I problemi della neolingua

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima ***
Capitolo 2: *** Parte seconda ***



Capitolo 1
*** Parte prima ***


MESSAGGIO DI INTRODUZIONE AI LETTORI: Pubblico oggi questa storia, divisa in due parti, nata da una riflessione di molti anni fa. Lessi “la fattoria degli animali” in una notte d’estate di quando avevo 16 anni, e solo a 18 trovai il coraggio di affrontare “1984”, in inglese, perché fu il nostro professore a farcelo studiare.
Tra i due “La fattoria degli animali” rimane il mio preferito, tanto da averlo in un caso anche riletto. Mentre 1984 non mi appassionò allo stesso modo. Anche se, e non sono solo io a dirlo, è sicuramente uno dei libri più importanti mai scritti, non sono stata molto a mio agio mentre lo leggevo la prima volta. E non parlo dell’inquietudine che quest’opera, giustamente, suscita in qualsiasi lettore; parlo di una sensazione diversa e molto più viscerale.
Una cosa però mi ha intricato: cercare di scoprire se c’era qualche altra possibilità per “fregare” il grande fratello e farla franca, così come quali difficoltà avrebbe potuto incontrare in un sistema così “perfetto” sulla sua strada.
A volte le cose non vengono cambiate dalla volontà degli uomini o dal buon senso, ma da piccole sviste che gradualmente spostano l’asticella verso un’altra direzione.
Andando all’università ho studiato linguistica e riflettendo sulla “neolingua di Orwell” alla fine ho avuto questa idea. Come ho già detto, non ho riletto mai il libro, e avendolo letto in inglese alcune cose le riporterò in questo racconto con quel linguaggio (come “notgood” al posto di “sbuono”). Dunque se farò degli errori segnalatemeli e provvederò a correggerli. Se poi la storia dovesse essere totalmente sbagliata la rimuoverò del tutto.
Ci tengo a precisare che è un racconto scritto con intento “parodistico” nel senso di messa in ridicolo non dell’opera in sé, che rimane grandissima, ma semplicemente di un elemento al suo interno, la Neolingua, che per quanto cupo e tremendo può avere, secondo me, dei risvolti anche “divertenti”. Un approfondimento sul ragionamento fatto per scrivere questa storia sarà esposto nella parte due della stessa. Buona lettura!
 
I problemi della neolingua
 
Nel 1994 le cose, a Londra, non andavano molto bene.
Gli schermi avevano bisogno di manutenzione continua, le parole trasmesse erano disturbate dalle potenti onde radio dell’Eurasia (che ormai aveva sorpassato abbondantemente l’Oceania in tecnologia) e in più era capitato un fatto che mai prima nella storia della città, anche quella che si cercava ancora di far dimenticare, era accaduto: il 26 ottobre del 1993, alle ore 20:30, la terra aveva tremato per 57 secondi. Subito dopo la corrente era andata via, lasciando al buio per un minuto intero tutta la città.
Perfino l’ufficio di O’Brien, che stava stilando un rapporto nel suo ufficio al Ministero dell’Amore, si era ritrovato all’improvviso immerso nell’oscurità e nel silenzio.
Con gli occhi spalancati, O’Brien si era subito proiettato in tutti i possibili futuri immaginabili, ben consapevole che un fatto tanto incredibile e per nulla previsto, avrebbe avuto delle conseguenze.
Quando mai infatti, e lui lo sapeva, Londra era stata zona sismica?
Le parole “sisma”, “terremoto” e tutte quelle ad esse associate, esistevano ancora? Quanto erano usate dai prolet? E se l’Eurasia avesse registrato il sisma? Sarebbe stato un segno di debolezza?
E se quei ribelli a cui dava costantemente la caccia avressero approfittato del buio per fare qualcosa?
Quanto sarebbe durato quel buio?
Tempo che la mente elaborava la domanda che ecco che la luce tornava.
Nel mese successivo, tutto sembrava essere stato dimenticato: nessuno aveva parlato, né a lavoro né altrove, della faccenda. La gente era apparsa come più spaventata, ansiosa e stressata del solito. Ma tutto sommato, i superiori di O’Brien avevano gioito di tale condizione generale.
Poi però, erano iniziate a capitare delle cose strane.
Le persone avevano iniziato ad usare, in modo anormalmente smodato, la parola “good”, buono.
Le telecamere nelle strade iniziarono a registrare passanti che venivano fermati da altri passanti e iniziavano conversazioni al limite dell’assurdo. O almeno così pensavano coloro che le monitoravano dai ministeri.
 
“Volevo solo dirle, signore, che lei è molto buono.”
 
“Non trova anche lei che il Grande Fratello sia buono?”
 
“Ci protegge, ci controlla per salvarci, il Grande Fratello è proprio buono.”
 
“Lavoro nella fabbrica di armi che hanno da poco costruito in provincia. Il mio capo è molto buono.”
 
“Questa città è piena di persone buone.”
 
Chi le ascoltava riferiva poi, nei rapporti stilati giornalmente, che qualcosa in quelle conversazioni non andava, eppure non sapeva mai spiegare cosa.
O’Brien ricevette centinaia di segnalazioni di “possibili ribelli” ma basate solamente su sensazioni.
 
“Oggi il signor Glasgow ha usato la parola buono per circa venti volte, quindici sul posto di lavoro. Forse voleva dare un segnale in codice ad alcuni colleghi.”
 
“La signorina Patterson insiste a riferirsi al Grande Fratello, come buono, ma quasi in ogni conversazione che ha. Che sia un modo per  coprire un inizio di dubbio e ribellione?”
 
“Attraverso il confronto di oltre diecimila frasi registrate in un gruppo di prolet costituito da 114 persone tra le 11 e le 12 di oggi, la parola ‘buono’ è stata usata circa 11.237 volte.”
 
Alla fine la lista dei sospetti divenne così corposa che O’Brien dovette elevare a pari grado uno dei suoi collaboratori, un certo Winston Wolf, permettendogli l’accesso a molte più informazioni in modo da essere aiutato a capire meglio il perché di quella strana situazione che non faceva altro che “peggiorare” di giorno in giorno.
Finchè alla fine, qualcuno notò qualcosa.
Il 2 febbraio del 1994, O’Brein e Wolf vennero convocati nel cuore della notte a Trafalgar Square, dove era stato installato da poco un nuovissimo schermo enorme su cui passavano le notizie del giorno ed eventuali avvisi, oltre ovviamente a ricordare ai cittadini l’importanza del lavoro, la protezione data dal Grande Fratello, gli slogan (la guerra è pace, la libertà è schiavitù, e tanti altri inventati nel corso degli anni) e qualunque altro tipo di messaggio propagandistico, volto a tenere i cittadini al loro posto.
Quello schermo era ormai diventato un’abitudine, per questo le autorità avevano notato “l’anomalia” solo all’improvviso.
Tale anomalia fu mostrata a O’Brien e Wolf nel cuore della notte con il supporto di diversi tecnici, mentre la psicopolizia aveva formato un cordone per impedire alla gente di avvicinarsi e richiesto agli abitanti delle case di oscurare con tende o serrande tutte le finestre.
I messaggi erano scritti in bianco su sfondo nero e trasmessi con piccoli intervalli di pochi secondi tra l’uno e l’altro, durante i quali lo schermo diventava o completamente nero o completamente bianco.
Ebbene, quando diventava bianco, si poteva leggere un messaggio che era stato dipinto, con vernice nera, sullo schermo stesso:
 
GOOD=NOTGOOD  NOTGOOD=BAD  BAD=TURD  GOOD=TURD
 
(Tradotto: Buono=Non Buono  Non Buono=Cattivo Cattivo=Stronzo  Buono=Stronzo)
 
In basso, non troppo in grande, ma perfettamente leggibile, ecco il messaggio che aveva accelerato così tanto l’uso della parola “buono” nelle conversazioni. O almeno, quella era l’idea che avevano le autorità in merito.

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Capitolo 2
*** Parte seconda ***


“Credevo che la parola ‘Stronzo’ ormai non esistesse più.” Esclamò all’improvviso Wolf.
O’Brien alzò la testa, china ormai da più di mezz’ora sul foglio ancora in bianco dell’ennesimo rapporto da stilare. Non riusciva a scrivere nulla quel giorno, non poteva proprio, anche perché ogni interrogatorio svolto era stato infruttuoso.
Non erano state rinvenute impronte digitali significative sullo schermo, la vernice usata per la scritta era di un tipo che chiunque poteva tenere in casa. Per quanto il colore nero fosse inusuale, era nata per un periodo una moda (comune a prolet come a membri del partito) di dipingere le mura su cui erano attaccati gli schermi di nero.
Le lettere erano state scritte in stampatello, senza usare uno stile particolare.
Era ovvio che aveva agito durante il terremoto, altrimenti sarebbe stato sicuramente individuato, questo però significava che quella scritta era stata bene in vista per mesi senza che nessuno l’avesse segnalata. Almeno tra i prolet che, forse, l’avevano letta. Impossibile di dire quanti di loro fossero. Ed era possibile che anche membri del partito e della psicopolizia (il primo segnalatore era proprio un giovane cadetto) l’avessero letta senza fare nulla.
Lasciando passare il tempo, che aveva cancellato – se mai ce ne fossero state – tutte le tracce.
Sembrava proprio che il misterioso scrittore non sarebbe mai stato ritrovato; in quel caso non restava altra scelta se non quella di ricorrere al buon vecchio “capro espiatorio”.
Ma chi prendere? Per fortuna quel tipo di decisione non spettava a O’Brien, al massimo gli avrebbero chiesto un parere tra una rosa di nomi decisa da altri.
“Non rientra esattamente tra quelle proibite, anche perché nell’ora dell’odio il turpiloquio è ammesso. Ma era effettivamente passata abbastanza di moda. Ma le parole sono dure a morire, più delle persone. Lei Wolf è stato al ministero della verità prima di venire qui. Queste cose le dovrebbe sapere.” Fece O’Brien seccato.
Non aveva voglia di chiacchierare, ma si rendeva conto che non poteva più lavorare.
“Infatti, ma mi sono fatto spostare qui proprio perché al ministero della verità mi annoiavo a morte. E comunque sono bravo a usare le parole più che a cancellarle!” esclamò Wolf esibendo un largo sorriso. Lo stesso mostrato durante molti interrogatori svolti a fianco di O’Brien per imparare il mestiere. O’Brien si domandò se quel giovane, dall’aria apparentemente pacioccona, fosse realmente leale al Grande Fratello, o se semplicemente si divertisse a mettere in difficoltà i prigionieri, spingendoli a volte al pianto disperato, con il semplice uso di frasi ben confezionate.
A livello di manipolazione, lo superava altamente. Forse non era il massimo in quanto lealtà, ma era l’aiuto migliore che avesse mai avuto.
“Già, lei è molto bravo a usare le parole.” O’Brien prese il foglio tra le mani “Tanto che le voglio affidare l’ultimo rapporto rimasto.”
Wolf sorrise di nuovo.
“Non ha voglia di lavorare oggi, signor O’Brien?”
“Non ho mai detto questo.”
“A volte non servono le parole. Lei dovrebbe saperlo bene, lavora al ministero dell'amore, dopotutto.”
Questa volta, O’Brien ricambiò il sorriso del suo interlocutore, apprezzandone sinceramente la capacità di riuscire ad avere sempre l’ultima parola e tirò su le mani in segno di resa.
“Comunque per me non è un problema finire il suo rapporto. Mi aiuterà ad allenarmi.” Proseguì Wolf.
“Più che finirlo direi iniziarlo. Non sono riuscito a scrivere neanche una parola. Quel prolet, James Anderson, non sapeva nulla per davvero. Quando ha detto che non sapeva nemmeno che ci fosse uno schermo a Trafalgar Square, diceva la verità. Ho controllato dei vecchi filmati, ci passava sempre davanti per andare al lavoro, ma sempre a testa china e sguardo vuoto.”
“Allora scriverò questo.”
O’Brien lasciò Wolf al lavoro. Si accomodò sulla sedia e chiuse gli occhi come per rilassarsi.
“Signor O’Brien?”
O’Brien aprì un occhio, uno solo, per osservare il collega.
“Cosa c’è, Wolf?”
“Quanti anni ha lei?”
“Questa è una domanda a cui non risponderei mai, neanche se torturato da qualcuno come lei.”
“Nemmeno di fronte alla 101?”
O’Brien saltò sulla sedia, facendo anche sobbalzare Wolf.
“LA CAMERA 101 NON È UN GIOCO! NON SI AZZARDI MAI PIÙ A PARLARNE!”
Wolf si fece piccolo piccolo alzando le mani.
“Mi scusi! Mi scusi! È solo che vorrei sapre….”
“La mia età non è affar tuo, ma sono abbastanza vecchio per farle passare dei guai se riproverà a nominare la 101, CHIARO!?”
Nel silenzio che seguì O’Brien tornò a sedersi. Wolf, tuttavia, non riprese a lavorare.
“Quindi lei c’era quando la neolingua è stata… inventata.” Domandò il giovane.
“Non si può parlare di invenzione, ma sì, io c’ero.”
“Allora mi dica una cosa: un’eventualità simile non è venuta in mente a nessuno?”
“In che senso, Wolf?”
“Beh, la possibilità che ridurre le parole si trasformasse da mezzo di controllo a incapacità di comprensione del controllato.”
Pausa.
O’Brien fissò Wolf e Wolf ricambiò appieno lo sguardo.
“Può ripetere?” domandò dopo un po’, O’Brien.
“Ci pensi bene, è ormai evidente che l’uso così smodato della parola ‘buono’ in giro avesse un secondo fine, ma è quasi impossibile da provare. L’unico modo sarebbe reintrodurre alcune parole, come ‘cattivo’ ad esempio. Ovviamente tutto è stato organizzato per un controllo a livello sociologico, ma poi il linguaggio si estenderà dentro al mondo del lavoro e lì darà un sacco di problemi. Pensi, ad esempio, se ‘funzionante’ e ‘rotto’, venissero gradualmente portate con la stessa logica, a essere una parola sola. Come si farà a capire se le cose effettivamente funzionano?”
Altra pausa.
O’Brein non riuscì più a reggere lo sguardo incognito di Wolf. Chinò la testa verso il basso, con gli occhi ancora spalancati.
“Beh, la neolingua è solo per i prolet…” mormorò “E comunque credevamo che ormai si fossero abituati all’idea che tutto ciò che li circondava non poteva essere altro che ‘buono’. Al massimo ‘sbuono’, ma non di più…”
“Uno zoppo” lo interruppe Wolf “si abitua al suo zoppicare. Ma se nella vita gli fosse data un’occasione per camminare, penso che la coglierebbe al volo.”
O’Brien tornò a fissare Wolf.
“Infatti c’è il Ministero dell’Amore per questo.”
“mmmh.” Fece Wolf. Sembrò tornare al lavoro e invece rialzò subito lo sguardo verso O’Brien. “Sì d’accordo, ma come si fa se - ?”
La domanda fu bruscamente interrotta da un suono.
Un lungo e cupo tuono, che però O’Brien riconobbe subito: era lo stesso suono che aveva preceduto la scossa del 1993.
Infatti, poco dopo, la terra cominciò a tremare. Le penne nei portapenne tintinnarono forti, le scrivanie si spostarono a destra e a sinistra e una piccola crepa si aprì nell’intonaco del muro alle spalle di Wolf.
Wolf e O’Brien rimasero immobili con gli occhi sgranati. Era evidente che la scossa era più forte di quella dell’anno prima e sembrò durare molto di più.
A nessuno dei due venne in mente di buttarsi sotto la scrivania, non lo avevano studiato in passato e di certo non avevano studiato nulla dopo la prima scossa: era stata una faccenda da dimenticare al più presto, anche perché tutti speravano non si sarebbe ripetuta.
Poco prima della fine della scossa, la città tornò a immergersi nel buio e così il loro ufficio.
“Oddio… questo non potrà più essere nascosto.” Pensò O’Brien immerso nell’oscurità.
 
***
 
“Il Ministero della Verità sta già preparando dei comunicati. Quello che ci preoccupa è che la scritta possa essere riapparsa.”
O’Brien annuì alle parole del superiore. L’ufficio di quest’ultimo era stato molto danneggiato dalla scossa e un prolet era stato chiamato per spazzare via l’intonaco caduto. Si era anche deciso di lasciare per alcuni giorni il Ministero dell’Amore libero, così da poter riparare al meglio i danni.
O’Brien avrebbe quindi avuto alcuni giorni di libertà.
“Passi per Trafalgar e se vede qualcosa lo segnali.”
“Sì, signore.”
“Molto bene. Buonanotte. Ah, un’ultima cosa.”
“Dica signore?”
“Quando tornerà, il signor Wolf non sarà più con lei.”
Pausa.
“Perché signore?”
“Abbiamo deciso di arrestarlo. Lo accuseremo del primo murales. Accusarlo del secondo sarebbe già più difficile, ma per il primo non ha alcun alibi importante. Il 26 ottobre dell’anno scorso si era preso un giorno libero senza specificarne i motivi.”
Pausa.
“Mi scusi…” O’Brien sapeva che rischiava molto a provare a replicare a un suo superiore, ma non riusciva a capire perché tra tanti prolet, dovevano andare a scegliere un membro della sicurezza tanto valido “Ma voglio sapere almeno il perché, perché Wolf. Mi trovo bene con lui. Ha la lingua sciolta perché è giovane, ma può imparare…”
“Troppo sciolta per la nostra opinione. Abbiamo ascoltato la conversazione che avete avuto stasera. Ha avuto un’intuizione importante, che al suo livello non avrebbe dovuto avere. O che comunque avrebbe dovuto tenere per sé.”
Pausa.
“Mi scusi, ma ci avete ascoltato?”
“Adesso abbiamo installato dei trasmettitori audio anche negli uffici. Non ha letto l’informativa inviata? Abbiamo fatto tutto dopo la prima scossa a seguito della sparizione di alcuni documenti importanti.”
“A dire il vero… credo mi sia sfuggita…”
Senza scomporsi il superiore tirò fuori un pacco di fogli dal cassetto.
“Eccola qua. Se la legga a casa. Le sto risparmiando di mentire nel caso ci sia un secondo murales, come le risparmierò di interrogare Wolf. Non posso concederle altro signor O’Brien.”
“Capisco… Buonanotte signore.”
“Buonanotte.”
 
O’Brien percorse il corridoio. Sostò qualche secondo davanti alla porta del suo ufficio. Wolf stava lavorando. Ancora. Ma non ebbe il coraggio di entrare per salutarlo.
Lasciò il ministero e andò dritto a Trafalgar square.
Era sera, ma giravano ancora molte persone, prolet che tornavano dal lavoro.
In piedi, immobile, in mezzo alla strada, O’Brien osservò lo schermo, dove un’immagine con sfondo un cerchio bianco in mezzo al nero, l’immagine del Grande Fratello, ricambiava il suo sguardo.
Sotto di essa “il grande fratello vi ama” a caratteri bianchi cubitali.
Proprio in quel momento un prolet inciampò sui suoi piedi e cadde davanti a lui. O’Brien lo aiutò ad alzarsi. L’ordinaria gentilezza era da sempre la sua copertura.
“Mi scusi se l’ho fatta cadere. Si è fatto male?” domandò.
“No signore, grazie comunque. Lei è molto buono.”
O’Brien a quelle parole si bloccò.
Osservò l’uomo ormai in piedi davanti a lui. Un uomo qualunque. Ma alle sue spalle troneggiava lo schermo proprio sopra la sua testa. L’immagine del Grande fratello era sparita lasciando posto a una schermata bianca vuota.
In alto (e subito O’Brien si chiese come avesse fatto ad arrivare fin lassù), con vernice nera e in stampatello, qualcuno aveva dipinto:
 
GOOD=NOTGOOD  NOTGOOD=BAD  BAD=TURD  GOOD=TURD
 
(Tradotto: Buono=Non Buono  Non Buono=Cattivo Cattivo=Stronzo  Buono=Stronzo)
 
E la scritta appariva come un grottesco fumetto del pensiero al di sopra del prolet.
Per la prima volta nella sua vita, O’Brien capì che per quanti sforzi avesse potuto fare, lui e il partito non avrebbero mai avuto la certezza di controllare davvero ogni cosa.
Wolf aveva ragione: se a uno zoppo viene data la possibilità di camminare, non la butta via, anche se ormai è abituato a essere zoppo.
Tanto valeva prepararsi al peggio.

 
(da sempre la lingua fa parte dell’uomo. Essa non è solo un mezzo di comunicazione, ma anche di controllo. Orwell aveva parlato della neolingua molto prima che il concetto di “Analfabetismo funzionale” si diffondesse nella cultura comune. Eppure, anche un mezzo di controllo così efficace può sfuggire a chi lo costruisce. Un popolo che non riesce a comunicare forse non è in grado di difendersi e fare gruppo ma a quel punto potrebbe non essere più in grado neanche di comprendere gli “ordini” che gli vengono impartiti, non obbedire e non lavorare in modo corretto. È quello che recentemente è capitato in molti ambienti di ambito scientifico e/o militare. Ed è anche vero che, siccome l’umano ha bisogno di esprimersi, se non può più usare la parola (e cercherà di farlo sempre, magari a inventare nuovi codici linguistici a volte indecifrabili, come gli slang o i linguaggi in codice delle bande) userà allora un altro mezzo da sempre a sua disposizione, ovvero la violenza; e negli USA, in questi giorni ma anche prima, accade proprio questo. Molte dittature del passato sono cadute per problemi di comunicazione mancata, perché per paura di una ritorsione da parte del “capo” le cose non sono state dette chiaramente. La lingua è sempre stata un’arma a doppio taglio e se non usata bene può fare molti più danni ai controllori che ai controllati. Questo è solo uno dei tanti ragionamenti che mi hanno fatto pensare che forse un modo per arginare il Grande Fratello poteva trovarsi proprio tra le pieghe di ciò che aveva creato, come ad esempio la neolingua. Non esistono dittature perfetti o sistemi perfetti e non esisteranno mai. Ci sarà sempre un margine, dato dall’imprevedibilità della vita, da madre natura, e dal fatto che molti degli esseri umani azzoppati in realtà fingono di essersi abituati alla loro condizione; ma basta dargli un’occasione per tornare a camminare ed ecco che la coglieranno al volo. Il problema semmai è che il più delle volte quell’occasione porterà il nome di “violenza”. Grazie a chi è arrivato a leggere fino a qui. Alla prossima!)

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