La scelta giusta

di Stephaniee
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Chapter one ***
Capitolo 3: *** Chapter two ***
Capitolo 4: *** Chapter three ***
Capitolo 5: *** Chapter four ***
Capitolo 6: *** Chapter five ***
Capitolo 7: *** Chapter six ***
Capitolo 8: *** Chapter seven ***
Capitolo 9: *** Chapter eight ***
Capitolo 10: *** Chapter nine ***
Capitolo 11: *** Chapter ten ***
Capitolo 12: *** Chapter eleven ***
Capitolo 13: *** Chapter twelve ***
Capitolo 14: *** Chapter thirteen ***
Capitolo 15: *** Chapter fourteen ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Primo ed Ultimo 
La scelta giusta

Prologo
 

Il primo ricordo che avevo riguardava il rumore del mare, lente e regolari le onde si infrangevano sulla costa silenziosa, trascinandomi in uno stato di calma e serenità.

Il secondo di ricordo era il silenzio, sul balcone della nostra casa, infranto solo dal fumare di Francy.

Il terzo era il rumore del vento, sempre presente a tarda sera e durante le mie mattine passate a vedere l'alba.

 

 

Il sole era altissimo nel cielo, era da poco passato mezzogiorno, l'ombra del piccolo bar in riva al mare ci riparava da quel caldo infernale. Tuttavia, stavamo bevendo il nostro solito cappuccino.

La spiaggia quel giorno era piena, in lontananza si sentiva il tipico vociferare dei bambini. Io e Francy eravamo ancora in fase rem nonostante la tarda ora, probabilmente ci saremmo riprese solo dopo colazione e un bagno al mare.

Le nostre giornate erano più o meno passate tutte così, incredibilmente silenziose, senza imbarazzo, avevamo letto una moltitudine indefinita di libri (prevalentemente e-book), preso il sole(io, perchè Franci predigileva lunghi sonnellini all’ombra), fatto bagni, bevuto quantità esorbitanti di cappuccino e mangiato per quattro ogni sera.

Stavamo piuttosto bene.

Il mare era sempre di una bellezza spaventosa. Azzurro, limpido ogni mattina ci regalava la calma che solo poche e piccole lagune potevano garantire. Eravamo decisamente rilassate.

E dopo tutto quello che ci era successo negli ultimi mesi, ci sembrava di meritarcelo.

O almeno, io sentivo di meritarmelo.

Ma ancora non sapevo che quella vacanza avrebbe segnato la fine di un periodo fin troppo facile.

E che al mio ritorno avrei avuto diverse battaglie da combattere.

 

 

Fine Prologo.



 

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Capitolo 2
*** Chapter one ***


Chapter one
Wake me up when December ends
 

Dicembre

ore 09:00

Le lacrime scendevano ormai senza sosta sul mio viso, copiose, iniziavano ad offuscarmi la vista. Volevo strofinarmi gli occhi, ma non sarebbe stata una grande idea, visto che ero truccata. Il semaforo rosso mi guardava, come se anche lui cercasse di dirmi quanto fossi sbagliata. Il suono di un clacson mi riportò alla realtà.

"Cosa caspita ti suoni che è rosso?" Urlai indignata, mentre al primo si aggiungevano una lunga serie di clacson tutti diversi.

Il semaforo era verde.

 Procedevo a passo spedito, sul marmo si sentiva solo il rumore dei miei tacchi, controllai il mio riflesso sul vetro, nessun segno di lacrime. Decisa mi avviai verso il condominio, pronta per l'appuntamento.

 

Respira

Inspira

Vai.

 

Quando rientrai in ufficio quella sera, il mio umore si trovava sottoterra. La mia segretaria mi salutò cordialmente, sorrisi di rimando e mi diressi svogliatamente al mio ufficio. 

Alle 19:00 spaccate, Benedetta mi saluta e lascia lo studio, io ero ancora lì, al pc, a lavorare. 

"Questo lavoro non fa per me"

 

ore 21:00

 

Rientrai a casa dopo una giornata da dimenticare. Mi lanciai in doccia e andai a letto. Neanche una parola con I miei, svogliatamente scelsi il completo per il giorno dopo, e andai a letto.

La mia routine da stagista a cinquecento euro al mese, per dieci ore al giorno, era questa da settembre. Mi sentivo sempre sull'orlo di una crisi di nervi, sempre nervosa, con poco tempo per fare tutto. Ogni giorno dovevo dimostrare chi ero, come se non mi conoscessero, non era contemplabile nessun giorno di riposo, ero andata a lavorare dopo l'estrazione di un dente del giudizio con un’infezione in corso e non avevo suscitato alcun senso di pietà nel mio datore di lavoro. Vedevo le mie amiche sempre di meno, mi sentivo stanca, sempre stanca. Sapevo che non avrei potuto reggere ancora per molto così. Dunque, attendevo le vacanze di Natale per prendermi del periodo per pensare, per pensare se quella fosse davvero la vita che avrei voluto per sempre.

In cuor mio sapevo già la risposta.



Spazio autore:
Ciao a tutti, vi tedio già dal primo capitolo. Scusate.
Volevo solo dirvi che questa sarà la terza ed ultima parte della serie Primo ed Ultimo. Ci ho pensato a lungo prima di pubblicarla e prima di dare un effettivo destino e fare prendere una strada a Kat, ma perchè ormai siamo anime affini e dare un destino a lei significa influenzare propozionalmente anche il mio, per quanto posso fare finta che non sia così.
Dunque a voi.
Ricordando sempre che le delusioni amorose, i dubbi, la difficoltà, la dipendenza sentimentale, l'abitudine toccano tutti prima o poi, senza sminuire l'argomento, bisogna solo darsi il proprio tempo.
Steph

 

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Capitolo 3
*** Chapter two ***


Chapter two
Something new

 

Gennaio

 

L'albero di Natale se ne stava ancora lì imponente in soggiorno. Fin da bambina vedevo l'albero perdere luce dopo il 25 dicembre, non era sicuramente lo stesso, perdeva il suo scopo, il giorno era passato e nonostante ci fosse ancora la befana da festeggiare per me già il 26, Natale era finito. Svogliatamente facevo zapping alla tv, cosciente che il 5 gennaio, al rientro a lavoro avrei dovuto dare le dimissioni e questo mi provocava un certo stato di ansia. 

 

Dare le dimissioni in un periodo di crisi è qualcosa di decisamente contro corrente. E' un rischio, e correre dei rischi implica la possibilità del fallimento.

Ma come ogni rischio, può portare anche a qualcosa di incredibilmente fantastico.

Avevo passato un Natale tranquillo, in famiglia, tra i miei cari e tutto sommato serena, felice. Tranne per quell'ombra grigia chiamata futuro incentro che diventava pesante come un macigno man mano che ci avvicinavamo alla data "x".

 

Avevo passato i pomeriggi delle vacanze tra shopping natalizio e inviare curriculum ad aziende per trovare già un porto sicuro in cui rifugiarmi. Tra tutte le candidature, ne avevo inviata una in cui speravo più delle altre, era un posto nuovo, presso una start-up addetta all'ufficio acquisti. Quindi sostanzialmente, tra un check sulla applicazione per trovare lavoro e zapping televisivo, stavo consumando così il mio ultimo giorno di ferie. Ogni tanto Luke mi tornava in mente, sopratutto durante le feste. Ricordavo il suo cercarmi senza una logica o una motivazione precisa, o almeno non per me, non lo avevo sentito. Niente auguri, niente incontri clandestini finiti male. 

 

Molto meglio per me.

 

Avevo imparato a convivere con i miei sentimenti e non mi sentivo più così male, così mancare come prima. Non avevo mai più risposto alle sue chiamate o ai suoi messaggi dopo quella notte.

Avevo deciso di metterci definitivamente una pietra sopra e così ero intenzionata a proseguire, aveva significato così tanto per me che sarebbe stato stupido tornare sui miei passi e rischiare nuovamente il cuore, il cervello e tutto il pacchetto Kat.

 

Per celebrare la fine delle vacanze, io, Francy ed Emma avevamo in programma una cena quella sera, pronte a festeggiare anche le mie ormai imminenti dimissioni.

Il freddo era pungente quella sera, io e le mie amiche ci stringevamo nei cappotti mentre camminavamo sulla strada che portava al ristorante di sushi che avevamo scelto. La relazione di Emma con l'uomo del mistero proseguiva tra alti e bassi, e noi eravamo sempre più curiose di scoprire chi diamine fosse, mentre Francy si stava ancora riprendendo dal cuore frantumato in mille pezzi da Nick. Tutto sommato però, entrambe avevamo fatto pace con quei sentimenti e smesso di combatterli. Esistevano. Pazienza.

 

"Quindi cosa ti ha regalato l'uomo misterioso per Natale?" Francy aveva uno sguardo malizioso mentre domandava ciò, mi faceva sorridere.

 

"Un profumo"

"Be' è stato carino" 

"Si lo è stato. Però non voglio parlare di lui adesso. Kat sei pronta per domani? Nervosa?"

"Onestamente si" ero abbastanza preoccupata all'idea di rimanere senza lavoro "Ma è una cosa che devo fare. Troverò altro, spero"

"Troverai altro perché sei intelligente, ne sono certa" Emma cercava di tranquillizzarmi, ma non ero sicura quanto lei che ciò sarebbe accaduto presto.

"Invece Francy? Hai news tu?"

"Effettivamente... si. Sono stata contattata da uno studio legale in centro. Devo fare il secondo colloquio ma penso che andrà bene"

"Ma è fantastico!" Ero sbalordita "Perché non ci hai detto niente?"

"Aspettavo questa serata per parlarne a voce, anche se Kat, so che stasera festeggiamo le tue dimissioni..." 

"Non scherzare" stavo praticamente urlando "E' fantastico. Andrai alla grande!"

 

Tra una chiacchiera e l'altra la cena si concluse, e il lontano 5 gennaio era diventato domani.

 

 

 

 

Seduta in macchina, parcheggiata sotto l'ufficio aspettavo di prendere coraggio per entrare in agenzia e dare le mie dimissioni. Ero terrorizzata all'idea di deluderli, avevano comunque creduto in me, ma lo stipendio era da fame e le ore troppe con zero prospettiva di carriera. 

 

"Ok Kat. Adesso entri"

 

Mi sentivo le gambe molli ed allo stesso tempo pesanti, ogni passo sembrava durare ore intere e l'ansia cresceva sempre di più. 

Benedetta aveva visto dalla porta a vetri e aveva già aperto la porta. Non potevo più scappare. 

 

"Buongiorno Kat"

"Buongiorno"

"Cerchi qualcuno?"

"Vorrei parlare con i capi"

"I capi non ci sono... Non oggi almeno. Rientrano lunedì prossimo. Vuoi lasciare detto a me o preferisci dirglielo di persona?"

"Non ho firmato la proroga del contratto"

"Ah"

"Non ho intenzione di proseguire questa strada, non credo faccia per me"

"Ok... Non me l'aspettavo. Hai sempre lavorato sodo"

"Già per prendere cinquecento euro al mese. Arrivando alle 9 ed uscendo alle 21."

"Capisco... Allora Kat devo chiederti di lasciarmi tutto il materiale nostro..."

"Certo ho già preparato tutto. Salgo giusto in ufficio a vedere se ho lasciato qualcosa"

"Va bene... mi dispiace Kat"

"Non dispiacerti, non è niente di personale per nessuno di voi. Questo voglio sia chiaro. Solo... non è per me"

"Lo riferò senza dubbio, grazie per la sincerità Kat"

"Figurati"

 

Lo avevo fatto. Ci ero riuscita. Mi sentivo libera, come dopo aver sostenuto un esame in università, libera come dopo la maturità. Non mi sentivo per niente in colpa, anzi, sentivo il mondo nella mia mano e che potevo fare grandi cose adesso.

Appena finito di svuotare l'ufficio mi stavo dirigendo verso la mia macchina, quando mi accorsi che il telefono stava squillando.

 

Numero con prefisso di città, strano.

 

"Pronto?"

"La signorina Kat?"

"Sono io, chi parla?"

 

Ero in mezzo alla strada con una scatola piena delle mie cianfrusaglie da ufficio e una macchina stava per investirmi, il clacson copriva letteralmente la voce dall'altro capo e non riuscivo a capire nulla.

 

"Pronto?"

"Si signorina Kat, la contatto in merito alla sua candidatura come addetta all'ufficio acquisti, vorrei vederla per un colloqui dopo domani, visto che domani è festa, se per lei va bene"

"Si certo! Assolutamente si!"

"Molto bene, le mando l'indirizzo via mail. A presto!"

"Grazie a lei! A presto"

 

Stavo saltellando per strada quando l'ennesima macchina aveva cominciato a strombazzare, ma non mi importava: avevo un colloquio.



 

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Capitolo 4
*** Chapter three ***


Chapter three
One step into the future and two back in the past
 

“Avrei dovuto mettere la camicia bianca” 

La hall della startup era in perfetto stile moderno, ma comunque chic. C’erano altre candidate, tutte rigorosamente con camicia bianca, mentre la mia era giallo accesso. 

I colloqui erano già cominciati, mi mangiavo le unghie nervosamente mentre rileggevo il mio curriculum, sicuramente non avevo molta esperienza, certo, c’era il mio Erasmus, avevo appena finito di lavorare in un ufficio, ma avevo le qualità che loro cercavano? 

Un senso di ansia mi attanagliava lo stomaco, e se fosse andato male? Che cosa avrei fatto?

 

“Kat Spencer?”

“Sono io!”

“Tocca a lei, prego da questa parte”

 

“Ok Kat. Gambe in spalla. Non andrà male” 

 

Mi piaceva l’aria frizzante di quell’ambiente, non facevo fatica ad immaginarmici per tutta la vita, certo dovevo ancora fare il colloquio ma come sempre già pensavo avanti.

La segretaria mi indirizzò verso un ufficio a vetri all’interno mi aspettava in piedi un uomo sulla quarantina, aveva uno sguardo rilassato, che fece tranquillizzare anche me.

Era veramente un bell’uomo, sicuramente dal portamento imponente, abbronzato, chiaramente una persona magnetica, ma aveva tutta l’aria di essere una persona estramamente gentile.

“Buongiorno, Spencer giusto?”

“Si, piacere, Kat Spencer”

“Lo sa signorina che la maggior parte dei nostri fornitori si trovano in Olanda?”

“Oh, no non lo sapevo. Ho vissuto lì per un periodo”

“L’ho letto nel suo curriculum, ed onestamente, senza nulla togliere alle sue qualità acquisite a livello accademico, è stato il motivo per cui ho deciso di fissarle questo colloquio.”

La sua schiettezza mi sorprese, ma allo stesso tempo mi iniziavo ad agitare, per lui non ero sufficientemente qualificata.

“Be’ mi fa comunque piacere.”

“Ha dimestichezza con l’olandese?”

“A dire la verità molto poca. Sono certa di aver fatto un buon lavoro di traduzione in Erasmus, dunque non avrei problemi, ma sicuramente non sono un interprete se è ciò che cerca”

“Signorina io cerco un addetta all’ufficio acquisti con dimestichezza del territorio, della cultura, come parlare con loro e intraprendere rapporti via mail. Nessuno dei suoi colleghi purtroppo ha maia vuto modo di vivere lì. Le sto chiedendo se pensa di poter essere utile anche a livello geografico per il mio ufficio.”

“Allora in questo caso mi azzarderei a dire di si. Conosco abbastanza bene i trasporti Olandesi, di come i treni siano sottoposti a blocchi durante il forte vento o durante le glaciazioni. In quei periodi vaglierei sicuramente un approccio via acqua, o addirittura via aereo. Per non parlare di determinate giornate in cui nulla, e dico nulla, sarà trasportabile. Prendono molto sul serio le feste nazionali.”

“Le faremo sapere, lasci pure qui il suo curriculum”

“Okay…”

“Buona giornata”

“Salve”

Non capivo se il colloquio fosse andato bene oppure male. Ero confusa. Mi avviavo verso l’uscita e mi sentivo frastornata. Era positivo? Negativo?

Non sapevo veramente decifrare questo incontro. La cosa positiva era che mi trovavo in centro città ed era quasi l’ora di pranzo. 

 

“Francy?”

“Si pronto, dimmi”

“Sono in centro. Hai tempo per pranzare con la tua migliore amica durante il tuo primo giorno di lavoro?”

“Certo. Esco tra 10 minuti. Vediamoci alla fermata della metro, locale all’angolo.”

“Ok, prendo un tavolo per due e ti aspetto dentro.”

“Arrivo”

 

 

“Quindi… Ha detto solo le faremo sapere. Non vorrei scoraggiarti, ma di solito non significa niente di buono...”

“lo so… Adesso non voglio pensarci più. Come sta andando il primo giorno?”

“Frenetico. Sto cercando di assimilare più informazioni possibili ma non è così semplice.”

“Ci credo…”

“Ok Kat. Non voltarti, ma sta entrando una persona”

“Oh dai ti prego! Di chi stiamo parlando?”

“Di un bel problema amica mia”

 

Non potevo resistere, volevo a tutti i costi voltarmi per capire di che diamine stesse parlando Francy,  ma non fu necessario, perchè si trovava già sotto la portata del mio sguardo e non potevo veramente credere ai miei occhi. La mia amica mi guardava ansiosa, in attesa di una mia reazione, ma la realtà era che non avevo una reazione, non ero psicologicamente pronta a reagire. Ero senza parole e mi si stava accartocciando lo stomaco, l’intestino, tutte le viscere e inaspettatamente il mio corpo si mosse da solo in direzione della sala, sentivo solo i miei tacchi picchiettare sul pavimento e tutto il resto sembrava scomparire, ofuscato dalle mie emozioni mentre lo vedevo accomodarsi al tavolo, sorridere, fino a che non si accorse che ero in piedi come un emerita cretina davanti a lui.

 

“Ciao”

“Ciao Kat”


 

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Capitolo 5
*** Chapter four ***


Chapter four
It's all about destiny
 

“Ti trovo bene” 

Mi trovava bene? Era da quel lontano luglio che non rispondevo a nessuna sua telefonata o messaggio e lui mi trovava bene?

“Anche io” risposi sorridendo.

Che falsa. Complimenti Kat! Hai vinto l’oscar come migliore attrice per questa interpretazione.

“Che ci fai da queste parti?” aveva alzato lo sguardo su di me, anche se sembrava mi stesse facendo una radiografia molto accurata. 

Era diverso tempo che non mi specchiavo nei suoi occhi, e trovarlo lì di fronte a me, bellissimo, perchè oggettivamente rimaneva bellissimo, mi stava riportando alla mente pensieri lontani che credevo di aver chiuso a chiave in un cassetto. 

Solo in quel momento mi acccorsi che non era solo al tavolo. Con lui c’era una donna bellissima, direi nostra coetanea, capelli corti biondi del colore del grano, e due bellissimi occhi verdi.

Certo, non era quel maledetto verde a cui ero abituata un tempo, ma erano comunque graziosi.

“Avevo un colloquio di lavoro qui vicino, in un azienda. Tu?”

“Lavoro in zona, pranzo spesso qui” 

“Buono a sapersi”

“Così puoi evitare di venirci?” Tagliente. Era ufficialmente arrabbiato con me, probabilmente perchè ero sparita, ma che grandissima faccia tosta che aveva.

“Che ragazzo simpatico” la voce proveniva dalla donna in sua compagnia che continuava a parlare sorridendomi “Piacere, Grace.”

“Piacere mio, che maleducata, sono Kat” le risposi sforzandomi di sorridere e stringendole la mano.

“Allora, è da molto che vi conoscete?” continuava Grace con aria innocente, ma non feci in tempo a rispondere che lui a prese la parola:

 “Ci conosciamo dai tempi del liceo eravamo amici, ma poi abbiamo perso i contatti.”

Come prego?!

Non eravamo mai stati amici, tanto per cominciare ed il nostro rapporto non era riducibile ad una sistesi del genere, ma come sempre Luke Piterson si dimostrava il gran coglione che era.

“Già. E’ stato un piacere conoscerti Grace, torno al mio pranzo. Ciao Luke è bello vedere che non sei cambiato affatto.”

Lo stavo trafiggendo con lo sguardo, in quella occhiata avevo racchiuso tutto il mio risentimento che avevo nei suoi confronti. Non potevo crederci, non volevo crederci. Come poteva farmi questo?

 

 

Francy mi guardava con una faccia che un mix tra preoccupazione ed incredulità, presi posto e con tutta la forza del mondo presi in mano il menù nel tentativo di decidere cosa mangiare, anche se la mia fame si era ridotta a zero e sinceramente non sapevo nemmeno io cosa stavo provando il quel preciso momento. Il mio stomaco si era chiuso nel momento in cui lui aveva varcato la soglia di quel maledetto bistrot e sembrava veramente che il destino volesse prendersi gioco di me ancora una volta. 

Sentivo lo sguardo della mia amica su di me ma non aveva avuto la forza di chiedermi nulla, non in quel momento. Ordinò lei anche per me, due semplici panini, mentre in fondo alla sala Grace e Luke ridevano, sembrava che la mia presenza non scalfisse in nessun modo il suo pranzo, e mi sarebbe tanto piaciuto saper provare la sua stessa indifferenza. 

Ma credo che questo sia stato il problema fin dall’inizio di tutta questa storia.

 

Dopo aver salutato Francy, e soprattutto averle assicurato che sarei tornata a casa, tranquilla e serena, senza fare idiozie, non lo avrei mai fatto nè per Luke nè per nessun altro coglione, mi trovai in uno strano stato di trance. Mi ero quasi dimenticata del mio colloquio, del primo giorno di lavoro della mia amica e di tutto quello che era successo prima di quel dananto pranzo.

Non potevo dargli questo potere, non di nuovo. 

Continuavo a ripeterlmelo durante il viaggio verso casa, sperando di poterci riuscire. Appena varcata la soglia, il mio telefono cominciò a squillare come un pazzo: Emma. Che sicuramente era stata aggiornata da Francy e che indubbiamente voleva sapere come stessi.

“Pronto”

“Cosa diamine ci faceva lì quel coglione”

“E’ una domanda?”

“Cazzo Kat, come stai’”

“Sto bene” Bugiarda. “Ho metabolizzato” Falsissima.

“Sei sicura?”

“Certo!” Kat, vergognati.

“Lo sai che non ti crede nessuno, vero?”

“Fareste meglio a credermi, entrambe. Ok è stato un colpo, ma è passato del tempo, ho metabolizzato ed ora mi interessa solo sapere come è andato il colloquio, tutto qui. Così posso pensare a prendermi un appartamento più vicino a lavoro.” Ok, forse la seconda parte era vera.

“Ok...Mi arrendo. Fammi sapere”

“Tranquilla Emma, davvero.”

“Ci vediamo domani sera ok? Tutte e tre.”

“Va bene, a domani”

“Ciao Kat”

 

Avevo bisogno di distrarmi.



 

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Capitolo 6
*** Chapter five ***


Chapter five
Self control
 

Fare un bagno caldo era sempre la soluzione quando si trattava di dover distendere i nervi, avevo spento tutte le luci, acceso le candele, me ne stavo a mollo da un’ora ma continuavo a pensare a quella giornata, al colloquio, ma soprattutto a lui.

Come sempre il destino aveva un grandissimo senso dell’umorismo, continuava a metterlo sulla mia strada.

Il suo atteggiamento poi, mi aveva irritato più di ogni altra cosa: era vero che dopo quell’estate io non lo avevo più cercato, ma se ero arrivata a quel punto era solo colpa sua. Non era mai stato capace di spiegarmi cosa provasse per me ed ero arrivata alla conclusione che alla fine non ero nient’altro che un passatempo. Ma in tutti quegli anni passati a rincorrermi, per me motivi a me sconosciuti visto che aveva una ragazza da cui tornare, non era mai accaduto nulla fatta eccezione per quella notte: dunque che tipo di passatempo ero?

Perchè se nemmeno si trattava di andare a letto insieme, di che diamine si trattava?

Proprio non sapevo darmi una risposta in merito, eravamo grandi adesso, quindi bisognava necessariamente mettere un punto a tutta questa storia, soprattutto se dovevamo incontrarci spesso visto il lavoro...Il lavoro!

Non avevo ricevuto risposta dal mio colloquio e già mi angosciavo sul fatto di dover vedere Luke spesso a pranzo, mi stavo come sempre fasciando la testa prima di romperla.

 

Ero arrivata a controllare le e-mail ogni cinque minuti in attesa di una risposta. Avere quel posto di lavoro significava finalmente andare a vivere da sola, indipendenza assoluta. Francy aveva appena ottenuto il posto che tanto desiderava, Emma già lavorava da tempo, dunque mancavo solo io.

Senza rendermene conto ero sprofondata tra le braccia di morfeo con ancora il cellulare il mano.

 

 

A svegliarmi era stato il rumore di una notifica del cellulare, mi ero alzata controvoglia visto il clima invernale, ma con immensa fatica mi ero trascinata in cucina per fare colazione.

Solo quando il caffè sarebbe stato pronto, versato nella sua tazza e bevuto dalla sottoscritta la giornata avrebbe effettivamente avuto inizio e sarei partita dalla notifica del telefono.

Si trattava di una e-mail. Dall’azienda. L’esito del mio colloquio. 

Improvvisamente cominciò a battermi forte il cuore, forse grazie al caffè, ma comunque ero agitata.

“In seguito al suo colloquio tenutosi il 7 gennaio…”

 

Il mio cuore perse un battito.

Un lampo aveva attraversato la mia mente. 

 

Guardavo la data sull’iphoje incredula: 8 gennaio 

Quindi ieri era il 7, avevo incontrato Luke e per la prima volta mi ero dimenticata che giorno fosse. Il suo compleanno. La data che dopo il mio compleanno(rovinata da lui), quella dei miei genitori, di Francy ed Emma (ovviamente) ricordavo meglio di tutte.

Dopo tutti quegli anni ad attendere, con ansia il suo compleanno per sentirlo, dove si sfociava sempre in un incontro clandestino, mi ero dimenticata.

Il che poteva anche essere un bene, se solo non lo avessi incontrato. Ed ero quasi sicura che la mia dimenticanza dipendeva solamente dal colloquio che mi aveva agitato per tutta la mattina.

Adesso si spiegava il suo atteggiamento restio e scontroso di ieri: non rispondevo ad una sua chiamata o messaggio da quell’estate maledetta dove ciò che non doveva accadere era purtroppo accaduto e non avevo la più pallida idea di come quell’episodio aveva avuto ripercussioni sulla sua vita, sulla sua relazione. 

Ma avevo ben presente invece gli effetti devastanti che aveva avuto su di me.

tuttavia, mi sentivo improvvisamente in colpa, come se l’essermene dimenticata aveva dimostrato indifferenza, unita a nessun segnale da parte mia…

Ma cosa stavo dicendo?

Mi stavo colpevolizzando davvero dopo tutto il dolore che mi aveva fatto provare? Dopo essermi innamorata così perdutamente della persona chiaramente sbagliata per me, ma che mi aveva dato allo stesso tempo così tanto, quanto mai nessuno in vita mia nel doppio del tempo. 

Tuttavia il mio cervello evidentemente non era bel collegato con il resto del corpo, perchè mentre io mi ripetevo quanto Luke fosse stato uno sbaglio, anzi, lo sbaglio, le mie dita digitavano un messaggio di testo a quella testa vuota: “Scusa per il ritardo. Auguri di Buon compleanno.”

 

Ero decisamente una cretina.

Sopratutto perchè non ci fu nessuna risposta per tutto il giorno.

 

 

Sentivo un rumore in lontananza, inizialmente quasi impercettibile, aumentava gradualmente intervallato da secondi di silenzio, sembrava quasi un brusio, una vibrazione… Un cellulare forse?

E perchè mai dovevo sognare la vibrazione di un telefono?

Avevo aperto gli occhi di scatto per scoprire che si trattava effettivamente di una vibrazione, ma era reale: il mio cellulare stava vibrando. Alle 2 di notte. Una chiamata in entrata.

 

Quando lessi il nome non potevo crederci: Luke

 

“Pronto?”

 Non avevo esitato questa volta. Negli ultimi anni i suoi tentativi di raggiungermi erano sempre stati ad orari “normali”, per chiamarmi alle due del mattino di un giorno lavorativo doveva esserci una motivazione plausibile.

 

“Kat” la sua voce era bassa, roca e direi sbiascicante, ma era arrivata essattamente dove non doveva arrivare.

“Hai bevuto”

“Si, è il mio compleanno” 

“Non è più il tuo compleanno, sono le due passate”

“Non fare la puntigliosa, scendi per favore”

“Come?”

“Sono qui sotto, scendi.”


 

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Capitolo 7
*** Chapter six ***


Chapter six
Weird nights
 

Aveva riattaccato. 

Mi ronzavano in testa talmente tante domande che non riuscivo a ragionare lucidamente. Non sapevo cosa fare, ero seduta nel letto indecisa su come muovermi. Cosa fare?

Se fossi scesa, cosa sarebbe accaduto? Cosa ci faceva qui, perchè mi stava facendo questo ancora. Avevo commesso un grave errore a fargli auguri, era stato controproducente perchè ora sotto la fottuta finestra di casa mia c’era il ragazzo di cui ero stupidamente ma altrettanto profondamente innamorata a cui non avevo mai avuto il coraggio di confessarlo. 

Brava Kat. 

Decisi comunque di scendere, mi infilai una tuta e una felpa velocemente, un paio di scarpe da tennis ed il giubbotto.

La mia faccia era ancora segnata dal sonno, ma i miei occhi erano sveglissimi, dopo aver lavato la faccia scesi.

Lui era lì, nella sua macchina e c’erano forse 2 gradi ma era in camicia. Si sarebbe preso sicuramente una polmonite. 

Mi stavo avvicinando lentamente, intimorita da qualsiasi suo movimento. 

I suoi occhi avevano incontrato i miei e una serie infinita di flashback mi tornarono in mente pugnalandomi il cuore. 

Una volta entrata nell’abitacolo un senso di calore mi avvolse, Luke guardava un po’ me un po’ fuori, lo sguardo era chiaramente poco lucido e spento, difficile avere a che fare con lui in quelle condizioni.

 

“Come ci sei arrivato qui in questo stato?”

 

La domanda mi era morta in gola, ero incapace di produrre qualsiasi suono. Non sapevo cosa dire, ero letterlamente invasa dalle emozioni, l’ultima volta che ci eravamo visti eravamo uno dentro l’altra ed era passato del tempo ma, non si può scappare da ciò che si ha dentro. Troverà comunque il modo di raggiungerti, schiaffeggiarti e rimetterti al tappeto.

 

“Be’ non dici niente?”

 

Luke mi stava guardando, non riuscivo ad interpretare la sua faccia, era effettivamente anche un po’ buffo.

 

“Ti prenderai una polmonite”

Ero riuscita ad emettere dei suoi senza strozzarmi con le mie stesse emozioni.

“No, fa così caldo qui dentro, mi domando come tu tenga quel coso… Puoi togliertelo, non ti salterò addosso, non sono qui per questo”

“Perchè sei qui?”

“Mi hai fatto gli auguri, volevo ringraziarti di persona… e finito il compleanno sono venuto qui. Dopo tutto tu… Sei sparita dopo quella notte ed io non ho mai saputo il perchè, ma adesso sono troppo sbronzo per parlarne.”

“Non c’è niente da dire in merito”

Perchè mi sentivo così ferita dopo la sua ultima frase?

“Credo che tu debba tornare a casa, riesci a guidare?”

“Credo di si”

“Allora ciao.”

Senza guardarlo scesi velocemente dalla macchina, volevo andarmene a tutti i costi, non stavo reggendo il carico emotivo che quell’incontro stava risvegliando, volevo casa mia, il mio letto e continuare a fare finta che lui non era mai esistito.

 

Tuttavia, mi ero bloccata volevo vedere se era effettivamente in grado di guidare, e ci volle molto poco per avere una risposta, stava sbandando a destra e sinistra. D’istinto corsi verso la sua macchina, che non so come era riuscita a fare una frenata decente.

 

“Spostati”

“Cosa stai dicendo Kat”

“Luke. Spostati. Ti porto a casa”

“E resti con me?”

“Non diciamo cazzate. Torno a casa mia con la tua macchina, domani quando sarai lucido la verrai a riprendere”

 

Luke rotolò verso il sedile del passeggero, sembrava più triste che ubriaco ma forse era solamente la mia impressione, gli stavo attribuendo le mie sensazioni ma sapevo che era solamente sbronzo e probabilmente anche stanco.

Infatti non tardò ad addormentarsi come un bambino mentre guidavo verso casa sua. 

Di tanto in tanto il mio sguardo si posava su di lui, sulla camicia tutta stropicciata, forse la stessa che aveva avuto a lavoro tutto il giorno, insieme ai pantaloni stretti da completo ormai sgualciti. Mi venne da sorridere mentre lo paragonavo al ragazzino che frequentava con me la scuola, il ragazzo devoto alla sua fidanzata che aveva reso il mio ultimo di liceo un’altalena, anzi, un tornado di emozioni.

 

“Siamo arrivati, Luke svegliati”

“mmmh”

“Dai alzati, muoviti”

“Aiutami…”

 

Porca puttana Luke.

Mi ero alzata e mi trovavo ad aprire la sua portiera, lo avevo afferrato per le braccia, ma era davvero impossibile per me sollevarlo.

 

“Che ne dici di collaborare?”

 

Luke tentò di spingersi ma il risultato che aveva ottenuto era avermi spalmata su di lui dentro all’abitacolo.

Il mio stomaco faceva le capriole e mi contorceva dalle emozioni.

Kat, non ti ci mettere anche tu.

Avevo il naso nell’incavo del suo collo e potevo sentire il suo profume pungermi le narici, mi mancava quel profumo, mi mancava sentirlo addosso come lo avevo sentito tutta la sera l’ultima volta che ci eravamo visti. 

Uno sforzo sovraumano mi fece rialzare pronta ad un nuovo tentativo, questa volta Luke era più collaborativo ed ero riusicta quanto meno a farlo alzare dalla macchina. 

“Le chiavi...” 

“Dove sono le chiavi Luke?”

“Giacca… dietro”

“Ok. Adesso tu ti appoggi qui e starai in piedi altrimenti mi arrabbierò molto, ok?”

Sembrava avermi ascoltata in quanto era appoggiato goffamente alla macchina, come se volesse spostarla.

Avevo recuperato giacca e chiavi, mi diressi verso il cancello per aprirlo,e stavo tornando indietro a prendere quel peso morto, meraviglioso, ma comunque un peso morto.

 

Non so come eravamo arrivati davanti alla porta del suo appartamento, mi chiesi come avrei fatto a non svegliare i suoi genitori, a non fare confusione con lui sbronzo che a malapena si reggeva in piedi. Ci muovevamo nel buio di casa sua, anzi, mi muovevo trascinando lui nel buio di casa sua, ma non sembrava esserci traccia dei suoi, stranamente. Una volta errivati in camera sua si era lanciato da solo sul letto mentre io riprendevo fiato.

 

“Kat…Aiutami”

 

Era sdraiato sul letto malamente, mentre cercava senza successo di sfilarsi i pantaloni. 

Cosa mi tocca fare.

Dovevo pure spogliarlo. 

Ed anche in questo non fu per niente collaborativo, ormai era mezzo addormentato.

Avevo trovato sul cuscino un paio di pantaloni di cotone, sembrava effettivamente un pigiama, dunque glieli avevo infilati… più o meno.

Nel frattempo, mi ero tolta il giubbotto dal caldo che faceva e cercavo di togliergli anche la camicia, ma fu un impresa impossibile.

 

“Basta mi arrendo Luke, dormi così”

“Kat…”

 

Si era girato verso di me afferrandomi per il lembo della maglietta, con gli occhi socchiusi, mi faceva sorridere vederlo conciato in questo modo, con la camicia mezza aperta ed i pantaloni del pigiama, ma aveva comunque il suo fascino anche così.

 

“Dimmi”

“Resta qui”

“Non credo sia una buona idea”

“Resta…”

Mi stava pregando di restare. Perchè?

Sospirai rumorosamente. Lo spinsi con forza verso l’altro lato del letto, mi trovavo sdraiata a fianco a Luke, dopo averlo ignorato, cancellato con ogni forza dalla mia testa, dopo averlo incontrato in quel bistrot con quella ragazza bellissima.

Mi trovavo ancora lì.

Nel mentre delle mie riflessioni, Luke era sprofondato in un sonno profondo, potevo sentire il suo respriro regolare, che iniziava a cullare anche me tra le braccia di morfeo, mentre era ancora aggrappato alla mia maglietta con la mano.












ciao a tutti!
So che è un casino ed è sbagliato, ma vi preeego abbiate fede, prima o poi prenderà la strada giusta.
ps. datemi feedback o impazzirò. Vi vedo che leggete. Vi vedo tutti.
Steph

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Capitolo 8
*** Chapter seven ***


Chapter seven
Apathy
 

Non avevo chiuso occhio tutta la notte, ero stata tutto il tempo a contemplare il soffitto in attesa che morfeo prendesse anche me, ma non accadde. Quella sera, quel susseguirsi di eventi uno dietro l’altro non avevano fatto altro che farmi tornare forzatamente indietro nel tempo senza che potessi in qualche modo sfuggirvi, eppure non avevo sentito niente. Nulla. Non provavo più gli stessi sentimenti e ne ero coscienzìte, tuttavia in qualche modo dovevo fare in modo di allontanare l’esistenza di Luke, Val e tutto quello che era stato perchè fottutamente tossico per me. Ed ora finalmente potevo vederlo. 

 

Probabilmente più avanti avrei anche realizzato che non era amore quello, ma ancora non mi era possibile dirlo.

Luke stava ancora dormendo rumorosamente, non si sarebbe svegliato prima di un bel pezzo.

Dunque la decisione più saggia era quella di evadere e prendere il primo treno del mattino per tornare a casa.

 

Sul treno mi trovavo a pensare alla serata appena trascorsa, mi sembrava solo un sogno o un incubo, proprio mentre pensavo a come definirlo, il mio telefono mi distrasse.

 

“Pronto?”

“Sig.na Kat Spencer?”

“Si, sono io.”

“Salve, la contatto perchè ieri abbiamo inoltrato un risposta a tutti i candidati relativa all’offerta di lavoro presso la nostra azienda.”

“Si…”

 

Cazzo. Non avevo risposto e nemmeno guardato l’esito di quella mail.

 

“Sisi, mi dica…”

“Si la chiamo per confermare, non avendo ricevuto risposta da parte sua, come da mail che oggi alle 12, comincia la prima settimana di formazione.”

“Oh sisi, confermo la mia presenza senz’altro, anzi scusi se non le ho risposto.”

“Non c’è problema, a più tardi.”

 

Mi avevano presa.

Potevo finalmente ambire a quell’indipendenza che tanto volevo.

Mi avevano presa!

 

Dovevo chiamare Francy e Emma.

 

Ma prima dovevo assolutamente farmi una doccia e prepararmi per la giornata che mi attendeva.





 

Ero arrivata in ancitipo, miracolosamente, al primo giorno di formazione. Avevo scelto nuovamente un colore sgargiante per questa occasione, in modo da farmi riconoscere, come sempre.

Il tutto si sarebbe svolto nello stesso palazzo dove avevo fatto il colloquio con quell’uomo tanto affascinante quanto misterioso.

Chissà se ci sarebbe stato anche lui.

Eravamo solo in tre, una ragazza, con i capelli corvini, magra e vestita in modo decisamente più sobrio di me, e un ragazzo, biondo occhi chiari, dal viso abbastanza simpatico, ma comunque con la classica espressione sono-bello-so-di-esserlo.

Decisamente non il mio genere.

 

Ci scortarono gentilmente al primo piano dell’edificio, dove in una stanza dalle pareti vetrate, avevano sistemato sopra a dei lunghi tavoli, tre quaderni e penne con logo aziendale, al centro del tavolo avevano posizionato dell’acqua e sullo schermo erano pronte delle presentazioni.

 

Ero agitata e non sapevo bene cosa aspettarmi da quella settimana di formazione che avevano menzionato al telefono. Con l’adrenalina così alle stelle, la stanchezza dovuta alla notte precedente non si era ancora fatta sentire. 

Ma sapevo che prima  o poi avrei dovuto farci i conti. Avevo bisogno di un caffè.

 

“Prendiamo un caffè prima di cominciare?”

sono-bello-so-di-esserlo mi aveva letto nel pensiero.

“Si, assolutamente si.”

 

Feci per distogliere lo sguardo dal mio nuovo collega, quando persi un attimo il contatto con la realtà. Che diamine. Avevo la pressione sottoterra ed iniziavo a sentirmi fluttuare.

 

“Ci vuoi lo zucchero?”

 

La voce risultava ovattata alle mie orecchie, come se io mi stessi allontanando dal mio corpo.

E di colpo buio.


 

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Capitolo 9
*** Chapter eight ***


Chapter eight
One last time

Quella era l’ultima volta che Luke interferiva con i miei tentativi di vivere una vita normale, senza la sua presenza ormai scomoda che mi rendeva apatica, scontrosa e impacciata nei confronti degli altri.

Come gli avevo potuto permettere tutto questo controllo?

Come avevo reso possibile che occupasse i miei pensieri, almeno una volta ogni giorno che mi si presentava davanti?

Come era riuscita, una relazione così a metà a diventare così prepotente a livello mentale?

 

non avrei mai avuto una risposta a queste domande, ma sicuramente la consapevolezza aveva reso possibile che la mia dignità venisse sempre fuori, senza rendermi mai quantomeno ridicola e patetica.

Vorrei poter dire lo stesso di lui.

 

Qualcuno doveva continuare a fare la persona matura, e quel qualcuno sarei sempre stata io.

Semplicemente perchè lui è sempre stato più forte di me, ma solo perchè il mio sentimento era maggiore e quindi io più vulnerabile. A conti fatti, quella difficile da smussare, da scalfire con l’orgolio invalicabile ero sempre stata io.

 

E questo era sempre stato un “contro” nella sua scelta tanto decantata tra me e Val.

Be’ adesso sarebbe stato un bellissimo “pro” per strapparmi una vita al di fuori da questo vortice impetuoso.


Quando aprii gli occhi mi trovavo su una delle poltroncine di quella che sembrava essere una sala riunioni. Le tendinde davanti ai vetri erano state chiuse, ma potevo comunque scrutare l’esterno. sul tavolo di fronte a me c’era un bicchiere, sembrava contenere del the caldo.

cercai di muovermi e sentii che la camicia mi si era tutta appicciacata alla schiena per il sudore.

Diamine, quanto tempo ero stata svenuta?

 

Mi feci forza e bevvi tutto il the, era dolcissimo, avevano caricato di zucchero. Non appena entrò in circolo, sentii riprendere le forze e piano piano la realtà mi precipitò addosso.

Ero svenuta. Il primo giorno di lavoro. Durante il primo giorno di formazione.

 

Ed era tutta colpa di Luke.

Mi correggo, era tutta colpa mia che lo aiutavo togliendo spazio a me.

 

Brava Kat! Ottimo inizio.

 

Timidamente cercai di alzarmi, le gambe sembravano tenere, dunque uscii da quella stanza alla ricerca dell’aula di formazione, di fronte a me si presentava un corridoio parecchio lungo, il che era strano perchè dove ero stata era un grande oper space.

Iniziai a percorrerlo, immaginando che prima o poi avrei trovato qualcuno.

 

Una figura mi apparva dall’altro lato, era l’uomo con cui avevo fatto il colloquio. Riuscì ad incontrare il suo sguardo, sembrava oltremodo sorpreso di vedermi.

 

“Sig.na... Spencer, giusto?” 

“Si, sono io”

“Sembra essersi ripresa.”

“Si..”

Dunque, come sapeva che ero svenuta?

“Bene. Questo è il piano della dirigenza, si è svegliata in quella che è la sala riunioni confinante con il mio ufficio, dove di solito tengo i meeting. La formazione si sta svolgendo nel seminterrato, quattro piani più giù, in fondo a questo corridoio trova l’ascensore.”

“La ringrazio…”

“Sig. Smirnov”

“Grazie Sig. Sminrov, è slavo?”

“Si. Buona formazione sig.na Spencer, mi raccomando, non mi faccia pentire di averla scelta”

 

Quella frase mi arrivò dritta come un fuso e mi fece sussultare. Una freccia nella mia apatia.  Almeno un pochino.

 

Arrivai come designato al seminterrato e trovai i miei colleghi/rivali intenti a seguire il corso di una presentazione power point, furono carini nel farmi un breve riepilogo domandandomi se ora mi sentissi meglio.

Ed effettivamente era così.


 

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Capitolo 10
*** Chapter nine ***


Chapter nine
Me, myself and I

La restante parte del corso scivolò veloce sulle procedure interne all’azienda, a quanto pare mi ero solo persa la presentazione carica di ego dell’assistente del CEO, importante ma non fondamentale.

Avevo captato che era un’azienza abbastanza dinamica, che avrebbe sicuramente risposto alla mia richiesta mentale di flessibilità, da entrambe le parti.

Lavoro in ufficio, lavoro da casa, lavoro da iPhone. Bastava che si lavorarava, importa il fine, ed era la mia filosofia.

Dovevo ancora raccontare alle mie amiche quanto era accaduto ieri, preparndomi psicologicamente ad essere insultata nuovamente per essere stata incapace di dire di no.

Luke non si era fatto vivo, il che era un sollievo, più mi stava lontano e più riuscivo a non pensarci. 

Almeno un po’. 


Erano le 18 passate, la città era già buia vista la stagione ed io ero solo un puntino in mezzo alla massa di gente che si accalcava per tornare a casa in metropolitana. Sul gruppo condiviso con le mie amiche, Francy ed Emma, stavano già domandando a che-dove-come ci saremmo incontrate.

Mi piaceva fare avanti indietro sulla banchina della metro mentre aspettavo il suo arrivo, per poi posizionarmi sempre o all’inizio o alla fine del mezzo. 

Una figura colpì la mia attenzione sul lato opposto, era il sig. Smirnov, stava lì, con il suo completo elegante, la 24h decisamente sportiva, continuando a guardare l’orologio e poi l’iPhone.

Probabilmente stava aspettando qualcuno.

Il suo treno andava nella direzione esattamente opposta alla mia, ad un certo punto una figura femminile lo raggiunse, era una donna, sulla trentina, forse erano coetanei, dai capelli scuri. A differenza sua aveva dei vestiti piuttosto informali, ma portava comunque i tacchi. Lei gli sorrise, lui abbozzò un saluto e si diresse subito in direzione del treno.

Nessun bacio, nessun contatto fisico. Forse era sua sorella.

Lei lo raggiunse aumentando il passo per poi prendergli il braccio, lui non si oppose, ma non rispose con la stessa enfasi al contatto.

Scomparvero sotto i miei occhi salendo sul primo vagone davanti a loro, quando Smirnov alzò lo sguardò si accorse di me.

Distolsi subito il mio, guardando con troppo interesse il tabellone degli orari.

Sapevo che ero arrossita, ma da quella distanza non poteva averlo visto. Ma sicuramente ero comunque riuscita a rendermi ridicola di nuovo davanti ai suoi occhi.

Dopotutto il suo parere mi importava perchè era il mi capo, mica per altri motivi, giusto?

 

Mentre cercavo di dare una risposta a quella domanda, Emma iniziò a chiamarmi sul cellulare.

“Pronto”

“Hey, tutto ok? sei scomparsa ieri sera e stanotte! cosa è successo? stai bene? Non dirmi che centra Luke, ti prego.”

Per un attimo mi ero dimenticata del giorno prima.

“Si centra, ma non è successo niente di rilevante, te lo assicuro.”

“Non è necessario che accada qualcosa di rilevante. L’importante è che anche il niente con lui abbia smesso di avere rilevanza per te.”

“Si. lo so. Comunque niente, stasera vi racconto.”

“Va bene, vediamoci al pub ok? alle 21.”

Quella sera il pub aveva un atmosfera carica, c’erano persone, sorrisi, musica. Si stava veramente bene.

Eravamo sedute al nostro solito tavolo, intente a bere una birra, mentre io cercavo il coraggio di raccontare loro quando accaduto nelle ultime 48 ore, con scarsi risultati.

Non che avessi paura del loro giudizio, non mi avrebbero giudicata male, semplicemente si sarebbero preoccupate, avrebbero tratto conclusioni che nell’effettivo non c’erano. 

Sicuramente Luke era stato tanto per me, ed ora questo stato di inconsistenza era parecchio difficile a parole ed ancora di più incomprensibile. 

Ero fiera di come avevo gestito la situazione? In parte si. Non avevo fatto nulla di cui mi pentissi, non avevo la più pallida idea di cosa ci facesse sotto casa mia, nè perchè ora.

Perchè mi aveva visto dopo tanto tempo? forse. Ma allora restava comunque lui quello che aveva preso una scelta: non me.

E comunque era chiaro che non era certo di ciò che aveva fatto, oppure molto più semplicemente, quando si tratta di una scelta così complessa, è impossibile non avere qualche rimorso o ripensamento.

Ma anche se fosse uno dei due, non ha fatto nulla per modificare la sua situazione, il che implica soggettivamente che alla fine non è così infelice della scelta fatta.

E allora perchè continuava a tormentarmi?


Mentre annegavo nei miei soliti pensieri, Emma cercava di attirare la mia attenzione.

“quindi Kat? ci vuoi raccontare?”

“cosa?” di colpo nuovamente tutti suoi ed i rumori presenti in quella stanza rincominciarono ad arrivare al mio cervello.

“Del tuo primo giorno di lavoro, no? tutto bene?” entrambe ora mi guardavano con aria interrogativa, e avevo paura che scoprissero cosa in realtà occupava la mia mente.

“E’ stata una giornata difficile. Sono anche svenuta, lasciamo perdere”

“Come sei svenuta? Avevi mangiato?”

“Certo che si, solamente avevo dormito poco e tra stress, sonno e caldo ho ceduto.”

Francy ora mi guardava con un sorisetto malizioso.

“Caldo. A gennaio? Ed inoltre, guarda caso passi la notte in bianco dopo aver incontrato Luke in pausa pranzo con un’altra che non era nemmeno Val?”

 

Eccole. Mi avevano già beccata.

“Si, proprio così. visto che qualcuno ha deciso di sbronzarsi e chiamarmi in piena notte durante una crisi esistenziale delle sue. Ma sicneramente, oltre che metterlo a dormire non è accaduto nulla e volevo solo andarmene da lì.”

“Ne sei certa?” Emma sembrava davvero preoccupata.

“Si che ne sono certa. Più si comporta in questo modo, e più perde valore ai miei occhi. Mi ha lasciata ormai tanto tempo fa, se mai si può dire che siamo stati insieme. E’ stato tutto travagliato, difficile, è tornato con Val dopo averla lasciata per me, e poi sono andata via per mesi. Non parliamo di una scelta che ha fatto qualche settimana fa per cui può concedersi delle riflessioni. Parliamo di una scelta fatta anni fa per cui ancora si tormenta senza avere poi la forza effettiva di combinare qualcosa, dunque, che valore può avere arrivati a questo punto per me? Nessun valore. Semplicemente non posso ignorare qualcuno in difficoltà che mi chiede aiuto. Non qualcuno che un tempo ho amato.”

 

Le ragazze mi guardavano in modo scioccato. Durante tutti questi anni, mai mi era capitato di essere così serafica su quell’argomento, che sempre mi aveva creato più di un problema, facendomi arrovellare di dubbi ogni qualvolta incontravo qualcuno di interessante.

“Kat, l’importante è che per te questo non sia troppo da gestire.” Emma stava cercando di tranquillizzarmi “Se per te lui non ha più valore, proprio per come sei stata in questi mesi, e noi ti abbiamo visto rifiutare più di un ragazzo con l’illusione in testa di voler essere fedele ai tuoi sentimenti, dovresti almeno per un po’, non accogliere qualsiasi sua cristi esistenziale. Anche se lo hai amato.”

 

“Emma, mi stai dando un consiglio che nemmeno tu seguiresti con il tuo uomo del mistero.” risposi sospirando. 

“Ne sono cosciente ma è l’unico modo che hai di accellerare questo processo che hai innescato nella giusta direzione, capisci?”

 

Si, io capivo perfettamente che poteva avere ragione. E ne aveva da vendere, ed era quello che avevo cercato di fare da quella dannata sera dove era successo quello che doveva succedere, aveva fatto schifo, aveva tradito di nuovo Val per colpa mia, e con un mio “si” avevo nuovamente messo in crisi le nostre vite. Di tutti e tre. 

Che diamine.

 

Poi Francy mi diede un briciolo di speranza.

“Ti ha cercata oggi?”

“No”

“Bene, probabilmente è cosciente che sia stata una stronzata dopo questi anni.”

“Si, ne sono convinta anche io.”

 

Sicuramente era consapevole che era una grandissima stronzata, ma questo non lo avrebbe fermato, perchè semplicemente era così per lui. A lui in realtà piaceva comportarsi così per il mero gusto del fare qualcosa di stupido ed impulsivo con l’illusione che gli avrebbe dato tutte le risposte a domande che nemmeno dovrebbe continuare a farsi. Ma vaglielo a spiegare.

“Bene, allora tu continua quello che stavi facendo, continua il tuo silenzio.”

“E’ quello che intendo fare, ora che sto iniziando ad andare avanti e crearmi una vita”


 

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Capitolo 11
*** Chapter ten ***


Chapter ten
The right choice
 

Marzo

 

E fu quello che feci. Per il mese successivo, non fu altro che lavoro-formazione-casa. Fin quando finalmente, il lavoro prese la piega che tanto sognavo e anche Smirnov si era dimostrato un capo paziente, a tratti simpatico, ma severo sugli obiettivi da raggiungere. Quelli che erano i miei rivali, non furono niente di meno che i miei colleghi, parte della squadra, bello-so-di-esserlo si chiamava in realtà Dave, e l’altra ragazza dai capelli neri, si chiamava Tracy.

Lavorare con entrambi risulta essere divertente, Smirnov era piuttosto presente, nonostante avesse diversi uffici da amministrare, cercava di farci imparare il più velocemente possibile, in modo che il nostro piccolo team potesse unirsi agli altri team acquisti nell’open space.

Nel frattempo stavamo in ufficio con lui, ci dedicava buona parte del suo tempo, traducevamo e rendevamo accattivanti qualsiasi proposta di vendita partorita dall’ufficio marketing, in modo che fosse appetibile per questi clienti big della meravigliosa Olanda. 

 

Non avevo ovviamente più sentito Luke, e quell’episodio piano piano svanì dalla mia mente, riuscivo a ridere, scherzare, ci pensavo sempre di meno, anche se ogni tanto mi saltava in mente, per colpa di qualche ricordo che ogni tanto saliva a galla.

Ma diversamente da prima, ricordavo solo le cose belle, per cui mi scappava un sorriso. E forse questo significava tenersi solo il buono, un bel ricordo e andare avanti.

Non ero più tornata in quel Bistrot, scegliendo sempre altri posti dove pranzare in zona. I miei pranzi erano spesso con i miei colleghi, a volte anche con il capo, che si aggiungeva piacevolmente a noi.

Stavo imparando a decifrare Smirnov ed i suoi strani comportamenti, era spesso taciturno, come assorto in un mondo a parte, ma incredibilmente abile nel suo lavoro, avevo molto da imparare da lui.

 

Inoltre, anche volendo, il tempo di rimuginare sul passato era pressochè inesistente. Erano ormai due settimane che uscita dall’ufficio andavo in cerca di appartamenti, a volte con Francy a volte con Emma, per trovare quello che sarebbe diventato il mio posticino. Non avevo trovato ancora quello che consideravo l’appartamento perfetto, ma la visita prevista per la giornata di domani speravo fosse quella buona.

Si trattava di un piccolo bilocale, abbastanza carino, economico e luminoso. Vuoto solo da qualche giorno, ero riuscita a beccarmi il primo appuntamento, quindi forse, sarei riuscita ad accaparrarsi. 

L’affitto era abbastanza economico, mi portava via circa il 40% dello stipendio, ma era il prezzo da pagare per stare in città.

 

“Kat”

 

Smirnov si trovata sul ciglio della porta del suo ufficio, ormai vuoto visto che erano tutti in pausa pranzo.

La sua figura era sempre imponente come la prima volta al colloquio. Gambe lunghe, slanciate, un fisico asciutto ma comunque non esile, risultava sempre un pochino affascinante ai miei occhi. Se ne stava lì appoggiato allo stipite in attesa di una mia risposta, lo potevo vedere anche se avevo gli occhi fissi sul monitor, mentre cercavo di terminare quell’ultimo paragrafo. 

 

“Insomma, vieni a pranzo oppure no?”

 

Alzai finalmente lo sguardo e mi venne istintivamente da sorridere. Era sicuramente una visione piacevole e non potevo fare a meno di immaginarlo nella stessa posa una domenica mattina, in abiti casual con i mano due caffè.

Poi mi ricordai della ragazza della metro e scacciò quel pensiero.

 

Non era proprio il caso di infilarsi in una situazione uguale a quella appena conclusa.

 

“Si arrivo, dove si va?”

 

Sfoderai il mio sorriso migliore acchiappando la borsa prima di raggiungerlo, ora mi trovavo decisamente abbastanza vicino da poter notare quando anche due occhi marroni, per quanto banali, potessero essere così magnetici.

La dovevo smettere subito di fantasticare.

 

Come se mi avesse punto un insetto, oltrepassai la porta passandogli vicino, ignorai il suo sguardo, ignorai il suo profumo, ignorai qualsiasi cosa lo riguardasse pensando solo ed unicamente quando potesse nuocermi mettermi in gioco nuovamente.

 

“Pensavo ad un posto nuovo, fanno una pizza strepitosa”

 

Smirnov aveva uno sguardo interdetto, come se in qualche modo stesse pensando a qualcosa di particolarmente profondo, anche inquieto, insomma, non sembrava essere a suo agio.

 

“Va bene per me! Andiamo”

 

Cercai di tornare ad essere amichevole, forse il mio atteggiamento di prima lo aveva infastidito.

 

 

La piccola pizzeria si trovava in una delle viette accanto all’ufficio, era molto nascosta, ma aveva uno stile grazioso, davvero accattivante. 

Smirnov mi faceva strada, sembrava essersi rilassato un po’, anche la sua camminata sembrava essere meno impostata, più naturale.

Ora che ci facevo caso, era la prima volta che uscivamo a pranzo solo noi due senza Tracy e Dave. 

Si trattava di lavoro, quindi perché mi stavano iniziando a sudare le mani?

 

Ci accomodammo e istintivamente mi prese il cappotto per appenderlo insieme al suo, un gesto naturale non pensato, lo faceva sempre quando si usciva per la pausa, anche con gli altri.

Perchè oggi lo avevo notato?

 

Senza nemmeno rendermene conto, mi trovai a guardare le sue mani, belle, nella media, ma davano comunque l’idea di essere molto forti. Le dita erano affusolate, lunghe ma non troppo, abbastanza curate pur essendo le mani di un uomo.

Probabilmente perchè non faceva un lavoro particolarmente usurante, dopotutto, batteva sulla tastiera esattamente come me, non lavorava in miniera.

Eppure, qualcosa lasciava trasparire che non erano sempre state così, c’era un nonsochè di ruvido come se avessero assaggiato tempi peggiori.

“Kat? Ci sei?”

 

La sua voce mi destò dai pensieri.

Dovevo sembrare una pazza.

 

“Eri in fissa su qualcosa, non so sembravi leggermente pazza con quell’espressione e gli occhi giganti sgranati”

 

Mi aveva appena detto che avevo gli occhi grandi? Cosa era un complimento o un insulto?

 

“Scusa, stavo solo pensando. Come è che conosci questo posto?”

 

Deviai il discorso, non era nè l’uno nè l’altro e dovevo smetterla di arrovellarmi il cervello.

 

“Ci venivo spesso, in pausa pranzo. Poi siete arrivati voi e mi avete trascinato nei peggiori fastfood e annessi della zona. Oggi volevo una cosa buona, niente schifezze”

 

“E tu definisci una cosa buona, quasi sana, la pizza?”

 

“Sicuramente Kat, mi sembra sia cibo più vero paragonato ai tuoi toast o piadine che ci tocca ordinare velocemente in ufficio. Che ne dici?”

 

Il tono della sua voce era più amichevole del solito, o ero io oggi ad avere le visioni su tutto?

 

“Be’, in tanto senza di quelle saremmo morti di fame nell’ultimo mese e mezzo. Quindi non schifarle così tanto…”

 

Non sapevo il suo nome. 

Sapevo solo il suo cognome.

 

“Giusto, non abbiamo mai pranzato da soli e di solito mi chiami sig. Smirnov. Anzi, oggi Kat sei più strana del solito. Sicura di stare bene? Sei non so… in quei giorni?

 

Arrossii fino a sopra la punta del naso. Ma che cavolo stava succedendo?

 

“No, emh, no non sono in quei giorni. Sono solo un po’ imbarazzata, ecco.”

 

Smirnov sorrise, sembrava divertito dal mio imbarazzo. Questo mi fece arrossire ancora di più: che diamine Kat, sembri una ragazzina di sedici anni. Smettila.

 

“Mi chiamo Andrey. Andrey Smirnov. Va meglio? Meno imbarazzo ora? Possiamo decidere cosa mangiare adesso? Inizio ad avere piuttosto fame con questo profumino di pizza nell’aria”

 

Andrey. Era un bel nome, particolare, carino. Mi piaceva.

In quel momento arrivò un cameriere, per le ordinazioni.

 

Vidi Andrey guardarmi come per fare cominciare me, ma tentennai un momento. Di conseguenza ci trovammo a dire contemporaneamente:

 

“per me una margherita con prosciutto crudo!”

 

Andrey mi sorrise. 

Ed io ero già su un altro pianeta.


 

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Capitolo 12
*** Chapter eleven ***


Chapter eleven
Keep calm and fine a Home
 

Mi trovai ad aspettare davanti a quella che sarebbe diventata potenzialmente la mia nuova casa. Il palazzo si trovava a circa 15 minuti a piedi dall’azienda per cui lavoravo, perciò restava in una posizione decisamente centrale, molto comoda per la metropolitana e per girare per negozi.

Sembrava risalire circa agli anni 70, classico palazzo post-bellico senza fronzoli, caratteristici invece dei palazzi storici che adoravo. Ma che decisamente non potevo permettermi.

 

Francy mi aveva assicurato che sarebbe stata il mio terzo e quarto occhio, giusto per vedere se mi sfuggiva qualcosa. 

Finalmente vidi arrivare l’agente immobiliare, e pochi istanti dopo, anche Francy tutta trafelata con il fiatone.

I due si scambiarono e sembrava ci fosse qualcosa di strano.

Passai la visita dell’appartamento a fissare più loro due che la casa un sé.

Sfuggivano l’uno lo sguardo dell’altra, cercando di mantenere un distacco ed una distanza che ovviamente non c’era.

 

L’appartamento lo guardai di sfuggita, era carino, come lo avevo immaginato e tutto sommato potevo ritenere conclusa la mia ricerca. Erano quattro mura messe bene, io l’avrei resa una casa.

A fine giro, proprio mentre l’agente, di cui tra l’altro non ricordavo il nome, stava elogiando la meravigliosa doccia, e davvero era proprio bellina, Francy si concesse di guardarlo con i suoi occhioni verdi e si tradì.

Perchè conoscevo molto bene la mia amica ma soprattutto, l’avevo vista guardare così soltanto un’altra persona : Nick.

 

Il giro si concluse e comunicai all’agente, dopo aver riscoperto che si chiamava Tommy, Tom per gli amici.

Dopo aver smaltito tutte le questioni burocratiche, sperando che la proprietaria mi accettasse come inquilina, mi dedicai ad interrogare Francy. Ero troppo curiosa.

 

“Quindi come lo conosci?”

“Chi?”

“Come chi! l’agente immobiliare! Si vede lontano chilometri che lo conosci, e soprattutto che non ci hai già combinato qualcosa, accadrà presto.”

“Ehm, l’ho beccato qualche tempo fa in pausa pranzo vicino all’ufficio. Mi ha subito attirata e...Siamo arrivati tardi perchè effettivamente eravamo un attimo… appartati ecco.” Francy era visibilmente in imbarazzo, colta con le mani nel sacco proprio.

“Racconta tutto!” Ero troppo entusiasta, volevo sapere ogni cosa.

“Be’ che c’è da raccontare per il momento da quelle pausa pranzo, la mia ora di pausa è diventata 40 minuti di sesso e venti per mangiare quando va male. Quando va bene… Salto il pranzo.”

“Ma adesso non è ora di pranzo.”

“Già beh’ diciamo che abbiamo dato uno strappo alla regola, in realtà dopo aver accompagnato te alla metro, mi ha chiesto di raggiungerlo, vorrebbe bere qualcosa.”

“Mi sembra un'ottima idea, sembra un'evoluzione no, di queste sveltine in pausa pranzo, che ne dici?”

Entrambe scoppiammo a ridere. Ero così contenta che Francy avesse trovato qualcun altro che le piacesse, poteva non essere di nuovo amore, ma era qualcosa, e sicuramente le buone affinità fanno sempre bene, sanano i cuori rotti e… procurano orgasmi, che non è mai male.

“Si, è una bella cosa Kat, ma inizia ovviamente a piacermi sul serio, quindi vorrei sfruttare questa serata per capire cosa vuole, effettivamente, se insomma ci proveremo almeno oppure no.”

“Certo, immaginavo, alla fine non è quasi mai solo sesso, ci si prova ma non si riesce. Siamo fatte così. Fammi sapere come va poi, scappo a casa ora”

 

Vidi Francy tornare indietro e raggiungere l’auto dell’agente immobiliare e sorridergli spensierata.

 

Ecco un giorno ci sarei arrivata anche io, forse a sentirmi di nuovo così.


Arrivata a casa controllai subito le mail. I miei non c’erano per cui avevo del tempo per me, iniziai quindi mandando una mail ad Andrey, spiegandogli che avevo trovato casa e che forse mi sarebbe servito un giorno di ferie per portare lì dentro tutte le mie cose.

La risposta arrivò quasi immediata, e mi sorprese.

 

“Kat. Prenditi anche qualche giorno per sistemare tutto. 
Fammi solo sapere con precisione che giorni starai a casa.
Anzi, se hai bisogno chiama, in firma trovi il mio numero
Ciao
Andrey”


Sinceramente non sapevo cosa dire. Memorizzai meccanicamente il numero sul mio iPhone. Ora dovevo solo sperare che la proprietaria accettasse la mia proposta, ma considerando quanti favori stava facendo Francy a Tom, sentivo un pochino la vittoria in tasca.


 

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Capitolo 13
*** Chapter twelve ***


Chapter twelve
Here we go again
 

Dopo che, non troppo sorpresa, Tom mi aveva comunicato di avere un nuovo appartamento, Francy ed Emma si erano dedicate con me alla preparazione degli scatoloni durante il week end. 

La casa era grossomodo arredata, ma avrei comunque portato alcuni dei mobili della mia stanca e del bagno, in modo da renderla più mia e sentirmi a casa.

Avevamo preparato quasi tutto, ora non ci restava che aspettare il camioncino che avevo dovuto affittare per portare tutta la mia roba nella nuova casa.

Per l’occasione, Francy ed Emma mi avevano fatto qualche regalino da usare nella mia nuova dimora.

Andrey mi aveva concesso fino a mercoledì per sistemare le mie cose, restando sempre disponibile in caso di necessità. Mi era sembrato molto gentile, forse troppo gentile per essere il mio capo, ma sorvolai.

I miei avevano cercato di darmi una mano nel corso del week-end come le mie amiche, ma oggi mi trovato da sola, nel soggiorno di quella che era stata la mia casa per più di vent’anni, con 12 scatoloni più due valigie.

 

Era uno di quei momenti che mai avrei potuto dimenticare, di quelle sensazioni che raramente si dimenticano. Un po’ come il mio esame di maturità, del dolore che provavo in quei giorni, della forza che avevo tirato fuori per camminare a testa alta col cuore spezzato e fare fronte a vedere la persona che amavo, ogni giorno con qualcun altro. Un po’ come quando io e Frederik ci eravamo lasciati, così, con una facilità disarmante, la prova tangibile del fatto che ero io, e solo io, a voler condurre quella relazione. Come quando ero stata con Luke la prima volta, la paura che avevo avuto subito dopo, l’ansia di perderlo costante, il distacco quasi immediato con annesso l’orgoglio per non soffrire… Ecco era uno di quei momenti, quelli indelebili.

 

Mi riportò sul pianeta terra l’arrivo del furgoncino, goffamente presi quante più cose potevo e cercai di scendere le scale velocemente, quasi ammazzandomi. l’autista si offrì di aiutarmi, ma volevo fare tutto da sola.

Sorrise e mi lasciò fare aspettandomi al volante per poi partire verso la città e verso un nuovo inzio.


 

Mi ci volle un infinità di tempo per anche solo aprire e constatare il contenuto di ogni singola scatola. Mi sembrava di impazzire, non capivo come fosse possibile possedere così tante cose e ricordarsene solo la metà. 

Ad un certo punto mi arresi, stanca e sudaticcia sul divano del soggiorno. L’appartamento era al settimo piano, per fortuna con l’ascensore, e godeva di una vista spaziale sul centro. Non era particolarmente rinnovato, manteneva un certo stile vintage, alcuni pezzi erano carini anche se datati. Andava bene così, con quest’aria un po’ rinascimentale che possedevano i pochi mobili che c’erano, a contrasto con i miei, così moderni e puliti, tuttosomatto creavano un ambiente carico di carattere.

Ma sicuramente avrei fatto qualche cambiamento, solo non subito.

Il primo giorno era quasi finito, trasloco fatto: si. Scatoloni svuotati 2 su 12.

Niente male. Potevo ritenermi soddisfatta e rimandare tutto al giorno dopo. Così andai felice a farmi una doccia, nell’unico locale più recente della casa: effettivamente il bagno era stato rinnovato solo cinque anni prima, possedeva uno stile abbastanza senza tempo, lineare pulito, tranne per il lavandino che si vedeva essere un recupero del bagno precedente, era veramente classico, imponente con i suoi piedini oro. Mi strappò un sorriso.

 

Mi sentivo un’altra persona. Con riluttanza, ammassai spingendo gli scatoloni tutti su una parete e mi accocolai sul divano, ripescando un pigiama dalle valigie. Era ora di cena, ma io non avevo ancora avuto modo di pulire la cucina e non avevo la minima intenzione di farlo.

 

Mentre pensavo a cosa ordinare, mi squillò il telefono. Il numero era memorizzato, piuttosto sorpresa, risposi.

 

“Ciao Kat”

“Ciao Andrey, che succede? siete ancora in ufficio è successo qualcosa?”

“No, no solo volevo chiederti conferma, stai quindi nella terza parallela dal nostro ufficio?”

“Si, perchè? che succede?”

“Apri”

 

Mi fece sussultare. Il mio capo, l’uomo affascinante che mi aveva affascinato dal primo giorno che avevo visto salire in metro con una donna, che doveva essere la sua fidanzata anche se non sembrava gradire la sua compagnia, era sotto casa mia, alle otto di sera di un lunedì.

 

“Kat sei ancora lì?”

“Si, apro subito. Ti avviso, sono in abiti casual”

“Non avevo dubbi, sei a casa. Dai apri, che ho la cena”

 

Aveva la cena.

Stavamo cenando insieme a casa mia.

Mi si chiuse lo stomaco.

 


 

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Capitolo 14
*** Chapter thirteen ***


Chapter thirteen
I can't afford it
 

Pochi secondi dopo la telefonata del mio capo, il campanello della mia nuova casa suonò e mi ritrovai a specchiarmi, constatando che avevo ancora i capelli umidi, ero struccata ed in tuta. 

Perché ero così nervosa?

Mi diedi una sistemata veloce mentre potevo sentire chiaramente i suoi passi farsi sempre più vicini.

Kat, vuole solo essere gentile. Non. Significa. Niente.

 

Quando aprì la porta davanti a me la figura di Audrey aveva qualcosa di decisamente diverso dal solito: era anche lui in abiti casual, un paio di jeans e una t-shirt, i suoi capelli scuri, sempre ordinati e corti, la mandibola squadrata, il sorrisetto sghembo, la sua caratteristica più originale quell’espressione che aveva sempre stampata in faccia mista malizia, superbia ed a tratti smarrimento interiore.

Si, Andrey Smirnov aveva tutte le carte in regola per piacermi.

No, non avrei approfondito questo argomento.

 

“Ciao Kat, allora posso entrare? Sono passato per vedere se avevi bisogno di aiuto e ho portato dei viveri.”

“Ciao, sì certo vieni pure… Scusa il disastro. Sono riuscita a fare quello che potevo.”

 

Mi passò a fianco ed il suo profumo mi invase le narici. Era tutto troppo intimo per me. 

Ma dopotutto era il mio capo, c’era una grossa probabilità che fosse qui davvero solo per aiutarmi ed essere gentile visto che lavoravamo insieme tutti i giorni da qualche mese.

 

“Ho portato del cinese. Schifezze che sicuramente ti piacciono” disse lui alludendo al pranzo della settimana precedente.

 

“Dammi qua” 

Mi avvicinai per acchiappare i sacchetti e le nostre mani si sfiorarono per un millesimo di secondo. Sentì il mio corpo invadermi di una scarica elettrica. Cercai un evasione andando in cucina, accingendomi con tutta la nonchalance di cui ero capace a mettere il cibo in un paio di piatti puliti.

 

“Ci toccherà mangiare sul divano. Non ho ancora sistemato tavolo e sedie… Ma la tv era già collegata, se ti va.”

“Si certo. Hai già internet?”

“Si era già attivo, sto aspettando la voltura, ma possiamo guardare qualcosa. Ho già dato nell'anticipo della casa la bolletta internet di questo mese, anche se non sarà ancora intestata a me.”

“Perfetto. Dai scegliamo qualcosa.”

 

Passai un piatto ad Andrey insieme al bicchiere, lui si sistemò sul mio divano come se fosse il gesto più naturale ed usuale del mondo. 

Stranamente, iniziavo a sentirmi a mio agio, mi accoccolai anche io sul divano con le gambe incrociate ed il piatto sopra esse.

 

“Che ne pensi di questo film?” 

Andrey aveva scelto un film comico, un classico.

 

“Vuoi davvero farmi vedere tutti pazzi per Mary?”

“Si dai, è un classico, mentre si mangia ci sta.”

“E va bene. Vai.”

 

Andrey si alzò e prese uno degli scatoloni vuoti, posizionandolo davanti a noi a mo di tavolo.

Aveva preso davvero tante cose, mi venne da sorridere. Probabilmente era indeciso su quali fossero i miei gusti, scegliendo quindi di prendere un po’ di tutto.

 

“Questo ristorante è qua vicino sai?”  biascicò tra un raviolo e l’altro.

“Si? ottimo. Lo userò come ancora di salvezza per quando non avrò tempo di cucinare.”

Andrey mi guardò di colpo negli occhi con una serietà che quasi mi spaventò, gli occhi si socchiusero a fessura, come se stesse pensando a qualcosa di estremamente complicato.

 

Mi sentivo studiata, come se mi stesse scrutando per un motivo per preciso.

“Tutto ok?” chiesi ad un certo punto timidamente.

“Si, ehm, si. E’ solo che stavo pensando che si sta facendo tardi e tu sarai stanca. Forse è meglio che io vada.”

“Come vuoi tu...Non c’è problema.”

Di nuovo mi guardò interdetto, come se ci fosse un grande punto interrogativo sopra la mia testa. Lentamente distolsi lo sguardo per appoggiare il piatto sopra al tavolino improvvisato, quando Andrey mi afferrò l'avambraccio e mi tirò verso di sé. 

Sbarrai gli occhi sorpresa. Mi trovavo a nemmeno un centimetro dalla sua bocca.

Gettai i miei occhi nei suoi. Non avevo mai visto degli occhi così, profondi, sembravano non avere fine. Ma non in modo romantico, sembravano nascondere un pozzo di segreti, erano magnetici ma allo stesso tempo emanavano “attenzione pericolo” da ogni angolo.

Le sue pupille rimasero fisse nelle mie, fino a quando, mossa da non so quale coraggio appoggiai con irruenza la mia bocca alla sua. 

Lui rimase stupito, interdetto ma rispose con la stessa urgenza, mi afferrò aggrappandosi letteralmente a me.

Subito la sua lingua trovò la mia e non ci fu modo di tornare indietro. 

In quel momento il mondo si fermò. Non contava più nulla. Non riuscivo a staccarmi da quel bacio.

Poi un pensiero fulminò la mia mente, destandomi dall’incantesimo. 

La donna del treno. La sua fidanzata.

Non di nuovo, non potevo di nuovo finire in un vortice del genere, dovevo chiamarmi fuori prima che fosse troppo tardi.

 

“Fermo”

mi uscii con voce non troppo convincente.

Andrey si staccò immediatamente, guardandomi ora con occhi supplicanti. Lo volevo anche io, ma non potevo. Non così non in quel modo, avevo bisogno di capire meglio prima. Avevo bisogno di salvaguardarmi dallo spezzarmi di nuovo.

 

“Forse è meglio che vada”

 

La sua voce era nervosa, si alzò di scatto, girando per la stanza grattandosi la testa, sembrava aver perso qualcosa o che stesse cercando qualcosa di molto importante.

Sentivo già la mancanza delle sue mani su di me, era strano. Non avevo più permesso a nessuno di sfiorarmi così, di toccarmi, di baciarmi e di farmi sentire di nuovo così.

 

Nel frattempo cercavo le parole, ma non le trovavo. Non sapevo cosa dire. Andrey recuperò tutto e si diresse verso la porta, avrei voluto fermarlo spiegargli perchè mi ero staccata, ma le parole mi morivano in gola ogni volta che provavo ad articolare un discorso.

Lui mi fissava, sul ciglio della porta, sembrava stesse per dire qualcosa quando la vibrazione di un telefono ci distrasse.

Era il suo.

 

“Pronto”

 

Sembrava scocciato da quella telefonata, ma al tempo stava cercando di essere educato quanto più possibile.

 

“Si, sto arrivando. Si ho già mangiato. Ciao”

 

tornò a guardarmi di nuovo con quello sguardo misto tra smarrimento e rabbia, e si avvicinò alla porta.

D’istinto mi avviai anche io e di nuovo fummo vicini a tal punto che faticavo a guardarlo in faccia. 

Potevo sentire il suo sguardo su di me, era diverso tempo che non percepivo un’attrazione simile con qualcuno, alzai lo sguardo e fu inevitabile. Andrey incollò la sua bocca di nuovo alla mia e non ci fu più nulla da fare, come se fosse la droga più potente al mondo, agganciai le mie braccia al suo collo, le sua mani si aggrapparono alla mia schiena e non la lasciarono più.

 

Smirnov non arrivò mai a casa quella sera.


 

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Capitolo 15
*** Chapter fourteen ***


Chapter fourteen
I have to love myself first
 

Sentivo le sue mani addosso, erano bollenti, non mi lasciavano andare, fuori era buio, in casa nemmeno un filo di luce. Potevo sentirlo sorridere sotto alle mie labbra mentre impaziente cercavo di trattenermi dal far succedere qualcosa di inevitabile. Dalla porta ci eravamo spostati in camera da letto, dove c’era effettivamente solo il letto e parte delle mia roba sparsa in giro ancora da sistemare. 
Potevo percepire ogni centimetro della mia pelle, ero terrorizzata a morte ma allo stesso tempo, Andrey mi faceva sentire a mio agio, sarei potuta rimanere tra quelle lenzuola anche per tutta la giornata successiva.Ormai ero in biancheria intima e mi si erano asciugati del tutto i capelli, anche se potevo sentire che si erano tutti spettinati, Andrey era in mutande e dio stava diventando sempre più difficile non lasciarmi andare del tutto.

Sentivo che era la cosa più naturale del mondo, che non avrei potuto evitarlo. La mia conclamata forza di volontà non poteva farci nulla. Forse l’avevo esaurita tutta perchè ero inerme di fronte a quella situazione.

Seduta sopra il mio capo, una persona che sembrava essere tanto meravigliosa quanto misteriosa, cercavo di pensare alla svelta a cosa volevo fare.

“Kat non devi farlo se non ti va.” Sembrava aver colto il mio dilemma nonostante il buio presto che ci circondava, e che amplificava tutti gli altri sensi a mille.

“No, mi va. E’ quello che mi va di fare di più in questo momento”

Ed era la verità, contro la quale non potevo in nessun modo combattere.
Andrey non rispose ed in un battere di ciglia mi ritrovai completamente nuda sopra di lui, che non aveva perso un solo secondo e stava giocando impaziente con il mio seno e con la parte più preziosa del mio corpo. 
Lo sapevo che era inevitabile. Mi arresi a me stessa mentalmente e agganciai le mie gambe alla sua vita, sfilandogli le mutande.

Ed ora non sarei potuta tornare indietro.

 

 

La luce del mattino mi destò dal tepore in cui mi trovavo. Per una manciata di secondi mi sentì al mio posto nel mondo.
Spostai lo sguardo ricordandomi della sera precedente e vidi Andrey supino che dormiva con un’espressione rilassata, che raramente gli avevo visto in viso in ufficio. Riluttante da lasciare il letto caldo, mi alzai e andai in bagno. Mi aspettava una lunga giornata di scatoloni da disfare. 

Accesi la macchina del caffè e ne feci subito uno per me.

Non potevo fare a meno di sorridere.

Nel frattempo sentì dei rumori provenire dalla mia camera, e poco dopo Andrey apparve, rigorosamente nudo, nella mia cucina.
"
Buongiorno” biascicò dandomi un bacio leggero sulle labbra che mi sorprese piacevolmente.

“Buongiorno a te” risposi “caffè?”

Lo vidi annuire mentre cercava i suoi vestiti per la stanza dirigendosi verso il bagno, lo seguì con il caffè pronto per portarglielo quando lo trovai con il mio spazzolino in bocca intento a lavarsi i denti. 

“Se vuoi posso rimanere ad aiutarti con gli scatoloni oggi. Potranno fare a meno di me ormai.”

La proposta mi lasciò un po’ basita: Non era troppo?

“Se invece preferisci fare da sola, posso andare a lavoro senza problemi”

 

Il suo comportamento mi stava mettendo un po’ a disagio. Ero stata benissimo quella notte, mi aveva fatto stare bene, sentire a mio agio. Sembrava una mattina normale, come se quello che era accaduto accadesse da sempre, eppure tanti punti interrogativi mi ruotavano in testa.

“Non devi tornare dalla tua fidanzata?”

Mi pentì quasi subito dopo averlo chiesto. Sarà stata l’abitudine con Luke, sarà stata la paura di innamorarmi di nuovo di qualcuno che non poteva essere solamente mio, ma mi venne quasi spontaneo chiederlo.
I
l suo sguardo tornò ad essere quello della sera precedente, profondo, sfuggente con un misto tra rabbia e tormento.
Si qualcosa tormentava Andrey. E avrei dovuto scoprire di che si trattava.

 

“Non sono fidanzato Kat.”

 

Non era fidanzato, va bene. Ma sicuramente c’era qualcosa sotto la chiamata di ieri, la ragazza del treno e quello sguardo sofferente che aveva appena si toccava l’argomento. E io avrei scoperto di che si trattava.

 

“Che ne dici se vado a prendere la colazione e poi ti aiuto con gli scatoloni?” Propose lui, abbozzando un sorriso tranquillo.

 

“Va bene, ti aspetto qui. Nel frattempo mi do una sistemata”

“Ti trovo già molto carina così”

 

Si era avvicinato a me, potevo sentire il profumo della sua pelle mischiato al mio, in un attimo fui invasa dal sapore del caffè delle sue labbra sulle mie e mi fu impossibile non abbandonarmi nuovamente a lui.
Nonostante il lasso di tempo breve, mi erano mancate le sue mani addosso.
Mi salutò poco dopo andando a recuperare dei croissant. Mi diedi una sistemata ed indossai una tuta comoda, iniziando a recarmi in camera per recuperare qualche scatolone.

Mi accorsi che un iPhone vibrava sul mio comodino ma non era il mio. C’erano diverse chiamate tutte provenienti dalla stessa persona, con annessi messaggi. Erano piuttosto preoccupati.
Un senso di smarrimento di invase, aveva detto di non essere fidanzato perchè mentire? Perchè farmi questo?

Lasciai lo scatolone dove si trovava, presi il cellulare ed uscì. 

Avevo bisogno di aria, di riflettere e di capire meglio. Iniziai a camminare velocemente nelle vie adiacenti al mio nuovo palazzo, camminavo senza nemmeno notare cosa mi circondasse, come avvolta da una nuvola nera. Ero terrorizzata. Perchè mi infilavo sempre in queste situazioni? Perchè mi ero concessa a qualcuno che nemmeno in ventiquattro ore aveva già mentito o omesso qualcosa? 
Ricevetti una telefonata da Andrey. 
Rimasi a fissare l’iPhone per qualche secondo indecisa sul da farsi. La mia testa urlava “scappa, scappa a gambe levate prima di ferirti di nuovo,” il mio cuore urlava “aspetta, chiedi spiegazioni.” Ed io avevo seguito troppe volte la testa negli ultimi anni, privandomi di tante cose.
Tornai a fatica sulla via di casa mia, trovando Andrey nell’ingresso del palazzo piuttosto preoccupato.

“Pensavo fosse successo qualcosa. Stai bene? Sembri sconvolta”

“Si. Saliamo”

Furono solo le uniche due parole che uscirono dalla mia bocca. Ero impossibilitata a dire qualsiasi cosa perché troppo concentrata a pensare rumorosamente.

“Kat. Che succede?”

“Niente.”

“Kat, lavoriamo insieme da un po’ ormai. Lo so quando c’è qualcosa che non va, si vede.”

“Ok, arriviamo all'appartamento prima.”

 

Entrai silenziosamente nella mia casa accasciandomi sul divano come sfinita da una lunga corsa.

“Senti Andrey. Ero in camera a prendere gli scatoloni, volevo cominciare a sistemare. E c’era il tuo telefono, ti assicuro che non l’ho sbloccato o fatto nulla, anche perchè non conosco il codice. Ma squillava, incessantemente e le chiamate venivano tutte dallo stesso numero. Così quando ha smesso di squillare ho potuto constatare che avevi ricevuto anche diversi messaggi di qualcuno che decisamente ti aspettava per la notte ed invece tu sei rimasto qui.” 

 

Lo vidi sedersi rumorosamente sul divano vicino a me, fissandomi con quello sguardo. Quello misto tormento, profondità e rabbia. Solo che ora sembrava la rabbia a prevalere.

 

“E io ti giuro che non mi devi nessuna spiegazione, non sono affari miei e nemmeno mi sarebbe dovuto cadere l’occhio, ma è successo. Ed ora non mi va molto di giocare alla coppietta che disfa gli scatoloni con te. Non dopo questa notte. Scusami.”

 

Ero davvero dispiaciuta. Era così raro per me trovare qualcuno che mi piacesse, che mi facesse sentire a mio agio, ed ora dovevo rinunciarvi, ma dovevo farlo per me. Per la mia sanità mentale e fisica: non potevo permettermi di nuovo una situazione del genere.

Andrey non disse granchè, sospirò e mi diede una delle brioche. Si alzò e andò in camera, tornando con il telefono in mano, intento a leggere i messaggi che gli erano arrivati.

Poi riprese il cappotto, si avviò alla porta esattamente come la sera prima e mi rivolse lo stesso sguardo. Io non mi mossi, era decisamente una scena triste, non avrei minimamente voluto questo. Ma dovevo farlo.

Mi aveva già mentito in meno di un giorno.

Andrey avviò una telefonata ed uscì dalla porta di casa mia. Buttai la colazione nel cestino e mi misi a letto, dove il suo profumo quasi non mi soffocò. Avevo fatto la cosa giusta? Avevo sbagliato? 

Ero certa razionalmente di aver fatto la cosa migliore per me. Dio chissà come era preoccupata. Che schifo.

E lui aveva avuto il coraggio di spassarsela con me la notte prima. Eppure lui non mi aveva dato quell’impressione, mi era sembrato sincero quando aveva detto che non era fidanzato.

Comunque non mi aveva fornito altra spiegazione, era semplicemente uscito, parlando al telefono probabilmente con lei.

 

Mandai una mail a tutto lo staff dichiarando malattia e poi chiamai il mio medico.
Mi diede sulla fiducia due settimane. 
Era meglio creare un distacco, per evitare situazioni spiacevoli.
Poi, forse dallo stress o dalla stanchezza del giorno prima mi appisolai.

Abbracciata al cuscino.


 

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