Catharsis

di angelenergy_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. You're somebody else ***
Capitolo 2: *** 2. Blazing lies ***



Capitolo 1
*** 1. You're somebody else ***


CATHARSIS

1. You’re somebody else
Well you look like yourself
But you're somebody else
Only it ain't on the surface
Well you talk like yourself
No, I hear someone else though
Now you're making me nervous
(You’re Somebody Else – flora cash)


 
 
 
 
Era così estenuante dover avere a che fare ogni singolo mese estivo con quel perenne caldo soffocante, che le impregnava la pelle e le rendeva pesanti e intollerabili i suoi caratteristici capelli color papavero, ormai irrimediabilmente cresciuti fin sotto al seno – erano il suo più grande orgoglio dopo la sua media scolastica: nessuno che non avesse voluto vivere il resto dei suoi giorni con qualche arto in meno avrebbe anche solo osato provare a sfiorarli con un dito; un’altra cosa che odiava e che rendeva insostenibile quel tempo passato in quella che un tempo avrebbe definito casa, ma nella quale si stava rendendo conto di star diventando pressoché un’estranea, era il fatto di dover essere costretta a rimpiazzare per tre lunghissimi e tediosissimi mesi la presenza delle sue meravigliose amiche con quella petulante e sgradevole della sorella Petunia: il suo odio nei suoi confronti era pari a quello di una tempesta marina implacabile, e, dopo tutti gli anni nei quali aveva sprecato così tanto fiato a ripeterle la stessa, medesima cosa, e cioè che l’essere maga non la rendeva meno umana o meno capace di volerle bene, ormai Lily aveva rinunciato ad avere qualsiasi rapporto civile con lei, e cercava in tutti i modi di distrarsi come poteva, per non pensare a come una persona a cui aveva così tanto voluto bene in passato fosse potuta diventare così di colpo un’estranea, nonostante vivessero ancora sotto lo stesso tetto per qualche periodo all’anno e avessero gli stessi genitori. Il suo cuore era un paese straziato, ma era brava ad accantonare quel dolore in qualche recesso di sé e far finta che non esistesse.  
La situazione era la stessa da sei anni a quella parte, e l’atteggiamento che la sorella mostrava nei suoi confronti non sembrava essere intenzionato a cambiare per quello che lei prospettava un tempo davvero lungo, ma si era davvero stancata di sprecare le sue energie per rincorrere una persona che evidentemente non la voleva.
Prima di vedersi con Chet, il ragazzo babbano con cui aveva intrapreso una relazione circa da quando era tornata a casa per le vacanze, quel pomeriggio era scesa dalla sua stanza a prepararsi un caffè all’italiana - quella che lei definiva ‘la bevanda degli dèi’ – quando improvvisamente aveva sentito sbattere violentemente la porta della cucina, mostrando ai suoi occhi smeraldini uno scorcio di soggiorno. Come vide catapultarsi nella stanza una chioma castana e ordinata in maniera quasi maniacale, spostò nuovamente gli occhi sulla sua moka, attenta a non versare neanche un briciolo di quella polverina scura.
“Ciao.”
Silenzio. Era quasi la metà di luglio, e, tra le cene di Petunia con le sue numerose amiche o con il suo enorme fidanzato, le sue uscite al cinema o le serate passate con Chet, quella era forse la seconda o la terza volta che si vedevano in tutta l’estate. Ed era ancora silenzio.
Un sorrisetto triste le era comparso sulle labbra, ed era pronta a chiudere con forza la macchinetta, che proveniva direttamente da un negozio italiano ed era tra i marchingegni più insoliti e scomodi da utilizzare che potesse mai decidere di acquistare come souvenir, quando, inaspettatamente, sentì una voce fredda alle sue spalle.
“Mi sposo.”
Si girò di scatto, credendo di aver capito male, ma gli occhi di un verde spento e forse anche più freddi della voce che incontrò le diedero una risposta che, beh, la lasciò di sasso. Rimase a guardarla come si guardava un fantasma, in petto la sensazione che la sorella le stesse letteralmente scivolando tra le dita, così come il loro rapporto ormai in frantumi.
“Mi sposo. A dicembre, durante le vacanze di Natale.” Si interruppe, guardandosi le mani.
Lily non riusciva ad esalare respiro. Era la prima volta che la sorella le parlava, le rivolgeva più di due parole in fila che non fossero monosillabi, che non le urlava contro che era un mostro. Non voleva rovinare tutto aprendo la sua stupida bocca a sproposito.
“Vernon mi ha chiesto di sposarlo.”
“Okay.” La sua voce uscì roca. Non capiva davvero dove voleva andare a parare.
“Non ti sto…invitando.” Pronunciò quella parola con una smorfia, come se avesse ingoiato un cucchiaio di aceto, e la infilzò con quegli occhi gelidi, intingendo ogni parola in una pozza di disprezzo, come prima si era dimenticata di fare. “Non mi sognerei mai di invitare una come te nel giorno più bello della mia vita.”
“Se non…” Lily prese un lungo respiro, cercando di ignorare quel dolore che cercava di contenere in un angolo del suo cuore che minacciava di salire in superficie. “Se non vuoi invitarmi non capisco perché sei qui a dirmelo.” Si interruppe, in volto una finta espressione dubbiosa.  “Ah, giusto, un’altra scusa per ricordarmi quanto mi odi. Be’, grazie tante, non me ne sono certo dimenticata, e ora che lo sai sparisci.”
Petunia strinse i pugni e la bocca assunse una piega stizzita, ma quando le rispose la sua voce era perfettamente calma.
“Sono qui per dirti che quando mi sposerò e uscirò da quella porta, sarà l’ultima volta che mi vedrai. Non ho intenzione di avere più niente a che fare con te e i tuoi…ridicoli trucchetti, né voglio che Vernon sappia mai della tua presenza e possa anche solo sospettare qualcosa sulla tua stramba natura. La mia esistenza è andata a catafascio dal momento in cui sei anni fa è arrivata quella lettera e, aprendola, anche tu sei cambiata e mi hai reso la vita un inferno, cosa che non ti perdonerò mai. Non permetterò che tu e le tue tendenze continuiate a rovinarmi anche il più piccolo dei miei momenti felici, né che ogni singola cosa che faccio venga più intaccata dalla tua maledetta ombra. Mi sposerò, avrò dei figli, invecchierò guardandoli crescere, ma non posso tollerare che tu sia di sfondo a tutto questo. Non posso tollerarti e mai lo farò. Voglio che tu ti tenga fuori dalla mia vita, per sempre.”
La sorella aveva sputato fuori tutto l’odio che si teneva in corpo da un bel po’ e l’aveva fatto senza distogliere gli occhi dai suoi neanche per un secondo. Lily doveva sentire sulla sua pelle quello che le aveva fatto, doveva capire che era stata la rovina della sua vita fino a quel momento, doveva capire che il disgusto che provava verso di lei la ripugnava a tal punto da non sopportare neanche di trovarsi nella stessa stanza con lei. Doveva capire che non voleva sprecare un solo minuto in più con lei della sua esistenza, che, in quella casa, era solo di peso. Doveva provare tutto il risentimento che aveva sentito lei quando l’aveva vista allontanarsi dalla sua vita e sbocciare in un mondo totalmente nuovo e infinitamente più bello di quello in cui si trovava lei, senza la capacità, però, di poterla includere. E Lily l’aveva capito, sì, l’aveva compreso alla perfezione. Gliel’aveva letto negli occhi, quegli occhi così simili ai suoi, ma allo stesso tempo così diversi, spenti, privi della sua luce che tanto la faceva piacere agli altri.
Il cervello di Lily aveva registrato ogni parola che aveva detto, ce le aveva stampate con un inchiostro indelebile davanti agli occhi. Ma il suo cuore si era sbriciolato nei suoi occhi, e qualcosa, dentro di lei, si era definitivamente rotto.
 






 
*   * ⋆   .
 
 






Mentre osservava scorrere davanti ai suoi occhi il paesaggio delle dolci colline britanniche, e accarezzava distrattamente con le dita sottili l’imbottitura patchwork del sedile sotto le sue gambe, Lily avrebbe volentieri regalato tutti i suoi risparmi conservati alla Gringott a James Potter piuttosto che accettare che quella conversazione, risalente ormai a più di un mese prima, fosse mai avvenuta.
Non aveva pianto. Malgrado la sorella l’avesse definitivamente cacciata via dalla sua vita, le avesse sputato in faccia tutto quanto il disprezzo che provava nei suoi confronti e avesse troncato, infine, ogni remota speranza, che la ragazza in cuor suo ancora sentiva nascere quando la guardava, di poter risanare un rapporto che ormai risultava irrimediabilmente lacerato, Lily Evans, Caposcuola Grifondoro di Hogwarts, la ragazza con la media più alta di tutta la scuola, conosciuta anche e soprattutto per i suoi storici scontri verbali, che non di rado sfociavano nel magico, tra i corridoi del castello con Potter, non aveva permesso che una sola lacrima le solcasse quel viso candido. Non lo permetteva mai. Non doveva mostrarsi debole, lei non era debole, e anche se neanche lei ci credeva poi così tanto, semplicemente lasciava che ogni difficolta o sofferenza che le faceva venire un groppo in gola venisse assorbita da una bolla di dolore che covava in qualche angolo di sé, che si stava facendo irrimediabilmente più grande ogni giorno che passava. La sentiva che gli doleva in un punto tra le costole e i polmoni, a sinistra.
Quanto tempo sarebbe rimasto prima che scoppiasse?
“Lils.”
Che cosa sarebbe successo nel momento in cui fosse esplosa?
“Lily J. Evans.”
Improvvisamente non pensava che fosse così forte come tutti la credevano, e come cercava lei di apparire, se effettivamente sotto c’era sempre qualcosa che minacciava di distruggerla, sia esternamente sia…
“C’è un primino al vento sul tetto con solo le mutande.”
“Dove? Che cosa?! POTTERR!!”
La rossa scattò in piedi, tutt’a un tratto vigile, facendo trasalire le ragazze sedute vicino a lei. Se qualcuno era nei guai o si trovava in una situazione di dubbia innocenza, Potter e la sua combriccola c’entravano sempre di sicuro qualcosa.
Marlene scoppiò in una fragorosa risata, e così anche Emmeline tentò di nascondere un risolino sotto le sue ciocche bionde. Notando il lampo di furia che aveva attraversato i suoi occhi smeraldini e la bacchetta sfoderata, pronta ad affatturare qualsiasi canaglia le si fosse presentata sotto il naso, la prima si era avvicinata e l’aveva presa per un braccio, ridacchiando. “Calma Lils, nessun primino rischia la morte.”
“Io e Marls abbiamo giocato talmente tante partite di magiscacchi che se quest’anno non ci prendono ai campionati mi ritiro da Hogwarts, non me ne frega. Sono ore che ti chiamiamo, ma tu non dai nessun segno di vita.” Intervenne Emmeline.
“Si esatto. Sembravi un blocco di cemento, ad un certo punto volevo pure metterti due dita sotto al naso per controllare se stavi ancora respirando.”
 “Be’ siete riuscite ad avere la mia completa attenzione.” Lily si rimise al suo posto fingendo un sospiro scocciato, anche se in realtà una scintilla divertita le illuminava il volto. Le ragazze avevano sempre quel potere su di lei, erano letteralmente la sua forza.
“Interessante come è venuto subito fuori il nome di Potter…” Ghignò Marlene, perfida.
“Marls. No.”
“Ma…”
“No.”
Scoppiarono di nuovo a ridere. Le erano mancate troppo, proprio non riusciva ad arrabbiarsi con loro, neanche per quell’allusione che ormai andava avanti da un po’, e sulla quale lei sapeva le due non avrebbero rinunciato fino a quando non si fosse sposata e avesse avuto dei figli con qualcuno; era la prima volta che le rivedeva dopo tre mesi, non aveva proprio voglia di una scaramuccia a causa di quel vermicolo con le gambe.
“Okay, okay, lo confesso. Sono follemente, irrimediabilmente, incondizionatamente, totalmente, pazza dalla voglia di James Potter.” L’abitacolo riecheggiò delle risa delle due amiche, che si tenevano la pancia dalle risate e si asciugavano le lacrime agli occhi, mentre Lily continuava con voce mortalmente seria. “Precisamente dalla voglia di buttarlo giù dalla torre di Astronomia, fargli fare tutte e 142 le scalinate rotolando, appenderlo al soffitto della Sala Grande con addosso solo i boxer coi boccini, fargli scomparire con un incantesimo tutte le ossa che ha in corpo e poi…” La ragazza non riuscì a terminare il suo monologo che la porta dello scompartimento si socchiuse, rivelando due figure maschili per niente desiderate.
“E’ per caso una dichiarazione d’amore quella che sento?” James Fleamont Potter fece il suo ingresso senza che nessuno glielo chiedesse, i capelli scarmigliati ad arte e lo sguardo malandrino puntato sulla figura di Lily; poco dopo anche il compare Black fece capolino da dietro le sue spalle, il ghigno perenne sulle labbra. In tre mesi non era cambiato assolutamente nulla.
“Oh, Potter! Parli del cinghiale e spunta il porco.” A quell’uscita le ragazze non riuscirono a trattenersi oltre e si piegarono in due dalle risate, mentre la rossa sfoggiava un sorriso a trentaquattro denti.
“Vedo che siamo in forma smagliante, Evans.” Ma i suoi occhi stavano scivolando su tutto il suo profilo, dall’alto in basso, più volte, una scintilla diversa gli illuminava l’espressione ed era evidente che non si riferiva soltanto alla sua lingua biforcuta. Di colpo la ragazza fu anche troppo consapevole della camicia tesa sull’ampio petto, che non ricordava che a giugno fosse stato così massiccio, della cravatta allentata e dei due bottoni lasciati slacciati apposta, della sua voce di un tono più profonda, roca, e del marrone dei suoi occhi così intenso, che tanto le ricordava il cioccolato fuso e…
E basta. Era soltanto Potter. Punto.
“Dici bene. A proposito, perché tu e Black siete ancora qui? Non dovete, che ne so, spaventare qualche primino?” Intanto le sue amiche si erano ricomposte e facevano saettare lo sguardo tra le due figure, come a guardare una partita di Quidditch dove Lily era il battitore e James la pluffa. Marlene stava per lasciarsi scappare nuovamente una risata, quando per sbaglio incontrò i pozzi di argento liquido di Sirius Black, il quale le rivolse un cenno di saluto col capo; non erano grandi amici, ma le loro famiglie, entrambe appartenenti a delle nobili casate di sangue rigorosamente puro, e il loro carattere per certi versi molto simile avevano fatto sì che sviluppassero una sorta di tolleranza reciproca, che però non era mai sfociata in una vera e propria amicizia, e la mora non ci avrebbe neanche tenuto: era infatti risaputa da tutti la tendenza del ragazzo, così come quella dell’amico, di passare felicemente di fiore in fiore, per quanto riguardava i rapporti con le altre ragazze, ed era una cosa che lei non poteva assolutamente accettare.
“In realtà…” E qui James avanzò di un passo verso la rossa, mentre la mano andava, senza che ce ne fosse alcun bisogno, a scompigliarsi la chioma ribelle, gesto abituale che faceva cadere ai suoi piedi più esseri femminili di quanto sarebbe stato possibile e aveva lo strambo potere di mandare Lily in bestia in un decimo di millisecondo. “Io e Felpato passavamo di qui per puro caso quando abbiamo sentito la tua soave voce pronunciare dolcemente il mio nome, per cui ho pensato avessi bisogno di me.”
“E invece hai mai pensato che il tuo ego è così spropositatamente grande che ti fa credere di sentire le voci di persone che ti chiamano quando in realtà non è così? E’ una malattia, Potter, si può curare, non so se hai mai sentito la parola babbana ‘ospedale psichiatrico’.” Stavolta neanche Sirius riuscì a trattenersi ed esplose nella sua risata spaventosamente simile a un latrato, al punto da guadagnarsi un’occhiata stizzita e una gomitata nelle costole da parte del diretto interessato.
“Sai cos’altro ho di spropositatamente grande?” Il moro esibì un sorrisetto di sghembo per niente rassicurante.
“Oh no, Ramoso, ti prego, ti scongiuro, non dire cosa stai per dire.” Fece Black mentre le guance di Lily si imporporarono in maniera del tutto inaspettata, e si lasciò per di più sfuggire una tosse imbarazzata.
“Intendevo dire, che ho una grande carisma e anche un grande senso di responsabilità”
“Questa penso sia la cosa più idiota che io ti abbia mai sentito dire, e fidati che da te di cose idiote ne ho sentite dire tante.” Era più forte di Lily, per una sottospecie di legge cosmica, quando James Potter le rivolgeva la parola o solamente disturbava la sua quiete con la sua presenza doveva per forza rispondergli per le rime; era una questione di principio, da ormai sei anni a quella parte, come era di principio che il ragazzo cercasse in tutti i modi di farla capitolare ai suoi piedi, perché, beh, Lily Evans era la ragazza più bella che avesse mai visto, e anche l’unica che non solo gli avesse rifilato un no secco e brutale, ma che fosse anche in grado di tenergli testa sia verbalmente, sia in quei non così rari e spettacolari scontri magici lungo i corridoi del castello che finivano sempre per suscitare la muta ammirazione degli studenti e l’ira più nera dei professori, a causa dei danni che essi arrecavano talvolta alla scuola.
Negli anni quindi, per James Potter, conquistare la rossa era diventata una vera e propria sfida personale senza esclusione di colpi; la diretta interessata ne era pienamente a conoscenza, e non aveva la benché minima intenzione di dargli corda.
Ma in realtà l’odio della ragazza nei suoi confronti non era limitato al solo fattore della natura da gigolò, per così dire, di James, esso aveva radici ben più profonde e ancorate saldamente a un terreno da cui nemmeno la più potente delle zollatrici babbane sarebbe riuscita a estirparlo. Precisamente risaliva al primo anno ad Hogwarts, quando Severus Piton era ancora una delle persone per le quali Lily avrebbe dato la sua stessa vita, malgrado egli fosse della casa di Serpeverde e nessuno, concretamente, vedeva di buon occhio il loro rapporto di amicizia proprio per questa ragione: James, infatuato dalla rossa, nel vedere che un altro ragazzo, a differenza sua, era riuscito a convogliare in lei tutto quell’affetto, sommando poi il fatto che quel ragazzo era una lurida serpe, si era autoproclamato sin dagli albori nemico giurato di Mocciosus – come lui e gli altri Malandrini l’avevano poi ribattezzato  -  e difensore decisamente non richiesto della Evans, cosa che in qualche modo aveva ritenuto lo autorizzasse ad andarsene in giro a lanciare fatture o esibire le più fantasiose cattiverie ogni volta che per sbaglio lo incontrava. Un tempo Lily si sarebbe tagliata un braccio con una seghetta arrugginita per far sì che i Malandrini smettessero di compiere angherie su di lui, ma al tempo egli non le aveva sputato contro l’offesa più grande che si potesse rivolgere ad una persona del suo stato, che mai avrebbe pensato di poter sentire uscire dalle sue labbra, e che aveva confermato la reale e orribile persona che si celava dietro quella facciata che, evidentemente, aveva tenuto per tutti quegli anni: l’aveva chiamata schifosa Sanguemarcio. E lei neanche ci avrebbe dato più di tanto peso se ad appellarla così non fosse stato il suo miglior amico. Malgrado l’inclinazione religiosa cristiano-cattolica con cui era stata cresciuta, della quale uno dei fondamentali principi era forse quello del porgere l’altra guancia, in futuro lei non sarebbe mai riuscita a dimenticare quel velo di disprezzo che per un fatale attimo gli aveva adombrato l’espressione, e in cuor suo sentiva che non sarebbe più stata in grado di affidare il suo cuore in mano ad una persona che sapeva non era mai stata sincera con lei sin dall’inizio.
Ma erano passati quasi due anni dall’avvenimento, e pensare a lui e la loro amicizia persa definitivamente non le faceva più provare quella sensazione di dolore cocente in petto; dentro di lei per lui era rimasta soltanto pena e una sottile patina di tristezza, aggiunte alla sfera di dolore che quel giorno di maggio aveva assunto una mole spaventosamente ampia.
“Ah sì, Evans?” La voce di Potter la tirò fuori dai suoi pensieri. “E allora perché nella lettera che ho ricevuto quest’estate dalla scuola c’era dentro anche questo?”
Con sommo orrore della rossa, il ragazzo estrasse dal taschino dei pantaloni della divisa un piccolo oggetto che immediatamente catturò la luce presente nella stanza in un luminoso scintillio rosso-oro, fregiato di una prorompente ‘C’ che, Lily ne era sicura, avrebbe segnato la sua rovina definitiva.
“Esatto, Evans, quest’anno saremo entrambi Caposcuola.”
 
 





*   * ⋆   .
 






 
“Primo anno! Primo anno da questa parte!”
Argh.
Lily aveva iniziato la sua carriera da Caposcuola da appena cinque minuti e già desiderava ardentemente avvolgersi al più presto tra le comode pieghe del suo letto a baldacchino, nel dormitorio proprio e delle sue amiche. Quando aveva scartato la lettera recata dalla scuola mediante un altezzoso barbagianni, e aveva visto la spilla rossa-oro scivolarle tra le dita, per quanto era stata su di giri aveva perso l’equilibrio ed era caduta col fondoschiena sulla superficie liscia del parquet del soggiorno, provocandosi un grosso livido violaceo che era rimasto lì, in bella vista, per ben due settimane; presa dall’euforia del momento, la sua mente era stata proiettata solo sui lati positivi che quella nomina avrebbe avuto sul suo profilo, le agevolazioni per i M.A.G.O., e il suo curriculum magico, e non aveva tenuto conto del fattore principale e più impegnativo: avrebbe dovuto introdurre definitivamente dei bimbetti di undici anni nel mondo magico, alcuni dei quali ne avevano forse sentito parlare soltanto il giorno prima. In realtà, stilando su un foglio una lista di tutte le attività che sarebbero spettate lei e il suo collega, al tempo ignoto, aveva passato in rassegna anche quella, ma, contando sul fatto che durante la sua prima esperienza nel castello era stata spaventata da morire, e praticamente aveva obbedito a qualsiasi cosa le avevano detto di fare, l’aveva banalmente catalogata come una delle più semplici, accantonandola e dimenticandola, senza sapere quanto realmente si sbagliasse.
La sua non poi così prorompente statura non l’agevolava di certo, le possibilità che anche solo un suo amico potesse riconoscerla lì in mezzo a quel marasma di persone erano pari a quelle che Silente mangiasse carne di Snaso per cena, e, con tutta quella confusione e quella calca di gente, non le era neanche concesso utilizzare la magia per richiamare su di sé l’attenzione degli studenti, il timore di ferire qualcuno per sbaglio le punzecchiava il cervello.
Si era ritrovata così a sgolarsi in mezzo ad un groviglio di studenti di tutte le età che non riuscivano a farsi spazio a causa del loro numero spropositato, al chiacchiericcio concitato di chi si era ritrovato per la prima volta di fronte alla maestosità della Sala Grande, e di chi, invece, la rivedeva dopo tre lunghi mesi di assenza ed era entusiasta e grata di possedere il privilegio di poterci trascorrere ancora un altro anno; ma il tumulto era tale che la rossa non era nemmeno sicura che quell’accozzaglia appartenesse tutta alla casa di Grifondoro, sentiva un esaurimento nervoso minacciare di farle esplodere la sanità mentale già dal primo giorno, il muscolo vicino all’occhio destro aveva iniziato a guizzare pericolosamente, come volesse uscirle fuori dalla pelle.
“In difficoltà, Evans?” Fu forse la prima volta che sospirò di sollievo nel sentire quella fastidiosa voce al suo orecchio.
La ragazza si girò di scatto e osservò in tralice il sorrisetto derisorio sul volto di Potter. Come non detto.
“In realtà me la stavo benissimo…”
“Cos’è quello?” Non aveva fatto in tempo a terminare la frase che James l’aveva afferrata rapidamente per la mano, trascinandosela appresso verso un punto lì vicino, in cui la massa di studenti sembrava farsi più fitta. Ora che guardava meglio, erano tutti disposti in modo da essere rivolti verso un’unica direzione, che in quel momento era però celata alla vista di Lily a causa della mole di persone.
E d’improvviso uno strillo, acuto. Poi un altro, e un altro ancora.
“Largo! Largo! Siamo Caposcuola!”
Potter non perse tempo, mentre la ragazza al suo fianco sfoderava trepida la bacchetta e la folla di colpo si diradava al loro passaggio; nel momento in cui anche l’ultimo studente si scostò, ai loro occhi si mostrò una visione agghiacciante, che fece venire la pelle d’oca sui bracci esili di Lily e sgranare più volte gli occhi a James, e che avrebbe tormentato i due ragazzi nei sogni  per molte notti a venire: c’era un ragazzo raggomitolato su se stesso, nel mezzo di quella sorta di cerchio umano, che si contorceva e si dimenava sul posto, come in preda alle convulsioni di una crisi epilettica; dalla sua bocca uscivano grida disumane, orripilate, e gli arti andavano freneticamente a tastarsi parti del corpo, quasi qualcuno stesse infilzando il suo corpo con cento spade e lui cercasse di tamponarsi ferite grondanti di sangue.
Ma non c’era nessuna spada, nessun sangue, solo quel povero ragazzo che si dimenava, torturato, disperato, e che, Lily notò con sommo sgomento, non poteva avere più di undici anni.
Le fu estremamente difficile scostare lo sguardo dalla visione che aveva parata davanti agli occhi, un groppo di terrore le era salito in gola senza più riuscire a mandarlo giù, mentre il petto le si stringeva in un morsa serrata; costrinse sé stessa a passare febbrilmente in rassegna tutto il diametro creato dalla folla, alla ricerca del responsabile di quella mostruosità, ma riuscì soltanto a scorgere gruppi su gruppi delle varie casate ammassati gli uni sugli altri, che si estendevano a perdita d’occhio nella sala. Notò anche, in mezzo a quel caos, una schiera di Serpeverde che si trovava quasi in prima fila, e tra essi la figura che, dal momento in cui aveva oltrepassato il binario di King’s Cross, aveva tentato di evitare in tutti i modi possibili; Severus Piton, affiancato dai soliti Avery e Mulciber, teneva gli occhi puntati sulla scena davanti a sé, i lunghi capelli neri come la notte gli sfioravano la mascella contratta. Non ci mise molto a capire di essere osservato, ma quando si rese conto che l’osservatrice era proprio Lily, la ragazza per cui qualche mese prima avrebbe fatto carte false affinché gli degnasse un minimo del suo tempo e della sua attenzione, la guardò per un attimo, per poi abbassare gli occhi, scottato, le guance pallide appena arrossate. In quel momento la rossa provò talmente tanta di quella rabbia che temette sarebbe potuta andare lì, prenderlo per il colletto e mollargli qualche cazzotto alla babbana. Così, tanto per sfogarsi.
Finite Incantatem!” La voce del professor Silente rimbombò nella sala, chiusa in un muto e surreale silenzio, solitamente così piena di schiamazzi e risa gioiose degli studenti. A Lily fece un effetto stranissimo.
Il primino aveva cessato improvvisamente di divincolarsi ma giaceva ancora lì a terra privo di sensi, e non sembrava in grado di rialzarsi senza che qualcuno lo aiutasse prendendolo per le spalle; alle sue spalle udì i passi affrettati e la voce di Madame Pomfrey, preoccupata, che sosteneva che il ragazzo doveva essere portato in infermeria all’istante. La rossa sembrava come pietrificata da quella visione, e, malgrado fosse Caposcuola e sarebbe stato suo dovere riscuotersi e assistere quello studente in difficoltà, malgrado dovesse essere la prima a non lasciarsi sconvolgere da quell’avvenimento, mandare giù quel boccone così amaro e dare esempio di forza e rassicurare gli altri studenti, non riusciva affatto a staccarsi da quel punto, aveva i piedi come ancorati al terreno, gli occhi vacui.
La sua attenzione venne improvvisamente attratta da un lieve scossone al braccio sinistro; lentamente, catturò con gli occhi quel movimento, in basso, e scorse una mano saldamente ancorata alla sua, un pollice stava effettuando tenui pressioni sulla pelle del dorso, come a richiamare il suo interesse. Risalì con sguardo indolente su per quella grande mano con le pellicine alle unghie, per quel braccio i cui muscoli erano mal celati sotto la stoffa bianca della camicia, tesa, su per quella linea del mento definita, dura, gli zigomi alti, fino a raggiungere un paio di occhi di un castano intenso, che non poté fare a meno di notare come in alcuni punti fosse impregnato da luminosi lustrini dorati, e in altri più scuro, come il caffè italiano che sorseggiava la mattina appena sveglia e il pomeriggio dopo aver terminato le lezioni. Un’improvvisa sensazione di familiarità e di calma la invase nel profondo, e all’improvviso si ridestò, sorpresa, sgranando gli occhi.
“Mi lasci e andiamo a fare il nostro dovere, oppure hai intenzione di tenerti la mia mano per sempre?” Sussurrò Potter con un piccolo sorriso, e solo in quel momento Lily si accorse che era lei ad aver stretto forte il palmo del ragazzo, e, soprattutto, di quanto fossero vicini in quell’istante. “Nulla da obiettare, eh. Sia chiaro.” Mollò immediatamente la presa, di colpo bollente, e mise tra loro qualche passo, scostando lo sguardo imbarazzata.
La folla si diradò lentamente, ognuno si diresse nei rispettivi dormitori, confuso, orripilato, e, mentre Madame Pomfrey, aiutata da James, caricava il ragazzo ancora privo di sensi su una brandina e lo trasportava fuori dalla Sala Grande, la McGranitt si avvicinò a lei e le diede veloci istruzioni sul comportamento e le attività che avrebbe dovuto svolgere quella sera: fintanto che Potter era impegnato in infermeria, avrebbe dovuto guidare i ragazzi del primo anno nelle loro stanze in Sala Comune, cercare in qualche modo di rassicurarli su quanto avvenuto pochi istanti prima – senza rivelargli, però, cos’era realmente successo, in quanto quel compito sarebbe spettato al professore che avrebbero avuto per primo la mattina seguente -, per poi ritrovarsi con James per compiere un breve giro di ronda. A Lily non lo disse, ma era molto probabile che i due incontrassero alcuni professori per i corridoi, quella notte, in modo da garantire ulteriore protezione per gli studenti.
La rossa fece tutto ciò che le era stato comandato, cercò di assumere un tono rassicurante mentre guidava quei marmocchi per le rampe di scale, spiegando loro quali gradini saltare per evitare di ritrovarsi con piede incastrato, indicando loro fantasmi, i personaggi mobili all’interno dei quadri, i corridoi proibiti; illustrò loro il ritratto della Signora Grassa, la parola d’ordine senza la quale non sarebbero riusciti ad entrare, la Sala Comune e, infine, la separazione dei dormitori maschili e femminili. Accarezzò la spalla di ogni sguardo spaventato che incontrava, e ad alcuni diede anche un bacio materno sulla testa; sapeva che non sarebbe bastato a cancellare le immagini dello scenario di poco prima, ma aveva sperimentato sulla sua stessa pelle che una carezza, un bacio o un abbraccio dati nel modo giusto sapevano infondere più serenità e conforto di mille parole dette quando anche colui che le pronunciava non ne era pienamente convinto.
 






 
*   * ⋆   .
 







 
“La maledizione Cruciatus.
Lei e Potter stavano percorrendo uno dei corridoi del terzo piano per quella che doveva essere almeno la quinta volta – così la McGranitt le aveva raccomandato di fare, controllare tutti i piani fino al quinto per almeno sei volte, del resto ci occuperemo io e il professor Lumacorno, poi filare a dormire -, e da un po’ di tempo la rossa stava proferendo quella stessa frase, alcune volte sottovoce, incredula, altre quasi urlando, furente, arrabbiata, fornendo al mondo un assaggio della bestia infuriata che albergava nel suo petto, che si risvegliava solo in casi rarissimi, e che solitamente era rivolta al personaggio che aveva di fianco.
“La maledizione Cruciatus.” Ripeté Lily. Il tono della sua voce stava assumendo una piega veemente, che seppur lieve, era il segno che tra pochi istanti la rossa sarebbe scoppiata in modo imprevedibile: avrebbe potuto far volare fatture che avrebbero distrutto ogni cosa che incontrava o avrebbero colpito chiunque le capitasse sotto tiro, non le sarebbe importato e avrebbe continuato a camminare; avrebbe dato fuoco all’intero castello con tutti i professori e gli studenti dentro, avrebbe danzato lei stessa davanti alle fiamme; avrebbe iniziato a ridere di una risata sadica, non sarebbe riuscita a smettere per un bel po’, e poi, se se lo fosse concesso, si sarebbe lasciata andare ad un pianto disperato. “La maledizione Cruciatus su un ragazzo di undici anni.
James vedeva il fuoco ardere nei suoi occhi, e non era la solita scintilla che scorgeva quando lui ne combinava una delle sue; stava assistendo all’edizione speciale di uno spettacolo che in pochi avevano visto coi loro occhi, forse nessuno, ed era tutto, solo e unicamente per lui: la furia Lily Evans stava prendendo vita. Era davvero grato che, per una volta, tutta quella furia non fosse rivolta a lui.
“La maledizione Cruciatus non verbale.” Rettificò lui.
La maledizione Cruciatus non verbale!” Esclamò Lily con la voce di qualche tono più alta del normale, e accompagnò l’affermazione alzando le braccia al cielo di scatto, per poi farle ricadere nuovamente ai suoi fianchi, infastidendo qualche quadro appisolato.
“Shhh, abbassa la voce, stai svegliando tutto il castello!”
La rossa si girò verso di lui, lentamente, e lo guardò come se si fosse accorta solo in quel momento della sua presenza, un sopracciglio rossiccio e sottile alzato. Oh, oh, avrebbe fatto meglio a stare zitto.
“Potter, non ti ho ancora eliminato dal Sistema Solare in cui vivo io solo perché devo ancora riprendermi da ciò che ho visto stasera, ma comunque ho ancora la facoltà di affatturarti e compromettere per sempre l’utilizzo di qualche sudicio arto che ti ritrovi, e, credimi, sono a tanto così dal farlo.”
“Oh, Evans, accoglierei a braccia aperte qualsiasi cosa tu possa decidere di farmi.” Quelle parole gli scivolarono via dalle labbra quasi avessero avuto vita propria, prima che avesse modo di connettere i due neuroni che, forse, aveva nel cervello, ed effettivamente comprendere cosa stava per dire.
Vide il verde dei suoi occhi liquefarsi e prendere fuoco, come benzina gettata su un prato e poi accesa con una fiamma, e si perse talmente tanto in essi, ne fu talmente ammaliato e disorientato che si rese conto della mano della ragazza incombere pericolosamente sul suo viso solo quando ormai essa aveva cozzato sulla sua guancia con uno schiocco sonoro, e vi aveva stampato sopra una sagoma rosata a cinque dita. James la guardò incredulo, i grandi occhi d’avana sgranati, ma non ferito, poiché sì, quel contatto bruciava, e da morire anche, ma non gli aveva fatto realmente male. E poi, se l’era pienamente meritato.
Lily aveva fatto un passo indietro, portandosi la mano incriminata al petto, il volto che ancora ardeva ma con meno intensità. “Sei un maiale, Potter! Come diavolo fai a dire certe porcherie quando poche ore fa quel primino…”
Bella domanda.
Se ripensava alla scena in Sala Grande, tutte quelle persone, l’undicenne rovesciato sul pavimento in preda agli spasmi, e a un dolore che un ragazzino della sua età non avrebbe neanche dovuto lambire col pensiero, nessuno dei presenti che alzava un dito per porre fine a quello strazio, James compreso, sentiva le viscere rimescolarglisi tutte dentro e un’ira cocente gli annebbiava la vista e i sensi, fino a che nella sua mente e tra le sue emozioni non rimaneva altro posto che per quella rabbia primordiale; il senso di colpa, poi, si insinuava viscido fra le pieghe del suo intelletto, e gli faceva patire un rammarico tale che avrebbe voluto rivivere nuovamente quel pezzo della sua esistenza solo per intervenire lui stesso e non essere restato lì, immobile, a guardare, mano per la mano con la Evans, mentre la sua presa si faceva di colpo più forte e lui avrebbe voluto solo che quel momento in cui i loro corpi si erano toccati, non per sbaglio, non per far volare sberle o incantesimi, non per una qualsiasi altra stupida costrizione dovuta dalle circostanze, fosse durato per sempre. E si sentiva una vera merda ad ammetterlo, ma quando, prima, i loro palmi erano ancora stretti l’uno contro l’altro e i loro corpi erano più vicini di quanto fossero mai stati, quando i loro sguardi si erano scontrati e il verde nei suoi occhi si era fatto più intenso, più scuro, avrebbe voluto annegarci dentro per sempre, avrebbe voluto che quella sensazione di serenità che gli aveva avvolto il petto e non gli aveva più fatto udire, per un attimo, quelle urla laceranti, non fosse mai terminata. Era così dannatamente sdolcinato, così dannatamente non da lui ed estraneo al suo essere, ma ogni volta che la guardava, con i suoi capelli rossi come i papaveri che crescevano nel giardino dietro casa sua, con quegli occhi, quello sguardo su cui riusciva a leggere così tante emozioni, così tante parole non dette, con quella pelle di un colore etereo e quelle labbra con la forma del più bel fiore, tutto quel turbine di emozioni a cui non sapeva dare nome lo investiva, e staccava letteralmente la spina dei suoi pensieri. Nella sua testa, nel suo corpo, in ogni fibra di lui, non c’era altro che lei. E questo lo spaventava, lo destabilizzava, non sapeva come gestirlo perché era qualcosa di totalmente nuovo per lui, qualcosa su cui non possedeva alcun controllo. Cosa che, peraltro, lo mandava fuori di testa, e lo spingeva a odiare quella ragazza che continuava a rifiutarlo giorno per giorno con tutto sé stesso.
“Ecchecavolo, ma ti sei bevuta il cervello?” Lei lo fissò con gli occhi ridotti a fessure, pronta a ripetere l’attacco. “E va bene, va bene, me lo sono meritato. Un pochino.”
 Sospirò, la guancia che gli pizzicava debolmente. “Non voglio giustificare il mio, come lo chiami tu, essere maiale, ma io credo che, sia io che tu, ci siamo lasciati turbare troppo da quello che è successo. Diamine Evans, siamo Caposcuola, dovevamo intervenire in qualche modo, dovevamo porre fine a quello schifo immediatamente, non appena l’abbiamo visto, dovevamo stare coi sensi in allerta, pronti a scattare. Silente ci ha lasciato questo incarico perché evidentemente pensa che noi siamo in grado di svolgerlo alla perfezione, per cui non possiamo permetterci di esitare, non possiamo permettercelo e non lo faremo; lo vedi anche tu quello che sta succedendo fuori da queste mura, fuori da Hogwarts: c’è una guerra, Evans, Tu-Sai-Chi è là, da qualche parte, e più passano i giorni, più lui raccoglie seguaci, diventa potente, e fa fuori senza pietà chiunque si metta in mezzo al suo cammino. Non possiamo permetterci che un evento del genere ci sconvolga, ci lasci inerti, perché là fuori è ancora peggio, la gente muore in continuazione, e se tutti pensiamo che ciò non ci possa toccare semplicemente perché siamo qui dentro o perché i nostri genitori sono Purosangue, ci sbagliamo di grosso, e quello che è successo stasera ne è la prova lampante.” Si fermò per un attimo, il fiato corto, come se avesse fatto il giro di un campo da Quidditch per cento volte. “Prima, quando sono andato in infermeria con quel ragazzo sulla barella, ho scoperto una cosa, Evans. Quel ragazzo era Mezzosangue. Il padre mago e la madre babbana. E sai questo che significa?”
Da quando aveva iniziato il suo sproloquio e  le parole avevano cominciato a fluirgli a ruota libera dalla bocca, senza freni, aveva tenuto gli occhi fissi su un punto davanti a sé, senza realmente vedere qualcosa, senza guardarla; ma quando lo fece, quando alzò gli occhi su di lei, le vide in volto un’emozione confusa che non le aveva mai visto rivolgergli, e improvvisamente il suo ego raggiunse proporzioni epiche, spiccò il volo e, librandosi, andò a farsi un giro per tutta la Foresta Proibita: era ammirata, ammirata e allo stesso tempo sconvolta dalle parole del ragazzo, e, anche se non aveva ancora proferito sillaba, sapeva che era d’accordo con ogni singola cosa che aveva detto.
“Significa che non siamo al sicuro da nessuna parte, neanche qui, nel castello. Significa che Tu-Sai-Chi è riuscito a fare seguaci anche tra gli studenti di Hogwarts. Significa che, presto o tardi, anche noi saremo chiamati a combattere.”
 
 
 
 



 
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angel's space
Ciao a te che ti sei imbattuto in questa storia (non ho la pretesa di considerarla realmente tale, solo sono solita chiamare tutte le fanfiction con questo nome per semplice e pura pigrizia) e grazie mille se sei arrivato fino a qui! Questa è la prima che ho il coraggio di pubblicare su questo social, e anche la prima su ogni social esistenze, quindi ogni critica, commento, recensione o anche un semplice pensiero che ti sia venuto in mente sono bene accetti, e prometto avrò la premura di rispondere ad ognuno di essi come ben merita. Non ho un giorno fisso per la pubblicazione, e non so neanche se riuscirò ad essere puntuale con essa tutte le settimane, complice tutto il grande impegno che richiede un liceo classico (soprattutto di questi tempi). Comunque tre una settimana la scuola giungerà al ermine, e con essa anche tutte le mie ansie e gran parte dei miei impegni, quindi tecnicamente non dovrebbe esserci nulla ad impedire una pubblicazione regolare: posso solo sperare che tutt'a un tratto non mi svegli la mattina con l'ispirazione per questa sorta di mostro che sto partorendo totalmente azzerata.
Baci
Angela
 

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Capitolo 2
*** 2. Blazing lies ***


CATHARSIS
2. Blazing lies

 
Sono troppo giovane per parlare d’amore
E’ per questo che ti guardo e non trovo più le parole
Quando ti vedo non trovo più la tristezza
Giuro che ti spoglierò dalla tua insicurezza
(Festa – PSICOLOGI)
 
 





 
 
Come primo giorno del suo ultimo anno ad Hogwarts, Lily Evans non avrebbe di certo potuto temere che le sarebbe facilmente scivolato via dalla memoria, o che lo avrebbe dimenticato tanto presto: la mattina dopo, infatti, la notizia del primino torturato in Sala Grande da una maledizione Cruciatus non verbale, il cui artefice molto probabilmente non sarebbe mai stato scovato proprio per la suddetta ragione, era sulla bocca di ogni studente, nessuno riusciva a parlare di altro fuorché di quello, e a maggior ragione poiché era stato un evento che avevano visto tutti coi propri occhi. Malgrado il fenomeno accaduto fosse identico a tutti gli occhi che lo avevano guardato, da quando Lily era sgusciata fuori dalla porta in legno di quercia del suo dormitorio, quella mattina, più polverosi stendardi centenari e arabeschi gotici fregianti i muri e i soffitti del castello le sfilavano sotto lo sguardo, più sentiva bisbigliate le più svariate illustrazioni dell’episodio, sottovoce, a un orecchio o dietro una mano; ognuno sembrava possedere sempre qualche dettaglio in più, magari dato dalla posizione ravvicinata, magari origliato da qualche conversazione vicina, tanto che man mano che la rossa avanzava verso la sua destinazione, la narrazione si arricchiva di volta in volta dei più variegati particolari fino ad assumere una fattezza quasi mistica, che, ormai giunta la ragazza nella stanza che tanto faceva ciarlare per fare colazione, invece che essere semplicemente avvenuta il giorno prima, pareva possedere una datazione secolare ed essere paragonabile a uno sfocato mito, o ad una novella dalla morale non poi così cristallina e legittima contenuta ne Le fiabe di Beda il Bardo
Mentre varcava in uscita l’imponente soglia della Sala assieme alle sue amiche Marlene e Emmeline, impegnate in una concitata conversazione sui compiti di Storia della Magia che non si erano date premura di svolgere durante le vacanze estive, Lily non avrebbe saputo dire se tutto quel disordine e quel chiacchiericcio che si era creato tra le mura della scuola fosse stato di natura positiva o meno: era innegabile che l’episodio sarebbe comparso sulla Gazzetta del Profeta, occupandone magari anche la prima pagina, che qualche giornalista parassita avrebbe presto pubblicato un piccato articolo sull’incapacità di Silente nel tenere a bada i propri studenti, ponendo maggiormente i riflettori sull’unico, forse, sporadico passo falso compiuto dal loro preside in tutta la sua piena carriera, quando ciò che si sarebbe realmente dovuto bene osservare e sottolineare con un’intera boccetta di inchiostro per pergamene era, invece,  l’imminente e innegabile avanzata di Tu-Sai-Chi, e il vasto potere che stava acquisendo, se era riuscito ad espugnare anche l’indistruttibile roccaforte che era Hogwarts. Era anche vero, però, che proprio tutto quel discorrere dell’accaduto, che non sarebbe di certo passato via dalla bocca degli studenti per almeno un mese, quel continuo parlare dello scandalo, della gravità della situazione, di cui i più assennati non attribuivano di certo la causa al loro preside, aveva innescato all’interno di questi ultimi un senso costante di allerta, di timore, che non gli faceva mai abbassare la guardia, che li faceva guardare alle spalle proprie e degli amici, e faceva tenere sempre le bacchette sfoderate in un qualche angolo comodo della divisa, in modo da essere tutti pronti a scattare per ogni evenienza. E Lily non avrebbe potuto esserne più fiera, perché non c’era altra cosa che avrebbe avuto più in assoluto il piacere di vedere che quelle persone, che,  malgrado lo smistamento nelle diverse casate, malgrado la differenza di sangue che tanto ad alcuni stava a cuore, erano tutte parte di quella stessa grande casa e grande famiglia che era il castello, associarsi e mobilitarsi insieme contro un nemico comune.
“Lils, ci vorresti fare la grazia di concederci di partecipare ai tuoi pensieri? Ogni tanto, mica sempre.” Asserì Marlene, e subito la bionda lì affianco le rifilò un’affilata occhiataccia accompagnata da una poderosa gomitata tra le costole. “Ahia! Ma che ho fatto di male?”
“La tua deficienza di sensibilità, ecco che hai fatto di male.”
La triade aveva da poco sormontato un alto guado dalla volta elaborata, un passaggio posto lateralmente la cui esistenza era nota a pochi, in quanto i più preferivano percorrere il sentiero che si diramava portone principale e, di conseguenza, affollavano maggiormente quel tratto, e con i piedi quasi volavano su quel prato di un intenso verde che riluceva tenuamente la luce pigra del sole settembrino, i cui bagliori, però, ancora giovavano di qualche reminiscenza estiva, alla volta delle serre per la loro prima lezione di Erbologia dell’anno.
Lily alzò lo sguardo sulle due ragazze, scostandosi la fascia della pesante tracolla su un punto diverso della spalla dolorante.
“Mi dispiace un sacco, ragazze. Sono un po’ su di giri, sapete, il nostro ultimo anno, Silente che mi nomina Caposcuola, per di più assieme a quell’idiota di Potter…” Aveva sputato fuori quel nome col solito disprezzo, come se avesse avuto sulla lingua la più amara delle caramelle, ma, anche se si rifiutava con tutta sé stessa di ammettere ciò e comprendere la natura del sentimento che le stava crescendo in petto, la verità era che dopo la conversazione della notte prima non sapeva più con che occhi guardarlo, tanto l’aveva spiazzata, tanto quelle parole erano così simili a tutti i pensieri che vorticavano in modo incessante tra le grinze della sua mente, tanto sembravano quelle di un uomo, e non di un insulso e stupido ragazzino con manie di protagonismo e un ossessione non indifferente per i suoi capelli. “E poi ieri sera. Ecco, sto cercando di digerire ogni cosa, ma non è per niente facile. Stanotte non ho chiuso occhio.”
Al contempo avevano raggiunto i pressi della serra quattro, una delle più grandi, in quanto conteneva, oltre che il lungo tavolo con sopra disposti in ordine sparso i vari vasi e attrezzature di cui avrebbero dovuto servirsi durante l’anno, anche, in una stanza sul retro, svariate file di banchi e una lavagna di carbone nero, poiché quell’anno più degli altri avrebbero assistere a molte lezioni teoriche.
Mentre varcava la soglia e si faceva strada nello stretto abitacolo, le due ragazze esaminarono per un istante la nuca della rossa, lo sguardo velato di un’impercettibile preoccupazione, poi si lanciarono un’occhiata d’intesa: la loro amica non stava raccontando loro tutta la verità, c’era ancora qualcosa che si teneva dentro, ma avrebbero trovato il modo di farla parlare.
Emmeline le fu subito dietro. “Capisco.”
Si posizionarono in modo da essere una al fianco dell’altra, vicine alla cattedra ingombrata delle più disparate cianfrusaglie della professoressa Sprout, in attesa del suo arrivo e di quello degli studenti rimanenti.
“Lily sei troppo stressata.” Fece Marlene pensierosa. “Ti serve una festa.”
La rossa si girò di scatto verso di lei, con gli occhi fuori dalle orbite. “Una festa?”
“Mai sentito parlare? Musica, alcol, ragazzi…
“So cos’è una festa, non mi sono mica rimbambita, solo cosa diavolo ti salta in mente?”
“Non è una cattiva idea, in effetti.” Aveva parlato la bionda all’altro fianco di Lily. “Per una volta sono d’accordo con Marls.”
“Visto? Ora che anche la nostra suora coi boccoli approva e abbiamo la sua santa benedizione, puoi pure macchiare la tua anima con l’onta del peccato!” Scherzò, schivando una sberla da parte della diretta interessata.
Marlene intendeva dire” Emmeline assottigliò le palpebre in direzione della mora. “che per una serata potresti semplicemente staccare la testa e basta. Abbiamo appena iniziato e già stanno succedendo un sacco di cose, devi lasciare tempo al tuo cervello di adattarsi; stai vivendo alcune esperienze, peraltro non poi così leggere, per la prima volta e devi assorbirle con calma, non puoi pretendere di entrare in questa nuova routine da un giorno all’altro, come se niente fosse. Non esiste solo lo studio e il lavoro duro, Lily, lasciati andare ogni tanto, lascia che la tua mente si rilassi. Il tuo corpo ti ringrazierà.”
La rossa fissò gli occhi sul vaso pieno di terriccio davanti a sé, meditando su quanto aveva detto l’amica. Non era del tutto falso: da circa un mese prima che ricominciasse la scuola si era appuntata su un foglio tutta una serie di abitudini che, con l’inizio della scuola, erano irrimediabilmente richieste – come lo svegliarsi presto la mattina, il ripasso di argomenti vecchi così da essere pronti per lo studio di quelli successivi, lo stare per una certa quantità di tempo stabilito sui libri – e che doveva necessariamente iniziare a praticare, al fine di adattarsi sin da subito al nuovo anno scolastico ed evitare che il contraccolpo dato da un brusco inizio le sbattesse sulla faccia come aria gelida; in fondo, una buona media non la si poteva ottenere dal nulla, se non lavorando con impegno e serietà, ma era anche vero che se continuava per questi ritmi sarebbe di sicuro collassata prima di marzo, cosa che non si poteva assolutamente permettere a causa degli esami imminenti. Forse, staccare la spina ogni tanto non le avrebbe fatto poi così male…
“E, sentiamo, quando si dovrebbe tenere questa festa?”
A quelle parole il sorriso delle due ragazze arrivò a toccare il soffitto plastico della serra, e la bionda, cacciando un urletto, batté anche brevemente le mani, entusiasta, ma non appena si resero effettivamente conto di ciò che la rossa aveva  chiesto loro, l’euforia scivolò via rapida dai loro volti proprio come era comparsa.
“Ecco, qui viene il problema.” Continuò Marlene a mezza voce, osservandosi le unghie smangiucchiate. “Assieme al chi e al dove.”
Emmeline, che aveva subito capito dove l’amica voleva andare a parare, intervenne subito. “In realtà noi non lo sappiamo ancora, d’altronde la scuola è iniziata ieri, ma di sicuro qualcuno organizzerà presto qualcosa. Tipo un festino di inizio anno, o robe simili.” Aveva fatto scorrere lo sguardo lungo tutta la tavolata, nervosa, alla ricerca delle quattro chiassose figure malandrine che si potevano ritenere autrici delle bisbocce più alcoliche, pazze, stratosferiche e decisamente illegali che si erano mai tenute nei quasi cento secoli di storia di Hogwarts, ma, con un sospiro sollevato, constatò che non avevano ancora fatto la loro comparsa.
“Ragazze, ma vi sembro forse scema? Okay che sono un po’ impegnata con la scuola e tutto, ma dove pensate che abbia vissuto durante gli ultimi sei anni? Su in montagna in mezzo ai troll?” Marlene soffocò una risata. “Lo so perfettamente che gli unici abbastanza idioti da organizzare party con fiumi di alcol sotto il naso di Silente, con la convinzione che lui e la McGranitt non se ne siano mai accorti, sono i Malandrini.”
“Meno male.” Tirò un sospiro di sollievo la mora. “Non avrei sopportato l’enorme perdita di tempo del chiudere la boccaccia a Potter e Black ogni volta che entravano nella nostra stessa stanza, per evitare di farti scoprire tutto.”
“E, anche se sai che sarà sicuramente James a organizzare quel festino, col diabolico aiuto di Black, e che potrebbe accadere qualsiasi cosa, ma proprio qualsiasi cosa, sei ancora disposta ad andare?” Emmeline decise che, ormai che la mano era stata mostrata, sarebbe stato meglio estrare fuori dalla manica tutto il braccio.
Lily si strinse nelle spalle. “Se questo è il prezzo da pagare per un po’ di sollievo dai miei pensieri…”
Le due amiche la guardarono strabuzzando gli occhi, incredule davanti a ciò che era appena entrato nei loro padiglioni auricolari. “Chiaro è” Si corresse la rossa in fretta e furia, con le guance color porpora. “che se Potter inizia a infastidirmi o altro, non solo levo le tende, e state pur certe non metterò più piede in qualsiasi luogo che sia anche solo nella linea d’aria dei pensieri di quello sciagurato, ma lo schianto e lo spedisco per due settimane filate in infermeria prima che possa pronunciare la prima sillaba della parola boccino.
Le due ragazze non erano ancora pienamente convinte, né credevano in tutta certezza di aver appreso correttamente, perché, beh, Lily sapeva benissimo che James, non appena l’avesse vista, non si sarebbe di certo astenuto dal correrle di fronte e saltellarle attorno come un dannato bambino di cinque anni, mentre le elencava tronfio tutte le abilità in cui eccelleva e snocciolava tutta una serie di frasi tratte dai romanzi romantici babbani da supermercato nella vana speranza di sedurla, farle sperimentare la morbidezza delle sue coperte, e poi esporla come il più splendente dei trofei. E non si sarebbe limitato solo a questo, nossignore, l’avrebbe seguita in ogni singola parte del locale in cui si sarebbe tenuta la festa, avrebbe tentato ogni minima tecnica di abbordaggio in suo possesso che non aveva già adoperato prima, le avrebbe procurato un tormento tale da oltrepassare una linea di sopportazione di suddetto spessore che la rossa avrebbe solamente dovuto essere Silente per non uscire di testa e lanciargli addosso una Maledizione Senza Perdono, e tutto ciò unicamente perché aveva acconsentito a una sua idea, stava partecipando ad una sua festa con l’intenzione di divertirsi. E lei doveva essersi davvero ammattita per assecondare un’utopia del genere.
In quell’istante la porta di legno scalfito di fianco alla cattedra si schiuse cigolando, malferma sui cardini, e rivelò la figura bassina e rotondeggiate della loro insegnante di Erbologia Pomona Sprout, tra le ciocche castane qualche riccio argenteo aggiunto in più a quelli dell’anno precedente, ma negli occhi chiari la medesima favilla luminosa di chi è immensamente devoto al lavoro che fa e alla materia che insegna. Ciò che, però, nessuno si aspettava di veder comparire da dietro lo stravagante cappello verde scuro adagiato come per miracolo sui ricci dell’ingombrante donna, furono le figure malandrine di Peter Minus, Sirius Black e James Potter, tutte con lo stesso sorriso manigoldo e pieno di segreti in volto.
“Dov’è Remus?” Scappò bisbigliato ad Emmeline, che se ne pentì nell’istante successivo, in quanto si trovò puntati addosso gli sguardi inquisitori delle sue due amiche. “Be’? Che c’è? E’ da sette anni che girano in quattro, non posso essere curiosa?”
“Coda di paglia?” ghignò piano Marlene.
“Guarda Em che nessuno ti sta accusando di nulla.” Fece Lily con ilarità nella voce.
Lei borbottò frasi incomprensibili in risposta.
“Bentornati, cari, bentornati!” La professoressa si era sistemata di fronte alla sua caotica cattedra, e nel frattempo anche i tre ragazzi stavano girando per l’abitacolo alla ricerca di posti liberi dove sistemarsi; li vide disporsi lontano da loro, in fondo alla tavolata, dove si trovavano gli ultimi rimasti, quelli che solitamente nessuno occupava in quanto, per la loro lontananza, da essi era molto difficile ascoltare di cosa stava parlando la Sprout. “Quest’anno, come avrete intuito dal vostro libro di testo, affronteremo tutte le tipologie di Pericolose…”
Quasi inconsapevolmente, la rossa prese a scrutare il gruppetto con la coda dell’occhio, distratta, senza prestare realmente attenzione alle parole della donna davanti a lei, per la cui spiegazione, prima, per poco non aveva saltato la colazione pur di accaparrarsi i posti più vicini alla sua postazione, e assicurarsi una buona auscultazione; vide James ridere per qualcosa che aveva detto Sirius, le labbra piene dischiuse e il nocciola degli occhi celato dalle palpebre premute con forza l’una sull’altra, sugli angoli tenui rughe che non vedeva ma sapeva per certo essere presenti, mentre nella mente prendeva forma il suono della sua risata vitale, spontanea, che in quel momento non riusciva ad udire a causa della distanza. Black diede una vigorosa pacca sulla spalla a lui e a Peter, lì al fianco, e mentre l’ilarità andava via via scemando dal suo volto, notò che con lo sguardo stava passando a setaccio tutto il perimetro del tavolo in ferro, senza però soffermarsi davvero su alcuno dei presenti. E improvvisamente ce li aveva nei suoi, gli occhi di James, avrebbe potuto giurarlo su qualsiasi cosa, avevano orbitato per tutta la stanza alla ricerca di lei, e Lily sapeva che avrebbe dovuto voltarsi dall’altra parte, sapeva che non avrebbe dovuto assecondare quel suo stupido giochetto, sapeva che avrebbe fatto meglio a correre il più lontano possibile da quella stanza senza guardarsi indietro, eppure, tra le sue, quelle iridi erano così luminose, così liquide, così vive, che ad un tratto le parve di trovarsi da tutt’altra parte, innalzata su un cosmo diverso, su una dimensione empirea, ampia e brillante, squarciata da quel castano che pareva volerla affogare, mentre il suo cuore pulsava fervente, pazzo, riempiendo tutto coi suoi palpiti. La ragazza si era repentinamente ritrovata, senza aver percorso neanche un metro, a corto di fiato, con lo stomaco che le ardeva, in fiamme, e in petto un dolore cocente che le impediva di fare qualsiasi cosa eccetto che continuare a sguazzare in quel castano, mentre le mani erano corse ad aggrapparsi al bordo del tavolo, poiché quel senso di vuoto che avvertiva all’interno dell’addome le aveva come fatto istantaneamente mancare la terra sotto i piedi.
“Nella nostra prima lezione ci occuperemo, però, del dittamo e di tutte le sue proprietà. Qualcuno sa, per caso, qual è la sua caratteristica principale?” A quella domanda la rossa si riscosse come da un sogno, frastornata, confusa, e si ritrovò ad issare la mano di scatto, quasi ne dipendesse la sua stessa vita, voltandosi talmente in fretta verso la donna che le sue lunghe ciocche descrissero una corolla cremisi attorno alla sua esigua circonferenza.
La Sprout, che rimase col palato spalancato, non ebbe neanche il tempo di invitarla a parlare, che Lily cominciò ad illustrare, con voce secca, tutto ciò che era in sua conoscenza su quella pianta. “Conosciuta anche con il nome di Dictamnus albus, il dittamo è una pianta magica che racchiude poteri curativi e rigenerativi. Appartiene alla famiglia delle Rutaceae, e, per quanto riguarda l’aspetto, possiede dei fusti legnosi alla base, una radice carnosa di colore bianco e dei fiori molto grandi e odorosi, dotati di cinque petali bianco-rosei venati di porpora; tutta la pianta contiene essenze volatili molto aromatiche, e se viene strofinata emana un forte odore simile al limone. Da essa si estrae, per l’appunto, la miracolosa e rara essenza di dittamo, che guarisce istantaneamente le bruciature e cicatrizza rapidamente i tagli.”
“Si…esatto, Evans.” La donna era lievemente sbalordita, ma oramai solita all’eccellenza della rossa, per cui non diede più di tanto peso alla cosa. “10 punti a Grifondoro!”
“Grande, Lils!” Le bisbigliò Marlene a un orecchio, e un sorriso gratificato si fece strada tra le sue labbra rosate. Avevano cominciato solo da ieri e già stava facendo guadagnare punti alla sua casata, peccato che essi fungessero, però, da grossolani rattoppi a tutte le bricconate dei quattro malandrini, che invece ne facevano perdere quasi il triplo di quello che lei si procurava sudando.
Mentre le due si ricomponevano e si disponevano in modo da non mancare alcuna parola della professoressa,  la bionda, distratta da un movimento verso il basso, aveva notato la mano della rossa ancora saldamente ancorata al ferro del tavolo, lo stringeva con talmente tanto vigore che sarebbe stato un miracolo se, nel momento in cui avesse tolto le dita, non fosse rimasta l’impronta dei palmi a incavarne la superficie; per di più, scostando lo sguardo di qualche metro più lontano, aveva anche osservato, e fedelmente registrato in un angolo della sua arguta mente, un paio di scintillanti occhi color nocciola fissi sulla figura rossa accanto a sé, ignari dell’ulteriore spettatore esterno, e privi della minima intenzione di scollarglisi di dosso.
 
 
 






 
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Lily, gli occhi roventi e irritati per quante volte con le dita se li era andata a strofinare a causa la stanchezza, i capelli raccolti in un voluminoso ammasso informe su un punto imprecisato sulla nuca, diede un’ultima, lesta, spossata scorsa al foglio di pergamena su cui era tracciato l’orario delle lezioni del giorno successivo, e con un sospiro rincuorato poté finalmente constatare che quella prima, lunga, estenuante giornata nel castello era giunta al termine.
A quella prima ora a dir poco singolare di Erbologia, che la rossa aveva opportunamente stabilito di riporre in un cassettino remoto della sua memoria con il proposito di non aprirlo mai più, intenzionata in ogni modo a non fare scivolare i suoi pensieri in argomento, e a far finta che non fosse successo nulla, ne erano seguite altre due di Incantesimi con Corvonero, nelle quali aveva accuratamente evitato di lanciarsi occhiate attorno e scacciato con un brivido ogni singola percezione di essere osservata che le era calata in corpo, focalizzando tutta la sua attenzione sull’apprendimento teorico dell’Incantesimo che porta sfortuna – aveva preso un rotolo intero di pergamena di fitti appunti, completi di collegamenti e freccette, che non erano venuti fuori ordinati come avrebbe voluto, ma dei quali andava molto fiera, e sperava fossero bastati per il lungo tema che certamente Vitious avrebbe chiesto loro di elaborare tra un paio di lezioni; dopo una capatina in Sala Grande per un celere pasto senza guardare in faccia altri che il cibo e le sue amiche, era partita alla volta di una sonnecchiata lezione di Storia della Magia, per poi concludere con due colme ore di Pozioni, materia che in assoluto prediligeva, ma decisamente letale e sconsigliabile al termine di una giornata così corposa, e per di più stipata nei sotterranei tra i Serpeverde, il timore di far esplodere tutto da un momento all’altro per la stanchezza, e James Potter, senza davvero aver cognizione di quale fosse l’alternativa peggiore.
Concluse le lezioni, aveva poi dedicato il tempo che le era rimasto prima della cena affondata tra le morbide pieghe della sua poltrona preferita in Sala Comune, avvantaggiandosi con qualche compito assegnato il giorno stesso, oppure rifinendo quelli per le vacanze destinati al seguente, non badando eccessivamente all’abituale andirivieni degli studenti dal buco del ritratto o ai chiassosi strepiti delle fiumane rosso-oro alle sue spalle, che però aveva sorprendentemente notato essere di gran lunga meno assordanti dell’anno precedente. Che fossero innegabilmente permasti sul fondo del bicchiere rimasugli dell’evento della sera prima, per il quale su molti volti si era stagnata una patina di timore ben evidente, che molto spesso faceva loro mozzare in gola una risata che in circostanze normali sarebbe detonata fragorosa, o che semplicemente fosse avvenuto un ampio e inaspettato scatto di maturità durante la pausa estiva, Lily non ci aveva sicuramente prestato la benché minima attenzione né si era presa qualche momento per rifletterci, impegnata com’era a piegarsi irrigidita sopra i libri di testo, le pergamene, il calamaio e la boccetta di inchiostro ogni volta che udiva la Signora Grassa aprire il ritratto e accogliere appresso di sé uno scalpiccio sconosciuto di passi.
Questa stessa situazione, completa di libri, strepiti smorzati e rapide pedate, si era replicata nella sua interezza anche dopo che, quella sera, ebbe desinato, protraendosi esattamente fino a quell’istante, e l’aveva lasciata talmente spossata che pareva una forza invisibile tenesse incollato il retro delle sue gambe alla fodera rossiccia della poltrona, che, se fosse dipeso dalla sua volontà, sarebbe volentieri franata con la fronte sopra quel cumulo di carta, col corpo assopito fino alla mattina seguente. Ma, durante una notte al quinto anno nella quale era rimasta sveglia fino a tardi poiché non aveva terminato i compiti, aveva scoperto che, verso un orario compreso tra l’una e le tre, alcuni elfi domestici giungevano dalle cucine nella Sala Comune per rassettarla e farla trovare pulita e impeccabile il giorno dopo, perciò la sua presenza dormiente sarebbe stata loro solo d’intralcio, soprattutto perché, nonostante avrebbero sicuramente tentato in tutti i modi di non destarla, sarebbero sicuramente finiti per farlo, e ciò avrebbe comportato un maggior dispendio di tempo nello svolgimento della loro mansione.
Con la testa dolente e greve, che ciondolava lievemente dalla cervice quasi possedesse vita propria, le palpebre gonfie e l’intero corpo immerso in una tinozza di torpore fumante, la rossa costrinse a malavoglia i propri arti a riacquistare vigore e padronanza sgranchendoseli uno per uno, sentendo mano a mano le ossa rimettersi al proprio posto e il sangue fluire in ogni vena e arteria; ma quando, infine, si issò sulle due gambe, le ginocchia le cedettero di botto, piegandosi in avanti e lasciandole a malapena il tempo per aggrapparsi con una mano al tavolo, senza però prevedere il punto esatto su cui essa si sarebbe poggiata: neanche cinque secondi più tardi, infatti, il silenzio che poco prima dominava la stanza era stato squarciato dal rumore secco e cristallino della boccetta d’inchiostro schiantata sul pavimento, il liquido nero contenuto all’interno che si stava rapidamente riversando su di esso, e una miriade di libri e pergamene stramazzate al suolo.
Merda…” borbottò, grata che perlomeno fosse sola nella stanza e nessuno avesse dovuto assistere alla sua immensa disfatta.
“Evans?”
Cazzo.
“Evans, ma che ci fai ancora sveglia?”
Con la mano ancora spalmata sulla superficie di legno e la crocchia che era oramai sfatta, e che si stava gradualmente distribuendo in estese ciocche fulve lungo tutta la durata del suo mezzo braccio proteso, puntando il peso sull’arto aggrappato al tavolo, Lily voltò piano il capo in direzione delle scale che conducevano ai dormitori, che era il punto da dove proveniva la voce; gli occhi color prato lievemente appannati misero a poco a poco a fuoco una figura alta e asciutta, una chioma riccia scarmigliata all’inverosimile, un petto massiccio con la veste sbottonata abbastanza da lasciar intravedere al di sotto un torso scalpellato e maestoso, e poi un paio di intensi, chiari e assonnati occhi ambrati, che la scrutavano confusi.
Il sangue le affluì violento sulle gote, mentre cercava di ridestarsi, e mostrò innocente la sua dentatura. “Potter.” Scostò lo sguardo alle sue spalle, verso il pasticcio che aveva combinato, e, notando solo in quel momento la pozza di inchiostro in rapida espansione sul pavimento, che se non si fosse subito sbrigata a rimuovere avrebbe lasciato una perenne chiazza nera, esclamò a gran voce. “Ho fatto un casino!”
Scollò allora di scatto la mano dal tavolo, che volò ad afferrare la bacchetta in una tasca della divisa, ma così facendo, ignara della boccetta di inchiostro che teneva sempre con sé come riserva in un angolo, scaraventò a terra pure quella, assieme ad un altro paio di libri e pergamene, delle quali buona parte erano cadute sulla pozza e stavano assorbendo il liquido scuro. “Cazzo, cazzo, cazzo!” Lily cominciò a strattonarsi pezzi di chioma in preda al terrore più puro, in testa una landa desolata di polvere e rado fieno, quando le sue orecchie vennero pizzicate da una risatina leggera alle sue spalle; voltandosi, scoprì il moro appoggiato con un fianco allo stipite arabescato dell’arco, le iridi scintillanti e le labbra piegate in una smorfia divertita, mentre giocherellava con le dita con la bacchetta, quasi a volerla beffare. “Be’? Che ti ridi? Brutto stronzo, aiutami invece.” Voltasi verso il suo profilo armonico, colse gli angoli della sua bocca flettersi verso l’alto e la stanza rimbombare in breve di una sua vera risata, una di quelle che sgorgavano dritte dall’addome e che facevano correre flebili formicolii lungo tutta la spina dorsale della ragazza; ma poco dopo, staccandosi dal marmo, la affiancò con la stecca lignea sfoderata, e insieme saturarono le pareti appese di arazzi e quadri dalla foggia centenaria di Reparo, Accio e  Gratta e Netta: volteggiarono in etere cocci di vetro e pergamene imbrattate, pennini miracolosamente integri e tomi dalla copertina chiazzata, tentando i due giovani di salvare il salvabile e di ripulire ciò che poteva essere mondato, il tutto senza che ai due sfuggisse dai labbri anche mezzo verbo verso l’altro. Quando ormai il pavimento rifulgeva di lustrini sotto la luce giallognola delle lampade elettriche a muro, neanche una macchia scura sostava a inzaccherare alcuna superficie e ogni oggetto era stato riposto con estrema cura all’interno della scomoda tracolla della rossa, che puntualmente ella doveva andare a risistemare sulla spalla maculata di lividi, si scambiarono un’occhiata sfinita impregnata di una punta di timidezza, poiché, realizzò la ragazza mentre James si lanciava spossato e pesante su una grossa porzione del divanetto davanti al camino, era forse la prima volta in sette anni che i due si ritrovavano ad essere complici in qualcosa che non prevedesse il gettarsi contro oggetti o incantesimi, e che terminava inevitabilmente per entrambi con una punizione.
“Vieni?” Fu poco più di un soffio ciò che scivolò via dalle labbra del moro, che, nel centro del divano, aveva voltato brevemente il capo in modo da mostrarle solo un lato del viso, e la scrutava esitante con quell’unico occhio mezzo socchiuso, ma a Lily – che stava ancora coi piedi ancorati sul punto da cui poco prima aveva dato splendido sfoggio di esemplari doti domestiche – arrivò dritto in corpo a farla irrigidire tutta, la mascella contratta e lo stomaco improvvisamente stretto, tanto che serrò ancor più la presa sulla borsa, il desiderio impellente di fuggire a gambe levate su per le scale che le premeva addosso. “Io…starò buono, promesso.” James – vagliatala un’ultima volta con la sua iride chiara, nella quale vedeva riflessa e accaparrata tutta la luminosità della stanza – si girò nuovamente, lento, con la faccia rivolta verso il caminetto spento, e prese a giocherellare con la federa ramata accanto a sé, concedendole la visuale della sua nuca piegata.
Forse furono gli occhi con cui l’aveva guardata, insieme a tutti quegli sguardi che le aveva riservato fino a quel momento, così reconditi, intrinsechi, intimi quasi, e che lei si era ripromessa di scongiurare fino alla morte; forse fu vederlo lì, da solo su quel divano, senza che ci fossero le altre tre figure malandrine ad attorniarlo e, come aveva sempre creduto in tutti quegli anni, a gonfiare il suo smisurato ego; forse fu più semplicemente colpa di quella stanchezza che avvertiva permeata fin sopra ciascun’unghia, capello, e ogni altra estremità di sé, fin ogni suo osso, tendine e legamento, che le ostruiva la lucidità e le appannava i sensi, che, in quell’attimo, le faceva affacciare sotto una luce proficua e rassicurante ciò che, a mente coerente, non avrebbe esitato a contrassegnare come deleterio – come un marinaio che, scorgendo l’oscuro abisso che durante il giorno avrebbe saputo abilmente deviare, lasciandosi guidare dalle tenebre della notte e dal canto primordiale e chimerico, nei recessi di un fondale lontano, di una creatura fatale e ammaliatrice, bellissima, ne finisce dritto nel mezzo, e avverte il peso del tremendo errore che ha commesso solo nel momento in cui la gola gorgoglia e pizzica per l’acqua marina, le pupille sono turgide e irritate dal sale e ogni centimetro di pelle scoperta è percorso da biancastre e tenui piccole faglie.
Forse nella mente di Lily Evans c’era tutto ciò a tempestare, una matassa inestricabile di pensieri che si susseguivano senza apparente criterio razionale, talvolta addirittura frapponendosi l’un l’altro, e facendola talmente balzare fuori di testa che a un certo punto doveva aver preso la decisione di serrare ogni porta e smorzare tutte le luci del suo cervello, in modo da cessare definitivamente di pensare e lasciar pilotare solo e unicamente il suo cuore, quando gettò la tracolla su una poltrona lì intorno e sprofondò con le gambe segregate dalla gonna della divisa nell’imbottitura morbida del mobilio antiquato, di fianco a James Potter: quel ragazzo che talora le faceva provare sentimenti contrastanti a tal punto, ad alcuni dei quali non avrebbe neanche saputo che nome mettere; quel ragazzo che odiava, quello contro cui competeva dal momento esatto in cui aveva messo il piede destro nel castello; quel ragazzo che, in quel momento, stava guardando con uno sguardo e con degli occhi che un osservatore esterno avrebbe faticato davvero ad attribuire alla rossa, con il quale era situata ad una vicinanza talmente inaudita per i loro standard, per il loro semplice essere Lily Evans e James Potter, che lei, a un dato istante, dovette schiarirsi piano la voce, scostare la visuale sulla legna inutilizzata che vegetava sopra l’alare ancora privo della cenere argentea simile a brina, e distanziarsi di qualche centimetro, a malapena consapevole che anche il moro al suo fianco stava compiendo le stesse azioni.
“Prima…” Cominciò lui, rischiarandosi la voce arrochita. “Prima ridevo non perché ti volevo prendere in giro, o altro. Era la prima volta in sette anni che ti sentivo dire una parolaccia.”
Si voltò di scatto verso di lui, stupita. “Come? Davvero?” Sulle sue labbra stava nascendo un involontario sorriso, che forse era uno dei più peculiari e più sinceri che a pochi concedeva di ammirare.
“Si, davvero.” Fece lui, con il riso contagiato dalla rossa.
“Ma dai, almeno una volta di sicuro mi avrai sentito chiamarti stronzo o coglione. Ci scommetto i calzoni con le Api Frizzole di Silente.”
Lui scoppiò a ridere, genuinamente divertito. “No, ti giuro.”
“Allora mi tocca rimediare.” Affermò, lasciandosi scappare anche lei una risata, senza però appellarlo in alcun modo.
Si scambiarono una breve occhiata di sbieco, e poi, come se non avessero passato troppi anni a elargirsi disprezzo a vicenda, come se le cose che avessero entrambi detto e fatto fino a quel punto non avessero originato una frattura che difficilmente avrebbe potuto arginarsi – come se non solo al di fuori delle mura del castello, ma anche fuori da quella stessa stanza non ci fosse qualcuno che auspicava solamente nell’attimo più propizio per attentare alle loro vite e a quelle delle proprie famiglie –, esplosero insieme in un’immensa, fragorosa, vitale risata, una di quelle che quando principia difficilmente riesci a smettere, una di quelle che ti fa nascere minuscole e gaie lacrime agli angoli degli occhi, e ti fa tenere la pancia per quanto te la fa dolere; una di quelle che ti fuoriescono dalle labbra quando sai perfettamente che domani l’era del mondo così come lo conosci tu potrebbe tramontare dietro una catastrofe, che l’apocalisse potrebbe iniziare anche l’istante seguente – e tu non sei pronto, non lo sei per niente, neanche un po’, perché sei così tremendamente giovane, così tremendamente acerbo come una pesca colta dall’albero a marzo, potresti avere così tante avventure ed esperienze davanti a te che, per quanto tu cerchi di sforzarti, non riesci fino in fondo a concepire l’idea che tutto quello che oggi tieni tra le mani, che stai guardando in questo preciso frangente, che ti fa provare emozioni così acute e lancinanti, domani potrebbe già essere scivolato via, essere diventato cenere, essere scialbo e incredibilmente vuoto, morto sul pavimento di una cucina o appassito poiché esposto lungamente al sole. E allora tu ridi – le tue labbra si dilaniano in una voragine che mostra un paio di irregolari file di acre euforia –, ridi perché non sai cos’altro fare, perché non hai potere su ciò che ti accadrà tra un giorno, un mese un anno, due; e in fondo, se ci rifletti attentamente, neanche ti importa più di tanto, perché ora la vita ti riempie i polmoni di quella che a te pare l’eternità e ti fa sentire incredibilmente rigoglioso, sfolgorante, aureo, che tutto ciò che ti affliggeva l’attimo prima, quello dopo è stato già inghiottito da quel succoso albore.
Le risa scivolarono via lente aggrappandosi ai senili arazzi, dove già polvere invisibile era stagnata da immemore tempo, e si persero tra i lievi ticchettii di un orologio lontano.
“Perché non può essere sempre così? Non riesco a capire, davvero.” Adesso James la guardava con le iridi scintillanti, e tanto Lily si sentì destabilizzata che, per rispondere, fu costretta a distogliere lo sguardo.
“Perché io…io ti odio, Potter.” Fu come una scoperta che faceva per la prima volta, una rivelazione che suonò falsa persino alle sue orecchie; è così che dev’essere, pensò mentre avvertiva il ragazzo inspirare bruscamente dalle narici. Si fece coraggio e cercò nuovamente il suo sguardo, ma, con una dolorosa e inaspettata fitta al petto, notò egli aveva abbassato il suo, gli occhi nascosti dalle corte onde castane.
Le parole che si cavò di bocca in seguito le resero le pareti di quest’ultima amare e mordaci, pastose come se stesse arrancando nel mastice. “Senti…sono stata bene, ma non posso, lo sai. Stasera eravamo tutt’e due stanchi e non ci siamo resi conto di ciò che facevamo, forse entrambi avevamo solo bisogno di ridere. Ora devo…” Non le diede agio di proseguire oltre. Lo vide issarsi di scatto sui due piedi, gli occhi talmente scuri e densi da uguagliare la tonalità del suo caffè preferito, dentro di essi a imperversare c’era benzina liquida, pura, e lei avvertì il ventre contrarsi e venire strizzato, come si fa con una spugna zuppa d’acqua prima di aggiungere il detersivo per lavare i piatti.
“Dirai sempre così?” Il tono tagliente e brusco della voce, tanto dissimile a quello scherzoso e solare di pochi istanti prima, trafisse il suo corpo come miliardi di affilate frecce.
“Co- che cosa? Quando?”
“Quando ci baceremo, Evans! Quando ci baceremo e andremo a letto insieme dirai sempre la stessa cosa? Sono stata bene, ma non posso, eravamo tutt’e due stanchi e forse avevamo entrambi bisogno di baciarci e scopare?” A corto di fiato, il suo petto si alzava e abbassava rapidamente. “Vorresti neg–”
Lo schiocco di un palmo che cozzava violento contro la pelle morbida e carezzevole di un viso lacerò l’aria della stanza. Il braccio della rossa rimase sospeso a mezz’aria per qualche secondo, e allo stesso modo le espressioni confuse e stordite che erano comparse sui loro volti, mentre James, la guancia ardente e il cuore che gli martellava in petto pesto e sanguinolento, si portava un arto a coprire il tratto di cute offeso, le palpebre spalancate e le labbra lievemente schiuse.
“Come osi? Come ti permetti anche solo di…pensare certe cose?!” La rossa era sbalordita; in corpo, la benzina che prima aveva visto gorgogliare all’interno degli occhi del ragazzo, le aveva acceso una vampa al di fuori della sua padronanza e risolutezza, che presto, se lui avesse continuato a provocarla gettandole altro liquido combustibile addosso, sarebbe infuriata in un incendio deflagrante, stupefacente e letale, che avrebbe corroso e fatto strage di ogni cosa che fosse incappata nella sua traiettoria. Per un attimo, per un solo, mero palpito aveva creduto che James Potter potesse essere cambiato, potesse essere finalmente maturato; si era illusa di poter convivere con lui un’esistenza civile, di non dover più raddrizzare le spalle a tenere sempre la guardia alzata in sua presenza, come col più temibile dei nemici, ma era evidente, dallo scenario a cui aveva appena assistito, che, se possibile, la sua persona e il suo comportamento erano degenerati più di quanto già non lo fossero negli anni precedenti.
“Oh, avessi anche solo una vaga idea di quante volte la mia mente sia volata a pensarci…”
La mano di Lily fendette nuovamente quello spazio angusto che li separava, con l’intenzione di colpirlo nello stesso punto una seconda volta, e l’avrebbe certamente fatto se il moro, i riflessi lesti di un Cercatore, non l’avesse afferrata prontamente, stringendo delicatamente la circonferenza del polso con pollice e indice, in un cerchio quasi completo e rovente sulla sua pelle. “Non mi colpirai di nuovo.”
“Vuoi scommetterci, brutto maiale che non sei altro? Lasciami se ne hai il coraggio!” Mai, mai nei suoi diciassette anni un ragazzo aveva avuto quella stessa faccia tosta di Potter di rivolgere le parole che poco prima aveva udito uscire dalla sua bocca – nessun ragazzo beneducato, assennato e con un briciolo di dignità e amor proprio, tutte qualità che non rientravano nel forbito dizionario del moro, e d’altronde non avrebbe dovuto restarne stupita, visti i precedenti con esso avuti.
Ma James – oltre ogni aspettativa, oltre ogni giudizio che poteva essere balzato alla mente della rossa fino a quel preciso istante –, staccò la presa dal suo polso, all’improvviso, quasi, reggendo una pentola bollente senza un panno di ausilio, avesse dovuto mollarla di botto per il bollore, e solcò il lucido pavimento di pietra con qualche lungo passo a ritroso, in modo da distanziarsi da lei, lo sguardo basso e incerto, adombrato.
Lily, allontanatasi anche lei in direzione del varco per i dormitori, lo guardava stordita e perplessa, ma tracce del fuoco divampato poco prima ancora guizzavano su quelle iridi del colore del più florido e rigoglioso pascolo. “Prova ancora a dire porcherie del genere, Potter, o anche solo ad alzare un tuo sudicio dito su di me e ti giuro su quello che ho di più caro che ti farò ricordare per tutta la tua dannatissima vita del modo in cui te ne avrò fatto pentire. Stanne certo.”
E poi, come se non ci fosse mai stata, fluttuò via su per le scale dei dormitori femminili, lasciandolo lì, con una guancia in fiamme, lo stomaco eroso dal rimorso e gli occhi mezzi lucidi e appannati, mentre il suo cuore sfuriava impazzito tra i polmoni e le ginocchia gli cedevano per quella verità che aveva sputato fuori, che alle orecchie della ragazza pareva brutale e inaudita, ma alle sue era soltanto il grido disperato di un uomo col cuore stanco di essere tenuto a bada.
 
 



 
 
 
 
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angel’s space
Okay, sono in super ritardo e mi dispiace, avevo programmato di pubblicare prima, ma il fatto è che con la fine della scuola, le varie uscite con gli amici e il breve respiro che ho voluto concedermi per un po’ dai social, ho finito per sforare (anche se in realtà non avevo stabilito una data fissa, avevo solo detto che avrei cercato di non tardare) e mi spiace immensamente. Per quanto riguarda quel pezzo di cuore che ho inserito all’inizio, so perfettamente che tutte le persone che iniziano il capitolo con una canzone tendono ad inserirla in inglese, snobbando totalmente quelle italiane (o per lo meno io non ho mai visto qualcuno aprire un capitolo con una canzone italiana), ma a me in tutta onestà non frega molto, semplicemente la canzone è meravigliosa, il gruppo è meraviglioso (PSICOLOGI SONO LA FISSA, FISSA, FISSA)  e l’ho trovata una perfetta per descrivere ciò che realmente sentono i protagonisti, ma che ancora si rifiutano di ammettere. Per quanto riguarda il programma di Erbologia e delle altre materie menzionate nel corso del capitolo non mi sono inventata nulla, ho trovato tutto su vari siti internet, tra cui il più affidabile è il campione Wikipedia. Mentre scrivevo le ultime scene, quelle dello sbotto finale di James e la reazione aggressiva di Lily, ho come avuto l’impressione di aver affrettato un po’ le cose, e la verità è che non avevo neanche premeditato che venisse fuori dell’azione (pensavo inizialmente di restare nel fluff e chill), ma poi i personaggi hanno iniziato a muoversi da soli e, niente, non ho proprio potuto fermare la mano che correva sulla tastiera. Come sempre chi vuole lasciare una critica/commento/recensione è sempre ben accetto, non aspetto davvero altro, vorrei davvero migliorare e non mi serve altro che un parere oggettivo da chi se la senta e abbia voglia di lasciarmelo!
Alla prossima,
Baci
Angela





 

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