Miele e cannella

di LondonRiver16
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Calendula ***
Capitolo 2: *** Lavanda ***
Capitolo 3: *** Camomilla ***
Capitolo 4: *** Cotone ***
Capitolo 5: *** Fragole e basilico ***
Capitolo 6: *** Rum e whisky ***
Capitolo 7: *** Cicatrici ***
Capitolo 8: *** Padri e figli ***
Capitolo 9: *** Cioccolato, zenzero e lamponi ***
Capitolo 10: *** Fiori d'arancio ***
Capitolo 11: *** Note di gelsomino ***
Capitolo 12: *** Vite ***
Capitolo 13: *** Miele e cannella ***
Capitolo 14: *** Un ordinario mattino di follia ***
Capitolo 15: *** Diet Coke e caramelle ***
Capitolo 16: *** Cappuccino e torte di fango ***
Capitolo 17: *** Fragole con panna ***



Capitolo 1
*** Calendula ***


 

 

 

Miele-e-cannella

 

 

1. Calendula 

 

- 8 aprile 2016 -

 

Ellis, una minuscola comunità dispersa nelle campagne a ovest di Sioux Falls, dava il suo meglio quando la primavera cominciava ad assumere i tratti decisi della rinascita, le giornate iniziavano ad allungarsi e i tramonti diventavano più godibili, stiracchiandosi all’orizzonte per quella che, ogni sera, pareva un’eternità. O perlomeno, questo era il pensiero comune di Sam e Gabriel, quello che li aveva convinti a lasciare il grigiore della città per trasferirsi fuori dall’area metropolitana, in mezzo al verde dei prati, al giallo dei campi coltivati e alla brezza che soffiava tra gli alberi al calare del sole.

Quella sera, Sam raggiunse il cancelletto a capo della staccionata di legno che circondava il giardino all’ora del tramonto, quando la casa color calendula in cui si erano trasferiti tre anni prima aveva ormai assunto i toni dell’oro grazie alla magia operata dal sole morente.

I grilli avevano dato il via ai canti dedicati all’imbrunire e Claire lo stava già aspettando sulla soglia di casa. Sam agitò un braccio in segno di saluto, prima di spingere il cancelletto cigolante e percorrere rapidamente il vialetto inondato dalla luce aranciata del crepuscolo.

Sam e Gabriel avevano dato il loro addio all’appartamentino in Salisbury Willows a primavera inoltrata del 2013. Ai loro occhi, l’opera di raggranellare i risparmi, chiedere un prestito, comprare un’abitazione con gli interni da ristrutturare e trasferircisi ben prima di aver allacciato le utenze era stata la promessa più consistente e tenace che avessero fatto l’uno all’altro, i voti anticipati di un matrimonio su cui non avevano ancora riflettuto in termini concreti.

Anche dopo anni, ogni volta che si ritrovava a rimirare quella casa a due piani – esclusi una soffitta zeppa di scatoloni e la cantina dove le biciclette della coppia erano ben più lucide e oliate del vecchio catorcio di Gabriel – che avevano ridipinto insieme, piena di anse e angoli segreti, Sam non poteva evitare di sentirsi traboccante d’orgoglio.

Lui e Gabriel – spesso e volentieri con il generoso aiuto di Dean e Castiel – avevano trasformato quella proprietà abbandonata. Avevano riparato i tubi che perdevano, messo in sicurezza i fili scoperti dell’impianto elettrico, ammobiliato le stanze vuote con suppellettili piene di carattere – la maggior parte delle quali scovate in angoli remoti dei mercatini dell’usato di Sioux Falls –, tinteggiato le pareti e piantato nuovi semi e germogli nel giardino e nell’orto dopo aver tagliato l’erba che era cresciuta a ritmi selvaggi, prima del loro arrivo.

Certo, pochi dettagli erano veramente rifiniti a dovere e chissà, forse sarebbe sempre stato così. Ma nulla avrebbe mai tolto a Sam la consapevolezza che loro e loro soltanto avevano riportato in vita quel luogo meraviglioso, dopo essersene innamorati quando era ancora invivibile. E nulla avrebbe mai privato Sam della sensazione di non essersi mai sentito così a casa prima d’ora.

Dio, faceva fatica a credere che fossero già passati più di sei anni dal giorno in cui aveva conosciuto Gabriel. Gli sembrava di non essersi ancora ripreso del tutto dall’euforia che di solito accompagna i primi mesi di una relazione.

Cullato da quei pensieri, il ragazzo inspirò a fondo per godere del profumo erbaceo della campagna e si affrettò verso il punto in cui la sua giovane cognata lo stava aspettando, alla base dei tre scalini che conducevano alla porta d’entrata dell’abitazione.

- Claire - disse soltanto Sam, raggiungendola con un sorriso in volto e le braccia spalancate.

Lei si esibì in uno di quei sorrisetti sbilenchi che tanto facevano per richiamare i geni che aveva in comune con il fratello, prima di inabissarsi nell’abbraccio di quello che aveva cominciato a chiamare cognato quando Sam e Gabriel non si erano ancora nemmeno accorti della natura degli sguardi che riservavano l’uno all’altro.

- Ciao, Sam - lo salutò, inondandolo del profumo di vaniglia emanato dalla sua cascata di capelli biondi non appena ricambiò la stretta affettuosa.

Sam le carezzò fraternamente la schiena, poi le mise una mano sulla spalla e fece un passo indietro per poterla guardare in viso. Riconobbe subito la stanchezza data dalle ore di viaggio che Claire aveva dovuto affrontare per tornare da Chicago, ma intravide anche la gioia data dal poter trascorrere le vacanze di primavera assieme alla famiglia che non vedeva da gennaio.

- Che bello vederti - affermò poi il ragazzo, con un allegria sincera che strappò alla ragazza un altro sorrisetto accorto.

- Anche per me, cognatino.

- Ma guardati, - sospirò Sam, per il quale Claire era ormai in tutto e per tutto una sorella acquisita, - sei splendida. Come al solito, d’altronde, ma immagino di non esserci più abituato.

Una scintilla facile da riconoscere brillò negli occhi della ragazza non appena la ventunenne recepì la dritta.

- È un’allusione a qualcosa di più profondo, per caso? Se devo fare un discorsetto a mio fratello, dimmelo. Devo suggerirgli di radersi e lavarsi più spesso? Sai che non avrei problemi a farlo, anzi - sogghignò, e Sam scosse la testa con falsa esasperazione.

- Ti prego, no. Sia io che Gabe passiamo già abbastanza tempo in bagno.

- Lo so. Ormai siete delle vere signorine - commentò Claire, facendogli l’occhiolino per fargli capire che scherzava.

Sam, dal canto suo, la conosceva e adorava abbastanza da non prendersela minimamente. Da quando era entrato a far parte della famiglia Hale, era stato inevitabilmente risucchiato anche dalle dinamiche dei costanti botta e risposta sarcastici su cui Gabriel e Claire avevano costruito le fondamenta della propria relazione. E ci si era adagiato volentieri, trovandosi presto a proprio agio in quella rete di affetti famigliari, un po’ come il suo compagno aveva avuto modo di fare in compagnia di Dean e Castiel.

Claire sapeva essere pungente quanto il fratello e, a volte, una testa calda ancora peggiore – anche se Gabriel sosteneva di non essersi comportato in modi migliori durante la propria prima giovinezza –, ma i suoi scherzi non erano mai crudeli, la sua intelligenza la faceva brillare e il suo cuore generoso aveva fatto molto, oltre che aiutare suo fratello e Sam a mettersi insieme. Inoltre, il debole che Sam aveva per quella sua sorellina acquisita non aveva fatto che acuirsi quando, due anni e mezzo prima, Claire aveva scelto di dedicarsi alla giurisprudenza. Da quel momento, come a Gabriel piaceva ripetere, Sam era passato dal ruolo di cognato a quello di mentore accademico.

- Vieni, entriamo. Ho lasciato Gabe alla pizzeria in paese con l’auto e sono venuto a piedi, dovrebbe essere qui tra poco - la invitò il ragazzo, dopo aver frugato nella tasca dei jeans fino a trovare il proprio mazzo di chiavi.

Dopo aver percorso i pochi scalini che lo separavano dall’entrata, infilò la chiave più usurata nella toppa e operò i soliti tre giri prima di spalancare la porta di casa e fare segno a Claire di accomodarsi per prima. Lei lo ringraziò con un sorriso e trotterellò in casa tra gli svolazzi del suo abito leggero color lavanda. Sam la seguì e si chiuse il battente alle spalle prima di appendere sia il proprio giubbotto di cotone che il cardigan candido di Claire all’appendiabiti da parete appeso accanto all’ingresso.

Alle sue spalle, mentre metteva a posto, sentì Claire sospirare.

- Questo posto è sempre più bello ogni volta che ci torno - commentò la ragazza con voce sognante, muovendo qualche passo verso il cuore dell’abitazione mentre inspirava a fondo il profumo del legno che regnava incontrastato sia sul pavimento che nella scelta dei mobili.

Pur con tutta la sua modestia, Sam non poteva che trovarsi d’accordo con lei, soprattutto dato che entrambi avevano in comune l’aver vissuto assieme almeno le prime fasi di ristrutturazione. Se Sam era stato il promotore dell’utilizzo di tutto quel legno, Claire lo aveva supportato fin dall’inizio, incoraggiando l’atmosfera calda che quell’assortimento era riuscito a creare nella casa.

- Sono contento che continui a piacerti - disse il ragazzo, raggiungendola sul divano ad angolo che abbracciava una buona metà della stanza e su cui Gabriel aveva disseminato almeno una decina di cuscini di vari colori. Claire si era appena seduta sull’ansa del sofà, proprio sul ciglio, e si era sistemata in grembo un cuscino color girasole quando Sam riprese, sempre senza riuscire a smettere di sorridere malgrado avvertisse la stanchezza del venerdì sera: - Allora, come stai? Come va al college?

Lei si illuminò, come accogliendo volentieri una distrazione che le era sfuggita.

- Davvero bene, sai? A proposito, l’altro giorno mi stavo chiedendo se ci sia qualche possibilità che possa mettere le mani su un altro po’ dei tuoi vecchi appunti.

Sebbene lusingato, Sam non poté evitare di alzare un sopracciglio con fare scettico.

- Mi stai davvero dicendo che gli esami di legge non sono cambiati per nulla, in quasi quindici anni?

Claire fece spallucce, allungandosi per pescare una caramella gommosa alla pesca dalla zuppiera di ceramica appoggiata sul tavolino che aveva davanti e infilandosela agilmente in bocca.

- Sono cambiati, ma hai comunque del materiale prezioso là dentro - bofonchiò poi, passandosi il confetto da una guancia all’altra. - E il tuo metodo di prendere appunti mi ha già aiutata molto, ma penso di avere ancora tanto da imparare.

Essere un artista della presa in giro non aveva mai impedito a Claire di saper anche dare vita ai complimenti più tranquilli e sinceri del circondario. Anche quella volta, Sam non poté che replicare con un sorriso affezionato.

- La soffitta è a tua completa disposizione.

- Grazie - replicò lei pronta, con un sorriso zuccherino, e parve rilassarsi decisamente di più nel momento in cui si lasciò cadere all’indietro, sullo schienale morbido del divano, abbandonando ogni pretesa di eleganza prima di accennare nuovamente alla figura del cognato. - E tu come stai? In forma smagliante come sempre, vedo.

Sam sbuffò, spalancando gli occhi con fare eloquente prima di mettersi più comodo a sua volta, imitando la posa della cognata.

- Ma se tuo fratello non fa altro che ingozzarmi come un tacchino a una settimana dal Ringraziamento! Per quanto mi alleni, faccio sempre più fatica a star dietro a tutto quello che mangio - confidò, ma non si stupì della schiettezza con cui Claire non si fece problemi a replicare.

- Non dire stronzate, sei sempre il solito modello stile Abercrombie & Fitch. Di’ un po’, Gabe continua a mettere il broncio quando camminate per strada e la gente si gira a guardarti? È troppo divertente.

Ma negli anni, Sam aveva migliorato anche le proprie, di risposte.

- A guardarci, vorrai dire - la corresse quindi, riprendendosi senza difficoltà dalla frecciatina e offrendole un sorrisetto altrettanto sagace. - Siamo una coppia invidiabile, sai. Il ritratto della felicità.

Claire fece un verso schifato e si accanì sulla sua caramella con rinnovato ardore.

- Smettila immediatamente o dovrò vomitarti sul divano - lo avvertì, e Sam diede in una risata prima di rimettersi in piedi facendo leva sulle ginocchia.

- Vado a prendere dell’acqua, torno subito - disse, scomparendo oltre la soglia della cucina.

Quando fu di ritorno un paio di minuti dopo con due bicchieri impilati uno sull’altro e una brocca colma d’acqua e qualche fetta di limone, notò Claire stranamente intenta a fissarsi le dita intrecciate in grembo, sopra al cuscino che era intenta ad abbracciare. A un primo sguardo si intenerì, credendo che si fosse appisolata, ma perse il sorriso non appena si rese conto delle sue palpebre socchiuse e dell’espressione afflitta che aveva preso il posto della solarità di un istante prima.

- Ehi, tutto bene? Claire? - esordì allora, ma la ragazza non diede segno di averlo sentito finché il rumore del vetro adagiato sul legno del tavolino non la riscosse dal marasma dei suoi pensieri.

Allora per poco non sobbalzò.

- Hm? Cosa? - chiese, alzando la testa e rivolgendo a Sam uno sguardo un po’ smarrito coi grandi occhi celesti.

- Niente. È solo che mi sembri un po’ giù, tutto d’un tratto - azzardò Sam, in piedi con gli stinchi che sfioravano il tavolino, immobile sul posto come se credesse di poterla allarmare e allontanare con un’unica parola sbagliata. Era stata proprio l’adolescenza di Claire a insegnargli quel tipo di cautela. - È successo qualcosa?

La ragazza fece in fretta a riprendersi, raddrizzando la schiena e offrendo al cognato un sorriso un po’ più tirato di quelli attorno ai quali avevano scherzato assieme fino a un momento prima.

- No, no, tutto bene. Davvero - assicurò, per poi stringersi nelle spalle e cercare di aumentare di qualche pixel la curva delle labbra, nel tentativo di togliere dalla faccia di Sam quel nuovo cipiglio preoccupato. - Stavo solo pensando. Al college, agli esami. E al fatto che vorrei approfittare di stasera per passare un po’ di tempo con le mie persone preferite e parlare un po’. Sai, il solito. Credo che potrei aver bisogno di sfogarmi in merito a un paio di cose, se per voi va bene.

Di nuovo quel fare cortese ed educato che era in grado di far sciogliere Sam da capo a piedi. E lo stesso accadde alle sue ansie. O perlomeno a quelle più urgenti, che altrimenti lo avrebbero spinto a insistere con Claire fino a cavarle di bocca la verità seduta stante.

Sam ringraziò il Cielo di aver visto la propria pazienza migliorare col passare degli anni. Indossare un’espressione conciliante non gli costò troppa fatica.

- Siamo qui apposta. Le serate che vanno avanti a pizza e confidenze sono le nostre preferite - ricordò alla ragazza, riempiendo un bicchiere d’acqua prima di allungarglielo e sedersi accanto a lei, lasciandosi sostenere dalla morbidezza del divano su cui lui e Gabriel erano soliti affossarsi a forza di pop corn e serie tv.

Claire indossò un altro di quei sorrisi incerti.

- Però voglio aspettare che ci sia anche Gabe.

- Certo - annuì Sam, comprensivo, cacciando ogni stilla della rinnovata apprensione sotto la superficie affinché la ragazza non la notasse. - Sono sicuro che sarà qui tra un minuto. Forse ha trovato un po’ di fila. Dopotutto sono le migliori pizze nel raggio di dieci miglia. E probabilmente si sarà anche fermato a prendere delle birre. Siamo a corto e da quando hai compiuto ventun anni quasi non riesce a credere di poterti offrire dell’alcol a cuor leggero.

Aveva cercato di scherzare per riportare l’atmosfera a un clima leggero e ormai conosceva abbastanza Claire da sapere che una provocazione del genere l’avrebbe rallegrata, dandole lo spunto per fare un commento riguardo a quanto suo fratello sapesse comportarsi da femminuccia.

Ma non quella volta.

Quella sera, Claire sembrò quasi ritrarsi di fronte a quella scelta di parole. Sam la vide volgere lo sguardo altrove, inumidirsi le labbra baciate dal burrocacao alla ciliegia che usava da sempre e mettersi in piedi prima che il ragazzo potesse pronunciare un’altra parola.

- Faccio un salto in bagno - annunciò, affrettandosi verso le scale che portavano al piano di sopra.

- Oh. Certo - replicò Sam, preso alla sprovvista da tanta rapidità.

Consapevole di non poter fare nient’altro finché non avesse capito che cosa non andava, la osservò salire i gradini di legno in fretta, finché il piano superiore non la inghiottì.

Sam udì la porta del bagno cigolare nell’aprirsi e poi nel richiudersi alle spalle della ragazza. Soltanto in quell’istante si rese conto di non vedere l’ora che Gabriel arrivasse per dargli man forte.

 

 

 

 


Angolino dell’autrice

Ehilà!

Ebbene, come promesso, sono tornata.

Come ho raccontato nelle note degli ultimi capitoli di “Menta e albicocche”, questo sequel ha cominciato a ossessionarmi ancora prima che finissi la storia portante di quella che ormai è ufficialmente una serie – col cui titolo mi sono divertita moltissimo.

Che cos’altro dirvi? Non voglio preannunciarvi troppo, ma sappiate che non vedevo l’ora di rimettermi in contatto con Sam, Gabriel, Dean, Castiel e Claire e di tuffarmi in questa nuova avventura. Spero che abbiate voglia di seguirmi e di dirmi cosa pensate di questo primo assaggio. Ogni commento mi fa sapere che siete lì e mi scalda il cuore, sappiatelo.

Un abbraccio e a presto ^-^ 


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Capitolo 2
*** Lavanda ***


 

2. Lavanda

 

Claire si era trincerata in bagno da un minuto scarso quando Gabriel rispose alle preghiere di Sam e interruppe le sue riflessioni sempre più buie spalancando e attraversando in tutta fretta la porta d’ingresso. Borbottando un saluto col fiato corto e dimostrando una rapidità maggiore rispetto a quella del suo ragazzo, il trentasettenne raggiunse il soggiorno in due secondi, voglioso di liberarsi di tutto ciò che si stava portando appresso prima che il peso eccessivo lo facesse crollare a terra. Oltre ai tre cartoni delle pizze, aveva infatti con sé la tracolla con il portatile che portava in negozio nei giorni in cui aveva bisogno di dedicare la pausa pranzo alla contabilità e la borsa di stoffa all’interno della quale si udivano tintinnare molte più bottiglie di birra di quante i tre ne avrebbero mai potute consumare in un’unica sera.

Quando Sam riuscì a raggiungerlo per soccorrerlo, Gabriel aveva già provveduto ad appoggiare le pizze sul tavolino basso del salotto, anche se erano pericolosamente vicine alla brocca d’acqua, e aveva scaricato il portatile in un angolo remoto del divano con la tipica mossa di chi è pronto a dimenticare il lavoro per un paio di sacrosanti giorni di riposo. Il suo compagno arrivò in tempo soltanto per salvare le birre, che stavano per scivolargli di mano e precipitare al suolo. Gabriel reagì al salvataggio con un verso a metà tra il sollevato e l’esausto, raddrizzandosi sulla schiena.

- Scusa se ci ho messo un secolo - esordì poi, voltandosi per posare un bacio leggero sulle labbra di Sam. - Colpa mia. Ho messo in difficoltà il pizzaiolo con la mia richiesta.

- Nessun problema - replicò Sam, che aveva pensieri più urgenti. - Gabe, ascolta...

Ma il maggiore era già crollato a sedere sul divano con immensa soddisfazione e si affrettò a controllare e a distribuire le pizze lungo il tavolino con celere efficienza.

- Allora, vediamo. Una vegetariana, una quattro stagioni e una chi più ne ha più ne metta. A meno che la stanchezza non mi abbia mangiato il cervello, e potrebbe essere successo, non dovrebbe mancarci nulla.

Sam lo osservò accertarsi che ci fossero tutte le premesse per una serata ideale e attese che avesse finito di parlare per tentare un nuovo affondo.

- Gabe.

Ma anche questa volta venne ignorato. O meglio, Gabriel proprio non si accorse del suo tentativo di attirare la sua attenzione. Si era perso un attimo a sprimacciare qualcuno dei cuscini che inondavano il divano e poi i suoi occhi erano corsi alla borsa che Sam aveva adagiato sul pavimento.

- Lì ci sono le birre… sì, c’è tutto - sancì soddisfatto, giusto un attimo prima che un lampo di stupore gli illuminasse lo sguardo e i suoi occhi corressero a cercare quelli del compagno per poter chiedere: - Ma dov’è andata a finire Claire? Non doveva essere già qui?

Sam sospirò, annuendo. Amava Gabriel – credeva con tutto se stesso che non avrebbe mai potuto trovare una persona migliore con cui trascorrere il resto della propria vita –, ma a volte le sue distrazioni selettive gli facevano perlomeno levare gli occhi al cielo.

- È andata un attimo in bagno - rispose pazientemente, prevedendo ciò che accadde una frazione di secondo dopo.

Come volevasi dimostrare, infatti, Gabriel si accontentò della breve risposta e saltò in piedi per dirigersi verso le scale che conducevano al piano di sopra, pimpante ed eccitato come un bambino che non vede l’ora di poter iniziare a far scoppiare i petardi a Capodanno.

- Questa gioventù dalla vescica debole. La chiamo, così possiamo mangiare.

Esasperato, Sam si affidò a un tono decisamente più risoluto per smuoverlo dall’allegro sentiero di determinazione sul quale il suo appetito lo aveva instradato.

- Gabe - lo chiamò allora, per la terza volta. Rimase fermo sul posto e lasciò che fosse il suo compagno, finalmente smosso dalla nota di apprensione che rilevò nella sua voce, a fermarsi e a voltarsi verso di lui con tutte le intenzioni di prestargli ascolto. Subito dimentico della sua goffaggine, Sam strinse le labbra per non apparire meno fermo nel proseguire. - Aspetta un momento, per favore.

Il tempo di un immaginario schiocco di dita fu sufficiente affinché la sua inquietudine si rispecchiasse, amplificata, nelle iridi color ambra del maggiore. Gabriel non ebbe bisogno d’altro che di quell’occhiata per tornare sui suoi passi e avvicinarsi a Sam per potergli sfiorare un braccio in una carezza inquieta.

- Ehi. Che succede? - chiese nel più soave dei toni.

Sam prese un respiro profondo, permettendo a quella voce di tranquillizzarlo come aveva già fatto un’infinità di volte prima di allora.

- Non voglio allarmarti, ma penso ci sia qualcosa che non va - rivelò, accennando col capo al piano superiore per non dover pronunciare il nome di Claire, anche se lei non avrebbe potuto udirlo comunque.

Intuendo al volo il riferimento, Gabriel aggrottò le sopracciglia.

- In che senso?

Sam scrollò le spalle, non avendo prove per supportare la logica del proprio sesto senso.

- Non lo so, ma è strana.

- Più strana del solito? - indagò Gabriel, questa volta spalancando gli occhi e inarcando le sopracciglia in una maniera talmente al limite dello scherno che l’espressione ansiosa di Sam venne subito sostituita da un’occhiataccia ai suoi danni.

Gabriel alzò le mani in aria in segno di resa, ridacchiando, e il più giovane non aggiunse nulla soltanto perché sapeva che quello era il suo miglior tentativo di alleggerire una tensione che stava cominciando a raggiungere anche le sue, di caviglie.

- Ad ogni modo, ha detto che ci vuole parlare, - continuò Sam, incrociando le braccia davanti al petto e lanciando un’altra occhiata alla sommità delle scale, - quindi direi di aspettare e vedere.

Lasciando finalmente perdere ogni folle piano che intendesse darla a bere al suo compagno, Gabriel tirò un sospiro sofferto e si passò una mano sul viso, arrendendosi all’idea di un venerdì sera meno rilassante di quello che aveva programmato.

- Bene. Ora sì che sono tranquillo - esalò, indossando comunque un sorriso di circostanza mentre si lasciava ricadere le mani sulle cosce ricoperte dal denim di un paio di vecchi jeans grigi.

Dinnanzi a quello sfogo, l’espressione di Sam si ammorbidì, trasformandosi in una smorfia contrita.

- Mi dispiace. Ho pensato fosse il caso di dirtelo - si scusò, come se quella situazione fosse colpa sua.

Il sorriso che si disegnò sulle labbra di Gabriel stavolta apparve sincero e dolce come il bacio con cui si premurò di rassicurare il compagno prima che quell’assurdo senso di rimorso l’avesse vinta.

- Hai fatto soltanto bene, Samshine. Non voglio che ci siano dubbi a riguardo - lo tranquillizzò, trattenendogli il volto tra le mani per un paio di secondi, giusto il tempo di strappargli un cenno affermativo e un mezzo sorriso, prima di raggiungere la base della scale, aggrapparsi al corrimano di legno e chiamare a gran voce: - Sorella, finiscila di incipriarti il naso e scendi! La pizza fredda è un crimine contro l’umanità!

Sebbene quello non fosse il suo stile, Sam non poteva negare che Gabriel e Claire avessero un modo tutto loro di funzionare alla grande. A dimostrazione di ciò, meno di cinque secondi dopo sia lui che il suo compagno udirono la porta del bagno aprirsi e la voce di Claire precedere la ragazza lungo le scale.

- Arrivo! Cristo - si lamentò, trottando fino al piano di sotto per salutare il fratello con uno sguardo che, Sam ne era sicuro, avrebbe potuto appendere alla parete ogni bullo nel raggio di un chilometro. - Neanche se il tuo ragazzo non ti avesse installato un forno con tutti i crismi, principessa.

- Felice serata anche a te, ciambellina di primavera - replicò Gabriel, mettendo l’accento su tutto quello zucchero sarcastico con la stessa nonchalance con cui Claire sceglieva nuovi epiteti per lui. - Ad ogni modo, vuoi mettere una pizza riscaldata con una appena sfornata? Con tanto di forno a legna e pizzaiolo che ha studiato in Italia?

Sam si adattò al clima leggero instaurato da Gabriel e pensò bene di intervenire prima che Claire avesse il tempo di ribattere, o quel botta e risposta avrebbe potuto continuare per ore.

- Forza, che sono ancora fumanti.

Sedati dall’intervento di un terzo elemento, i due falsi litiganti si unirono a lui per la cena. Se Claire scelse il punto in cui si era seduta anche durante la breve chiacchierata con il cognato per stendere le pieghe del suo largo abito dalle tinte color lavanda, Gabriel si accomodò accanto a Sam prima di scoperchiare il cartone della sua pizza tutti i gusti più uno e leccarsi le labbra alla vista di tutto quel ben di Dio.

Dal modo in cui la attaccò senza riserve si sarebbe detto che la preoccupazione per la sorella gli fosse scivolata via di dosso, ma Sam lo conosceva abbastanza da sapere che Gabe stava solo aspettando il momento giusto per affrontare la questione, perché nessuna delle sue strategie prevedeva l’atto di costringere chiunque a dirgli alcunché. Quando non si trattava di un’emergenza, Gabriel lavorava nelle retrovie, scavando pian piano fino ad arrivare al cuore del problema. Spesso Sam si ritrovava a chiedersi se non avesse fatto suo quell’approccio durante tutti quegli anni di frequentazione con Castiel e il suo approccio psicoterapeutico.

Sam aveva consumato tre quarti scarsi della propria pizza alle verdure quando Gabriel si lasciò cadere all’indietro, sui cuscini del divano, con l’espressione paga di chi non ha nemmeno bisogno di leccarsi le dita.

- Hm - esalò, contemplando soddisfatto il cartone ormai vuoto della propria cena. - Il mio regno per una di queste pizze. Seriamente, valgono ogni singolo dollaro.

Sam gli rivolse un sorriso affettuoso prima di concentrarsi su ciò che aveva tenuto la sua attenzione – e anche quella di Gabriel, per quanto il suo ragazzo avesse tentato di dissimularlo meglio di lui – occupata durante l’intera durata del pasto. Non solo Claire aveva risposto quasi sempre a monosillabi ai loro seppur maldestri tentativi di conversazione, ma aveva a malapena toccato la sua quattro stagioni. Ne aveva mangiata una fetta e mezza, impiegando un quarto d’ora, per poi limitarsi a giocherellare col resto, come se pensasse che fosse necessario per distrarre i suoi commensali dal fatto che stava saltando il pasto.

- Non hai molto appetito, Claire? - domandò in quel momento Sam.

Malgrado la sua inflessione gentile, la ragazza tenne gli occhi bassi sulla fetta di pizza che stava spostando per la sesta volta, come se si vergognasse di incrociare il suo sguardo.

- Non molto, no. Non quanto credevo - ammise in tono sommesso.

Un momento dopo, mentre si rimetteva a sedere con più compostezza per analizzare meglio il volto della sorella, Gabriel tolse a Sam le parole di bocca.

- Non ti senti bene? Sei un po’ pallida.

In effetti, il cambio di colorito era stato così repentino da apparire evidente a tutti. Claire, che era l’unica che non poteva esserne testimone, strabuzzò gli occhi un attimo prima di portarsi una mano alla bocca.

- Oh no - furono le uniche parole che esalò prima di saltare in piedi e correre come un fulmine verso le scale, con una mano all’altezza dello stomaco e l’altra premuta con decisione sulle labbra.

Sam e Gabriel si scambiarono un’occhiata rapida, come per chiedersi che diavolo di serata gli fosse capitata tra le mani, ma riconoscendo lo stesso identico spavento sul volto del compagno si affrettarono a correre entrambi appresso alla ventunenne.

- Claire! - la chiamò invano Gabriel, precedendo il fidanzato nella sua corsa su per i gradini.

Giunto al piano superiore, bussò alla porta del bagno che la ragazza si era nuovamente sbattuta alle spalle con l’insistenza data dall’ansia e, non ricevendo risposta, provò ad abbassare la maniglia pur senza permesso. Non impiegò più di un battito di ciglia per capire che sua sorella aveva chiuso la porta a chiave.

Un momento dopo, quando anche Sam lo ebbe raggiunto, entrambi sentirono il rumore caratteristico di un conato di vomito e Gabriel non ebbe nemmeno bisogno di vedere lo sguardo allarmato del compagno per cominciare a battere sulla porta con la mano aperta e ancora più fermezza di un istante prima.

- Claire! Claire, fammi entrare - le intimò, la severità della sua voce appena incrinata dal tremito dato dall’angoscia. - Claire, per la miseria, apri questa dannatissima porta!

Sam stava per suggerirgli di darsi una calmata, se non voleva buttar giù il battente con le sue stesse mani, ma non ce ne fu bisogno. L’ultima parola di Gabriel venne accompagnata dal suono dello sciacquone che veniva tirato e nemmeno un minuto più tardi entrambi i ragazzi udirono la chiave girare nella toppa.

Quando comparve sulla soglia, Claire aveva l’aspetto di un lenzuolo smacchiato con la candeggina – nonché di un topolino smarrito in un’abbondanza di drappi color lavanda –, ma ciò non le impedì di provare ad affrontare l’espressione tesa di suo fratello maggiore con la finta scioltezza con cui, almeno per i primi minuti di conversazione, era riuscita a ingannare Sam.

- Sto bene - soffiò, passandosi il dorso della mano destra sulle labbra mentre con la sinistra si reggeva al telaio della porta.

Gabriel giudicò quel teatrino dall’alto in basso prima di sentenziare con voce più seccata che angustiata: - Non mi sembra affatto.

Per quanto ancora in preda alla nausea, Claire riuscì a trafiggerlo con uno sguardo di fuoco.

- Sì, invece - ribatté, dando fondo alle sue scorte di veleno.

Lasciando che il suo istinto protettivo prevalesse sulla voglia di vincere quell’ennesima baruffa, Gabriel sospirò e le mise una mano sulla spalla in segno di pace, intenzionato a sedare la diatriba.

- Vieni di sotto, dai. Ti sdrai e ti do qualcosa per lo stomaco.

Contro ogni sua previsione, però, Claire si ritrasse, sottraendosi al suo tocco premuroso.

- Gabe, no. Smettila, adesso - protestò piano, come se stesse esaurendo le forze, ma si strinse le braccia attorno al torso in quello che Sam riconobbe come un atteggiamento difensivo che lui stesso aveva messo in atto nel periodo della sua vita durante il quale aveva creduto di non avere altri alleati al di fuori di se stesso. - Non voglio prendere niente.

Questo le fece guadagnare un’occhiata ferita da parte di suo fratello.

- Perché no? Se stai male, non c’è motivo di tirarla per le lunghe.

Ma Claire aveva chiuso gli occhi, come desiderando di non sentirlo più, e vedendola sul ciglio di un dirupo ancora sconosciuto Sam pensò bene di muovere un passo verso di lei. Anche se, agli occhi di Gabriel, sarebbe apparso come se Sam si stesse allontanando dalla sua, di posizione.

- Gabe, non insistere, se non vuole - intervenne il più giovane della coppia, e come previsto l’occhiata tradita del suo ragazzo non tardò a pungerlo.

- Perché no? - tornò a domandare Gabriel, questa volta in direzione del fidanzato e con giusto un’oncia di fastidio in più.

Era comprensibile che si sentisse frustrato, dato lo spavento che si era preso vedendo sua sorella correre via in preda a un malore, ma Sam cominciava a credere che stesse esagerando. Non gli avrebbe detto di prendere un respiro profondo e rasserenarsi, non davanti a sua sorella, ma stava per suggerire un pacifico ritorno al divano quando Claire decise che era arrivato il momento opportuno per togliere la terra da sotto i piedi a entrambi.

- Perché sono incinta.

 




Angolino dell’autrice

Grazie a strugatta, lilyy e _AnnairA_ per le recensioni lasciate al primo capitolo e a tutt* coloro che hanno iniziato a seguire questa storia!

Sto cercando di contenere la lunghezza dei capitoli, soprattutto per poter aggiornare a intervalli regolari e non troppo distanti – ci proverò, perlomeno. Giusto per dirvi che questo capitolo non sarebbe dovuto finire così bruscamente, ma è successo per esigenze tecniche.

Amerei sapere cosa pensate della nuova piega che hanno preso gli eventi ;)

Intanto vi mando un abbraccio e ci sentiamo presto! Che sia nelle recensioni o al prossimo capitolo :)


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Capitolo 3
*** Camomilla ***


 

3. Camomilla

 

Quelle tre apparentemente semplici, comuni parole non avevano ancora finito di riecheggiare nell’aria tiepida della casa quando il respiro si bloccò in gola a entrambi i testimoni. Se Sam non fosse stato tanto impegnato a tenere a bada l’intensità della propria reazione, quando si voltò verso Claire con le labbra schiuse per lo stupore, avrebbe notato che il corpo di Gabriel accusò un mancamento di mezzo secondo prima che i suoi occhi fuori dalle orbite si posassero sulla sua ora mortificata sorella.

No, non poteva aver sentito bene. Quella era sua sorella. La sua sorellina.

Il silenzio divenne un compagno scomodo su cui fare affidamento in quel corridoio improvvisamente troppo stretto, ma ciò avvenne diversi secondi prima dell’istante in cui Gabriel recuperò l’abilità di emettere suoni vagamente comprensibili.

Ad ogni modo, quando finalmente ci riuscì, Sam si sorprese a desiderare che si fosse concesso un po’ di tempo in più per riprendersi. Forse, in quel caso, sarebbe riuscito ad articolare qualcosa di meglio del verso strozzato che Claire ottenne come prima, vera risposta alla propria rivelazione.

- C-che?

La ragazza, ormai schiacciata dagli sguardi che gli altri due le tenevano puntati addosso, indietreggiò un poco verso la soglia del bagno. Per un attimo sembrò che la pressione che le era stata calata addosso fosse abbastanza da spingerla a barricarcisi di nuovo dentro. Ma Claire non era il tipo di persona che fugge a lungo prima di decidere di combattere, ricordò Sam non appena la vide prendere un respiro profondo e rialzare la testa per affrontare lo sguardo sconvolto di cui suo fratello maggiore la stava rendendo oggetto.

- Non posso prendere medicine, perché aspetto un bambino - rielaborò la ragazza, e tutti poterono accorgersi di quanta energia stesse mettendo nel tentativo di non vacillare sul ciglio di quelle parole.

Gabriel espulse l’aria dai polmoni come se fosse rimasto in apnea fin troppo a lungo e Sam pensò che, se solo il suo viso fosse diventato appena appena più cereo e la sua fronte più lucida di sudore, sarebbe stato lui quello che avrebbe avuto bisogno di sdraiarsi e prendere qualcosa per sentirsi meglio. Preoccupato dall’immobilità del fidanzato, Sam gli mise una mano sul braccio e strinse appena, travestendo l’intento di sorreggerlo da semplice gesto di conforto. Gabriel era come congelato con gli occhi fissi su Claire, la quale però non aveva nessun potere di sbloccare la situazione.

- Forse è meglio se torniamo in salotto - suggerì allora Sam, tenue come una piuma per paura di far detonare quell’equilibrio così precario.

Pur essendo ancora scioccato dalla notizia, aveva la bizzarra sensazione che senza un suo intervento Gabriel si sarebbe presto trasformato in una bomba ad orologeria. Perlomeno, questo era ciò che si intuiva dalla sua inconsueta espressione granitica e dalla tensione lancinante dei suoi muscoli.

- Così possiamo sederci e parlarne con calma - aggiunse, facendo un cenno con la testa in direzione delle scale per chiedere a Claire di venirgli in soccorso aprendo le danze.

La giovane rivolse un ultimo sguardo avvilito al volto immobile di suo fratello prima di arrendersi all’ineluttabile e accogliere la supplica implicita di Sam. Fu così che superò Gabriel per avviarsi lungo le scale, verso il piano inferiore, a capo chino.

Sam avrebbe voluto farle forza, infonderle coraggio, aggiungere che sarebbe andato tutto bene. Peccato che ancora non se la sentisse di scommettere su quello scenario a cuor leggero. L’atteggiamento difensivo e schivo di Claire era comprensibile, date le circostanze, ma la reazione di Gabriel cominciava a spaventarlo. La particolarità che lo terrorizzava, in particolare, era il silenzio del fidanzato. Se Gabriel era a corto di parole, tanto valeva che il mondo cambiasse senso di rotazione, perché c’era qualcosa di profondamente sbagliato che aleggiava nell’aria.

Sam stava cominciando a pensare che avrebbe dovuto scuoterlo per strapparlo a quello stato di trance, quando finalmente il maggiore si mosse. Ma il risveglio di Gabriel consistette soltanto in un passo di lato, come se fosse alla ricerca di una stabilità almeno corporea, e nella mano che l’uomo si portò al volto per potersi massaggiare la fronte con fare improvvisamente dolente.

Sam stava morendo dalla necessità di farlo sentire meno solo, ma, non avendo idea di cosa avrebbe potuto dire per riuscirci, se ne uscì con quello che risultò essere appena un mormorio.

- Gabe…

- Va tutto bene. Tutto bene - replicò però il suo fidanzato in un attimo, alzando una mano nella sua direzione per trattenerlo dall’inoltrarsi in quel vicolo cieco. - Sto bene.

La sua voce era un soffio, ma Gabriel non lasciò a Sam il tempo di fargli notare quanto quel dettaglio fosse in contrasto con le sue asserzioni. Non era pronto ad analizzare la propria situazione emotiva, non ancora. Ciò di cui aveva bisogno, prima, erano risposte e fu per questo che senza aggiungere altro scivolò via dalla presa leggera delle dita del compagno per seguire la sorella verso il piano terra. Sam, da parte sua, si concesse un respiro profondo prima di seguirlo.

Quando arrivarono in salotto, Claire aveva preso nuovamente posto sul divano. Se tutti non avessero avuto il cuore appesantito dalle ultime novità, Sam avrebbe anche potuto credere che la ragazza fosse appena entrata dalla porta e si fosse accomodata in quello che sembrava essere il suo angolo preferito, nell’ansa del sofà. La preoccupazione sul suo viso, dopotutto, era solo un po’ più marcata di quella di cui Sam era stato testimone qualche decina di minuti prima, quando lui si era assentato per prendere dell’acqua e i timori della ragazza le avevano spento il sorriso.

Se Sam si sedette sul terzultimo gradino della scalinata per non intimorire Claire stando in piedi come un genitore sull’onda di una paternale, Gabriel parve non avere di questi pensieri. Infatti scansò ogni premura e marciò deciso fino al centro del soggiorno, fermandosi soltanto per non andare a sbattere contro il tavolino basso che lo separava dal divano.

- È vero? Dimmi che non è vero - furono le prime parole che rivolse alla sorella, cercando l’attenzione dei suoi occhi fissi sul pavimento.

Claire, per quanto abbattuta, dinnanzi a quell’uscita non gli risparmiò un’occhiata storta.

- Perché mai dovrei venirmene fuori con una balla del genere?

- Per giocarmi il tiro peggiore del decennio! Sarebbe da te - ribatté prontamente Gabriel, acre malgrado fosse chiaro dal suo tono che una parte di lui sperava ancora che si trattasse di uno scherzo di pessimo gusto.

Infatti, dopo essere scattato, rimase a fissare Claire, come in attesa che la giovane saltasse in piedi e si mettesse a ridere ai suoi danni, sgonfiando tutta quella paura. Quando tutto ciò che ottenne fu il medesimo sguardo affranto di un momento prima, Gabriel chiuse gli occhi per un momento, si portò una mano alla bocca e bisbigliò qualcosa di incomprensibile prima di tornare alla sorella con uno sguardo che Sam non avrebbe saputo se definire severo o sull’orlo del pianto.

- Come diavolo è successo? - chiese in tono devastato, e Claire alzò un sopracciglio e diresse lo sguardo verso Sam in cerca di supporto prima di tornare al fratello con un pizzico di impazienza in più.

- Sarai anche gay, ma penso tu sappia come succede.

Di fronte a quel briciolo di ben nota impertinenza, Gabriel colpì l’aria davanti a lui con la mano con fare insofferente.

- Hai capito cosa voglio dire.

Messa all’angolo, Claire sospirò prima di arrendersi scrollando le spalle.

- C’è stata questa festa, al mio campus, e c’era questo ragazzo. Ci piacevamo ed è successo, - raccontò, talmente rapida e sintetica che sia Sam che Gabriel dovettero trattenersi a forza dall’interromperla per porle ulteriori domande, - ma avevamo bevuto troppo e non siamo stati abbastanza attenti. Non so neanche come fa di cognome. So solo che è europeo. Irlandese, credo. Era qui per un periodo di studio all’estero. Dopo la festa, non l’ho più rivisto. E non mi interessa farlo - concluse, e lo stoicismo con cui tirò le fila di quella breve esposizione sarebbe bastato a mettere a tacere tutti i presenti.

Se solo Gabriel non fosse stato sul piede di guerra.

- Quando è successo? - tornò infatti all’attacco il maggiore, incrociando le braccia sul petto.

La gravità della sua espressione stava diventando più salda, notò Sam dalla base delle scale, man mano che Gabriel riusciva a coprire lo shock iniziale – che comunque era ben lontano dall’aver superato – con una patina di austerità che Sam non gli aveva mai visto mettere in campo con sua sorella.

L’aveva beccata a bere un daiquiri con più rum che fragole all’età di sedici anni e a condividere la sua prima canna con un amica a diciassette, ma in entrambi i casi aveva affrontato la situazione con l’allegra serenità di sempre, riuscendo a mettere in piedi per Claire un discorso sulle responsabilità talmente lieve e condivisibile che non l’aveva allontanata né infastidita. A quanto pare, però, perfino la sportività di Gabriel aveva un limite.

Anche Claire dimostrò di essersene resa conto, quando si inumidì le labbra e procedette con cautela di fronte alla serietà del fratello.

- Il 4 marzo. Sono di cinque settimane.

- E da quanto lo sai?

- Con certezza, quasi da tre settimane.

- Tre settimane? - esclamò Gabriel, sbarrando gli occhi.

- Prima avevo un presentimento, poi il test lo ha confermato - continuò Claire, senza realmente capire perché quel singolo particolare avesse ottenuto una reazione così importante.

- E non mi hai detto niente? In tre settimane? - proruppe suo fratello, chiarendo il motivo di tanto scalpore.

Sam stava per intromettersi e suggerirgli di tornare a un volume di voce appropriato a una conversazione tanto delicata, ma Claire si dimostrò più veloce nello scrollare le spalle.

- Non sentirti escluso. Non l’ho detto a nessuno.

Quella precisazione, se possibile, portò Gabriel a sgranare ancora di più gli occhi.

- La mamma. E Frank - buttò lì in tono incredulo, evidentemente incapace di articolare meglio la propria protesta.

Claire, che lo conosceva da tutta la vita, non parve avere difficoltà a comprendere e scosse la testa, facendo dondolare la massa di lucenti capelli biondi che aveva iniziato a lisciarsi nervosamente con le dita.

- Siete i primi a cui ne faccio parola. Per la prima visita dal ginecologo, mi sono arrangiata - replicò, evidentemente più stizzita di qualche momento prima, quando ancora non era chiaro come Gabriel intendesse approcciarsi alla questione. Ora che si era fatta una mezza idea, la ragazza stava abbandonando la totale contrizione per mostrare qualcuno degli artigli che i suoi famigliari conoscevano bene. - I miei valori sono nella norma, dovesse interessarti, e va tutto bene, grazie per averlo chiesto.

A quel punto Gabriel parve dover lottare contro un’esplosione interiore che lo portò a mordersi le labbra per trattenere una mezza bestemmia e ad abbandonare quella sua posa falsamente compassata per puntare un dito contro sua sorella in segno d’avvertimento.

- Sbarazzati di quel tono arrogante, Claire, perché non sono in vena. Non sono proprio in vena - sibilò, riuscendo nella missione, intenzionale o meno che fosse, di intimorirla. - Dio - esalò poi, passandosi una mano tra i capelli prima di tornare all’attacco, agitando la mano destra in direzione della sorella: - Come… come hai potuto? Tu hai… sei al college e poi sei… Cristo, Claire, sei così giovane. Come hai potuto lasciare che accadesse?

A quel punto, attonita, Claire si ritrasse un poco verso lo schienale del divano, con le labbra socchiuse e nessuna risposta da offrire perché quel colpo finale le aveva tagliato il respiro. Fu allora che Sam seppe di averne avuto abbastanza. Il trentaduenne si alzò in piedi d’istinto, ma non calamitò su di sé lo sguardo dei due fratelli fino a quando non infranse l’atmosfera di fuoco e ghiaccio creata dallo sfogo del compagno con un annuncio che nessuno vide arrivare.

- Gabriel, devo parlarti - decretò, trattenendosi per mantenere un contegno grave. Ignorando l’effetto che l’uso del suo nome completo ebbe sul fidanzato e la sorpresa sul volto pallido di Claire, mantenne i propri occhi fermi nelle iridi del suo ragazzo nell’aggiungere: - Da solo.

Gabriel lo scrutò per un paio di secondi, guardandolo come se pensasse che stesse dando di matto, poi allargò le braccia, come per indicare l’enormità del problema che stava affrontando senza che ci si mettesse anche Sam.

- Adesso? - protestò, evidentemente esasperato.

Sam ignorò la sua indignazione senza grandi sforzi, sicuro com’era di dover sradicare il germoglio velenoso che aveva visto nascere in lui prima che il bastardo mettesse radici.

- Adesso.

- Scusa, Sam, ma non mi sembra proprio il caso di…

- Lo è. È il caso che parliamo ed è il caso di farlo ora - lo interruppe però il più giovane, con un cenno secco della testa in direzione della cucina. - Immediatamente, se non ti dispiace.

Per un momento, Sam credette che Gabriel avrebbe ascoltato la propria rabbia e puntato i piedi. Questo, perlomeno, sembrava il messaggio che il maggiore stava cercando di lanciargli con le occhiatacce con cui lo fulminò e le labbra tese come sul punto di lasciar scaturire un torrente di improperi. Ma alla fine, dopo qualche secondo di tensione palpabile, Gabriel girò sui tacchi e marciò deciso fuori dal salotto e in cucina, facendo del suo meglio per non apparire come un bambino mandato nell’angolo.

Quando scomparve alla vista, Sam tirò un sospiro di sollievo. Quindi si rivolse alla ventunenne rimasta ferma sul posto come un cucciolo rimproverato aspramente.

- Perdonaci un momento, Claire. Torniamo subito, va bene? - disse Sam, nel tono più gentile e prudente che riuscì a mettere insieme nel tentativo di rimediare a tutto ciò che le era piovuto addosso negli ultimi tre minuti.

Funzionò solo in parte. Claire si limitò ad annuire silenziosamente e ad accomodarsi meglio sul divano per potersi stringere le ginocchia al petto. Nell’avviarsi, Sam si fece scappare un secondo sospiro – molto più sofferto del primo – e giurò a se stesso che Gabriel l’avrebbe pagata cara se non si fosse rimesso in carreggiata prima di subito.

Quando Sam entrò in cucina, non badò nemmeno a dove si fosse posizionato il compagno. Intendiamoci, percepì la sua presenza scocciata oltre il tavolo da pranzo e accanto alla finestra, lo intravide con la coda dell’occhio, ma non lo degnò nemmeno di un’oncia di considerazione in più. Invece, si concentrò sulla priorità del momento.

Per prima cosa prelevò una tazza capiente dalla credenza vicino al frigorifero, la riempì d’acqua e ne svuotò il contenuto nel bollitore prima di accendere il marchingegno. Mentre aspettava che l’acqua raggiungesse la temperatura adatta a una tisana confortante, recuperò un filtro di camomilla dalla dispensa e lo fece cadere nella tazza prima di accucciarsi per raggiungere l’armadietto dei medicinali. Un minuto più tardi stava di nuovo uscendo dalla cucina senza aver rivolto nemmeno una parola al fidanzato, che da parte sua aveva già dedotto abbastanza dell’umore di Sam da comprendere che avrebbe fatto meglio a non muoversi da dove gli era stato detto di aspettare.

Una volta tornato in salotto, con la porta della cucina ben chiusa alle sue spalle, Sam appoggiò sul tavolino davanti a Claire la tazza di infuso di camomilla fumante che le aveva preparato e il vasetto di miele con cui avrebbe potuto addolcirla a piacere. Di fronte all’espressione smarrita della ragazza, si infilò una mano in tasca, ne estrasse la bustina quadrata di quattro centimetri per lato che aveva pescato tra i medicinali e gliela porse.

- Per la nausea. Si scioglie sulla lingua come una caramella - le spiegò, invitandola con un sorriso di conforto a prendere il farmaco. Vedendola esitare, pensò bene di aggiungere: - Stai tranquilla, non farà alcun male al bambino. Ho controllato sulla confezione.

Soltanto allora Claire assentì e accettò il piccolo dono.

- Grazie - mormorò, stralciando la bustina per poi mettersi in bocca la pillola effervescente.

Accorgendosi che le tremavano leggermente le mani e vedendola chinare di nuovo lo sguardo subito dopo quel breve scambio, Sam sentì qualcosa spezzarsi dentro e decise che poteva permettersi di far aspettare Gabriel sui carboni ardenti un altro po’. Cauto e accorto, circumnavigò il tavolino per poter prendere posto accanto a Claire.

- Ehi - la chiamò dolcemente, assicurandosi che ci fosse un sorriso incoraggiante a darle il benvenuto quando lei trovò la forza di rialzare lo sguardo.

Benché non avesse ancora permesso a una singola lacrima di cadere, aveva gli occhi lucidi e Sam si premurò di prenderle le mani tra le proprie prima di proseguire nel tono più saldo e affettuoso che riuscì a offrirle.

- Non ti devi preoccupare, d’accordo? È solo spaventato, nient’altro. Lo hai preso alla sprovvista e non sa che pesci pigliare. Doveva succedere prima o poi, no? Nemmeno il miglior fratello del mondo può essere perfetto, non quando gli si chiede di riconoscere che la sua sorellina non se ne va più in giro con le trecce e i calzini fino al ginocchio - scherzò, riuscendo addirittura a strapparle un mezzo sorriso. Sam vi si aggrappò come al ricordo di una luce in fondo al tunnel per imprimere ancora più convinzione nelle sue successive parole. - Non è arrabbiato con te, Claire. Non veramente. Ci parlo io, va bene?

La ragazza accettò la tazza camomilla che Sam ebbe la cortesia di porgerle e se la strinse al petto prima di fare segno di sì con la testa, mordendosi le labbra per trattenere le lacrime.

- Grazie, Sam - bisbigliò.

 

 

 

 


Angolino dell’autrice

Ho qui una pila di pancake grondanti sciroppo d’acero e la userò per ringraziare strugatta, lilyy, _AnnairA_ e Ciuffettina per le recensioni lasciate allo scorso capitolo e chiunque stia seguendo questa storia.

Cosa pensate di questo capitolo? Della reazione di Gabriel, di quella di Sam, di come si sta comportando Claire? Non vedo l’ora di parlarne con voi nelle recensioni :)

Fino ad allora, un abbraccio e a presto!



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Capitolo 4
*** Cotone ***



4. Cotone

 

Quando Sam tornò in cucina e si chiuse alle spalle la porta scorrevole con decisione, Gabriel non perse tempo per dargli addosso approfittando del tono acido che di solito riservava alla maionese impazzita.

- Sul serio, Sam? Ti sembra davvero il momento adatto a un tête-à-tête? - scattò.

Non si era spostato di un centimetro, notò Sam. Se ne stava appoggiato al davanzale della finestra che si affacciava sui campi immersi nel buio a est, con le braccia incrociate saldamente davanti al petto e il viso contratto nella stessa espressione adirata e nervosa che era riuscita a intimorire Claire. Se il disappunto di Sam non fosse stato altrettanto dirompente, grazie a quelle premesse il maggiore della coppia avrebbe già potuto cantare vittoria.

- Se proprio vuoi saperlo, non credo avrei potuto scegliere momento migliore - decretò Sam, senza arretrare di un millimetro dalla linea di fuoco e piantandosi dall’altro lato del tavolo prima di vibrare la propria replica. La stava trattenendo da quando l’ultima uscita di Gabe nei confronti della sorella gli aveva gelato lo stomaco. - Come ti è saltato in mente di trattarla in quel modo?

Sputò fuori quel rimprovero in un unico sibilo, sporgendosi verso il fidanzato fino al punto di doversi appoggiare al tavolo di legno massiccio della cucina con entrambe le mani. Perfino Gabriel, anche preso com’era dalla rabbia di quel frangente, ebbe modo di accorgersi che gli tremavano leggermente i polsi e operò la saggia decisione di chiudere gli occhi e immergersi in un respiro profondo.

- Sam - sospirò poi, tornando allo sguardo implacabile del ragazzo. - Si è…

Ma il giovane non gli concesse la possibilità di continuare.

- Gabriel James Hale, ti avverto, - lo interruppe, incredulo ma irriducibile, - osa dire qualcosa di anche solo vagamente simile a “Si è fatta mettere incinta” e io ti giuro su quanto ho di più caro che non basteranno tutte le serenate del mondo a farmi rimettere piede in questa casa.

Gabriel lo affrontò per quello che era: un colpo basso. Ma necessario. Sam non permise a se stesso di retrocedere da quella convinzione nemmeno quando riconobbe un guizzo di dolore nello sguardo attonito di Gabriel, che aveva appena serrato di nuovo le labbra fino a ridurle a una linea sottile dopo aver perso le parole.

Vedendolo ritrarsi, Sam addolcì il tono di voce di qualche punto decimale.

- Ascolta - esalò, sentendosi come se lo stesse riaccogliendo al tavolo degli adulti. - Capisco che tu sia scioccato e turbato. Lo sono anch’io, me lo aspettavo quanto te. Ma non è un buon motivo per trattare tua sorella come se avesse commesso un crimine violento. Perché forse non te ne sei accorto, ma hai usato il tuo attacco d’ansia per aggredirla. Non per cercare di capirla, di consolarla o di rassicurarla, che è esattamente ciò che dovremmo essere di là a fare. L’hai usato per urlarle addosso. L’hai spaventata, quando penso abbia già abbastanza ragioni per esserlo senza che suo fratello maggiore, che tra parentesi adora, si aggiunga al mix.

Per tutto il tempo utile affinché la predica facesse effetto, Gabriel se ne stette immobile e in silenzio come un ragazzino vittima di una sgridata molto più violenta. Sam aveva appena concluso il discorso in toni perfettamente ragionevoli quando il maggiore trasse a sé la sedia più vicina per crollarci sopra e seppellire la faccia tra le mani.

- Hai ragione. Cazzo, hai ragione - furono le uniche parole soffocate che emersero dal suo rifugio.

Ma furono più che sufficienti perché Sam capisse che Gabriel si era finalmente permesso di crollare e gli lasciasse il tempo che gli occorreva per riprendersi.

Il trentaduenne sapeva che le emozioni da cui Gabriel si era lasciato dominare davanti a Claire erano il riflesso di unangoscia antica, viscerale, e del suo riemergere in superficie senza alcun preavviso. Sam sapeva che avrebbe avuto conferma di quanto fossero buone le intenzioni di Gabriel, una volta che il suo compagno fosse tornato in sé. Fu per questo motivo che attese pazientemente di vedere di cosa Gabriel avrebbe avuto bisogno e si fece trovare saldo dai suoi occhi stanchi quando questi tornarono a cercarlo.

- A parte per quanto riguarda il fatto che mi adora - aggiunse a quel punto il trentasettenne, laconico in quel lampo di sarcasmo autodistruttivo. - Non credo proprio.

L’espressione devastata che si fece largo sul volto della persona che amava non appena quell’accenno di sorriso mesto svanì decretò la fine dell’approccio rigido di Sam.

Maledizione, pensò il ragazzo, nell’atto di abbandonare la sua postazione di attacco per circumnavigare il tavolo e mettersi a sedere sulla sedia accanto a quella di Gabriel. Un momento più tardi, la sua mano stava stringendo la spalla del maggiore per dargli conforto e attirare la sua attenzione.

- Sei stato il primo a cui ha voluto dirlo - gli fece considerare non appena poté rivedere l’ambra delle sue iridi, in tono decisamente più lieve di un minuto prima. - Non l’ha ancora detto a sua madre, ma ha scelto di confidarsi con te. E se è delle conseguenze della tua scenata che ti stai preoccupando, sappi che quello che Claire prova nei tuoi confronti non è il tipo di fiducia o ammirazione che si possa mandare all’aria con un unico passo falso. Credimi, so quello che dico. Si dia il caso che anch’io abbia un fratello maggiore per cui stravedo da quando avevo quattro anni. E Dean non è uno stinco di santo, me ne ha fatte di tutti i colori, ma questo non toglie che darei la vita per lui.

Parlò piano, con calma e considerazione, perché non sussistesse alcun dubbio sul fatto che credeva profondamente in ciò che stava dicendo. Gabriel se ne accorse e parve giovarne, perché accennò un sorriso un po’ meno avvilito del precedente. Quindi prese un altro respiro profondo e si strofinò gli occhi con i palmi delle mani prima di abbandonare le braccia sul tavolo.

- Con noi. Ha scelto di confidarsi con entrambi - lo corresse poi, non senza un’oncia di orgoglio.

Sam gli restituì lo stesso sguardo furbo, lieto di sentire la tensione dissolversi nell’atmosfera ora quieta e riscaldata dal canto placido dei grilli.

- Perché sa che io so come gestire te e la tua, diciamo, personalità dirompente - replicò, sul pezzo.

- Quanto è vero - mormorò Gabriel, mentre quasi sovrappensiero intrecciava le dita a quelle di Sam e si avvicinava la sua mano alle labbra per posargli un bacio casto sulla parte interna del polso.

Mentre lo lasciava fare e si godeva quel piccolo ma incommensurabile gesto d’affetto, Sam decise che non aveva senso aspettare oltre.

- Gestiremo questa situazione insieme, ma lo faremo come si deve - stabilì, sapendo di parlare per entrambi. - Per il bene di Claire. D’accordo?

Gabriel si limitò ad annuire, grave, e a prendere l’iniziativa nel rimettersi in piedi per primo. Vedendolo dirigersi verso la porta dopo averlo ringraziato con una stretta affettuosa al braccio, Sam lo seguì, ma rimase a qualche passo di distanza una volta che entrambi sbucarono nuovamente in soggiorno. La stanza era illuminata dalla luce calda e aranciata della lampada in piedi che sostava nell’angolo alle spalle di Claire.

- Claire… - chiamò debolmente Gabriel, deglutendo per combattere il nodo in gola, non appena sua sorella alzò lo sguardo su di loro.

Dopo aver sorbito alcuni sorsi della sua camomilla, la ragazza aveva appoggiato la tazza sul tavolino ed era scivolata fuori dall’abbraccio di cotone delle sue scarpe di tela leggera per potersi portare le ginocchia al petto e rimanere lì, coi pallidi piedi nudi sui cuscini del divano, in silenzio e in attesa della prossima frana che avesse voluto crollarle addosso e testare i suoi nervi. L’occhiata che rivolse al fratello aveva un pizzico della riottosità latente tipica del carattere di Claire, ma ciò che spezzò il maggiore dovette essere il bagliore di timore che riconobbe negli occhi chiari della ragazza nell’istante il cui il suo sguardo passò da lui a Sam, per poi tornare indietro. Dio, era stato lui a costringerla a ritrarsi in quel modo?

- Claire, mi dispiace - si affrettò a dire allora, annichilito da quella reazione. Le si fece più vicino lentamente, parlando col cuore in mano mentre approcciava l’ansa del divano nella quale lei si era affossata. - Non avrei dovuto permettermi di parlarti in quel modo. Non ho idea di cosa tu abbia passato nelle ultime settimane né di quello che stai passando ora. So solo che mi sono appena comportato come un coglione. Se può consolarti, Sam mi ha tirato le orecchie a dovere. Credi che… potrai perdonarmi?

Vedendolo inginocchiarsi di fronte a lei e poi sedersi sui talloni per permetterle di guardarlo negli occhi senza dover alzare la testa, come Gabriel era solito fare quando lei era una bambina alle prese con le assurdità incomprensibili del mondo dei grandi e lui era spesso il suo unico ponte verso la salvezza, Claire non riuscì a trattenere un mezzo sorriso.

- Spero te le abbia tirate molto forte - bisbigliò, con l’aria di chi avrebbe potuto scoppiare a piangere se solo si fosse permessa di aumentare il volume.

Gabriel assentì, accennando a sua volta un sorriso contrito.

- Fino a farmi lacrimare.

- Bene - replicò Claire, guardandolo dritto negli occhi.

Non servirono più di tre secondi perché la ragazza si slanciasse in avanti per abbracciare il fratello e seppellire il viso nell’incavo del suo collo. Gabriel ebbe appena il tempo sufficiente a ritrovare l’equilibrio e a circondarla a sua volta con le braccia, prima di rendersi conto che il colletto della sua maglietta di cotone era umido e che il corpo di Claire era scosso dai singhiozzi trattenuti fino a quell’istante.

- Ehi, ehi, ehi - sussurrò allora, carezzandole la schiena tremante con estrema delicatezza. - Sorellina…

Cercò di trovare le parole adatte a calmarla, ma Claire lo batté sul tempo, mormorandogli all’orecchio: - Ho paura, Gabe.

Nel silenzio di cristallo del salotto, anche Sam udì quelle parole e il brivido che gli corse lungo le braccia fu simile all’impulso primordiale che portò Gabriel a consolidare l’abbraccio. Puro e semplice istinto di protezione.

Entrambi non poterono esimersi dal porsi mute domande: di cosa aveva paura Claire, nello specifico? Di quella che sarebbe stata la reazione dei suoi genitori alla notizia? Della gravidanza in sé e per sé e delle possibili complicazioni? Del futuro? Delle conseguenze sociali ed economiche dell’essere una studentessa ventunenne rimasta incinta dopo un rapporto occasionale? O quella che aveva parlato era già una madre che temeva per suo figlio? Le interpretazioni di quella frase avrebbero potuto andare avanti all’infinito. Da cosa dovevano proteggerla?

Da tutto, si rispose mentalmente Sam. Non importa cosa accadrà, la proteggeremo da tutto.

Dopo pochi secondi, ci pensò Gabriel a dare voce ai loro pensieri in comune.

- Andrà tutto bene, leoncina - assicurò il maggiore, premendole le labbra appena sopra la fronte in un gesto di conforto che aveva sempre fatto miracoli con Claire.

Dopo qualche respiro profondo, era decisamente tornato in sé e ora stava offrendo a sua sorella la stessa resistenza ferrea colpevole di aver salvato la vita di Sam, anni addietro. Sam stesso diede il merito a quella sua magia intrinseca quando Claire lasciò che Gabriel le prendesse il volto tra le mani e le asciugasse le guance bagnate di lacrime con i pollici.

- Ci sono qua io, d’accordo? E insieme faremo sì che vada tutto bene, come sempre - la blandì, il tono di voce simile a quello di una melodia tranquillizzante. Incitato da quegli occhi chiari concentrati sui suoi, sorrise incoraggiante. - Puoi dirmi tutto, lo sai? Se vuoi parlarne ancora… o se preferisci che restiamo qui in silenzio, va bene. Va bene tutto. Sono qui.

- Siamo qui - precisò Sam, sedendosi a pochi cuscini di distanza con gli avambracci sulle ginocchia.

Gabriel annuì, ringraziandolo con lo sguardo.

- E non andiamo da nessuna parte. O perlomeno, non io. Sono troppo pigro per muovere il culo, specialmente alla mia età e di venerdì sera.

Il tentativo di Gabriel di farla ridere funzionò a sufficienza, abbastanza perché Claire gli mollasse una manata scherzosa sulla spalla, salutasse le lacrime e si rimettesse comoda sul divano. Quindi si prese un minuto per ricomporsi e biascicò qualche ringraziamento per rasserenare i due ragazzi.

- C’era… c’è un’altra cosa di cui vorrei parlarvi - proseguì una volta che i singhiozzi si furono placati una volta per tutte.

Dalla sua espressione sembrava che si sentisse combattuta, ma che alla fine fosse giunta alla conclusione che ormai era in ballo e non c’erano più ragioni per non tirare fuori tutto ciò che era venuta a confessare. Sia Sam che Gabriel la osservarono mordicchiarsi le unghie per qualche secondo, in attesa che la smettesse di tenerli ulteriormente sulle spine.

- È il motivo per cui ho voluto aspettare che potessimo vederci tutti e tre assieme.

- Va bene - la assecondò Gabriel. - Quando vuoi. Se vuoi. Senza problemi.

Sam gli lanciò un’occhiata obliqua, chiedendosi se quell’accenno di sproloquio fosse un segno più o meno lampante della sua crescente agitazione. Che cos’altro teneva in serbo Claire per quella serata? Gabriel aveva già l’aspetto di un uomo a cui gioverebbero due o tre dosi di valeriana.

- C’è una ragione per cui ho aspettato tanto a dirlo - sospirò infine la ragazza, giocherellando con l’orlo del proprio vestito. - E per cui ho voluto dirlo a voi per primi. Voglio darvi più tempo possibile perché possiate rifletterci bene anche prima che lo sappiano mamma e papà e iniziate a parlarne anche con loro. Voglio darvi la possibilità di discuterne in qualità di coppia - specificò, dedicando qualche secondo a guardare negli occhi ognuno di loro, come se volesse che quel messaggio ancora criptico penetrasse a fondo.

Entrambi i ragazzi dovettero concederle un cenno di assenso prima che lei seguitasse.

- Per prima cosa, dovete sapere che non abortirò. Ho deciso così.

Sia Sam che Gabriel accettarono con una giusta dose di serenità il verdetto di quella che fin dall’inizio avevano considerato una scelta di Claire e di nessun altro.

- D’accordo - ribatté Gabriel, laddove il suo compagno si limitò a un sorriso quieto.

La ragazza parve farsi forza della loro rinnovata calma.

- E quello che volevo chiedervi è… - andò avanti, mordicchiandosi le labbra prima di arrivare finalmente al dunque. - Vorrei chiedervi se potreste considerare l’idea di adottare voi il bambino. E crescerlo. Insomma, di fargli da genitori. Di essere i suoi genitori, completamente - chiarì, ed era talmente presa dal tentativo di arrivare fino in fondo al discorso che si era preparata da non notare il modo in cui la stanza sembrava essersi capovolta sotto i piedi di suo fratello e suo cognato.

- Io non posso crescerlo - perseverò, ignorando il loro stupore. - Non posso tenerlo con me. Voglio continuare a studiare con tutta me stessa e sarebbe ingiusto per lui, o lei, avere una madre che non gli dia tutta l’attenzione che merita e così… così impreparata alla vita.

Percependo una nota greve di biasimo, Gabriel le appoggiò una mano sul ginocchio.

- Claire…

Ma lei insistette, imperterrita e agguerrita nel suo aggrapparsi così saldamente alla speranza.

- Lo darò in affido comunque, d’accordo? In ogni caso, non esiste che resti con me. L’ho già escluso dal mio ventaglio di possibilità - decretò, deglutendo, e guardandola lottare per non commuoversi Sam pensò che, convinta o meno che si ritrovasse a essere, quella non sarebbe stata una resa facile per nessuna donna al mondo.

- Ho solo pensato… quanto sarebbe bello se questo bambino potesse comunque rimanere in famiglia? - spiegò Claire, lasciandosi scappare un sorriso stracolmo di aspettative. - Verrebbe cresciuto da due delle persone migliori che conosco e io non potrei fargli da madre, ma da zia sì. E forse a voi non dispiacerebbe l’idea? Non lo so, ragazzi. Non vi ho mai nemmeno domandato se vorreste un figlio, se lo vorreste davvero, ma dovevo chiedervelo - ammise. - So che è qualcosa di grosso, okay? Ma dovevo provarci. Potete solo promettermi che ci penserete? Che ne parlerete?

Il modo in cui si stava mordendo il labbro inferiore a sangue spinse Sam a non farla attendere un secondo di più.

- Questo possiamo promettertelo - disse, scambiandosi uno sguardo carico di significati con Gabriel, che si strappò a forza dal proprio sbigottimento e annuì.

- Ci penseremo e ne discuteremo - acconsentì, serio, prima di sganciare la bomba del negoziato. - A patto che la mamma e Frank vengano a sapere del bambino entro pochi giorni. Non si meritano di essere tenuti all’oscuro su una cosa del genere, Claire - aggiunse quando lei deviò lo sguardo altrove. - Saranno sorpresi, certo, e forse anche un po’ allarmati, ma non hai niente da temere da loro e lo sai.

Lo sguardo con cui la ragazza tornò a considerare lui e quella prospettiva gli diede ragione.

- Affare fatto - accettò, umettandosi le labbra. - Se sarai con me quando glielo dirò.

Evidentemente onorato, Gabriel sorrise.

- Puoi starne certa, sorellina. Non ti perderò di vista neanche per un secondo.

Lei sbuffò in una mezza risata.

- Altre condizioni, despota?

- Ovviamente. Mi conosci - ribatté Gabriel, facendo cenno a Sam di allungargli una delle coperte accatastate nella cesta di vimini lì accanto e provvedendo ad adagiarla sulle gambe intirizzite di Claire una volta che il trentaduenne ebbe provveduto. - Dovrai mettere da parte l’orgoglio e le stronzate e lasciare che noi tutti ci prendiamo cura di te a dovere, nei prossimi otto mesi più che mai.

Comprensibilmente esausta, Claire non oppose resistenza. Anzi, si sistemò la coperta in grembo come se non fosse stata in attesa d’altro che di quel piacevole calore.

- Grazie - disse, includendo sia il fratello che Sam nella propria riconoscenza. - A tutti e due. Per tutto.

Qualche ora più tardi, dopo aver placato il rinnovato appetito di Claire con della sostanziosa zuppa d’orzo e aver guardato tutti assieme quello che Gabriel aveva definito “uno dei film più confortevoli del decennio” – Questione di tempo di Richard Curtis –, Sam si ritrovò con l’ingrato compito di decidere se fosse il caso di svegliare i due fratelli Hale per convincerli ad abbandonare il tepore del divano e a trascorrere il resto della notte in un letto che potesse chiamarsi tale.

La stanza degli ospiti era pronta per accogliere Claire da un paio di giorni e non c’era alcun dubbio che Sam preferisse dormire assieme a Gabriel, piuttosto che saperlo in salotto e avere la certezza che avrebbe passato il giorno successivo con la schiena dolorante.

Alla fine non fu la tenerezza che i due fratelli appisolatisi una sulla spalla dell’altro gli ispiravano a trattenere Sam dall’allontanarli dai rispettivi universi onirici. Piuttosto, fu la certezza di aver bisogno di qualche ora per riflettere in pace e solitudine, agitandosi tra le lenzuola con tanto trasporto che sì, forse Gabriel avrebbe dormito meglio su quel divano troppo soffice.

Fu con passo felpato, quindi, che Sam andò a controllare che anche la porta sul retro fosse stata chiusa a chiave e che distese una coltre in più sulle ginocchia di Gabriel e sulle spalle di Claire prima di dirigersi verso la camera da letto padronale al piano superiore.

Un bambino. Un bambino da crescere assieme a Gabriel. Un bambino a cui fare da padre.

Dio, non avrebbe chiuso occhio per settimane.

 

 

 

 

 


Angolino dell’autrice

Ciao a tutt*!

Mi presento qui in palese ritardo rispetto al solito e per questo mi scuso. La vita ha deciso di essere particolarmente frenetica, in questo periodo. Non me ne lamento, però mi dispiace che questo influisca sui tempi di aggiornamento e vi chiedo scusa *lancia in aria sacchettini di bignè alla crema*

Come sempre ringrazio chi segue la storia e chi ha recensito lo scorso capitolo, vale a dire lilyy, strugatta, Ciuffettina e _AnnairA_ *distribuisce valanghe di crostatine alle fragole*

Non vedo l’ora di conoscere la vostra opinione su questo capitolo, che ha rivelato ciò di cui avrei voluto rendervi partecipi fin dall’inizio!

Ci sentiamo nelle recensioni, per chi vorrà. Intanto, vi mando un abbraccio e vi do appuntamento a presto ^-^

 

P.S. Se vi capita di avere bisogno di avere un po’ più di luce e serenità nella vostra vita, vi consiglio di guardarvi Questione di tempo. È un film magico che fa risplendere l’anima in tutta semplicità.


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Capitolo 5
*** Fragole e basilico ***


 

5. Fragole e basilico 


 

Il giorno dopo, seppure immerso nell’atmosfera oziosa di quel sabato mattina di primavera, Sam finì per arrivare al Breadcrumbs con congruo anticipo. D’altronde, dopo essersi assicurato che Claire facesse una colazione degna della fama di suo fratello e aver insistito per accompagnarla in auto almeno fino alla fermata dell’autobus che l’avrebbe riportata a casa, non gli restava altro da fare che aspettare Gabriel. Dovevano assolutamente prendersi un po’ di tempo per parlare. Oh, ne avevano di argomenti di cui discutere.

Da tempo il Breadcrumbs era diventato uno dei loro ritrovi abituali. Si trattava di un baretto vegano – una creatura straordinaria se non mitica, in una realtà di paese piccola come Ellis, una radice periferica della varietà cittadina su cui Sam e i suoi istinti salutisti e amici dell’ambiente si erano gettati a capofitto. Il localino, d’altronde, si trovava a una via di distanza dal negozio di frutta e verdura che Gabriel aveva rilevato un paio d’anni prima, dopo averci lavorato alle dipendenze del precedente proprietario ed essersi guadagnato la simpatia e la stima dell’uomo, ormai prossimo alla pensione e senza discendenti che avessero mai coltivato alcun interesse per l’attività di famiglia.

Da quando Gabe era passato dall’essere un subalterno a trovarsi a capo dell’attività – per quanto si trattasse di un settore in cui lavorava da più di dieci anni e la clientela di quella zona fosse più che fedele al negozietto di quartiere – i suoi orari di lavoro si erano fatti decisamente più elastici. Sam, che lavorava ancora part-time alla biblioteca dell’università, aveva dovuto adattarsi a pranzare spesso da solo e a occuparsi della cena prima che Gabriel tornasse a casa. Ma l’attività era ben avviata e rendeva Gabe felice. Sam non avrebbe potuto chiedere di più per lui, che riforniva di frutta e verdura anche quello stesso baretto vegano cui entrambi si erano affezionati al punto da trasformarlo in un ritrovo fisso per i pranzi del sabato.

A volte, anche se per l’appunto di sabato, a Gabriel capitava di svegliarsi a causa della telefonata di un fornitore che doveva effettuare una consegna urgente di pesche, carciofi o quant’altro, o dei messaggi di qualche cliente che gli chiedeva se poteva fare un’eccezione e aprire per permettergli di fare il rifornimento settimanale al quale non aveva avuto tempo di provvedere durante la settimana. Gabriel era affezionato sia ai rapporti con la clientela che al buon nome della sua attività, perciò, di conseguenza, malgrado il cartello appeso in vetrina segnalasse diversamente, molte volte i passanti trovavano l’ortofrutta aperto anche di sabato mattina.

Quindi, di solito attorno a mezzogiorno di ogni sabato, Sam oltrepassava la soglia del Breadcrumbs, prendeva posto al tavolo nell’angolo, quello che offriva sia le panche morbide che la vista sulla strada principale, e tirava fuori dallo zaino il romanzo di turno per consumarne qualche pagina durante l’attesa.

- Il solito, Sam? - era solito chiedergli il gestore, impegnato ad affettare pomodori dietro il bancone.

- Sì, grazie, Julian. Anche per Gabe, per favore. È in arrivo.

Il solito”, almeno per quanto riguardava le bevande, consisteva in una centrifuga di fragole, foglie di basilico e succo di lime per Sam e un frappè a base di banane e cioccolato per Gabriel. Era stato il loro primissimo ordine in quel localino dalle pareti affrescate con colori caldi, il mobilio in legno, la musica indie folk che usciva a basso volume dalle casse e l’anima effervescente, e, pur avendo provato altre proposte del menù di tanto in tanto, vi erano sempre tornati con entusiasmo. Sam pensava che quell’abitudine fosse legata al ricordo della primissima volta in cui lui e Gabriel si erano seduti a quel tavolino, quasi due anni prima.

- Jackpot - aveva commentato Gabriel, una volta che Julian si era allontanato con il foglietto dell’ordinazione. Quando Sam aveva alzato lo sguardo dalla lista delle piadine con impasto integrale per lanciargli un’occhiata incuriosita, l’altro gli aveva sorriso con ovvia allusione sotto la barba leggera che lasciava crescere ogni qual volta la sua compagnia teatrale non pretendeva altrimenti. - Non abbiamo scelto un singolo ingrediente che non sia un afrodisiaco.

Sam gli aveva restituito il sorriso, dubitando della veridicità di tale affermazione ma accontentandosi di vedere chiaramente dove il compagno volesse andare a parare.

- Dici che le nostre intenzioni nei confronti dell’altro sono troppo palesi?

- Dico che siamo nei guai. Ci troviamo in un locale pubblico - aveva precisato Gabriel, senza staccargli gli occhi di dosso mentre pescava una fetta di pane dal cestino a centrotavola e gli dava un morso convinto.

Per qualche strano motivo, Sam ricordava quella conversazione fin nei minimi dettagli. La maglietta bianca a maniche corte che aveva indossato quel mattino, le sfumature color alba della tovaglia che aveva riempito di briciole mangiando, la canzone in sottofondo e il modo peculiare in cui Gabriel aveva continuato a lisciarsi l’avambraccio sinistro con il pollice destro, come se stesse facendo di tutto per tenere impegnate le mani in attesa di poter uscire da lì e mettergliele addosso.

Dopo aver finito le loro piadine, erano tornati a casa in fretta e furia e si erano goduti il miglior sesso delle ultime settimane senza nemmeno riuscire a raggiungere la camera da letto. Più tardi, quando si erano ritrovati entrambi ansanti e schiacciati uno accanto all’altro sul divano, Gabriel si era detto orgoglioso di entrambi per il semplice fatto di essere riusciti a chiudersi la porta d’ingresso alle spalle prima di perdere completamente la cognizione dello spazio, del tempo e della decenza.

Ma quel giorno, quel 9 aprile, le circostanze della vita avevano fatto sì che Sam fosse davvero molto, molto in anticipo. Aveva un’ora e mezza abbondante da far passare prima che Gabriel potesse chiudere bottega e il ricordo di quel giorno non era sufficiente a distrarlo tanto a lungo. Aveva bisogno di scavare più a fondo, se non voleva che i pensieri nati la sera prima dalle parole di Claire, dalla rivelazione prima e dalla sua richiesta poi, tornassero a ossessionarlo prima che potesse condividerli col suo compagno. Aveva bisogno di immergersi in una distrazione potente, qualcosa cui neppure il romanzo più atteso dell’anno avrebbe potuto ambire in quel frangente.

Un altro ricordo potrebbe fare al caso mio, si disse nel momento in cui Julian gli posò davanti la sua centrifuga alle fragole e la radio cominciò a diffondere le prime note di Better Man di Paolo Nutini. Oh, eccolo il ricordo di cui aveva bisogno.

 

 

- 12 marzo 2010, appartamento di Gabriel

 

Quella sera l’intero viale di Salisbury Willows sembrava intento a godersi la serenità senza tempo di un venerdì sera in famiglia.

Malgrado l’avvicinarsi della primavera, il clima era ancora freddo e sia Sam che Dean dovettero affrettarsi a percorrere il vialetto del numero 21, perché dal cielo avevano già cominciato a cadere le grosse gocce di pioggia che il meteo aveva annunciato per il giorno dopo. Castiel, che era stato l’unico abbastanza saggio da infilare un ombrello nel bagagliaio dell’Impala, li raggiunse con tutta la calma del mondo e con stampato in faccia un sorriso sornione che neppure l’occhiata pungente di suo marito fu in grado di scalfire.

Guardandoli, a Sam venne da ridere. Gli succedeva sempre più spesso, ultimamente, di venire rallegrato dalle piccole cose, di sentirsi sfacciatamente felice per ogni dettaglio eppure per nessun motivo in particolare, ora che tutta la sua vita sembrava aver svoltato e intrapreso un percorso ben più soleggiato del precedente.

Sam viveva ancora con suo fratello e suo cognato, ma tempo una settimana e avrebbe trasferito tutti i suoi averi da Gabriel. Tutto era stato calcolato in modo che il trasloco avvenisse in tempo per l’arrivo del bambino – Thomas, come avevano deciso di chiamarlo Dean e Castiel, in omaggio al nonno deceduto in guerra di quest’ultimo. Pur trovandolo un così bel nome in sé e per sé, Sam era stato sopraffatto dalla meraviglia quando Dean gli aveva annunciato di aver scelto il suo come secondo nome da dare al figlio. Thomas Samuel Novak Winchester. Sarebbe suonato pretenzioso, se tutti non avessero già iniziato a riferirsi al piccolo in arrivo chiamandolo semplicemente Tom.

Gabriel aveva proposto e organizzato quella serata a casa propria sia perché Dean avesse la possibilità di conoscere meglio il nuovo ragazzo di suo fratello minore – e viceversa –, sia perché, con l’avanzare dei giorni e l’avvicinarsi del termine previsto per la gravidanza di Agnes, sia a Dean che a Castiel appariva sempre più chiaro come quelle fossero le loro ultime settimane di libertà. Presto avrebbero avuto i ritmi di un neonato a cui sottostare e serate come quella che Dean aveva pianificato per quel venerdì sera sarebbero state molto meno praticabili. Le memorie di Gabriel dei primi mesi di Claire erano bastate a confermare l’ipotesi.

Fu così che si ritrovarono per la prima volta tutti assieme al piano terra dell’appartamento di Gabriel, il quale li accolse assicurando a Dean e alla sua allergia di aver chiuso Momo in camera da letto e pulito tutta la casa prima del loro arrivo. Si sentiva fiducioso che ogni traccia felina fosse stata aspirata.

Gli ospiti vennero fatti accomodare in salotto, attorno al tavolino che Gabriel aveva apparecchiato con i piatti e i bicchieri colorati che Sam aveva imparato ad amare. Seguendo l’esempio di quest’ultimo, anche Dean e Castiel si accomodarono a terra, seduti a gambe incrociate sul pavimento di fronte ai rispettivi piatti ancora vuoti.

- Spero non stiate troppo scomodi - si premurò di osservare Gabriel con aria rammaricata, mentre sfilava abilmente una teglia dal forno e lasciava che il contenuto fragrante riempisse la stanza di aromi. - Sam sa che sono sempre costretto a improvvisare una sala da pranzo, non avendone una. Sapete com’è, questo nasce come un appartamento per cuori solitari.

Dean si accodò al sorriso di Sam e fece spallucce con leggerezza.

- Tranquillo, ho ancora l’età per reggere questo e altro. Non so se si possa dire lo stesso di Cas, però.

Per tutta risposta, suo marito gli fece una linguaccia convinta e il padrone di casa si sciolse in una risata sollevata. Per l’ennesima volta, Sam fu grato sia a suo fratello che a Cas per tutto l’impegno che mettevano nel tentativo di far sentire Gabriel come uno di famiglia.

Per quanto rilassato apparisse Gabriel, infatti, Sam si era accorto ben presto che, dopo una vita passata a essere uno dei pazienti di Castiel, l’idea di essere semplicemente suo cognato quando lo incontrava fuori dallo studio era una delle poche cose che riuscivano a renderlo nervoso, di tanto in tanto. A ciò si aggiungeva il desiderio di Gabriel di fare una buona impressione anche a Dean. Era il motivo per cui, quando Sam aveva proposto una cena fuori, Gabriel non aveva voluto sentirne parlare e aveva preteso che il tutto si svolgesse a casa sua.

- Ho già in mente cosa cucinare - aveva detto per chiudere la questione.

E lo sapeva eccome. I suoi sigari di trota – dei fagottini di pasta sfoglia croccante che avvolgeva il ripieno bollente composto da pesce, spinaci ed erbe aromatiche – furono un successo, ma fu il dolce a spazzare via ogni dubbio in merito al fatto che Gabriel fosse appena diventato il nuovo favorito di Dean. La torta, composta da una base di pasta frolla al miele, un cuore di cheesecake allo yogurt e una guarnitura di fragole fresche, stimolò i complimenti di tutti i presenti, ma fece esplodere le papille gustative del maggiore dei Winchester.

Aiutata anche dalle birre artigianali che gli ospiti avevano portato come contributo, la serata stava procedendo bene, tra seconde o terze fette di dolce e chiacchiere, quando Dean se ne venne fuori con quanto stava architettando da giorni all’insaputa di tutti.

- Okay, basta gingillarsi. Le chiacchiere civili stanno a zero e abbiamo dedicato una parte fin troppo ampia della serata a fare i bravi - decretò, attirando su di sé gli sguardi perplessi di Sam e Castiel e quello divertito e vagamente incuriosito di Gabriel. Non lasciandosi scoraggiare dalla reazione della maggior parte del suo pubblico, Dean finì la sua birra in un sorso, allontanò da sé la bottiglia vuota e picchiettò sul tavolino con le nocche: - È arrivato il momento di fare sul serio e giocare a “Non ho mai”.

Sam alzò gli occhi al cielo con una rapidità impressionante.

- Dean, per l’amor di Dio

- Eh no - lo bloccò subito suo fratello, categorico. - Le lagne non sono ammesse. Chi diventerà padre tra un paio di settimane? Non tu. Ho diritto a un ultimo desiderio. Oltretutto, servirà a scioglierci un po’. E Dio sa quanto hai bisogno di un po’ d’olio in quelle giunture, Sammy.

Il ragazzo lo fulminò con un’occhiata, mentre Gabriel, alla sua sinistra, ridacchiava e si serviva l’ennesima fettina di dessert. Alla fine, però, nemmeno Sam se la sentì di mettere i bastoni tra le ruote al fratello. Dopotutto, non c’era alcun motivo per farlo, non si trattava d’altro che di un gioco. Quella di Sam era stata più che altro una reazione dettata dall’abitudine e dall’istinto di proteggere Gabriel da domande sulla sua vita che il giovane avrebbe potuto trovare inopportune. Ma Gabriel sapeva difendersi, ricordò Sam, e spesso molto meglio di lui.

- Va bene, va bene - si arrese allora. - Solo se anche gli altri sono d’accordo, però.

Gabriel reagì con un sorriso eccitato e non ebbe la minima esitazione: - Io ci sto.

- Se è per conoscerci un po’ meglio, va bene - chiuse il cerchio Castiel. - E sto per diventare padre anch’io, perciò...

- Andata! - esclamò Dean, battendosi una mano sulla coscia prima di scambiarsi un’occhiata complice con il padrone di casa. - Gabe, amico mio, a questo punto dell’alcol serio ci farebbe molto comodo. Posso contare su di te?

- Al vostro servizio - replicò il chiamato in causa, saltando in piedi come dinnanzi a un segnale concordato. - Mi procuro l’artiglieria pesante e sono subito da voi.

Sam, che si aspettava di vederlo dirigersi verso l’armadietto dei liquori per prelevarne una bottiglia di whisky o di rum, rimase completamente spiazzato quando il suo ragazzo si limitò ad aprire il frigo e a tirarne fuori due caraffe da litro piene fino all’orlo di un liquido blu come l’oceano, adornate da una fetta di lime ciascuna. Quando Gabriel le posò sul tavolino, Dean diede in un’esclamazione di giubilo e Sam incespicò sulle parole, cominciando a pensare che quei due si fossero messi d’accordo.

- Avevi già preparato due brocche di… di…

- Di Angelo Azzurro, beata innocenza - lo prese in giro Gabriel con voce dolce, allungandogli un bacio sullo zigomo subito dopo essere tornato a sedersi a gambe incrociate al suo fianco. Il suo ghigno era qualcosa di gran lunga più peccaminoso di quella quantità industriale di cocktail a base di rum bianco, Cointreau e Blue Curaçao, e per una volta Gabriel pareva essersi completamente dimenticato di trovarsi dinnanzi al suo psicoterapeuta. Era in pace, completamente rilassato, e tutto ciò era impagabile. - Quando il piacere chiama, preferisco farmi trovare preparato.

A quell’uscita, Dean applaudì addirittura, perdendosi l’imbarazzo di porpora che fiorì sulle guance di Sam di fronte a quello che per il più giovane suonò come un evidente doppio senso.

- Ben detto. Sam, smettila di dare aria alla bocca e giochiamoci il primo turno.

- Perché proprio noi due? - questionò il ventiseienne, soppesando con aria critica il pugno che Dean aveva appoggiato nella propria mano aperta, in procinto di scegliere tra sasso, carta o forbici.

Fu il turno di suo fratello maggiore di alzare gli occhi al cielo con aria melodrammatica.

- Perché sì. Tradizione di famiglia. Non fare il rompicoglioni - lo liquidò in fretta, spronandolo a imitarlo.

Sam si appoggiò il pugno nel palmo aperto della mano con un sonoro sbuffo.

- Tanto perdi sempre.

La breve manche gli diede ragione. Le forbici di Dean vennero fracassate dal sasso di Sam e il maggiore dei due fratelli si morse il labbro inferiore di fronte al sorrisetto accorto sfoggiato dal minore.

- Merda - mormorò, ma si riprese all’istante, raddrizzò le spalle e raccolse tutti i presenti attorno a un unico sguardo di sfida. - Va bene. Anzi, benissimo. Nessun problema. Diamo il via alle danze, signori. E bando alla morigeratezza. Voglio vedervi bere come matricole alla prima festa della confraternita.

 


 




Angolino dell’autrice

Per prima cosa, grazie a strugatta, Ciuffettina, lilyy e _AnnairA_ per le recensioni lasciate allo scorso capitolo e a chiunque stia seguendo la storia *fa piovere baci di dama in ogni dove*

Alla fine ho deciso di dividere il capitolo a metà. Stava diventando molto lungo e – particolare ben più degno di attenzione – vi stavo facendo aspettare davvero troppo per i miei gusti. Perciò il flashback della serata proseguirà nel prossimo capitolo ;)

Non vedo l’ora di sapere cosa ne pensate di questo, però! Dato che alcune di voi – e io stessa mi inserisco nel gruppo – erano rimaste un po’ deluse dal salto di sei mesi tra l’ultimo capitolo e l’epilogo di “Menta e albicocche”, mi sembrava doveroso offrirvi degli scorci di quel periodo. Dopotutto, si tratta dei “mesi stupidi” di Sam e Gabriel. Mica pizza e fichi!

Spero di sentirvi nelle recensioni, meraviglie. A presto!



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Capitolo 6
*** Rum e whisky ***


 

6. Rum e whisky 



Castiel raccattò i bicchieri che Gabriel provvedette a riempire di Angelo Azzurro.

Conoscendo il cocktail – anche se non era stato in grado di riconoscerlo a prima vista – Sam previde che l’atmosfera si sarebbe scaldata prima che tutti loro si rendessero conto di aver oltrepassato il vago confine che conduce chiunque dal sentirsi piacevolmente brillo a scoprirsi incapace di infilare un passo dietro l’altro. Ma il ragazzo si gettò presto alle spalle quel pensiero. Come lo stavano invogliando a fare i sorrisi di tutti i presenti, era deciso a godersi la serata.

Il primo giro si dimostrò facile, per quanto lento. A ogni affermazione seguì qualche mormorio più o meno stupito e ognuno di loro ebbe modo di attentare al proprio long drink per ben più di un timido assaggio.

Ogni volta che per uno dei presenti non valeva la stessa dichiarazione enunciata da chi di turno, infatti, Dean pretendeva che ogni malcapitato trangugiasse Angelo Azzurro per almeno due secondi di seguito. Fu così che tutti vennero a sapere che Dean non era mai stato su un aeroplano – e nemmeno Gabriel, l’unico a salvarsi dal primo sorso d’alcol –, che Gabriel non aveva mai fatto parte di una squadra sportiva al liceo – qui sia Sam che Dean dovettero intaccare la propria dose –, che Sam non aveva mai recitato su un palcoscenico – Dean confermò, raccontando di come il fratellino si fosse rifiutato categoricamente di prendere parte perfino alle recite di Natale dell’asilo, mentre Castiel confessò il suo passato di chierichetto spesso impegnato in rievocazioni religiose – e che Cas non era mai andato a un ballo scolastico che fosse uno nel corso di tutta la sua gloriosa carriera scolastica.

- Che cosa? - esclamarono Sam e Gabriel all’unisono, scioccati, facendo ridere Castiel.

- I miei genitori credevano non ci fosse abbastanza controllo su quel tipo di feste e sulle sostanze che vi si potevano consumare, perciò non hanno mai lasciato andare nessuno di noi - spiegò, tranquillo. Quindi aggiunse a beneficio di Gabriel: - Con “noi”, intendo me e i miei fratelli. Ho un fratello e una sorella maggiori.

- Oh - fece Gabriel, annuendo con interesse genuino.

- Sì, dai, la solita storia - si affrettò a concludere Dean, chiaramente già a conoscenza di quella faccenda e voglioso di proseguire verso particolari più succulenti. - Cattolicesimo, casa e chiesa, niente alcol, niente sesso, niente divertimento. Ora bevete, su.

Sam e Gabriel quasi si strozzarono col drink, ridendo, quando Castiel allungò un sentito scappellotto al marito.

Il gioco prese piede e progredì velocemente. Man mano che l'alcol scaldava i corpi dei quattro partecipanti, le loro menti perdevano per strada briciole su briciole di pudore e ben presto gli argomenti toccati dalle rivelazioni che scoccavano a ogni turno cominciarono a farsi meno innocenti.

Sorprendentemente, fu Castiel a rompere il ghiaccio con: - Non ho mai baciato una donna.

Mentre sia Sam che Dean ingoiavano il dovuto, Gabriel alzò l'indice verso l'alto per chiedere la parola.

- Immagino di non poter escludere quanto accaduto su un palcoscenico in quanto finzione, giusto?

Dean fu lesto a scoppiare a ridergli in faccia.

- Amico, ti ho visto recitare e quelle limonate sono finte solo nei tuoi sogni. Bevi.

- Okay, alziamo il livello di qualche spanna - farfugliò l’altro dopo aver obbedito con solerzia, pulendosi le labbra con pollice e indice prima di avventarsi sul turno di Dean e farlo suo. - Non sono mai stato con una donna.

La reazione della sua piccola platea fu un silenzio generale. Nessuno fece nemmeno finta di avvicinarsi al proprio bicchiere e, dopo qualche secondo di scambio di sguardi, tutti risero dell'impasse.

- Credevi davvero di fare dei punti con un’uscita del genere? Pensavo fosse ovvio che questa non è la compagnia giusta dove cercare degli estimatori del gentil sesso - rimarcò Dean, prendendo in giro Gabriel con un'occhiata saccente.

Il ragazzo si esibì in un gesto di resa.

- D'accordo, d’accordo, ho fatto il passo più lungo della gamba. Ma ero troppo curioso - ammise Gabriel, bevendo un altro sorso per penitenza prima di puntare il dito contro Dean. - Eppure avrei scommesso su di te. Sam mi ha raccontato che hai un passato bisessuale di tutto rispetto. Pensavo fossi arrivato anche al dunque con una donna prima di... - esitò, accennando col capo a Castiel, - sistemarti.

- Oh, si è sistemato tardi - specificò Castiel. - Ha avuto tutto il tempo per divertirsi, stanne certo.

- Mi diverto ancora. Ogni singolo minuto - lo blandì Dean, facendosi abbastanza vicino da stampargli un bacio sulla spalla e far incrociare i loro sguardi muti, ma ricolmi di significati. Sam stava cominciando a pensare che avrebbe dovuto schioccare le dita per farli tornare entrambi alla realtà, quando finalmente Dean tornò alla sua conversazione originaria con Gabriel. - Comunque no. Mai vista una fanciulla tra le lenzuola. Mi sono capito e accettato prima.

Gabriel sorrise di una gioia sincera, empatico come suo solito.

- Buon per te.

Presto gli occhi di tutti furono su Sam, in attesa.

- Ce l'ho - annunciò il giovane, esibendo a sua volta un sorrisetto accorto. - Non ho mai avuto una relazione con qualcuno che fosse più giovane di me.

Tra esclamazioni di giubilo, ammissione e complimenti per la trovata, riuscì a far bere ognuno dei presenti. Oramai tutti avevano preso il ritmo e, carburati dalla deliziosa creazione alcolica del padrone di casa, quasi non si accorsero della facilità con cui si spinsero verso territori più intimi e inesplorati. Nemmeno Dean, prima di quella sera, aveva mai scoperto che suo marito aveva bevuto le sue prime tre dita di whisky a quattordici anni. Ne risultò rumorosamente estasiato.

- Ero cresciuto attaccato alla gonna dei preti, avevo appena scoperto che mi piacevano i ragazzi e mio padre si fidava troppo di tutti noi per mettere un lucchetto all’armadietto degli alcolici. Dammi tregua - si giustificò Castiel, trascinato da un’allegria andante, di fronte allo scalpore teatrale dipinto in faccia a suo marito.

Dean, ad ogni modo, si riprese in fretta e rifletté poco sulla sua uscita successiva.

- Hm… non l’ho mai fatto prima dei sedici anni.

Quando nessuno bevve, Dean puntò gli occhi strabuzzati su Gabriel e agitò nella sua direzione il suo bicchiere ormai quasi vuoto.

- Io contavo su di te! - esclamò in tono offeso, facendo sogghignare l’imputato più di tutti.

- Spiacente, Dean-o - si giustificò amenamente il padrone di casa, scrollando le spalle e offrendogli un sorriso candido. - So che guardandomi non si direbbe, ma sono sbocciato tardi.

Quella piccola apertura non fece altro che convincere Dean a indagare più a fondo, stringendo le palpebre.

- Quanto tardi?

Ma Gabriel tagliò le gambe alla sua indiscrezione con la stessa ostentata professionalità con cui avrebbe provveduto a farcire dei cornetti alla crema.

- Queste domande non fanno parte del gioco, vero? Andiamo avanti, che sono curioso - sciorinò. Si prese giusto il tempo di rivolgere un occhiolino complice all’espressione divertita di Sam prima di far compiere un passo in più alla sua pedina immaginaria: - Non ho mai avuto una relazione con qualcuno che avesse il doppio dei miei anni.

Aveva rischiato, pensò Sam, e mirato troppo in alto una seconda volta. Anche Gabriel se ne rese conto, fece schioccare la lingua con disappunto e si apprestò a bere per penitenza. Fu Castiel a fermarlo.

- Aspetta - tentennò, meditabondo. - Intendi il doppio degli anni che abbiamo adesso o il doppio degli anni che avevamo al momento della relazione?

Colto di sorpresa ma prevedendo sviluppi intriganti, Gabriel rispose in fretta.

- La seconda, ovviamente.

Castiel annuì, pensieroso, come se stesse riflettendo sulle conseguenze delle proprie azioni. Quindi, sotto gli sguardi attoniti di Sam e Gabriel e quello pacatamente rallegrato del marito, bevve un lungo sorso di Angelo Azzurro.

- Che cosa? - si lasciò scappare Sam, un po’ troppo ad alta voce per i suoi stessi gusti.

Gabriel, al contrario, convogliò tutto il suo stupore in una risata e nella posa deliziata con cui, subito dopo, fece in modo di sporgersi verso Castiel, con un gomito appoggiato al tavolino, il mento abbandonato sul palmo della mano e gli occhi che brillavano d’attrattiva.

- Oh, ma è fantastico. Dicci tutto.

- Sì, Cas - calcò la mano Dean in tono querulo, con un sarcasmo spietato. - Racconta tutto a Sammy e Gabe.

Quello fu l’istante in cui Castiel dovette cominciare a sentir prudere le mani, perché passò Dean da parte a parte con un’occhiata esasperata prima di tornare ai due interlocutori che aveva abbandonato appesi a un filo.

- Quando ero al college, ho avuto una relazione con un mio professore - confessò senza tanti giri di parole.

Il sorriso diabolico di Gabriel si allargò fino ad andargli da orecchio a orecchio.

- Ma cosa vengo a sapere - cantilenò il padrone di casa, già sguazzando nei pettegolezzi.

- Che ragazzaccio, eh? L’avresti mai detto? - infierì Dean, ignorando l’evidente fastidio di suo marito nel nome della nuova alleanza che stava siglando con Gabriel.

- Piantala - lo bruciò Castiel in tono asciutto, ma tutto quello che ottenne in cambio da Dean fu un ghigno compiaciuto.

- Ti piacerebbe.

- E quanti anni aveva lui? - chiese Sam, intervenendo sia per spezzare una lancia a difesa del disagio del cognato che per reale interesse.

- Io venti - rispose Castiel, accogliendo con sollievo l’intervento schietto del più giovane del gruppo. - Lui… non saprei dire.

- Dai, come fai a non saperlo? - sbottò Dean, interrompendo bruscamente il suo salto indietro nel tempo. - Mi vuoi davvero far credere che ci hai fatto sesso ogni domenica pomeriggio per due anni e non ti ricordi quanto era vecchio?

Castiel alzò gli occhi al cielo, come per chiamare a sé l’immensità delle forze celesti, prima di ribattere con un esempio della pazienza che secondo Sam bastava a renderlo una creatura ultraterrena.

- Non lo abbiamo fatto in maniera continuativa. Ci siamo lasciati e ripresi diverse volte e tu lo sai.

Ancora una volta l’attenzione ormai effimera di Dean passò sopra il suo fastidio come un soffio, senza tenerne conto, per poter incontrare lo sguardo complice di Gabriel.

- Certo. Si sa, la carne è debole.

Castiel ignorò le risatine di entrambi con maestria e cercò rifugio dall’unica persona che ancora non aveva cominciato a farsi beffe di lui.

- Avrà avuto al massimo quarantacinque anni, Sam.

Gabriel fischiò in segno di ammirazione: - Però!

- Fai anche cinquanta - s’intromise ancora una volta Dean, sempre a beneficio del suo nuovo compare. - L’ho cercato su internet. Adesso è in pensione, lo sugar daddy.

Sam vide l’ultima stilla di sopportazione gratuita abbandonare la luce negli occhi di Castiel in un nanosecondo.

- Dean, ti giuro sull’Altissimo che stai per prenderle - sibilò, togliendo il sorriso di faccia almeno a Gabriel. Quando suo marito, pur faticando a sedare quel sorrisetto saputo, alzò le mani in segno di resa, il trentacinquenne tornò a rivolgersi alla sua contenuta platea con un sospiro: - Se vi interessa sentire la mia su questa questione, sappiate che sì, ho avuto una relazione con un uomo di quasi cinquant’anni quando ne avevo venti ed è durata, se vogliamo mettere insieme alti e bassi, più di due anni. Ci siamo lasciati in termini non proprio piacevoli e ancora mi pento di essermi permesso di invischiarmi in una storia del genere.

- Perché? - si azzardò a domandare Sam, serafico. - Non vi amavate?

Castiel sbuffò in una mezza risata amara che forse, da sobrio, si sarebbe sforzato di trattenere.

- No, Sam. All’epoca, per me il mio orientamento sessuale era ancora frustrante sotto diversi punti di vista. Avevo imparato ad accettarmi, ma non era lo stesso per la mia famiglia. Cominciai a frequentare Richard perché sapere che ci andavo a letto dava fastidio a mio padre e quello era un periodo in cui ero disposto a tutto pur di farlo sentire scomodo quanto lui faceva con me. E l’ho tirata avanti tanto a lungo per motivi non molto diversi. Ma Richard non ha mai avuto intenzioni serie con me, mentre io ho sempre voluto una famiglia. Se tornassi indietro, taglierei prima - concluse, per poi interrompere quel silenzio imbarazzato con un mezzo sorriso. - Ma penso ci andrei a letto di nuovo, almeno qualche volta. Era attraente, sapete? E diamine, se ci sapeva fare.

Il coro di risate ed esclamazioni di approvazione che seguì riequilibrò l’atmosfera e presto, certo prima che Sam se ne rendesse conto, Gabriel scomparve e riapparve al suo fianco con quattro bicchieri Tumbler e una bottiglia di whisky. Ne servì un dito a tutti e quattro, porse il primo a Castiel e alzò il proprio nell’atto di annunciare il proprio brindisi.

- Alle cazzate che si fanno a vent’anni? - propose.

- Alle cazzate che si fanno a vent’anni - approvò Castiel, bevendo assieme agli altri dopo che tutti i bicchieri ebbero tintinnato uno contro l’altro. Ingoiò il whisky con una smorfia prima di proseguire: - Be’, credo di aver pagato il mio pegno. Andiamo avanti con il gambero.

- Oh, finalmente lo stiamo perdendo - sospirò Dean, sollevato dalla pessima battuta. - Stavo cominciando a temere che fossi diventato resistente all’alcol, angioletto.

 





Angolino dell’autrice

Per prima cosa, grazie a strugatta, lilyy e Ciuffettina per le recensioni e a chiunque stia seguendo la storia *lascia tanti piccoli cheesecake lungo il sentiero*

Ragazz*, non mi aspettavo che dare il via a questa serata di confidenze tra i nostri quattro fanciulli avrebbe portato a una distribuzione su tre capitoli, ma eccoci qui: il flashback proseguirà fino alla fine del prossimo capitolo, perché mi sono fatta prendere la mano *nuota nel flashback con la grazia di un tricheco*

E poi non vorrei bombardarvi di troppe informazioni tutte in una volta. Voglio dire, voglio farvi sbirciare nel passato di questi quattro, certo, ma le persone hanno bisogno di respirare *e, possibilmente, di trovare aggiornamenti più o meno regolari, coff coff*

Fatemi sapere cosa ne pensate fin qui! Non vedo l’ora di chiacchierare con voi a riguardo ^-^

Un abbraccio e a presto!



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Capitolo 7
*** Cicatrici ***



7. Cicatrici

 

- Tocca a me - si buttò Sam per mettere fine al loro battibecco. - Non ho mai fatto sesso in una dark room.

- Ah, traditore. Maledetta la volta in cui mi è saltato in mente di raccontartelo - commentò Dean tra i denti, ma si servì e bevve un altro sorso di whisky senza lamentarsi oltre dell’ovvia frecciatina subita dal fratello.

- Non sono mai nemmeno entrato in una dark room - reiterò Castiel con una solenne alzata di sopracciglia, approfittando del favore degli astri per vendicarsi delle prese in giro del marito.

- Ma ce l’avete con me? - esclamò Dean, giusto un battito di ciglia prima che Gabriel ammettesse il proprio passato sorseggiando un altro po’ di liquore. - Oh, grazie! Grazie! Qualcuno che mi dia una mano contro questi due repressi.

- Capitemi, per favore - aggiunse Gabriel, come per scusarsi agli occhi di Sam. - Avevo diciannove anni ed ero ossessionato dall’idea che sarei morto vergine.

- Okay, ora sappiamo che a diciannove anni non eri ancora andato a letto con nessuno. Il mistero si dipana e un giorno, forse presto, arriveremo alla soluzione - cinguettò Dean, ebbro di allegria.

Gabriel soffocò un’imprecazione e rivolse a Sam un’occhiata afflitta che era recitata solo in parte.

- Ti prego, dimmi che domani mattina non si ricorderà niente di tutto questo.

- Mi dispiace, ma sarebbe una bugia - fece il ventiseienne, sfoggiando un sorriso di scuse solo vagamente contrito. - Dean è sempre stato uno di quegli ubriachi con una memoria di ferro.

- O non ho mai preso una vera sbronza. Ci credete se vi dico che non l’ho mai capito? Tocca a me! - trillò l’interessato.

Non vi era dubbio alcuno che Dean fosse ormai più al di là che al di qua. Probabilmente a causa del fatto che aveva mangiato un po’ meno degli altri e indugiato in sorsi più sostanziosi una volta ricevuto il suo cocktail, era chiaramente il meglio lanciato sulle onde dell’alcol. E non ci sarebbe stato nessun problema, se giocare alla versione alcolica di “Non ho mai” non avesse comportato inoltrarsi sempre più a fondo tra i segreti dei partecipanti. Ma, con il senno di poi, tutti i presenti si sarebbero silenziosamente trovati d’accordo: quello non era il metodo d’intrattenimento adatto quando attorno a un unico tavolino si accumulavano più traumi emotivi di quanto fosse saggio rievocare in una qualsiasi serata di festa.

Fu così che Dean dichiarò serenamente, con la ragione appesantita dai sintomi della sbornia: - Non l’ho mai fatto con le mani legate.

E fu come una scossa elettrica, per Sam. Il tempo di un lampo ed era di nuovo lì, al 66 di Fairview Avenue, alla mercé di Lucifer Benson.

Luc che lo prendeva a schiaffi, a pugni, a calci, che lo trascinava attraverso il salotto in ginocchio fino ad arrivare a gettarlo sul divano come se non fosse altro che uno straccio. Come se non valesse più di uno straccio. Luc che saliva a cavalcioni su di lui, lo obbligava a voltarsi e gli schiacciava la faccia sul bracciolo rigido, che ignorava i suoi “no” ripetuti fino alla nausea e il pianto che gli scuoteva la cassa toracica e gli serrava la gola. Luc che, nel silenzio di chi crede che tutto gli sia dovuto, si faceva largo sul suo corpo come meglio gli pareva, prendendo, esigendo, ignorando come l’intero essere di Sam si stesse opponendo a quanto gli stava facendo.

Sam ricordava, ricordava ogni singolo particolare come i versi imparati a memoria di una macabra poesia. A causa delle parole di Dean, però, il dettaglio che gli si stagliò in mente in quel frangente fu la coercizione, la pressione fisica che lo aveva obbligato a stare zitto e fermo mentre quell’uomo lo violentava. Una mano sulla bocca, un’altra a serrargli insieme i polsi. Urla soffocate e mani legate.

Se Sam tornò alla realtà, fu perché Gabriel stava chiamando il suo nome con più che semplice insistenza. A giudicare da quella nota tremante finale, sembrava sul punto di cedere al panico. Quando tornò alla realtà, Sam pensò che il suo respiro accelerato assomigliasse a quello di un animale in fuga, eppure non si era mosso di un centimetro dal posto che aveva occupato durante l’intero arco della serata.

Quando i suoi occhi ripresero a vivere nel presente, Sam vide il volto di Gabriel a una ventina di centimetri dal proprio, le sue labbra fini che articolavano il suo nome, le sue dita chiuse con urgenza attorno alla mano che lo ancorava a terra. Sulla spalla destra sentì il calore e il peso del palmo che Castiel aveva allungato d’istinto verso di lui quando aveva visto il suo sguardo appannarsi. Dean, invece, era in piedi dietro a Gabe, atterrito dalla consapevolezza di aver scatenato qualcosa contro cui combatteva ogni giorno con tutte le sue forze.

- Perdonami, Sammy - fu il mormorio che emise il maggiore dei Winchester non appena suo fratello minore incrociò il suo sguardo. - Sono un tale stupido. Non ho pensato… sono un idiota.

Sam avrebbe voluto dirgli di non angustiarsi, che quei ricordi tornavano sempre a cadenza irregolare ma costante, che non era colpa sua se lui era spezzato e una singola favilla era sufficiente a innescare di nuovo il suo incendio interiore mai davvero sopito del tutto. Ma la voce gli si era come asciugata in gola, come se avesse urlato sul serio e non solo lungo il sentiero delle sue memorie più asfissianti.

- Va tutto bene - fu tutto ciò che riuscì a cavarsi dalla gola. - Non è successo niente. Possiamo continuare, se volete.

Tutti lessero la verità sulle linee contratte del suo viso, ma fu Gabriel ad appoggiargli una mano sul ginocchio con tocco leggero e a parlargli con un sorriso esitante sulle labbra.

- Sai, Sam, - considerò con cautela, - non dovresti far finta che qualcosa ti piaccia o non ti faccia stare male se non è effettivamente così. Finirai solo col procurarti altro dolore. E non hai bisogno di fingere, men che meno con noi tre.

Conscio dell’occhiata che il suo ragazzo si era appena scambiato con Castiel, Sam annuì docilmente e chiuse le palpebre, prendendosi un minuto per scacciare gli incubi. Aveva appena preso un sorso d’acqua dal bicchiere allungatogli da Dean quando le parole salirono a galla con naturalezza.

- Sono un po’ stanco, in effetti. Pensi che potrei rimanere qui stanotte? - aggiunse in direzione di Gabriel, il quale sorrise con più sicurezza, sollevato da quel po’ di colore riapparso sulle gote del ventiseienne.

- Certo, Sammich - sussurrò, carezzandolo con lo sguardo. - Tutto quello che vuoi.

 

Dean e Castiel tolsero il disturbo non appena il taxi che avevano chiamato raggiunse il principio del vialetto del numero 21. Dato il grado alcolico di ciò che entrambi avevano bevuto, l’Impala avrebbe dovuto attendere il giorno successivo per tornare a casa con loro.

Prima che se ne andassero, Sam si assicurò di scambiare due parole con suo fratello per tranquillizzarlo in merito alla sua uscita di poco prima. Sam gli ripeté più volte che non era colpa sua, che lui stava bene, che era stato un attimo, che succedeva ed era normale – o, perlomeno, faceva parte della sua nuova normalità. Luc non se ne sarebbe andato dalla sua testa con uno schiocco di dita.

- Puoi aiutarlo a convincersi che non è successo niente di grave, per favore? - bisbigliò Sam a Castiel, dopo averlo preso da parte mentre Dean e Gabriel si salutavano sulla porta. - È stata una serata splendida. Queste sono solo… cose che capitano. Immagino dovrò lavorarci ancora un bel po’. Charlie è la prima a dire che non è un percorso da prendere sottogamba, per quanto vada molto meglio di… prima. Ma nel frattempo non vorrei che Dean si preoccupasse a vuoto.

Castiel gli sorrise, calmo e fiero di vederlo ragionare così lucidamente.

- Gli parlerò. Non stare in ansia nemmeno tu, d’accordo? - si fece promettere, e annuì soddisfatto di fronte al cenno affermativo del ragazzo. - Buonanotte, Sam. Ci vediamo domani.

Il taxi con a bordo Dean e Castiel aveva appena svoltato in fondo alla strada, quando Gabriel propose a Sam di precederlo al piano di sopra.

- È evidente che hai bisogno di riposare - affermò il ragazzo, anticipando le sue lamentele con tutta la flemma calcolata che gli derivava dalla sua esperienza di fratello maggiore. - Giuro solennemente che non mi offenderò, se ti addormenterai prima che ti raggiunga.

Fu così che Sam si ritrovò sdraiato, supino e ancora vestito da capo a piedi, nel letto matrimoniale al primo piano.

Chiuse gli occhi, a un certo punto. Rimase ad ascoltare il rumore della pioggia, a immaginare Momo acciambellata sulla poltrona sotto la finestra. Permise alla pace e all’inerzia di quella serata di fine inverno di cullarlo finché il ricordo di Luc non venne relegato lontano, in un anfratto quasi irraggiungibile della sua mente. Per il momento, era il risultato più soddisfacente che fosse riuscito a ottenere.

Quando la porta della camera venne aperta adagio, Sam si accorse che una melodia tranquilla stava suonando al piano inferiore. La musica di Paolo Nutini, il ragazzo con un’anima e una voce antiche come il mondo, si insinuò quietamente nella camera da letto.

She makes me smile. She thinks the way I think. That girl makes me wanna be better1.”

Era un'abitudine consolidata di Gabriel, quella di non rimanere mai da solo in una stanza senza la compagnia di una canzone. Doveva aver acceso lo stereo prima di mettersi a lavare i piatti e poi, quando aveva imboccato le scale per vedere come stesse Sam, doveva essersi dimenticato di spegnerlo. Gli succedeva spesso. Pur non vivendo ancora in quella casa, Sam ci si era abituato al punto da sentirsi rassicurato dal costante danzare delle note.

She's fearless, she's free. Oh, she is a real live wire. And that girl, she's got me feeling so much better. Oh, you trade all the money in the world just to see this girl's smile...2

- Ehi - esordì Gabriel dalla soglia della stanza, e subito Sam percepì l'effetto di quella voce scaldarlo dentro.

Per quanto i suoi pensieri non fossero ancora limpidi, sorrise senza difficoltà.

- Ehi.

Camminando pacifico verso di lui, Gabriel si tolse le mani dalle tasche dei pantaloni e le unì assieme una volta che si fu seduto accanto al punto in cui Sam si era sdraiato, faccia al soffitto e braccia chiuse attorno al busto. Rimase in silenzio un paio di secondi, prima di imitare il ragazzo lasciandosi cadere con la schiena sul materasso.

- Ti ha messo a disagio? - chiese solo allora, fissando lo stesso punto del soffitto. Percepiva il calore del braccio di Sam sulla spalla, attraverso la stoffa del maglione. - Tutto quel parlare di relazioni e di sesso.

- No. No - ripeté Sam, in tono più convinto la seconda volta. - Mi sono divertito un mondo, in realtà. Ed è stato grandioso vederti legare con Dean. È solo che poi mi è tornato in mente… lo sai - soffiò, portandosi le mani tra i capelli prima di abbandonare le braccia sopra la testa con un sospiro sofferto.

Gabriel annuì in silenzio e gli lasciò qualche manciata di secondi per ritirarsi, prendere un respiro profondo e rilassarsi di nuovo. Sam era al sicuro, ora, e lo sapeva. Gabriel aveva semplicemente imparato a concedergli il tempo sufficiente a ricordarlo, ogni volta che Lucifer Benson gli riappariva davanti agli occhi. Non era stato così difficile, per lui, comprendere quella necessità e le sue logiche peculiari. Era un processo molto simile a quello che attraversava lui ogni volta che suo padre tornava a popolare i suoi incubi.

- Sam - riprese poi, senza forzare un contatto visivo che il più giovane non stava ancora cercando. - Andrà tutto bene. Il tempo e la vita… be’, non ti permettono di dimenticare, ma sicuramente ti danno un sacco di spunti per aiutarti ad andare avanti. So che forse è troppo presto per pretendere che tu ci riesca, ma non sai cosa darei perché tu possa credermi.

C’era una piccola cicatrice, sulla tempia destra di Sam. Minuscola, quasi invisibile a chi non aveva il permesso di invadere il suo spazio personale. Era lì da prima che Sam mettesse piede in quella casa per la prima volta, ma Gabriel sapeva tutto di lei. Sam la odiava, associandola al ricordo della notte che ancora lo faceva rabbrividire. Gabriel la trovava bellissima, al limite della venerazione.

- Questa è la prova che sei sopravvissuto a quella notte. E se non fossi sopravvissuto, non saresti mai arrivato da me - era solito ribattere alle resistenze di Sam in merito. - Le cicatrici sono tracce della forza con cui hai affrontato i periodi peggiori della tua vita. Indossale sempre con orgoglio e audacia.

Anche quella sera, Gabriel appoggiò il palmo della mano sinistra sulla guancia di Sam e allungò il pollice per sfiorare quel filo di pelle più chiara e leggermente in evidenza rispetto al resto. Dopo un paio di secondi vi premette le labbra sopra, trattenendole lì talmente a lungo che Sam quasi arrivò a comprendere il suo amore per quel piccolo sfregio. Una volta che Gabriel si fu ritirato, Sam abbandonò lo studio insensato del soffitto per guardare l’altro in quei suoi occhi placidi come il miele e saldi come l’ambra di cui riflettevano le sfumature.

I said that girl makes me wanna be a better man. And should she see fit, I’m gonna treat her like a real man can...3

- Ti credo - sussurrò Sam.

La sua mano finì ad accarezzare la gamba di Gabriel e a risalire fino al suo stomaco sovrappensiero, in realtà. Come se ormai gli risultasse naturale come lisciare le lenzuola al proprio passaggio, Sam lo lambì con la punta delle dita, godendosi il rimescolarsi di serietà e desiderio negli occhi che il trentunenne teneva fissi su di lui.

Ci volle il leggero morso che Sam diede al proprio labbro inferiore nell’atto di abbassare lo sguardo sulla bocca di Gabriel perché quest’ultimo azzerasse la distanza tra di loro e lo baciasse.

Prima piano, poi con più impeto, finché non fu troppo tardi per accorgersi che i loro respiri stavano accelerando e gli abiti di entrambi stavano cadendo a terra uno dopo l’altro, slacciati e sfilati da dita che fremevano di un connubio indissolubile d’aspettativa, timore ed eccitazione.

Era stato l’alcol, avrebbe commentato Dean, se ne avesse avuta la possibilità. Era il momento giusto, avrebbe pensato Castiel. E Gabriel, forse Gabriel avrebbe sempre pensato che la loro prima volta fosse successa proprio quella sera grazie all’atmosfera, alla pioggia, alla musica.

Soltanto Sam, forse, avrebbe sempre serbato nel proprio cuore la verità. Che quella notte fece l’amore con Gabriel perché per la prima volta, durante quell’interminabile bacio sulla tempia, il ricordo di Lucifer Benson gli si era dissolto davanti agli occhi, lasciandolo con il cuore finalmente leggero e la voglia di avere Gabe, di viverlo, di sentirsi suo come non aveva mai potuto fare prima.

Quella sera, anche lui scoprì le cicatrici che avevano condotto Gabriel fino a lui. E le baciò una per una, ovunque le trovò – sulle braccia, sull’addome, sui fianchi, sulla schiena di Gabe –, arrivando finalmente a capire cosa significassero le parole del ragazzo.

Orgoglio e audacia. Era così che sarebbe andato avanti.

 


 

 


Note di traduzione di Better Man (Paolo Nutini):

(1) Lei mi fa sorridere. Pensa come penso io. Quella ragazza mi fa venire voglia di essere migliore.

(2) Non ha paura, è libera. Oh, lei è così piena di vita. E quella ragazza, mi fa sentire molto meglio. Oh, daresti tutto il denaro del mondo solo per vederla sorridere.

(3) Ho detto che quella ragazza mi fa venire voglia di essere un uomo migliore. E se dovesse andarle bene, la tratterò come può fare un vero uomo.

 




Angolino dell’autrice

Prima di tutto, grazie e tanto gelato coi lamponi a chiunque stia seguendo la storia e in particolare a strugatta, Ciuffettina, lilyy e _AnnairA_ per le recensioni lasciate allo scorso capitolo *-*

Qui finisce il nostro flashback – e finalmente ora sapete che non era solo una scusa per conoscere meglio i ragazzi, ma anche per dire due parole due sulla prima volta di Sam e Gabriel. Anche se ciò ha comportato dover tornare per un momento a Luc, mi sembrava doveroso >.>

Vi aspetto nelle recensioni, se vorrete. Un abbraccio e alla prossima!



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Capitolo 8
*** Padri e figli ***


 

8. Padri e figli

 

Gabriel apparve sotto i rami rampicanti del gelsomino che incorniciava l’ingresso del Breadcrumbs a mezzogiorno e ventisette minuti, col fiato corto. Dal tavolino sul lato opposto del locale, Sam si accorse del momento in cui il suo compagno indossò un sorriso al volo per salutare Julian e garantirgli che la sua ordinazione settimanale di frutta secca sarebbe arrivata lunedì, puntuale. Una volta che Gabriel ebbe raggiunto il suo ragazzo, però, la maschera cadde e Sam poté vedere il misto di stanchezza e sollievo che si aspettava farsi largo sul suo volto.

- Grazie a Dio - sbuffò Gabriel, gettando il proprio borsello sulla panca libera senza tanti complimenti. Si udì un deciso tintinnare di chiavi. - Non vedevo l’ora di vederti.

Il suo candore piegò le labbra di Sam in un sorriso spontaneo.

- A volte ho l’impressione che tu sappia leggermi nel pensiero.

- Non sono tanto folle da confermare né smentire tale ipotesi - ribatté Gabriel con scioltezza, giusto un battito di ciglia prima di chinarsi sull’altro ragazzo per baciare quella stessa piega rallegrata delle sue labbra. - Ciao. Tutto liscio con Claire?

- L’ho accompagnata all’autobus e mi ha scritto nemmeno un’ora dopo. È a casa.

- Ottimo. Grazie - annuì Gabriel, procedendo ad accomodarsi di fronte a Sam con il sospiro di sfogo che di solito riservava al tuffo sul divano che si concedeva a fine giornata.

Di fronte alla sua espressione sfinita, il sorriso del più giovane cedette il posto a una smorfia compassionevole.

Nello scambio multiplo di messaggi intercorso durante la mattinata, era stato deciso che Gabriel e Claire avrebbero parlato con la loro madre e con Frank, il padre di Claire, il giorno successivo. Per quanto Sam condividesse l’idea che dovessero sapere della gravidanza, non invidiava affatto Gabriel e il lavoro di mediazione che gli si prospettava. Non tanto perché ci fosse qualcosa da temere dai coniugi Hale-Fletcher, ma più che altro per l’insicurezza ancora vibrante di Gabriel in merito a quell’argomento. Se la faccia con cui si era presentato al Breadcrumbs non fosse stata un elemento sufficiente a dedurlo, ci pensò il suo esordio a prosciugare gli ultimi dubbi di Sam a riguardo.

- Okay, saltiamo a pie’ pari i convenevoli, d’accordo? - implorò quasi, circa due secondi dopo che Julian gli ebbe posato davanti il suo abituale frappé.

Sam capì dal modo in cui Gabriel ignorò la leccornia, appoggiò le mani sul tavolo e si sporse in avanti che non era il caso di infastidirlo con la scelta dei panini. Anche Julian dovette rendersene conto, a giudicare dalla rapidità con cui li lasciò alla loro discussione e si affrettò ad andare a servire le signore sedute un paio di tavoli più in là.

- Ho rischiato di sbattere la saracinesca in faccia ai signori Humphrey per la fretta di chiudere e correre qui. Ho bisogno di sapere cosa ne pensi tu di tutta questa faccenda, sinceramente e senza peli sulla lingua, perché io mi ci sono arrovellato tutta la mattina al punto da farmi venire un’emicrania e non ne ho cavato fuori molto. Non penso abbia avuto molto senso, pensarci da solo, senza la possibilità di confrontarmi con te, ma non ho potuto farne a meno.

Emozionato com’era, Sam decise di non farlo tribolare oltre. Più tardi avrebbero avuto modo di discuterne più a fondo e di rivoltare ogni dettaglio come un calzino, ma ora come ora entrambi, non solo Gabriel, avevano bisogno di uscire allo scoperto.

- Non ti mentirò, Gabe - rivelò allora, senza neanche immaginare una ragione per cui non avrebbe dovuto continuare a guardarlo negli occhi mentre gli confessava uno dei suoi desideri più vividi. - Un figlio… è da un po’ che ci sto pensando. Da molto prima di tutto questo, intendo - Il labbro inferiore gli tremò appena, prima di arrendersi a un sorriso pregno di speranze. - Mi piacerebbe.

Non si aspettava di dover combattere, ma ad ogni modo la facilità con cui le spalle di Gabriel persero gran parte della tensione accumulata nel tempo utile a un respiro riuscì a sorprenderlo.

- Lo so - replicò semplicemente il maggiore, concedendo a un leggero cenno del capo di smuovere appena il mare calmo della sua espressione. La dichiarazione di Sam pareva averlo sedato, o aver spostato la sua attenzione su un problema che non fosse la sua preoccupazione per la gravidanza di Claire. - Come so che saresti un papà fantastico.

Colpito dritto allo sterno, Sam rispose col cuore.

- Lo saresti anche tu.

Il sopracciglio sinistro di Gabriel scivolò agilmente verso l’alto.

- Lo credi davvero?

Sam fece spallucce e rivolse i palmi delle mani verso l’alto.

- Io sono entusiasta con i bambini, ma per me è come ricevere un cucciolo. Tu sei bravo per davvero. Riesci perfino a fargli mangiare le verdure e a metterli a letto senza che parta il pianto a sirena - spiegò sinceramente, riuscendo a strappare un sorriso al compagno.

- Diventare un fratello maggiore a sedici anni aiuta.

Sam lo imitò, prendendo un sorso della sua centrifuga quando Gabriel si approcciò alla cannuccia di metallo che svettava dal suo frullato. Poi, schiacciato dal nuovo silenzio di riflessione che seguì, si arrese al bisogno di svuotare il sacco completamente.

- D’istinto, amo l’idea di crescere un bambino assieme a te. Per quanto…

Gabriel si accigliò all’istante: - Per quanto?

Sam si abbandonò a una smorfia involontaria.

- Diciamo che, dopotutto, non sono proprio sicuro di essere così diverso da mio padre. O meglio, non posso essere sicuro che non lo diventerei una volta cominciato a sentire il peso delle responsabilità. E, a dirla tutta, la cosa mi impensierisce un po’. So di suonare esagerato, ma… non vorrei mai essere per nessuno il padre che lui è stato per me. Mai.

Serio e compassato, Gabriel non esitò un singolo secondo.

- Certo che non puoi esserne sicuro. Nessuno ha la certezza matematica che non si trasformerà nei propri genitori. Ma io vedo tutti i giorni, da sei anni, quanto tu sia meraviglioso con i tuoi nipoti. Tom e Daryl ti adorano. E vuoi saperlo un segreto?

Grato di cotanto innocuo intrigo, Sam sbuffò in una mezza risata e stette al gioco.

- Spara.

Il suo compagno si chinò verso di lui con ovvi intenti cospiratori.

- Sono almeno due anni che tuo fratello mi chiede cosa stiamo aspettando a rimanere incinti. L’ultimo pranzo di Natale è stato un incubo, davvero, con tutta quella pressione sociale.

Sam si ritrasse, ma non senza farsi scappare un po’ di quel rinnovato buonumore dalle labbra. In un modo o nell’altro, Gabriel riusciva sempre a farlo ridere.

- Cretini che siete, tutti e due.

- Hm - convenne Gabriel pacifico, succhiando un altro sorso di frappè. - Quindi, se ho capito bene, tu saresti per dire di sì a Claire?

Riconoscente per il fatto che ne stessero parlando così apertamente e senza giri di parole, Sam si servì un altro enorme, mastodontico respiro profondo.

- Fegato e cuore mi dicono questo, sì. Ma la ragione mi suggerisce di prendermi ancora un po’ di tempo per rifletterci. È tutto troppo nuovo, troppo fresco. Forse sarebbe meglio lasciare a questa idea il tempo di sedimentare e vedere cos’altro spunta fuori.

- Hm - commentò di nuovo Gabriel, continuando a lambiccarsi con cannuccia, banane e cioccolato mentre teneva il suo sguardo attento fisso su di lui. - Mi sono sempre piaciuti i tuoi slanci da intellettuale.

- Ah sì? - finse di abboccare Sam.

- Oh sì. Un paio di occhiali da vista e sono fregato, professore.

- Occhiali da vista. Me la segno.

L’umorismo era l’habitat naturale di Gabriel, che sguazzava nella possibilità – e nella sua capacità – di tessere dell’ironia attorno a ogni situazione. Era benvoluto per questo, perché spesso sfruttava quel suo talento per far sentire a proprio agio chi lo circondava. Ma Sam lo conosceva da tempo sufficiente per saper distinguere le volte in cui quel suo punto di forza era il frutto di un contesto festoso dalle volte in cui Gabriel usava il suo dono innato per difendersi dalla realtà e dalle sofferenze che essa era in grado di infliggergli. Lo amava da abbastanza tempo da sapere che lo sfuggire improvviso del suo sorriso, anche se momentaneo, era sempre il sintomo di un problema più grave.

- Un penny per i tuoi pensieri? - propose allora Sam, senza desistere dinnanzi alla sua espressione stupita falsa come Giuda. - Per favore?

Gabriel resistette per tre secondi, prima di capitolare. Sguardo da cucciolo malmenato batte esperienza teatrale ventennale uno a zero.

- Ti suonerà scontato - lottò debolmente Gabe.

- Se lo fosse, non sarei qui a chiederti di parlarmene. Non credi?

- Non saprei. Sai essere un uomo dalla psiche contorta - replicò Gabriel davanti alla sua pazienza, continuando ad aggrapparsi con tutte le sue forze al sarcasmo per rimanere al di sopra del pelo dell’acqua. Sam dovette mettere in campo una punta di severità per farlo desistere. Solo allora il maggiore si esibì in un sospiro sconsolato, si incassò nelle spalle e lasciò che la sua angoscia dilagasse in quelle iridi chiare come l’oro. - Davvero non è ovvio? Non abbiamo seguito un ragionamento tanto diverso.

Daccordo, pensò Sam in quell’istante. Non è che non vuole parlarne, è che non ci riesce. Quindi è peggio di quanto pensassi.

Giunto a quella conclusione, per Sam non fu arduo saltare alla successiva. Dopotutto non esistevano molti argomenti in grado di ridurre Gabe in quello stato. Quella realizzazione, unita alla consapevolezza che l’unico motivo per cui Gabriel non aveva mai considerato l’idea di un figlio fino ad allora erano le difficoltà di un’adozione tradizionale, fu sufficiente affinché il suo ragazzo capisse che il vero problema, per Gabriel, era lui stesso. Lui e la sua assurda paura di diventare come l’uomo che fin da giovanissimo aveva cominciato a chiamare “il colonnello”.

Non appena comprese, Sam avvertì le parole abbandonargli le labbra sull’onda del puro istinto.

- Stai scherzando, vero? Tu non sei affatto come lui.

A Gabriel bastò un’occhiata per comprendere che il suo compagno aveva dedotto tutto ciò che lui aveva tentato invano di nascondere. Tutto d’un tratto, divenne bianco in viso come la ciotola di anacardi e nocciole posizionata a centrotavola.

- E se cambiassi? - tirò fuori a fatica, dopo aver deglutito. Fu solo un soffio e Sam seppe che il ciglio del pozzo dei suoi incubi era tremendamente vicino. - Hai visto come ho trattato Claire, ieri sera. Quando era al culmine della fragilità, mi sono accanito su di lei.

Quelle sciocchezze bruciarono la pelle di Sam come un’offesa personale. Non potendo lasciare che Gabriel ne venisse travolto, il giovane intervenne all’istante.

- Quella era preoccupazione. La stavi esprimendo male? Sì. Ma non era il preludio di una violenza. Gabe - lo richiamò poi con fermezza, perché il suo sguardo era precipitato in basso e la supplica di Sam necessitava di un punto d’appoggio per poter funzionare. - Non puoi davvero pensare queste cose di te stesso.

Un mezzo sorriso acerbo piegò un angolo delle labbra del trentasettenne.

- Ah no?

- No - ribatté Sam, deciso e piccato. - Non intendo permettertelo.

Incredulo quanto dolorosamente divertito, Gabriel sbuffò e si mise a guardare fuori dalla finestra con pari ostinazione.

- Ah, non intendi permettermi di pensare. Questa sì che è bella.

Con quell’ammontare indegno di amarezza a pesargli sullo stomaco, Sam allungò la mano destra per afferrare la sua e stringerla abbastanza forte da riconquistare l’interesse di quelle iridi improvvisamente afflitte e disincantate. Si impose di non lasciarsi fermare dal deserto che gli aveva invaso la gola.

- Ascoltami, per favore. Sono più di sei anni che ti conosco e stiamo insieme. Non ti permetterò di farti del male pensando cose di te stesso che non stanno né in Cielo né in Terra, non quando sono certo che tu sia l’essere umano meno simile a tuo padre che sia mai esistito.

Di nuovo quella curva aspra, sulla bocca sottile di Gabriel.

- In realtà ho i suoi tratti. Ironia del caso.

- Gabe.

- E se cambiassi? - ripeté lui, arrendendosi con un brivido. - Mia madre ha fatto in tempo a innamorarsi del colonnello, prima che lui cambiasse.

Sam rispose alla radice ancestrale del suo timore racchiudendo le sue dita nervose nelle sue mani raccolte a coppa.

- Amore - esordì poi, calmo ma diretto. - Tua madre è rimasta incastrata in un matrimonio violento credendo di fare il bene del figlio che portava in grembo, perché era convinta che la tua vita sarebbe stata migliore con due genitori. Le è andata male. Vi è andata male. Tu, invece, stai considerando di fare a tua sorella e a tuo nipote il più grande favore che potranno mai chiederti. Quello di non separarli per forza, di dargli una possibilità di conoscersi e di crescere l’uno accanto all’altra malgrado la nascita di questo bambino sia un evento che nessuno aveva messo in programma.

Di fronte a cotanto sfoggio delle sue doti di avvocato mancato, Gabriel fece crollare la testa in avanti con un verso esasperato.

- Come faccio a dirti di no, se fai così? - si dannò, al che Sam si precipitò a chiarire.

- Non si tratta di un gatto. Se non sei convinto al cento percento, io pretendo che tu mi dica di no. Quello che mi preme di più che tu capisca è che non diventerai mai come tuo padre. Mi hai sentito? Mai. Non succederà.

Questa volta, Gabriel si concesse qualche secondo in più per studiare la sua determinazione. Quando tornò a sforzarsi di parlare, però, la paura di tramutarsi nel diavolo ubriaco della sua infanzia ebbe di nuovo la meglio.

- Non me lo permetteresti, vero? Se avessimo un figlio e io…

- Non te lo permetterei. Non con nostro figlio - promise Sam, impassibile e solenne. - Ma tu non sei lui.

Altri secondi, che trascorsero immobili. Poi Gabriel arretrò fino ad appoggiare la schiena al sostegno morbido della panca.

- Okay. Okay - ripeté a bassa voce.

Ma non stava affatto bene. Sam glielo lesse in faccia, nelle linee angustiate che gli incupivano la fronte, nel pallore delle guance e nella fuga della sua mano dalle proprie.

- Gabe? - tentò, dopo che il cuore gli era sprofondato nel petto.

- Scusami, mi serve… mi serve un minuto.

Gabriel scivolò via dal loro tavolo e fuori dal Breadcrumbs prima che Sam avesse il tempo di spiccicare un’altra parola. Il giovane fece per seguirlo, ma all’ultimo si trattenne. Decise di concedere a se stesso qualche boccata d’ossigeno e a Gabriel quei pochi minuti che gli sarebbero serviti per portare a termine gli esercizi di respirazione che tirava fuori dalla manica ogni volta che la logica non sortiva alcun effetto contro i fantasmi del passato.

Poco più tardi, quando uscì, Sam trovò il compagno seduto sulla bassa panchina arcobaleno a ridosso della vetrina del locale. Gli si sedette accanto e rimasero in silenzio per un minuto intero, che spesero a osservare il traffico pigro dell’ora di pranzo.

- Meglio? - domandò Sam dopo il passaggio della quarta automobile.

- Meglio. Grazie - assentì Gabriel, prima di stropicciarsi il volto con una mano e rilasciare il fiato che aveva trattenuto nei polmoni. - Farei meglio a chiamare Castiel. Credo dovremo anticipare la nostra prossima chiacchierata di routine.

- È una buona idea - annuì Sam, quieto.

Confortato dal suo supporto pacato, Gabriel si voltò verso di lui.

- Sam?

- Hm? - reagì il ragazzo, girandosi a sua volta.

Solo allora poté distinguere quella strana luce negli occhi di Gabriel. Una scintilla che sapeva di vita, di ripresa, di buon auspicio, speranza ed emozione. La stessa fiamma vivace che trasparì dal sorriso tremante che precedette la sua confessione.

- Piacerebbe anche a me, crescere un figlio con te. Più di quanto riesca a esprimere.

 





Angolino dell’autrice

Ciao a tutt*!

Mi prendo sempre un momento per ringraziare chiunque stia seguendo la storia e strugatta, Ciuffettina e lilyy per le recensioni lasciate allo scorso capitolo *distribuisce ciotoline di crema catalana a chili*

Con questo capitolo torniamo al presente, al 2016 e al tema scottante del momento. Mi è piaciuto cominciare a indagare le fragilità di Sam e Gabriel in merito all’argomento paternità e non vedo l’ora di sapere cosa ne pensiate voi. In quanto a Daryl, so di avervelo mollato lì senza troppe spiegazioni. Saprete di più su di lui nei prossimi capitoli ;)

Un abbraccio e a presto, spero di sentirvi nelle recensioni!




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Capitolo 9
*** Cioccolato, zenzero e lamponi ***


 

9. Cioccolato, zenzero e lamponi

 

Castiel trovò un paio d’ore per discutere con Gabriel della sua crisi già la settimana successiva. Al ritorno a casa del suo compagno quella sera, Sam si rallegrò nel vederlo decisamente più rilassato, ma provò un sollievo ancora migliore quando venne a sapere che Gabriel aveva tenuto per sé tutto ciò che riguardava la gravidanza di Claire e la sua proposta di adozione.

- Non gliene avrei mai parlato senza di te - gli assicurò Gabriel con un sorriso mite, mentre lavava le lenticchie per la zuppa di legumi e verdure che avrebbero consumato a cena.

Affinché le agende di tutti gli interessati risultassero abbastanza sgombre da organizzare una giornata assieme, dovettero attendere una domenica di fine aprile. Sam e Gabriel furono lieti di accettare un invito a pranzo, con la promessa di occuparsi del dolce, ed ebbero la premura di non presentarsi alla porta dei Novak-Winchester prima delle undici. Ogni domenica mattina, infatti, Castiel portava i bambini a messa e Dean soleva dire che era sempre saggio concedere a Tom e Daryl qualche decina di minuti per sfogare le energie accumulate durante il riposo forzato dietro i banchi della chiesa, prima di introdurre eventuali ospiti.

A ogni modo, l’abitazione della famigliola distava dieci minuti di bicicletta da quella di Sam e Gabriel, quindi il calcolo delle tempistiche era quanto di più sommario si potessero permettere. Dean e Castiel erano stati i primi a decidere di trasferirsi in campagna quando Tom aveva appena un anno, volendogli regalare un’infanzia di corse nei prati e avventure nella natura, e avevano comprato una villetta indipendente di due piani rifinita in ogni angolo. Castiel era andato incontro alle lamentele di Dean in merito affidandogli un giardino che era sei volte quello di Sam e Gabriel e appioppandogli felicemente ogni lavoretto di manutenzione, così da sedare la sua voglia bruciante di sporcarsi le mani anche fuori dall’officina.

Mentre sistemava la bicicletta contro lo steccato che delimitava la proprietà di suo fratello e suo cognato e si avviava verso la porta d’ingresso assieme a Gabriel, Sam sorrise al ricordo di quanto si era sentito in colpa per aver chiesto l’aiuto di Dean per la ristrutturazione della propria casa, un paio di anni dopo, e di come quel rimorso fosse scomparso con la realizzazione di quanto Dean amasse alla follia avere le mani in pasta in quel tipo di faccende.

Una volta che furono entrambi con i piedi sullo zerbino, Sam si scambiò un’occhiata piena di trepidante aspettativa con Gabriel – Gabriel e quel suo modo così disteso e al contempo elegante di reggere l’involucro di cartone di una torta sottobraccio anche mentre mille emozioni lottavano per prevalere nei suoi occhi accesi di vita. Per l’occasione aveva preparato la sua premiata torta mousse al cioccolato, zenzero e lamponi. Il livello di complessità della ricetta bastava da solo a capire quanto tenesse alla conversazione che stavano per intrattenere.

Quando Sam si prese l’onere di suonare il campanello, sia lui che il suo compagno si erano già preparati mentalmente all’esplosione che, come previsto, seguì da lì a pochi secondi.

La porta venne spalancata con tanta grinta che per poco non finì a sbattere contro la parete interna, mentre le ginocchia di Sam subivano l’assalto di Tom e di tutta l’energia vibrante dei suoi sei anni appena compiuti.

- Zio Saaam! Zio Gaaabe!

- Ehi! Ciao, uragano - rise Sam, deliziato. - Come stai?

Si godette l’abbraccio che gli stritolò le gambe, prima che il bambino corresse a dare lo stesso trattamento di benvenuto a Gabriel. Lui reagì con un “oof” che era comico quanto sentito e passò la torta a Sam appena in tempo prima che il dolce crollasse a terra.

- Sempre il più euforico della casa, ah, tigre? - commentò poi, dando una scompigliata ai capelli scuri del bambino e rispondendo al suo sorriso tutto denti con altrettanta convinzione per farlo ridere sul serio.

A interrompere quella sequela di saluti arrivò la voce di Castiel, da qualche parte oltre il battente.

- Che state combinando là fuori? Tom, per favore, non fare aspettare gli ospiti sullo zerbino.

Dopo essersi voltato con un salto, il bambino rientrò in casa di corsa al grido di: - Sono arrivati gli zii!

Alla faccia delle energie da sfogare dopo la messa, pensò Sam, continuando a ridacchiarsela assieme a Gabriel mentre entrambi si apprestavano a superare la soglia.

 

Fu Dean a farsi carico della sicurezza della torta, assumendosi il compito di garantirle un passaggio sicuro fino alla cucina – anzi, al ripiano appositamente sgombrato del frigo, trattandosi di una mousse delicata. Nel frattempo, sia Sam che Gabriel si lasciarono tentare dall’invito di Castiel ad accomodarsi su uno dei due divani – quello che i bambini non avevano ancora sotterrato sotto una pila peluche – e tranquillizzare dai toni candidi dell’ampio soggiorno di casa Novak-Winchester.

Quel salotto era, infatti, un incanto. Sam era genuinamente convinto che anche il suo lo fosse e lo adorava, ma quello di Dean e Castiel aveva uno stile completamente diverso: vantava quadri impressionisti sulle pareti immacolate – ancora per poco, se Gabriel aveva avuto la giusta impressione dei loro nipotini in crescita e dei danni che avrebbero potuto causare con i gessetti e i pennarelli che avevano sempre in mano – e una vista deliziosa che, a partire dalla doppia porta a vetri priva di tende, si apriva sul verdissimo giardino punteggiato di margherite, querce e betulle.

Grazie anche al sapiente uso di tinte dai colori tenui e del legno, presente nella forma di un parquet abbronzato su cui i bambini usavano calzini antiscivolo e gli adulti ciabatte morbide, quel luogo era un piccolo tempio del rilassamento. Ed era famiglia. Ogni volta che era ospite dei Novak-Winchester, Sam sentiva il cuore gonfiarsi d’affetto dinnanzi alle evidenti scelte estetiche di Castiel, al tocco artigianale che era il marchio di fabbrica con cui Dean aveva rifinito alcuni mobili e ai gridolini e alle chiacchiere eccitate con cui i bambini si affannavano attorno ai loro giocattoli in continuo aumento. L’ultima arrivata era la postazione in legno, degna di un meccanico in miniatura, che Tom aveva ricevuto per il suo compleanno, qualche settimana prima. Da tutte le chiavi inglesi, i cacciaviti e le pinze di legno sparse in giro, Sam comprese che sia Tom che Daryl dovevano esserne più che entusiasti.

- C’è una cosa che dobbiamo dirvi - esordì Sam una volta che suo fratello fu tornato dalla cucina e si fu accomodato sul divano assieme a Castiel e agli innumerevoli piccoli peluche di tutte le fogge che Tom non voleva smettere di ammassare tra un genitore e l’altro, voglioso di metterli in mostra anche per gli zii.

Così come Sam e Gabriel si erano scambiati una tipica occhiata di coppia prima che il più giovane desse il via alle danze, così fecero Dean e Castiel prima che uno dei due si decidesse a rispondere.

- Una cosa bella? - indagò il maggiore dei Winchester, issandosi sulle ginocchia il figlio minore dopo che questi lo aveva pregato in silenzio per venti secondi buoni, tirandogli la stoffa dei pantaloni stretta attorno al pugnetto chiuso.

Sam sorrise al piccolo Daryl e alla gravità dolce e mansueta dei suoi tre anni scarsi nel momento in cui anche il bambino si trovò faccia a faccia con lui. Col suo caschetto di capelli castani schiariti dal sole primaverile e i suoi occhi di un verde ombroso, per un bizzarro tiro di dadi del destino Daryl somigliava a Dean nei tratti quanto a Castiel nei modi anche se non era figlio biologico di nessuno dei due.

Se per tutti Tom era il ciclone della casa, avere intorno Daryl era come condividere la stanza con una libellula. Dopo la sua adozione, al contrario che con quella di suo fratello, Dean e Castiel non avevano perso nemmeno una notte di sonno. Quel bambino aveva sempre dormito beatamente e, da neonato, accennato dei singhiozzi solo di fronte all’innegabile stimolo della fame. Crescendo, era diventato un amante delle coccole e della compagnia dei genitori molto più di quanto Tom fosse mai stato e aveva maturato una propensione alla riflessività che lo rendeva esilarante, se si teneva conto il suo non essere ancora nemmeno in età da asilo.

L’arrivo di Daryl, insomma, aveva dimostrato a tutta la famiglia che non importa quanta esperienza si ha alle spalle, i bambini non smetteranno mai di stupire.

- Sì, una cosa bella - annuì Sam. - Ma vi prego di non dare di matto subito, d’accordo?

- Faremo del nostro meglio. Ah, Dee? - fece Dean, chinando il capo per dare uno sguardo al visino di Daryl e fargli un po’ di solletico per il solo piacere di vederlo sorridere timidamente e affondare ancora di più nell’abbraccio paterno.

Dopo essersi umettato le labbra più del dovuto, Sam gettò a Gabriel una muta supplica perché gli venisse in aiuto. In qualche modo, la situazione era diventata troppo da gestire e la gola gli si era seccata. Si sentì inondare dalla gratitudine quando Gabriel strappò via il cerotto senza tanti inutili giri di parole.

- Stiamo pensando seriamente di adottare un bambino.

- Ma non è così facile - si affrettò ad aggiungere Sam, che malgrado la richiesta di un momento prima aveva già individuato gli albori di una gioia sfrenata negli occhi di suo fratello come di suo cognato.

Castiel chinò leggermente il capo di lato, assumendo un’espressione comprensiva e benevola, benché vagamente divertita da quell’ultima uscita.

- Ragazzi, davvero, non lo è mai.

- No, non per l’adozione in sé. Quella sarebbe la parte meno problematica, nel nostro caso - spiegò meglio Gabriel, sforzandosi per non accusare cedimenti. - Il fatto è che si tratterebbe del bambino di mia sorella. Claire è incinta.

- Oh.

Il sincronismo con cui Dean e Castiel atteggiarono le rispettive labbra a delle “o” perfette sarebbe stato spassoso, se solo quel debole ma persistente accenno di tensione non avesse pervaso l’intera stanza.

- Già. Ce l’ha detto qualche settimana fa. È successo. Senza che lo volesse, ovviamente - riassunse Gabriel, senza soffermarsi sui particolari.

Fu Castiel a interrompere il silenzio calato all’improvviso.

- Deve essere stato un colpo non indifferente, per lei. Come sta?

Gabriel avrebbe dovuto essere l’ultimo a sorprendersi della sincerità del suo buon cuore, eppure a Sam parve meravigliato da quel supporto gratuito, privo di qualunque giudizio.

- Bene. Bene, grazie. Voglio dire, all’inizio era parecchio scossa e anche noi… insomma, io sono andato un po’ nel panico - deglutì nervosamente, specchiandosi negli occhi del compagno per un attimo prima di tornare all’attenzione di Castiel e Dean. - Ma poi il momento è passato. Sam mi ha tranquillizzato. Lei è ancora un po’ spaventata, credo, ma è forte. L’ha detto a nostra madre e a Frank, che a parte la sorpresa iniziale non hanno fatto altro che starle vicino, e ha deciso che avrà il bambino e lo darà in affido. E ci ha chiesto se lo adotteremmo noi.

- E voi? - incalzò Dean, talmente attento alla questione sul tavolo che se Daryl avesse cominciato a colorargli i jeans con l’evidenziatore giallo lui non se ne sarebbe nemmeno accorto.

- Noi ci stiamo pensando, per l’appunto. Molto seriamente - intervenne Sam, supportato dallo sguardo intenso di Gabriel. - Ma prima di decidere, vorremmo sentire qualche altra campana. Voi per primi.

Con un sorriso che lo fece brillare malgrado fosse l’unico membro della sua famiglia a indossare jeans e felpa mentre tutti gli altri avevano ancora addosso la camicia e i calzoni della festa con cui si erano recati in chiesa, Dean sembrò a malapena in grado di trattenersi dal cominciare a saltellare sul posto.

- Be’, io dico che Tom e Daryl sarebbero entusiasti di avere un cuginetto o una cuginetta.

- E qualcun altro lo sarebbe ancora di più di avere un nipote, se le voci di corridoio sono esatte - lo pungolò Sam con una vaghissima nota di rimprovero accompagnata a un sorrisetto sapiente, ottenendo soltanto di aumentare la sua splendente esaltazione.

- Tutto il mio sobillare ha avuto effetto, quindi. Grandioso.

- Ovviamente saremmo tutti e due felicissimi di diventare zii - si fece avanti Castiel con serenità, subito dopo aver passato un mucchio di pupazzetti a un indaffaratissimo Tom. - Ma mi permetto di dubitare che siate venuti a chiederci questo tipo di consigli. Sapete benissimo quanto saremmo felici di veder crescere la famiglia. Non ne abbiamo mai fatto mistero.

- Beccati - ammise allora Gabriel, con una mezza risatina imbarazzata. Sam non avrebbe mai finito di stupirsi del modo in cui quei due si sapevano leggere a vicenda, anche se per gran parte della loro reciproca conoscenza non erano stati altro che un dottore e un paziente l’uno per l’altro. - Ci piacerebbe sapere cosa ne pensate dell’intera storia, data la vostra esperienza e dato che questa è una faccenda completamente diversa.

Di fronte a una simile candore – un tratto del carattere di Gabriel che conosceva a fondo –, Castiel si esibì in un altro sorriso indulgente.

- Vi dispiacerebbe raccontarci tutto un po’ più nel dettaglio?

Fu quella la domanda che sciolse ogni remora. Sentendosi finalmente a proprio agio nel mostrare le proprie fragilità in tutta la loro trasparenza, sia Sam che Gabriel cominciarono a sciorinare uno dopo l’altro tutti i dubbi che li assillavano da quando Claire aveva confidato loro il suo segreto più grande e chiesto loro il favore di una vita.

Confidarono a Dean e Castiel quanto fossero preoccupati per Claire, quanto ardentemente desiderassero aiutarla ed esaudire il suo desiderio di avere suo figlio relativamente vicino, di vederlo crescere all’interno della sua famiglia. Dopo qualche minuto, confessarono senza remore anche il loro sogno, l’aspirazione di diventare genitori. Ma non gli risparmiarono nemmeno la bruciante e sempre viva preoccupazione per il fatto che l’adozione sarebbe stata un cambiamento improvviso, non calcolato, le considerazioni economiche su cui era obbligatorio riflettere e la convinzione, vaga e generale, di non potercela fare.

Quelle ultime cartucce furono quelle che caricarono di più Dean, fino a rendergli impossibile non interromperli.

- Ma certo che ce la potete fare! - esclamò, scioccato all’idea che entrambi fossero convinti del contrario. Proprio in quel momento Daryl cominciò a dare segni di insofferenza e suo padre si prese il tempo di infilargli le mani sotto le ascelle, sollevarlo e posarlo a terra accanto al suo tanto ambito camion dei pompieri prima di proseguire il discorso. - Ci saremo noi ad aiutarvi. Anche per la questione economica, potete sempre contare sulla riserva famigliare.

Sam sorrise. Fin da quando era stato chiaro che lui e Gabriel guadagnavano decisamente meno di Castiel e Dean, quest’ultimo si era speso all’inverosimile per rendere il più cristallino possibile che non avevano che da chiedere, per quanto riguardava le finanze come un mucchio di altri aspetti della loro vita. Come la ristrutturazione della loro casa, ad esempio. Sam e Gabriel non avevano ancora mai avuto bisogno di approfittarne, per fortuna e grazie a calcoli attenti, ma ciò non appannava minimamente la generosità del maggiore dei Winchester.

- Grazie, Dean - mormorò suo fratello, riconoscente.

- Ma questo lo sapevate già, no? - s’inserì a quel punto Castiel. Con la gamba destra accavallata sulla sinistra e le mani raccolte sul ginocchio sollevato, non avrebbe mai trovato un modo per apparire più adatto al ruolo di psicoterapeuta. - Sapete che non abbiamo alcuna ragione per non supportarvi in ogni modo possibile e immaginabile per una cosa del genere. Perciò perdonatemi, ma credo che la preoccupazione che vi ha spinti a venire qui, quella vera, sia un’altra. È possibile che uno dei fattori che vi stanno trattenendo dal prendere una decisione riguardo a questa adozione sia il timore che Claire cambi idea e che, a un certo punto di questa gravidanza o addirittura subito dopo il parto, decida che vuole tenere con sé il piccolo? Perché, per il resto, a parte questioni perfettamente risolvibili, voi due mi sembrate abbastanza d’accordo. E già sulla linea del sì, se posso permettermi.

Gabriel fu il primo a riprendersi dalla precisione di quella riflessione e a esporsi, dopo essersi mordicchiato il labbro inferiore per un paio di secondi. Sam non aveva mai provato vergogna ad ammettere che il suo rapporto con Castiel toccava, a tratti, punti molto più profondi del proprio, assicurandogli un vantaggio non indifferente in scambi come quello appena avvenuto.

- Ammetto di essermi chiesto cosa succederebbe… come ci sentiremmo se, una volta che ci fossimo affezionati all’idea di essere i genitori di questo bambino, Claire decidesse altrimenti - confessò Gabe in poco più di un sussurro.

Dato che Sam sembrava in ascolto più che in attesa del proprio turno per parlare, Castiel annuì per sostenere Gabriel e il suo primo tentativo di apertura.

- Vi invito a pensarci, allora. Come credete reagireste?

Dato che Gabriel stava indugiando sul ciglio di parole che sembravano non essere in grado di tradurre i suoi pensieri, Sam ne approfittò per dire la sua.

- Io non credo sia poi così importante - dichiarò, senza bisogno di fingersi calmo. E malgrado quella sua presa di posizione parve sorprendere tutti i presenti, nemmeno Gabriel sentì il bisogno di intervenire con urgenza per correggerlo. Così Sam continuò a esporre il proprio punto di vista, concentrandosi sugli occhi intrigati del suo compagno: - Voglio dire, non ci avevo davvero pensato fino a quando non l’hai detto, ma, Gabe, Claire non potrà occuparsi di tutto da sola neanche volendo. Anche se a un certo punto, cosa poco probabile, decidesse di mollare l’università per fare la mamma, avrebbe bisogno di un aiuto consistente e costante. E i vostri genitori, per quanto bene gli voglia…

- Ormai hanno più l’età per fare i nonni che i genitori - concluse Gabriel al suo posto, perfettamente in linea col suo ragionamento.

Sam assentì con convinzione, contento che si trovassero sulla stessa linea.

- In quel caso potremmo sempre proporre a Claire di venire a vivere con noi, assieme al piccolo. Quello che voglio dire è che, comunque vada, noi cresceremo questo bambino assieme a lei. Si tratta solo di capire se lei sarà la figura centrale o se lo saremo noi. Anche se io mi fido di tua sorella quando dice di averci riflettuto a sufficienza e di aver deciso di non abbandonare gli studi. Sento di potermi fidare di lei.

Sam non dovette attendere a lungo per vedere un sorriso colmo dello stesso ottimismo fare capolino sul volto di Gabriel e piegargli le labbra in quella curva mai completamente innocente che il più giovane conosceva a menadito.

Gabriel non aggiunse niente, ma Dean, vista l’insistenza con cui Tom lo stava chiamando e tirando per la manica per convincerlo ad andare a giocare assieme a lui e al fratellino, fu costretto ad alzarsi dal divano. Prima di acconsentire a raggiungere l’angolo adibito unicamente alla tanto popolare postazione da meccanico, ad ogni modo, si prese il tempo di allungare una pacca orgogliosa sulla spalla di suo fratello.

- So che Cas mi dirà di tenere a freno l’emozione finché non farete un annuncio ufficiale e so anche che ha ragione. Però sono contento per voi, ragazzi, che vi sia stata data questa opportunità. Datemi pure del sentimentale, ma so già in cosa sperare. Sì, Tom, arrivo. Ogni tanto potremmo anche usare un po’ di pazienza ed educazione, che ne dici?

Una volta che il piccolo ebbe bofonchiato una mezza scusa, Dean si allontanò di qualche metro con entrambi i bambini, pronto a dare tutto se stesso con la versione di legno liscio e smussato degli utensili con cui lavorava dal lunedì al venerdì. I suoi figli erano soliti bersi la sua esperienza e i suoi racconti come fiori assetati sotto la pioggia.

I tre adulti rimasti sui divani li osservarono e ascoltarono le loro interazioni per qualche minuto, in silenzio, ma infine Castiel tornò agli occhi dei suoi interlocutori con un sospiro che sapeva di parole ancora non dette.

- Se volete la mia onesta e incensurata opinione… - iniziò, e attese un cenno affermativo sia da parte di Sam che di Gabriel prima di procedere con quella sua coscienziosità quieta che non intimoriva, ma ispirava fede e rispetto. - Io penso che a entrambi farebbe bene riflettere ancora un po’. Con calma, senza fretta né ansia, ma con piena consapevolezza di ciò di cui stiamo parlando. So che Dean sta già organizzando una festa con tanto di fuochi d’artificio, nella sua testa, ma è di un bambino che si tratta. Una personcina che avrà un gran bisogno di voi per moltissimi anni. Non abbiate paura di condividere ogni vostro timore con l’altro, prima di prendere una decisione definitiva insieme. Se arriverete a un no, sarà perché siete stati onesti l’uno con l’altro riguardo a ciò che non vi convince. Una volta detto di sì, invece, vorrete solo godervi ogni istante - si premurò di aggiungere, rivolgendo un sorriso caldo al punto del pavimento in cui Dean si era accomodato a gambe incrociate e, con Daryl arrampicato sulla schiena e appeso al collo, stava spiegando a Tom le mille magie di una chiave a croce, con tanto di suoni onomatopeici a farcire il racconto degli ultimi bulloni che aveva svitato prima del fine settimana. - Ma voglio dirvi anche questo, dato che ci sono passato e questi dubbi hanno torturato anche a me: voi siete brave persone. Siete capaci, siete responsabili e sareste più che degni di un’opportunità così meravigliosa. Non ho nemmeno il minimo sospetto sul lavoro fantastico che fareste con quel bambino.

Il suo sorriso fiducioso divenne contagioso in un nanosecondo.

- Grazie, Cas - bisbigliò Sam, non avendo idea di come avrebbe potuto esprimere tutta la gratitudine che gli aveva appena alleggerito cuore e scarpe.

Gli bastò voltarsi verso Gabriel per comprendere quanto tutto ciò valesse anche per lui.

- Sì - confermò infatti il maggiore. - Grazie.

Non ne discussero più, per quel giorno, né con Dean e Castiel né una volta rimasti soli. Si godettero il pranzo in famiglia, si aggiornarono sulle vite di quattro delle persone che gli erano più care, giocarono con Tom e Daryl e insistettero perché gli avanzi della torta mousse al cioccolato, zenzero e lamponi per la quale Dean si era sprecato in versi d’apprezzamento tali da far vergognare suo marito non lasciasse il frigo dei Novak-Winchester. Si distrassero, risero, non rifletterono più sul da farsi finché non si ritrovarono a prepararsi per andare a letto, quella notte, poco dopo le ventitré.

Sam si era già infilato sotto le lenzuola e stava leggendo l’ultimo romanzo preso in prestito dalla biblioteca quando Gabriel, una volta finito di lavarsi i denti, uscì dal piccolo bagno annesso alla camera e mosse qualche passo all’interno della stanza solo per fermarsi a due passi dal materasso.

Sam finì di leggere il paragrafo prima di alzare lo sguardo su di lui.

- Che cosa c’è? Che fai lì impalato? - chiese con un sorriso divertito, perché era proprio da Gabe comportarsi come il personaggio di una commedia o come un attore consumato perso tra le pagine del proprio ruolo.

Gabriel sorrise con un’emozione insicura a fargli tremare le labbra, senza togliergli gli occhi di dosso.

E meno male che non mi sono ancora comprato quel famoso paio di occhiali da vista, fu sul punto di commentare Sam.

Ma poi lui lo disse. Com’era ovvio che sarebbe stato Gabriel a dirlo per primo, alla fine. Se Sam avesse vissuto meno nel presente e fosse stato meno innamorato di lui, avrebbe potuto prevederlo. Ma chi avrebbe voluto scambiare cotante benedizioni col sottile piacere di avere ragione?

- Lo stiamo per fare, non è vero? Lo stiamo già facendo - rispose Gabriel, enigmatico per tutti tranne che per il ragazzo con cui aveva condiviso tutto durante gli ultimi sei anni.

- Ormai ci siamo dentro fino al collo - convenne Sam con una naturalezza di cui non conobbe l’esistenza finché quelle parole di pura sincerità con gli uscirono di bocca.

Il sorriso di Gabriel si fece più saldo.

- Ne sei convinto anche tu?

Sam annuì e non seppe mai come non scoppiò a ridere per la felicità.

- Decisamente.

Ci avevano riflettuto più che a sufficienza. E la risposta era sì.

Il bambino di Claire era già figlio loro.

 






Angolino dell’autrice

Ebbene sì, questo capitolo è un po’ più abbondante dei precedenti. È una singola scena, mi sono detta, non verrà un gran che di lunghezza. E invece… spero solo che apprezziate *Dean: “Purché non arrivi a propinargli 15 pagine come nella storia precedente”* *Castiel: “Povere anime”* *l’autrice li zittisce a forza di biscotti*

Ehm. Stavo dicendo. Passiamo ai ringraziamenti. 

Una fettona di rotolo al grano saraceno con ripieno di mirtilli freschi alle splendide recensitrici, vale a dire strugatta, lilyy, Ciuffettina e _AnnairA_, e a tutt* coloro che stanno seguendo la storia. Vi abbraccio, aspetto le vostre opinioni su questo capitolo e vi do appuntamento al prossimo ^-^

A presto!



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Capitolo 10
*** Fiori d'arancio ***


 

10. Fiori d’arancio

 

Quell’anno, il 2 maggio recò con sé il regalo inaspettato di un briciolo d’estate in anticipo. Sam lo avvertì subito, appena sveglio, e respirò a pieni polmoni il profumo erboso dell’aria del mattino quando lasciò il letto, all’alba, per andare a spalancare le finestre.

Quel mattino, Sam sorrise più a lungo del solito, guardando il suo compagno stiracchiarsi sul materasso, nel groviglio di lenzuola a cui entrambi avevano dato forma durante la notte, e col cuscino in procinto di scivolare a terra.

Gabriel teneva ai compleanni come nessun altro adulto che Sam conoscesse ed era solito dedicare un’attenzione ineguagliabile alla data di nascita dell’uomo che amava. Quell’anno, pur con tutto ciò che stava accadendo loro – o forse proprio per quel motivo – non fu diverso. Anzi.

Si erano presi entrambi un giorno di ferie – come facevano ogni 2 maggio e ogni 4 settembre dai sei anni, ormai, per non parlare dell’intero fine settimana che erano soliti dedicare a una gita fuori porta al cadere di ogni loro anniversario – e lo trascorsero, secondo i piani di Gabriel, a intrattenersi con alcune delle attività preferite da Sam.

E siccome Gabe conosceva il suo pollo e lo splendore della sua anima semplice, contenta con poco e a volte indispettita dall’esagerazione, la giornata iniziò con una colazione in terrazza: torta morbida alle ciliegie e nocciole, centrifuga di frutti dolci e tè verde. E proseguì con una gita in bici sotto il sole allegro del mattino, fino a un parco in collina che entrambi amavano alla follia e che negli ultimi anni era diventato il loro luogo dedicato al rilassamento privo di sensi di colpa e alle riflessioni ad alta voce.

Non fu finché non si ritrovò sdraiato accanto a Gabriel sull’erba tagliata di fresco, sulla curva perfetta della collina, con delle focaccine al miele adagiate su un tovagliolo di stoffa a poca distanza dal suo fianco, che Sam tornò a pensare con insistenza al bambino che sarebbe arrivato da lì a sette mesi. Aveva nelle orecchie lo stridore di un’altalena lontana e la brezza sembrava ancora più fresca di quanto non fosse, mentre soffiava sul suo viso leggermente sudato. Lui e Gabe avevano fatto a gara a chi fosse arrivato prima in cima alla collina e alla fine erano crollati a terra, una volta abbandonate le bici pochi metri più sotto, con le risate che scuotevano il petto di entrambi.

Quando Sam si girò verso Gabriel, scoprì che i suoi occhi sorridenti, contenti, si erano persi a rincorrere le poche nuvole in viaggio sopra le loro teste. Il maggiore aveva, come lui, le braccia incrociate dietro la nuca e il corpo abbandonato all’invito della dolce pendenza collinare. Sam lo imitò, tornando a rimirare la serenità con cui il cielo cambiava foggia sotto lo sguardo di chiunque si prendesse il tempo di osservarlo.

Malgrado fosse ormai passata più di una settimana da quando avevano deciso di accettare la proposta di Claire e dire di sì all’adozione, non ne avevano ancora fatto parola con nessuno e assieme avevano concordato di non farlo per almeno altre due settimane. Avevano il bisogno fisico e mentale di attendere ancora prima di annunciare la decisione a tutti, sia perché non volevano che la loro scelta apparisse affrettata, sia per concedere a se stessi il tempo utile ad abituarsi all'idea prima di ritrovarsi addosso sia i complimenti che gli inevitabili giudizi di tutti. Se l’esperienza di Dean e Castiel gli aveva insegnato qualcosa, era che avrebbero dovuto fare fronte comune davanti alle smorfie di disapprovazione così come dinnanzi ai sorrisi esaltati.

- Credi che potremmo iniziare a pensare a un nome? - ventilò Sam, dopo che Gabriel gli ebbe indicato con fervore fanciullesco una nuvola a forma di pinguino .

L’altro gli rivolse un sorriso tranquillo, come se avesse già cominciato a farlo nel silenzio dei propri pensieri.

- Non vedo perché no.

Sam mugolò a mo’ di assenso. Ancora pochi secondi e Gabriel lo sorprese a sghignazzare tra sé e sé.

- Cosa c’è?

- Ti ricordi tutta la faccenda del nome di Daryl?

- Oh sì. Come potrei dimenticarla? È oro puro.

Oro puro. Era così che Gabriel era solito definire i ricordi che più lo mettevano di buon umore. E Sam doveva ammettere che la crociata intrapresa da Dean affinché suo marito accettasse uno dei suoi desideri più impellenti, qualche anno prima, era uno di quegli aneddoti che nessuno, in famiglia, si stufava mai di ascoltare.

 

 

- 21 aprile 2013, casa di Dean e Castiel –

 

Fu con un po’ troppa grinta che Castiel sistemò mezzo bicchiere di latte e un piattino contenente due biscotti con gocce di cioccolato davanti a un interessatissimo Tom. Fortunatamente il bambino, tre anni di pura golosità, non lasciò che il tonfo della ceramica lo facesse desistere dal desiderio di avventarsi sulla sua meritatissima merenda di metà mattina. Come niente afferrò il primo biscotto e trasse a sé il bicchiere per intingere la pasta frolla nel latte ancora prima che suo padre potesse chiedergli scusa per il colpo, con la linguetta stretta tra i denti per la concentrazione necessaria a prendere bene la mira.

Quasi come se avesse capito che uno dei suoi adulti di riferimento aveva ben altro per la testa, in quel frangente, o come se alla sua età fosse già abbastanza sveglio da sapere che non era saggio esporsi quando i suoi papà si addentravano in una discussione.

- Per l’ultima volta, Dean, no. Non daremo a nostro figlio il nome del personaggio di una serie televisiva.

Da giorni interi, Castiel Novak coltivava la limpidissima e sacrosanta opinione di vantare un’agenda sufficientemente piena, per quella specifica domenica primaverile. Sopravvissuto alla missione impossibile di far comportare bene Tom durante l’intera messa, era rientrato a casa con lui giusto per il tempo utile a far fare uno spuntino alla creatura e a recuperare suo marito per poi poter affrontare il resto della mattinata.

La spesa, la rapida sortita all’ufficio postale per inviare la raccomandata affidatagli da Mary e la puntatina in officina affinché Dean potesse firmare dei documenti urgenti – il tutto in tempo per il pranzo gentilmente offerto dai cognati – sarebbero state commissioni che avrebbero incluso entrambi i coniugi, ma Castiel viveva con Dean Winchester da abbastanza tempo da sapere che aveva fatto più che bene ad accollarsi l’intera parte organizzativa. Suo marito sapeva essere distratto, a volte, almeno quanto testardo.

- Ma non sai nemmeno di che nome si tratta! - protestò vivacemente Dean proprio in quell’istante.

Per l’appunto, pensò Castiel, chiudendo le palpebre per un momento pur di non rischiare che Tom lo vedesse alzare gli occhi al cielo e cominciasse a imitarlo a un’età fin troppo tenera. Certo, suo figlio sembrava non avere occhi che per i suoi deliziosi frollini al cioccolato, ma si sa, i sensi dei bambini sembrano essere progettati appositamente per fregare i genitori proprio nei loro punti più deboli.

Castiel si concesse un sospiro e fece finta di attribuirlo alla pioggia di goccioline di latte che Thomas si stava spruzzando addosso, prima di voltarsi verso suo marito e rispondere alla sua protesta con un’occhiata scettica.

- Sono tre anni che sei in fissa con The Walking Dead - gli fece notare.

La rimostranza di Dean passò da galoppante a oltraggiata e sulla difensiva tanto in fretta che Castiel sentì gran parte dello stress del primo mattino scivolargli via di dosso e dovette trattenersi dal sorridere. Ogni tanto si chiedeva se il broncio ostinato di suo marito avrebbe mai smesso di fargli sorgere quella voglia indomabile di baciarlo sulla bocca.

- Sì, be’, ci sono un sacco di personaggi in The Walking Dead - brontolò il minore, facendolo propendere ancora una volta per il no: sempre baci, per quelle labbra a cui tanto piaceva trattenere per l’ultima parola.

- , amore mio, ma tu cominci a sbavare solo quando sullo schermo ne appare uno in particolare - gli fece notare Castiel, ridacchiando dandogli le spalle mentre con un tovagliolo cercava di ripulire il mento e il collo di Tom dai rigagnoli di latte e briciole con cui il bambino sembrava aver deciso di battezzarsi una seconda volta.

Solleticato dalla stoffa, il bambino ridacchiò assieme a lui, quasi come se avesse capito appieno il riferimento.

- Che cosa? Io non sbavo! - replicò Dean, offeso, aggirando il tavolo per portarsi accanto al figlio e di fronte allo sguardo sfuggente del marito. - È il mio personaggio preferito, ma non per il suo aspetto. Okay, allora… non solo per il suo aspetto. È un bel nome, Cas, non puoi dire che non suoni bene.

Il piccolo Thomas alzò i suoi grandi occhi scuri verso di lui per un istante, come se stesse considerando la posizione del più giovane fra i suoi papà, prima di decidere che non valeva la pena immischiarsi. Quindi tornò a sbocconcellare biscotti e a cercare di sondare le profondità del suo bicchiere di latte con le dita.

- No, Tom. Non si gioca col cibo - lo frenò Castiel con delicata fermezza, riportandogli la manina attorno al bicchiere dopo avergliela asciugata, cosicché il bambino potesse continuare a servirsi da solo. Quando lo vide afferrare la piccola coppa a due mani per poterla inclinare con lentezza e sorbire un sorso convinto, gli offrì un occhiolino e un sorriso soddisfatto prima di tornare a suo marito e concedergli con un sospiro: - Ripetimelo, per favore.

Gli occhi di Dean si illuminarono di gioia. A volte bastava così poco. Un po’ come con Tom.

- Daryl.

- Daryl - ripeté Castiel, ascoltandone bene il suono mentre teneva gli occhi fissi su un punto imprecisato del loro tavolo da pranzo, come avrebbe fatto se si fosse trattato di decidere se una canzone gli piaceva oppure no. Infine tornò allo sguardo effervescente di suo marito con una smorfia dubbiosa sul volto. - Non so, Dean. Non mi dispiace come nome, ma sceglierlo perché ti piace uno show alla televisione…

Come previsto, il broncio del suo compagno tornò nello spazio-tempo di uno schiocco di dita.

- Non è giusto, però. Il nome di Tom lo hai scelto tu e io l’ho accettato subito, non importava che fosse il nome di un parente che non hai mai nemmeno conosciuto.

- Thomas, prego - lo corresse Castiel, per nulla risentito, ma per puro amore della precisione. - E l’ho conosciuto. Dai racconti di mia nonna, ma l’ho conosciuto. Comunque è Thomas.

- Sapevi che lo avremmo chiamato Tom fin dall’inizio! Guarda Sam, pensi che qualcuno lo abbia mai chiamato Samuel? A scuola, forse, e mai per due volte di seguito. E poi nemmeno tu lo chiami mai col suo nome intero.

Un po’ per il fervore sanguigno che suo marito spargeva un po’ ovunque, un po’ per il sorrisetto furbo che suo figlio gli rivolse una volta che l’ultima briciola dei biscotti fu stata aspirata e ogni goccia di latte prosciugata, a Castiel scappò una mezza risata.

- Quando fa il monello sì. Non è vero, Tom?

- Ancora uno, per piacere? - tentò il bambino, vedendo che Dean stava portando il suo bicchiere ormai vuoto al lavello e recuperando una pezza umida per pulire il campo di battaglia del suo spuntino.

- Va bene, puoi prendere ancora un biscotto - accordò Castiel, facendosi una nota mentale: avrebbe dovuto allenarsi a non sciogliersi come un ghiacciolo al sole ogni volta che suo figlio incespicava tra le “p” di “per piacere”. Era quasi certo che, conscio del proprio tenero potere, Tom avesse iniziato a farlo apposta. - Poi basta, però, altrimenti dove troverai l’appetito per mangiare i manicaretti dello zio Gabe? Su, prendi l’ultimo e poi mettiamo via la scatola - lo incoraggiò, mettendogli accanto il contenitore di latta e lasciandolo libero di scegliere il proprio biscotto prima di richiudere il recipiente e andare a riporlo su una delle mensole accanto alla finestra. - Comunque sì, Dean. Ho già sentito questa storia dei soprannomi e ti ho anche dato retta. Ma, a proposito di Sam, tu hai potuto scegliere il secondo nome del discolo qui presente.

Intravedendo una luce promettente alla fine del tunnel, Dean si affrettò ad alzare le mani sopra la testa, pronto a cedere al compromesso.

- Se è questo che ti trattiene, ti do carta bianca sul secondo nome del fagottino in arrivo.

Castiel non fece nemmeno finta di pensarci.

- Mi piacerebbe se portasse anche il nome di mio padre. Mark ha avuto Sebastian come secondo nome, come il padre di Rachel - spiegò mentre osservava Tom divorare il suo terzo frollino, anche se Dean sapeva benissimo come si chiamava il maggiore tra i suoi nipoti, il primogenito di suo fratello Michael, e perché. - Anche se non ne ha mai fatto parola, so per certo che mio padre c’è rimasto un po’ male.

- Approvo - annuì immediatamente suo marito, serio e convinto. - Il nome di tuo padre ci starebbe benissimo. Daryl Christopher. Che ne dici?

- Daryl Christopher - ponderò Castiel, mal celando l’ovvietà della propria approvazione dietro un sorriso emozionato mentre si accucciava davanti al figlio. - Tu cosa ne pensi, Tom? Pensi starà bene al tuo fratellino?

Contagiato dall’improvvisa allegria dei genitori, il bambino si esibì in un sorriso tutto denti e annuì.

- Io allora lo chiamo Dee. Va bene, papà?

Castiel non avrebbe mai dimenticato la fretta con cui Dean dovette correre in bagno, perché proprio in quel momento gli era entrato nell’occhio qualcosa di abbastanza grosso da farlo lacrimare – né avrebbe lasciato che lui lo dimenticasse. Perciò si assicurò di raccontare quella storia a ogni piè sospinto, a chiunque avesse voglia di ascoltarla.

 


Sam si era perso dietro alle nuvole e ai ricordi – aveva chiamato suo fratello “Dee” almeno fino alla fine delle scuole elementari e sospettava che Tom, essendo il fratello maggiore, avrebbe usato quell’appellativo per Daryl per sempre, se l’esempio di suo padre valeva qualcosa. Dean ancora si ostinava a chiamare suo fratello minore Sammy. Stava ancora sorridendo, felice più che esasperato, quando Gabriel tornò a parlare.

- Hai già in mente qualcosa? Per il nome.

Sam si umettò le labbra prima di schiuderle, premuroso come se temesse di rovinare un momento che aveva vissuto più e più volte nella propria testa. Gabriel non era il solo ad aver già cominciato a riflettere su qualche possibile nome di battesimo.

- Ti ricordi quale canzone stavamo ascoltando quando mi hai offerto albicocche e tè alla menta per la prima volta? - domandò, e il suo compagno non tardò neanche un secondo prima di iniziare a cantare con quieto garbo.

- Suzanne takes you down, to her place near the river. And she feeds you tea and oranges that come all the way from China1- intonò, saltando direttamente al verso che più gli ricordava i primi momenti trascorsi da solo in compagnia di Sam, con tutta l’ansia depositatagli sulle spalle dalla richiesta di quello che allora chiamava ancora dottor Novak e con tutta la speranza che covava in cuore per il futuro di quegli occhi color tempesta.

- Non sarebbe un bel nome, per nostra figlia? - fantasticò Sam.

Accanto a lui, Gabriel represse un brivido di commozione sentendogli pronunciare quelle parole.

Riuscì appena a replicare: - Suzanne?

Sam considerò quell’eventualità solo per un altro attimo, con gli occhi fissi sul pigro vagare delle nubi in quel cielo di un celeste incredibile, prima di specificare, persuaso: - No. No, Suzanne non le calzerebbe. Ma Susie . Susie Hale-Winchester. Mi piace moltissimo. Sempre che sia una lei, certo. Ho qualche idea anche per un maschietto, se fosse quello il caso. Ho pensato fosse il momento di parlartene e di chiederti cosa te ne pareva, perché, insomma...

- Sam - lo bloccò Gabriel dal nulla, e il minore tacque e volse l’attenzione al suo viso all’istante.

Gabriel aveva un’espressione indecifrabile. Il che non era una novità, Sam aveva imparato col tempo e un’infinita pazienza a leggere i messaggi delle sue sopracciglia, delle diverse gradazioni di luce che potevano sfoggiare le sue iridi, delle linee del suo volto istrionico. Se quel giorno fu sul punto di preoccuparsi e aggrottò le sopracciglia fu perché non si ricordava nemmeno da quanto tempo non gli vedeva dipinta in volto quell’apprensione.

- Gabe, cosa c’è? Va tutto bene? - insistette, puntellandosi su un gomito per farglisi più vicino.

Fu quando Gabriel deglutì a fatica che Sam ricordò esattamente da quanto tempo non vedeva quell’espressione sul suo viso. D’altronde, chi avrebbe potuto incolparlo per aver dimenticato per un minuto la cera terribile che aveva preceduto il momento in cui Gabe gli aveva chiesto di uscire con lui ufficialmente per la prima volta?

Più tardi, ancora una volta, Sam si sarebbe dato dell’imbecille per non aver capito che cosa stava succedendo. Ma, ancora una volta, sarebbe stato riconoscente dello stupido, stupido amore che gli consentì di godersi semplicemente quel momento irripetibile.

- Sam - ripeté Gabriel in un soffio, per poi fermarsi di nuovo, mordersi le labbra, prendere il più profondo dei respiri.

Sdraiato su quel prato, con la morte negli occhi all’idea di cosa ne sarebbe stato di lui se la risposta non fosse stata quella che si aspettava, sembrava anche rifulgere di tutta la forza vitale che accompagnava ogni suo passo. La stessa con cui, anni prima, aveva restituito a Sam un’esistenza degna di essere vissuta. La stessa esistenza che, con i suoi snodi e le sue curve inaspettate, li aveva portati ad accettare l’idea di crescere un figlio assieme.

- Samuel William Winchester - articolò finalmente Gabriel, lasciando che un sorrisetto nervoso gli piegasse all’insù un angolo della bocca. - Che ne diresti di sposarmi?

 

 



Note di traduzione:

(1) Suzanne ti accompagna al suo posto in riva al fiume. E ti offre tè e arance che arrivano direttamente dalla Cina... (Suzanne, Leonard Cohen).

 




Angolino dell’autrice

Finalmente riesco a pubblicare! Me likey.

Per prima cosa, ringrazio di cuore strugatta, Ciuffettina, _AnnairA_ e lilyy per le recensioni lasciate allo scorso capitolo e, assieme a tutt* coloro che seguono la storia, le inondo di torta di grano saraceno con marmellata di mirtilli, che fa solo bene all’anima.

Non vedo davvero l’ora di sapere cosa pensate di questo capitolo, tra sortite nella vita genitoriale della Destiel e colpi di testa di Gabriel.

Quindi vi aspetto per chiacchierarne assieme, se vorrete, come sempre, nelle recensioni ^-^

Un abbraccio e a presto!


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Capitolo 11
*** Note di gelsomino ***


 

 

 

11. Note di gelsomino

 

 

- 20 maggio 2016 -

 

- Si può sapere dove diavolo sono finite le frittatine di ceci?

- Magari sul tagliere sul quale le hai adagiate tu stesso, genio. Fai una piroetta di centottanta gradi con quei tuoi piedini aggraziati e te le ritroverai sotto il naso.

- Oh, meno male. E il plumcake di zucchine?

- L’hai messo in forno con l’entusiasmo di una fatina un quarto d’ora fa abbondante - replicò Claire con lo stesso tono impaziente e annoiato che, negli ultimi tre quarti d’ora, aveva logorato a forza di rispondere alle manifestazioni d’ansia di suo fratello maggiore.

Quindi fece leva sulle braccia, prima per sollevarsi dall’angolo del tavolo dove si era seduta e poi per lasciarsi scivolare coi piedi a terra. A undici settimane di gravidanza, riusciva ancora a nascondere la tensione minima del suo ventre sotto i comodi vestiti primaverili che le erano sempre stati irrinunciabili, ma aveva già promesso a sua madre un pomeriggio di spese in vista dell’imminente arrotondamento delle sue forme.

- Posso chiudere la finestra? - domandò poi, tirando su col naso. - Il vostro gelsomino in piena fioritura mi sta uccidendo.

Non si era mai sentita tanto fragile e vulnerabile. Né Gabriel tanto protettivo, come dimostrò precedendola dall’altro lato della cucina per serrare lo spiraglio incriminato. Nel passarle accanto per tornare accanto ai fornelli, le sfiorò una spalla con un riguardo eccessivo che, prima che Claire restasse incinta, aveva creduto di essere stato in grado di dedicarle soltanto durante i suoi primissimi anni di vita.

- Sei diventata allergica?

- No, intendevo il profumo. Mi stava dando alla testa.

- Tu adori il profumo del gelsomino.

- Evidentemente i miei ormoni impazziti non sono d’accordo. Rimandiamo questa discussione alla prossima primavera.

- Oddio - esclamò Gabriel in quel momento, portandosi una mano alle labbra. Claire reagì ai suoi occhi sgranati con altrettanto trasporto, per quanto meno genuino, e rimase a chiedersi quale diavolo fosse il problema del momento finché suo fratello non si decise a togliersi le dita da davanti alla bocca e a sussurrare, inquieto: - E le tartine con i pomodori?

Claire alzò gli occhi al cielo con tutto il trasporto che le era concesso e lo mandò al diavolo con entrambe le braccia.

- Qui, Gabe, sotto i tuoi occhi - ebbe il buon cuore di mostrargli subito dopo, mossa a pietà dalla totale mancanza di senso dell’orientamento di cui suo fratello maggiore sembrava essere caduto vittima quel giorno.

Quel fatidico mattino, Gabriel pareva essersi svegliato con l’equivalente di dodici caffè nelle vene. Lo stress per quanto sarebbe accaduto di lì a un’ora o due gli aveva pompato nelle vene più adrenalina del suo esordio sul palco di un teatro, a tredici anni. Ma al contempo sembrava anche averlo intontito abbastanza da non permettergli di notare la metà di tavolo che lui stesso aveva provveduto ad affollare con ben tre vassoi di tartine ai pomodori con cui sfamare la manciata di ospiti in arrivo.

- Oh, giusto, il tavolo. Mi dimentico sempre di controllare sul tavolo.

Quella fu l’ultima goccia, per Claire.

- Gesù Cristo, ti vuoi dare una calmata una volta per tutte? Si tratta di una cena. Non stai partendo per la guerra, non stai per presentare gli Oscar, non devi varare una nave e sperare che non colpisca un iceberg. E non si tratta nemmeno del ricevimento delle tue nozze. Anche se - aggiunse in ultima istanza, rinunciando al tono inflessibile che aveva zittito Gabriel per passare a un sorrisetto compiaciuto che della pietà non aveva proprio nulla, - non siamo poi così lontani dal gran giorno, cara la mia colombella in bianco.

Quando Sam gli aveva detto di sì, che lo avrebbe sposato, Gabriel non aveva neanche soppesato la possibilità di tenerlo nascosto a Claire, nemmeno per un giorno soltanto. L’idea di non dirglielo era suonata improponibile perfino a Sam, dato che il matrimonio che avevano iniziato a organizzare all’insaputa del resto della famiglia era strettamente connesso all’adozione, l’avventura più grande e complessa in cui si fossero mai imbarcati assieme e della quale avevano necessariamente dovuto parlare a Claire prima della tanto attesa cena di quel 20 maggio.

Quella sera, la loro intera famiglia sarebbe venuta a sapere quale enorme e spaventoso piano Gabriel e Sam stessero disegnando per il proprio futuro. Entrambi si erano trovati concordi nell’anticipare di qualche giorno a Claire sia il sì per l’adozione che quello che avevano in mente di scambiarsi al termine del camminamento di una ancora ipotetica navata.

Lei, come predetto, ne era rimasta estasiata e da allora non aveva perso occasione per emozionarsi assieme ai futuri sposi. Ma soprattutto per approfittare della rinnovata fragilità di suo fratello maggiore per farsi beffe di lui. Malgrado tutte le allusioni della ragazza fossero ricoperte di zucchero a velo – perché nemmeno l’acidità di Claire poteva resistere al matrimonio di due tra le sue persone preferite – Gabriel si era pentito di averle raccontato tutto nemmeno un’ora dopo quella chiacchierata a cuore aperto.

Le sue reazioni, però, erano note per variare da una situazione all’altra, da un giorno al successivo. Quel venerdì sera, con le spalle gravate dal peso di dover annunciare due liete ma complesse novelle alle persone che erano più care a lui e a Sam, Gabriel contrattaccò con una mezza minaccia, puntando l’indice verso sua sorella minore in un patetico tentativo di affermare la propria autorità. Aveva rinunciato al sogno di ricavarne qualcosa di utile quando Claire aveva due anni e aveva riso in faccia al primo vero rimprovero che lui le avesse mai mosso, ma ogni tanto valeva la pena ritentare.

- Non pronunciare mai più quella parola a voce alta. Non prima dell’annuncio ufficiale. Le pareti hanno occhi e orecchie.

Tutto ciò che accadde fu che il ghigno di Claire si fece più pronunciato e consapevole del proprio potere.

- Quale parola? Colombella? Preferisci ape ronzina? - lo stuzzicò la ragazza, divertita dal suo broncio.

Il maggiore sospirò e, privo di forze, si gettò oltre il ciglio della resa.

- Illuso io a pensare che portare in grembo una creatura ti avrebbe sedata.

Claire diede in una di quelle sue risate limpide e radici della sua errata reputazione d’angelo.

- So che muori dalla voglia di rispondermi per le rime, ma che ora che sono incinta ti sentiresti troppo in colpa a farlo. E la sensazione peggiora di settimana in settimana, ah? Sei completamente inerme, vecchiaccio - continuò a prenderlo amenamente in giro, dondolando sul bordo del tavolo con falsa innocenza.

Gabriel la fulminò con ben poca convinzione, facendosi scappare un sorriso.

- Adorabile come tuo solito, sorellina cara. Una torta di mele fatta a persona.

Detto ciò, lanciò un occhiolino al suo sorriso e tornò a voltarsi per accucciarsi davanti al forno e controllare che il plumcake di zucchine stesse lievitando e stesse diventando ambrato al punto giusto durante la cottura in forno.

Per qualche secondo, Claire rimase in silenzio e lasciò spaziare lo sguardo fuori dalla finestra alla sua sinistra. Oltre il gelsomino, corse con gli occhi tra il verde dei prati al tramontare del sole.

Era contenta di essere appena riuscita a distrarre Gabriel dalla sua angoscia fuori controllo, fingendo di farlo soltanto per il proprio divertimento quando, in realtà, fin dall’inizio era stato lui quello a cui aveva voluto gettare una cima affinché non annegasse. Ora che mancava davvero poco alla cena, però, la ragazza si sorprese a chiedersi se non fosse il caso di risparmiare a suo fratello l’ennesimo tuffo al cuore.

In fondo sarebbe bastato così poco, e poi avrebbe potuto essere Gabriel a dirlo a Sam. Gabriel avrebbe adorato poter essere colui che lo avrebbe detto a Sam. Fu quell’improvvisa realizzazione a convincere Claire a smettere di mordicchiarsi le labbra per tornare a posare l’attenzione sulla figura rapida e fischiettante che era suo fratello maggiore. Prima di parlare, però, ebbe la prudenza di attendere che la mano guantata di Gabriel avesse posato il plumcake fumante sul sottopentola di vimini predisposto accanto al lavello e che il forno fosse ormai spento. Ci mancava solo un incidente domestico.

- Gabe, - iniziò la ragazza, dopo aver preso un respiro profondo, - a proposito di…

Ancora prima che Gabriel arrivasse a voltarsi verso di lei, la porta chiusa della cucina si aprì per metà e Sam mosse un passo all’interno, interrompendo il discorso senza nemmeno accorgersene. Aveva addosso una camicia dai toni boschivi sopra un paio di jeans e una giacca da esterni che si accompagnava benissimo coi suoi capelli spettinati e col sospetto che fosse di ritorno dal giardino. Tirava vento, quel giorno, e il suo arrivo aveva portato in casa il profumo dell’ultimo freddo della stagione.

- Stanno parcheggiando, sia i miei che i vostri - avvisò il ragazzo, per poi cercare gli occhi di Claire e rivolgersi a lei con fare complice: - Come va il piano per farlo smettere di iperventilare? Funziona?

L’esclamazione oltraggiata di Gabriel fu immediata e fece ridere entrambi. Al che Gabriel incrociò le braccia sul petto e si assicurò di fulminare Sam abbastanza a lungo e con teatralità sufficiente da farsi notare.

- Congratulazioni, simpaticone, ti sei appena giocato il dolce.

Il suo compagno gli fu subito accanto per sciogliere quella finta tensione con un bacio leggero sulle labbra e una tenera carezza sulla schiena. Mentre si godeva le piccole premure dorate con cui quei due sapevano rasserenarsi a vicenda, Claire non ebbe modo di ricordarsi che fino a un momento prima aveva voluto svelare il più recente tra i suoi piccoli segreti.

 

La cena fu una passeggiata.

Come ormai era regola accadesse, le preparazioni culinarie di Gabriel appagarono tutti i presenti e le chiacchiere non smisero per un secondo, dall’istante in cui gli ospiti vennero accolti nel salotto arrangiato a sala da pranzo di casa Hale-Winchester.

Se non per brevi momenti, la tavolata parve dividersi spontaneamente in due: da un lato, Mary e Maggie si persero in discorsi dai toni pratici cui ben presto si aggregarono anche Castiel e Frank; dall’altro, Sam, Gabriel e Claire furono più che felici di farsi distrarre dalla leggerezza dei toni di Dean, che quella sera era in vena di risate. Fortuna aveva voluto che Tom e Daryl si addormentassero durante il breve tragitto in auto verso la casa degli zii, subito dopo aver consumato una cena anticipata. La camera degli ospiti del piano di sopra era stata preparata in fretta per accoglierli, in modo che i loro genitori potessero godersi la serata senza alcun senso di colpa. Da quando era diventato padre, Castiel non si faceva mai mancare una coppia di baby monitor in tasca, per ogni evenienza.

Sam attese che tutti avessero avuto modo di godersi almeno una porzione di crema catalana prima di cominciare a lanciare sguardi pieni di intenzione in direzione di Gabriel. Quando, una volta che Dean ebbe finito di raccontare l’ennesimo aneddoto, Gabriel rispose annuendo, Sam fece scivolare la sua mano sulla sua e rimase lì a stringerla per qualche secondo prima di lasciare che il maggiore si schiarisse la voce e si alzasse in piedi per catturare l’attenzione della sua intera, contenuta platea.

- Richiedo a tutti un attimo di attenzione, s'il vous plaît. Io e Sam abbiamo un annuncio da fare. Anzi, due - esordì, concedendosi di dedicare un’occhiata al sorriso trepidante del suo compagno prima di tornare a tutte quelle paia di occhi che lo osservavano incuriosite e pregne di aspettativa. Perfino Dean si era ammutolito di colpo, al tintinnare del cucchiaino contro il bicchiere. - Ma proseguiamo un passo alla volta, o a entrambi potrebbe venire una sincope per l’emozione accumulata nelle ultime settimane. Tanto lo sappiamo che nessuno di voi è venuto qui aspettandosi semplicemente qualcuna delle mie mirabolanti portate - proseguì Gabriel.

Oramai tutti a quel tavolo sapevano della gravidanza di Claire e della proposta che la ragazza aveva fatto a suo fratello. Certo, però, ancora non sapevano tutto.

Gabriel attese che le risate si fossero quietate per riempire i polmoni d’aria e arrischiarsi a valicare il confine.

- La prima cosa che voglio che sappiate è che lo scorso 2 maggio ho avuto l’ardire, a ciel sereno, di chiedere all’uomo della mia vita se gli andasse di restarmi accanto per il resto della nostra esistenza. E sono entusiasta di potervi annunciare, stasera, di essere stato abbastanza fortunato da sentirmi rispondere che sì, be’, potrebbe non essere poi così malaccio come idea.

L’istante di sconcerto e di successiva realizzazione di ciò che Gabriel aveva detto venne interrotto dalla risata di Dean, Castiel e Maggie, i primi a cogliere la battuta con cui il ragazzo aveva voluto sdrammatizzare il momento solenne.

- Per la cronaca, non ho affatto risposto in quel modo - specificò Sam, con un sorriso mezzo imbarazzato ora che tutti gli sguardi si erano spostati su di lui. Incatenò il proprio a quello incoraggiante di Gabriel nell’aggiungere: - Ci sposiamo il prossimo 24 settembre.

Giunti a quel punto, non ci fu più modo di trattenere gli ospiti sulle rispettive sedie. Le madri dei futuri sposi furono le prime ad alzarsi e a correre a stringere ognuna il proprio figlio tra le braccia, per poi dedicare lo stesso abbraccio commosso al futuro genero. Sam subì poi l’impatto deciso del corpo di Dean contro il proprio e la fermezza delle sue pacche sulla schiena, prima di ottenere l’approvazione più gentile e delicata di Castiel. Le parole, gli abbracci e i gesti di tutti furono splendidi, ma niente, per Gabriel, batté il sorriso luminoso con cui Claire continuò a benedirlo per tutto il tempo, sinceramente gioiosa come non l’aveva mai vista prima in vita sua. Fu allora che Gabriel uscì da quel limbo di calore famigliare per ricordarsi quanto sua sorella dovesse essere agitata, in quel momento. Quanto significasse anche per lei, quella serata.

- Grazie. Grazie a tutti - disse allora, tornando a schiarirsi la voce al centro di quella che apparentemente era appena diventata una festa in piedi. - C’è anche un’altra meravigliosa novità di cui vorremmo finalmente rendervi partecipi - continuò, affiancandosi a Sam. - Ci abbiamo riflettuto a lungo, ne abbiamo parlato ancora di più e alla fine abbiamo deciso di adottare il bambino di Claire.

Così com’era accaduto quando le era stato rivelato che sarebbe diventata nonna per la prima volta, sei anni e mezzo prima, Mary si sciolse all’istante come un panetto di burro dimenticato sotto il sole.

- Oh, tesoro, è magnifico - biascicò, tornando ad abbracciare il figlio minore con tutta se stessa.

Sam rise sopra la sua spalla e la strinse forte prima di fare lo stesso anche con suo fratello e poi con suo cognato.

- Sono felicissimo per voi - aggiunse Castiel, evidentemente al settimo cielo ora che era certo che quella decisione fosse stata ben ponderata. Dopo aver visto sia il volto di Sam che quello di Gabriel illuminarsi al suono di quelle parole, ebbe la cortesia di voltarsi anche verso la ragazza per rivolgerle lo stesso sorriso confortante. - E lo sono anche per te, Claire. Gabriel mi ha detto quanto tutto questo significhi per te.

Lei si esibì in un mezzo sorriso nervoso.

- Sì, a proposito di questo - farfugliò poi, aggrappandosi al suo bicchiere d’acqua con entrambe le mani prima di rivolgersi al fratello. - Ho cercato di dirtelo prima, Gabe, ma eri disponibile all’ascolto quanto una tredicenne a due passi dalla sua boyband del cuore, quindi…

Sotto il tocco leggero del braccio con cui Sam gli aveva circondato le spalle, Gabriel si tese all’istante.

- State bene, vero? - si assicurò, muovendo un paio di passi verso la sorella e rimanendo sul punto di appoggiarle una mano sul ventre, come per controllare il battito di un cuore che ancora non avrebbe potuto percepire. Alla fine, si limitò a un’occhiata apprensiva che si aggiunse a quella silente di Sam. - Me lo avresti detto subito, altrimenti.

Claire accennò una risata tra le più amabili, posandosi entrambi i palmi delle mani sulla pancia appena appena rigonfia.

- Stiamo benissimo. Non si tratta di niente del genere - lo tranquillizzò. - Il fatto è che... stanno benissimo. È quello che volevo dirti prima. Qualche giorno fa ho fatto la prima ecografia e… - nell’immobilità generale, sfuggendo un attimo al puzzle labirintico che erano diventate le espressioni dei due futuri genitori, la ragazza si scambiò un’occhiata emozionata e divertita con sua madre, che le era rimasta accanto durante l’ecografia e aveva mantenuto il segreto assieme a lei. Tornando agli occhi a forma di punto interrogativo di Sam e Gabriel, a Claire scappò quasi da ridere per l’emozione. - Ecco, a quanto pare le bestioline sono due.

Qualcuno, probabilmente Frank, si lasciò scappare un “oof”. Qualcun altro, decisamente Dean, si esibì in un fischio impressionato molto prima che Sam e Gabriel ritrovassero contatto col pianeta Terra. Ci vollero diversi secondi e, anche allora, fu poco più di un rantolo quello che uscì dalla bocca di Gabriel.

- Gemelli.

- Già - ribadì Claire con forzata allegria, giusto perché gli sguardi fissi che suo fratello e suo cognato le tenevano puntati addosso stavano cominciando a starle stretti. Per sdrammatizzare, pensò bene di aggiungere: - Li volete lo stesso, vero?

Mentre Gabriel faceva del suo meglio per recuperare il controllo dei propri muscoli facciali quel tanto sufficiente a chiudere la bocca, Sam riuscì a strappare allo stupore e alla commozione un filo di voce per rassicurarla.

- Gesù santo, Claire... certo che li vogliamo lo stesso.

Questa volta, la pacca che Dean gli fece atterrare sulla schiena lo colse di sorpresa. E lo stesso fece con Gabriel, se il verso strozzato che gli uscì di bocca fu un indizio veritiero. Prima ancora di accorgersene, entrambi si ritrovarono con un braccio del maggiore dei Winchester attorno alle spalle e con la sua risatina di scherno nelle orecchie.

- Vi faccio tanti, tanti, ma davvero tanti auguri, ragazzi.

Forse scosso dal suo tono derisorio, Gabriel scelse proprio quell’istante per riprendersi. Con la bocca finalmente chiusa, deglutì, si passò una mano sulle labbra e sul mento, si diede un tono e cercò gli occhi di Sam.

- Gemelli - ripeté allora, con un po’ più di prontezza. - Ebbene, urge pensare a qualche nome in più.

Sam non lo avrebbe mai amato più che in tutti quei momenti in cui era in grado di infondere il calore della fiducia nel suo cuore e far sciogliere in una risata tutte le persone presenti in una stanza allo stesso tempo. Annuì, convinto e commosso, prima di seguirlo nell’abbraccio con cui entrambi circondarono Claire.

Gemelli.

Dean avrebbe gongolato per mesi.

 



 



Angolino dell’autrice

Tutti i miei grazie e una ciotola zeppa di crema catalana dalla cima bella croccante a voi che state seguendo la storia, a strugatta, Ciuffettina e lilyy per le recensioni lasciate allo scorso capitolo e a Luinloth per quelle lasciate a "Menta e albicocche" e ai primi capitoli di questo seguito *-*

Ebbene, la vita in queste settimane è intensa e ricca di impegni, ma ogni tanto la tarantola scribacchina torna a mordermi e mi costringe a trascorrere un intero fine settimana a fare poco altro oltre a scrivere. Sono tempi buoni.

Che cosa pensate del capitolo? Se vorrete, vi aspetto per chiacchierarne un po’ nelle recensioni.

Un abbraccio e a presto!


 


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Capitolo 12
*** Vite ***


 

12. Vite

 

- 24 settembre 2016, Maple Gardens, Sioux Falls -

 

Il brusio di una settantina di persone faceva ronzare il parco gremito. Gli invitati erano stati divisi in base a quale dei due sposi avevano conosciuto per primo e ora se ne stavano a malapena seduti, tutti concitati, sulle panche di legno adagiate ai lati del largo, delicato sentiero di foglie autunnali predisposto per la coppia in procinto di promettersi fedeltà eterna. Nonché per le rispettive madri, che li avrebbero accompagnati entrambi fino all’arco di viti intrecciate che li attendeva in fondo alla via, dinnanzi a tutti.

L’arco. Gabriel, chiuso all’interno di una delle due tende di cotone leggero che erano state predisposte ad alcuni metri di distanza dall’inizio di quella che Dean Winchester si era intestardito a chiamare navata – malgrado di una chiesa, lì, non ci fosse neanche l’ombra – non riusciva a staccare gli occhi da quel fantomatico arco. Nascosto dietro un lembo della tenda che continuava a scostare appena per sbirciare fuori, si stava lasciando consumare dall’ansia e, al contempo, stava cercando di convincere sua sorella che tutto ciò – respiro affannato incluso – non avesse niente a che fare col fatto che mancassero pochi minuti al momento apice delle sue nozze.

- Non dovremmo farlo. Non dovremmo proprio farlo. È un’idea balorda e io sono stato un imbecille a pensare che potesse funzionare. Cristo santo, potresti sentirti male! - esclamò, indicando con un braccio la forma evidentemente tondeggiante che rendeva Claire e il suo vestito color verde mare impossibile da non notare.

Dinnanzi all’ennesima uscita da diva di una mattinata che chiamare impegnativa era un eufemismo, la ragazza si piantò le mani sui fianchi e assunse una posa e un’espressione talmente materne – così simili a quelle che la madre di Gabe aveva sfoggiato nei momenti che avevano preceduto ogni lavata di capo che avesse mai impartito ai suoi figli – che Gabriel parve rimpicciolire dentro il suo smoking sui toni del blu.

- Gabe, te lo prometto… anzi, te lo giuro solennemente: non saranno quei pochi metri di cammino necessari per portarvi gli anelli che mi faranno andare in travaglio. L’unica ragione per cui rischio un parto prematuro, al momento, è la tua crisi di nervi senza capo né coda. Vuoi cercare di rilassarti, per favore? Aiuterai entrambi. Immetti un po’ d’aria in quei polmoni, d’accordo? Fallo per me - aggiunse con un tono di voce più misurato, muovendo le braccia armoniosamente mentre inspirava a fondo per dare l’esempio. - Prendi qualche bel respiro profondo, fai prendere ossigeno a quei muscoli tesi e cerca di rilassare la mascella e le meningi, altrimenti ti verrà un’inutile e poco gestibile emicrania.

Suo fratello, che aveva fatto del suo meglio per imitarla fino a quel momento, le lanciò un’occhiata diffidente.

- Non starai mica usando qualcuna delle massime del corso preparto contro di me, vero? Guarda che c’ero anch’io la scorsa settimana, con quella pazza esaltata insensibile di un’ostetrica.

Se Claire non scoppiò a ridergli in faccia e si limitò a una risatina trattenuta, fu solo perché Gabriel e tutta la sua agitazione da novello sposo aveva mosso a compassione persino il suo sarcasmo.

- Non è colpa sua se sei allergico alle chiacchierate che coinvolgono il delicato tema degli organi genitali femminili - si limitò ad appuntare, alzando un sopracciglio di fronte al brivido che scosse suo fratello maggiore da capo a piedi. - Beccata, comunque. Vuoi che mi metta a rispiegarti il percorso che fa il bambino per venire al mondo?

- Oddio no, abbi pietà - la scongiurò Gabriel, crollando a sedere sulla poltroncina morbida che Claire aveva occupato fino a qualche minuto prima.

- Molto bene - sorrise la ragazza, e, senza concedergli il tempo sufficiente per crollare nuovamente nel suo pozzo di paturnie, si piegò davanti a lui per potergli appoggiare le mani sulle guance e far incrociare i loro sguardi. Adesso, nelle iridi chiare di Claire, non era rimasta che quella dolcezza che la gravidanza aveva fatto fiorire in lei come un ciliegio in primavera. - Allora concentrati sul giorno più bello della tua vita, d’accordo? Se continui così, rischi di perdertelo. Un po’ d’ansia è naturale, va bene, ma se non ti faccio arrivare in fondo a quel sentiero di petali di rosa accanto a lui in tempo, Sam pretenderà il mio scalpo.

Il trentottenne si lasciò incoraggiare, annuendo, finché un piccolo particolare di quel discorso non gli fece spalancare gli occhi per l’orrore.

- Quale sentiero di petali di rosa?

Lei esibì quel sorrisetto saputo che era il marchio di fabbrica degli Hale.

- Sto scherzando, Gabe. È tutto come lo volevate. È tutto ciò che volevate. Ti vuoi convincere a godertelo, una buona volta? Io e i bambini staremo bene. Tutti quanti staremo bene, se vi sapremo entrambi felici come meritate.

Per una volta, lui riuscì a farsi abbracciare da quelle parole senza riserve e, finalmente, prese un respiro che si potesse chiamare tale.

- Va bene - sospirò. - D’accordo. Adesso mi calmo.

Soddisfatta del risultato, Claire si raddrizzò, non senza qualche difficoltà. Fu però rapidissima nel replicare all’ennesima occhiata apprensiva del maggiore con un sorriso facile.

- Non voglio metterti fretta - gli disse. - Possiamo benissimo aspettare ancora qualche minuto. Non farò cenno a Mia di iniziare a cantare finché non avrò sia il tuo consenso che quello di Sam.

Sam. Gabriel ripensò a quanto fosse emozionato la sera precedente – ovvero l’ultima volta che lo aveva visto, perché a quanto pare i Winchester si erano lasciati contagiare dal tradizionalismo dei Novak per quanto riguardava la necessità di dormire separati la notte precedenti alle nozze e di non vedersi, il giorno stesso, fino alla fatidica camminata lungo la navata. Alla fin fine, Sam apprezzava alcune tradizioni.

Gabriel si chiese quanto fosse trepidante in quel momento, mentre era in attesa in una piccola tenda identica e opposta alla sua. Si domandò se anche lui avesse dato di matto con suo fratello, magari in quel modo contenuto e rude che avevano i Winchester di gestire le situazioni scomode.

Ringraziò sua sorella, prima di rimanere da solo, e non trascorse meno di un quarto d’ora prima che i musicisti potessero cominciare a suonare e Mia, l’amica di Claire con una voce d’angelo, a cantare Not with haste dei Mumford & Sons. Una delle poche richieste inderogabili di Sam per il matrimonio era che fosse quella la melodia che li avrebbe accompagnati entrambi davanti a chi avrebbe proclamato la loro unione.

- Your eyes they tie me down so hard. I'll never learn to put up a guard. So keep my love, my candle bright. Learn me hard, oh learn me right1

Alla seconda strofa, Gabriel era già uscito dalla tenda. Alla terza, dopo uno scambio commosso di sorrisi, prese a braccetto sua madre, che lo attendeva appena fuori dalla tenda vestita dei colori della felicità. Quanto avevano parlato, loro due da soli, a bassa voce, di quanto la vita gli stesse restituendo. Collocati a destra, nel retro del giardino zeppo di invitati, si avviarono lentamente in direzione del punto in cui nasceva il viottolo di foglie color bosco, curcuma e amaranto, predisposto per loro. Per allora, avevano già addosso gli occhi di tutti.

Al settimo passo, Gabriel scorse Sam e il mondo, ai suoi occhi, iniziò a brillare. Radioso e magnifico nello smoking che gli fasciava il fisico asciutto, Sam stava percorrendo un sentiero identico ma opposto con Mary di fianco. Gabriel non lo aveva mai visto così concitato e rifulgente d’orgoglio allo stesso tempo.

- We will run and scream. You will dance with me. They'll fulfill our dreams and we'll be free. And we will be who we are, and they'll heal our scars. Sadness will be far away.2

Presto, troppo presto perché il cuore di Gabriel potesse collaborare quel minimo da non esplodergli nella cassa toracica, tutti e quattro si affiancarono e iniziarono a percorrere la loro navata fatta d’autunno a passi lenti – solenni ma rilassati, aveva detto Claire in versione wedding planner. Gabriel era certo di apparire solenne quanto un budino tremolante, mentre la banda dava del suo meglio per accompagnare le note di Mia.

- This ain’t no sham. I am what I am. I leave no time for a cynic’s mind.3

Un battito di ciglia e un milione di anni dopo ed erano già di fronte all’arco di viti intrecciate posizionato a pochi metri di distanza dall’albero alla base del quale si erano baciati rotolando nella neve, sei anni e mezzo prima. Mentre le loro madri si allontanavano per raggiungere i propri posti in prima fila, la mano di Sam trovò quella di Gabriel e la strinse forte.

Si voltarono entrambi, posizionandosi uno di fronte all'altro, e si baciarono con lo sguardo.

- Do not let my fickle flesh go to waste, as it keeps my heart and soul in its place. And I will love with urgency but not with haste…4

Solo specchiandosi nelle iridi lucenti di Sam, Gabriel si rese conto di non aver mai smesso di sorridere.

 

 

- 2 dicembre 2016, ospedale di Sioux Falls -

 

La sala d’attesa del reparto nascite dell’ospedale era di una staticità snervante. Gabriel aveva trascorso le ultime tre ore a macinare chilometri di piastrelle sotto le suole degli scarponi da neve fradici con cui era arrivato fin lì, sfidando la bufera assieme a Sam, perché le strade erano ridotte talmente male che gli unici veicoli in circolazione era ambulanze, camion dei vigili del fuoco e volanti della polizia.

Gabriel non aveva smesso di percorrere febbrilmente il perimetro della stanza quando suo marito gli aveva fatto notare il disastro fangoso con cui stava ricoprendo il pavimento. Aveva provato a riconoscere la logica di quel pensiero e a sedersi, da bravo, ma nemmeno due minuti dopo era saltato nuovamente in piedi e aveva ripreso lì dove aveva abbandonato il proprio sentiero, avanti e indietro, avanti e indietro. Sam l’aveva preferito al dover assistere mentre Gabriel si mangiucchiava le unghie e, comunque, un’ora dopo anche il più giovane della coppia si era arreso alla loro comune angoscia e si era unito a lui nella maratona più noiosa del cosmo in quella sala semi-vuota. Ad ogni modo, entrambi erano troppo occupati a tenere a bada la preoccupazione per rendersene conto.

Se non fossero stati tanto in apprensione, uno dei due avrebbe certamente fatto notare all’altro quanto fosse bizzarro che fossero le uniche due persone presenti. La tempesta di neve che imperversava fuori dalle finestre dell’ospedale doveva aver bloccato molti a casa, riducendo almeno i falsi allarmi delle future partorienti. Ebbene, non era stato il loro caso.

Allo scadere della trentanovesima settimana, particolarmente in ritardo se si contava la natura gemellare della gravidanza, a Claire si erano rotte le acque mentre aiutava la madre ad asciugare le stoviglie del pranzo. Una volta scarrozzate entrambe sane e salve fino in ospedale – dopo aver guidato come un pilota da corsa con un imbattibile istinto materno – Maggie Hale aveva appena avuto il tempo di mandare un messaggio sul gruppo Whatsapp di famiglia per avvisare della situazione, prima che l’ostetrica le dicesse che, se voleva assistere sua figlia durante il parto, doveva darsi una mossa, infilare camice, cuffietta e mascherina e seguirli di corsa in sala parto.

A un certo punto del suo inutile cammino, Gabriel ebbe la necessità di combattere le vertigini. Serrò gli occhi e si concentrò su alcuni degli istanti più splendenti del suo recente matrimonio.

L’espressione raggiante e commossa di Sam mentre Mia cantava le ultime strofe della canzone che lui stesso aveva proposto per la loro ultima camminata senza una fede al dito - Do not let my fickle flesh go to waste, as it keeps my heart and soul in its place. And I will love with urgency but not with haste...

O qualche ora dopo, alla festa, quando Claire aveva cacciato il DJ dalla sua postazione approfittandosi dell’enormità del suo pancione e aveva fatto partire la base per Does your mother know degli ABBA sapendo benissimo quali tra i punti deboli di suo fratello maggiore stava andando a stuzzicare.

Unico a capire, Gabriel l’aveva fulminata con benevolenza, ma non aveva acconsentito a lasciare Sam da solo accanto all’ennesimo tavolo di invitati da salutare e ringraziare finché Claire non aveva fatto voltare tutti verso di lei urlando al microfono: - Coraggio, vecchiaccio, alza quel culo e facci vedere cosa sai fare!

Non per vantarsi, ma quel giorno Gabriel aveva offerto la sua migliore interpretazione di Christine Baranski.*

Ricordare fulgidi momenti di felicità e di risate gli permetteva di non soffermarsi troppo sul fatto che la sua sorellina stesse compiendo l’impresa titanica di dare alla luce due gemelli – i suoi figli – senza che lui potesse nemmeno offrirsi di farle stritolare le sue mani quanto le pareva, fino a spezzargli le ossa se necessario. Solo la loro madre aveva potuto entrare in sala parto. Su questo, Claire era stata categorica fin dall’inizio.

Frank non era ancora arrivato. Probabilmente era rimasto bloccato dalla neve da qualche parte sul tragitto tra la fioreria e l’ospedale. Ad ogni modo, Gabriel credeva che la sua assenza non facesse per niente bene al proprio nervosismo. L’ultima volta che si erano ritrovati in quel posto, Frank era stato la sua unica ancora di salvezza.

 

 

- 14 gennaio 1995, stessa sala d’attesa -

 

Gabriel aveva ormai irrimediabilmente stropicciato il bouquet di margherite e mimose che aveva scelto per sua madre, quando finalmente un’infermiera comparve sulla soglia della sala d’attesa deserta. Erano le tre del mattino e la donna, anche trafelata com’era, non era neanche lontanamente paragonabile allo stato in cui versavano Frank e Gabriel dopo sette ore di muta pazienza inframezzata soltanto da notizie sporadiche e poco rinfrancanti. Sapere fin dall’inizio che sarebbe stato un parto difficile non aveva giovato. Fu anche per questo che le poche parole dell’infermiera caddero nel vuoto di quel silenzio teso come acqua fresca sulle fronti sudate dei due uomini.

- È nata. Stanno entrambe bene. Potete seguirmi - ansò la ragazza, tenendosi una mano premuta sul petto che doveva dolerle per la corsa spiccata fin lì per portare rapidamente la buona novella.

Un’ondata di sollievo e gratitudine subissò Gabriel, che quasi non sentì la benevola stretta alla spalla che Frank gli allungò mentre scoppiava in una risata liberatoria.

Gabriel ebbe l’impressione di trattenere il respiro per l’intero tragitto di dedali e corridoi che sia lui che Frank percorsero alle calcagna dell’infermiera. Quando però lei aprì la porta di una delle anonime stanze d’ospedale e oltre la soglia il ragazzo intravide il sorriso stremato di sua madre, il mondo ritrovò tutti i suoi colori.

Frank fu il primo ad accorrere accanto alla moglie e alla figlia appena nata, a premere le labbra sulla tempia della prima in un bacio che per entrambi significava vittoria, la più importante ed enorme delle vittorie, e a sfiorare con le dita l’aria attorno a quel fagottino addormentato e avvoltolato nelle coperte che era la sua bambina. Per quanto sfinita, Maggie la reggeva con braccia rese salde dal tripudio.

- Amore, è... è bellissima - disse Frank, colpito in piena fronte dal secondo colpo di fulmine della sua vita.

Gabriel non aveva mai sentito nessuno chiamare sua madre amore, prima di Frank, e ancora una volta quel piccolo, immenso dettaglio non mancò di tagliare le gambe alla sua paura di risvegliarsi, un giorno, in un secondo inferno famigliare. Maggie rise di quella sua risata leggera, calda, impalpabile, e carezzò con lo sguardo la neonata che dormiva contro il suo petto ancora una volta prima di rialzare lo sguardo sul figlio maggiore.

- Vieni, Gabe.

Per qualche motivo, Gabriel era rimasto sulla soglia. Il conforto di sapere che sua madre era viva e in salute gli dava ancora alla testa, ma non oppose alcuna resistenza quando gli venne proposto di avvicinarsi. Con passi cauti, per paura di svegliare la nuova arrivata, si accostò al letto e sbirciò il visino imbronciato di sua sorella. Ciò che gli fu chiaro fin da subito era che quella bambina non era semplicemente bellissima. Quella creaturina, che non era nemmeno ancora arrivata al suo millesimo respiro, era un capolavoro di fragilità e grazia.

- La vuoi prendere in braccio?

La proposta di sua madre lo attirò, stupito, sui suoi occhi scuri.

- Posso?

- Certo che puoi - lo incoraggiò Maggie Hale, già accomodando braccia e mani in modo da potergli passare la piccola col maggiore agio possibile. Un istante dopo, il corpicino morbido e caldo della bimba poggiava contro il torace del sedicenne. - Stai solo attento alla testolina… ecco, reggila, così.

Gabriel seguì le sue istruzioni al dettaglio e con il respiro di nuovo incastrato tra i polmoni e la trachea. Supportare quel peso piuma lo emozionava almeno quanto la possibilità di farlo cadere a terra lo terrorizzava al punto da farlo sentire instabile sulle gambe. Una volta che si sentì un po’ più sicuro di sé, iniziò a muovere il pollice sinistro per carezzare il braccino che faceva capolino da quel piccolo ammasso di coperte.

- Ehi, ciao. Ciao, Claire - mormorò con un filo di voce che, se qualcuno avesse tentato di spezzare, avrebbe scoperto essere di titanio. - Non permetterò che ti accada mai niente di male, lo sai? È una promessa.

 


- I signori Hale-Winchester?

Gabriel e Sam si voltarono all’unisono.

- Sì!

La loro foga fece sorridere l’infermiera.

- Se volete seguirmi, c’è qualcuno che attende di fare la vostra conoscenza.

Per loro fortuna, la camera in cui avevano portato Claire affinché potesse riposare non era lontana. Questa volta Gabriel, diversamente da Sam, non tentennò sulla porta. Attese a malapena il cenno contento di sua madre, seduta accanto al letto occupato da Claire, prima di precipitarsi dalla sorella.

- Come stai, leoncina?

- Esausta - esalò la ragazza, tenendo le palpebre chiuse mentre accettava sia il bacio che suo fratello maggiore le diede sulla testa che la carezza di Sam sulla spalla. - Vi va di prenderli per un po’?

I due bambini avevano cominciato a pesarle, uno per braccio. Si erano tranquillizzati dopo aver mangiato, raccontò Maggie, ma, mentre il maschietto dormiva beato e con le labbra schiuse tra le pieghe della sua coltre color carta da zucchero, la femminuccia aveva schiuso le palpebre non appena aveva percepito il vibrare delle corde vocali di sua madre. Il suo sguardo vigile e circondato da drappi color corallo sembrò fissarsi da subito sul sorriso invaghito di Sam.

- Ehi, piccolina - chiocciò il ragazzo, prendendola in braccio con la cautela sapiente che gli derivava dalla sua esperienza da zio appassionato.

- Sono meravigliosi - bisbigliò Gabriel, lasciando che Maggie lo aiutasse a fare lo stesso con suo figlio.

Se Claire non rispose fu perché si era appisolata nell’istante in cui altre braccia fidate si erano fatte carico della sicurezza dei bambini. L’infermiera, che era rimasta fuori dalla camera fino ad allora, attese quasi un minuto prima di gettare un ciottolo nel lago di adorazione in cui Sam e Gabriel stavano sprofondando.

- Claire mi ha detto che voi siete i padri adottivi - esordì, cordiale, avvicinandosi con in mano una cartelletta e una penna. - Se sapete già i nomi dei bambini, possiamo contrassegnare le culle.

Gabriel, totalmente assorto nella contemplazione delle dita chiuse a pugnetto di suo figlio, la degnò solo di un’occhiata rapida.

- Ma come, non possiamo portarceli via seduta stante? - suggerì, speranzoso.

Vedendolo così rapito ed estatico, malgrado tutto Sam lasciò la bambina a Maggie e si assunse il compito di scrivere i nomi sulle etichette che l’infermiera gli porse.

Susie Madeleine Hale-Winchester.

Alexander Daniel Hale-Winchester.

- Ecco fatto - annunciò poi, restituendole alla diretta interessata prima di avvicinarsi a suo marito, circondargli la vita con le braccia e accostarsi al suo orecchio mentre sbirciava la serenità assoluta del visetto di loro figlio. - Non si torna indietro.

- Mai - confermò Gabriel, sfolgorante di gioia e trepidazione. - Sempre avanti.

 




Note di traduzione di Not With Haste (Mumford & Sons):

(1) I tuoi occhi mi inchiodano a terra. Non imparerò mai ad alzare la guardia. Quindi custodisci il mio amore, mantieni la mia candela accesa. Conoscimi profondamente, conoscimi per davvero.

(2) Correremo e grideremo. Ballerai con me. Loro esaudiranno i nostri sogni e saremo liberi. E saremo chi siamo, e loro guariranno le nostre ferite. La tristezza sarà lontana.

(3) Non è un inganno. Io sono ciò che sono. Non lascio spazio a un pensiero cinico.

(4) Non lasciare che la mia misera carne vada sprecata, mentre mantiene il mio cuore e la mia anima al loro posto. E io amerò con premura, ma senza fretta.

 

 

 


Angolino dell’autrice

Felice Halloween, anime belle!

Questo capitolo è stato proprio dolce da scrivere. Non vedevo l’ora che i miei bambini si sposassero – io mi commuovo anche quando la gente si sposa su una pagina, sì – e che questi altri bambini venissero al mondo :)

*Per chi non lo sapesse, Christine Baranski ha interpretato la mitica Tanya nell’altrettanto mitico Mamma mia!, film musical del 2008 a tema ABBA. Una delle canzoni che sono state dedicate al suo personaggio all’interno della pellicola (e la mia preferita in assoluto) è proprio Does your mother know. E io ho da mesi in testa Gabriel che la canta a Sam al loro matrimonio, accettando le prese in giro di Claire riguardo alla loro (ridicola) differenza d’età, quindi ho dovuto inserirla. Vi consiglio di spararvi il video della Tania originale, se non l'avete mai visto: https://www.youtube.com/watch?v=rLIVJ-1FeB8

E per finire, un grazie enorme a chi sta nutrendo questa storia con le sue recensioni! Ci sentiamo lì, ogni volta che volete :)



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Capitolo 13
*** Miele e cannella ***


 

13. Miele e cannella

 

- 11 febbraio 2017 -

 

I pianti disperati di non uno, ma ben due neonati frantumarono il silenzio notturno della casa in contemporanea. O perlomeno così parve alle orecchie di coloro che vennero strappati bruscamente dal loro meritatissimo e già precario sonno.

In realtà, come Sam e Gabriel avevano ben presto imparato a loro spese, era molto più probabile che uno dei bambini avesse attivato le sirene per primo e solo dopo qualche istante di confusione l’altro avesse pensato bene di dargli man forte. Come era solito ricordare loro Castiel a ogni lamentela sospinta, la massima in base alla quale quei cuccioli d’uomo sembravano condurre le proprie vite era “C’è sempre una buona ragione per scoppiare in lacrime, papà”. Ma il pensiero di essere stati altrettanto molesti per i propri genitori, nei primi mesi di vita, bastava a consolare la coppia solo per rari e brevi momenti.

Fra i gemiti di dolore dovuti alla sveglia repentina e alle troppe poche ore di riposo alle spalle, Gabriel fu il primo a trascinarsi a sedere a lato del letto. Fu Sam, ad ogni modo, ancora con la testa sul cuscino, a biascicare le prime parole di senso compiuto.

- Sei sveglio? - farfugliò, lasciandosi comprendere a malapena attraverso lenzuola e piumone.

- Solo un morto non si sveglierebbe, con questi strilli - bofonchiò Gabriel, passandosi una mano sul viso mentre usava l’altra per allontanarsi qualche ciuffo di capelli dalla faccia.

Ogni tanto aveva la sensazione che, se la terza guerra mondiale fosse scoppiata sul loro portico, né lui né Sam avrebbero avuto modo di accorgersene, presi com’erano a sedare crisi di pianto con pappe, ninna nanne, passeggiatine lungo il corridoio e cambi di pannolini ventiquattr’ore su ventiquattro.

A essere onesti, tranne durante i primissimi giorni di assestamento, Gabriel non aveva mai smesso di recarsi al lavoro con regolarità. L’urgenza e la necessità di tenere aperto l’ortofrutta sia per non deludere i propri affezionati clienti, sia per garantire un’entrata economica stabile alla famiglia – avevano l’aspetto positivo di garantirgli una decina di ore di pausa quasi giornaliera dagli incostanti, atroci ritmi dei suoi figli.

Sam era il buon samaritano che si era preso qualche mese di permesso non pagato per motivi famigliari. Una volta che i bambini avessero raggiunto un’età che i loro genitori avrebbero considerato adatta – o, per meglio dire, quando il cuore di Sam e quello di Gabriel avrebbero smesso di spezzarsi al pensiero di affidarli alle cure di qualche estraneo – c’era una previdente iscrizione anticipata all’asilo nido più vicino alla biblioteca universitaria che li aspettava.

E Sam era anche l’eroe che durante la maggior parte di quei brutali risvegli notturni insisteva affinché Gabriel rimanesse a letto e cercasse di riprendere sonno, bofonchiando che il giorno dopo il negozio non si sarebbe gestito da solo mentre a lui si chiudevano le palpebre. Ma quella era la notte tra venerdì e sabato e Gabriel non gli avrebbe permesso di occuparsi da solo di due neonati urlanti, nemmeno per tutti gli sbadigli del mondo. Nei due giorni successivi avrebbero avuto tempo sufficiente per alternarsi in brevi ma indispensabili sonnellini, tra una poppata e l’altra.

Fu solo dopo aver indossato alla cieca qualche indumento caldo e trascinando le pantofole che si affrettarono in corridoio e si precipitarono nella stanzetta dei gemelli con le facce ancora stropicciate dal sonno. Nella penombra mitigata soltanto dal riflesso della luna sul manto di neve che rivestiva il giardino e i campi circostanti, le due culle di legno pitturato di bianco e foderate di tessuto color arancia erano entrambe addossate all’unica parete libera.

Senza seguire alcuno schema prestabilito, Sam, che era stato il primo a valicare la soglia, accorse a lato del rifugio morbido di Alexander, il quale stava strillando due volte tanto sua sorella. I neo-genitori avevano imparato a dare il merito a dei polmoni particolarmente portati e a tranquillizzare lui per primo, quando possibile, se volevano sperare di convincere anche la sua supportiva gemella.

- Shh, Alec, shh. Che cosa succede? Che cos’è successo al mio bambino? Va tutto bene, tutto bene - passò subito a consolarlo Sam, dopo averlo sollevato dalla culla ed esserselo sistemato prono lungo l’avambraccio, come gli aveva mostrato suo fratello per quando si aveva a che fare con bambini agitati e facilmente irritabili.

Alle sue spalle, Gabriel stava apprestandosi a fare lo stesso per placare il pianto di Susie, dopo averla infagottata dolcemente nella coperta di lana color gelso che la bambina aveva finito per ammucchiare in fondo alla culla mentre si dimenava per la disperazione.

- Siamo inconsolabili, eh? Hai fatto un brutto sogno, cucciola? Era finito il latte? Brutto, brutto sogno.

- A proposito, - annunciò Sam, mentre le coccole riuscivano nell’intento di abbassare di qualche decibel il volume delle lamentele di Alec e a ridurre le lacrime di Susie a dei singhiozzi convinti, - vado a scaldare i biberon. Torno subito.

- Grazie, Samshine - gli sorrise Gabriel, splendendo oltre la stanchezza quando suo marito si chinò per lasciargli un bacio lieve sulle labbra e i bambini regalarono a entrambi mezzo secondo di silenzio.

Sam non indugiò oltre prima di avventurarsi in corridoio e al piano di sotto senza mai smettere di ninnare Alexander, lasciando Gabriel alla melodia serena che aveva già iniziato a canticchiare a mezza voce per Susie.

Se la musica, le innumerevoli canzoni che conosceva a memoria e i toni caldi e rassicuranti della sua voce erano tutte parti congeniali della migliore strategia che Gabriel avesse architettato per riaccompagnare i loro figli nel mondo dei sogni, Sam era solito affidarsi al ritmo calmo dei propri passi. Le sue passeggiate lunghe e ripetitive – nell’attesa dell’arrivo di un clima più mite, il ragazzo doveva accontentarsi delle stanze e delle scalinate della casa di campagna –, accompagnate da mugolii sommessi per nulla paragonabili alle ninna nanne di Gabriel, funzionavano con Susie e Alec. Grazie a qualche bizzarro miracolo, ciò che Sam aveva improvvisato durante le sue prime notti in bianco con due neonati riusciva a fondersi bene con la cadenza del respiro dei suoi bambini, rabbonendola. Era così, con quella semplicità lampante e inaspettata, che Sam aveva scoperto la sfolgorante, incredibile sensazione di poter essere un buon padre.

Tornò al piano di sopra con due biberon di latte a temperatura ottimale, uno con cui stava già provvedendo a sfamare Alec e l’altro affondato nella tasca della vestaglia. Alec finì di mangiare mentre sua sorella iniziava, aiutata da Gabriel e dai modi delicatissimi che metteva in campo con i due frugoletti. L’uomo aveva prelevato il biberon dalle mani del compagno con gratitudine, senza smettere di cantare.

- Isn’t she pretty? Truly the angels’ best. Boy, I’m so happy we have been Heaven blessed…

Dopo aver adagiato nel suo lettino confortevole un neonato ormai abbandonatosi a un sonno profondo e soddisfatto, Sam rimase un po’ in disparte a godersi la magia canora con cui Gabriel stava ipnotizzando Susie, facendole pian piano crollare le palpebre. Il più giovane della coppia non riusciva a smettere di sorridere, innamorato quanto durante quelli che erano stati i loro immensi, primi mesi di stupida gioia. Davvero, gli sembrava che non fossero mai finiti. Con il matrimonio e l’arrivo dei gemelli ne erano solo iniziati altri, di diverso tipo, molto più massacranti ma altrettanto e forse ancora più densi di felicità.

Una volta che anche Susie fu ripiombata tra le braccia di Morfeo, sia Sam che Gabriel rimasero immobili per qualche istante sul ciglio delle culle, godendosi la pace di quei visini rilassati, privi di ogni cognizione del mondo che andasse oltre la sicurezza delle braccia dei loro genitori.

- Miele e Cannella fuori gioco - dichiarò Gabriel compiaciuto, malgrado fosse stremato. - Un’altra grande vittoria per l’imbattibile duo.

Sam ridacchiò in silenzio, scuotendo il capo.

Susie aveva già un nome teneramente corto e Alexander era diventato Alec nell’istante in cui Castiel aveva fatto notare che per i primi anni il bimbo avrebbe avuto difficoltà a pronunciare la x, ma ovviamente Gabriel era balzato sul treno in corsa dei soprannomi alla prima occasione utile. Non appena i pigmenti dei capelli dei bambini avevano cominciato a distinguersi e Alec si era fatto biondo come un cherubino alla stessa velocità con cui le prime ciocche di Susie avevano assunto delle sfumature rosso fuoco, Gabriel li aveva soprannominati Miele e Cannella. Lo stesso Sam lo trovava divertente – e molto, molto tenero – a patto che suo marito non esagerasse.

- Torniamo a letto, imbattibile?

- Ti prego, sì. Sto morendo di sonno.

 

Sam si risvegliò meno di un’ora dopo, stuzzicato da un sospetto taciturno e senza nome. Forse, guidata da quel presentimento, la sua coscienza si era resa conto che Gabriel non era più accanto a lui.

D’istinto Sam allungò una mano per scoprire che il lato del letto lasciato vuoto da suo marito era desolatamente freddo. Mentre si tirava nuovamente a sedere con un grugnito, il trentatreenne si chiese come fosse possibile che i bambini fossero riusciti a svegliare Gabriel senza destare lui, che aveva un sonno molto più leggero.

Fu con la testa che lo supplicava di farla tornare in posizione orizzontale e le palpebre ancora semi-chiuse che si infilò di nuovo la vestaglia sopra il pigiama e si avviò verso la camera dei gemelli con tutte le intenzioni di non lasciare che suo marito gestisse da solo quelle due testoline calde.

Non è possibile che gli sia tornata fame dopo così poco tempo, rifletté mentre indovinava un passo dopo l’altro. Forse c’era bisogno di un cambio di pannolini.

Quando arrivò sulla soglia, scorse suo marito di schiena, in piedi tra le due culle, con le braccia lungo i fianchi. La luce bianca delle loro notti invernali rischiarava metà del suo profilo inamovibile.

- Dormono?

La domanda sussurrata da Sam non scosse Gabriel, che annuì compito.

- Come angeli.

- Scusami, Gabe - sospirò l’altro ragazzo, avvicinandosi lentamente e con prudenza. - Non so come, ma questa volta non li ho sentiti. Avresti dovuto svegliare anche me quando hanno iniziato a piangere. Pensavo che i patti fossero chiari.

Si aspettava che suo marito rispondesse al suo sorrisetto furbo con un sogghigno scaltro e una protesta misurata ma incontestabile – “Quali patti? Non esiste nessun patto, signor Winchester, e se anche esistesse, tu lo avresti già ignorato decine di volte”. Ma non accadde nulla di tutto ciò. Gabriel non mosse un muscolo.

- Non si sono svegliati - sussurrò soltanto.

Sam, fermo due passi più indietro, si accigliò.

- Allora cosa ci fai in piedi? Non eri sfinito?

- Non riuscivo a riprendere sonno. Ci ho provato, ma non c’è stato verso.

Sam stava per offrirgli una camomilla, della valeriana, o almeno il consiglio di avvolgersi in una coperta mentre si dedicava alla contemplazione di quel piccolo miracolo in Terra che erano i gemelli, perché così, con addosso solo un pigiama di cotone sottile e i piedi nudi, rischiava di prendersi un raffreddore. Ma non fece in tempo ad aprire bocca.

- Devi promettermi una cosa, Sam.

Attribuendo la serietà del suo tono alla spossatezza, Sam sorrise mentre gli si avvicinava a sufficienza da potergli massaggiare le spalle tese. Ancora una volta, erroneamente, incolpò le lunghe ore che Gabriel passava a spostare e sistemare cassette di frutta e verdura e a camminare da un capo all’altro del negozio per servire i clienti.

- Che cosa? Sentiamo.

Gabriel esitò solo per un altro paio di secondi, il tempo sufficiente perché suo marito si accorgesse che fuori aveva ricominciato a nevicare e ora fiocchi grossi come cubetti di ghiaccio sfilavano copiosi fuori dalla finestra senza tende della stanzetta dei gemelli.

- Dovessi mai incontrare o anche solo sentir parlare di un certo Jeffrey Sanders, dovrai correre a dirmelo.

- E chi sarebbe costui? - domandò Sam con tiepida curiosità, insistendo all’altezza delle scapole.

- Jeffrey Vincent Sanders - recitò Gabriel in tono tetro, incapace di godersi la grazia di quel contatto. - Il tizio di cui ho portato il cognome, per qualche anno.

Le dita di Sam smisero di premere contro la sua pelle quasi all’istante e poco dopo il ragazzo, folgorato da quelle parole, riabbassò le braccia e pensò con cautela alle sue prossime mosse, a quelle che sarebbero state le parole che avrebbe scelto.

Gabriel non gli aveva mai rivelato quel particolare del suo passato. Certo, gli aveva parlato ancora e ancora dell’incubo a occhi aperti che era stata la vita con suo padre fino ai suoi dodici anni, ne aveva avuto bisogno in diversi momenti della loro vita assieme e Sam era stato un porto sicuro per lui, così come lo stesso Gabriel lo era stato quando si trattava dei ricordi di Lucifer che ritornavano prepotentemente a galla. Ma mai che Gabriel gli avesse confidato con quale cognome fosse stato registrato all’anagrafe alla nascita. E mai, mai prima di allora aveva pronunciato il nome del mostro della sua infanzia.

Bastò che Sam gli mettesse una mano sulla spalla perché Gabriel si voltasse completamente verso di lui, privo di buone ragioni per nascondergli il suo viso pallido e tirato e gli occhi vigili, all’erta.

- Gabe, perché mai dovrei… - cominciò Sam con un filo di voce, prima di realizzare tutto d’un tratto: - Hai paura per i bambini.

- Se mai dovesse tornare a cercare me o mia madre e scoprire che adesso ci sono Alec e Susie… - si affrettò a spiegare Gabriel, facendo spaziare lo sguardo tra i due corpicini dormienti dei piccoli prima di deglutire e tornare agli occhi di suo marito con rinnovato vigore. Sam avrebbe scommesso di avere davanti lo stesso sguardo che Gabriel aveva ostentato a dodici anni, poco prima di trascinare sua madre lontano dall’esistenza che stava per ucciderli entrambi. - Non gli si deve avvicinare, Sam. Non voglio che quell’essere abbia nemmeno la possibilità di guardarli, e se…

- Ehi, ehi, ehi - intervenne Sam, ponendo un freno alla sua ansia crescente posandogli entrambe le mani sulle spalle. - Vieni con me, su. Se si svegliano, siamo finiti - tentò di sdrammatizzare prima che la situazione gli sfuggisse di mano.

Spezzato dalla sua arrendevolezza, lo condusse in corridoio e prestò estrema attenzione mentre accostava la porta della camera dei gemelli, quindi lo raggiunse nella stanza matrimoniale che condividevano. Solo allora, sciolto fino al midollo dalla postazione di difesa che Gabriel assumeva così di rado, con le braccia strette attorno al corpo e lo sguardo che sfuggiva al suo, si arrischiò ad avventurarsi oltre.

- Come ti è anche solo venuta in mente una cosa del genere? - sospirò, preoccupato.

- Stavo pensando - disse Gabriel, facendo spallucce come un adolescente ritroso. - Sono così piccoli, Sam. Così fragili. Sono i nostri figli, non voglio che… ho paura che gli venga fatto del male, e se lui… se lui...

- Okay. Va bene - lo bloccò di nuovo Sam.

Aveva riconosciuto il principio di una crisi che, almeno nel caso di Gabriel, era sempre saggio fermare prima che l’uomo andasse in iperventilazione e il tutto sfociasse in un attacco di panico perfettamente evitabile. Non sarebbe stata la prima volta.

- Ascoltami, adesso - aggiunse, per tenere l’attenzione di Gabriel fissa su di sé mentre gli si sedeva accanto, sul ciglio del letto, e posava una mano sulle sue. I suoi occhi erano due pozzi di sincerità cui quelli di Gabriel si aggrapparono come all’ultima fune di salvataggio rimasta. - È normale temere per la sicurezza dei propri figli. Soprattutto ora, perché tutto è nuovo e ci sentiamo ancora piuttosto inadeguati per badare a loro. Ma non lo siamo, okay? Ce la faremo e quei due cosini sono e saranno fantastici - lo incoraggiò con un ampio sorriso, e notò che bastava il pensiero di Alec e Susie a farlo calmare e concentrare sul presente. - Per quanto riguarda tuo padre, non c’è alcun motivo per cui dovrebbe venire a sapere dei bambini o venire qui a cercare te. Quanti anni sono passati da quando tu e tua madre siete arrivati a Sioux Falls?

- Ventisei - mormorò lui all’istante.

- E lui non si è mai fatto vedere. Giusto?

- Sì, ma se sapesse comunque che siamo qui e…

- Un uomo del genere? - lo spinse a ragionare Sam, premuroso ma risoluto. - Se avesse saputo che eravate qui, sarebbe arrivato molto tempo fa. Lo sai anche tu. So che lo sai. E capisco che il panico da genitore sia una compagnia difficile, ma devi fidarti di me su questa cosa, va bene? Tuo padre non toccherà mai questa famiglia. Mai più.

Mentre parlava, lo aveva stretto a sé e Gabriel lo aveva lasciato fare. Non erano molte le occasioni in cui aveva bisogno che qualcuno si prendesse cura della sua vulnerabilità a quel livello – era molto meno disponibile di Sam, in questo. Ma, quando succedeva, Sam sapeva come comportarsi e Gabriel aveva imparato ad arrendersi a quella parte di sé. Era l’unico modo in cui poteva funzionare.

- Potresti comunque promettermelo, per favore? - domandò il maggiore tenendo gli occhi chiusi, consapevole di suonare come un ragazzino che avesse il semplice, assurdo bisogno di sentire che andava tutto bene. - Solo per farmi stare tranquillo. Promettimi che se mai sentirai quel nome…

Sam sciolse l’abbraccio solo per poterlo guardare dritto negli occhi mentre giurava.

- Prenderò i bambini, me li caricherò uno per braccio, correrò dritto filato da te e lo denunceremo prima ancora che possa presentarsi. Te lo prometto.

Quell’immagine riuscì a strappare un mezzo sorriso al maggiore della coppia.

- Grazie.

Subito dopo, più o meno di comune, tacito accordo, entrambi crollarono con le schiene contro il materasso e Sam continuò a carezzare sovrappensiero la pelle tesa che il pigiama lasciava esposta sopra la clavicola destra di Gabriel, mentre il maggiore iniziava a giocherellare con un ciuffo dei capelli di Sam.

- Non succederà niente di male - promise il più giovane a mezza voce, sapendo che a suo marito non avrebbe fatto male qualche rassicurazione in più. - Né a te, né a me, né ai gemelli.

Seppe che Gabe era tornato quando lo sentì sbuffare in un accenno di risata.

- Finché non raggiungeranno l’adolescenza. Poi vedrai.

- Oh, poi faranno esplodere la casa. Ma ce ne preoccuperemo una volta arrivati lì, che ne dici?

Diresse lo sguardo poco più in basso, verso destra, e lo vide sorridere nel buio senza più il peso dei macigni del passato addosso.

- Dico che è un ottimo piano, Sammich - lo sentì bisbigliare prima che i suoi baci battezzassero quella notte come irreversibilmente insonne.

 

 




Angolino dell’autrice

Lo ammetto senza riserve: sto usando questa storia per rilassarmi, quando il dramma a cui do libero sfogo in “Blu di maggio” diventa troppo da gestire e ho bisogno di una piccola pausa. Ma questo non vuol dire che debba essere tutto rose e fiori, no? Non sia mai che scriva una storia tutta fluff e niente angst, suvvia.

Per quanto riguarda le tempistiche della storia, penso ve ne siate già accorte se siete arrivate fin qui, ma ora questo aspetto si acuirà: ci saranno salti temporali anche ingenti, di mesi, ma più spesso di anni, tra un capitolo e l’altro. Ma saranno sempre collegati tra loro, ovviamente, e terranno conto di ciò che già sappiamo di Sam, Gabriel, Dean, Castiel e tutti gli altri. Andremo ad approfondire.

Quindi a presto con la continuazione di questa avventura famigliare. Se vorrete, ci sentiremo nelle recensioni – un grazie enorme a tutte coloro che continuano a lasciarne!




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Capitolo 14
*** Un ordinario mattino di follia ***


 

Angolino dell'autrice

Ebbene sì, sono ancora viva.

 

 

 

14. Un ordinario mattino di follia

 

- 2 giugno 2019 -

 

Sam Winchester aveva sempre saputo che i suoi figli sarebbero cresciuti nell’abbraccio della musica. Per essere più precisi, lo aveva capito nell’istante in cui aveva realizzato che c’era un’unica, magica risposta con cui il suo intero sistema nervoso, linfatico ed emozionale avrebbe accettato di reagire alla proposta di matrimonio di Gabriel. Insomma, quando aveva compreso che Gabriel Hale era il suo lieto fine.

Sì, perché Gabe non era in grado di vivere senza qualcosa che gli ricordasse costantemente qual era il ritmo che gli scorreva nelle vene. Nello stesso modo in cui Sam sarebbe stato spacciato senza l’esistenza dei libri, vale a dire letteralmente. Se lo si privava troppo a lungo della compagnia di qualche nota ben piazzata all’interno del giusto incastro di pentagramma, Gabriel diventava acido, insofferente e in ultima istanza capriccioso – Sam ne aveva avuta prova adeguata quando la radio del negozio di ortofrutta di famiglia aveva pensato bene di suicidarsi cadendo dalla cima di un armadio e di condannare suo marito a rinunciare a Spotify per un’indescrivibile manciata di giorni. Per poco i due coniugi non erano finiti a litigare per il grado di tostatura dei crostini di un’insalata mista, quella sera a cena.

Gabriel pareva conoscere a memoria i testi di ogni canzone esistente sul continente occidentale – in molti lo avevano sfidato, attaccandolo con i titoli di ballate italiane e lagne francesi solo per uscirne debitamente sconfitti, troppe volte perché Sam si sentisse a suo agio nel mettere in dubbio alcunché.

Gabriel cantava in auto, mentre cucinava e sotto la doccia. Fischiettava mentre passava l’aspirapolvere, mugugnava strofe soffocate mentre si lavava i denti, preferiva perfino fare l’amore con lo stereo acceso e la musica adatta a creare la giusta atmosfera. E ovviamente, da quando i gemelli erano nati, l’atteggiamento entusiasta e completamente privo di aspettative del più istrionico dei loro padri era stato riversato anche su di loro, spaziando dalle ninna nanne alle serenate e dalle storie cantate ai cori di gruppo, utilissimi per distrarre i pargoli dalla noia dei viaggi in auto.

Perciò quella domenica mattina, quando Gabriel pensò bene che la cosa migliore da fare per rimediare al caos atomico che regnava al piano terra della loro casa di campagna era attivare il bluetooth del suo cellulare e prendersi del tempo per scegliere la colonna sonora adatta alla loro convulsa mattinata, Sam non fece una piega. In principio, perlomeno. Il patto implicito di quel frangente era che a ognuno di loro toccava un bambino, per cui Sam non si sarebbe lamentato finché Alec, che Gabriel si era appoggiato su un fianco, sarebbe rimasto buono buono a fissare con occhi strabiliati ogni mossa di suo padre. Sam era già abbastanza impegnato nell’impresa di infilare un paio di calze di cotone leggero sulle gambette agitate di Susie, per badare a quei due combinaguai.

- Un piedino alla volta, Susie Q. Prima il destro, così… brava, tesoro - stava dicendo alla bambina sdraiata con la schiena su un’estremità del divano, sorridendo di fronte all’espressione concentrata che si era dipinta sul viso della piccola nell’istante in cui si era messa in testa di cooperare. - Sei brava ad aiutare il tuo papi, non è vero?

Susie, con quei suoi occhi nocciola di un calore ineguagliabile e un caschetto lungo di capelli rossi le cui origini erano andate perse oltreoceano, si infilò la linguetta tra i denti, lusingata, e accennò un vago tentativo di nascondere il proprio imbarazzo brioso portandosi le mani alla faccia.

- Sì - confermò, premendosi le dita sulle palpebre, e se Sam non avesse avuto tanto da fare in troppo poco tempo si sarebbe sciolto come accadeva ogni volta che sua figlia apriva bocca.

- Ma che brava questa bambina che aiuta il suo papi - cantilenò invece, rallegrandola con la propria approvazione.

Stava per indugiare in una pernacchia che avrebbe premuto sul pancino di Susie fino a farla ridere a crepapelle come faceva spesso, quando lo smartphone che si era infilato nella tasca posteriore dei pantaloni cominciò a vibrare con insistenza. Sam cercò di non perdere il vantaggio faticosamente conquistato nel corso della missione calze, mentre con uno scatto recuperava lo smartphone, accettava la chiamata e si incastrava l’apparecchio tra l’orecchio e la spalla per avere di nuovo le mani libere.

- Pronto? Cas? Sì, lo so, siamo in ritardo. Imperdonabile, aggiungerei. No no, sono io a dirlo - snocciolò tutto d’un fiato. La voce di suo cognato suonava tranquilla e per nulla irritata, ma parlare velocemente aiutava Sam a credere che sarebbe riuscito a finire di vestire sua figlia prima che la piccola si stufasse di starsene sdraiata sul divano e cominciasse a divincolarsi. - Ti chiedo scusa, volevamo davvero esserci a messa, ma…

- La sveglia non ha suonato! - esclamò in quel momento Gabriel, con voce abbastanza alta da farsi sentire dall’altro lato della stanza e attraverso il microfono del telefono.

Quando suo marito gli lanciò un’occhiata di rimprovero, il maggiore si limitò a sorridergli con tutti i denti. Esattamente come Alec aveva imparato a fare, imitandolo, ogni volta che combinava qualcosa e si ritrovava a dover cercare una rapida via d’uscita dall’impiccio.

- La sveglia ha suonato, - specificò Sam, pignolo e vicino alla resa molto più che indispettito, - ma Gabe l’ha spenta e poi ci siamo riaddormentati dimenticando che fosse successo.

Doveva esserci voluta una congiunzione astrale non indifferente per far sì che tutto ciò accadesse la stessa mattina in cui, per la prima volta nella loro vita, i gemelli non si erano messi a chiamarli alle sei del mattino.

Per qualche motivo che un giorno, molto presto, gli avrebbe fatto guadagnare una sonora strigliata, Gabriel scelse proprio quel momento per far partire una canzone che esordì facendo tremare le casse. Un istante dopo, l’uomo aveva posato Alec a terra e, dopo avergli preso le manine, improvvisò un balletto che il bambino adorò fin da subito, almeno quanto il fatto che suo padre conosceva a memoria ogni singola parola del testo.

- Yo, listen up, here’s a story about a little guy that lives in a blue world. And all day and all night everything he sees is just blue…

Sam non ebbe il cuore di interrompere le risatine deliziate di suo figlio per imporre un abbassamento di volume che, per quanto doveroso, sarebbe suonato come cattiveria pura in quel frangente. Era sempre molto attento a non adottare la voce e il comportamento di John Winchester più di quanto non fosse strettamente necessario.

- Ormai siamo quasi sulla porta, Cas - optò invece per concentrarsi sulla telefonata e sugli ultimi sforzi da dedicare a quei benedetti pantacollant. - Be’, diciamo che ci stiamo preparando per esserlo presto.

- Blue his house with a blue little window...

- Cosa? Scusa, non riesco a sentirti bene. Puoi scusarmi solo un secondo? - Sam tornò a voltarsi verso il punto del soggiorno nel quale Gabriel e Alec stavano ancheggiando con diversi livelli di scioltezza. - Gabe.

- And everything is blue for him…

- Gabe! - lo richiamò Sam con una certa urgenza, e finalmente gli occhi di suo marito incontrarono i suoi. - Puoi abbassare il volume, per favore? Castiel potrebbe parlarmi in francese e io non me ne accorgerei.

Gabriel sorrise, comprensivo.

- Certo, Samshine - accettò di buon grado, girandosi per ruotare verso sinistra la piccola manopola dello stereo. - Scusaci, io e Alec ci siamo lasciati trasportare. Siamo degli animali da festa.

Molto si poteva dire sulle stramberie di Gabriel, meno che fosse sordo alle esigenze di chiunque. Ma ovviamente Sam non poteva aspettarsi lo stesso livello di condiscendenza da parte del loro figlio di nemmeno tre anni. Susie era infinitamente paziente e mansueta per la sua età, ma Alec era fatto di tutt’altra pasta – la pasta degli Hale, senza dubbio – e non ci pensò sopra due secondi prima di cominciare a protestare a gran voce, con tanto di piedi sbattuti sul pavimento.

- No! - piagnucolò quando la musica subì un brusco calo di intensità. - No, no, no!

C’era da capirlo, avevano interrotto il suo abbandono al ritmo proprio all’inizio del ritornello. Gabriel, l’unico che dipendeva dalla musica al punto da comprendere la drammaticità del momento, fece calare una carezza sulla sua testolina bionda per quietare i suoi capricci.

- Poche storie, mostriciattolo - gli disse, accucciandosi di fronte a lui con un sorriso per attirare la sua attenzione sulla propria espressione coscienziosa. - Hai sentito tuo padre, vero? Cosa non diciamo a papi?

Un qualche meccanismo ben oliato parve scattare dietro gli occhi azzurri del bambino, che da indignati si fecero dubbiosi, tolleranti e infine addirittura arrendevoli.

- No “no” a papi - mugugnò.

- Esatto, molto bene - lo elogiò Gabriel, convinto e tranquillo. - Non si dice “no” a papi.

Sam non aveva ancora capito come fosse possibile che Gabriel fosse così competente con i bambini, ma finché la sua misteriosa abilità gli avrebbe permesso di sopravvivere alle scenate dei suoi figli non si sarebbe posto più domande del necessario. Tutto ciò che si limitò a fare fu premere un bacio riconoscente sul capo di Alec nel momento in cui il bambino gli passò accanto trotterellando.

- Grazie, ometto.

Il fatto che si fosse già dimenticato del piccolo ostacolo alla propria gioia e stesse puntando al suo camion dei pompieri non trattenne il sospiro di sollievo di Sam. Forse avrebbero potuto farcela entro il fine settimana.

- Eccomi, Cas. Dicevi? Certo. Certo, saremo lì più che in tempo per il pranzo - assentì Sam.

Si sentiva più sicuro di quell’ipotesi, ora che la parte più intricata dell’abbigliamento di Susie era a posto. La piccola si lasciò rimettere in piedi di buon grado e subito alzò le braccia verso il soffitto, pronta per farsi infilare il vestitino a fiori che aveva scelto lei stessa, dopo colazione. Sam benedisse mentalmente la compiacenza della bambina.

- Si tratta… - riprese, accontentandola più che volentieri, ma proprio in quel momento Gabriel pensò bene di sabotarlo cominciando a solleticare i fianchi di Susie con le dita.

- I have a sister and she is so blue…

Sam non gli schiaffò via le mani soltanto perché aveva finito, oltre che per lo splendore di quelle risate spontanee. L’uomo sospirò, ricadendo a sedere sui propri talloni.

- Si tratta solo di finire di vestire i bambini. Tutti e tre - disse al microfono del proprio smartphone, aggiungendo quell’ultimo dettaglio mentre fulminava bonariamente con lo sguardo suo marito e il pigiama di cui avrebbe dovuto liberarsi ore prima. Gabriel gli rivolse una smorfia, con tanto di linguaccia, facendolo ridacchiare sotto i baffi. - E poi saremo lì in un lampo, promesso.

Quando la radio fece partire Crocodile Rock di Elton John, Gabriel fu più che felice di prendere in braccio sua figlia, che reagì con un gridolino emozionato, depositarla a qualche metro di distanza e mettersi a ballare con lei per far sì che Sam potesse dedicare tutta la sua attenzione ad Alec e ai vestiti che il piccolo, al contrario di sua sorella, non aveva nessuna intenzione di indossare.

- I remember when rock was young, me and Susie had so much fun...

- Alec… Alec, stai buono per un attimo, per favore.

- But the biggest kick I ever got was doing a thing called the Crocodile Rock...

- Oh, cavolo - esalò Sam, lasciando Alec libero di scorrazzare per il salotto imitando una sirena, assieme al suo camion giocattolo, una volta che fu arrivato in fondo alla sua piccola pila di vestiti senza aver trovato ciò che cercava.

Gli occhi di Gabriel corsero subito a lui, improvvisamente ignari di quanto fosse trascinante la canzone.

- Problemi?

- Ho dimenticato la canottiera di Alec di sopra. E anche i calzini.

L’esasperazione nei suoi occhi non sarebbe stata tanto marcata, se quella mattina non si fosse già dimostrata costellata di piccole avversità di tutto rispetto. Non importava quanto essere un padre lo avesse abituato ai disguidi, Sam Winchester odiava arrivare in ritardo quando prendeva un impegno. Che l’affaticamento e lo sdegno permeassero la sua voce, però, lo seppe solo quando essi riuscirono a distrarre perfino Alec dal suo gioco. Seduto sul pavimento, il bambino sollevò il visino, fece spaziare lo sguardo da un genitore all’altro, come per controllare che fosse tutto a posto, e infine si portò una mano aperta alle labbra.

- Oh-oh - intonò.

Malgrado la stanchezza del momento, Sam non riuscì a non sorriderne. Un istante dopo, Gabriel gli stava passando accanto, con Susie in braccio. Si fermò il tempo utile a chinarsi quel tanto che gli permise di lasciare un bacio soffice sulle labbra di suo marito prima di dirigersi verso le scale che conducevano alla zona notte.

- Ci penso io, amore. Riposati un minuto - Si sistemò meglio Susie sul fianco prima di intraprendere la salita. - Missione canottiera e calzini, cucciola. Sei pronta? Troveremo il più bel corredo intimo che tuo fratello abbia mai indossato.

Sam sbuffò in una risata, udendo quell’epiteto, e un sorriso vago e contento continuò ad aleggiargli sulle labbra mentre si sedeva sul pavimento, con la schiena contro i cuscini inferiori del divano, e rimaneva a osservare l’impegno con cui Alec gestiva l’itinerario dei suoi vigili del fuoco. Rimase ignaro di aver abbandonato il cellulare alle proprie spalle finché la voce di Castiel tornò a chiamarlo.

- Sam? Tutto bene?

L’uomo allungò un braccio alle proprie spalle e lo rassicurò con un sospiro.

- Sì, Cas, grazie. Solo un ordinario mattino di follia. Ci vediamo tra poco.



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Capitolo 15
*** Diet Coke e caramelle ***



    Disclaimer: non so un tubero di chimica e fisica e tutto ciò che di correlato alla scienza leggerete in questo capitolo deriva da qualche sommaria incursione su internet di cui neppure io mi fido molto. A scopi narrativi, vi prego di essere indulgenti nei confronti della mia ignoranza. Buona lettura 🤗


 


15. Diet Coke e caramelle

 

- 2 giugno 2019 -

 

Era una domenica da cartolina. Un assaggio d’estate con il pregio di una piacevole temperatura primaverile, calda ma non torrida, che godeva della presenza di un occasionale venticello fresco. Sam e Gabriel e i bambini avevano raggiunto i Novak-Winchester in tempo per il pranzo e, dopo aver mangiato, gli adulti si erano accomodati nel salotto che si apriva sul giardino, per chiacchierare e aggiornarsi mentre i piccoli della famiglia giocavano in autonomia.

Erano passate da poco le tre del pomeriggio quando Sam annunciò di avere bisogno di sgranchirsi le gambe e si alzò dal divano che aveva condiviso con il marito. Gabriel gli fece l’occhiolino e il più giovane della coppia gli rivolse un sorriso prima di avviarsi verso l’esterno dell’abitazione con le mani affondate nelle tasche dei jeans e un’espressione placida in volto.

Adorava le giornate come quella. Domeniche in cui non si combinava nulla di materialmente utile – niente straordinari da imprenditore autonomo per Gabriel, perfino niente giardinaggio o faccende domestiche – né si tribolava per conquistare chissà quali traguardi agonistici o sentimentali, ma si lasciavano stare gli sforzi e si permetteva al tempo di guarire in silenzio le fatiche della settimana. Un pranzo in famiglia, le risate dei cuccioli di casa, le sciocchezze sparate a turno da Dean e Gabriel, le battute puntuali ed educate di Castiel, il sole che baciava l’erba, gli alberi e le loro teste… spesso Sam credeva di non aver bisogno d’altro.

Il giardino che suo fratello curava con lo stesso amore attento che dedicava ai figli aveva un’estensione tale che sarebbe stato più corretto chiamarlo parco. Sia la casa che il terreno attorno erano appartenuti per generazioni alla stessa famiglia, prima di essere comprati dai coniugi Novak-Winchester, e Dean si era assicurato che ogni quercia, ogni nido di betulle e ogni cespuglio di rose mantenesse o recuperasse l’antico splendore. Col risultato che quel piccolo angolo di paradiso traboccava di vita, inclusi i ragazzini che si arrampicavano sugli alberi – Tom e Daryl erano cresciuti senza l’ausilio di qualsivoglia videogioco fino a quel momento, per volere di Castiel, perciò quell’immenso spazio verde era stato sfruttato adeguatamente.

Sam aveva percorso una ventina di metri in linea retta dalla porta-finestra del soggiorno quando, sorpassato un albero particolarmente frondoso che gli bloccava la visuale, scorse i suoi due nipoti di nove e quasi sei anni accovacciati nel bel mezzo di quella radura di un verde che aveva un che di cangiante. Fu sul punto di richiamarli in tono scherzoso, ma poi si accorse che stavano trafficando con qualcosa che non somigliava a nessuno dei loro soliti giocattoli. Ed erano fin troppo silenziosi perché Sam potesse trattenersi dall’aggrottare le sopracciglia.

- Bambini, cosa state...?

Non riuscì a completare la frase, perché da quel momento tutto avvenne troppo rapidamente per consentirgli di fare altro che non fosse reagire.

Tom finì di arrabattarsi alla velocità della luce con qualsiasi cosa stesse maneggiando e da sopra la spalla lanciò a suo zio un’occhiata allarmata prima di scattare in piedi, afferrare il fratellino per il braccio e correre via a gambe levate trascinandoselo appresso.

- Via, via, via!

Nello stesso istante, Sam udì uno scalpiccio stentato di passi alle proprie spalle e si voltò di scatto. Susie lo aveva seguito e gli stava andando incontro con un sorriso enorme sul visino emozionato, tendendo verso di lui la manina che reggeva uno dei libriccini che Castiel aveva appena regalato a lei e ad Alec, reputandoli ormai troppo elementari per Daryl.

- Papi, papi, gualda!

Camminava con i piedini scalzi sull’erba tenera e fresca, fidandosi di ogni suo passo instabile. Sam ebbe appena il tempo di voltarsi verso la direzione presa dai suoi nipoti e dai colori sgargianti delle loro magliette e dei loro pantaloncini corti. Poi scoprì che il rumore sospetto che lo aveva attirato proveniva dalla bottiglia di vetro distante a malapena tre metri da lui. Tre metri da sua figlia, che ormai lo aveva quasi raggiunto.

Senza pensare, animato dal puro istinto, Sam si slanciò verso Susie, precipitò in ginocchio a pochi centimetri dai suoi piedini nudi e la strinse a sé con tutta la forza che aveva, cercando di proteggere ogni centimetro quadrato del suo corpicino di appena due anni e mezzo. Non arrivò nemmeno a sentire il principio del suo pianto di protesta, perché in quell’istante la bottiglia che aveva avvistato appena in tempo esplose assieme ai suoi timpani, scagliando schegge di vetro tutt’attorno.

Mentre il boato si placava e le orecchie continuavano a fischiargli, Sam avvertì una dose indifferente di quelle schegge attraversargli la stoffa dei pantaloni e del retro della maglietta a maniche corte e trafiggergli la pelle in un numero indefinito di punti, come aghi affilati maneggiati senza perizia. Mentre sua figlia scoppiava in un pianto disperato ancora stretta tra le sue braccia, Sam riuscì soltanto a pregare che nessuno di quei proiettili di vetro l’avesse raggiunta. Si era appena allontanato dal suo corpicino quel tanto da poter controllare, quando udì un tramestio in direzione della casa e poi la voce di suo fratello.

- Che cosa diavolo... Sammy!

Subito seguita da quella di Gabriel, sempre più vicina.

- Sam! State bene?

Ma Sam non alzò lo sguardo su di loro e non si accorse del capannello che avevano formato attorno a lui e a Susie finché non poté tirare un sospiro di sollievo: la bambina era illesa e le sue urla derivavano solo dallo spavento. Fu riempiendosi i polmoni di aria pulita, cercando di calmare il proprio cuore, che Sam la prese in braccio e si rimise in piedi.

- Sì, bene - farfugliò infine in risposta al marito, che aveva appeso al fianco un Alec ammutolito che teneva gli occhi spalancati fissi sulla sorella in lacrime. - Ho preso lo spavento peggiore della mia vita, ma tutto bene, grazie a Dio. Scusami, tesoro - aggiunse con voce morbida, cercando di rasserenare Susie con qualche carezza e un bacio sulla testa. - Ho paura di averla schiacciata, nella fretta di farle da scudo.

- Sei stato fin troppo bravo, Sam - commentò con un filo di voce Castiel, che come tutti ancora non riusciva a raccapezzarsi.

Ma il panico di Susie era troppo pressante perché la piccola riuscisse a vedere i meriti del padre. Sorretta dalle sue braccia, si divincolava come quando era malata e scambiava il disagio interno per quello esterno, insofferente alle costrizioni in un momento in cui l’istinto le diceva di fuggire.

- Vuoi andare da papà? - propose Sam dopo averla ninnata inutilmente per un po’. Certo non poteva metterla a terra, non ora che il prato attorno a loro era disseminato di vetri. - Vai da papà, su.

- Vieni qui, cucciola, vieni - la accolse Gabriel, perfettamente a suo agio con un bambino per braccio. - Ti sei spaventata tanto anche tu, non è vero? Ma va tutto bene. È tutto a posto.

Sam ne approfittò per darsi un’occhiata ai polpacci. Il bruciore che sentiva era causato da decine di minuscoli taglietti, quelli da cui aveva salvato Susie ma che campeggiavano allegri e numerosi sul retro delle sue gambe e sulla sua schiena.

- Accidenti - mormorò tra sé e sé, senza la possibilità di valutare l’entità del danno senza uno specchio.

- Sei ferito? - chiese Dean, con una nuova ondata di apprensione che gli luccicava negli occhi.

- A quanto pare - confermò Sam, calmo ora che si era assicurato che sua figlia non aveva riportato neppure la minima abrasione.

Per Dean, invece, la vista delle sue minuscole ma copiose ferite si aggiunse alla confusione e finì per innervosirlo.

- Porca miseria. Ma che cosa è successo?

- Sono proprio vetri - commentò Castiel a mo' di spiegazione, accucciandosi per qualche secondo per studiare il terreno.

Il prato, per almeno qualche metro tutt'intorno alla loro piccola combriccola, brillava di innumerevoli, infinitesimali diamantini.

- Una bottiglia di vetro, della Diet Coke e delle Mentos, presumo - valutò Gabriel con fare analitico, senza alcuno sforzo. Se i presenti non lo avessero conosciuto tanto bene, avrebbero sospettato che fosse lui il colpevole di quell'attacco terroristico in miniatura. - Troppe Mentos, effetto esagerato. E una rapidità invidiabile nel chiudere la bottiglia prima dell’esplosione. Ottimi riflessi.

Sam intervenne prima che Dean e Castiel cominciassero a interrogare Gabriel riguardo a tanta apparentemente inutile conoscenza del mondo delle bibite gassate e delle caramelle rinfrescanti per l'alito a scopo esplosivo.

- Ho visto Tom e Daryl affannarcisi attorno e poi correre via un attimo prima che quella cosa detonasse.

L'intervento del più giovane dei fratelli Winchester fece strabuzzare gli occhi a suo fratello maggiore.

- Che cosa?

- Uno dei modi più facili di produrre un'esplosione. Non male - si insinuò di nuovo Gabe. Tipico di lui, abbandonarsi a una parlantina che voleva spacciarsi per tranquilla quando la situazione si faceva tesa. - La prossima volta che gli verrà voglia di fare esperimenti chimici, mandali da me. Ne conosco di divertenti.

- E meno pericolosi - puntualizzò Sam, lanciandogli un’occhiata di monito.

Gabriel sorrise a trentadue denti.

- Ovviamente.

Ma la testimonianza di Sam aveva scosso Dean al punto da non permettergli di lasciar sedare il proprio nervosismo dai tentativi del cognato.

- La prossima volta che gli verrà voglia di fare esperimenti chimici, si ricorderanno di quante ne hanno prese stavolta e si daranno alle traduzioni di greco antico piuttosto che rischiarla di nuovo, te lo dico io - sentenziò. Poi ruggì, alzando la voce tutto d'un tratto: - Thomas! Daryl! Venite fuori subito!

Sentendo quelle parole, a Sam si ribaltò lo stomaco. Mentre per lo spavento Alec nascondeva il visino nell'incavo del collo di Gabriel e Susie fissava lo zio con gli occhi lucidi dal pianto, il minore dei Winchester si mosse con cauta fermezza.

- Dean, non c'è affatto bisogno di…

- Non c'è bisogno? - gli fece però eco l'altro, spostando su di lui gli occhi strabuzzati. - Gesù Cristo, Sam, guardati! E pensa a cosa sarebbe successo a Susie se tu non fossi stato qui!

Quel pensiero lasciò Sam appeso al ciglio della frase seguente solo per un secondo di troppo.

- Questo non toglie che non risolverai niente con i metodi che hai in mente - ribadì con fare tetro.

Fu Castiel a interrompere la linea della loro guerra di sguardi, avvicinandosi al marito quel tanto che gli permise di distrarlo posandogli una mano sulla spalla.

- Perché non entrate in casa e medichi Sam mentre io cerco di raccogliere i vetri? - propose in tono conciliante.

Gran parte della tensione di Dean si sgonfiò come un palloncino nel momento in cui l'uomo abbassò lo sguardo sul prato e riconobbe lo scintillio del vetro sull'erba. Fortunatamente, Susie a parte, erano usciti tutti con le scarpe ai piedi.

- Meglio passarci l'aspirapolvere. I bambini non fanno altro che correrci a piedi nudi, qua fuori.

Castiel sorrise gentilmente.

- Certo. Buona idea.

- Vieni, Sam. Sarà meglio ricucirti.

Mentre si avviava due passi dietro suo fratello, Sam udì la voce di Gabriel - sempre allegra, sempre ironica, ancora una volta in grado di riportare un raggio di luce nel groviglio suicida dei suoi pensieri - rivolgersi ai bambini che teneva in braccio e che non spiccicavano parola da troppo tempo.

- Andiamo anche noi o volete vedere zio Cas che aspira il giardino? Io voto per la seconda. Ma voi volete andare con il vostro papi, vero? Andiamo ad assicurarci che stia bene, sì? I miei bambini dolci.

Quando tutti e tre gli si affiancarono, Sam rivolse alle faccine preoccupate di Alec e Susie un sorriso che non gli pesò affatto. Come lanciarsi sulla sua bambina per proteggerla non aveva richiesto alcuno sforzo, così valeva per il tentativo di rasserenarli anche se la pelle gli bruciava ancora.

- È solo qualche graffio, cuccioli. Sto bene. Un po' di disinfettante, qualche cerotto e via, sarò come nuovo.

Quando allungò un buffetto sulla guancia di Alec, il bambino si sottrasse con una smorfia.

- No 'ettante. Non voglio.

Gabriel rise. Alec era certamente un buon consumatore del prodotto e riusciva a lamentarsi anche delle marche che non bruciavano affatto.

- Non per te questa volta, Alec, stai tranquillo.

- Due bambini di mia conoscenza hanno tre minuti per presentarsi col capo cosparso di cenere, oppure possono dire addio alla loro estate - dichiarò in quell'istante Dean, di nuovo con un tono di voce abbastanza alto da farsi sentire fino ai margini del giardino, dove era certo che Tom e Daryl si fossero rifugiati. - Sono a tanto così da comprarvi due biglietti per il Montana. Sono sicuro che zio Michael sarà contentissimo di avervi in visita per due mesi di fila.

Gabriel, tutt'orecchi, si chinò verso Sam con fare preoccupato.

- È solo una minaccia, vero? Ho già pianificato tutto per le nostre settimane insieme.

Sam ripensò al fervore entusiasta con cui Gabriel aveva steso un programma fitto di attività lungo quindici giorni che comprendeva infiniti tuffi in piscina, avventure ricreative e mangerecce, almeno una caccia al tesoro organizzata in casa e una visita al più grande parco divertimenti dello Stato. Una faticaccia, ma ne sarebbe valsa la pena per vedere i bambini fuori di sé dalla gioia.

- Non preoccuparti, ci saranno. Dean non li lascerebbe mai da soli con il fratello di Cas e le sue riviste di musica New Age. Non è vero, Dean?

La risposta arrivò accompagnata da un'occhiata trasecolata e uno sbuffo scocciato.

- Ovvio che no. Non sono una bestia.

Dean accompagnò Sam al primo piano della sua villetta di campagna per medicargli le ferite lontano dagli occhi dei bambini. Tutti gli adulti presenti concordarono tacitamente che la priorità fosse distrarli dallo spavento subito, perciò Gabriel rimase con loro in soggiorno e cominciò a proporgli un gioco dopo l'altro.

Sam continuò a udire la voce allegra del compagno anche una volta che ebbe raggiunto il bagno e si fu spogliato quel tanto da permettere a Dean di operare senza intoppi. Il maggiore disinfettò con dell'alcol un paio di pinzette prima di dare il via a una minuziosa opera di estrazione di frammenti di vetro dalla pelle di Sam, che si morse la lingua per tutto il tempo per non farsi sfuggire nemmeno un gemito di dolore.

Il suo ultimo desiderio era fornire combustibile alla collera già accesa di Dean e, almeno a giudicare dall'occasionale bestemmia che gli scappò di bocca mentre recuperava schegge, Tom e Daryl avevano già di fronte a sé un brutto quarto d'ora.

- Ecco. Credo non ce ne siano più. Potrebbero essermene sfuggite di invisibili, ma più di così…

- Sono a posto, sono sicuro - lo rassicurò Sam con un sorriso a metà tra l'indolenzito e il riconoscente. - Grazie, Dean.

Dean rispose con un grugnito, facendo spallucce, per poi accucciarsi e aprire le ante del ripiano sotto il lavandino.

- Ora vediamo se ho abbastanza cerotti. Di solito Cas ne compra scatoloni interi.

Mezzo litro di disinfettante e circa venti spacchettamenti di cerotti dopo – Sam aveva imposto al fratello di lasciar perdere i tagli più superficiali, oppure sarebbero usciti da quel bagno a tarda sera – i due Winchester scesero nuovamente nella zona giorno e Gabriel fece del suo meglio per enfatizzare l'evento agli occhi dei gemelli.

- Già fatto? Ma allora papi stava solo facendo i capricci, non era successo niente di grave. Non è vero, papi?
Visto che Alec era ormai totalmente assorbito dai cubi di l
egno dipinto che stava impilando, Sam si dedicò totalmente a Susie, sollevandola tra le braccia quando lei gli caracollò incontro nella miglior interpretazione di persona preoccupata che possa dare una bambina di due anni e mezzo.

- Visto, amore? Sto bene.

- Ringraziamo i tuoi riflessi e una buona dose di fortuna per questo - borbottò Dean a mezza voce, prima di voltarsi verso la porta-finestra quando percepì un movimento in quella direzione. - Oh, guarda un po' chi è tornato all'ovile con la coda tra le gambe.

Tom e Daryl fecero il loro ingresso in salotto a testa bassa, con addosso gli sguardi di tutti i presenti e seguiti a distanza ravvicinata da un Castiel che evidentemente aveva già indossato i panni del mediatore.

- Mi hanno aiutato a mettere a posto in giardino.

- Buon per loro. Questo non toglie che se la sono andata a cercare - sentenziò Dean, incrociando le braccia sul petto prima di tornare a fulminare entrambi i figli con lo sguardo. - Allora? Si può sapere cosa vi è saltato in testa?

Se Tom, dall'alto dei propri nove anni, continuò a far finta di essere altrove, con le mani nascoste dietro la schiena e gli occhi presi a cercare possibili crepe negli angoli del pavimento, Daryl, che di anni non ne aveva ancora sei, non resistette e alzò lo sguardo immediatamente per puntarlo sullo zio.

- Ti sei fatto tanto male, zio Sam?

Era evidente che Castiel gli avesse già accennato qualcosa, pur non rimproverandoli aspramente come sapeva avrebbe provveduto a fare Dean.

Intenerito dai suoi occhioni chiari colmi di apprensione e dall'inquietudine con cui il bambino si stava stropicciando l'orlo della maglietta rosso fuoco, Sam sorrise per rasserenarlo.

- No, piccolo, va tutto bene.

Quello dovette essere il momento in cui Dean decise che anche a suo fratello non avrebbe fatto male una strigliata.

- Non va per niente bene! - si oppose a gran voce, guardandolo di traverso prima di tornare a sgridare i figli. - Avete fatto esplodere una bottiglia di vetro nel bel mezzo del giardino! Che cosa vi dice il cervello?

Sentendosi chiamato in causa e credendosi il più adatto a rispondere, Tom replicò senza risparmiarsi un tono che virava verso il saccente.

- Era solo una dimostrazione scientifica.

Eppure doveva aver già imparato a riconoscere i segnali apparsi i quali era meglio non sfidare suo padre. Dean, infatti, diventò decisamente più livido in faccia.

- Primo, ti conviene smetterla subito con quell'atteggiamento, Thomas, perché sei già abbastanza nei guai senza aggiungere anche l'insolenza al pacchetto. Secondo, conoscete la regola d'oro: chiedere il permesso.

Daryl, dal basso di un'innocenza che faceva intendere quanto poco di suo avesse messo in quel piano dinamitardo, cominciò a dondolare nervosamente sul posto mentre continuava a torcersi le mani.

- Tom ha detto che tanto non ce lo lasciavate fare - pigolò.

- Certo che no! - ribadì Dean, troppo arrabbiato per pensare di contenere i toni. - Avete fatto esplodere una bottiglia di vetro! I pezzi sono finiti addosso a vostro zio e vostra cugina! È solo un caso se qualcuno non ci ha perso un occhio!

Più lucido del marito, conscio del proprio ruolo e sempre attento alla veicolazione del messaggio, Castiel si prese la briga di tradurre in termini più ampi.

- Anche voi avreste potuto farvi molto male - disse, assicurandosi di avere l'attenzione di entrambi i bambini.

Ma Thomas fece la faccia scura, come se cotanta insinuazione lo avesse offeso.

- Siamo stati attenti - bofonchiò, scontroso, e per Dean quella fu l'ultima goccia.

- Okay, ne ho avuto abbastanza - dichiarò, e, con una severità di granito che per poco non fece rabbrividire anche Sam da quanto suo fratello sapeva somigliare a John Winchester, alzò un braccio a indicare le scale che portavano al piano superiore. - Andate in camera vostra. Ognuno si scelga un angolo, ci pianti il naso e non si muova finché io o vostro padre non diciamo altrimenti. E non una parola.

A Tom si contrasse la mascella, ma Daryl non ci pensò neanche sopra prima di precipitarsi di corsa verso Sam e cingergli le gambe con le braccia. Prima che l'uomo potesse anche solo rendersene conto, aveva appoggiato una mano sulla schiena del bambino per mantenere entrambi in equilibrio.

- Mi dispiace tanto, zio - bisbigliò. - Non volevo farti male.

Riconoscendo i segni di un pianto imminente, Sam gli carezzò la testolina di un castano dorato e si accucciò per poterlo guardare in viso e mostrargli quanto fosse tranquillo e sincero.

- Lo so, Daryl. Lo so. Ora fa' come dice tuo padre, d'accordo?

Non se la sentiva di contraddire Dean né tanto meno di opporsi alle sue decisioni davanti ai suoi figli – negli anni aveva imparato che il ruolo di uno zio aveva confini ben definiti – ma Daryl sembrò almeno un po' più lontano dalle lacrime mentre seguiva suo fratello su per i gradini in silenzio.

Sam attese di sentire il cigolio e lo scatto della maniglia di una porta che si chiudeva al primo piano per voltarsi di scatto verso Dean.

- Che cosa intendi fare?

Susie e Alec erano troppo piccoli per badare a loro, che la loro soglia d'attenzione fosse troppo bassa per preoccuparsene lo dimostrava il fatto che erano già tornati a giocare sul tappeto morbido che campeggiava nel centro del salotto.

Il tono di Sam era allibito, addirittura adirato, e Dean sapeva benissimo a cosa si stesse riferendo. Proprio per questo, ancora coi nervi a fior di pelle, scelse di voltare le spalle al fratello minore.

- Per adesso, andare ad aspirare il giardino - sentenziò, allontanandosi a passi decisi e nervosi.

Nessuno gli fece notare che Castiel aveva già provveduto con alacrità. Castiel per resa incondizionata per quanto momentanea - nessuno meglio di lui sapeva quanto fosse inutile cercare di negoziare con Dean quando era fuori dai gangheri -, Gabriel perché Alec aveva cominciato a chiedere a gran voce un qualche tipo di merenda e Sam perché non aveva ancora ritrovato una riserva di parole adatta. Ma nulla impedì a quest'ultimo di seguire di gran carriera Dean fino nel verde, chiamandolo nel vano tentativo di trattenerlo, mentre alle sue spalle Gabriel e Castiel portavano i due piccini in cucina per occuparsi dell'urgenza del momento.

- Dean. Dean!

 


 


Angolino dell’autrice

Ultimamente la vita è talmente piena di impegni che ero convinta di aver pubblicato il capitolo precedente qualcosa come una settimana fa. Ho dato un’occhiata alla data effettiva e sono ancora reduce dallo shock del tempo che mi scappa sotto il naso. Ma infilo la scrittura tra una giornata di lavoro estenuante e le ore di sonno e per ora va bene così. Ho ripreso a scrivere e tanto mi basta 💛

Un abbraccio a chi legge, dalla prima all’ultima 🤗


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Capitolo 16
*** Cappuccino e torte di fango ***


 

16. Cappuccino e torte di fango

 

- Dean. Dean!

Sam dovette inseguire suo fratello per diversi metri, finché non arrivarono nel punto del giardino in cui la bottiglia di vetro era andata in frantumi, prima che Dean si decidesse a interrompere le proprie falcate decise e a voltarsi verso di lui con stizza.

- Che c'è?

Sam non si lasciò sopraffare dalla gravità nervosa della sua espressione.

- Non voglio che tu... che tu faccia quello che intendi fare. Con Tom e Daryl - si costrinse a dire chiaro e tondo.
Un lampo di curiosa incredulità attraversò le iridi di suo fratello maggiore, come se Dean si stesse chiedendo a cosa avessero dato adito le rotelle costantemente attive del cervello di Sam. Ma fu un attimo, poi la sua mandibola tornò a essere di granito e il maggiore dei Winchester g
li voltò nuovamente le spalle con la scusa di esaminare il luogo dell'esplosione.

- Be', non è una decisione che spetta a te, mi sembra.

- Io sono quello che si è fatto male.

Preso alla sprovvista, Sam aveva ribattuto senza riflettere e la sua scelta di parole gli fece guadagnare nuovamente l'attenzione acre di Dean.

- E io sono il padre. Io e Cas siamo i responsabili della loro educazione. E notizia flash, né io né lui siamo contrari a una sculacciata educativa, se è il bene di tutti a guadagnarci.

Con un moto istintivo di ribellione che gli pungeva lo sterno, Sam si morse la lingua per darsi il tempo di cercare le parole adatte.

- Ci sono altri modi - disse infine con calma forzata, mentre Dean si chinava a recuperare una scheggia di vetro sfuggita alla seppur minuziosa ricerca di Castiel. - Possiamo parlargli, capiranno. Li hai già spaventati a sufficienza.

- Le regole sono regole - ribatté Dean, continuando a scrutare gli spazi tra i fili d'erba, e una nuova fitta di avvertimento attraversò lo stomaco di suo fratello minore.

- Ti rendi conto che sembra di sentir parlare papà, vero?

- Papà non aveva sempre torto, Sam.

Faticando sempre di più a mantenersi pacato - soprattutto a causa del tono di sufficienza apatica di Dean e alla sua tendenza a rivolgergli la schiena, come se quella discussione non valesse la pena di tentare un minimo livello di partecipazione -, Sam prese un respiro profondo prima di tentare un altro affondo.

- Dean, Daryl è uno dei bambini più dolci e sensibili che abbia mai conosciuto. Lo hai guardato bene quando mi ha chiesto se mi fossi fatto male? Aveva già le lacrime agli occhi. Scommetto che sta piangendo da quando l'hai spedito in camera.

Gli sembrò di percepire qualcosa nei movimenti con cui Dean lo stava ignorando, cercando di farlo smettere e allontanare con la propria distanza, per rimanere solo con la propria arrabbiatura. Un singolo istante di immobilità nel sentire nominare il disagio di suo figlio. Ma poi le parole che gli uscirono di bocca smentirono un qualsivoglia cambio di prospettiva.

- E con questo?

A quel punto Sam schiuse le labbra, incredulo.

- Con questo? - ripeté con sdegno, per poi alzare un braccio a indicare la casa silenziosa. - Dean, sono quasi certo che Gabe stia pensando di andarsene presto perché sicuramente non vorrà esserci quando salirai in camera dei ragazzi! Con quello che ha passato lui…

Quello fece scattare Dean. E d'altra parte, se fosse stato un po' meno coinvolto nella propria missione del momento, Sam si sarebbe reso conto che una reazione diversa da parte del fratello sarebbe stata preoccupante. Dean riuscì a passarlo da parte a parte con lo sguardo mentre un'espressione indecifrabile gli scombinava il volto. Un misto confuso di incredulità, dolore e furia omicida.

- Non riesco neanche a credere che ne stiamo parlando, ma dato che sto avendo l’impressione che tu non ne abbia la sicurezza, Sam, sappi che non intendo picchiare i miei figli con una cinghia. Né ora né mai - sibilò, scandendo i termini peggiori per riuscire a pronunciarli. Appariva ferito, dietro la sua maschera di collera, e Sam si ritrovò a pentirsi della propria scelta di parole finché Dean non proseguì: - Ma non intendo nemmeno fargliela passare liscia e non insegnargli come ci si comporta solo perché tu e Gabriel non siete d'accordo con i miei metodi. Non sono affari che vi riguardano.

Con il petto che si alzava e riabbassava rapido al ritmo del proprio respiro, Sam digrignò i denti prima di ribattere, gelido: - Sono i miei nipoti.

- Sono i miei figli! - esclamò Dean di rimando, oltraggiato. - Tu pensa ai tuoi.

Sam non trovò più nulla di utile con cui controbattere. Senza dire una parola in più, girò sui tacchi e si assicurò che almeno una buona parte della sua furia e indignazione sembrasse essersi volatilizzata, prima di ripresentarsi davanti alla sua famiglia, accennare un sorriso superficiale di fronte ai tentativi dei gemelli di offrirgli parte dei loro budini al cioccolato e mormorare all’orecchio di Gabriel che aveva urgente bisogno di andarsene immediatamente. Suo marito indagò la sua espressione per un istante, ma poi annuì senza fargli domande. Due minuti dopo erano sulla porta e Gabriel salutò Castiel con un sorriso di scuse e una scrollata di spalle mentre Sam lo precedeva all’auto con Susie e Alec che gli caracollavano ai lati, aggrappati ognuno a una mano del padre per non perdere l’equilibrio.

 

Una volta che furono di ritorno al loro indirizzo, dopo aver aiutato il marito a liberare i bambini dai rispettivi seggiolini perché potessero scorrazzare felici in giardino, Gabriel scomparve in casa con la scusa di dover mettere sul fuoco qualche pietanza per la cena di quella sera. Conosceva Sam Winchester da abbastanza a lungo da sapere che quando certe linee gli si disegnavano sulla fronte e si abbinavano a un silenzio prolungato, la mossa migliore da compiere per prima era concedergli un po’ di tempo e abbastanza spazio per pensare senza che altri eventi si mettessero di traverso alle sue riflessioni.

Ad ogni modo, Gabriel continuò a tenerlo d’occhio dalla finestra della cucina che dava sul giardino sul retro, quello dove i bambini si erano precipitati perché tutti i loro giochi all’aria aperta erano lì. Susie scelse di mettersi a sedere nella buca della sabbia e di cominciare a impastare qualcosa con l’aiuto dell’acqua piovana che si era raccolta nel suo annaffiatoio giocattolo, mentre Alec si mise subito a cavallo di uno dei palloni gonfiabili che gli permettevano di saltellare sul posto. I loro vestiti si sporcarono all’istante, ma né a Sam né a Gabriel passò per l’anticamera del cervello l’idea di fermarli o di costringerli a cambiarsi. Entrambi aveva aderito da tempo alla linea di pensiero che recitava “il benessere dei bimbi viene prima, avremmo messo a lavare comunque tutto a fine giornata”.

Mentre pelava alcune patate e le metteva a cuocere nella pentola a vapore, Gabriel osservò suo marito sedersi stancamente sugli scalini del portico con la schiena rivolta alla casa e gli occhi vigili occupati ad assicurarsi che i gemelli non si facessero male. Ma non interagiva con loro, se ne stava chiuso nella marea altalenante dei suoi pensieri. Fu l’ennesimo tentativo da parte di Susie di far apprezzare a Sam una delle sue polpettine di fango a sciogliere il cuore di Gabriel e a convincerlo di essere rimasto ai margini delle riflessioni del compagno abbastanza a lungo. Quando uscì sul portico, non fu a mani vuote.

- L’ordinazione del suo subconscio, signore. Attento, è bollente - si annunciò quando fu a un passo da lui.

Quando Sam si voltò, Gabriel gli tese una delle due tazze colme di cappuccino fatto con latte di soia e avena. Una delle bevande calde preferite di Sam – e anche di Gabriel, da quando il maggiore aveva scoperto quanto potesse essere buono, oltre che vantare tutte le proprietà salutistiche che stavano tanto a cuore a Sam. Perfetto ora che il cielo si era rannuvolato e un’inaspettata arietta fredda aveva cominciato a soffiare da nord-ovest.

- Grazie - mormorò Sam accettando l’offerta, senza però l’accenno di un sorriso. Da quando Gabriel gli si sedette accanto sugli scalini, però, gli bastò mezzo minuto per sospirare, sottoposto alle sue occhiate pressanti: - Cosa c’è, Gabe?

- Oh, niente - rispose Gabriel in tono angelico.

Interruppe la comunicazione per accettare con un sorriso entusiasta la tortina di terra umida e sassi che Susie gli mise nel palmo e fingere di darle dei grandi morsi soddisfatti. La bambina ridacchiò soddisfatta prima di lasciarsi cadere a sedere sotto i quattro scalini per riprendere ad accumulare prezioso terriccio. Gabriel la guardò con tutto l’amore del mondo e si diede un’occhiata in giro per includere anche Alec in quel moto d’affetto, prima di sorbire un sorso del proprio cappuccino.

- Stavo solo pensando che potresti essere incredibilmente vicino a battere il tuo record personale di fronte corrugata senza interruzione - affermò poi a beneficio di Sam, senza una punta di rimprovero.

Lui sospirò di nuovo, in maniera più umana e meno Winchester.

- Lo hai notato, ah?

- Non mi stupirei se anche il Wisconsin lo avesse notato, vista la tua dedizione - commentò Gabriel senza malizia, allungando un braccio verso la figlia per toglierle una macchia di fango dalla punta del naso col pollice. - È da quando abbiamo lasciato Maple Street che sei immune perfino a questi musetti sporchi.

Riuscì a strappare a Sam un sorrisetto minuscolo. Pur sempre una vittoria.

- Quello mai.

- Sam - tornò a chiamarlo Gabriel, dopo averlo osservato attingere dalla sua tazza e carezzare la testolina di Susie in un accenno di ripresa.

Su di lui si spostarono due occhi color tempesta afflitti dalla giornata, ma Gabriel si costrinse a parlare con serietà invece di abbandonarsi alla tentazione di offrire una momentanea fuga dalla realtà a entrambi, scherzando e facendolo ridere con qualcuno dei suoi trucchi. Per quanto tentasse di resistervi, Sam ne aveva bisogno.

- So che cosa ti frulla in testa.

Suo marito storse la bocca con un accenno di sarcasmo irriverente, offrendo al marito un assaggio di quell’atteggiamento ribelle che aveva reso tesi i suoi rapporti con John Winchester e che sapeva condurre Gabriel sull’orlo della follia, tanto ne andava pazzo.

- Ah sì?

- Sì - confermò Gabriel senza la minima esitazione, in parte divertito dal suo mettersi sulla difensiva. - Non so che idea ti sia fatto di me, ma non esiste che tu la faccia in barba al sottoscritto.

- Balba! - esclamò Susie contenta, allungando un braccino e puntando l’indice verso la barba che oramai Gabriel curava in maniera quasi maniacale, visto quanto piaceva sia a lui che a suo marito.

- Hai degli ottimi gusti in fatto di estetica maschile, Susie, mi rendi orgoglioso - le rispose Gabriel, annuendo in direzione della bambina e riuscendo perfino, con quell’uscita, a far ridacchiare Sam. Suo marito si godette quel suono fino in fondo, quindi riprese in tono comprensivo: - So perché sei corso dietro a Dean.

Sam cominciò a giocherellare con la sua tazza ormai mezza vuota, facendosela ruotare tra le dita.

- Lo sai?

Una parola alla volta, Samshine, una piccola ammissione alla volta. Abbiamo tutto il tempo, pensò Gabriel.

- Lo stesso motivo per cui ce ne siamo andati senza prenderci la briga di salutarlo, immagino.

La tazza continuò a ruotare placidamente tra le dita di Sam, fino a fermarsi di colpo. Sbirciando le linee del viso del marito, Gabriel si rese conto che erano tornate a tendersi attorno agli occhi e alla bocca, dalla quale uscì poco più di un sussurro.

- Non posso pensare… Gabe, non posso pensare che Dean somigli a nostro padre fino a quel punto.

Data l’insistenza della bambina, Gabriel prestò a Susie la sua tazza ormai vuota per consentirle di usarla come paletta per la sabbia, una volta tornata alla buca dove aveva abbandonato le sue formine. Così come i vestiti di entrambi i bambini, avrebbe pensato più tardi a lavarla per bene.

- La cosa davvero importante è che non arrivi a somigliare al mio, non credi? - commentò nel frattempo con leggerezza calcolata, deciso a non contribuire al dramma che si andava costruendo nel cuore del suo compagno.

Come previsto, Sam si girò di scatto verso di lui.

- Come, scusa?

Gabriel non fuggì dalla leggera accusa che rifulgeva nei suoi occhi. Al contrario, vi si aggrappò per trasmettere al meglio il proprio messaggio.

- So che non condividi il regime di disciplina che applicava tuo padre. Ma tu stesso mi dicesti, anni fa, che malgrado tutto non avresti definito John un uomo violento - cercò di farlo ragionare, mostrandosi benevolo e aperto al confronto per non rischiare di allontanarlo con quei discorsi. - Dicesti che non aveva mai dispensato punizioni fisiche con cattiveria.

Malgrado l'estremo tatto con cui Gabriel parlò della faccenda, Sam non poté trattenere una smorfia di disagio al ricordo di quanto era riuscito a disprezzare suo padre, da molto giovane, per il modo in cui era stato solito affidarsi al potere di uno schiaffo ogni volta in cui aveva creduto che le parole non funzionassero più. Rimuginare su quanto Dean glielo avesse ricordato, quel pomeriggio, non fece che aggravare le sue occasionali fitte allo stomaco.

- Questo non significa che il fatto che ne dispensasse o che se ne dispensino in generale mi vada bene - commentò arido, con una punta di indignazione.

Per qualche secondo entrambi si lasciarono distrarre dai rimbalzi di Alec, che si stava avvicinando al portico a bordo del pallone gonfiabile che riusciva a governare sempre meglio. Il bambino passò accanto alla sorella ridendo e i suoi genitori si assicurarono di sorridergli e incoraggiarlo quando i suoi occhi chiari – gli occhi di Claire – li cercarono per condividere con loro la gioia del momento.

Poi Gabriel sospirò.

- Lo so. L’idea non esalta nemmeno me - ammise. - Ma primo, Dean e Castiel non ci devono alcuna spiegazione su come decidono di fare i genitori, così come noi non ne dobbiamo a loro. Non se vogliamo evitare una lite di proporzioni colossali - specificò, alzando un sopracciglio davanti all'accenno di replica del marito.

Sam si zittì mordendosi la lingua.

- Secondo, ho questo piccolo sospetto che tu abbia litigato con tuo fratello per me - aggiunse Gabriel, studiandolo in volto.

Sam fece lo gnorri.

- Per te?

- Per l’effetto che credevi questa notizia avrebbe avuto su di me. Dato che fino a un certo punto sono cresciuto sotto il giogo di un uomo che non conosceva il vero significato della parola “padre”, hai creduto che l’approccio di tuo fratello con i suoi figli mi mandasse in bestia, in crisi o chissà cos’altro. E volevi proteggermi. Non è forse vero, almeno un po’?

Sam resistette a malapena per un altro paio di secondi.

- Un po’. Un bel po’. Ma l’ho fatto anche per i miei nipoti.

- Lo so - sorrise Gabriel, intenerito. - Lo sai che staranno bene, vero? Non è la fine del mondo. Tu stesso me lo puoi confermare.

Sam incrociò le braccia sul petto prima di borbottare: - Sì, lo so. Ma la prossima volta che vengono qui, ci sarà almeno un chilo di gelato ad aspettarli.

Gabriel rise e si rivolse a Susie e Alec con tono euforico.

- Avete sentito, bambini? Un chilo di gelato, ha detto. Ricordiamoci questa promessa.

I due piccoli di casa erano talmente impegnati nella trama delle rispettive attività giocose che fu già tanto se rivolsero al padre uno sguardo incuriosito. Quando Gabriel tornò a rivolgere l’attenzione a Sam, però, fu grato di scoprire che i sorrisi che riusciva a strappargli stavano diventando meno rari e più convinti. Smise per un momento la sua maschera da intrattenitore di famiglia per allungare un braccio dietro la schiena di Sam e carezzargliela con premura.

- Dean te li ha medicati per bene, quei tagli?

- Erano quasi invisibili, Gabe - replicò Sam, divertito da quella che considerava un’esagerazione.

Ma suo marito ignorò il suo tono di scherno e avvicinò il viso alla sua spalla per posarci sopra un bacio leggero.

- Si è assicurato di aver tolto tutti i vetri?

- Ha fatto del suo meglio.

- Hm - considerò Gabriel, specchiandosi nei suoi occhi mentre dalla schiena del compagno faceva risalire la mano fino alla sua nuca con tenerezza. - Ti dispiace se stasera ci do un’occhiata anch’io?

Malgrado la sua voce ridotta a un sussurro sapesse quasi soltanto di flirt, Sam sapeva quanto pressante fosse la preoccupazione di Gabriel nei suoi confronti e quanto lo facesse soffrire sapere che le sue ferite, per quanto minuscole, non erano state trattate dalle sue mani sapienti. Perciò Sam non pensò nemmeno per un istante di allontanarlo con qualche scusa, né, ovviamente, di frenare i piani per quella che prometteva di essere una serata interessante.

- Intende… da vicino, signor Hale? - flirtò a sua volta, avvicinando il viso a quello di Gabriel con un sorrisetto accorto che gli tirava le labbra.

- Oh, da molto vicino. Vicinissimo - confermò Gabriel in un soffio, prima di cedere alla tentazione di baciarlo con un briciolo di trasporto in più rispetto al previsto.

Non furono altro che tre secondi, prima che Alec li facesse scoppiare a ridere con un verso disgustato.

- No papà, no bacio, non si fa!

Gabriel si separò da Sam ridacchiando e non resistette alla tentazione di stuzzicarlo.

- Non si fa, eh, Alec? - chiese conferma, ammiccando in direzione di Sam.

- Non si fa - confermò Alec con un cenno serio della testa.

- E chi dice che non si fa? - investigò Sam, cercando conferma alla propria teoria.

- Zio Dean - ribatté Alec senza battere ciglio, abbandonando il suo pallone per precipitarsi nella sabbia accanto alla sorellina.

- Figurarsi se mio fratello non cerca di rovinarci la festa facendo il lavaggio del cervello ai nostri figli per puro divertimento. Urge cambiare babysitter - commentò Sam, alzando gli occhi al cielo senza smettere di sorridere, mentre Gabriel si metteva in piedi e progettava un’incursione in quel pozzo di tenerezza che erano i due gemelli seduti vicini.

- Ah, ma che birbone questo zio Dean che dice le bugie! A noi i baci piacciono tantissimo e non ce ne vergogniamo! - esclamò prima di correre accanto ai figli e ricoprirli di baci e solletico.

Ne ricavò degli urletti e delle risatine deliziate che tolsero ogni macigno residuo dal cuore di Sam.

 




Angolino dell’autrice

Grazie a chi continua a leggere e a recensire ❤️

Ultimamente sono molto lanciata con la scrittura questa storia, quindi il prossimo capitolo non tarderà come al solito 🤗



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Capitolo 17
*** Fragole con panna ***


 

Devo smetterla di farvi promesse in merito alle tempistiche degli aggiornamenti 😅

Ad ogni modo, ecco a voi. Buona lettura 🌻

 

 

17. Fragole con panna

 

Dopo la partenza di Sam, Gabriel e dei gemelli, la casa di Maple Street si fece silenziosa. Non che Dean sapesse come stessero passando il tempo gli altri membri della famiglia, certo. Dopo l'uscita teatrale di Sam, lui se ne stette una mezz'ora abbondante a perlustrare il prato per scongiurare la presenza di altri pezzi di vetro su cui i piedi dei bambini avrebbero potuto tagliarsi, concedendosi il tempo di calmare l'incazzatura roboante che gli covava in petto da quando aveva scoperto che erano stati i suoi figli ad attentare alla salute di Sam e Susie – nonché a terrorizzare tutti i presenti.

Quando l’istinto di azzannare chiunque gli avesse rivolto la parola si ridusse, rientrò in casa per andare a lavarsi le mani in cucina. Il piano terra era deserto e quel quantitativo di pace era quasi inquietante, per una domenica pomeriggio. Arrendendosi con un sospiro alla necessità di smuovere le acque, Dean imboccò le scale per il piano di sopra, ma non lo raggiunse: trovò Castiel seduto sull’ultimo gradino della scalinata, con i gomiti incastrati sopra le ginocchia, le mani intrecciate e lo sguardo perduto, finché non lo scorse.

- Che cosa ci fai qui? - domandò Dean con la fronte increspata, fermandosi tre scalini più in basso dei piedi del marito.

Castiel parve riflettere un momento, darsi il tempo di scegliere le parole come faceva spesso – ogni volta che credeva nel potere di un suo intervento di fare la differenza –, quindi sospirò allontanandosi le dita dalla bocca, ma riprendendo a fissare la parete alle spalle di Dean.

- Volevo sedermi accanto alla porta della loro stanza per sentire se stavano dicendo qualcosa, ma non ce l’ho fatta a rimanere - confessò a mezza voce. - Sentivo piangere. Credo sia Tom. Così mi sono seduto qui.

Dean inarcò le sopracciglia.

- Saresti potuto entrare.

Castiel gli gettò un’occhiataccia condita di gelo, come se avesse appena udito una battuta squallida.

- Non sono stato io a promettergli un castigo. Non credo sia una mia responsabilità - scattò, grave. Poi si passò una mano sul volto, come se si fosse appena scoperto esausto, e aggiunse in un tono più sommesso e affranto: - E non ce la farei ad occuparmene io, ad ogni modo. Ti prego di non chiedermi di farlo.

- Fare che cosa? - continuò a scavare Dean, appoggiandosi al corrimano con la mano destra, dato che Castiel sembrava non avere la minima intenzione di spostarsi.

Lo sguardo del suo compagno, questa volta, lo colpì come quello di un cane bastonato, se non fosse stato per quell’insistente, costante sottotono di rimprovero.

- Dargliele come hai promesso di fare?

Dean non poteva crederci. Prima Sam e adesso anche suo marito, tutti regine del dramma per un giorno?

- Gesù, Cas, se la metti così mi fai sembrare un mostro - soffiò, strofinandosi gli occhi con pollice e indice.

Quando tornò a guardare Castiel, però, si accorse che non aveva mosso un muscolo e continuava a fissarlo come se fosse un dio malevolo da supplicare.

- Pensi che lo sia. Grandioso - esalò Dean, stringendo le labbra mentre si passava una mano tra i capelli.

- Non penso che tu sia un mostro - si premurò di correggerlo suo marito, per poi aggiungere prontamente: - Ma questo non mi rende d’accordo in merito a ciò che stai per fare.

Lottando perché gli fosse concesso uno sfogo, il sarcasmo acido di Dean finì per trasparirgli dalla voce.

- Perché, cosa credi che gli farò di così terribile?

Se Cas avesse avuto dei poteri soprannaturali, con l’occhiata successiva avrebbe inchiodato Dean al soffitto.

- Non giochiamo a questo gioco - decretò con voce funerea. - So che ti sei preso un grosso spavento per Sam e Susie, so che vuoi che Tom e Daryl imparino a non fare mai più una cosa del genere, ma non è questo il modo. Sono contrario all’uso delle mani con i bambini, Dean. In ogni caso.

Dean si concesse del tempo per osservarlo meglio. Che fossero stati i pensieri ossessivi coltivati nella penombra del giroscale o la giornata in sé, Castiel appariva stremato, spogliato di ogni energia. La camicia chiara e ben stirata che quel mattino aveva scelto per recarsi in chiesa con i bambini, come sempre desideroso di dar loro il buon esempio, gli ricadeva ora molle sulle spalle infossate e sul torace incavato, mentre lui se ne stava seduto sulla scomodità degli scalini con la schiena curva, schiacciato da un senso di colpa del quale non era il diretto responsabile.

- Non me l’hai mai detto - gli fece notare Dean.

- Non l’ho mai nemmeno negato. Una cosa è fare del mio meglio per supportare te e la tua autorità quando li rimproveri per qualcosa di grave e nell’impeto del momento ti scappa uno sculaccione o uno schiaffo sulla mano.

Dean pensò che le volte in cui era successo potevano contarsi sulle dita di una mano, includendo entrambi i figli, ma per una volta riuscì a trattenersi e lasciò che Castiel proseguisse.

- Se ti fossi fatto prendere dalla rabbia e dalla preoccupazione un’ora fa, quando è successo tutto, e lo avessi fatto, ti avrei capito, mi sono spaventato a morte anch’io per Susie. Ne avremmo discusso e poi avremmo parlato con i bambini, come sempre, e avremmo messo a posto le cose. Ci saremmo assicurati che stessero bene, che non avessero paura di te e ti vedessero ancora come un loro protettore e non come una minaccia, e poi saremmo andati avanti tranquillamente. Ma pianificare e portare a termine un castigo del genere a mente fredda è tutta un’altra cosa e no, certo che non lo condivido - spiegò Castiel, quasi senza riprendere fiato e senza mai lasciare gli occhi seri, a prima occhiata impassibili, del marito. - Pensavo che per te fosse lo stesso, visto che…

- Visto che cosa?

- Visto che tu e Sam siete cresciuti… in modo diverso da me e i miei fratelli - confessò, e le sopracciglia di Dean subirono un’altra brusca impennata.

- Con un padre che credeva nel potenziale di qualche innocua correzione, intendi? Devi avere ragione, siamo venuti su in maniera così deviata, rispetto a te e ai tuoi fratelli.

Di nuovo quell’ironia maledetta. Avrebbe dovuto azzannarsela, quella lingua. Se Castiel non levò gli occhi al cielo in procinto di arrendersi fu solo perché covava una candidatura alla santità nel blu con cui il suo sguardo si affacciava sul mondo.

- Dean. Non è questo il punto. Non voglio che…

Incredulo al pensiero che suo marito fosse disposto a delucidargli di nuovo l’intera questione – quando ormai lo aveva abbastanza convinto di aver agito da idiota in almeno un paio di occasioni, quel giorno –, Dean lo bloccò alzando entrambe le mani davanti alla faccia e facendo sfoggio di un’espressione infastidita in cui Castiel non mancò di riconoscere la resa. Il chiassoso, scontroso stile di resa di Dean Winchester.

- Ho annotato tutto, Cas, va bene? Ora mettiamo fine a questa storia.

Percorse gli ultimi tre scalini liberi e poi scavalcò il marito senza fatica, dato che Castiel si ritirò subito, per poi alzarsi e seguirlo lungo il corridoio che portava alla camera dei bambini.

- Ci vai lo stesso? - domandò inutilmente Castiel, con un soffio di ansia residua.

- Mi hai detto che stanno piangendo. Li devo lasciare lì? - propose beffardamente Dean, anche se le linee gravi del suo volto rispecchiavano ancora la bufera del primo pomeriggio.

Castiel sembrò finalmente comprendere di aver fatto breccia laddove si era impegnato a colpire, anche se il suo compagno non lo voleva dare a vedere, e si lasciò andare a un contenutissimo sospiro di sollievo mentre Dean allungava una mano verso la maniglia della stanza. Non fece quasi in tempo ad aprire la porta del tutto, che una figurina alta un metro e un cece lo investì per potersi aggrappare alla sua maglietta.

- Papà! - esclamò Daryl dal basso. Sembrava non aspettasse altro che quell’apparizione da ore e pretese tutta l’attenzione di suo padre con una vocina determinata e angosciata al tempo stesso. - L’ho voluto fare io! Dallo tutto a me, il castigo.

Raramente Dean gli aveva visto addosso uno sguardo così risoluto, ma non riuscì a ribattere prima che la voce rotta dai singhiozzi di Tom intervenisse. A sua difesa bisognava riconoscere che il più grande aveva ascoltato il padre, dato si trovava in uno degli angoli liberi della stanza, tra una cassapanca che serviva da armadio e il proprio comodino. Ma si era rannicchiato con la schiena contro il muro, la faccia umida di lacrime e un piccolo tesoretto di fazzoletti usati sul pavimento, accanto ai piedi premuti insieme.

- N-no! Non è vero! - protestò vivacemente, udendo il fratellino. - S-smettila, Dee, sei uno stupido!

Daryl lo fulminò con lo sguardo.

- Non sono stupido! Ti aiuto!

Dean alzò entrambe le mani ai lati della testa e serrò le palpebre per un istante, deciso a rimanere calmo.

- Vietato urlarsi addosso - ricordò a entrambi con tono inequivocabile, ma senza alzare la voce.

Castiel gli aveva insegnato che quello era il metodo migliore per farsi ascoltare dalle due bestiole, che infatti ammutolirono senza sforzo, probabilmente ancora scottati dalla ramanzina di nemmeno un’ora prima. Se Daryl fece ricadere le braccia accanto ai fianchi, fece un passo indietro e si immusonì in attesa del verdetto, Tom rimase immobile finché l’ennesimo singhiozzo non gli risalì la gola e qualche lacrima residua non si aggiunse alle altre.

Dean resse quella scena per un totale di tre secondi, dopodiché un sospiro epocale gli svuotò la gabbia toracica.

- Qualcuno mi dica che cosa devo fare con voi due.

Fu allora che il mormorio quasi divertito di Castiel, che era rimasto a osservare gli sviluppi della situazione da un paio di passi più indietro, gli giunse all’orecchio.

- Io suggerirei un abbraccio, per iniziare.

Maledizione, si arrese Dean controvoglia, ma si stava già accucciando per smettere di ergersi sopra i bambini come quella intimidazione che Tom sembrava continuare a vedere mentre non gli staccava gli occhi di dosso.

- Venite qui, su - li invitò, allargando le braccia. - Coraggio, non vi faccio niente - aggiunse in tono più morbido quando si accorse che entrambi stavano esitando.

Dovette reprimere un brivido al pensiero di avergli davvero messo addosso abbastanza paura da renderli cauti nei suoi confronti. In un attimo, si rese conto che Sam e Castiel avevano avuto ragione a fare del loro meglio per trattenerlo dal fare qualcosa di cui si sarebbe pentito nel momento in cui si fosse accorto di quanto lo avesse allontanato dall’amore senza riserve dei suoi figli. Ebbe un lampo di consapevolezza al ricordo di quello che era stato il rapporto di Sam col loro padre e giurò a se stesso che avrebbe fatto del suo meglio per non arrivare mai a tanto.

Daryl fu il primo che, in uno slancio, mosse quei due passetti che lo portarono ad appoggiare il corpo sul fianco di suo padre e la guancia sulla sua spalla. Dean lo strinse a sé col braccio sinistro, fingendo di non essere vittima un disperato senso di sollievo, e con lo sguardo tornò alla ricerca degli occhi del suo primogenito. Ci volle poco, fortunatamente, perché anche Tom si arrendesse al bisogno di fare pace, tirasse su col naso e si trascinasse in piedi per trotterellare fino alla porta, mettersi in ginocchio e seppellire il viso nell’altra spalla del padre, lasciandosi abbracciare con urgenza.

Mentre gli carezzava la schiena con la mano e gli sussurrava parole di conforto, facendo del suo meglio per cercare di sedare i singhiozzi che ancora lo scuotevano, Dean ringraziò il Dio in cui Cas aveva tanta fede che Tom e Daryl fossero ancora così piccoli e disposti al perdono incondizionato. Sarebbe arrivato un tempo in cui i suoi errori come padre non sarebbero stati digeriti così facilmente, un tempo di liti, ripicche e risentimenti covati a lungo. Castiel era solito dire che avrebbero fatto meglio a sbagliare e imparare tutto il possibile sui loro figli in questa prima fase, prima che arrivasse l’inevitabile e li cogliesse impreparati.

- Pesti che non siete altro - esalò Dean, con una punta di dolcezza che non si preoccupò di arrestare.

Una volta che il pianto di Tom fu solo un ricordo, sciolse l’abbraccio e porse al figlio più grande un fazzoletto pulito pescato dalla tasca dei jeans. Mentre Tom ringraziava con un filo di voce e procedeva a usarlo rumorosamente sotto lo sguardo vigile del fratellino, Dean si scambiò uno sguardo con Castiel e sentì un calore confortante all’altezza dello stomaco quando lo vide sorridergli dallo stipite della porta cui si era appoggiato con le braccia incrociate, traboccante fiducia. Con quell’unica occhiata silenziosa si accordarono in merito alla mossa successiva.

- E adesso tutti in salotto, forza - fu Castiel ad annunciare. - Una bella chiacchierata su quello che avete combinato oggi non ce la toglie nessuno.

Mentre i bambini li precedevano docilmente in corridoio, più tranquilli sebbene ancora un poco appesantiti da un onesto senso di colpa, Dean si affiancò al marito e udì il suo “Grazie” appena mormorato sfiorargli il lobo dell’orecchio. Fingendosi offeso, glielo restituì picchiettandogli l’indice sul petto prima di seguire i passi di Tom e Daryl fino al piano terra.

 

Quando, verso le cinque e mezza del pomeriggio, il nome di Dean apparve sullo schermo dello smartphone di Sam, distraendolo dal tutorial per costruire una coroncina di fiori in cui Gabriel si stava esibendo sia per lui che per i gemelli, Sam considerò seriamente l’idea di non rispondere. Ma non poteva rifiutarsi di ammettere che lo scambio con suo marito lo avesse aiutato a vedere quella giornata e le sue crepe in prospettiva, né poteva ingannarsi dicendo a se stesso che questa volta sarebbe riuscito a tenere il muso a Dean soltanto perché se lo meritava.

Senza sapere cosa lo attendeva e come avrebbe reagito, quindi, lasciò Susie e Alec alle mirabolanti imprese di papaveri e margherite che Gabriel stava narrando e attese di aver raggiunto lo steccato che limitava il giardino per rispondere col suo tono più neutro.

- Pronto.

Suo fratello non perse tempo a impappinarsi sui convenevoli.

- Giusto perché non posso sopportare l’idea che tu ti sia fatto un’opinione sbagliata di me, sappi che mezz’ora dopo la vostra partenza ho liberato i bambini dalla prigionia e gli ho dato fragole con la panna per merenda. Ora stanno leggendo un articolo sulle esplosioni sicure assieme a Cas. Tutto quello che hanno ricevuto è stata una sonora strigliata, strettamente verbale, quel tanto da fargli capire le conseguenze delle loro azioni e fargli promettere che non tenteranno mai più un’impresa del genere - raccontò Dean, preciso come un fuciliere.

Malgrado la buona notizia, Sam non abbassò la guardia. Gli sembrava di avvertire ancora troppa boria nel tono di suo fratello e doveva assicurarsi che fosse solo una delle strategie che Dean era solito mettere in campo per proteggersi.

- C’è qualcosa di particolare che vuoi sentirti dire? - chiese senza particolari inflessioni.

Il sospiro di suo fratello nel microfono era quanto di più reale avrebbe mai potuto domandargli.

- Che sono perdonato per le mie solite cazzate, magari. Non sarebbe male, per mettere una pietra sopra quello che ci siamo detti con quei toni così soavi.

A Sam scappò un sorriso e i suoi nervi accettarono di distendersi.

- Sei perdonato - ribatté senza farsi pregare oltre. - Che cosa ti ha fatto cambiare idea?

Al suo cambio di voce, Dean si rilassò del tutto.

- Be’, prima di tutto, Cas non era così d’accordo come credevo - confidò. - Poco ci mancava che minacciasse il divorzio.

Sam ridacchiò quando, da lontano, giunse la voce di Castiel che lo accusava di esagerare.

- Solo questo?

- No - ammise Dean con un sospiro. - Non appena sono entrato nella camera dei bambini, Dee si è fiondato ad abbracciarmi le gambe e a dirmi che era tutta colpa sua.

- Mai bugia fu più ovvia - commentò Sam.

- Logico. Te lo vedi Daryl a riflettere su come far detonare una bomba, quando è suo fratello quello che non toglie il naso dal libro di scienze nemmeno a scuola finita? Ma Tom stava piangendo e Daryl non voleva che lo punissi. Me lo ha detto chiaro e tondo.

Sam fece una smorfia impressionata.

- Si mette in mezzo per salvare il culo a suo fratello. Mi ricorda qualcuno.

- Anche Cas ha commentato che le somiglianze tra noi non fanno che moltiplicarsi.

Copiando il sorriso che aveva appena sentito impregnare le parole di suo fratello, Sam annuì.

- Sono immensamente grato della decisione che hai preso, Dean.

- Ne sono felice, fratellino. E volevo anche ringraziarti per… per avermene dette quattro. Per esserti esposto. So che spesso non è facile con me, specie quando si tratta dei bambini e di… di come fare il padre. Ma ti ringrazio, perché con il tuo punto di vista e la tua testa dura mi aiuti a farlo un po’ meglio, credo.

Sam si appoggiò alla staccionata e si morse le labbra mentre osservava i suoi due bambini di due anni e mezzo, puro potenziale che stava a lui e Gabriel plasmare e cercare di non rovinare, ascoltare con le boccucce spalancate quel maestro d’intrattenimento che avevano la fortuna di avere come padre.

- Figurati - rispose quindi a Dean, conciso e sincero. - Tu fai lo stesso con me, anche senza accorgertene.

Quando udì suo fratello sorridere vicino al microfono del suo cellulare, seppe che quelle parole lo avrebbero aiutato ad addormentarsi serenamente, quella sera.

- Buona serata, Sammy.

- Anche a te, Dean.



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