I Campioni di Cyrodill

di Lady_Dunmer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Arco I - L'Orsa e il Cacciatore ***
Capitolo 2: *** Arco I - I Segreti di Hircine ***
Capitolo 3: *** Arco I - Terapia d'urto ***
Capitolo 4: *** Arco I - La Pesa del Sangue ***



Capitolo 1
*** Arco I - L'Orsa e il Cacciatore ***


ARCO I - LA LUNA ROSSA
"L'ORSA E IL CACCIATORE"

Il gelo mi si insinuava fin dentro le ossa, passando attraverso lo spesso strato di cuoio e pelliccia delle mie vesti, mentre i miei passi affondavano muti nelle nevi perenni dei Monti Jerall. Da quanto tempo ero in fuga? Avevo perso il conto dei giorni, nelle corse a perdifiato che mi spaccavano i fianchi e nelle brevi ore di sonno all’addiaccio, con la nuda terra quale solo giaciglio. Il mio cuore avrebbe dovuto trovare pace, adesso che avevo varcato il confine di Skyrim: quale cacciatore sarebbe stato tanto caparbio da seguirmi sino a Cyrodill? Eppure quel brivido dietro la nuca, sotto le scompigliate ciocche brune, non mi aveva abbandonata, ma anzi mi aizzava a proseguire nella mia fuga verso sud, attraverso terre sconosciute.
Chiusi le mani guantate in una coppa, dentro cui espirai generosamente, alla disperata ricerca di una stilla di calore: nonostante il sangue dei Nord mi avesse sino ad allora preservata dall’assideramento, sentivo che anche quell’ultimo bastione cominciava a dare i primi segni di cedimento.

Passai attraverso una schiera di scuri alberi dalle foglie puntute, oltre le cui fronde si profilava un vasto cielo nero, gremito di stelle, con Masserat e Secunda lì sul pulpito, come regine della notte. E mentre mi concedevo qualche istante per godere del suggestivo panorama, fra i cupi bassi dei gufi e il canto di lupi lontani, un sibilo squarciò l’aria, sfiorandomi la guancia. Mi voltai di scatto, notando che dalla neve faceva capolino un sottile fusto di legno, coronato da un ciuffo di piumaggio grigio.
Il mio cuore perse un battito, mentre intorno a me si profilavano ombre avvolte in logore cappe di iuta e armature di ferro, che certo avevano veduto giorni migliori. La paura mi risalì lungo la spina dorsale, coi suoi artigli affilati e quella voce fin troppo famigliare, sino a quel momento sepolta nelle viscere della mia mente.
“Lasciami uscire…”
Trattenni il fiato, per poi emettere un lungo sospiro. La mia corsa ripartì fra gli alberi neri e silenti. Intorno a me le ombre si riscossero, dardi rumoreggiavano lì dove fino ad un attimo prima c’era il mio piede. Potevo sentire il battito del mio cuore stremato risuonarmi sin nelle tempie. Il fiato farsi sempre più corto nella gola occlusa.
“Lasciami uscire.”
“No, non dopo quello che hai fatto… non dopo quello che abbiamo fatto.”
Spiccai un breve balzo  oltre una radice sporgente dal terreno, quando una fitta di dolore mi scavò nella spalla sinistra. Il piede mi cadde in fallo e in un attimo mi ritrovai a ruzzolare giù per alcuni metri, lungo una scarpata scoscesa. Non fosse stato per la neve, con tutta probabilità mi sarei spaccata la testa nella caduta.

Mi tirai a carponi, con la nausea che mi contorceva le budella e la punta di freccia che mi scavava nella carne. Nel frattempo le sagome si erano palesate alla luce delle due lune, sui loro petti baluginavano spille a forma di mano, intagliate nel lucido argento; come d’argento erano anche le loro armi, sguainate con sibili sinistri.
“Lasciami uscire…” scandì la voce, con un certo compiacimento nel tono. Guardai il cerchio di cacciatori chiudersi lentamente intorno a me, ogni via di uscita  negata al mio passaggio. Avevo davvero scelta giunta a questo punto? Sì, avrei potuto sfilare la mia ascia di ferro arrugginito, magari se avessi lottato come si deve, avrei visto aprirmi davanti i cancelli di Sovngarde. Ma conoscevo le storie su quelli come me, e non sarebbe stato Shor né i miei antenati ad accogliermi dall’altro parte… no, non potevo lasciarmi morire adesso, in quella landa dimenticata dagli dei. Espirai, cacciando sino all’ultima stilla d’aria fuori dai miei polmoni, rilassando i muscoli delle spalle.
“Lasciami uscire.”
Aveva vinto lei, ancora una volta…

Un ruglio mi vibrò nelle ossa, mentre ogni consapevolezza umana si assottigliava in un filo a stento visibile nel vortice di odori e sensazioni: l’aroma dolciastro della resina, il fetore salmastro sulle membra di quegli uomini, il profumo del sangue di una carcassa alcuni metri più in là, accostato al puzzo di cenere ed ossa.
Le mie mani si dilatarono in zampe bestiali, mentre dall’iponichio delle unghie in frantumi facevano capolino grigi artigli ricurvi. Le mie spalle si gonfiarono, facendo esplodere in brani di cuoio e pelliccia le mie vesti. Sottopelle mi corse un bruciore vivido, con la carne che si spezzava e si ricomponeva, i tendini che si allungavano sin quasi a sfilacciarsi, mentre i miei lamenti si facevano un uniforme verso gutturale alle soglie di un muso schiacciato, accompagnato ad una bocca irta di zanne giallastre.
Svanita la mia sagoma umana, riemersi nella mia forma ferale.

La mia gola reclamava adesso il sangue! Mi scagliai sui miei aguzzini, schiacciando i loro crani con uno schiocco delle mascelle, scoprendo il compendio dei loro organi con una zampata e liberandoli dal peso delle loro deboli braccia. Pian piano vidi il loro cerchio allargarsi, il loro capitano sbraitava ordini verso i suoi sottoposti, nella mano destra stringeva uno spadone forgiato di quel metallo spregevole: l’argento. Lungo la schiena sentii affondare piccole punte affilate, che mi scavarono nella carne con un sfrigolio; catene dagli anelli squadrati mi si annodarono ai polsi, fiaccando a poco a poco le mie forze. Sentii le gambe cedere sotto il mio stesso peso, il tappeto di neve accogliermi nel suo abbraccio freddo in uno spruzzo di brina.
Avevo così tanto sonno, avrei potuto chiudere gli occhi in quello stesso istante.
La sagoma dell’uomo con lo spadone si fece sempre più vicina, nello spettro sfocato dei miei occhi stanchi.
L’aria si riempì dell’odore di cenere ed ossa.
La lama d’argento si levò, pronta a vibrare il colpo mortale, poi un’ombra sgusciò alla periferia del mio sguardo: lo spadaccino crollò in terra, schiacciato da una figura avvolta in un nero mantello logoro. Udii il fragore di ossa craniche che si spezzavano, sotto il martellare di nocche avvolte dal metallo. Un metallo che il mio naso non seppe riconoscere, con un inconsueto aroma di zolfo ed ozono.
Due piccoli occhi scarlatti si fissarono nei miei, mentre una voce ovattata rumoreggiava nelle mie orecchie.
«Non ti addormentare, non adesso.»
Ma le mie membra erano così stanche, la mia carne ferita e tumefatta. Ero fuggita per così tanto tempo… e ora il freddo non mi sembrava più così sgradevole: era un morbido giaciglio in cui ristorarsi e dimenticare le fatiche della veglia. Venne il buio e poi nulla più.

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Capitolo 2
*** Arco I - I Segreti di Hircine ***


ARCO I
LA LUNA ROSSA

"I SEGRETI DI HIRCINE"

Mi svegliai di soprassalto, ritrovandomi a fissare l’ineguale soffitto roccioso di una caverna, gremita di opalescenti stalattiti smussate. Parevano quasi enormi moccoli di cera, alla luce del globo di fuoco sospeso a mezz’aria al centro della stanza.
Voltai leggermente il capo, affondando una guancia nel morbido cuscino foderato, e osservai il pavimento della spelonca: tappezzato con pelli degli animali e delle creature più svariate: leoni di montagna, lupi grigi, orsi bruni, cinghiali, troll e persino qualche minotauro. Al centro di tutto, v’era quello che pareva un piccolo altare: una rozza bacinella di pietra, sormontata dall’effige di un uomo con la testa di cervo. Non mi ci volle molto a riconoscere chi vi era ritratto dietro quelle scalpellate maldestre e con un moto di irritazione distolsi lo sguardo.
“Per Kynareth… dove sono finita?” pensai, prima di tirarmi a sedere con un gemito di dolore. Il mio corpo, sotto la tunica di lino, piacevole contro la pelle nuda, era stato avvolto con varie fasciature, accompagnate a curiosi impacchi dalla consistenza melmosa.
«Ci siamo svegliati, finalmente.»
Esordì una voce calda e pacata, da un angolo appartato della caverna. Mi voltai, senza sfilarmi le calde coperte dalle gambe.
A parlare era stato un dunmer, tutto intento a tagliuzzare qualcosa su un ripiano di pietra ricavato nel muro. Era, in vero, l’esponente più strano che avessi mai veduto della sua già eccentrica razza: aveva la pelle nera come la pece e dal  capo gli ricadeva una chioma candida come neve, disciplinata in una coda da brigante. Le gambe e le braccia erano celate sotto componenti di armatura daedrica: dal caratteristico colore fumoso, intriso di riflessi vermigli. Mentre il torace, ampio e rigonfio, veniva coperto da una spessa casacca di pelliccia grigia.
Definire il suo lavoro  quanto mai “macabro” sarebbe stato un eufemismo: con un pugnale ricurvo, forse di fattura elfica, scavava nel ventre di uno strano troll dalla pelle livida, estraendone poi grasso e viscere: l’uno era riposto con cura in dei barattoli di terracotta, le altre gettate malamente in un vecchio secchio di legno sudicio.
«Hai dormito per tre giorni interi, iniziavo a temere non ti risvegliassi più.» continuò lui, senza voltarsi.
«Che-Che stai facendo c-con quella cosa?» chiesi, troppo sconvolta per rispettare le buone norme della cortesia.
«Si tratta di un Underfrykte. Anche se la definizione più calzante sarebbe quella di  “veri bastardi”: si mimetizzano nella neve e prima che te ne accorga ti hanno già staccato una gamba, per poi picchiartici fino a spaccarti la testa.» replicò lui, assai divertito da quella immagine truculenta «Ma immagino volessi sapere cosa stessi facendo io. Beh, si chiama raccogliere ingredienti alchemici alla vecchia maniera. Non ho il denaro né la voglia di mettermi a contrattare con qualche mercante spilorcio, quando ho bisogno di qualcosa, così me la procuro da me.» e a chiosa della spiegazione infilò un altro trancio di grasso purulento all’interno del contenitore. Dopodiché si sfilò con delicatezza i guanti e venne ad accovacciarsi accanto a me.
I suoi occhi erano di un rosso più tenue di quello degli altri Dunmer che avevo avuto modo di incontrare a Winterhold.
«Lascia che ti controlli le ferite.» disse, allungando una mano verso la mia spalla.
Avevo avuto a che fare con fin troppi uomini in passato, per non capire dove volesse andare a parare, così scostai la sua mano con un malrovescio, indietreggiando di qualche passo.
Le sue sopracciglia bianche si abbassarono donando al suo volto un’espressione assai basita. Ritirò le dita, chiudendole in un pugno sopra il ginocchio piegato.
«Ho già avuto occasione di ammirare le tue grazie, mentre grondavi sangue mezza scannata sulle nevi dei Jerall, se è questo il tuo problema. E no, non sei decisamente il mio tipo, tesoro. Preferisco uomini e donne che non abbiano più il moccio al naso.» disse, piccato «Quindi, di grazia, posso controllarti le fasciature o per cambiarle devo andare a sentimento?»
Schiusi le labbra, per poi serrarle nuovamente. Le guance presero ad avvamparmi: al momento non sapevo se sentirmi più offesa dal fatto che mi avesse dato della poppante o più idiota per non aver pensato al fatto che, se avesse avuto quel genere di intenzioni, certo non avrebbe atteso che mi risvegliassi per portarle a compimento.
Così, con uno sbuffo, cedetti, voltandomi mentre l’elfo oscuro adempiva al suo mestiere. Il suo tocco fu rapido e discreto sulla pelle, non si fermava più del necessario: controllata una fasciatura, passava immediatamente all’altra. Saggiando subito dopo se fosse abbastanza stretta o se fosse il caso di sostituirla.

«Bene.» eslcamò, accoccolando i palmi neri «Stai guarendo in fretta, credo che entro un paio di giorni sarai di nuovo in forze.»
«Grazie…» dissi dopo un po’, strofinandomi l’indice in un riflesso di imbarazzo.
«Dovere.» replicò lui «Sono stato un guaritore prima di – beh - molte altre cose. È qualcosa che ti rimane nel sangue.»
Sorrisi, in un cenno di approvazione, prima che il mio viso tornasse a un’espressione mesta: non potevo trascurare il fatto che avesse assistito alla mia trasformazione. E se fosse andato a dirlo in giro? Sarebbe stato un bel guaio. Eppure – mi dissi, riflettendoci un poco – mi aveva salvato e anche adesso in lui non leggevo la benché minima traccia di paura o ansia. Che forse…
«Ascolta, devo chiederti una cosa.» lo richiamai, a un punto, guardandolo dritto negli occhi.
L’elfo mugugnò, vagamente indifferente.
«Tu- tu sei come me?» domandai, rafforzando il concetto con un breve cenno alla statua di Hircine.
Lui si levò in piedi con un movimento sinuoso, andando ad appoggiarsi con le spalle contro la parete di roccia «Intendi un mannaro?» denegò morbidamente col capo «No, tesoro, ma se lo trovi deludente, magari ti consola sapere che sono un vampiro.» rispose, esibendo un paio di canini affilati.
Uno spasmo mi contrasse le dita, e per quanto cercassi di rimanere impassibile, quel Dunmer sembrò intuire qualcuno dei miei pensieri «Avanti, non mi giudicherai mica perché spillo un po’ di sangue per non diventare la cattiva imitazione di un Atronach di Fiamma quando sorge il sole? Sono sicuro che di sangue ce ne fosse abbastanza anche nella testa del tipo a cui hai mangiato la faccia.»
«Io non ti sto giudicando!» mi affrettai a replicare, distogliendo lo sguardo «È solo che, non me l’aspettavo… non siete forse seguaci di Molag Bal? Le leggende raccontano che sia stato lui a crearvi.»
Incrociò le braccia dinanzi al petto «Il vecchio Bal non è quello che chiameresti un padre amorevole, orsetto. Ma questa è una storia che non amo raccontare.» concluse lui, una volta tanto senza il suo consueto tono sarcastico.
Fra noi scese qualche attimo di silenzio, in vero piuttosto teso. Prima che decidesse di vertere la conversazione su altri lidi «Tu, piuttosto, che ci facevi al confine?»
Mi umettai le labbra: le leggi dell’ospitalità e il mio debito nei suoi riguardi, mi imponevano una risposta, ma quella era la mia storia che non amavo raccontare…
«I Mano d’Argento, mi stavano alle calcagna da settimane. Credevo che a Cyrodill sarei stata al sicuro, ma mi sbagliavo.» non c’era comunque bisogno che sapesse proprio tutto.
«Allora immagino che il problema sia risolto. Tornerai a Skyrim?»
«Uhm, no, quella terra fredda e desolata non ha nulla da offrirmi.» mi sforzai di sorridere «Mentre qui nella Provincia Imperiale il clima è mite e quelli come me non vengono attivamente perseguitati.»
Lui storse la bocca: se aveva dei dubbi, ed ero quasi certa che ne avesse, non si diede il disturbo di renderli noti «Beh, io rimarrò qui in zona fino alla prossima fase lunare. Se fino ad allora ti serve un tetto sulla testa puoi stare qui. Dopodiché io prenderò la mia strada e tu la tua.»
«Certo.» replicai, con un moto di sollievo.
«Ti serviranno dei septim. Mi sono preso la briga di raccattare le armi dei tuoi amici; con tutto quell’argento puoi pagarti una carovana per – ecco – dove ti pare.» la voce del Dunmer si addolcì «Nel frattempo vedi di riposare e recuperare le forze.»
«Lo farò-» provai a rassicurarlo, prima di rendermi conto di non sapere neanche il suo nome.
«Bierslinger. Chiamami Bierslinger.» mi disse lui, prima ancora che potessi domandarglielo.
«Lieto di conoscerti, Bierslinger.» risposi, allungandogli una mano «Io sono Anja, Anja di Winterwood.»

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Capitolo 3
*** Arco I - Terapia d'urto ***


ARCO I
LA LUNA ROSSA

"TERAPIA D'URTO"

I primi giorni di convivenza con Bierslinger non furono male, nonostante le fosche premesse: quelle mura di pietra, velate da uno strato traslucido di umidità, sapevano trasmettermi un piacevole sensazione di pace; soprattutto dopo le settimane passate al freddo e al gelo delle terre selvagge di Skyrim. La mia convalescenza, forse per il sangue dell’orso o per le attente cure del Dunmer, durò meno di quanto mi aspettassi: in breve delle mie ferite non rimasero che solchi di pelle più chiara a descrivere cicatrici sottili.
Così, nuovamente in grado di muovermi in modo autonomo, presi a curiosare per le distese innevate dei Jerall e le piccole riserve di alberi scuri. Osservando da lontano le sparute fattorie disseminate qui e là per quei luoghi, ritrovando in quella vista i melanconici ricordi di una vita che non mi apparteneva più.
Venne da sé, che man mano che il mio corpo si rimetteva, altrettanto faceva la bestia che vi albergava dentro. Seguendo con lo sguardo gli stambecchi che si libravano in rapidi salti da un pendio al seguente, sentivo nella mia bocca un’arsura crescente: una sete che esigeva di essere soddisfatta. Ben sapevo che col tempo avrebbe preso a tormentarmi con più insistenza, nel sonno e nella veglia, sino a quando non mi fossi lasciata di nuovo andare. Lanciai un’occhiata di sottecchi all’elfo, seduto su una sporgenza rocciosa, intento a pestare qualcosa nel mortaio: probabilmente un altro dei suoi assurdi intrugli.
«Cosa c’è Anja?» mi chiese con tranquillità, senza distogliere gli occhi dal suo lavoro.
Ingollai un boccone di saliva: per l’Oblivion, come faceva a cogliermi sempre in fallo quand’ero sovrappensiero. Strinsi i pugni, fino a quando le nocche non mi si fecero pallide «Io… ecco, forse è il caso che me ne vada. Ho approfittato fin troppo della tua ospitalità.» ammisi.
Lui si limitò a fare spallucce «Per quel che vale non mi dai fastidio, a parte forse i rugli e i bruiti mentre dormi.» sorrise, beffandosi beatamente della mia occhiataccia «Ma se è ciò che desideri, io non ti tratterrò.»
Mi morsi le labbra, socchiudendo le palpebre: gli occhi cominciavano a pizzicare «È solo che… l’orso è tornato a farsi sentire. Se dovesse liberarsi di nuovo – ecco – non voglio metterti in pericolo.» una lacrima fece capolino fra le mie ciglia.
Lo scalpiccio del pestello si arrestò «È questo che ti preoccupa?» mi chiese, in tono canzonatorio.
Lo guardai con gli occhi lucidi, le labbra che tremolavano, incapaci di articolare una singola frase. Mi aspettavo che mi avrebbe dato una pacca sulla spalla o che tentasse di consolarmi, ma la sua reazione fu di ben altro tenore. Si fece serio tutto ad un tratto «Dovresti smetterla di commiserarti e accettare chi sei. La bestia è parte di te.»
Quelle ultime parole mi rivoltarono qualcosa dentro, senza quasi accorgermene scattai, sentendo i miei occhi pulsare sotto la spinta ferina.
«Tu non sai cosa significa, gestire questa cosa.» scandii «Ho ucciso delle persone, e no, non parlo di briganti o Mano d’Argento, parlo di gente che non avrebbe fatto male a una mosca. Uomini, donne» esitai, prima di costringermi a continuare «bambini. Tutti sacrificati per soddisfare la fame della bestia!»
Bierslinger rimase impassibile, quasi le mie parole gli fossero suonate banali «Non so cosa significa, dici? Credi che tutte le volte che bevo da un mortale non senta l’impulso di prosciugarlo come si fa con un boccale di birra scura?» la sua voce assunse un tono severo «Ma non lo faccio, uso il mio autocontrollo. Forse è tempo che impari a farlo anche tu, è sicuramente più utile che lagnarti perché – poverina – ti trasformi in un mostro brutto e cattivo che fa del male alla gente.»
Rimasi sbigottita da quella reazione, ma ben presto la sorpresa si mutò in un nuovo accesso d’ira che prese a martellarmi le tempie «E come dremora dovrei fare?!» sbottai, serrando i denti, con una voce inquietantemente simile ad un ringhio.
«Smettila di confinarla, falla uscire.» ghignò «Adesso.»
 Ovviamente non gli diedi ascolto: sin dal nostro primo incontro avevo intuito fosse eccentrico, ma in quel momento mi diede la conferma di essere completamente pazzo.
Ma se io desideravo ignorarlo, la Bestia era più che lieta di accogliere il suo invito. La sentii spingere: i muscoli contrarsi e le iridi bruciare.
Strinsi i denti, ricacciandola indietro con ogni granello di volontà «No.» mormorai, con la voce spezzata dallo sforzo.
Ebbi appena il tempo di notare lo sguardo di Bierslinger farsi gelido e la sua mano scattare in un rapido gesto. Ad un tratto mi ritrovai sospesa a mezz’aria, con le stesse dita che mi avevano salvato da morte certa, ora strette intorno alla mia gola in una morsa impossibile da districare. La sua voce risuonò come proveniente da un abisso dell’Oblivion.
«Avanti, combatti per la tua vita. È questo il genere di persone a cui Hircine concede i suoi doni?» sibilò, i canini affilati messi in bella mostra dietro le labbra nere.
Scalciai con tutte le mie forze, picchiai con pugni e pedate quel corpo che pareva fatto d’acciaio. Tutto inutile. L’aria iniziò a mancarmi, gli occhi a lacrimare: perché mi stava facendo questo?
La Bestia, aizzata dalla sfida di un altro predatore, scosse impaziente le sue catene. Fino a quando non cedetti, per un solo istante, e tanto bastò.
Bierslinger mollò la presa, osservando con soddisfazione il mio corpo contorcersi e mutare forma. La mia coscienza si sovrappose a poco a poco con quella dell’animale in una simbiosi di menti, sino a quando non diventammo un’unica entità. Come, come aveva osato quel lurido vampiro anche solo provare a sfiorarmi? Avrei dilaniato la sua pelle, strappato ivia fino all’ultimo dei suoi organi rinsecchiti.
Scattai per ghermirlo fra i miei artigli, ma lui si scostò con una piroetta, picchiettandomi il fianco con la mano. Furiosa, distesi il collo, serrando le fauci irte di zanne:  le sentii schioccare a vuoto, chiudendosi sulla fredda aria dei Jerall. Ancora una volta si era scansato.
Si dileguò fra gli alberi con il passo rapido di un atleta. Povero sciocco! Avrei potuto stanarlo a miglia e miglia di distanza, non poteva sfuggirmi. Subito gli fui dietro, fra i tronchi neri e silenti, fra i quali scivolava come un’ombra incorporea, mentre io li abbattevo e li squarciavo al mio passaggio, beandomi dell’odore dolciastro della resina, raccolto lungo il profilo ricurvo dei miei artigli e lo spesso vello delle mie zampe.
La preda si addentrò per una macchia di alberi dalle chiome più fitte, tali da toccare il terreno. Lo inseguii, distinguendo fra le scie d’odore quella che sapeva di cenere ed ossa. Potevo averlo perso di vista ma quel fetore era inconfondibile.
Dopo qualche istante mi chinai sulle quattro zampe: era sempre più vicino, sempre più vicino. Eccolo! Lì, oltre la roccia. Spiccai un balzo, ricaddi sulle zampe posteriori, affondando le zanne nella consistenza soffice di… di una casacca di pelliccia!
Un fardello all’improvviso mi si precipitò a cavalcioni, serrando le gambe intorno al collo per non perdere l’equilibrio. L’aria si colmò dell’odore pungente di ozono, lo stesso che appestava maghi e stregoni. Le sue mani mi toccarono le tempie e, all’improvviso, avvertii uno squarcio aprirsi fra me e la bestia, in un breve lasso di piena lucidità.
«Ora, Anja, la sua volontà è stata fiaccata. Devi domarla, adesso!» gridò il Dunmer, lanciandosi in terra con una capriola perfetta e ponendo una manciata di metri fra noi.
L’orso, passato il momentaneo stordimento, tornò alla carica, ma la mia coscienza si chiuse a riccio, negandole il passo. Raccolto tutto il mio vigore, la ricacciai indietro.
“Tu mi ubbidirai.”
La mia zampa destra, in uno spasmo dettato dall’istinto, scavò nella roccia descrivendo profondi solchi minacciosi. La Bestia ci riprovò, nuovamente la scansai da me, in una scrollata di spalle. Lei ruggì, in preda alla furia e alla frustrazione.
“Tu mi ubbidirai.” E questa volta fui io ad attaccare, schiacciandola al mio volere, fino a quando non smise di divincolarsi e grattare coi suoi artigli affilati. La sentii mugolare in un chiaro verso di sottomissione, dichiarando la sua sconfitta.
Ora del tutto padrona di me, mi voltai verso Bierslinger: mi guardava in trepidante attesa. Con la bocca raccolsi la sua casacca da terra e gliela buttai ai piedi. Nonostante le mie zanne vi avessero affondato con tutta la mia forza, sul tessuto non c’era neanche un graffio. Mi avvicinai a lui, dandogli un colpetto alla guancia con il muso.
Lui sorrise, accarezzandomi la fronte ampia da orso e il collo massiccio. Dopo qualche istante però abbassò la mano e la sua voce prese un tono melanconico che non gli apparteneva.
«Perdonami i metodi, Anja.» disse, in un breve cenno di scuse «Ma per il dono che hai, non potevo lasciarti scorrazzare per Cyrodill senza che prima imparassi a controllarlo.»
Emisi un rantolo grave.
«Anche io ho avuto la mia buona dose di morti e incidenti» nella sua voce ci fu una breve esitazione «dovuti alla mia condizione. Ho preferito che apprendessi la lezione senza bisogno di ulteriori cadaveri sulla tua strada.»

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Capitolo 4
*** Arco I - La Pesa del Sangue ***


ARCO I - LA LUNA ROSSA
"LA PESA DEL SANGUE"

La testa dello stambecco si sgretolò in poltiglia, sotto la pressione delle mie fauci. Carne, ossa e cartilagini dense del succo inebriante della caccia.
Dall’alterco con Bierslinger dominare la mia Bestia si stava facendo via via più semplice. Avevo imparato a lasciarla andare nel momento in cui c’era da uccidere una preda, così che la sua fame venisse saziata, onde poi riprendere il controllo una volta che la morte fosse sopraggiunta. Certo, era un cammino che si preannunciava ancora lungo prima della meta finale: l’orsa combatteva ancora per prendere le redini, ma si poteva dire che fossimo arrivate ad una qualche sorta di compromesso.

Tornata alla mia forma umana, recuperai da una cavità fra le rocce i miei vestiti: abiti di cuoio e pelliccia, in vero non troppo differenti da quelli con cui ero giunta a Cyrodill. Una volta ben imbottita, raggiunsi il mio compagno, seduto a cavalcioni di una radice nodosa; gli occhi rossi assorti in un cipiglio meditabondo, le labbra nere intente a tirare boccate dalla sottile pipa di frassino.
«Che succede?» gli chiesi, nel vederlo tanto concentrato.
Lui non mi rispose, si limitò a un lieve cenno del capo verso est.
Seguendo la direzione del suo sguardo notai, a forse qualche miglio di distanza, una città appollaiata sul dorso di un altopiano. Dalle viscere oltre le mura sgorgavano colonne di fumo nero, mentre gli stendardi gialli garrivano bruciacchiati in vetta alle torri. Riconobbi immediatamente quell’insediamento: non poteva trattarsi che di Bruma, la più settentrionale delle città Cyrodilliche. Da quel che ne sapevo molti Nord si erano stabiliti lì nel corso delle ere passate.
Mio malgrado avvertii una stretta al cuore, che lenta finì per intiepidire il mio umore.
«È accaduto ieri notte.» spiegò il Dunmer, con tranquillità «Non più di quaranta uomini. Sono entrati in città indisturbati e l’hanno messa a ferro e fuoco fino alle prime luci dell’alba, prima di ripartire verso sud.»
«Credi che Re Harald voglia iniziare un’invasione?» chiesi, piuttosto allarmata.
Lui schioccò la lingua «Skyrim ha già il suo bel daffare con le lucertole che pressano da Morrowind, imbarcarsi in un’invasione adesso sarebbe una follia anche per quello sbarbatello di un Manto della Tempesta. No, quei soldati venivano dal Tempio delle Nubi.»
Indietreggiai, sbarrando gli occhi. Quel nome non mi era nuovo: era risaputo che il Sangue di Drago avesse contribuito a ristabilire l’antica sede delle Blade «Ma-ma sono a servizio dell’Imperatore, perché attaccare Bruma?»
Bierslinger tirò una boccata, lasciando che il fumo gli fluisse fuori dalla bocca in un sinuoso serpente grigio «La chiamano Pesa del Sangue. Non ne so molto in realtà: pare che il periodo di anarchia, durante il quale un Imperatore si succedeva all’altro, con le mani ancora sporche del sangue del suo predecessore, abbia provocato un vero e proprio conflitto interno alle Blade. Revanscisti contro Rigoristi, da tempo hanno dunque deciso di attendere che giungesse un sovrano degno, prima di tornare in attività.»
«Non posso che supporre che alla fine lo abbiano trovato…» conclusi io, ricevendo dal Mer un tacito cenno d’approvazione.

Ma certe cose erano troppo grandi per noi, anime disperse e solitarie nelle vaste terre di Tamriel, cosa mai avremmo potuto fare, se non prendere atto di ciò che stava accadendo? Nel frattempo si avvicinava il crepuscolo e nella volta plumbea del cielo si profilò la sagoma scarlatta di Masserat. Ecco che era giunta: l’ultima sera. Di comune accordo avevamo deciso di dividere le nostre strade: io mi sarei diretta a Cheydinhal, con un po’ di fortuna (e molto argento) avrei trovato una carovana che mi portasse ancor più a sud, lontano da Skyrim; mentre Bierslinger, beh, sarebbe andato lì dove lo avrebbe portato la volontà del Cacciatore.
La spelonca si era fatta spoglia, i teli di pelliccia erano rinchiusi in un fagotto, insieme ai barattoli e ai variegati intrugli. L’unica traccia di civiltà rimasta era il piccolo altare dedicato a Hircine, le cui acque solitamente cristalline erano adesso rosse e viscose, come sangue appena spillato.
Il Dunmer, senza dire una parola, si chinò con le ginocchia contro la fredda pietra, mentre dalla sua bocca si susseguivano mormorii incomprensibili.
La Bestia, dentro di me, forse incuriosita o irritata da quel borbottio, si tese ad ascoltare. Gli afflati di vento, provenienti dall’esterno, si animarono del sottofondo di lontani ululati.
«Io ti invoco, io ti invoco Signore della caccia e del sangue. Per il nostro patto e giuramento, mostrami la tua preda prediletta e a te saranno votate la sua carne, le ossa ed il sangue che in questa scorre. Io ti invoco Hircine, presta orecchio al tuo campione.»
L’onnipresente globo di fuoco, sospeso sopra le nostre teste, si estinse tutto a un tratto, precipitando tutto in una fitta penombra. Una luce prese a pulsare dal fondo della bacinella, disegnando a colori vermigli i lineamenti dell’altare e quelli concitati dell’elfo in attesa. Vi fu poi un bagliore più forte, seguito da un altro e infine un altro ancora, prima che dalle acque fluisse fuori una nebbia cremisi: dapprima informe, poi sempre più delineata in fattezze ben distinte. Una coda irta di scaglie e di spine, un muso allungato con zanne affilate come spade e ampie ali che avrebbero potuto oscurare il sole.
Caddi in terra, strisciando all’indietro verso il muro. Persino il viso del Dunmer, solitamente imperturbabile, si piegò in una smorfia tesa. Dalle nostre labbra quelle due parole sgusciarono lentamente, pregne del terrore di arcane forze dimenticate e promesse di calamità.
«Un… Drago.»



Uscendo per un attimo dalle mie vesti di narratrice volevo informarvi, miei silenziosi lettori, che con questo capitolo si chiude il primo "arco narrativo" e se ne apre un secondo. Per un po' metteremo da parte Anja e il nostro tenebroso Bierslinger per rivolgerci ad altri lidi. Nel frattempo sarei curiosa di sapere se la storia vi sta intrigando o se avete suggerimenti/critiche/domande/osservazioni da fare.
Devo ammettere che la sto buttando giù senza troppe pretese ma che i personaggi e le vicende che ho in serbo per voi mi fanno già prudere le mani!


 

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