da tutti gli altri.
Davanti all’ingresso, Estragone, che li stava aspettando, si mosse per raggiungerli, ma la vista dell’uomo tra le braccia di Neville lo bloccò. L’espressione sul volto dell’amico e collega era chiara. Il mago seppe che era finita. Abbassò gli occhi in segno di rispetto, ma non si avvicinò, come se volesse lasciare quel momento a coloro che conoscevano Piton da molto più tempo di lui.
Neville adagiò il mago morente sull’erba bagnata.
Il temporale era cessato e il sole del tramonto screziava le nuvole di filamenti infuocati.
Gli sguardi di tutti, compreso quello di Piton corsero alle torri del castello che svettavano maestose, rivestendosi di porpora.
Di fronte a quella meraviglia gli occhi del preside, già velati per la prossima morte, parvero illuminarsi. La scuola, la sua casa, era come l’aveva vista la prima volta da bambino, quando, col cuore colmo di speranza, ne aveva varcato i cancelli tenendo per mano la sua amica Lily. Era il sogno naufragato nel sangue, ma quella era un’altra vita.
Le labbra si piegarono in un sorriso, mentre le palpebre si chiudevano a custodire quell’ultima visione per l’eternità.


FINE



Ecco, vedo decine di bacchette puntate verso di me, e mi dileguo, non ci tengo ad essere cruciata o peggio. Ma prima di trasferirmi in Australia, ci terrei a spiegare i motivi della mia scelta. Ho scritto diverse ff in cui al povero Piton ne ho combinate di tutti i colori, ma ho sempre, o quasi sempre, ribaltato la situazione sul finale. Gli ho regalato sempre un lieto fine, per quanto roccambolesca e cervellotica fosse la soluzione. Un Deus ex Machina era sempre pronto per lui. Questa volta ho deciso di lasciare andare le cose per la loro strada, di non intervenire. Non ho fornito nessuna miracolosa soluzione, ma ho lasciato ai personaggi solo il loro coraggio per affrontare questa prova. Eh sì, il coraggio di Severus per me era scontato, ma, da snapista convinta, ho voluto per una volta mettere anche gli altri nella stesse situazioni in cui si è trovato Piton. Ho voluto mettere alla prova il tanto sbandierato coraggio di un Grifondoro. Non sono mai riuscita ad amare Harry fino in fondo perché la sua mamma Rowling ha voluto lasciargli le mani pulite. Persino Voldemort si è ammazzato da solo perché il ragazzo non si sporcasse con il suo sangue. Harry combatte, ma nel libro è lasciato tutto all’immaginazione, mai un nemico che cada stecchito davanti a lui, ucciso da lui direttamente. L’Harry della Rowling avrebbe mai puntato la bacchetta contro un suo amico, se gli avesse chiesto di ucciderlo (ovviamente se ci fosse stata una buona ragione) come Silente fa con Piton? Il mio Harry c’è riuscito ed ora lo amo molto di più, perchè so quanto gli è costato. Quello della Rowling, non so se lo avrebbe fatto e, probabilmente, non lo saprò mai. Allo stesso modo posso amare Neville per aver scelto la via giusta, anche se era quella più difficile.
Ora, sperando di avervi convinto almeno un po’, vi saluto ringraziandovi per avermi accompagnata fin qui. Ringrazio chi ha recensito, e ringrazio i lettori silenziosi. Un bacio a tutti.




Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=391053