RICORDI

di Elbeth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ricordi - Di vacanze estive ***
Capitolo 2: *** Ricordi - Di bacchette ***
Capitolo 3: *** Ricordi - Di difesa (contro le Arti oscure?) ***
Capitolo 4: *** Ricordi - di profezie ***



Capitolo 1
*** Ricordi - Di vacanze estive ***


Di vacanze estive 
(tra il 3° e il 4° anno ad Hogwarts)


Fissavo con le braccia conserte le dolci colline che si stendevano davanti ai miei occhi, come un immenso mare di verde, mosso appena dalla brezza del vento estivo.
Le vacanze stavano quasi terminando, i mesi estivi erano passati velocemente.
Ed io ero triste.
Immensamente triste.
La mia casa, il mio castello erano sempre stato il mio rifugio, ma in quei tre mesi quella che era la mia protezione si era rivelata la mia prigione. Così mi ero sentita in quei tempi. Chiusa in un gabbia dorata, dalla quale non potevo uscire, le cui mura mi impedivano di guardare oltre e di andare dove avrei desiderato. Londra in quel caso. In fondo la Scozia non era molto distante e avrei potuto chiedere a Richard di accompagnarmi.

Tante volte in quei lunghi giorni il vecchio maggiordomo m’aveva interrogata su cosa avessi, ma mi ero chiusa nel mio solito silenzio. Non mi accorgevo dello sguardo preoccupato con cui mi fissava, quando non lo vedevo, né che preparava ogni sorta di manicaretto che potesse farmi piacere.
Riuscivo solo a sentire quella strana sensazione di vuoto, che neanche lui riusciva a colmare.
All’inizio era andato tutto bene. Mi aveva scritto, quasi un gufo al giorno.
E non erano solo lettere, ma anche poesie: c’era tutto di lui in quello che scriveva, c’era tutto di noi.
Ce lo eravamo promesso, che quei giorni di separazione sarebbero passati in fretta e che ci saremmo rivisti presto, che nulla sarebbe cambiato in quella magica alchimia che si era venuta a creare tra noi.
Quando era diventato una presenza importante nella mia vita?
Non me ne ero neanche resa conto. Era successo e basta. Con semplicità, con naturalezza.
Sorrisi, mentre fissavo l’erba muoversi lentamente accarezzata dal vento.
Alla lezione di Pozioni, con l’Amortentia, lì avevo capito, per la prima volta, quanto in realtà tenessi a lui. Molto più di quello che dimostravo. Molto più di quello che gli dicevo e che già per i miei parametri era tanto!
Così mi ero sentita. Accarezzata dal vento. Lieve e dolce allo stesso tempo. Mi ero sentita protetta e amata in un luogo ostile e quel luogo, lentamente, era cambiato, diventando accogliente e felice.
Poi i gufi avevano iniziato ad arrivare qualche volta in meno, dopo i primi dieci giorni.
Poi, sempre meno.
Il sorriso morì sulle mie labbra.
Nelle ultime lettere era freddo, distante. E niente più poesie.
Ovviamente.
Certo, mi raccontava quello che faceva, ogni tanto coglievo qualcosa di diverso, ma non osavo chiedere. In fondo, non avevo alcun diritto di chiedere, né di pretendere.
Ed ora mi chiedevo se non fosse stato meglio per me rimanere nel mio guscio.
Ritornare ad essere un riccio e non un colibrì.
Chissà perché mi venne in mente quel ricordo, il primo legato a lui, nell'aula di Trasfigurazione per quella lezione speciale del nostro preside, la professoressa McGranitt. Forse perché un uccello aveva interrotto il flusso dei miei pensieri attraversando il cielo terso di agosto.
Sospirai vistosamente, mentre Richard silente alle mie spalle mi osservava con sguardo teso.
Iniziavo a crescere. E crescere non sempre era sinonimo di felicità e spensieratezza.
Poteva essere anche altro. Come in quel caso, per me.
Ormai era quasi da un mese che non si faceva più sentire e iniziavo a pensare che anche tornati a scuola, non sarebbe stato più come prima.
Abbassai la testa affranta.

Affrontare di nuovo Hogwarts con quel peso dentro al cuore: ce l’avrei fatta? Di nuovo?
Un bacio fugace poggiato con dolcezza sul mio capo, fece pizzicare i miei occhi dalle lacrime.
Non volevo che Richard mi vedesse piangere. Lo avevo fatto, certo. Ma la notte, nel buio della mia stanza, singhiozzando silenziosamente. Quando nessuno poteva vedere, quando la mattina avrei potuto negare che fosse successo, come se ogni giorno che il sole sorgeva il mio oggi fosse uguale al mio ieri e fossi sempre felice e spensierata.
Mi poggiai all’indietro, contro il mio vecchio amico, e mi lasciai avvolgere dal suo abbraccio.
“Sei forte. Qualsiasi cosa ti sia accaduta, piccola mia, passerà”
Mi irrigidii. Volevo che passasse? Volevo che il ricordo degli occhi, del sorriso, delle risate, si cancellasse? Volevo che quella carezza lieve che aveva invaso - non richiesta e non voluta - la mia anima non ci fosse più?
Accennai di sì con il capo.
Non riuscivo a parlare senza scoppiare a piangere.
Senza che quella sensazione di vuoto e di silenzio mi invadesse di nuovo. E la malinconia…
Non volevo si preoccupasse per me.
Ero forte. Ovvio che ce l’avrei fatta.
Ero vissuta senza l’affetto dei miei genitori, avevo sopportato la lontananza da Richard, l’unico che mi avesse mai dimostrato amore e dolcezza, ero vissuta senza di “lui” per così tanto tempo. Cosa mi avrebbe impedito di farlo di nuovo?
Il mio sguardo si indurì un po’.
La mia determinazione era pari alla mia impulsività: Richard lo sapeva bene. Sapeva che quando mi mettevo qualcosa in testa, nulla mi avrebbe mosso dalla mia posizione, finchè non avessi ottenuto ciò che volevo.
E quello che volevo, ora, era semplicemente dimenticare.
“E se non voglio che passi?” osai chiederglielo, quasi temendo la risposta.
“Vuoi soffrire ancora?”
“No… ma non voglio dimenticare!”
 

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Capitolo 2
*** Ricordi - Di bacchette ***


Di bacchette
(poco prima di iniziare il primo anno ad Hogwarts)

Elbeth teneva la mano ben salda in quella di Richard. Diagon Alley era sempre una scoperta per lei: da quando erano rientrati qualche mese fa in Gran Bretagna, o più precisamente in Scozia, il suo paese natale, era già la seconda volta che il vecchio maggiordomo di casa Queen la portava lì. Il mese prossimo avrebbe iniziato il suo percorso studentesco ad Hogwarts e oggi facevano l’acquisto più importante: la sua bacchetta magica!

I suoi genitori erano fuori, in Perù, e come spesso accadeva, toccava a Richard occuparsi di lei. Ma in quel frangente il vecchio maggiordomo era stato particolarmente sollecito: voleva a tutti i costi accompagnarla a sceglierla. O meglio, a scoprire che bacchetta avrebbe scelto lei... perché misteriosamente le aveva confessato che era la bacchetta a scegliere il mago e non viceversa. Elbeth, con il suo carattere testardo ed impulsivo, lo aveva guardato un po’ scettica.
“Che fesseria è mai questa? Una bacchetta sceglie me?”
Non si capacitava di come fosse possibile, di come potesse accadere: eppure Richard era stato chiaro ed anche i suoi genitori glielo avevano confermato.
Ma la bimba era caparbia e voleva verificare.
Erano a questi pensieri che erano dovuti i suoi occhi brillanti e vivaci e… impazienti!
"Non mi tiri troppo, Miss! Le mie vecchie ossa non le stanno dietro."
Era la voce di Richard a lamentarsi. Elbeth arrossì e annuì.
"Scusa, Richard. E’ che sono impaziente…"
"Come sempre, Miss, come sempre…"
Rispose stancamente il vecchio.
Olivander! Il famoso negozio di bacchette, il più famoso negozio di bacchette era lì davanti a lei!! Gli occhi della bimba brillavano di felicità e le lacrime che aveva versato per l’ennesima delusione dei genitori, che non erano lì a sostenerla in quella scelta importante, erano solo un ricordo lontano. Si voltò raggiante verso Richard. Era felice che lui fosse lì a condividere quel momento.
"Ci siamo! Ma sei proprio sicuro che mi sceglierà lei? E se nessuna mi volesse?"
Lo disse a voce alta e timorosa, entrando nel negozio, mentre lo scampanellio della porta accompagnava il loro ingresso.
"E’ impossibile che nessuna nelle mie bacchette la scelga… Per quanto, in effetti, una volta è successo…"
L’anziano proprietario del negozio, che aveva udito il suo commento, la accolse con un tono non proprio amichevole, mentre un altro cliente, un ragazzo alto e riccioluto la fissò con un sorriso. Elbeth, di solito, vivace e loquace, abbassò lo sguardo a terra, improvvisamente intimorita dal tono asciutto di Olivander e dagli occhi scuri del giovane avventore che la fissavano. Richard, intuendo il suo disagio, intervenne.
"Non ha dormito tutta la notte. Era troppo eccitata all’idea di avere la sua bacchetta!"
"Il suo nome?" le chiese il negoziante.
"Elbeth Queen"
"Queen! Sì, ricordo! Suo padre era Grifondoro, ottima bacchetta, l’ha scheggiata al settimo anno, come oggi il ragazzo qui. Sempre impulsivi, voi Grifondoro: le bacchette vanno tenute con cura!" lo rimproverò il vecchio, gettando un'cchiataccia al ragazzino. 
Poi tornò a guardale la bimba. 
"Vieni qui piccola, lasciati guardare. Le dispiace?" si voltò a chiedere il permesso al giovane cliente.
"No, anzi, sono incuriosito!"
Il ragazzo le strizzò l’occhio e continuò a fissarla con dolcezza. Forse anche lui ricordava l’emozione dell’acquisto della sua prima bacchetta, mentre Olivander la osservava improvvisamente interessato. Richard era al suo fianco, mentre lei con un cipiglio spavaldo sotto tutti quegli sguardi puntati su di lei, si avvicinò al bancone.
"Mmmm.. sicura di sé per essere così piccola! Mmm… Forse, forse…"
Olivander sparì dietro gli scaffali immensi che arrivavano fino al soffitto. El tirò su lo sguardo e si perse nell’altezza dei soffitti che la sovrastava. Poi si sentì di nuovo osservata e quando riportò gli occhi ad altezza normale, incontrò ancora quelli scuri del ragazzo riccioluto, che si era comodamente spaparanzato sul  bancone e pareva godersi la scena. Aveva un viso simpatico e un bel sorriso, oltre a due occhi magnetici. Elbeth arrossì un poco, cercando sicurezza e conforto nello sguardo di Richard e distogliendo lo sguardo. Il vecchio maggiordomo le posò una mano sulla spalla e gliela strinse e lei si sentì subito rassicurata.
"Bene, mia cara ragazzina, prova questa! 11 pollici, nocciolo contorto e crine di unicorno! Sufficientemente flessibile… vediamo come và!"
Elbeth la prese in mano e un violento lampo verde uscì dalla bacchetta, che sfrigolò contro il legno del bancone bruciandolo. Ritrasse la mano, come colpita da una violenta scossa elettrica.
"Non mi piace!"
Fu il suo commento.
"Non è a lei che deve piacere, signorina! E’ alla bacchetta che deve piacere!" rispose piccato Olivander, mentre il ragazzo accanto a lei sghignazzava "Ma convengo che non è adatta. Lei, signorina Queen, è più irruente di quanto immaginavo. Troppo flessibile… veramente troppo flessibile per lei…"
E questa volta si inerpicò su un’immensa scala a raggiungere un cassettino in alto. Con molta lentezza tornò indietro.
"Ecco l’altra! 13 pollici, palissandro, cuore di scaglia di drago! Un po’ più dura come bacchetta, vediamo se riuscirà a domarla."
Elbeth la prese in mano e non accadde nulla. Assolutamente nulla. La bacchetta sembrava morta.
"Non mi vuole…"
Commentò sconsolata e ora legermente ansiosa.
"Sì, decisamente non la vuole! Troppo dura… mmm non fluisce… l’energia magica non fluisce…"
Mormorò, mentre fissava perplesso sul bancone, come a raccogliere il suo sapere e trovare la bacchetta adatta a lei. Lo sguardo di Olivander fu attratto da una bacchetta posata sul bancone: aveva una scalfittura, quasi invisibile, ed era poggiata di fronte all’alto ragazzo riccioluto. Fissò la bacchetta, fissò il ragazzo, fissò Elbeth. Se non avesse avuto quel cipiglio severo, la ragazzina avrebbe giurato di aver visto un sorriso spuntare sul suo viso. Ma l’espressione di Olivander rimaneva perplessa, come se ancora qualcosa gli sfuggisse.
"Ho le ultime due alternative signorina."
Elbeth si allarmò: e se non avessero funzionato? Si mosse impercettibilmente e nervosamente, mentre il suo sguardo finora sicuro e spavaldo, si rabbuiò.
"E’ impossibile che non la trovi da me, signorina Queen. Quindi, si levi dal volto quello sguardo terrorizzato!"
E scomparve di nuovo tra gli scaffali. Elbeth sospirò, continuando a rimanere perplessa e a mordicchiarsi il labbro inferiore. Lo faceva sempre quando era nervosa.
"Rilassati. E’ un momento veramente magico. Pensa a quando la impugnerai per la prima volta. Sono certo che accadrà tra poco!"
Era la voce del ragazzo che le parlava, ora. Elbeth lo fissò, muta e sorpresa. Annuì con la testa. Era stata tremendamente seria finora, ma di fronte al sorriso incoraggiante del grifondoro non poté fare a meno di sorridere anche lei: era contagioso. 
"Bene, signorina Queen. Le ho trovate."
La sicurezza di Olivander e l’incoraggiamento del misterioso ragazzo le infusero fiducia e speranza. Le due bacchette erano ora posate davanti a lei.
"9 pollici, ebano e cuore di pelle di basilisco, semi rigida."
Sentì Richard ed il ragazzo accanto a lei irrigidirsi un po’. Lei la fissava rapita dalla bellezza e dalla strana ed affascinante energia che emanava. Se Olivander non avesse parlato, l’avrebbe immediatamente afferrata per provarla. Ma parlò ancora.
"12 pollici e 1/2, legno di rosa e cuore in essenza di cenere di fenice, semi rigida."
"Ma…?"
Il ragazzo accanto a lei era scattato su e si era decisamente agitato!
"Semplicemente, ragazzo, la tua non è l’unica! Ma ognuna a suo modo e’ unica e speciale. La bacchetta chiama il mago, ma l’uso che il mago ne fa può essere molto molto differente. Il cuore della bacchetta è sempre unico ed unito al tuo cuore fa la differenza." Poi rivolgendo lo sguardo su Elbeth aggiunse "Sono certo che andranno bene entrambe: segui il tuo cuore."
Elbeth le fissò alternativamente. *Seguire il cuore…* Si ripeteva le parole di Olivander. La bacchetta di legno di rosa profumava di buono e aveva una dolcezza che apparteneva alla parte più intima di lei, quella di ebano era forte e determinata, era come lei appariva al mondo.
Allungò la mano destra e con leggero attimo di esitazione impugnò quella di legno di rosa. Un brivido caldo le corse lungo il braccio.
"Wow!"
Mormorò. Il calore dal braccio si diffondeva in tutto il corpo arrivando a toccare il suo cuore e ad invadere la sua mente. Si sentiva forte e sensibile allo stesso tempo. Sentiva quel pezzettino di legno come un prolungamento di sé, come una carezza che le sfiorava la mano con una dolcezza infinita ma sicura! La agitò. I suoi gesti sembravano una danza,  in simbiosi con la bacchetta: era lei che la guidava e le chiedeva di non forzare, di muoverla con mano ferma, ma gentile!
"Ora l’altra!"
Olivander interruppe l’idillio. Elbeth la lasciò andare con riluttanza, quasi che separandosi da lei avrebbe perso un pezzo di sé e non l’avrebbe mai più ritrovata.
Fissò la scura bacchetta di ebano. Era inquietante, ma anche affascinante. Un seduzione completamente diversa dall’altra. Se la prima era una melodia dolce che la chiamava, quella era una melodia molto più incalzante e seduttiva. Fu più decisa nell’afferrarla, era la bacchetta a richiederlo: determinazione e forza.
*… e potenza!* pensò tra sè.
Appena la impugnò la sensazione fu molto più decisa e vigorosa. Una scossa elettrica di 3000 volt!!! Come lei! Fu più veloce e imprevedibile. Come lei! Fu suadente e affascinante e sentì di poter compiere qualsiasi cosa con quella bacchetta in mano. Era stata fabbricata per lei, era lei che cercava, che aveva sempre cercato!
"E’ lei! Mi vuole!"
Il volto deciso della ragazzina fissò Olivander. Richard sospirò pesantemente. Era preoccupato, lo sentiva muoversi dietro di lei, seppur in modo impercettibile. Anche il ragazzo al suo fianco sembrò irrigidirsi, sorpreso da quella strana determinazione.
"Ragazzina impulsiva."
Disse Olivander scuotendo la testa. Prese la bacchetta di ebano e la pose con cura dentro la sua custodia.
"E’ una bacchetta infida e mutevole. E’ il basilisco a renderla così. Segui il tuo cuore, ma se il tuo cuore dovesse cambiare, il legame con essa potrebbe non essere più lo stesso. 45 galeoni piccola! Ecco la tua bacchetta!"
Elbeth si voltò raggiante verso un Richard serio, che pagò sbrigativamente il commerciante. Sembrava accigliato. Prese il pacchetto tra le mani, poi si voltò per uscire ed esitò un attimo prima di girarsi nuovamente verso il bancone.
"Grazie!"
Sorrise al giovane ragazzo.
"In bocca al drago, piccola!"
"Bene, ora che abbiamo finito con i convenevoli, possiamo tornare a lei professor Meister!"
All’udire quel nome, mentre stavano uscendo dal negozio, Richard si voltò di scatto a fissare il giovanissimo professore, ormai impegnato con Olivander.
"Richard…?"
"Mi scusi, Miss… andiamo!"
 
Dieci anni dopo
 
"Amore, cosa hai da fissare la tua bacchetta? Per quanto sia magica, non penso ti rivolgerà mai la parola!"
Elbeth si voltò a fissarlo con uno sguardo ironico e trattenendo a stento il riso. Erano sul divano, la loro prima sera insieme. Era seduta con le gambe rannicchiate da un lato ed appoggiata al suo petto. Il braccio del giovane professore le circondava le spalle protettivo. Stavano sorseggiando dell’idromele invecchiato per festeggiare il suo trasferimento a casa sua.
"C’è qualcosa che non va" mormorò perplessa "da un po’ di tempo a questa parte. Devo portarla da Olivander, non funziona più come prima…"

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Capitolo 3
*** Ricordi - Di difesa (contro le Arti oscure?) ***


Di difesa (contro le Arti oscure?)
(alle fine del primo anno ad Hogwarts)

Bizzarra! Quella lezione di Difesa, già dalla location che aveva scelto il professor Gstadt, si stava manifestando come bizzarra. Guardavo con circospezione intorno a me, mentre avanzavamo all’aperto. Cosa ci avrebbe spiegato? Chi avremmo dovuto sconfiggere quel giorno? Quale strana creatura da non poterlo fare in aula, ma addirittura fuori, all’aperto? Non mi veniva in mente niente. Niente che dovessimo poter affrontare fuori  dal castello e dalla nostra rassicurante aula. Certo, con Gustav Gstadt c’era ben poco di rassicurante, ad iniziare dal suo severo cipiglio e dallo sguardo che aveva il potere di incatenarti a terra e di farti trattenere addirittura il respiro.
Ok, ok… Forse era un effetto che faceva solo a me! Eppure, avrei potuto giurare che anche qualche Tasso (e finanche qualche Serpe) era fortemente in soggezione con il professore di Difesa, almeno al pari di me.
Quindi la mia sorpresa fu ancora più grande nel vederlo in un abbigliamento insolito per lui. In tuta! In tuta da ginnastica! La mia postura dapprima baldanzosa – avevo deciso di affrontare così quelle lezioni, nonostante la mia scarsa attitudine finora dimostrata – diventò improvvisamente floscia: la tuta da ginnastica, no! Non la potevo sopportare! Già le lezioni di Volo, per me, erano uno strazio, ma doverlo sopportare anche a Difesa…
La mia scarsa attitudine allo sforzo fisico era anche peggio della mia difficoltà a mantenere la concentrazione per eseguire gli incantesimi. Quella materia mi interessava e ci mettevo tutto l’impegno che potevo, ma spesso mi ero dovuta scontrare con i miei limiti ed i miei difetti. Difesa dalle Arti Oscure era forse la materia che più li metteva in risalto. Forse per la celerità delle risposte che richiedeva o per la mia ancora incompleta capacità magica, fatto sta che finora non ero riuscita ad eseguire bene nessuno degli incantesimi fatti a lezione. Quindi, speravo, ora che l’anno stava quasi volgendo al termine, di potermi rifare. Almeno una volta! Una volta sola!
Invece LUI era in tuta! Il mio disappunto, chiaramente leggibile nella mia espressione corrucciata, mi aveva fatto distrarre un poco. Quando incrociai lo sguardo di fuoco di Gstadt, riportai ad un livello alto il mio grado di concentrazione e automaticamente eseguii il suo comando.
“Formate un cerchio attorno a me! Sbrigatevi!”
Iniziò a muoversi, mi sembrò una sorta di riscaldamento. Mi rimisi la bacchetta in tasca: avevo come l’impressione che quel giorno mi sarebbe servita a poco.
Gstadt iniziò la lezione e dopo una breve introduzione, mentre ancora si muoveva all’interno del cerchio che formavamo intorno a lui, una frase mi colpì.
“Ognuno di voi ha un proprio punto di forza.”
Inarcai un sopracciglio leggermente perplessa.
Ah, sì? Anche io?
Ero fortemente titubante. Il professore iniziò ad elencarli
“…velocità… strategia … resistenza…”
*Forse, la strategia!* Pensai.
Per quanto potesse essere “strategica” una ragazzina di undici anni!
“…ciò che vi insegnerò oggi raggruppa tutte queste capacità.”
Questo era interessante: se non ne possedevo nessuna, sarebbe stato utile aver un po’ di tutte e tre! Gstadt riprese a muoversi e a riscaldarsi, fissando il suo sguardo gelido su ciascuno di noi. In cerchio era semplice tenerci tutti sotto controllo, ma quella volta almeno riuscii a sostenere la profondità dei suoi occhi. Passarono senza in realtà vedermi, mentre continuava a spiegare. Prese la bacchetta.
Un moto di gioia attraversò il mio sguardo.
Allora in fondo, l’avremmo usata.
Sfoderai la mia, quando infine disse
“…la “Guardia”! Tutti con la bacchetta in mano, svelti!”
Eravamo scattati tutti. Tutti ugualmente pronti, chi più esitante, chi meno.
“…è la posa che assume un mago quando si prepara a ricevere un attacco.”
In effetti, con la bacchetta in mano, mi sentivo già meglio. Il suo cuore che alcuni avrebbero definito freddo era come se pulsasse nella mia mano, condotto dal legno che lo avviluppava. Era come se il mio cuore e quello della mia bacchetta fossero in simbiosi. Era così che mi ero sentita la prima volta che mi aveva scelto, era così che mi sentivo sempre quando la impugnavo: questa sensazione mi metteva già in una condizione di maggior agio. Mi sentivo completa! Il professore, intanto, continuava a spiegare.
Io ero piccola ancora, quindi per me era importante imparare. Avevo pensato bene, quando avevo sentito che quella lezione avrebbe potuto darmi qualcosa in più.  In difesa, tutti erano uguali: assorbire un colpo, contenere un attacco, non era cosa da tutti e come stava dicendo il prof, mi avrebbe potuto fornire un vantaggio in un eventuale scontro.
*Sono una Grifa, piccola, ma coraggiosa!*
Mi era già capitato di dover subire la magia di un compagno più grande e ripensai con astio ad una vecchia lezione di Incantesimi, dove Elisabeth mi aveva inflitto una sonora sconfitta! Eppure in altra occasione, seppur fortuitamente, c’ero riuscita.
Assunsi la posizione che ci stava mostrando. Seppur le mie capacità fisiche fossero notevolmente inferiori alla media, dovevo tenere bene a mente che non era importante la forza fisica, ma come sfruttare una posizione per la difesa e poi per l’attacco. Sorrisi lievemente. Mentre spostavo il piede sinistro in avanti e flettevo leggermente il ginocchio della gamba destra, cercando di imitare la posa di Gutav Gstadt, mi vennero alla mente le lezioni di Richard.
Più o meno quando avevo sei anni, durante una delle lunghe assenze dei miei genitori, essendo stata affidata alle sue cure, il mio maggiordomo aveva inventato un “gioco” per me.
Era un’età in cui mettevo duramente alla prova i suoi nervi. Ero irrequieta, esuberante, avevo voglia di giocare e ne combinavo di tutti i colori a Queen Castle, pur di divertirmi ed attirare la sua attenzione. Richard così aveva deciso di incanalare la mia energia in qualcosa di più …utile!
Era un Magonò, quindi non poteva insegnarmi il Quidditch. Optò invece per una disciplina a cui si era appassionato da giovane: la scherma. Forse era quello il motivo per cui con la bacchetta in mano mi sentivo molto più sicura di me e delle mie capacità ed anche il motivo per cui i miei gesti, nell’eseguire gli incanti che ci venivano proposti a lezione, avevano una certa innata eleganza. La posa di Difesa che ci fece assumere il professore mi portò alla mente quelle vecchie lezioni con Richard. Il maggiordomo mi aveva sempre battuto! Non potendo difendersi con la bacchetta, disse, che aveva dovuto ingegnarsi e che la scherma -  tra tutto ciò che aveva provato - era quella che gli era più congeniale.
Era vero. Era molto preciso e letale, quando affondava un colpo in punta di fioretto. Era veloce e scattante, nonostante la sua età ed io ero sempre troppo lenta, troppo poco precisa, rispetto a lui. Continuava a ripetermi che mancavo di concentrazione. Spesso mi prendeva in giro, rimandandomi l’espressione del mio volto serio e corrucciato.
“Deve rilassarsi, Miss… Il rilassamento è alla base di tutto. Anche il suo animo deve rilassarsi…”
Solo in quelle lezioni, dopo anni e sforzi, riuscivo a raggiungere un certo grado di rilassatezza del corpo e della mente. Non capivo cosa intendesse, all’inizio. Ora, ad Hogwarts, iniziavo a sperimentarlo. Ero troppo impulsiva, troppo emotiva. Mi inquietavo troppo facilmente. Era quello che dovevo riuscire a controllare! La voce di Gstadt mi riportò nella radura dove ci stavamo allenando con lui.
“Sguardo fermo….”
La mano che impugnava la bacchetta era rivolta verso il basso, ma con la giusta tensione pronta a scattare; l’altra aperta era leggermente spostata più avanti, ad equilibrare il peso del corpo e in contrapposizione alla gamba in avanti. Mi mossi ondeggiando, come il professore ci richiedeva, sfruttando anche la flessione delle ginocchia.
“Si muova lentamente, Miss. Muoversi confonderà il suo avversario, perché sarà più difficile prevedere la sua prossima mossa, dove scatterà il suo corpo, dove porterà il suo colpo…” le parole di Richard ancora una volta si sovrapposero alla voce di Gstadt, che spiegava.
“….vi dividerete a coppie e proverete ad attaccare l’altro…”
Mi guardai intorno cercando Lucas. Di solito, quando facevano lezione insieme, avevamo preso l’abitudine di esercitarci insieme. Ma non fui abbastanza rapida! Elisabeth Walker si parò davanti a me.
“Perfetto!” mormorai a bassa voce.
La Walker evidentemente quando si trattava di lanciare un Everte Statim contro la sottoscritta, non se lo faceva ripetere due volte. Era quello, infatti, l’incantesimo che avremmo dovuto scagliare.
“Inizio io!” il tono perentorio della Serpeverde mi fece un po’ sorridere. Eravamo in pareggio finora. Lei mi aveva battuto alla lezione di Incantesimi, io l’avevo battuta nel nostro scontro segreto avvenuto qualche mese prima in una notte particolarmente agitata. E dato che in quell’occasione eravamo state interrotte dall’arrivo di Gazza, era ovvio che ora volesse rendermi la pariglia. Feci un cenno di assenso con il capo, quasi ironico. E mi misi in posizione.
Inspirai profondamente, prima di assumere la posizione che Gstadt ci aveva illustrato. Lo avevo già scansato una volta e senza neanche avere il supporto della Posizione di Difesa, spiegataci pocanzi. Quindi, potevo rifarlo. La forza non contava. Solo l’equilibrio, la concentrazione ed i riflessi potevano aiutarmi a contrastare l’attacco di Elisabeth.
Spostai il piede sinistro in avanti, la mano che impugnava la bacchetta rivolta verso il basso, l’altra a bilanciare la mia posizione era aperta leggermente spostata in avanti. Inspirai ed espirai. Mentre flettevo il ginocchio della gamba rimasta indietro, naturalmente iniziai ad ondeggiare. Non sentivo nulla intorno a me: non volevo lasciarmi distrarre. Non volevo perdere di nuovo! Una leggera brezza decise di spirare e sfiorare il mio volto nel momento stesso in cui la Walker scagliò con sicurezza il suo “Everte Statim”.
Il fascio si dirigeva preciso verso di me. Eravamo stretti in delle file, ingenuamente mi ero ritrovata stretta tra due compagni, senza molto spazio di manovra. Mi diedi della stupida per non aver valutato bene il campo di “battaglia”: non mi restava che incassare il colpo.
Mi rilassai. Mi concentrai. Sentii il mio corpo fermo e stabile come una roccia. Avrei incassato il colpo, ero certa che ci sarei riuscita!
Il contraccolpo fu violento, come la prima volta che Elisabeth mi aveva colpito. Solo che questa volta, invece di essere sbalzata indietro e cadere rovinosamente, tesi leggermente il mio busto in avanti, quasi ad andare incontro al colpo e quado impattò con il mio torace, pur facendomi male, rimasi stabile e ferma al mio posto. Solo un sussulto, tradì il dolore che avevo provato ed il respiro che mi si mozzò in gola!
Porco Merlino, se faceva male!
Avevo da poco iniziato, almeno mentalmente, ad utilizzare un intercalare che avrebbe fato rizzare i capelli in testa a mia madre!
Ma - per tutti i Dorsorugoso della Norvegia! – non pensavo che il colpo mi fosse stato assestato così bene! Registrai nella memoria che forse avrei fatto meglio a scartare la prossima volta e quasi che la Walker mi leggesse nel pensiero, mi chiese sarcastica
“Vuoi provare ancora, El?” la sua voce falsamente zuccherosa mi fece quasi imbestialire, ma il professore scelse quel momento per parlare ancora.
“….Essere soli significa che in primis, se non sarete voi a badare alla vostra incolumità, alla vostra anima e al vostro corpo, nessuno potrà salvarvi, nessuno potrà esservi d’aiuto…”
Quella frase in particolare mi colpì. Mi ero sempre sentita sola, sempre! Ero cresciuta da sola, con dei genitori troppo indaffarati per badare a me, senza amici, isolata nel mio splendido castello, che era un luogo bellissimo e incantato, ma che non mi aveva consentito di intessere relazioni, come avrebbe fatto qualsiasi altro bambino della mia età. Avevo avuto solo Richard, ma Richard non ci sarebbe stato sempre. Lo avevo già dolorosamente appreso in quel primo anno ad Hogwarts.
Mi era mancato, mi era mancato da morire. Non avrei potuto fare sempre affidamento su di lui o su Lucas …o su Rose! Dovevo iniziare a cavarmela da sola.
E, soprattutto, Hogwarts mi stava insegnando che ero in grado di farcela.
“Siete Voi, soltanto Voi… i detentori della Vostra Vita e, come tali, dovete proteggerla! AD OGNI COSTO! SU CON LA GUARDIA!”
Scattai con rinnovata determinazione nella posizione di Difesa.
La posa, ormai, iniziava a diventare familiare. Ero stanca, non ero abituata a sentire quella tensione nelle gambe e il colpo che avevo subito prima, doveva aver creato un bel livido, dato che ad ogni respiro, ad ogni allargamento della mia cassa toracica, avvertivo un po’ di dolore.
Eppure incanalai tutta la stanchezza e la sofferenza (fisica ed emotiva) in quella Posizione di Difesa. Questa volta mi ero fatta largo tra i miei compagni, indietreggiando un po’, per guadagnare più spazio. Non sempre avrei potuto scegliere la posizione in uno scontro, ma lì, in quel preciso momento, lo potevo fare.
Elisabeth era certa di colpirmi ancora. Io ero certa del contrario!
“Everte Statim”
Quando il colpo partì, il movimento che avevo impresso alle gambe, meno accentuato di quello della volta precedente, mi portò naturalmente a fare perno sulla gamba d’appoggio indietro. Ruotai di lato il mio corpo, effettuando un giro completo, fino ad abbassarmi, rannicchiata, quasi in ginocchio a terra.
La mano libera dalla presa della bacchetta si era poggiata contro la terra tiepida.
La scia sfrigolante e luminosa passò sopra il mio capo, lasciandomi indenne. Sorrisi con sguardo furbo.
“Everte Statim!”
Da quella posizione di apparente svantaggio, decisi di scagliare il mio di incantesimo!
Sapevo che non avrei potuto imprimere la potenza che avrei voluto, ma Elisabeth era distratta e non si aspettava un contro-attacco così istantaneo.
Aveva ragione Gstadt!
La Difesa non era da vigliacchi: era usare tutte le armi che avevo a mia disposizione per avere ragione del mio avversario.
Attesi speranzosa che il colpo andasse a buon fine.
 
*****
N.d.r.
Bene, se siete arrivati fin qui, meritate qualche parola in più su questa strana storia.
Mi dispiaceva che andasse persa nei meandri di forum che non esistono più. Sarà un po’ difficoltoso assemblarla, sto facendo un lavoro di revisione dei personaggi di contorno che erano cambiati o evoluti, cercando di darle un’armonia nuova. Non si concluderà in senso classico, né sarà narrata in senso classico. In parte sarà introspettiva e narrata in prima persona, in parte sarà un racconto e quindi narrata in terza.
Spero vi piaccia e che continui a piacervi. Era un pezzo di cuore che non potevo lasciare abbandonato.
Quindi, grazie …di cuore!
El

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Capitolo 4
*** Ricordi - di profezie ***


Ricordi - di profezie
(Verso la fine del primo anno ad Hogwarts)

“Forza, forza! Abbiamo solo un’ora di tempo per concludere il nostro giro!”
La gita di quella mattina aveva strappato uno sbadiglio svogliato alla piccola Grifondoro, come le parole che il professore aveva appena pronunciato.
Il Ministero della Magia non si associava, nella sua testa e nella sua indole, ad un luogo adeguato dove fare una gita!
Eppure il giorno prima la sua Capocasa l’aveva definita proprio così! Una gita!
Nella mente di Elbeth una gita prevedeva un’escursione all’aperto, di solito accompagnata da divertimento, non quell’angusto e polveroso corridoio del Ministero, dove si trovava ora ad avanzare.
Sbadigliò ancora, mentre sentiva ridacchiare qualcuno al suo fianco. Elbeth si girò e gli lanciò un’occhiata curiosa, mentre lo squadrava. Era un serpeverde, o avrebbe dovuto dire il serpeverde. Il secondogenito di Harry Potter aveva fatto scalpore al suo arrivo ad Hogwarts e – come sempre – non era da solo. Scorpius Malfoy era immancabimente con lui.
“Non fare caso a loro…” le mormorò un’altra ragazzina passandole veloce accanto e notando il suo sgaurdo fisso sui due “Amano darsi delle arie!” affermò a voce più alta, in modo che sentissero anche loro.
Rose Weasley. Era sua la voce e ultimamente aveva iniziato a prenderla in simpatia, nonostante l’ormai nota ritrosia di Elbeth in dormitorio.
La ragazzina stava iniziando a sviluppare fin troppa autonomia decisionale da quando era al Castello e se all’inizio era rimasta spiazzata dalla novità della vita ad Hogwarts, ora, quasi alla fine del suo primo anno di studi, si sentiva - forse - un po’ troppo sicura di sé e si dimostrava frequentemente molto molto esuberante.
“Se lo dici tu!” rispose con lo stesso tono di voce in modo da farsi sentire dai due a sua volta.
Rose era la cugina di Albus Severus Potter, per cui doveva conoscerlo, essendo anche coetanei.
Finora, le era andato tutto liscio, spesso era stata aiutata da qualche compagno di corso, anche da Rose stessa, ma il carattere volitivo e vivace della ragazzina stava iniziando pericolosamente ad accentuarsi. Soprattutto quando Elbeth si annoiava.
L’Ufficio Applicazione Leggi sulla Magia (destinazione della loro gita al Ministero) era esattamente ciò che Elbeth associava alla noia, mentre l’interessante Ufficio Misteri (recentemente citato dalla docente di Divinazione a lezione) era proprio ciò che attirava la sua mente curiosa!
Mentre prendevano l’ascensore aveva avuto modo di vederlo stampato davanti alla sua faccia: nono livello, Ufficio Misteri. Era lì ben indicato e sembrava dire “esplorami, esplorami”!
Quindi, con fare vago e circospetto si era tenuta un po’ in disparte.
Il professore di Storia della Magia, che li stava accompagnando nel loro mirabolante tour, era tutto preso dalla spiegazione e Elbeth aveva fatto in modo di rimanere sempre un passo indietro, rispetto agli altri. La piega del corridoio che girava a destra, ora, faceva proprio al caso suo.
Non appena avessero svoltato, lei sarebbe rimasta indietro ancora un pò, coperta dal muro ed il gioco era fatto!
Non si accorse che un paio di occhi azzurri la fissavano incuriositi. Era troppo presa dal suo brillante piano per badare ad altri. Tutto andò come previsto. Il professore era in testa alla fila assorto nella spiegazione e la classe rumoreggiava presa dalla novità di una lezione al di fuori delle mura di Hogwarts.  Tutti svoltarono l’angolo e lei invece che fare un passo avanti assieme agli altri, ne fece uno indietro.
“Facile come studiare un vermicolo!” pensò compiaciuta dentro di sé. Fece qualche altro passo a ritroso prima di ritrovarsi di fronte l’ascensore, che fissò perplessa. Una bambina avrebbe dato troppo nell’occhio, quindi decise di salire su per le scale. Qualche rampa e sarebbe arrivata al tanto agognato Ufficio Misteri. Era eccitata da ciò che avrebbe potuto scoprire.
C’era un motivo per cui lo chiamavano Ufficio Misteri! Il nome, già di per sé, evocava tutto un mondo da esplorare agli occhi di una bimba vivace qual era Elbeth. Spinse la porta di mogano ed aggrottò contrariata le sopracciglia. Era pesante e sembrava bloccata.
“Alohomora!”
Clang!
La serratura sembrò sboccarsi, ma dal rumore di ferraglia che aveva fatto, doveva essere in disuso da molto tempo. Probabilmente la maggior parte dei dipendenti del Ministero usava l’ascensore, quindi quella vecchia e polverosa porta, non era stata usata da tempo. Appena aperta con circospezione davanti a lei si aprì una stanza circolare. Elbeth fece capolino prima con la testa, poi vedendo che era da sola, varcò baldanzosamente la soglia. Pareva proprio non esserci nessuno. Molte porte si aprivano su quella strana stanza circolare, ma lei decisa si diresse verso quella che le interessava: la Stanza delle Profezie.
“Lumos” disse, dosando l’intensità dell’incantesimo su una luce fioca. Il leggero tremolio della punta della bacchetta illuminava debolmente e le consentiva una visuale solo parziale di ciò che si apriva di fronte a lei. Un sorriso di trionfò le si stampò sul viso quando vide gli immensi scaffali che si innalzavano fino al soffitto e su cui campeggiavano.
“Per Merlino!” non riuscì a trattenere l’esclamazione di stupore.
File e file di sfere di cristallo erano allineate in bella mostra sui loro appositi sostegni per non rotolare a terra! Elbeth rimase a bocca aperta, mentre avanzando lentamente un passo dopo l’altro, fissava con il naso per aria quegli scaffali di cui non riusciva a scorgere fino in fondo l’altezza. Sembravano arrivare fino al soffitto ed oltre…
“Wow! Sono tante per essere pochi i veggenti che le fanno…” e mentre socchiudeva gli occhi per mettere a fuoco meglio tutto quel ben di Dio, scorse dei nomi che tra i fumi della sfera, ogni tanto si intravedevano. Si arrestò, improvvisamente incuriosita, e si avvicinò per osservare meglio. La luce tremolante della bacchetta le fece vedere che all’inizio di ogni scaffale c’erano delle lettere marchiate a oro che brillavano. Lo sguardo furbo si illuminò molto più della bacchetta. Erano disposte in ordine alfabetico.
Estremamente curiosa, percorse il corridoio fino ad arrivare alla lettera “Q”. Chissà se ne esisteva qualcuna anche sulla sua famiglia. Era fortemente improbabile, ma insomma, ora che c’era, tanto valeva verificare, no?
Fece guizzare gli occhi veloci: la lettera Q non aveva molte sfere e questo era un vantaggio. Peccato però che fossero posizionate tutte un po’ più in alto del previsto. Con un moto di stizza Elbeth si immobilizzò di fronte allo scaffale che aveva tanto curiosamente ricercato. Girò il capo a destra e a sinistra e poi vide una scala. Con un po’ di sforzo la tirò fino al punto che le interessava e poi ci salì sopra.
“Quater… Quall… Quebby….”
Iniziò a scorrere i nomi che erano vergati con una grafia svolazzante ed in molti casi d’altri tempi, sorridendo. Ma poi…
“Queen….” sussurrò a mezza bocca, quando lesse il cognome della sua famiglia.
Il cuore perse un battito e il respiro iniziò a farsi più affannato.
A chi si poteva riferire la profezia? Era qualcuno a lei vicino? O era solo un caso di omonimia?
Fino a quel momento le era sembrato solo uno scherzo innocente il curiosare tra le sfere delle profezie, ma ora…
“…Elbeth!” finì di leggere il suo nome, mentre la bocca rimaneva spalancata a fissare la piccola pergamena un po’ ingiallita, su cui era stato ordinatamente trascritto. Il cuore accelerò ancora.
Quel nome era solo suo! Nella sua famiglia, nonostante le nobili origini, quel nome era appartenuto solo e soltanto a lei! Era stato suo padre, estimatore del periodo Medievale, a inventarlo per lei, quando era nata. Non era di qualche nonna o di qualche vecchio avo. Era solo suo! Lo era sempre stato. Era un vecchio linguaggio elfico, che il padre aveva modificato per creare qualcosa di originale ed unico per la sua unica figlia. Quante volte glielo aveva sentito raccontare? Decine e decine. Ed ora lo fissava lì, come fosse marchiato a fuoco invece che con del semplice inchiostro indelebile. La sua fronte si aggrottò ancora quando lesse un altro nome accanto al suo: Richard Attenbourgh.
“Richard? RICHARD?!” la sua mano si mosse ad afferrare la sfera polverosa. Se quella profezia era per lei, la avrebbe potuta afferrare.
“Chi diavolo è Richard?”  la voce di Rose Weasley la fece sobbalzare e quasi perdere l’equilibrio.
Mise un piede in fallo e stava per rovinare a terra, quando la ragazzina prontamente bloccò la scala su cui ancora si trovava.
Nella brusca caduta, aveva ritratto istintivamente la mano dalla sua sfera, come se avesse ricevuto una scossa elettrica.
“Rose!” disse contrariata per essere stata inopportunamente interrotta.
“Forza, dobbiamo andare! Il sorvegliante si è accorto che non c’eri, gli ho detto che ti avevo vista andare a bagno e che venivo a controllare, ma dobbiamo fare in fretta. C’ho messo più di dieci minuti a trovarti!”
Conoscendola, era schizzata a cercarla prima che il professore di Storia della Magia potesse articolare qualcosa. La ragazzina aveva il vizio di vomitare parole addosso alle persone.
“Ma… lì… la sfera…” cercò di articolare qualche parola per bloccare il tornado che la stava già strattonando per il braccio e conducendola verso l’uscita della stanza.
“El! Andiamo!”
Dal tono concitato e determinato che aveva, aveva intuito che stavano rischiando grosso entrambe. Sospirando, gli fece un cenno affermativo con la testa, mentre accettava il suo aiuto per uscire dall’Ufficio Misteri. La profezia era rimasta lì. Con le sue volute di fumo che intrecciavano il suo nome a quello di Richard. Elbeth si voltò a fissarla tristemente per un’ultima volta: non avrebbe potuto vedere niente di essa.
“Per ora…” pensò decisa, mentre sentiva che Rose continuava a tirarla per la mano.
“Insomma! Ti vuoi muovere?”
“Andiamo!” disse correndo dietro di lei. Per scendere dal nono livello questa volta presero l’ascensore e vide che Rose pigiava il piano terra. Appena le porte dell’ascensore si aprirono la faccia contrariata del professore li accolse.
“Queen! Dieci punti in meno a Grifondoro per essersi allontanata senza avvertire! E ringrazi la sua compagna, altrimenti ne avrebbe fatti perdere molti di più alla sua casata!” 
Non fiatò. Ringraziò Rose con un sorriso e tornò tra le fila dei compagni con lo sguardo basso, non senza aver visto Albus e Scorpius ridacchiare sommessamente tra loro.
“La Preside sarà avvertita della sua indisciplinata condotta e provvederà alla punizione più adeguata per lei! Ora forza, in fila con gli altri! Dieci punti a Serpeverde per essersi accorti della sua assenza. Albus Severus Potter sei il degno figlio di tuo padre.” disse mellifluo il professore.
Non rialzò il capo a fissare i due serpeverde, che erano la causa della sua punizione, non aveva la testa per pensare a loro ora. I due ragazzini smisero di ridacchiare, dopo l'occhiata torv che lanciò loro Rose, ma Elbeth non se ne accorse. I suoi pensieri erano altrove.
Ciò che la preoccupava non era né la reazione della McGranitt, né l’essere stata scoperta, né i dieci punti fatti perdere a Grifondoro.
Il volto pallido e lo sguardo terreo erano ancora persi nell’ultima immagine della sfera della profezia: la SUA profezia! Sua e di Richard.
Il fumo di un grigio plumbeo che aveva visto agitarsi vorticosamente al suo interno l’aveva turbata non poco… e per la prima volta da quando era al castello, sperò che la Preside la chiamasse al più presto per la punizione!
Un brivido gelato le percorse la schiena, mentre sentì la mano di Rose Weasley stringere la sua.

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