Capitolo 2- The Place within
Grigio.
La parola
esatta per descrivere la situazione era quello.
Grigio,
ovunque. Una nebbia densa, quasi stritolante.
Claustrofobico,
pensò distrattamente Rachel, mentre cercava di vederci qualcosa attraverso
quella coltre di fumo.
Ecco cos’era
in grado di produrre una di quelle maledette bombe modificate.
Dietro di sé,
sentì Maeve cominciare a tossire.
“Filtra
l’aria…” le disse semplicemente, annoiata. Non le era mai piaciuto fare la
mammina.
La ragazza la
fissò per un attimo, poi tirò fuori un fazzoletto dalla tasca e seguì il
consiglio.
“Tu non ne hai
bisogno…” constatò.
“Ci sono
abituata. E ora andiamo.”
Maeve sospirò,
poi si apprestò a seguire Rachel nel posto più pericoloso del Mondo Abitabile.
E non potè
evitare di darsi mentalmente dell’imbecille.
Se Zach fosse
stato lì, probabilmente si sarebbe messo a dire “che figata!” per ogni
dettaglio che caratterizzava quei luoghi…i posti da bimbi cattivi, sosteneva,
erano sempre stati il suo genere. Rachel, invece, camminava lenta e guardinga.
Dietro di sé, poteva quasi percepire la tensione di Maeve. Del resto non poteva
darle torto. Non ci sarebbe voluto molto a beccarsi una pallottola in testa.
Ed era una
cosa che entrambe avrebbero volentieri evitato.
Giunsero in
una piazza quadrata circondata da edifici appartenenti con tutta probabilità a
un centro affari del secolo precedente. Su un lato erano accatastati alcuni
bidoni di latta. Doveva essere il quartier generale di una delle bande meno
pericolose. Com’era che si chiamavano? Das, Dos..Disused, qualcosa del genere.
Paccottiglia.
Si diressero
verso la strada che si addentrava ancor più all’interno.
A pensarci
bene, era quasi paradossale, che due ragazze appartenenti a fazioni opposte si
stessero avventurando in un posto dove avrebbero dovuto fidarsi l’una
dell’altra per riuscire a cavarsela.
Ma sia nella
H.O.P.E. che nelle squadre speciali di polizia, una delle principali regole
era: se c’è un attacco dei Ribelli, e tu sei vicino, corri sul posto. Puoi
sempre servire.
Il fumo si
stava diradando, lasciando il posto ad una leggera foschia che rendeva la
visibilità maggiore, ma non per questo diminuiva la pericolosità del luogo.
Le sembrò di
sentire qualcosa, in lontananza. Un rumore indistinto, eppure così familiare.
Il suo cervello elaborò la risposta in un millesimo di secondo. La sicura di
un’arma. Tolta.
Si buttò a
terra giusto un attimo prima che una scarica di pallottole diametro 2 cm
fendesse l’aria, esattamente dove, un momento fa, si trovava la sua testa.
Merda.
“Dietro ai
bidoni!!” fece appena in tempo ad urlare a Maeve, prima che una nuova raffica
di proiettili le sovrastasse la voce.
Scattò, rapida
e agile come un gatto, estraendo un caricatore dalla tasca dei jeans.
Poi cominciò a
sparare, ma da dove si trovava non aveva una buona visuale. Sprecò sei
pallottole prima di riuscire a colpire il tiratore al braccio. E quello per un
po’ non avrebbe dato problemi.
Ma per uno che
scendeva, altri spuntavano allo scoperto. Quasi come birilli…e lei aveva sempre
odiato il bowling.
Maeve sembrava
persa nei suoi sogni, immobile. Comoda la vita.
Sentì qualcosa
sfregiarle il piede. L’avevano presa di striscio. E questo non andava bene.
Erano le mie
scarpe preferite.
Due colpi
precisi, e i cecchini più vicini a lei furono a posto.
Ne mancavano
quattro.
Contò
rapidamente i caricatori che aveva rimasto. Due.
Non poteva
permettersi di sprecare altri colpi, o sarebbe rimasta senza armi, e da sola,
visto che Maeve non dava segni di vita.
Puntò il
killer più lontano, che sembrava anche quello con la mira migliore.
BLAM!
Mancato.
“Non
disturbarti ad aiutarmi, stai pure ferma, senza farti problemi…”
Maeve parve
riscuotersi.
“Uh?”
“No, dico, se
vuoi che ci uccidano dillo così almeno non spreco un caricatore per niente e
glielo lascio integro, no?”
“Scusa…”
mormorò a occhi bassi.
Rialzò lo
sguardo appena in tempo per vedere un ragazzo che puntava l’arma contro Rachel.
La ragazza dagli occhi azzurri era impegnata a sparare nella direzione opposta.
L’avrebbe presa in pieno.
“RACHEL!!”
gridò.
Vide il
proiettile partire. Vide la ragazza abbassarsi, e sfruttò quel momento per
sferrare un colpo a sua volta.
E segnò. Il
ragazzo cadde a terra esanime.
Rachel non
perse tempo in ringraziamenti. Si occupò di uno dei due killer rimasti, e Maeve
si concentrò sull’altro. Erano tosti. Di un livello molto più avanzato dei
Disused. Maledizione. Avrebbe dovuto immaginarlo. Le notizie viaggiano veloci a
War. La voce della loro visita doveva essersi sparsa, e le bande importanti, i
“pezzi grossi”, avevano ben pensato di mandare qualcuno a dar loro il
benvenuto.
“Ok, in questi
bidoni dovrebbe esserci benzina, no?? Quando te lo dico io, dai un calcio più
forte che puoi in direzione del tetto e poi spara. Se riusciamo a farli saltare
in aria, possiamo allontanarci in fretta e senza fare troppo casino.”
“Casino? Hai
detto casino? Ma come, e io che pensavo che fossi una ragazza tutta
brava e controllata…mi crolla un mito Rachel!!”
“Ti diverti
molto a fare sarcasmo in momenti come questi?” chiese l’altra, mentre entrambe
colpivano i bidoni dietro a cui si erano riparate. Erano quasi completamente
scoperte.
“Perché, che
male fa?” chiese mentre puntavano all’unisono le pistole.
BLAM!
CLICK.
BOOOOOOOOOOOOOOOOOOMMM!!!
Click?
Scarica.
Oh merda.
“Per esempio
ti toglie la concentrazione per capire che la tua pistola è scarica?” fece
Rachel sarcastica, colpendo il secondo bidone e scattando verso la loro via di
fuga.
Maeve le stava
dietro.
Svoltarono
l’angolo coperte dal fumo dell’esplosione e si infilarono sotto una tettoia.
Era coperte, e momentaneamente al sicuro.
“Grazie”
“…”
“Beh, se non
sbaglio anch’io ti ho salvato la vita, no?”
L’occhiata di
Rachel la congelò all’istante.
“Ti aspetti
davvero un ringraziamento?”
Sospirò. “No.
Direi di no.”
“Perfetto. E
la prossima volta fai attenzione alla pistola, perché se ti si scarica finiamo
male tutte e due. Ah, attenta perché è l’unico caricatore che hai.”
“D’accordo…”
Si
incamminarono lentamente, prestando attenzione ad essere silenziose.
“E comunque,
Rossa?”
“Sì?”
“Bella mira.”
Maeve sorrise.
Il Capo
ricadde pesantemente sullo schienale della poltrona, levandosi i guanti e la
giacca.
Si sentiva
quasi….stanco. La posta in gioco era molto alta.
Il tintinnio
insistente del suo telefono al plasma lo annunciò che c’era una chiamata
importante in arrivo.
Si ricompose
quel minimo che bastava e rispose. Ho bisogno di una lunga dormita.
“Sì?”
“Seth, sei in
linea? Novità forti e non piacevoli in arrivo. Le nostre fonti rivelano che c’è
stato un attacco dei Ribelli dalle parti di casa di una tua cadetta, tale
Rachel. Poco prima sempre nel suo complesso residenziale, si era presentata una
squadra delle Forze Speciali della polizia.”
La sua
attenzione salì ai livelli massimi.
“E?”
“Beh, sembra
che Rachel e un membro della squadra speciale siano entrate in War.”
“Non c’è modo
di contattarla?”
“No.”
“Come hanno
fatto a scoprirla?”
“Penso che la
tenessero d’occhio da parecchio, Seth…”
“Capisco.”
“Ma lei era
preparata a riceverli, da quanto mi risulta. Comunque ti mando il rapporto
completo di tutto via fax, e, Seth, le avevi dato il fascicolo?” La
preoccupazione trapelava dalla voce.
“Prepara una
squadra speciale. Mi serve che si spaccino per agenti della polizia e vadano a
casa di Rachel a recuperare…i documenti e l’attrezzatura finché lei non torna.
Non possiamo permetterci che scoprano i nostri progetti.” Evitò di rispondere
l’altro “E, un’ultima cosa…”
“Sì?”
“Trovami
Zaccaria…e mandamelo qui il prima possibile.”
“Non è un
problema.”
Zach alzò lo
sguardo. Una ragazza della H.O.P.E. era davanti a lui, in attesa.
Neanche un
maledetto caffè…
…oggi non è
proprio giornata.
“Sì?” cercò di
usare il tono più gentile possibile, e di non far trapelare il suo nervosismo.
L’aveva già vista quella ragazza. Ma dove? Il suo cartellino diceva che si
chiamava Grisham. Sheila Grisham. Carina, mora, occhi chiarissimi…non sembrava
di quelle parti.
Conoscenza
interessante.
“Potresti
seguirmi un attimo dal Capo, per favore?” stava chiedendo intanto quella.
Si accorse di
essersi perso nei suoi pensieri e si riscuotè improvvisamente.
“Ma certo, se
me lo chiedi tu, dolcezza” sorrise seguendola.
La ragazza
sorrise a sua volta. “Nn mi si incanta con certi trucchetti..dai, vieni”. Uuuh,
la classica Io-Sono-Una-Tosta. Uscirono dal bar.
Certo, se non
ti interesso, tesoro, come mai ora ancheggi così?
E con un mezzo
ghigno sadico sulle labbra, si apprestò a seguirla.
L’ambiente
mutava. I grandi palazzi disabitati, sede di corse clandestine, spacci, risse
all’ultimo sangue fra bande, si stavano diradando, lasciando il posto a vecchie
case disabitate, probabilmente magazzini d’armi, e, infine, a quello che Maeve
temeva di più in assoluto.
“Benvenuti a
The Forgotten” mormorò Rachel a mezza voce. Si fermò un attimo appoggiandosi ad
un vecchio lampione mezzo per terra, per raccogliere le idee.
Maeve intanto
guardava il paesaggio. Non pensava, solo…osservava.
Non sapeva
dire che cosa la spaventasse tanto di quel posto temuto da tutti.
Il territorio
di nessuno.
Molto tempo
prima, le prime bande che occuparono War presero subito dei “pezzi” del posto,
dei quartieri. Li scelsero separati tra loro in modo da non calpestarsi i piedi
a vicenda nei loro affari. Ma ovviamente ci furono disaccordi molto accesi,
soprattutto riguardo a quel luogo, che tutti volevano perché era una vecchia
fabbrica di armi nucleari in disuso. Dopo numerose guerriglie, si giunse a un
accordo: nessuno avrebbe avuto quel luogo, e nessuno ci sarebbe dovuto entrare,
mai, altrimenti i precari equilibri di “pace e rispetto” fra le bande sarebbero
stati spezzati. Doveva diventare qualcosa di dimenticato, e fu chiamato The
Forgotten. Il territorio fu raso al suolo, e ogni banda mise qualche cecchino
di vedetta in modo da controllare che il Patto non fosse violato. E le cose non erano cambiate.
Non potevi
attraversare The Forgotten, perché saresti stato ucciso. Nessuno poteva passare
di là.
E se morivi,
potevi stare pur certo che nessuno sarebbe venuto a togliere di mezzo il tuo
cadavere.
Quanta gente
era morta in quel posto dimenticato da Dio, senza poter ricevere una degna
sepoltura?
Improvvisamente
le venne da vomitare.
“Rachel, io
non posso farlo.”
Rachel uscì
dalla sua breve meditazione con la stessa rapidità con cui vi era caduta.
“Come sarebbe
a dire non puoi farlo? Tu devi farlo, ormai non ti puoi tirare indietro.”
“Senti, tu sarai
anche una senzadio, ma io sono religiosa e se voglio morire voglio almeno che
qualcuno venga a recuperare il mio corpo, voglio almeno essere sepolta,
maledizione!!!” esplose la rossa.
Lo sguardo
dell’altra si raggelò tanto da parere nero, invece che azzurro.
“Senti tesoro,
non so con chi credi di avere a che fare, ma non sputare sentenze su di me. Tu
non mi conosci e non avrai mai modo di conoscermi perché una volta uscite di
qui io tornerò alla mia vita e tu alla tua, e tanti saluti. Non provare mai più
a dire una cosa del genere o ti prometto che ti farò pentire di essere nata, e
dovresti conoscermi quel poco che basta per sapere che le mie promesse le
mantengo, non ti pare?” sibilò.
Poi cambiò
radicalmente, diventò di nuovo distante, controllata.
“Ho fatto un
minimo di calcoli e se siamo veloci e ci copriamo le spalle a vicenda potremo
arrivare dall’altra parte vive e intere. D’altronde, passando per l’altra via
ci avrebbero ammazzato in meno di tre secondi, e comunque avremmo perso un
sacco di tempo, quindi questa è l’unica soluzione possibile.”
“Dobbiamo
proprio farlo?”
“Tranquilla
Rossa, non posso permettere che ti uccidano, una pistola è sempre meglio di due
e voglio strangolarti personalmente.” La prese in giro, e non bonariamente, ma
meno malignamente di quanto in realtà avesse voluto. Probabilmente il suo
istinto di sopravvivenza le aveva suggerito che era meglio ingraziarsi la tipa
per avere più possibilità di sopravvivenza. Se i rinforzi si fossero sbrigati,
in ogni caso, sarebbe stato meglio per tutti.
“Ma la regola
dice di cercare di salvare i civili o gli innocenti che ci sono, e non di
andare per forza a controllare la situazione, anche perché in due saremmo
comunque in svantaggio.”
“Stanno
arrivando i rinforzi, e anche dalla tua parte credo. E poi non so tu ma io ho
un conto in sospeso con questi bastardi…” Un lampo, talmente veloce che pensò
di non averlo visto realmente. Ma qualcosa era passato sul viso di Rachel,
qualcosa che non la faceva più sembrare così fredda e controllata, la faceva invece
apparire fragile, e umana. Ma il tempo di un battere di ciglia, e la ragazza
era ancora lì, la stessa espressione sul viso, la stessa voce logica, la stessa
aria distaccata.
Poi si avviò,
non permettendole di replicare. Sospirò per l’ennesima volta. In fondo, che
scelta aveva? Avevano sprecato già troppo tempo, e se fosse tornata indietro da
sola si sarebbe fatta ammazzare.
Non poteva che
seguire la castana, sperando di cavarsela, e con una domanda fissa in testa,
sempre più in rilievo:
Chi sei davvero?…Che
cosa nascondi Rachel?
Nevra.
Non sapeva
perché, passando in quel corridoio, aveva visto passare una ragazza bionda e
l’aveva subito collegata a lei. O forse lo sapeva il perché, ma rifiutava di
ammetterlo…la verità era che qualche volta le capitava di pensarla.
Ok, forse un
po’ più spesso di qualche volta…
La verità è
che andava matto per le ragazze, certo, ma soprattutto per quelle dolci e
bionde.
Anche le
castane, o meglio alcune castane…
Come una certa
Occhi Azzurri che odiava il soprannome che le aveva affibbiato e spesso faceva
finta di odiare anche lui. Ma adorava quella ragazza. In un modo strano si
erano conosciuti, in un modo strano erano legati…Erano rivali, ma erano amici.
Perché Rachel sapeva che Zach c’era sempre, e probabilmente le scocciava
parecchio, ma quando non c’era…beh, forse stava meglio. O perlomeno era quello
che diceva sempre. Ma faceva capire che in realtà gli mancava. Erano come
fratelli.
Zach adorava
Rachel e la prendeva com’era, una fredda e distaccata ragazza che in fondo,
molto in fondo, aveva anche dei sentimenti. Ma li teneva solo per sé.
Erano arrivati
all’ufficio. Sperava solo che non fosse successo niente di strano.
Si congedò da
Sheila con un baciamano, e la ragazza sorrise e gli mollò un coppetto.
“Già prendiamo
confidenza, bellezza…meno male che ti vuoi mostrare distaccata!!”
Lei lo guardò
con aria sprezzante, ma si vedeva benissimo che le veniva da ridere. Poi voltò
sui tacchi e se ne andò.
Zach diventò
improvvisamente serio, si voltò verso il portone, bussò come da manuale ed
entrò dopo essere stato invitato.
Ascoltò il
Capo, e man mano che quello parlava, sentiva lo stomaco chiudersi.
Si
prospettavano casini.
Il tempo
sembrava essersi fermato. Aveva messo prima un piede, poi l’altro, e poi era
ufficialmente entrata in The Forgotten. Se giusto qualche settimana prima
qualcuno le avesse detto che sarebbe finita ad attraversare il punto più
pericoloso e temuto del posto che odiava di più al mondo, in compagnia della
ragazza che doveva catturare e che aveva fatto saltare la sua copertura, e
diretta verso il covo delle bande più pericolose, alias verso l’ignoto,
probabilmente l’avrebbe preso allegramente a calci in culo fino al manicomio
più vicino. Proprio imprevedibile la vita.
Rachel aspettò
che si posizionasse dietro di lei, poi, schiena contro schiena, procedettero
rapide. I loro passi veloci sembravano quasi ovattati, immersi in
quell’atmosfera di calma surreale.
Non un suono.
Tutto era
immobile.
Forse le
sentinelle erano davvero state richiamate dal caos della bomba e se ne erano
andate. Maeve sperò con tutto il cuore che fosse così.
Continuarono
ad avanzare, gli occhi ben aperti, le orecchie ritte, pronte a percepire
qualunque suono estraneo.
Continuavano a
percorrere The Forgotten.
Erano arrivate
quasi a metà quando si scatenò l’inferno.
Il piano era
semplice. Travestirsi da poliziotto, entrare in casa, requisire i documenti e
l’attrezzatura.
Zach camminava
nella sua divisa con l’aria più fiera possibile, tronfio come i pezzi
importanti della gerarchia. O almeno ci provava.
Era abbastanza
speranzoso.
Quando però
arrivò davanti al complesso residenziale di Rachel, e vide le 20 volanti della
polizia, cominciò a preoccuparsi.
Individuò
subito quello che doveva essere il capo, un uomo sulla cinquantina, non troppo
alto e dal piglio severo e pignolo.
“Agente
Gregory Aliard, sono venuto qui per perquisire l’appartamento come avevate
detto.”
“Ah Gregory,
ben arrivato…so che sei un buon agente della scientifica, tuo padre mi ha
parlato molto di te, ti sei laureato con pieni voti no? Beh te l’avevo detto
che quel professore era molto…comprensivo. D’altronde, è mio cugino…” fece con
aria complice.
Schifosi
venduti.
“Comunque”
aggiunse vedendo che gli altri agenti si avvicinavano “mi auguro che tu abbia
studiato, perché dovrai controllare l’appartamento da cima a fondo. La
serratura è ancora chiusa, tutto è stato lasciato com’era in tua attesa. Prego,
va’ pure.”
Che Aliard
avesse studiato non era un suo problema. Esisteva davvero un Gregory Aliard,
peccato che ora si stesse facendo un viaggetto nel mondo dei sogni, ma questo,
ovviamente, il sergente non poteva saperlo.
Doveva agire
in fretta.
Sicuramente,
da raccomandato qual era, il signor Aliard non si era preso la briga di
imparare come forzare una porta al plasma, anche perché pochi ce la facevano,
quindi utilizzò il metodo che probabilmente il vero Gregory avrebbe adottato:
prese due armadi a quattro ante con la divisa, e dopo due poderose spallate la
porta chiusa non fu più un problema.
Con la scusa
della privacy per la concentrazione o qualcosa del genere, riuscì a far
allontanare gli altri verso il Bar. Controllò per sicurezza. Una goccia di
sudore gli scivolò giù dai capelli, biondi per l’occasione, per la pelle
abbronzata, fino agli occhi azzurri. Biondo e occhi azzurri, pelle
ambrata…doveva abitare dalle parti del mare questo Aliard. Un riccastro.
Gli ultimi
agenti si diressero a controllare le zone circostanti per vedere di localizzare
Rachel e la loro amichetta, la tipa della reception. L’aveva vista qualche volta,
di sfuggita.
Bene, era
solo.
Ripulì la
stanza delle prove e degli oggetti in fretta, assicurandosi di aver fatto tutto
secondo le regole. Controllò l’appartamento tre volte. Tutto nella norma.
A posto.
Sperava solo
di riportare quei gingilli alla proprietaria il più presto possibile.
Raccolse
tutto, lo ficcò nella ventiquattrore e si apprestò ad uscire.
E questo
cos’è? Si disse accorgendosi di un fascicolo sconosciuto fra gli appunti.
Probabilmente
non ci dovrei guardare, ma…
No, non ci
devo guardare. Sono o non sono un agente della H.O.P.E.?
Gli venne da
ridere.
La tentazione
di sbirciare era forte.
Se ne andò
senza troppi problemi. Era filato tutto liscio.
Arrivò alla
Base cinque minuti dopo.
Era entrato in
un pub sperduto e maleodorante sulla settantacinquesima, appena accanto alla
linea di vecchie abitazioni che segnavano il confine con War. Nessuno lo aveva
visto entrare nei bagni a cambiarsi, nessuno lo aveva visto uscire. Il barista
sembrava troppo occupato a preparare qualche busta di polvere bianca,
probabilmente qualche droga aggiustata con detersivi o roba del genere, per
badare a lui.
Arrivò alla
base inosservato, come quando se n’era andato.
La
ventiquattrore era stata sostituita da uno zaino in tessuto antiproiettile,
“aggiustato” con borchie e catene sopra in modo da sembrare lo zaino di un
rapper. Il suo zaino preferito.
Sheila lo fece
passare per andare dal Capo. Doveva essere una delle segretarie più importanti,
una di quelle della fascia interna, con un ruolo importante quasi quanto quello
suo e di Rachel, perché non l’aveva mai vista. I lavoratori della fascia
interna non li vedevano mai, ma erano loro che affibbiavano le missioni e
tenevano aggiornati i database, malgrado fossero perfettamente in grado di
farlo anche le varie spie che lavoravano alla H.O.P.E., ma il Capo aveva
preferito dividere tutti in settori, per rendere il lavoro più funzionale.
Magari proprio Sheila si era preoccupata di trovare le informazioni su Gregory
Aliard, mandare una squadra a sparargli una pallottola al sonnifero comune e a
sistemare i dettagli;e di fornire a Zach gli strumenti necessari per diventare
come lui. Era bravo a imitare le persone nel corso delle missioni. Anche Rachel
lo era.
Ecco.
Cercava di
distrarsi, ma il suo pensiero tornava sempre inevitabilmente a lei. Rachel.
Chissà come stava. Era preoccupato per lei, sperava che il Capo avesse sue
notizie.
Intanto, era
nuovamente arrivato alla porta laccata bianca. Bussò per farsi riconoscere, e
gli parve di sentire un “avanti”, quindi entrò.
“Missione
compiuta, Capo.”
Aspettò che il
Capo gli dicesse qualcosa, ma la sedia era voltata contro il muro.
Dopo le sue
parole, si girò.
Ma sulla sedia
non c’era il Capo.
C’era suo
padre.
*******************************************
RAGAZZI!!!
BUON NATALE ANCHE SE IN RITARDO!!!! ^_______^
Beh, che posso
dire…ecco il secondo capitolo!! Eh eh eh eh…piaciuto il colpo di scena? (No,
eh?) E vabbè, raga’, io ci ho provato, migliorerò!! (Spero.. ^-^)
Allora, che ne
pensate? Cominciano a mescolarsi le carte in tavola, e quindi a crearsi i primi
casini!! Chissà come staranno Rachel e Maeve….se la caveranno o finiranno
peggio di una groviera? E che ci fa il padre di Zachary sulla sedia di Seth?
Ok lo confesso
ha preso il posto del Capo perché lui era venuto a festeggiare con me
:DDDDDDDDDDD Va bene basta!!
Fatemi sapere
che ne pensate mi raccomando…
E ora passiamo
ai ringraziamenti:
Ame:
grazie!!!!! ^____________^ Mi hai fatto davvero molto piacere con la tua
recensione, non so perché il carattere è venuto così grande, io ne avevo
selezionato uno più piccolo O___O Mah, avrò incasinato tutto come al solito
‘^_^
Comunque
grazie mille, continua a seguirmi!! 1 bacione
Mucchilla_Cinghillo:
grazie, mi hai lasciato una recensione lunghissima, non me la sono presa e mi
hanno fatto piacere sia i complimenti che le critiche!! ^________^
Ho cercato di
correggermi, spero che così l’insieme risulti più leggero, che te ne pare?
Sì, la tua
storia l’ho letta, e mi piace anche molto!!
Se devo essere
sincera, l’ispirazione l’ho presa dalle Charlie’s Angels :DDDD Mi è piaciuto
molto il film e mi hanno sempre attratto le organizzazioni di spionaggio, e
dopo aver letto un libro di fantascienza, diciamo che ho voluto provare a
sfidarmi e così è nata la storia!! Anche perché ho bisogno di esprimermi e
spero di riuscire a farlo attraverso la carta. Se ti sembra che abbia preso
qualcosa dalla tua storia mi dispiace, non era mia intenzione!! Il fatto è che
dopo aver letto qualcosa, mi rimane nella mente, e magari quando vado ad
ampliare una storia, mi vengono in mente quelle idee in forma diversa…non so se
mi sono spiegata, è un po’ complicato ^_^. Per quanto riguarda il carattere, io
ne avevo selezionato uno molto più piccolo, ma poi è venuto fuori
spropositato!! O_______O Boh…
Uhm, forse
effettivamente sono stata un po’ pesante, spero di aver alleggerito in questo
capitolo, anche se sono un po’ pignola e forse per questo tendo a specificare
tutto ^__^. Per quanto riguarda la forma colloquiale, d’oh, a me non
sembrava…forse rileggendo però ho trovato i punti che tu citi…in questo
capitolo mi sembra di aver eliminato questi errori, tu che ne pensi?
Beh dai,
invece di mettere la presentazione lunga all’inizio, l’ho posticipata e l’ho
messa alla fine!! ^______^ Dai, scherzo…comunque continua a seguirmi e fammi
sapere che ne pensi, eh!!! Ci conto!!!
Un bacione
Dai
ragazzi…commentate please!! ^________^
Ci tengo a
sapere che ne pensate!!!!
Bacioni e
ancora auguri!!!
Ginevra
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