Tony si chiude spesso nel suo laboratorio con un bicchiere di scotch e un'aspirina nel palmo della mano, un'abitudine che ha sviluppato nel tempo e che anche adesso, con il sangue che gli sporca le dita e il corpo puntellato di viola, è ancora restio ad abbandonare; un'abitudine di cui Bruce, a quanto pare, ha deciso di fregarsene, perché se Tony può afferrargli la mano e trascinarlo fuori dalla sua cella, allora lui non sarà da meno e per questo non si fa scrupoli ad usare quel codice che solo lui possiede, entrare, afferrare il bicchiere che ha tra le mani ancora tremanti e iniziare e medicarlo, incurante delle mille proteste a cui, alla fine, neanche Tony ci crede davvero.

Di tutta quella situazione Tony è solo un effetto collaterale, mentre Natasha, assieme ai suoi peccati, ne è stata la scintilla e avrebbe dovuto restarne il fulcro, eppure la pallottola designata a segnare la sua fine resta intrappolata nella canna della pistola del loro rapitore e Tony blatera, con domande stupide e irrilevanti, ottenendo in cambio solo pugni e calci che ben presto lo porteranno alla morte; forse è proprio quello il suo obiettivo, morire per primo così da non dover assistere alla stessa sorte inflitta su di lei, ma poi Natasha si rende conto di aver commesso un errore di giudizio: Steve e gli altri giungono a salvarli e Tony ringrazia gentilmente il loro rapitore per avergli dato tutte le risposte giuste che J.A.R.V.I.S., attraverso il comunicatore ingegnosamente nascosto nella manica destra della camicia, ha trasmesso agli altri permettendo loro di trovarli.

Ha solo bisogno di un minuto, un minuto per pensare, mettere in ordine le idee – J.A.R.V.I.S. è morto – accettare – è colpa mia – e trovare una soluzione – è colpa mia è colpa mia è colpa mia – ma gli altri hanno domande che pretendono risposte e Tony un minuto non ce l'ha; allora si scaglia con un cuore ancora grondante di perdita e rimorso: il sarcasmo è tutto ciò che gli rimane.

A volte accadeva che Tony non riuscisse a respirare, raggomitolato sulle lenzuola con la fronte madida di sudore e Pepper alle sue spalle ad accarezzargli i capelli, nel vano tentativo di offrirgli un conforto che però era impossibilitato a riconoscere: tutto ciò che avvertiva erano le schegge nel petto e la paura che forse quello era il giorno, il giorno in cui sarebbe morto perché era sopravvissuto quando non avrebbe dovuto.

La cenere pizzica al contatto con le sue ferite ma non brucia – è un tocco leggero che si dissipa nell'aria – e Tony realizza, sente gli occhi bruciare e i contorni dileguarsi in un ammasso indistinguibile di colori, mentre il respiro gli resta incastrato nell'esofago e il panico si innalza a sovrastarlo, un vecchio nemico che risorge dalle ceneri: sono tutti morti dinanzi ai suoi occhi perché lui, lui che è sopravvissuto, non è riuscito a salvarli.

Il tempo sembra mettersi in pausa e lo scudo, ancora imperniato nel reattore – il reattore, non il viso, il reattore – trema appena sotto il respiro affannato di Steve, Steve che lo guarda con gli occhi un po' sorpresi e Tony si domanda se anche lui, forse solo per un momento, ha creduto di ucciderlo; stupido, perché Steve non lo farebbe mai, ma poi è davvero quella la realtà o è solo una menzogna cui, in quell'eterno attimo di pausa, entrambi hanno cercato di credere? Il tempo torna a scorrere, Steve si allontana e Tony può di nuovo respirare, lasciando che la rabbia spinga nei recessi della sua mente una domanda cui non vuole davvero trovare risposta.

L'armatura è sangue che sgorga da una ferita aperta e Tony la sente sgretolarsi attorno al suo corpo, mentre arretra di un passo, due, i piedi che affondano nella terra e Thanos – un colpo dopo l'altro – ride, perché sente già la vittoria premergli nel palmo della mano; Tony è stanco, ferito, appesantito da quella che ormai è solo un'accozzaglia di metallo, ma nonostante questo alza le braccia per parare un altro colpo e non si arresta, poiché la verità è che non è mai stata l'armatura a fare di lui un eroe: Iron Man e Tony Stark sono sempre stati una cosa soltanto.

“Mi dispiace, Tony” è quasi un sussurro strozzato, ma Pepper si sforza di guardarlo in volto – non farlo, non me lo merito – e poi si volta e scompare oltre la porta; lui vorrebbe dire qualcosa, vorrebbe fermarla, implorare anche, ma ha perso la voce in un buco nello stomaco, parole inghiottite da un dolore al centro del petto dove il cuore sembra finalmente cedere, spezzarsi, cadere in mille schegge, e Tony si sente morire, perché in fondo sa, che oltre se stesso, non ha altri da biasimare.

«Andiamo, Rhodes... andiamo, svegliati» mormora in modo continuo senza neanche rendersene conto, mentre le mani aleggiano impotenti sul suo volto inconscio; sente F.R.I.D.A.Y. chiamare un'ambulanza e avverte la presenza di Sam, è vicino ma non troppo, e se i suoi pensieri fossero più coerenti potrebbe trovare divertente il fatto che Falcon rimanga a una distanza di sicurezza, spaventato da un'altra possibile reazione dei suoi propulsori, ma la coerenza è andata a farsi benedire da tempo, perché Tony è in ginocchio sull'asfalto di un aeroporto in Germania con Rhodey immobile sotto di lui e quel mormorio continuo che non può permettersi di cessare.

Tutto quello che ha fatto – sacrificato – è stato perché ci ha creduto: gli Accordi sono stati un compromesso necessario che col tempo Tony pensava di rendere un qualcosa di più, un qualcosa di meglio, ed è ciò che avrebbero fatto – insieme – come il team che hanno sempre creduto di essere; eppure adesso che gli accordi sono stati approvati, acclamati anche, Tony pensa ai segni indelebili di uno scudo abbandonato e sulla punta della lingua può soltanto assaggiare il sapore acre, e fin troppo familiare, del fallimento.

La gamba brucia, il sangue ha ricominciato a scorrere e Tony sente la propria coscienza scivolare via passo dopo passo, mentre pensa che morire da solo sul ciglio di una strada deserta perché era stato abbastanza stupido da lasciarsi rapire - di nuovo - non era esattamente il modo in cui aveva pensato di andarsene, sopratutto quando cade in ginocchio, gli occhi iniziano a pizzicare e si maledice, perché non è il momento di mettersi a piangere per delle ginocchia sbucciate; è solo che è così stanco e forse, di chiudere gli occhi e riposare, potrebbe anche permetterselo, ma poi viene sollevato in aria, il volto che affonda in un petto troppo grande, troppo verde, e sente un “trovato” che è più un ruggito che una parola: Hulk non gli permetterà mai di dormire adesso e Tony sorride, perché forse non è quello il giorno in cui gli toccherà morire da solo.

Sono dieci minuti ormai da quando Rogers ha iniziato a parlare e Tony ha cercato di ascoltarlo – davvero – ma è stanco ed è abbastanza sicuro di avere un paio di costole incrinate perché sente di non avere abbastanza ossigeno nei polmoni e la testa ha iniziato a farsi leggera e – sul serio, Cap – ascoltarlo a volte può essere una vera e propria tortura; ha fatto una scelta e forse sarà pure stata avventata, ma se grazie ad essa ha salvato delle vite, allora Tony si rifiuta, categoricamente, di definirla sbagliata.

«Tony... c'è stato un incidente», dopo è come essere avvolti da una nuvola di fumo, intrappolati all'interno di un'ampolla di vetro, tanto è vero che non ricorda di esser stato al loro funerale, né di aver fatto i bagagli per tornare a casa né i fiumi di alcol che il suo corpo sembra aver ingurgitato, fino a quando gli sembra di intravedere una crepa nel vetro, una linea frastagliata che cresce giorno dopo giorno e a un certo punto l'ampolla esplode e Tony è nel bagno, il volto che sovrasta la tavola del water mentre il suo stomaco si ribella, facendogli rigettare tutto il veleno che ha finito per ingoiare; Jarvis è alla sue spalle e quando il peggio sembra esser passato, Tony si lascia cadere tra le sue braccia e non gli importa, al momento, di mostrarsi debole: gli uomini Stark sono fatti di ferro, ma anche il ferro, a quanto pare, può essere spezzato.

Pepper gli morde giocosa le labbra e le sue dita si infilano abili sotto la camicia, sollevandone il bordo quel tanto che basta purché una brezza leggera gli lambisca la pelle attorno all'ombelico; è percosso da un brivido, si scosta bruscamente e Tony la guarda senza davvero riuscire a vederla – è buio e fa freddo e c'è il vuoto ad inghiottirlo pezzo per pezzo - mentre Pepper sussurra preoccupata il suo nome, una, poi due volte, fino a scuoterlo, fino a quando Tony è di nuovo lì, chino su di lei con un “sto bene, non ti preoccupare” sussurrato sulle labbra, ogni sillaba tinta dai colori malcelati di una paura che non riesce ancora ad ammettere.

C'è un'impronta rossa sulla divisa di Steve, lì dove Tony ha poggiato la mano e ha cercato di smuoverlo, di toglierlo di mezzo quando gli si è parato davanti per impedirgli di andare da Pepper, fare qualcosa, qualsiasi cosa, perché c'è ancora tanto di quel sangue davanti ai suoi occhi e si sente annegare, ma Steve non si muove e lo costringe a sedersi, una mano sulla spalla per impedirgli di alzarsi e correre in sala operatoria, dove da qualche parte nella sua testa sa che peggiorerebbe solo le cose; gli tremano le mani, si sente tutto ad un tratto spossato ed è evidente che non è più in grado di alzarsi, ma Clint, Natasha, Bruce e Thor sono tutti lì da qualche parte e la mano di Steve rimane sulla sua spalla, abbastanza calda per distrarlo da tutto quel rosso che gli macchia le mani, abbastanza perché non senta il bisogno di scrollarsela di dosso e innalzare muri già crollati, e pensa – spera, prega – che forse, per una volta, andrà tutto bene. 

Si infila nella prima stanza vuota che riesce a trovare, chiude la porta - mastica una mezza maledizione quando la sente cigolare – e poi si lascia scivolare contro il muro, fino a quando non si ritrova seduto con la testa inclinata all'indietro e gli occhi chiusi, cercando di calmare il proprio respiro: ha il fiato corto perché è mezz'ora che corre, perché ci sono persone lì fuori con pistole e cattive intenzioni, perché è solo, lontano da casa, senza alcun modo di chiamare a sé l'armatura e con solo tre pallottole e una pistola tra mani che non smettono di tremare ed è terrorizzato e si sente stupido, perché è fuggito da solo da una stramaledetta caverna da rapitori ben più competenti di quelli attuali, quindi deve darsi una cazzo di calmata in modo da riuscire, finalmente, a pensare; prende allora un respiro profondo, poi due, il tremito delle mani ancora presente, ma abbastanza sotto controllo perché possa impugnare la pistola senza rischiare di spararsi un piede, e poi apre gli occhi: aspettare di essere salvato non è mai stata un'opzione fattibile, quindi è tempo di alzare le chiappe e salvarsi da solo.

«Mr. Stark?», il bicchiere gli scivola dalle mani e cade sul pavimento, si frantuma, ma il suono che ne deriva resta inghiottito nel vuoto, il quale lo avvolge immediato come la mano di un gigante intenta a stritolarlo; chiude gli occhi, le dita strette sul bordo del lavello, il cuore che batte forte, in attesa, trepidante, ma il silenzio si propaga e Tony sospira – Dio, è così stupido – mentre piano apre gli occhi e si volta: alle sue spalle, ormai, c'è soltanto l'eco di un ricordo lontano. 

*  *  *

N/A: Se non si era capito, perchè purtroppo mi rendo conto che a distanza di un anno e qualcosa potrebbe non essere chiaro, l'eco che Tony sente è la voce di Peter.

Ne ricordava le spalle larghe, gli sguardi gelidi e la voce distratta; odiarlo era stato più semplice che ammettere di sentirne la mancanza, ma adesso Tony dice «So che hai fatto del tuo meglio» perché ha capito, perché ricorda lo sguardo di un padre che avrebbe voluto fare di meglio ma senza sapere come e si rammarica di tutto il tempo perso ad odiare un uomo che in fondo, anche se a modo suo, lo ha sempre amato con tutto se stesso.

Ha il sapore del sangue in bocca ed è la sola cosa distinta che riesce a mettere a fuoco quando tutto il resto è solo un ammasso di colori annacquati, ma poi sente una mano tra i capelli, un leggero pizzicore sulla fronte e pian piano i contorni si fanno più chiari: è seduto su un lettino macchiato di rosso di quella che pensa sia la sala medica dello SHIELD e c'è Bruce accanto a lui con un panno bagnato che gli passa sugli occhi, macchiandolo così dello stesso rosso acceso che colora le lenzuola una volta immacolate; «Uno dei dottori si è avvicinato un po' troppo al reattore e gli hai morso la mano» gli sorride e Tony non capisce se stia cercando di sdrammatizzare la situazione o trovi divertente il suo ritrovato cannibalismo, ma poco importa ed esita, giusto una manciata di secondi, prima di sbottonarsi la camicia: gli porge il cuore su un piatto di sangue e lividi e sa, sa, che di Bruce, in fondo, può sempre fidarsi.

Ultron, gli Accordi e poi Thanos, un'altra colpa a gravargli sulle spalle, e Tony è stanco, stanco di combattere, di cadere e rialzarsi, stanco di stendersi su quel maledetto filo spinato e guardare il mondo bruciare nonostante tutto; «Non ho niente per te, Cap» perché ha già dato tutto quello che aveva, ha fatto tutto quello che poteva e non è stato – non lo è mai – abbastanza.

Si sveglia con il ricordo del fuoco a lambirgli braccio e parte del viso: il dolore fantasma di quello che un tempo era stato un arto ancora attaccato al suo corpo e dove ora risiede un vuoto troppo pesante, troppo abbagliante, al punto che Tony non riesce nemmeno più a guardare; nella sua testa si apre l'ennesima schematica di un braccio in metallo e le dita, le uniche rimaste, fremono per mettersi a lavoro, ma c'è del rumore di sottofondo a distrarlo e quando Tony, a fatica, riesce ad alzarsi dal letto e a dirigersi in cucina, vede Steve e Clint ai fornelli, Pepper e Morgan che apparecchiano la tavola, Thor e Bruce impacciati sul da farsi e sorride, mentre sente il vuoto farsi più leggero e le mille idee dissiparsi nella sua testa: il lavoro può attendere, dopotutto è ora di cena.