La rieducazione di Shiori Takamiya (ovvero l’oggettiva osservazione della realtà)

di Nisi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scappo dalla città. La dea, i susini e l'ammmoreeee ***
Capitolo 2: *** Shiori nella melma ***
Capitolo 3: *** Tutta una serie di Cosi ***
Capitolo 4: *** Del tempo al tempio ***
Capitolo 5: *** Il tempio e i suoi altarini ***
Capitolo 6: *** Invito a cena con svenimento ***
Capitolo 7: *** Il salto della cozza ***
Capitolo 8: *** Una sottospecie di... ***
Capitolo 9: *** Squadra di salvataggio 1+4 ***
Capitolo 10: *** Contromisure ***
Capitolo 11: *** Il vestito nuovo per l'Imperatore ***
Capitolo 12: *** Scene di una vita normale ***
Capitolo 13: *** Anarchia, introspezione ed autonomia ***



Capitolo 1
*** Scappo dalla città. La dea, i susini e l'ammmoreeee ***


… e oltretutto, Masumi Hayami aveva concluso il suo discorsetto di circostanza vaneggiando su delle stelle che a lei non piacevano e confessato, non senza vergogna, che le orchidee, le sue splendide orchidee non gli erano mai piaciute.
Non erano mai piaciute nemmeno a lei, se era per quello, ma pare che una donna che coltiva orchidee faccia bella figura, per cui si era adattata.
Shiori Takamiya era seduta sul divanetto del suo salottino e, per la prima volta in vita sua, in preda ad una rabbia incontrollabile.
 
L’intelligente lettore (lettrice) avrà sicuramente capito che la signorina Takamiya era stata scaricata da un Masumi Hayami visibilmente preso dalla candidata al ruolo della Dea Scarlatta, la quale se la cavava abbastanza benino sul palcoscenico, ma che non aveva un grammo della sua classe e distinzione, per non parlare dei suoi soldi.
Non piangeva, Shiori, e non era svenuta nemmeno per un attimo semplicemente perché non c’era nessuno che si potesse muovere a compassione alla vista delle sue lacrime e dei suoi mancamenti, suo cavallo di battaglia per ottenere quello che voleva sin da quando era piccola, quindi rimase composta ed elegantemente seduta, con un fazzolettino tra le mani, nel caso in cui fosse entrato qualcuno. Però nemmeno se ci fosse stato qualcuno le cose sarebbero cambiate: Masumi Hayami amava, ricambiato, Maya Kitajima e il triangolo no, lei non l’aveva mai considerato anche perché ho ragione di credere che oltre a indicare la forma geometrica, quella parola non avesse nessun altro significato per la bella ereditiera.
 
A voler essere completamente sincera, non sapeva se Masumi Hayami l’avrebbe mai resa felice. Per carità, bello e attraente più della media degli uomini giapponesi, ma quelli della sua famiglia erano un po’ fissati con la Dea Scarlatta e secondo lei non era indice di grande sanità mentale, per non parlare di tutti gli appuntamenti andati in fumo all’ultimo momento per colpa del suo preziosissimo lavoro alla Daito e annunciati con una punta di soddisfazione maligna dalla sua acidissima segretaria Mitsuki. Però a lei lui piaceva e per tenerselo aveva messo in atto azioni piuttosto imbarazzanti e indegne della sua classe, azioni che purtroppo non avevano avuto l’esito sperato.
L’orgoglio di Shiori era uscito da quella storia pesantemente malconcio. Essere lasciata non era mai bello, soprattutto per una donna come lei, allevata fin dalla più tenera età allo scopo di contrarre matrimonio con un importante magnate che potesse preservare e/o aumentare il già esagerato gruzzoletto dei Takamiya. Era anche questione di territorio, capite? Masumi era suo e guai a chi glielo toccava.

Era la seconda volta che le andava storta: la prima volta suo nonno le aveva presentato un magnate italiano bassetto e un po’ pelato che andava matto, oltre che per i doppiopetto, per le ragazzine. La cosa non le dava fastidio, tanto per la sua parte di moglie di facciata non le era richiesto di amare suo marito, ma di fungere da graziosa cornice per le sue numerose attività… ufficiali. Purtroppo, la cosa era andata in fumo in quanto si era scoperto che il suo pretendente soffriva di una strana e quanto rara allergia alle orchidee che lei gli aveva offerto, allergia che gli aveva provocato delle macchie rosse in tutto il corpo accompagnato da un irrefrenabile prurito alle parti basse. Questo non era un buon punto di partenza per un’unione proficua, quindi nonno Takamiya aveva ordinato alla nipote di far ritorno in Giappone, segretamente sollevato all’idea di non dover concedere la sua preziosa nipotina a quel parvenu (non so come si dica in giapponese, abbiate pazienza) mediterraneo mangiapizza.

E a voler essere totalmente sinceri, Shiori non aveva mai sentito l’impulso di un contatto ravvicinato con Masumi Hayami, né con gli altri uomini che le erano stati presentati. Aveva letto su un giornale che le donne come lei si chiamavano “frigide”, lo aveva accettato ed era pronta, se avesse sposato il direttore della Daito, a stringere i denti e a far finta che tutto l’ambaradan non solo non le ispirasse un senso di orrore, ma che anzi le piacesse molto. Le avevano parlato anche di certi prodotti che avrebbero potuto rendere la faccenda più… scorrevole.

Il problema era che Shiori aveva una natura profondamente romantica. Le sarebbe piaciuto essere amata e vedere la luce che si accendeva negli occhi di Maya Kitajima quando guardava il suo (suo di lei, Shiori) fidanzato, anche perché non aveva proprio capito cosa ci trovasse in lui. Naturalmente, avrebbe dovuto fare finta di essere in preda al dolore più struggente, quello era in grado di farlo, ovviamente, però dentro di sé si sentiva un vuoto al quale non sapeva dare nome. Anzi sì, invidia pura.

Giusto per fare qualcosa, prese una rivista dalla cesta accanto al divano e corrugò le sopracciglia nel vedere chi c’era in copertina. L’altra candidata al ruolo della Dea Scarlatta, Ayumi Himekawa abbracciata a quel fotografo francese col quale si era recentemente fidanzata. Sorrise appena, ma il sorriso le morì sulle labbra quando notò che Ayumi aveva lo stesso, identico sguardo di Maya Kitajima quando guardava l’uomo che amava. Consultò l’indice, articolo era a pagina quindici e si precipitò a leggerlo.

…”Ayumi, come ha fatto ad accorgersi dell’amore che provava per il suo fidanzato?”
“Credo che sia stata la Dea Scarlatta a metterci assieme” sorride mentre prende la mano al suo fidanzato (il fotografo francese Peter Hamil NDR) e la stringe con affetto.
Shiori chiuse la rivista e mormorò: “La Dea Scarlatta… sempre lei”. D’improvviso, la consapevolezza che doveva capire, che doveva vederci chiaro perché non era possibile che tutta quella gente partisse per la tangente per un personaggio immaginario. E fu così che Shiori Takamiya, per la prima volta nella sua vita, partì pure lei, ma per un viaggio… e per il suo destino.
In realtà, era da un po’ che la Dea Scarlatta la stava tenendo d’occhio e pensava fosse giunto il tempo di dare una scossettina alla vita dorata di questa ereditiera viziata.

* * *
Ciao a tutti! Dopo taaaanti anni sono ancora qui.
Era una vita che avevo questa storia nel PC e ora mi sono decisa a pubblicarla. Saranno un otto/dieci capitoli, devo solo scrivere un epilogo perché vorrei costruire un bel finale col botto. Mi sono divertita un sacco a scriverla, spero che almeno in minima parte diverta anche voi.
Questa fanfic è l'ultima della trilogia 'I tre volti della Dea'. E' quella dal piglio più comico e sarcastico. Le altre due sono, rispettivamente, 'Benvenuta a Izu' che ha Maya come protagonista e 'Princesse de Glace', la cui narrazione è incentrata su Ayumi.
E' bello essere di nuovo qui.
Un abbraccio dalla Nisi

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Capitolo 2
*** Shiori nella melma ***


In realtà non è che fosse proprio partita, era letteralmente fuggita dalla residenza dei Takamiya all’alba.
Non subito, in quanto la preparazione dei bagagli le aveva preso più tempo del dovuto, da cosa nasce cosa e aveva fatto tardi, anche perché Shiori non aveva mai fatto una valigia in vita sua. Aveva riempito cinque bauli, ma si era accorta ben presto che muoversi con quel peso non sarebbe stato molto pratico e soprattutto non sarebbe passato inosservato. Quindi, da cinque, i bauli erano diventati quattro, da quattro, tre… fino ad essere sostituiti con una Samsonite robusta ed un trolley enorme per contenere i suoi prodotti di bellezza che da soli facevano un totale che un operaio della FIAT riesce a racimolare in dieci anni di lavoro (o dodici di cassa integrazione, visto il periodaccio).

Suo nonno non avrebbe mai approvato e la tata nemmeno, quindi Shiori chiamò un taxi alla chetichella, dopo aver perso un quarto d’ora per capire come si chiamasse un taxi,  e si fece portare alla stazione di Tokyo. Coi capelli solitamente svolazzanti nascosti in un cappello, degli occhiali da sole enormi nonostante fosse ancora scuro e una mise dimessa (un vestito di Valentino dell’anno precedente), perse un’altra buona mezz’ora per capire che treno prendere, dove si comprassero i biglietti e, infine, dove fosse il binario per lo Shinkansen diretto a Kyoto. Fece appena in tempo a prendere posto nel suo sedile nel vagone di prima classe che il treno lasciò silenziosamente la stazione.

Shiori si sentì eccitata a provare a vivere come facevano le persone normali, per lei era tutto nuovo e per la prima volta non era in compagnia di qualcuno.

Il viaggio non fu lungo, dovette cambiare il treno e prendere quello diretto a Nara. Da lì un altro taxi e prima che si rendesse conto si ritrovò nel Paese della Dea Scarlatta.

Si fece portare nell’albergo migliore del luogo, un ryokan in verità abbastanza semplice e prese una stanza.

Si ritrovò seduta sul tatami e come unici compagni Samsonite e Trolley e: “E adesso cosa faccio?”, si domandò perplessa. E subito si rispose: “Devo andare a cercare la Dea Scarlatta”, dimenticando che la Dea probabilmente non passeggiava spesso per la sua terra e di certo non si fermava a chiacchierare amabilmente coi suoi conterranei: viste le brutte esperienze precedenti sarebbe stata sicuramente un po’ tocca a volerlo fare, ma chi siamo noi per rovinare la festa a una povera (beh, mica tanto) ragazza in cerca di amore?

Fatto sta che Shiori uscì dal ryokan talmente galvanizzata che non fece caso all’aria frizzantina, né al fatto che un paio di scarpe tacco 12 con plateau di quattro centimetri non fosse l’ideale per recarsi nel bosco, né che l’abito di Valentino di seta leggera non la proteggesse granché dal freddo e dall’umidità post-temporale.
Cominciò ad avanzare nel bosco senza guardarsi veramente attorno e chiedendosi cosa mai ci fosse di magico in quel posto lontano da qualsiasi boutique decente, ma coraggiosamente continuò a camminare nonostante i piedi cominciassero a dolerle, ma l’amore merita questo e altro e i sacrifici non contano.

I suoi nobili propositi affondarono a finire presto nella melma, anzi, più che i suoi nobili propositi, ad affondare nella melma furono le sue Christian Louboutin, comprese di tacco 12 e plateau arrivate direttamente da Parigi perché nel negozio di Ginza quel modello non era disponibile. Il fango era talmente spesso che non le fu possibile liberare le sue scarpe. Essendo una ragazza intelligente, le ci volle poco per capire che o lasciava lì le scarpe, e avrebbe dovuto rientrare scalza, oppure rimaneva lì in mezzo alla melma ad aspettare che la Dea Scarlatta le si palesasse di fronte e che, prima di procurarle uno straccio di uomo, le facesse la cortesia di disincastrare le calzature da quel blob marrone e magari di dare loro una pulitina. Tanto lei era una Dea e quindi tutto poteva.

Nel mentre che cercava di valutare obiettivamente la situazione, si sentì cingere la vita da dietro e un paio di maschie braccia la sollevarono. Al diavolo le Louboutin, pensò Shiori, qui è arrivato il mio principe azzurro, il mio signor Darcy, il mio signor Knightley, il Capitano Wenworth e tutta la schiera di baldi giovani di austeniana memoria (Shiori aveva un debole per la Austen, la Miuchi si è dimenticata di dirlo) ed elevando una silenziosa preghiera alla Dea che aveva finalmente posto fine alla sua disperata ricerca dell’amore, si abbandonò tra le braccia del suo salvatore.

* * *

Nonostante si pensi in generale che quando Dio stava distribuendo cervelli Shiori fosse ad innaffiare le sue orchidee, l’erede dei Takamiya non era affatto una persona stupida. Per cui, non appena il Mr. Darcy della situazione se la caricò sulle spalle come fosse un sacco di patate e lei si rese conto che il suo salvatore non olezzava di profumo francese, ma di sudore rancido, arrivò alla conclusione che qualcosa non stesse andando per il verso giusto e solo la sua solida fede scintoista le impedì di arrabbiarsi furiosamente con la Dea.

“Mi lasci! Mi lasci andare!” si lamentò tempestando di pugni la schiena del puzzone.
Purtroppo l’uomo, sorpreso da quella aggressione, la lasciò effettivamente andare. Dico purtroppo perché Shiori, senza più l’ausilio delle Louboutin si ritrovò nel fango fino alle caviglie.
L’uomo che l’aveva salvata la fissò con uno sguardo stranito. Lei non poteva saperlo, ma si trovava davanti la stessa persona che aveva tirato fuori dai guai Eisuke Hayami, quindi ricorderete che l’uomo era sordo e muto, quindi gli strepiti di Shiori non gli fecero né caldo, né freddo.

Approfittando di una pausa tra uno strillo e l’altro, Jin Shimada (questo era il suo nome), se la caricò ancora sulle spalle e ricominciò a camminare.
Shiori non fiatò: non era abituata a farsi portare in quel modo, quindi aveva paura che l’uomo la facesse cadere.

Cosa che non avvenne, per fortuna sua e delle nostre orecchie. La lasciò andare solamente quando, entrato in una capanna di legno piuttosto malconcia, la depositò sul tatami senza troppi complimenti.

La Dea non poteva averle giocato un tiro tanto barbino, non era assolutamente possibile: Maya e Ayumi si erano trovati fior di pretendenti (nonostante quello di Ayumi fosse un gajin dal naso enorme e con un tremendo gusto nel vestire a dispetto del fatto che fosse un français) e lei, l’erede dei Takamiya non poteva accompagnarsi a quell’uomo tanto male in arnese. Va bene che l’amore era cieco, ma in questo caso si trattava di maculopatia associata a glaucoma e cataratta con distacco della retina. In soldoni: non ci vedeva una pippa.

Per la prima volta nella sua vita, Shiori versò delle lacrime sincere per la cocente delusione. Però apprezzò il fatto che “quello” sapesse preparare un tè davvero ottimo. Siccome non si poteva piangere bene e sorseggiare con grazia, optò per dedicarsi alla bevanda, tanto più che aveva un freddo becco e quella era una mano santa.

Il “coso” le fece cenno di aspettare e uscì dalla casa mentre Shiori continuava a godersi il suo tè e ripensando alla crudele sorte che le era toccata.

Dopo qualche minuto senti una voce maschile poco lontana “Jin, cosa mi vuoi far vedere questa volta? Un altro uccellino?” , poi la porta si aprì ed entrò un uomo alto e no, neanche in questo caso si trattava del signor Darcy. E quanto a quello che il misterioso uomo si aspettava, l’uccello non si trovava nella stanza e lei non aveva né ali, né zampe o piume di alcun genere.

A quel punto di disperazione Shiori si sarebbe accontentata di un vecchio come il Capitano Brandon, ma nemmeno in quel caso le sue preghiere vennero soddisfatte.
L’uomo era piuttosto alto per la media giapponese, aveva la barba non fatta, portava gli occhiali, teneva i capelli raccolti in una coda ed era vestito con un jeans e una camicia scrupolosamente pulita e stirata che però era stata lavata troppe volte.

“Non è un uccello, questo. Abbiamo qui nientepopodimeno che Shiori Takamiya”.

  * * *
Tetide e Ninfea, che piacere dopo tanto tempo! Spero il capitolo sia stato di vostro gradimento.

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Capitolo 3
*** Tutta una serie di Cosi ***



“Non è un uccello, questo. Abbiamo qui niente po’ po’ di meno che Shiori Takamiya”, l’occhialuto l’aveva evidentemente riconosciuta.
“Come fa a sapere chi sono?” domandò Shiori piuttosto perplessa.
“Le sue foto sono su tutti i giornali” rispose l’uomo con il tono di chi sta constatando l’ovvio e che cercasse di spiegarlo a un mentecatto. “Comunque, io mi chiamo Kenji Kawahara”

A quel punto Shiori si mise le mani nei capelli. Solo metaforicamente parlando perché non voleva rovinarsi l’acconciatura, fresca di parrucco. Il coso numero due aveva ragione, purtroppo: evidentemente il benservito del giovane Hayami alla rampolla dei Takamiya aveva fatto il giro di tutto il Giappone e i giornalisti avevano trovato lo scoop della settimana. Kenji Kawahara? Dove l’aveva già sentito quel nome?

Nemmeno in quel caso una frignata sarebbe servita a molto, quindi Shiori si limito ad incassare meglio che poté (non troppo bene, in verità, mise giù un muso che le arrivava alle ginocchia, tanto con quei due cosi mica si doveva sforzare a far la perfettina).
A quel punto, il coso numero uno si rivolse al coso numero due mimando il gesto di girare il volante. Coso numero due lo guardò in tralice: “Vuoi che ti porti a fare un giro in macchina?” Coso numero uno scosse vigorosamente le testa e indicò Shiori che reggeva ancora tra le mani la tazza del tè.
“Credo che voglia che lei mi accompagni” lo informò Shiori laconica e piuttosto desiderosa di tornarsene da Samsonite e Trolley che erano una compagnia più divertente dei due cosi.
“Come vuole” sospirò il secondo, rassegnato a un triste fato (la rima è involontaria). “Coraggio, venga”.
Shiori si alzò in piedi e in quella si ricordò di essere scalza, se non consideriamo uno stivaletto di fango secco una calzatura. “Ho bisogno delle mie scarpe”.
“Prego, faccia pure.”
“Lei non ha capito… Ho bisogno che qualcuno mi recuperi le scarpe”.
“Vedo che lei è in grado di camminare, perché non ci va lei?”
“Perché sono incastrate nel fango e anche perché non so dove siano”.
“Come non lo sa? Di solito se uno perde le scarpe se ne dovrebbe accorgere.”
Shiori sospirò. Coso numero due era peggio di numero uno, che almeno non parlava. “Coso numero… Il suo amico mi ha portato qui in spalla e non ho visto la strada e sono di Christian Louboutin”
“Lei mette le scarpe di qualcun altro? E le sue?”
Shiori era shockata: quel coso non aveva nemmeno una vaga idea di chi fosse Christian Louboutin, evidentemente. E questo bastava di fare di lui uno zotico senza speranza. “Christian Louboutin è uno stilista francese famoso per le scarpe e le borse”, mormorò esasperata da tanta ignoranza, provando un’intensa nostalgia per la civiltà. Shiori era così demoralizzata di trovarsi in quel posto dimenticato da tutti da fare quasi tenerezza. Quasi.
Coso numero due uscì senza dire una parola e rientrò poco dopo con in mano un paio di stivali da pescatore. “Tenga, si metta questi.”
“No, lei non ha capito, io questi cosi (e tre!) non li metto. Sono orribili!”
L’uomo li sollevò e finse di studiarseli ben bene. “In effetti, non credo siano particolarmente belli. Però si intonano bene al fango che ha sui vestiti”
“Io non li metto.”
“Allora niente scarpe.” rispose placido e laconico Kawahara-san.
“E va bene. Però mi deve promettere che non dirà a nessuno di avermi vista coperta di fango e con addosso quei… quei…”
“Stivali, si chiamano stivali. Glielo prometto, non si preoccupi”.
“Soprattutto non lo dica ai giornalisti.”
“Non c’è pericolo, quella gente non mi piace.”
Se non altro nemmeno lui li amava.

Shiori avanzava dietro l’uomo. Anzi, sarebbe meglio dire arrancava. Gli stivali erano di parecchie misure più grandi della sua, l’uomo camminava a grandi falcate e quando Valentino aveva creato l’abito che indossava, era piuttosto improbabile che stesse pensando a una specie di safari in mezzo alla melma.

Per fortuna non dovettero camminare molto e l’uomo si girò a guardarla dopo aver fissato le scarpe letteralmente sommerse dal fango.
Si chinò e le raccolse. “Però! Ci vuole del talento.”
“Per fare cosa?”
“Per camminare su questi trampoli”
Shiori scosse graziosamente il capo. “Grazie, ma è solo questione di abitudine”.
Kenji fece spallucce. “Sarà, ma io non ci proverei nemmeno.”
La donna lo guardò scandalizzata: “Ma certo che non ci proverebbe, i tacchi le portano le signore!”
”Già, anche questo è vero. A proposito, prego!” e le porse le scarpe inzaccherate.
“Penso che ormai siano rovinate” osservò Shiori mortificata.
“Non se la prenda, lei potrà comprarsene anche duecento paia, di queste scarpe.”

Shiori non disse niente, ma gli prese le Louboutin dalle mani e girò sui tacchi – no,  non proprio – e si diresse silenziosamente e con tutta la dignità che le consentivano gli stivaloni, verso la casa di Coso numero uno.
“Aspetti, non si sarà mica offesa?” Kenji la raggiunse con tre passi tre.
“Keep your breath to cool the porridge” sibilò Shiori la quale spaventosa buona educa
zione le impediva di mandare a sedere sul water chiunque, ma non le citazioni colte, soprattutto da Orgoglio e Pregiudizio e persino in inglese. Tanto coso numero due non capiva di certo l’inglese.
Kenji sorrise per la prima volta dopo che un veloce lampo di interesse gli aveva per un attimo illuminato lo sguardo pacifico: “Va bene, mi scusi, non avrei dovuto rispondere così e lei non ha bisogno di dirmi in inglese per stare al mio posto, il giapponese lo capisco.”
“Perché ride?” se c’era una cosa che Shiori non sopportava è che si ridesse di lei. Dopo che la si scaricasse per una ragazzetta, naturalmente.
Lui sorrise ancora: “Perché lei è la cosa più divertente che mi è capitata oggi.”
Incerta se prenderlo come un complimento o meno, Shiori abbozzò una sottospecie di inchino. “Molto gentile.” Ora però vorrei andare a salutare il suo amico e a ringraziarlo.”
Kenji le lanciò un’occhiata sorpresa, ma non disse nulla e continuò a camminare verso la casa di coso (scusate il gioco di parole), con in mano le scarpe che perdevano pezzi di fango man mano che il tempo passava.

Entrarono in casa e Shiori si ritrovò davanti l’uomo che l’aveva tirata fuori dalla melma. “La ringrazio per quanto ha fatto per me, è stato molto gentile”. E si inchinò compita. Per tutta risposta, l’uomo le cacciò in mano un’altra tazza di tè. “Beh, grazie anche per il tè…” mormorò stupita e si affrettò a trangugiare la bevanda, visto che sentiva ancora molto freddo.
Kenji aspettò pazientemente che avesse finito. “Allora andiamo?” e senza attendere risposta, uscì e si avviò verso il suo cocchio. In realtà non si poteva parlare di cocchio, ma di una roba su quattro ruote (beh, Shiori sperava ne avesse quattro) che aveva visto ere geologiche migliori. Di colore imprecisato e schizzata dello stesso fango che aveva inzaccherato le Louboutin di Shiori.

“Cos’è quella?”
Kenji la fissò per un attimo e rispose serissimo: “La carrozza che la riporterà a Meryton”.
Shiori dimenticò per un attimo il ribrezzo verso quella cosa che Kenji si ostinava a chiamare macchina per fissarne il proprietario con uno sguardo sorpreso. “Non è solo lei a citare Jane Austen, signorina”. Proseguì lui quietamente.

Shiori ricambiò lo sguardo con curiosità. Non aveva mai conosciuto un giapponese di sesso maschile che ammettesse tranquillamente di conoscere Jane Austen ed era rimasta talmente sorpresa da essersi accomodata in auto senza fiatare, anche perché l’interno della vettura era scrupolosamente pulito.
“Allora, dove la porto?”
“Al Sabishii Ryokan”.
“Però! Ci trattiamo bene.”
“E’ passabile.” Concesse Shiori.
“Altroché. E’ il migliore albergo della zona.”

L’uomo guidava in silenzio, concentrandosi sulla strada dinnanzi a sé. Era evidente che conosceva piuttosto bene quelle parti perché arrivarono davanti al ryokan nel quale alloggiava Shiori in pochi minuti.
Kenji spense il motore e si voltò a guardarla. “Signorina Takamiya, che cosa è venuta a fare, qui?”
Shiori teneva parecchio alla sua privacy, ma soprattutto non voleva certo che quel bifolco con la coda ridesse di lei. “Turismo. Sono una turista. Mi hanno detto che qui l’aria è buona e fa molto bene.”
Kenji scrollò il capo, sogghignando.
“Perché ride? Le sembra una cosa stupida?”
“No, affatto. Solo che non può essere la verità.”
“E perché mai? Come posto per fare turismo, mi sembra ottimo.”
“Oh, certamente. Ma chiunque viene in questo luogo è perché sta cercando qualcosa. Non si preoccupi, signorina, non le chiederò cosa va cercando lei. In fondo non sono affari miei. Mi permetta però di darle un consiglio. Se vuole fare del turismo – e calcò l’accento sulla parola turismo – questi non sono gli abiti adatti. Davanti al suo ryokan c’è un ottimo negozio di abbigliamento sportivo. Si compri qualcosa lì. Temo che le sue Louboutin non sopporteranno un'altra sessione di snorkelling nel fango.”
“Sì, grazie per il consiglio. Farò così. E grazie per il disturbo, le ho fatto spostare la macchina.”
“No, nessun disturbo. Dovevo venire comunque in città per fare delle commissioni.” Senza aggiungere altro, Kenji uscì dalla macchina lasciandola  sola.

Shiori era francamente stupita. Non le era mai accaduto che chiunque non le aprisse la portiera e la aiutasse a scendere, tantomeno che la piantasse in asso a quel modo. Pazienza, c’era una prima volta per tutto, anche per un Coso maleducato e poco civilizzato.

Però doveva ammettere che il Coso le aveva dato un consiglio sensato, quindi entrò nel negozio di articoli sportivi e fece incetta di tutto quello che pensava potesse esserle utile, sotto gli occhi allibiti della giovanissima commessa che la osservava riempire il carrello di attrezzatura adatta per una spedizione in Antartide, per un safari in Sud Africa e per un trekking sulle Ande.

Shiori era una donna d’azione: da quando era entrata nel negozio fino al momento in cui aveva strisciato la sua Amex era passato sì e no un quarto d’ora.
Uscì con quattro borse piene zeppe di roba e si scontrò col Coso.
Kenji la guardò stranito. “Che diavolo ha comprato?”
Come osava rivolgerle la parola in quel modo? “Ho semplicemente fatto quello che mi ha consigliato, ho preso qualcosa di adatto.”
A quel punto, Kenji cominciò a sghignazzare. “Vediamo, una piccozza, dei ramponi… , manca solo un fucile a canne mozze. C’è di che aver paura.”
Shiori ora era veramente offesa. “Cos’è che non va?”
Kenji fece un eroico tentativo di tornare serio e le spiegò pazientemente. “Lei ha bisogno di un abbigliamento da mezza montagna. Non deve partecipare ad una spedizione alle isole Svalbard, credo. E nemmeno ad un safari in Zambia.” Nel vedere il viso avvilito della donna dinnanzi a lui, Kenji si sentì quasi in colpa per aver riso di lei. “Senta, se vuole torniamo dentro e l’aiuto a scegliere qualcosa di più adatto.”

Shiori non disse niente, fece solo di sì con la testa. Lei, la specialista dello shopping farsi aiutare da un uomo così poco fine ed elegante. Però tanto lì non la conosceva nessuno.
Rientrarono insieme e Kenji salutò la commessa. “Sumire-chan, forse la signorina si è fatta un po’ prendere la mano. Che ne dici se ti rendiamo qualcosa e scegliamo dell’altro?”
“Sì, Kenji-kun, va benissimo.”
Quindi l’uomo svuotò quasi completamente le quattro borse. Rimase solo una borraccia, una canotta e un cappello. Si girò verso Shiori spiegandole:”Ha bisogno di calzature comode, meglio delle pedule, così le tengono ferme le caviglie e la proteggono dalle storte. Quindi dei calzoni sportivi, delle magliette, un paio di camicie, un giubbetto impermeabile, delle felpe. Per esempio questa.” E le porse una maglia che Shiori rifiutò con un gesto sdegnoso del capo.
“Perché?” le domandò Kenji genuinamente stupito. “Cos’ha questa felpa che non va? E’ comoda, pratica e calda, proprio come deve essere una felpa.”
 “Quel colore andava di moda l’anno scorso.” Rispose ad un allibito Kenji.
“Senta, io sono un uomo e per giunta ingegnere. Cosa vuole che ne sappia io di moda?”
“Niente, è chiaro” rispose piccata Shiori lanciando uno sguardo eloquente alla camicia che indossava.
L’uomo ignorò il commento, scosse la testa e si grattò il capo. “Senta, allora facciamo così: io le dico cosa prendere e lei sceglie il colore, va bene?”
“Mi sembra ragionevole. Anche se devo dire che questi abiti non sono molto eleganti.”
“E’ piuttosto improbabile che in questi boschi lei possa incontrare l’imperatore del Giappone e consorte, quindi l’abito da cerimonia non è richiesto.”
Shiori lo guardò male. “Questo abbigliamento non mi dona affatto.”
Kenji si tolse gli occhiali e le diede una buona occhiata. “E’ bella lo stesso. E badi, questo non è un complimento, ma una oggettiva osservazione della realtà. Per una volta se ne freghi di quello che indossa, almeno in questo posto.”
Finito che ebbe di darle assistenza,  ancora una volta la piantò in asso.

* * *

Ringrazio con un inchino profondo Tetide e Garakame per le gentili recensioni.

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Capitolo 4
*** Del tempo al tempio ***


Per la prima volta da tempo immemore, Shiori aveva dormito bene. Era rientrata presto in camera, anche perché le occasioni mondane in quel posto poco civilizzato non è che si sprecassero. Si era fatta portare la cena - stranamente ottima – che aveva mangiato di buon appetito, si era fatta un bel bagno ed era crollata sul futon prima delle nove.

Si svegliò circa undici ore dopo, perfettamente riposata.
Sbirciò fuori dalla finestra e vide che il tempo era magnifico. Era sempre di buon umore quando doveva indossare degli abiti nuovi, per quanto poco eleganti. Quindi si infilò dei pinocchietti fucsia con zip coordinata, sotto una maglietta bianca e pedule in tinta. “Non si è mai vista un’escursionista elegante come me!” si disse guardandosi allo specchio. Però la sua pettinatura elaborata faceva a pugni con quello che indossava, quindi sciolse i capelli e si mise il cappello.
Si truccò leggermente e alle dieci fu pronta per uscire.

Si fermò alla reception e chiese alla ragazza al banco un consiglio su dove andare a passeggiare.

“Dietro le terme parte un sentiero. E’ facile e ben segnalato. In un paio di ore dovrebbe arrivare in cima alla collina, c’è una bellissima vista da lì.”

Decise di seguire il consiglio e cominciò a camminare sul sentiero che era effettivamente facile e ben segnalato. Le scarpe, per una donna abituata a portare sempre i tacchi, erano estremamente comode, gli abiti caldi e confortevoli. Man mano che avanzava nel bosco, Shiori cominciò a sentire caldo, quindi si tolse la felpa e se la legò intorno alla vita, come aveva visto fare ad altri escursionisti che l’avevano cortesemente salutata.

Shiori si guardava attorno, ma non riusciva a capire cosa fosse di speciale in quel posto. C’era un bel sole, ma quello c’era anche a Tokyo. Idem per il cielo azzurro. Gli alberi… beh, bastava andare a Yoyogi Park. Non riusciva a capire la magia di quel luogo, né dove si fosse cacciata la Dea dispensatrice di fidanzati.


Come non detto, la legge di Murphy non fa eccezioni. Grosse gocce di pioggia cominciarono a cadere dal cielo e quindi su di lei che si trovò fradicia come un pulcino (stavo per dire fin nelle mutande, ma Shiori non le porta: lei indossa della lingerie) in men che non si dica. Sentiva il fondotinta sciogliersi e colare ingloriosamente sulla maglietta, macchiandogliela. Meno male che il mascara era waterproof ed era rimasto dov’era.

Che fare? Tornare indietro? Cercare un riparo? Proseguire fino alla cima?

Non ne aveva idea e, anzi, cominciava ad avere un po’ di paura perché era la prima volta che si trovava sotto la pioggia in montagna (lei che era sempre andata al mare) e in un posto che non conosceva.

Le sembrò di vedere qualcuno avvicinarlesi e si sbracciò. “Sono qui! Sono qui!”

La sagoma era sempre più vicina e tutt’ad un tratto, si trovò di fronte lui, Kenji Kawahara o Coso numero due, come volete chiamarlo.

Che non disse una parola, ma l’afferrò rudemente per un braccio e se la tirò dietro.

“Che cosa sta facendo! Mi lasci subito!”

Kenji scattò. “Non so se se ne è accorta, ma qui piove che Dio la manda e siamo entrambi fradici. La sto portando al riparo. Se però pensa che stare sotto la pioggia battente sia il trattamento di bellezza di ultima generazione, non ha che da dirmelo.”

hiori non era certo abituata a farsi trattare tanto duramente, ma capiva che dovevano entrambi mettersi all’asciutto e non era il caso di sprecare tempo coi convenevoli. “Va bene. Mi scusi. Andiamo.”

ui annuì e la prese ancora per il polso tirandosela dietro. Camminarono ancora per parecchi minuti, poi Shiori lo sentì sospirare dal sollievo. Davanti a loro si stagliava la sagoma di un piccolo tempio, piuttosto vecchio. “Entriamo qui.” Shiori lo seguì senza fiatare.

Evidentemente Kenji conosceva quel posto, infatti si diresse sicuro verso una vecchia stufa, accanto alla quale erano sistemati dei rami secchi e della carta. Cominciò ad armeggiare e dopo qualche minuto un caldo fuoco scoppiettava allegramente, illuminando l’ambiente e riscaldandolo.

Shiori sollevò lo sguardo e vide che sulle pareti vi erano dei dipinti. Si strinse la felpa attorno al corpo per scaldarsi meglio e domandò. “Che cosa sono quelle immagini?”

“Rappresentano la storia della Dea Scarlatta. Pare che Ichiren Oozaki vi si sia ispirato per il suo capolavoro.” Spiegò brevemente Kenji.

“Conosce la Dea
Scarlatta?” Shiori era sinceramente incuriosita.
“Qui tutti la conoscono.” Kenji sembrava sulla difensiva.

“Ma lei non sembra essere di qui. Il suo accento è diverso.”
“E’ vero. Io sono di Tokyo.”
“E come è arrivato qui?” Shiori si morse la lingua subito dopo aver parlato. “No, mi scusi, faccia finta che non abbia mai detto niente. Sono affari suoi.”
“Gliel’ho detto ieri, ognuno che viene qui è perché cerca qualcosa.” E si chiuse in un mutismo ostinato.
Shiori era curiosa, avrebbe voluto sapere cosa avesse portato quello strano uomo da Tokyo fino a quel remoto angolo della prefettura di Nara, ma non poteva pretendere di sapere le motivazioni che lo spingevano se non avesse chiarito a sua volta le sue.

“Cosa sta cercando lei, signorina Takamiya?”
“Se glielo dico, non deve ridere e poi mi deve dire anche lei cosa è venuto a fare qui.”
“Va bene. Parli, la ascolto.”
“Lei sa di cosa mi è successo, vero?”
“Parla del suo fidanzamento con Hayami della Daito?”
“Sì.”
“Non deve parlarmi di cose così personali, se non se la sente.”
“No, voglio farlo.” E Shiori era sincera. Non aveva mai raccontato quella storia a nessuno e ne sentiva ancora il peso dentro di sé, oltre che il rimorso per come si era comportata. Dicevano che confidarsi con uno sconosciuto a volte era più facile, lei era stanca morta di tenersi dentro quel macigno e se aveva capito che tipo era Coso, lui non avrebbe spiattellato tutta la storia ad anima viva.

“Vede… il nostro è stato un fidanzamento combinato, ma io…” si sentiva un po’ a disagio a parlare d’amore con un ingegnere incontrato poche ore prima, anche se leggeva Jane Austen. “Lui mi piaceva molto, purtroppo per me ha sempre avuto nel cuore quella che è ora sua moglie, Maya Kitajima.” Prima di continuare il suo racconto, Shiori prese un sospiro profondo e poi riprese, esitante” Mi sono comportata molto male con quella ragazza e anche con Masumi, ma alla fine ho capito che quello che c’era tra loro era vero amore e la mia era solo una infatuazione. Quando ho letto che anche Ayumi Himekawa aveva trovato l’amore grazie alla Dea Scarlatta, sono voluta venire qui a vedere che cosa era questa magia che sembrava aver preso tutti quanti.”

Kenji la guardava senza parlare.
“Perché non ride?”
Lui rispose quietamente. “Perché non c’è niente da ridere.”
“Le faccio pena, lo so.”
“Le dico di no. Cercare l’amore mi sembra una cosa importante, da prendere sul serio. Ma mi dica una cosa, la sua famiglia cosa ha detto quando ha annunciato l’intenzione di fare questo viaggio?”
“Mio nonno non sa che sono qui. Credo che al momento mi stiano cercando.” Aggiunse cauta, aspettandosi una tirata da Kenji sul fatto che non si fa preoccupare la famiglia e via discorrendo. E invece la sua reazione la colse del tutto inaspettata: Kenji cominciò a ridere a crepapelle.
“Cosa c’è da ridere?” domandò Shiori, francamente offesa.

Quando Kenji riuscì a riprendersi, le rispose ancora ridacchiando. “Non so ridendo di lei, ma perché immagino la faccia di suo nonno!”
“Lei conosce mio nonno?”
Kenji annuì. “Suo nonno è la ragione per la quale mi trovo qui.”

* * *
Cucù, sorpresa!
Capitolo breve, di transizione, ma penso caruccio.
Grazie mille a Koe, Tetide e Lady Athena per le recensioni, molto gradite.

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Capitolo 5
*** Il tempio e i suoi altarini ***


Suo nonno è la ragione per la quale mi trovo qui.”
 “Come?”
“Fino all’anno scorso io lavoravo per lui. Non ha mai sentito parlare del brillante ingegnere civile Kawahara Kenji?”
“Oh, lei è il famoso K.K.!”, ecco dove aveva sentito il suo nome.

“Già. Non sembrerebbe, vero?”
“Cosa è successo? Mio nonno provava una grande ammirazione per lei, non faceva altro che parlare di K.K. e all’improvviso è cambiato tutto.”
“Abbiamo litigato furiosamente. E poi lui mi ha licenziato. Fine della storia.”
“Oh…”

“Per farla breve, sono rimasto senza lavoro. Non sono riuscito a trovare un’altra occupazione perché suo nonno mi ha fatto terra bruciata intorno, d’altronde come fa di solito con chi osa mettersi contro di lui, quindi mio padre mi ha consigliato di venire in questo posto e di mettermi in proprio, ed è quello che ho fatto.
Ora sono libero professionista e le cose mi vanno bene.”
“Perché suo padre le ha consigliato di venire proprio da queste parti?”
“Perché è qui che veniva quando era in crisi e mi ha sempre detto che i problemi qui sembravano meno complicati. Mio padre ama questo luogo ed era amico di Ichiren Oozaki. E tra qui e Tokyo ci sono parecchi chilometri.”

Shiori era dispiaciuta. Sapeva bene che suo nonno gestiva le sue imprese col pugno di ferro, ma comportarsi così con un ingegnere di talento quale sembrava fosse Kenji Kawahara non le sembrava molto giusto. “Mi spiace, io non avevo idea.”
“Non importa. Adesso è tutto a posto e comunque non è colpa sua.”

Laconico Kenji, che si chiuse ancora una volta nel silenzio mentre fuori continuava a piovere.

E il fuoco si era spento perché la legna era finita.

Shiori cominciò a sentire freddo, i brividi le correvano lungo la schiena e le mani erano diventate pezzi di ghiaccio.
Era anche buio.

Da qualche parte sentì la voce di Kenji che si schiariva la voce, forse si stava prendendo un malanno.

Un altro ‘Ehm ehm’ seguito da un: “Ha freddo?”
“Sì, ho freddo.”

Un lungo momento di silenzio e poi: “Se crede, posso cercare di scaldarla.”
“No, grazie.” Fu la risposta piena di sussiego di Shiori.
“Faccia un po’ come vuole. Se si ammazza di freddo per la sua spocchia, affari suoi.”
“Io non ho la spocchia!”
“Se preferisce morire di freddo piuttosto che farsi scaldare da un uomo che non risponde ai suoi standard di qualità, io la chiamo spocchia.”
“Non è questo!” strillò Shiori.
“E allora, che cosa è, di grazia?”
“Io non ho mai…”
“Lei non ha mai cosa?” la voce di Kenji si era addolcita.
“Non sono mai stata abbracciata da un uomo.”
Silenzio. E poi: “Ma se è stata fidanzata!”
“Le ho detto che Masumi non mi ha mai amata, no? Quindi niente.” rispose stancamente Shiori, ricacciando indietro le lacrime.

Quel “niente” la diceva lunga su parecchie cose.
“Mi perdoni, non avrei mai pensato che una donna come lei…”
“Rida pure, se le va.” Era così stanca che non le importava più di nulla.
“Perché dovrei? Sono solo stupito e dispiaciuto. Ora capisco ancora meglio perché è venuta qui.”
“Già, sono una povera sciocca. Bella, elegante e ricca, ma una sciocca rimango.”
“Non direi. Però lo pensi pure, se vuole.”

Faceva sempre più freddo. E Kenji non si era preso gioco di lei. Pur essendo il solito uomo brusco, poco diplomatico ed elegante, era stato gentile.

 “Senta…”
“Sì?”
“Fa sempre più freddo. Se la sua offerta è ancora valida, io accetterei.”
“Certo che è valida, anche io ho un freddo cane.”
Shiori si alzò e si rese conto che la situazione era piuttosto comica. “Dov’è, non la vedo?”
“Segua la mia voce, questo posto è piccolo, non farà fatica a trovarmi.” Shiori avanzò al buio e si sentì sfiorare la mano.

“Sono qui, venga.”

“Ma lei è sdraiato!”
“Soffro di mal di schiena, sono stato seduto fino a poco fa, ma ora non resisto più. Allora, ha cambiato idea?”
Shiori si sentiva parecchio in imbarazzo, ma più che l’imbarazzo poté il  freddo. “No, sto gelando.  Ho i brividi lungo la schiena. Mi scaldi, per favore.” Mormorò. Si inginocchiò accanto a lui, esitante e dopo un attimo si ritrovò stretta tra le sue braccia, la testa contro il suo torace. Lo sentì trasalire. “Qualcosa non va?”
“No, no. Pensiamo a scaldarci.”

Per essere la prima volta che un uomo l’abbracciava, l’esperienza fu piuttosto piacevole. Il corpo di Kenji era caldo e solido, i suoi abiti puliti e lui aveva un buon odore.
br /> “Che profumo usa?”
“Nessuno. Solo il sapone.” Fu la lapidaria risposta.

E ti pareva se un compassato ingegnere si dedicasse a cose futili come un profumo.

Si sentiva un po’ rigida tra le sue braccia, non era abituata a una simile situazione, ma piano piano si rilassò, e lui pure.

“Si sta scaldando?”
“Sì, grazie. E lei?”
“Anche io. Va molto meglio.”

Stava succedendo una cosa parecchio strana. Era come se il suo corpo piano piano si stesse modellando contro quello di Kenji, come se fossero due pezzi di un puzzle che combaciavano perfettamente. E non aveva più freddo, anzi. Solo che quel calore intenso che sentiva pareva venisse da dentro di lei e non solo dall’uomo che la stava tenendo vicino a sé e che aveva affondato il viso nei suoi capelli.

Shiori ebbe l’impressione che stesse per accarezzarle le ciocche, ma un attimo dopo lui era in piedi. Prese un profondo sospiro, poi un altro e un altro ancora. Si passò una mano tremante tra le chiome e sbirciò fuori dalla porta.

“Ha smesso di piovere ed è tornato il sereno. Ci conviene andare.”

* * *
Ed eccomi qua, un altro capitolo breve ma caruccio, che però ritengo sia un buon punto di partenza per quel che verrà poi.
Vi avviso che il prossimo è il mio preferito di tutta la storia.
Grazie a Tetide, Ninfea Blue e ladyathena (fan di Saint Seya, giusto?) per le gradite recensioni

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Capitolo 6
*** Invito a cena con svenimento ***


“Ha smesso di piovere ed è tornato il sereno. Ci conviene andare.”
Shiori si rialzò ancora un po’ stordita e stranamente contrariata da un distacco così brusco, però lo seguì senza fiatare. Lui era decisamente più alto di lei e procedeva a falcate. Per stargli dietro, Shiori inciampò e per poco non finì (ancora) nella melma.
“Allora è un vizio!” constatò mentre la fissava, le braccia incrociate sul petto.

"Fa presto a parlare, lei, che ha le gambe così lunghe!”
“Già, è vero.” Senza dire niente, lui le porse la mano. “Così evitiamo di farla inciampare ancora. Bisogna stare attenti, qui. Un mio amico è scivolato e si è rotto l’osso sacro.”

Shiori guardò perplessa quella mano tesa, troppo sorpresa per notare il particolare poco elegante dell’osso sacro dell’amico di Kawahara-san. Nemmeno Masumi l’aveva tenuta mai così e ora quello strano uomo, dopo averla scaldata, le tendeva la mano. Shiori arrossì, ma la prese. Era calda e asciutta, la stretta rassicurante.
Camminarono in silenzio, lei appena dietro a lui per parecchio tempo. “Non vado troppo veloce?”
“No, non si preoccupi, sto bene.” Furono le uniche parole che scambiarono.

Kenji si fermò a un bivio. “Se prende questa strada, dopo circa cinquecento metri arriva al suo albergo.”
“Va bene,”
“A meno che… No, meglio di no.”
Shiori era curiosa come una scimmia. “Cosa?”
“Stasera viene Jin a cena. Se le va e se non ha di meglio da fare, potrebbe venire anche lei.”
“Non vorrei disturbare.”
“Non sono una persona che si formalizza. Se gliel’ho chiesto è perché non disturba. Dopo la riaccompagno io.”
“Allora va bene, grazie. Solo che non ho niente da portarle.”
“E allora mi darà una mano con la cena.” Fu la lapidaria risposta.

Camminarono per circa un chilometro e arrivarono alla casa dove Kenji abitava. Era in mezzo al bosco, in stile giapponese. Sembrava abbastanza ampia e comoda.
Kenji fece scorrere le porte, entrambi si tolsero le scarpe ed entrarono.

I calzini di Shiori erano infangati e prima che potesse dire niente, lui le consigliò: “Se li tolga pure.”
Shiori ubbidì mentre si domandava come avrebbe potuto aiutare con la cena visto che non aveva mai cucinato niente in vita sua, né mai preparato una tavola. Si vergognò.
Entrò nel bagno dopo di lui a lavarsi le mani.

“Venga in cucina!”
Shiori entrò e vide una cucina piccola, ma piuttosto attrezzata. “Ecco, affetti il tofu a cubi per l’agedashi.”
C’era un tagliere rotondo e Shiori impugnò il coltello, solo che invece del tofu, si affettò il dito… e emise un gridolino più di sorpresa che di dolore.
Dal taglio usciva qualche goccia di sangue. Kenji fu subito accanto a lei. “Cosa è successo, sta bene?”
“Mi sono tagliata, ma…”

Senza dire altro, Kenji si portò la mano di Shiori alla bocca e succhiò via il sangue. E Shiori trasalì, un brivido delizioso l’attraversò da parte a parte, mentre arrossiva vistosamente.
Kenji le lasciò la mano, come se scottasse. “Io… mi scusi non…” era turbato e confuso. “Non so cosa mi è preso.”
Shiori sentiva un gran caldo addosso, ma ebbe la forza di balbettare.”N…non si preoccupi, n… non è successo n…niente.”
Kenji si schiarì la voce, cercando di darsi un contegno: “Si è tagliata.”
“Già.” L’espressione era desolata.
“Non si è fatta male?” Le aveva messo la mano sulla spalla e le si era avvicinato.
“No, sto bene.”
“E allora perché quella faccia?”
“Perché è la prima volta che prendo in mano un coltello.” Fu l’amara rivelazione di Shiori.
“Non sa cucinare, vedo. E allora?”
“In realtà, oltre a fare shopping e a coltivare orchidee, so fare poco altro.”
“Potrebbe seguire un corso. Io l’ho fatto.”
“Davvero?”
“Sì. Sono venuto qui a vivere che non sapevo fare niente, poi mi sono stancato di scaldare roba del Family Mart al microonde. Ora mi vanto di essere un cuoco piuttosto bravo. E’ per questo che tutti i mercoledì Jin viene a cena: buon cibo gratis.”
“A mangiare sono capace.”
“Lo spero proprio. Però se vuole glielo faccio vedere come si usa, quel coltello.”
“Perché no?”
“Il taglio è a posto? Non vuole metterci un cerotto?”
“No. Va bene.” Shiori arrossì ancora fino alla radice dei capelli. “La sua cura ha funzionato.”
Kenji non commentò, ma le mise in mano il coltello nel modo corretto. “E’ così che lo deve tenere. E’ molto affilato, è successo anche a me di tagliarmi. Ora faccia questo movimento col polso. Così, brava.”
Shiori rimase a guardare il tofu tagliato con un sorriso ebete dipinto in faccia.
“Bene, ora prepari il resto, che poi lo friggiamo.”

Nel bel mezzo delle operazioni di taglio arrivò Jin, che aveva portato del saké. Fece un gesto di saluto a Shiori e le sorrise. Lei, presa com’era, gli fece un cenno, si voltò e riprese il suo lavoro, quindi non vide Jin lanciare un’occhiata maliziosa a Kenji che lo guardò male e gli fece un gestaccio.
La cena si svolse in silenzio, viste le difficoltà di Jin, ma serenamente. Mangiarono tutti di buon appetito. La porta scorrevole era aperta sulla veranda e il bosco faceva da cornice al loro pasto.
Kenji era effettivamente un cuoco piuttosto bravo. Il cibo era semplice, ma gustoso e ben presentato, come si conveniva.

Shiori era abituata a menù sicuramente più elaborati, ma apprezzò, visto che un contributo l’aveva dato anche lei, per quanto piccolo… e perché aveva una gran fame, visto che per pranzo aveva mangiato solo un paio di barrette energetiche.
Jin sparì in cucina.

“Dov’è andato?”
“A scaldare il saké. E’ compito suo. Lei lo beve?”
“Poco poco.”
“Quello che porta Jin è speciale, assaggerà.”
Jin rientrò portando un vassoio. Prese un bicchiere, lo vuotò velocemente, fece un cenno di saluto e sparì nel bosco in men che non si dica.

“Fa sempre così?”
“Più o meno.” Fu la risposta laconica. In realtà, Jin si tratteneva spesso fino a tardi, ma visto che c’era una donna e in passato aveva fatto capire in modo eloquente che pensava che Kenji dovesse frequentare delle signore (questa è la versione censurata del gesto che aveva fatto Jin N.d.A.), aveva finito in fretta la cena e aveva sgombrato il campo.

“Lo beviamo sulla veranda quel saké?”
“Perché no?”

Si spostarono e portarono i bicchieri con loro. Erano seduti faccia a faccia sul legno scuro, la schiena appoggiata allo stipite. Shiori rabbrividì. “Ha freddo?” Senza attendere la risposta, Kenji si tolse la camicia di flanella a scacchi che aveva indossato e la passò alla donna di fronte a lui. “Mi spiace, non è nei colori di moda.”
“Il vintage ha un suo fascino, a volte.” Gli sorrise timidamente Shiori e la indossò. Subito sentì il calore del corpo dell’uomo avvolgerla come in un abbraccio e il suo cuore mancò un battito.

Doveva aver fatto una faccia strana perché Kenji le chiese se andava tutto bene. “Sì, benissimo.”
Ed era così. Era la prima volta che si trovava veramente a suo agio con un uomo. Era tranquilla e rilassata, aveva mangiato bene, sedeva comodamente e si stava godendo la serata, forse grazie anche al saké. Era scalza, molto probabilmente struccata e spettinata e di certo poco elegante, ma era serena. Cominciava ad apprezzare quello strano uomo, che ora sembrava molto meno rozzo e incivile di quanto le fosse parso all’inizio.

“Le posso fare una domanda?”
“Prego.”
“Ho sempre sentito dire che la sua salute è malferma. Ma oggi ha camminato sotto la pioggia e le ho fatto fare una bella scarpinata, però lei sembra stare benissimo.”
Shiori guardò verso il bosco e il sole che stava tramontando. “Infatti è così. Io sto benissimo.”
“Mi scusi, ma non la seguo.”
“Vede, far finta di star male era l’unico modo per farmi ascoltare e per avere un po’ di attenzione. Svenivo e la gente si affaccendava intorno a me. Ora però ho smesso. Recentemente i risultati sono stati disastrosi.” Concluse con un sospiro.
Kenji la fissò incuriosito.  Si era tolto gli occhiali e la guardava con lo sguardo tipico dei miopi: “Quindi lei è in grado di svenire a comando?”
“Sì.  Direi di sì.”
“Mi farebbe vedere un suo svenimento?”
“Come, prego?”
“Mi faccia vedere come sviene, è interessante!”
“Davvero?” Shiori stava cominciando a ridere (con molta eleganza, però!), la situazione era surreale.
“Sì, ho detto di sì.”
“Va bene, ma l’ha voluto lei. Non si impressioni, però.” Shiori si alzò in piedi. Il suo viso si fece terreo, gli occhi rotearono e la donna ricadde come un sacco di patate sulla veranda. Kenji la fissava con gli occhi sbarrati. Dopo qualche secondo, Shiori tornò a sedere come se niente fosse stato.
“Sono impressionato. Uno svenimento da manuale.”
“Esperienza ventennale.” Ribatté Shiori e prese un altro sorso di saké. “Il segreto è cadere nel modo giusto.”

Rimasero in silenzio ancora per un po’, poi Kenji si schiarì la voce. “Se crede, l’accompagnerei a casa.”
“Oh, sì, sì. Va bene.” Entrambi si alzarono nello stesso momento e si ritrovarono a fissarsi negli occhi. “Grazie per l’ottima cena.”
“Di niente, sono felice che le sia piaciuta.”

Erano ancora lì a guardarsi. Kenji sollevò una mano, come per accarezzarle una guancia, ma la lasciò ricadere e Shiori sospirò e lasciò andare il fiato che non si era resa conto di trattenere.
“Non è che io la voglia mandare via, ma si sta facendo tardi. Per me potrebbe rimanere anche tutta la notte. No, cioè, sì.” Kenji si bloccò, rendendosi conto dell’enormità di quello che aveva detto.
Shiori lo guardava un po’ stupita, un po’ intimidita.

Ma anche lui con le donne era piuttosto timido; le sue esperienze le aveva fatte, ma ad essere sinceri non si era mai trovato completamente a suo agio con un esemplare del sesso femminile. Forse quel suo lato un po’ rustico impediva tutto questo.
Quel pomeriggio, però, esattamente da quando l’aveva presa tra le braccia con l’intento di scaldarla e niente altro, aveva sentito qualcosa scattare dentro di lui. Quando poi aveva avvertito il corpo della donna quasi fondersi nel suo come per magia, aveva dovuto staccarsi per non fare delle cose che quasi certamente lei non avrebbe gradito. Era tanto che non provava quella sensazione. Anzi, a pensarci bene era la prima volta che sentiva così acutamente una donna.
“Non si preoccupi, certo. Andiamo pure.”

Il tragitto fu percorso in un silenzio imbarazzato. Prima di uscire dalla macchina, Shiori lo ringraziò ancora. “Mi scusi per tutto il disturbo che le ho arrecato oggi. E’ stato molto gentile.”
“Nessun disturbo.” Borbottò.

Shiori fece per uscire dalla macchina, ma lui la bloccò con un: “Senta!”
“Sì, mi dica.”
Kenji esitò. “Domani vado a fare un’altra escursione. Se non ne ha avuto abbastanza di boschi e susini, perché non viene con me?”
Shiori sorrise. “Sì, grazie. Come rimaniamo d’accordo?”
“La vengo a prendere alle nove, va bene?”
“Benissimo.”
“Un’altra cosa.”
“Dica.”
“Non si metta quella roba in faccia.” E accennò alle macchie di fondotinta sulla maglia. “A camminare si suda, la pelle poi non respira, e…” Kenji si bloccò e arrossì penosamente.
“Cosa?”
“Non ne ha bisogno.”
“Va bene” sorrise. “Niente fondotinta. Buonanotte e grazie ancora.”
Kenji la guardò entrare nell’hotel. Appoggiò la testa al volante e sospirò. Quel maledetto vecchiaccio aveva ragione, accidenti a lui.

* * *
 
Era rientrata nella sua camera d’albergo e si era chiusa la porta alle spalle.
Guardò Trolley e Samsonite e disse: “Che giornata strana.”

Avrebbe detto che Kenji l’aveva invitata ad uscire per il giorno dopo, ma conoscendolo non ne era poi tanto sicura. Di solito non si va in giro per susini in questo tipo di occasione, giusto?

Andò a prepararsi un bagno per togliersi il fango di dosso e per rilassarsi; mentre la vasca si riempiva si rese conto che indossava ancora la camicia di Kenji, si era dimenticata di restituirgliela. Se la tolse, l’appoggiò alla guancia e le sembrò di sentire qualcosa di familiare; l’annusò. Era lo stesso profumo di lui, quello che aveva avvertito mentre era stretta tra le sue braccia.
Si fece il bagno mentre ripensava a tutto quel che era successo in quel pomeriggio.

Shiori si asciugò e rimase meditabonda seduta sull’orlo della vasca a fissare la camicia, la strinse al seno cercando di richiamare la sensazione che le aveva provocato il corpo di Kenji accanto al suo, poi la indossò, senza niente altro addosso.
Era la cosa più erotica che avesse mai fatto.

* * *
Grazie a Ladyathena (sono d'accordo con le tue congetture, molto acuta), Tetide e YokohamaGnK (benritrovata!)per le vostre recensioni, mi fa sempre piacere leggere i vostri commenti
Come vi dicevo, questo è il capitolo che preferisco. E' molto semplice, ma l'immagine di una Shiori e un Kenji tutti scarmigliati che parlano seduti in veranda mi piace particolarmente. Spero anche a voi! Come avete notato, Shiori da macchietta senza spina dorsale sta diventando una persona completa, ed è quello che mi interessava raccontare con questa fanfiction. Io parto il giorno 7 per una decina di giorni, vedo se riesco ad aggiornare prima di andar via.

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Capitolo 7
*** Il salto della cozza ***


 
La mattina si svegliò di buon’ora. Erano le sette, per cui fece colazione con calma, si preparò e scese ad aspettare l’arrivo di Kenji. La camicia era rimasta in camera. Aveva intenzione di farla lavare e poi di rendergliela, ma non c’era stato tempo.

Mancava qualche minuto alle nove, ma lui la stava già aspettando. “Mi scusi, è tanto che è qui?”
“No, sono appena arrivato. E comunque lei è in orario.”
“Meno male. Senta, ieri sera non le ho reso la camicia. La faccio lavare e poi gliela ritorno, va bene?”
“Non è necessario che la lavi, me la dia così com’è.”
“Ma l’ho indossata.” confessò a disagio, ma senza scendere in particolari. La flanella ruvida aveva un avuto un effetto un po’ particolare sulla sua pelle delicata.
“Non mi dispiace. Lei ha un buon profumo.”
“Anche lei.” Si lasciò sfuggire Shiori, facendosi di tutti i colori e rimanendo in silenzio.
“Certo che tra me e lei, di gaffes ne infiliamo parecchie.” Constatò l’uomo, tamburellando le dita sul volante.
“Non so cosa mi stia succedendo, di solito non…”
“Se non le spiace, vada a prendermi la camicia. Le altre che ho sono da lavare.”
“Oh, va bene.” scese dopo poco e gli consegnò il capo che lui si affrettò a indossare dopo averlo guardato meditabondo.
“Qualcosa non va?”
“No, tutto bene. Stavo solo pensando a una cosa. Venga, salga.”

Si allacciarono la cintura di sicurezza e prima di partire Kenji lanciò una buona occhiata alla donna seduta accanto a lui; una cosa la doveva ammettere: man mano che passava il tempo, Shiori Takamiya si faceva meno scocciatrice e lagnosa e più alla mano. Gli avevano sempre detto i colleghi che la nipote del vecchio era una piattola allucinante, che alternava frignate e svenimenti, però a giudicare dal tempo che aveva passato con lei, l’unico svenimento al quale aveva assistito era quello che lei aveva messo in atto dietro sua espressa richiesta e anche con un certo senso dell’umorismo. Lui stesso il vecchio lo reggeva poco, chissà come doveva essere viverci assieme. Un incubo di sicuro. Poveraccia. Però era evidente che la lontananza dal nonno facesse del gran bene a Shiori. Accese la radio sulla sua stazione preferita e si mise a canticchiare un vecchio motivo dei Green Day. Avvertendo poi lo sguardo di Shiori su di sé, le disse: “Lo so, sono stonato, non c’è bisogno di fare quella faccia.”
“No, non è stonato.”
“Lei è gentile, ma i miei stessi genitori mi hanno supplicato di non cantare. Non mi offendo, è la verità. Piuttosto, lei come è messa a voce?”
“Ho studiato canto per quindici anni.” Lo disse come se stesse confessando un omicidio.
“Ah, beh. Allora ho capito la smorfia di orrore. Ho ferito le orecchie di un’intenditrice.”
“Potrebbe smetterla di giudicarmi senza conoscermi?” sbottò Shiori.
“No, io non la stavo…”
“Invece sì. E’ da quando ci siamo visti la prima volta che lei non fa altro che prendermi in giro per come sono e per quello che faccio e dico.”
“Ah, davvero? E lei? Solo qualche minuto fa mi ha guardato orripilata a sentirmi cantare. Se non è giudicare questo?”
“Io non la stavo guardando orripilata. E’ la prima volta che sento qualcuno divertirsi a cantare in macchina. L’ho trovato… carino.”
Non era quello che Kenji pensava di sentirsi dire: “Sono uno stronzo, non c’è che dire.” Sospirò.
“Non so cosa intenda dire con quella parola, ma ha frainteso le mie intenzioni.”
“Accidenti, che sussiego. Mi mandi al diavolo direttamente, piuttosto.”
“Lo vede? Mi sta ancora giudicando.”
“E’ vero, mi scusi. Sono doppiamente stronzo.”
“Almeno se ne rende conto, è già qualcosa.”
“La gattina tira fuori gli artigli!”
“Fermi la macchina.”
“Cosa?”
“Fermi la macchina!”
“Cosa accidenti vuole fare?”
“Voglio scendere!”
“Ma è matta? Qui siamo nel bel mezzo del niente.”
“Almeno qui non c’è nessuno che mi tratta come un’idiota. Lei pensa che solo per il fatto che sono viziata, ho un sacco di soldi e un viso passabile posso essere maltrattata da lei senza nemmeno sapere cosa le ho fatto?”
Kenji frenò di colpo, tanto che entrambi fecero un balzo in avanti.
Kenji si sganciò la cintura di sicurezza e si voltò verso di lei che faceva del suo meglio per trattenere le lacrime di frustrazione che le aveva provocato quell’insopportabile Coso, perché non voleva dargli la soddisfazione di averla ferita.
“No, la prego, non pianga. Mi scusi, non ce l’avevo con lei. E adesso cosa faccio?” chiese al soffitto dell’auto mentre si passava nervosamente le dita tra i capelli.
“Mi faccia scendere.”
“E’ una buona idea. Scenda e prenda un po’ d’aria. Però non scappi, che tanto la raggiungo, visto che ho le gambe più lunghe delle sue.”
Shiori annuì e scesero dalla macchina. Shiori aveva le braccia incrociate sul petto e guardava ostinatamente a terra.
Kenji stese un braccio verso di lei, ma lo lasciò ricadere lungo il fianco. “Senta, mi dispiace. Di solito non sono così maleducato. Il fatto è che lei mi rende nervoso.”
 “Sono abituata, la gente con me si sente a disagio.” confessò Shiori amaramente.
“Non ho detto di essere a disagio, ho detto che lei mi rende nervoso.”
“Qual è la differenza?”
“Disagio vorrebbe dire invece che mi sento male in sua presenta. Essere nervoso, no.”
“Perché è nervoso?”
“Non sono abituato ad avere una donna come lei intorno. Non so come comportarmi.”
Shiori alzò lo sguardo. “Quindi non mi trova antipatica e petulante?”
“Se la tira un po’ ed è fissata con la moda, ma non è male. Con lei si può parlare.” Concesse l’uomo.”Ed è un asso negli svenimenti a comando e le piace Jane Austen.” Sorrise. “Rientriamo in macchina?”
Shiori si guardò intorno. “Le dispiace se facciamo una passeggiata qui? Ho bisogno di prendere un po’ d’aria.”
“Va bene, anche qui non è male. Prenda questo.” E le mise in mano un fazzoletto pulito.
“Sì, una donna che piange diventa brutta.”
“No, lei è bella sempre. E non è un complimento, è…”
“L’osservazione oggettiva della realtà, sì, lo so.”
Shiori si sentì meglio. Sentirsi dire che era bella, anche se era solo la constatazione di un dato di fatto, era confortante. “Andiamo?” riprese.
 “Un momento.” Kenji tornò verso la macchina, prese una borraccia e gliela porse. “ Beva, è acqua. L’aiuterà a tranquillizzarsi.”

Kenji poi si avviò lungo il sentiero che partiva dallo spiazzo nel quale si erano fermati, mentre Shiori rimaneva immobile a guardarlo. L’uomo si accorse che stava camminando da solo, quindi si girò, la vide in piedi, tornò indietro e le tese la mano. “Venga, su.”

Si addentrarono nel bosco mano nella mano. “Sta bene, è coperta abbastanza?”
“Sto bene, grazie.”
“Lei ha delle buone gambe. Cammina senza problemi.”
“Queste scarpe che mi ha fatto comprare sono molto comode. Non si fa fatica. A volte quando devo partecipare a qualche evento assieme a mio nonno, devo tendere i tacchi per tutta la giornata.”
“Non la invidio neanche un po’.”

Per un po’ proseguirono in silenzio. Il bosco era piuttosto fitto e anche lì, i susini fioriti si stendevano a perdita d’occhio. Arrivarono a una radura e improvvisamente Kenji si fermò a raccogliere un oggetto che Shiori non riuscì a riconoscere.
“Le è caduto qualcosa?”
“No.” Si rialzò e le mostrò una fragola. “Le piacciono le fragole?”
“Sì, ma quella non…” si interruppe.
Kenji si aspettava quella risposta. “Peggio per lei. Non sa cosa si perde. Non c’è paragone con quelle comprate.” Strofinò il frutto sulla manica della camicia per pulirlo e poi  se lo  cacciò in bocca. “Mmmhhh. Buonissima!”
Come già detto, Shiori era curiosa come una scimmia, per cui ora aveva proprio voglia di assaggiare quelle fragole, anche se non erano state lavate accuratamente. “Se ne trova un’altra…”
Non diede segno di aver sentito, ma dopo un po’ Shiori lo vide chinarsi ancora una volta. “Ecco!” e le avvicinò il frutto alle labbra. Shiori la assaggiò, arrossendo. “E’ buonissima, aveva ragione. Molto migliore di quelle che si comprano.”
“E’ il letame di vacca che le rende così buone.”
“Cosa?!?!” Shiori cominciò a sputare, cercando inutilmente di farlo con eleganza.
“Che cosa ha capito? Nel terreno, non sulle fragole.” Fu il commento perplesso di Kenji che si chinò a raccogliere altre due fragole. Una se la mise in bocca e l’altra la porse a Shiori. “Vede, l’ho mangiata prima di lei, niente di cui preoccuparsi.”

Camminarono ancora e si inoltrarono sempre di più nel bosco. Era passato mezzogiorno quando arrivarono a uno spiazzo attorno al quale crescevano e fiorivano meravigliosi susini.
“Che ne dice, le sembra un posto adatto per un picnic?” chiese Kenji guardandosi attorno.
“Sì, penso di sì.”
“Benissimo, allora facciamo pausa e pranziamo qui.” Aprì lo zaino, ne tirò fuori un plaid e lo stese sotto un albero particolarmente bello. Si sdraiò e si stiracchiò mentre Shiori lo guardava perplessa. “Andiamo, si metta comoda! Anzi, mi aiuti a tirare fuori il cibo.”
Kenji aveva preparato dei bento, uno ciascuno. In quello di Shiori ci aveva messo delle polpettine di riso a forma di scarpa col tacco. Suo malgrado, Shiori si mise a ridere.
“Le piace? Ci ho messo un sacco di tempo a farle. Soprattutto a ricreare il colore delle sue scarpe. Quello del fango, intendo.”
“Molto elegante, niente da dire.”
“Felice che sia di suo gradimento. La prossima volta le farò a forma di fragola. Qui c’è del tè, se ha sete. Allora… itadakimasu!” e si misero a mangiare in silenzio, quindi il pasto fu esaurito piuttosto in fretta. Dopo aver preso un sorso di tè, Kenji si sdraiò, le braccia incrociate sotto la testa.
Shiori era compostamente seduta e teneva le mani in grembo.
“Tutto bene?” Kenji la guardava.
“Sì, sì.” Rispose Shiori distrattamente. “Mi sto guardando in giro.”
“Ah, allora non le dà fastidio se mi faccio un pisolino?” Senza aspettare risposta, Kenji si sdraiò più comodamente e chiuse gli occhi.

Shiori si guardò attorno per un po’, poi riportò la sua attenzione all’uomo accanto a lei.
Non era brutto, aveva dei bei lineamenti mascolini; nel sonno sembrava più rilassato e il sarcasmo che gli era proprio non gli deformava l’espressione del viso. Come faceva a dormire con su gli occhiali? Shiori si chinò su di lui e fece per toglierglieli. Ma si fermò quando vide che lui aveva gli occhi aperti e la stava guardando.
“Scusi, io…”
“Cosa stava facendo?” chiese lui quietamente.
“Lei stava dormendo con indosso gli occhiali; siccome ho pensato che  non dovesse essere comodo, glieli volevo togliere.”
Sembrava fosse rimasto male per qualcosa. “Ah, sì, ha fatto bene. Grazie.”
“Non lo farò più, glielo prometto.”
“Perché? E’ un pensiero gentile.”
“Ma lei mi è sembrato deluso, oppure offeso.”
“Non mi offendo per così poco.” Rispose con dolcezza Kenji.
“Allora perché quella faccia?”
Kenji la ignorò. “Credo sia ora di rientrare. Che ne dice di tornare alla macchina per un’altra strada?”
“Come vuole.” Rispose Shiori che cominciava a indispettirsi della sua evasività. E anche perché non era abituata ad essere ignorata.
“Va bene, si rimetta in piedi che piego il plaid.” Era ancora brusco, anche se non era arrivato a ingiungerle di alzare le chiappe. Era evidente che però qualcosa l’aveva contrariato.

Nel giro di cinque minuti erano pronti. Kenji le tese la mano, ma lei lo, piccata, ignorò e andò avanti.
“Allora attàccati.” Borbottò Kenji a mezza voce in modo che lei non potesse sentirlo e indispettito a sua volta. Accelerò l’andatura in modo da superarla e da farle mangiare la polvere (in senso metaforico, visto il fango). Anche Shiori lo superò a sua volta, aumentando il passo, poi lui passò in testa. Sembrava una gara di atletica. Shiori lo superò, ma si dovette fermare pochi metri più avanti. Una pozzanghera parecchio profonda occupava tutto lo spazio del sentiero e non aveva idea di come oltrepassarla.
Kenji se la rideva sotto i baffi e si prese il suo tempo per raggiungerla, le mani sprofondate nelle tasche dei calzoni, e chiederle: “Posso aiutare?”
“No, grazie.”
“Benissimo. Allora ci vediamo dall’altra parte della pozzanghera.” Prese la rincorsa e la superò agilmente, mentre Shiori, dall’altra parte della melma, gli lanciava delle occhiate assassine. “Prego, la aspetto. Faccia pure con calma, tanto mancano ancora parecchie ore prima del tramonto.”
A denti stretti, Shiori dovette capitolare. “Non so come fare, ho le gambe troppo corte e se salto cado a terra.”
Kenji si infilò le mani in tasca, cercando di stare serio. “Prenda una bella rincorsa e salti. La prendo io, tanto lei è leggera, ce la farà senza problemi.”
Vedendo che Shiori esitava ancora, le propose: “Senta, se vuole torniamo indietro dall’altra strada.”
“NO! Ce la devo fare.”
Kenji sentì una punta di ammirazione per lei. “Bene, allora io sono pronto.”
Shiori si allontanò di qualche metro, poi prese la rincorsa e saltò.
Atterrò proprio a qualche centimetro dalla pozzanghera e si sbilanciò all’indietro. Kenji l’afferrò per la vita e la strinse a sé. “Tutto bene?”
“Sì, ce l’ho fatta!” sorrise trionfante, rendendosi conto subito dopo che teneva le mani appoggiate al petto di Kenji e lui la teneva tra le braccia. Fece per staccarsi, ma lui se strinse contro più saldamente.
“Mi lasci andare!” gli ordinò con una vocina un po’ stridula.
“Perché?” Già, perché? Aveva già appurato che tra le sue braccia si stava benissimo.
“Perché glielo dico io.” Pigolò per puro spirito di contraddizione mentre cercava di divincolarsi, ma lui era in una forma fisica  migliore, quindi riuscì a muoversi solo di qualche centimetro.
“Calma, si calmi. La lascerò andare, ma prima lei deve rispondere a una domanda.” E se la tirò ancora contro.
“Cosa vuole sapere?” balbettò Shiori che cominciava ad illanguidirsi. Ancora quella sensazione…
“Cosa ci ha fatto con la mia camicia?”
* * *
E buona sera! Ci sono ancora. Chiedo umilmente scusa, ma c'erano troppe cose che non mi convincevano, quindi ho riscritto parecchio... peccato che si sia saltato l'hard disk coi file salvati, non solo miei, ma anche quelli del lavoro di mio marito... un disastro! Intanto... prendete questo!
Grazie, come sempre,  a chi legge, recensisce o semplicemente passa di qui.

La canzone dei Green Day che KK canta in auto è questa: https://youtu.be/Soa3gO7tL-c Ad ogni buon conto, la storia è finalmente completa, dovrei aggiornare ogni decina di giorni o giù di lì. Non pubblico a raffica perché rileggo le cose una marea di volte, aggiungo, tolgo ecc ecc

Sentite... qualcuna avrebbe voglia di farmi da beta per questa storia? In cambio, tutta la storia completa, tanto amore, gratitudine e se siete delle mie parti, vi invito a far merenda a casa mia.

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Capitolo 8
*** Una sottospecie di... ***


“Cosa ci ha fatto con la mia camicia?”

La sua guancia destra era giustappunto a contatto con la suddetta camicia. La gota sinistra, dal canto suo, divenne di fuoco come la sua compagna. “Cosa intende dire? Non ci ho fatto niente con la sua camicia.”
“E invece sì. Si sente il suo odore.” La contraddisse Kenji che aveva iniziato a giocherellare coi suoi capelli.
“Avevo il profumo, deve esserne rimasto un po’ quando l’ho indossata a casa sua.”
Sovrappensiero, Kenji aveva spostato la mano sulla sua guancia. “Noooo, non intendevo il suo profumo finto. Intendo dire il suo odore di femmina.”
Shiori si sentì sprofondare dalla vergogna. “Non ho fatto niente.”
“Va bene, faccio finta di crederle. Intanto però lei resta qui.” Le mani erano scese a carezzarle la schiena e Shiori si stava abbandonando sempre più contro di lui e la voglia di ricambiare quelle carezze deliziose stava diventando irresistibile. Se lui non l’avesse lasciata andare e presto, si sarebbe resa ridicola anche perché Kenji stava comportandosi così per farla irritare, esclusivamente per quello, ma lei… lei... Cercò di valutare quale forse il male minore e alla fine capitolò.
“La sua camicia… l’ho indossata ieri dopo il bagno e ci ho dormito.”
Lo sentì trattenere il respiro. “Cosa aveva indossato sotto?”
“Niente.” Confessò Shiori al colmo dell’imbarazzo, cercando di sottrarsi a quell’abbraccio così bello.
“Perché?” la stretta di Kenji era ferrea, ora.
La resa fu totale. “La sua camicia sapeva di lei e volevo...”
Kenji capì immediatamente cosa volesse dire la donna che gli tremava tra le braccia. “Shiori.” mormorò Kenji con dolcezza. “Come ieri pomeriggio?”
“Sì. Perché non mi lasci andare, adesso?” Era quasi in lacrime per la frustrazione.
“Non era quello che volevi, stare tra le mie braccia?”
“Sì, ma tu lo fai solo per farmi dispetto, non perché tu voglia starmi vicino.”
“Davvero pensi questo di me?” l’espressione di Kenji era così ferita che Shiori si sentì un verme. Senza pensare, la ragazza gli sfiorò le labbra con una sottospecie di bacetto; un attimo dopo si rese conto del suo gesto e scattò all’indietro, dato che non poteva scavare un buco e nascondercisi dentro.

Le fece sollevare il viso verso di lui e le sorrise esitante. Quando lei fece lo stesso, le sue labbra si stirarono in un sorriso luminoso. Si chinò e poggiò la guancia alla sua per un attimo. “Non voglio farti dispetto, Shiori. Ti prego di credermi” Disse con una voce così roca che a Shiori si rizzarono i peli sulle braccia.
Mosse la testa in modo che le sue labbra potessero vagare pigramente sulla guancia della donna, sull’orecchio e giù, sul collo. Non la stava baciando, la stava sfiorando appena con la bocca socchiusa, tuttavia Shiori si stava sentendo sciogliere. Kenji si staccò da lei quel tanto che gli permise di guardarla ancora negli occhi. Le prese il viso tra le mani e le carezzò lentamente le gote coi pollici. “Dovresti saperlo che gli ingegneri sono tipi noiosi e fanno sempre le cose sul serio.”

Shiori era ipnotizzata dalla sua voce, dalla delicatezza delle sue carezze che avevano scatenato il fuoco dentro di lei, un fuoco che non sospettava per niente di possedere.
“Non dici niente?” le sussurrò a pochi centimetri dalla bocca.
Shiori scrollò appena il capo, completamente rapita da quelle labbra che si stavano avvicinando.
“Meglio così.” Kenji chiuse gli occhi quando le carezzò la bocca con la sua. E poco dopo un’altra carezza, altrettanto dolce, ma più profonda perché lei non lo aveva respinto. Lo aveva accolto con le labbra socchiuse e morbide, che lui prese ed esplorò con lenta e pigra passione, mentre le accarezzava i fianchi e li avvicinava ai suoi.
Shiori si staccò da lui, senza fiato. “Sì, credo di aver capito.” E gli sorrise timidamente.
Kenji ridacchiò nervosamente, tirandosela ancora contro. “Certo che siamo qui a baciarci nel bel mezzo di un bosco e di una distesa di fango.”
Lei gli assestò uno schiaffo sulla spalla. “Come fai a ridere in un momento simile!”. Oltraggiata! Era oltremodo oltraggiata!
Kenji la staccò delicatamente da sé. Era pallido e agitato. “Scusami. Sono solo sono emozionato, ancora non ci credo. E straparlo. Non sono abituato a…”
“Potresti… eh… ancora, per favore?” Gli aveva appoggiato una mano sulla guancia e lo guardava in modo talmente tenero che Kenji non si fece pregare. Dopotutto, Shiori glielo aveva chiesto educatamente. Durò tanto, durò a lungo e i baci furono più profondi, così come le carezze. Ancora una volta fu Shiori a staccarsi.
“Scusa,  ho bisogno di prendere fiato.”
Kenji la strinse ancora a sé. “Riprendi pure fiato, ma puoi farlo anche rimanendo dove sei.”
“Vero.” Shiori appoggiò il mento alla sua spalla. “Perché hai detto che non sei abituato? Non penso sia per te la prima volta che…”
“No, è vero. Ma è la prima volta che mi sento così.” Le mostrò le mani che tremavano. “Non pensare che i baci siano sempre tutti uguali. E nemmeno il resto.” Si schiarì la voce.
A sua volta Shiori alzò le mani, che tremavano anch’esse. “Non pensavo di essere così. Credevo che queste cose non…” e si bloccò. Con Kenji le parole sembravano sempre uscire da sole, senza controllo.
“Non?” la incalzò l’uomo, che nel frattempo le aveva posato un bacio su una tempia.
“… non mi piacessero.”
“Se non ti piace l’uomo, dubito ti possa piacere il sesso con lui.” Fu la risposta lapidaria che non faceva una grinza.
“Kenji!”
“E’ vero.” Il viso di Kenji si fece serio. “Shiori… allora anche tu ieri pomeriggio hai sentito quella cosa strana tra noi due?”
La donna fece piano di sì con la testa. “Anche prima, anche adesso. Ed è una cosa alla quale non so resistere, non potrei farlo nemmeno volendo. E’ troppo forte”.
La  fissò con uno sguardo penetrante per qualche momento, poi la staccò delicatamente da sé. “Shiori, forse è meglio che rientriamo. Per quanto mi piaccia stare qui, non è il caso di rimanere.”

Questa volta, si avviarono fianco a fianco. Lui le teneva un braccio attorno alle spalle mentre lei gli cingeva la vita, tanto il posto era deserto e non c’era nessuno che potesse obiettare al loro comportamento.
Shiori si fermò guardandosi intorno, come se vedesse il posto per la prima volta. “E’ magico, qui.”
“Cosa, scusa?”
“Ti dico che qui è magico. Questo luogo, l’atmosfera. Capisco perché la Dea Scarlatta sia nata qui.”
“Può essere. Io mi ci sono sempre trovato benissimo”.
“Cosa è successo prima?”
“Prima quando?”
“Quando ti ho tolto gli occhiali.”
“Niente.”
“Davvero?”
“E va bene. Pensavo volessi accarezzarmi e sono rimasto deluso, ok?” rispose l’uomo al colmo dell’imbarazzo. “Contenta?”
Shiori si limitò a sorridergli.

Lui l’accompagnò all’albergo. Mentre guidava le teneva una mano sul ginocchio.
“Kenji?”
“Dimmi.”
“Mi canteresti quella canzone che cantavi stamattina?” gli chiese timidamente.
“Scherzi?”
“No, certo che no.”
“Ti piace la canzone? Se vuoi ho il Cd e te la posso fare ascoltare.”
“No, è come canti tu che mi piace.” confessò con una punta di imbarazzo.
“Va bene, se è quello che vuoi, scarico ogni responsabilità per eventuali timpani distrutti. La prossima volta però facciamo un duetto.” E si mise a canticchiare mentre Shiori batteva il tempo con la mano su quella di lui, che ancora si trovava sul suo ginocchio.
Arrivarono a destinazione e prima di salutarla la baciò ancora a lungo, mentre erano ancora seduti nella macchina. “Basta, meglio che la smetta, altrimenti cercherò un modo di intrufolarmi in camera tua.”
Shiori arrossì e lui le prese il viso tra le mani.
“Ascolta, stasera devo andare a casa perché devo finire un lavoro. Domani andrò a consegnarlo e dovrei tornare nel tardo pomeriggio.” Un bacio a fior di labbra. “Ti va di venire a cena da me?  Tu e io, da soli e senza Jin. Vorrei cucinare qualcosa di buono per te.” L’incertezza però lo colse. “Certo, solo se ti va.”
Shiori si chinò su di lui e lo baciò a sua volta. “Certo che mi va. Cosa porto? Vino o saké?”
“Se porti te stessa è più che sufficiente. Vengo a prenderti alle sei, va bene?”
“Sì. A domani, allora.”

Kenji la guardò allontanarsi, poi fermarsi e tornare sui suoi passi. “Hai dimenticato qualcosa?” Le domandò quando se la ritrovò vicino. Lei arrossì e mormorò qualcosa, gli occhi bassi puntati a terra per l’imbarazzo. “Shiori, non ho sentito. Se parli così a bassa voce non capirò mai.”
Finalmente lei alzò gli occhi e sorrise appena. “Kenji, mi presti ancora la tua camicia per stanotte?”
Si sentì come se gli avessero assestato un pugno in pieno stomaco, ma un pugno molto piacevole. La fissò intensamente, gli occhi che gli brillavano di qualcosa che Shiori non riuscì a decifrare. “Te la metterai ancora senza niente sotto?”
“Se a te non dispiace.”
“L’unica cosa che mi dispiace è di non essere la mia camicia, Shiori.” Rispose mentre immagini di lei vestita solo di quel pezzo di flanella gli riempivano la mente.
“Magari presto non la invidierai più, chissà.”
“Già, chissà.” E le sorrise di rimando consegnandole il capo incriminato. La lasciò andare, non prima però di averle rubato un bacio parecchio lascivo che la lasciò ansimante e desiderosa di avvolgersi Kenji attorno al corpo invece della sua camicia.

Shiori si staccò e rientrò in albergo dopo essersi girata a sorridergli a mo’ di saluto.
Come il giorno prima, Kenji si accasciò sul volante e mormorò: “Vecchiaccio maledetto, hai sempre più ragione.”
Poi girò la macchina e tornò verso casa, i suoi pensieri fissi su Shiori e su quello che era successo tra di loro quel pomeriggio. “Chissà come diavolo farò a lavorare.” borbottò fra sé e sé, dopo aver deciso che era il caso di farsi una bella doccia gelata e ammesso con se stesso che ci aveva messo due giorni e mezzo scarsi a innamorarsi come un fesso di Shiori Takamiya.


 
* * *


Eccomi qui, sono stata di parola. Che brava, eh?

Un grazie sentito a Tetide e a Ladyathena, che mi regalano il loro sostegno. Un altro grazie a chi legge e che apprezza questa storia.
A presto!

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Capitolo 9
*** Squadra di salvataggio 1+4 ***


 In quel breve tratto di strada che separava la macchina di Kenji dall’albergo, Shiori si rese conto cosa volesse dire avere il cuore a mille. Si sentiva leggera, euforica… in una parola, viva. Finalmente.

Per la prima volta in tanti mesi, sentì un impeto di gratitudine verso Maya Kitajima che le aveva tolto di torno quel mostro di sussiego di Masumi Hayami.
Forse era stata la Dea che ci aveva visto più lungo di lei perché sapeva che Kenji stava per affacciarsi nella sua vita.

Kenji…

Era passata solamente una manciata di ore da quando lo aveva visto per la prima volta. Lo aveva chiamato “Coso” e non si erano trovati molto simpatici. Come cambiavano le cose, visto che aveva passato le ultime tre ore ad abbracciarlo o a farsi baciare da lui o entrambe le cose. Una fitta al basso ventre le ricordò le sensazioni che aveva provato tra le sue braccia e desiderò ardentemente che le ore che la separavano da quella cena passassero alla velocità della luce.

Sarebbe andata a casa sua, da sola, a cena.

Arrossì al pensiero di cosa sarebbe potuto succedere e diventò ancora più rossa a rendersi conto di cosa lei desiderava accadesse l’indomani sera.
Si toccò le labbra gonfie e lisce, senza rendersi conto che non era mai stata tanto bella. Strinse a sé la camicia di Kenji e allungò il passo, come se accelerando l’andatura potesse far sì che il tempo passasse più velocemente. Entrò nel ryokan quasi correndo, i capelli che le danzavano sulle spalle e la camicia riabbottonata alla bell’è meglio.

L’intento era quello di andare in camera, farsi una doccia e poi cenare. Purtroppo non successe niente del genere perché non appena si avvicinò alla reception, Shiori vide una donna che riconobbe come la sua tata e quattro scagnozzi vestiti di nero che sapeva benissimo essere al soldo di suo nonno.

Rimase impietrita sul posto e tutta la felicità che aveva provato fino ad un attimo prima sembrò svanire in un lampo.

“Signorina Shiori!” chiocciò la tata e la signorina in questione pensò che mai l’aveva odiata come in quel momento. “Meno male, ci ha fatto preoccupare!”; rivolgendosi poi ai quattro nerovestiti, ordinò: “Bene, partiamo subito”. In quel momento Shiori si accorse di Trolley e Samsonite in attesa ad un angolo del bancone.
“No… aspettate, io non voglio!”
“Signorina Shiori, suo nonno l’aspetta e lei ha una brutta cera: ha gli abiti in disordine, è spettinata. Ha bisogno di riposare, altrimenti la sua salute potrebbe risentirne…Lo sa quanto è cagionevole! La cosa più saggia da fare è muoversi immediatamente, in modo da rincasare prima di sera”.

Vinta, Shiori chinò il capo: quando suo nonno ordinava qualcosa, l’unica risposta possibile era l’assenso. Però… però non voleva andarsene, non ora che aveva trovato un pochino di felicità e la Dea l’aveva presa sotto la sua protezione.

Si girò di scatto verso la signorina alla reception che la stava guardando visibilmente dispiaciuta. “La prego, la prego dica a Kenji che…”
La tata la strattonò bruscamente verso l’uscita “Signorina Shiori, andiamo. E’ già tardi e non è il caso di fare inquietare ulteriormente suo nonno”.

Shiori non svenne, non pianse, non disse niente mentre sentiva il cuore spezzarlesi nel petto e lo sconforto più nero invaderle l’anima, i quattro scagnozzi dietro di lei che seguivano ogni sua mossa, mentre l’auto partiva veloce, allontanandola da Kenji e dalla felicità.


 
*  * *

Quella volta aveva davvero superato se stesso. La cena che aveva preparato con ogni cura sembrava essere deliziosa. Aveva fatto tutto da solo, aveva solo acquistato un dolce francese perché i dessert non erano il suo forte e comunque preferiva la pasticceria europea a quella giapponese, almeno per concludere degnamente un buon pasto.

Era la prima volta che invitava una donna nella sua casa nel bosco, per una cena romantica, quantomeno. Si era sbarbato con cura, aveva indossato una camicia pulita, dei jeans nuovi che gli piacevano particolarmente. I suoi capelli erano lucidi e in ordine nella solita coda che era la sua pettinatura.

Shiori… aveva passato quel giorno quasi in agonia. Era riuscito in qualche modo a finire il lavoro per il suo cliente, ma nella sua mente in quel momento c’era spazio solamente per quella donna bruna che gli aveva rubato il cuore. Voleva vederla e quel desiderio era così forte da star male.

Erano le sei passate, per essere precisi le sei e un quarto, e Shiori non era ancora uscita dall’albergo.
Decise di entrare nel ryokan e di chiedere direttamente di lei e così fece.

Alla reception un ragazzo giovane. Dal badge che portava attaccato alla maglia si leggeva che era un nuovo assunto.

“Buonasera, sto cercando Shiori Takamiya”.
Il ragazzo lo guardò con uno sguardo un po’ stranito. “Sono terribilmente spiacente, ma in questo momento non ci sono ospiti con questo nome”.
Kenji si sentì gelare il sangue. “Mi scusi, non credo sia possibile. Potrebbe ricontrollare il registro degli ospiti, per favore?”
Il ragazzo si inchinò compitamente, poi prese a scorrere un documento a PC. “Ecco! La signorina Takamiya ha fatto il check out ieri sera.”

Kenji si sentì gelare il sangue, ancora una volta. Allora non c’era un errore, Shiori se ne era andata per davvero, solamente poche ore dopo i loro baci, le loro carezze, i loro sospiri. Sapeva benissimo di non poter aspirare a una donna come lei, però… però lui ci aveva creduto, era certo che con lei avrebbe potuto esserci qualcosa di molto bello.

Ma evidentemente si era sbagliato, non era destino. E lui doveva farsene una ragione. Prima o poi, visto che non si era mai preso una cotta del genere.
Il ragazzo alla reception mormorò: “Mi spiace, mi spiace veramente”. Doveva fargli davvero pena. Siccome non voleva la pietà di nessuno, Kenji uscì dall’albergo meditando  di scolarsi tutto il saké che aveva in casa per anestetizzare almeno un po’ il suo cuore spezzato.


* * *

Chiedo umilmente scusa per questo capitolo! E' corto e finisce in modo tremendo. Lo so che mi odiate tantissimo! Corro a nascondermi sotto al tavolo! O sotto la mia scrivania in ufficio (il mio collega mi vuole bene, mi proteggerà!).

Le scuse sono rivolte soprattutto a Tetide e a ladyathena, che ringrazio sempre di cuore e che spero di non deludere! Posso però  dirvi che il prossimo capitolo lo adoro!

Vi abbraccio tutti e vi ringrazio!

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Capitolo 10
*** Contromisure ***


In quel momento entrò una ragazza a dare il cambio al collega in reception. “Cosa aveva bisogno quel signore?”.
“Stava cercando un’ospite che ha lasciato ieri l’albergo, la signorina Takamiya”.
“La signorina Takamiya? Accidenti!”.

La ragazza schizzò fuori dall’albergo per fare il favore che le era stato chiesto. Vide un giovane coi capelli neri che stava salendo in auto. “Signore?” gridò. “SIGNOREEEEE????”.
Kenji si voltò verso la ragazza con un’espressione desolata.
“Mi scusi se le sono corsa dietro, ma…” si portò una mano al petto per fermare il fiatone. “Lei è per caso il signor Kenji?”
“Sono io. Posso esserle d’aiuto in qualcosa?”
“Ieri sera ero di turno quando la signorina Takamiya ha lasciato l’albergo. Mi ha chiesto di avvertirla, lei non voleva andarsene. Solo che è arrivata una donna anziana con quattro signori e l’hanno portata via. La signorina è entrata in albergo con l’aria più felice del mondo, ma quando se ne è dovuta andare sembrava le si fosse spezzato il cuore. Credo che non abbia avuto scelta che seguire quelle persone, sembravano molto importanti.”

Un immediato sollievo riempì il cuore di Kenji, seguito a ruota da una rabbia cieca. Aveva capito perfettamente chi fossero quei cinque. “Quindi, la signorina non se ne sarebbe andata se non fossero arrivati quei tizi?”
“Io credo proprio di no. Quando ha lasciato l’hotel aveva la stessa faccia che aveva lei fino a qualche secondo fa”.
Kenji fece un largo sorriso e afferrò la mano della ragazza, stringendogliela vigorosamente, dimenticandosi delle buone maniere giapponesi. “Grazie, la ringrazio infinitamente! Dica al suo capo di darle un aumento, mi raccomando” e si infilò in macchina, dato che aveva già chiarissimo in testa cosa avrebbe fatto.

* * *

“Shiori, non riesco a capire cosa ti abbia preso.” L’Imperatore Takamiya poteva gestire tutto il suo impero economico, ma era completamente spiazzato di fronte a sua nipote, nipote che non aveva mai visto così triste e arrabbiata nemmeno ai tempi della rottura con Masumi Hayami.

“Io stavo benissimo dove stavo, nonno. Non c’era bisogno di mandare la tata e i tuoi cani da guardia a prelevarmi come se fossi stata una criminale!”

A dirla tutta, doveva essere successo qualcosa di molto serio, era la prima volta che Shiori gli rispondeva a quel modo.
“Cara, non c’era bisogno di andarsene via così. Avevi bisogno di una vacanza? Bastava dirlo! Lo sai che la tata è a tua disposizione, in qualsiasi momento.”
Shiori lo guardò stancamente. “Sono una donna adulta, nonno. Sono in grado di muovermi da sola.”

Se fosse andata nella Valle dei Susini assieme alla tata, minimo minimo la Dea Scarlatta sarebbe scappata urlando, pensò cupamente Shiori. E poi conoscere Kenji? Figuriamoci! Nessuna passeggiata, nessuna cena romantica, baci manco a parlarne e nemmeno il resto!

“Shiori, cara. Nella nostra posizione e per la tua sicurezza non possiamo permetterci di lasciarti andare per conto tuo, lo capisci? La nostra famiglia ha molti nemici e non voglio rischiare di perderti.” Con la voce rotta il nonno aggiunse: “Sei la cosa più importante che ho…”
“Ho capito, nonno. Hai ragione tu, come al solito. Ora scusami, vado a riposare. Sono molto stanca”. Shiori se ne andò senza dire altro.

Takamiya restò a fissare la porta per molto tempo dopo che Shiori se ne fu andata. Alla fine Shiori gli aveva obbedito, come al solito. Ma gli era rimasto l’amaro in bocca e la consapevolezza che la sua cara nipote fosse profondamente infelice, e per giunta per colpa sua.
E doveva assolutamente scoprire perché e porvi un rimedio!

Tre colpi leggeri alla porta lo distrassero dai suoi pensieri.
“Avanti!” invitò con voce stentorea.

Il viso della tata fece capolino dalla porta. “Mi scusi, Takamiya-sama. Ci sono visite per lei…”
“Visite per me? Non aspettavo nessuno.”
“Sì, è vero. Si tratta di una cosa urgente, pare. Per questo mi sono permessa di interromperla.”
“Sentiamo, chi è questa persona che si presenta senza appuntamento?”
“E’ un suo ex dipendente. Se non ho capito male, il suo nome è Kenji Kawahara.”

* * *

Ooooops!

Dato che si tratta di un aggiornamento piccino picciò, ho cercato di essere veloce.
Piccino, ma di sostanza, spero!

Ora, preparatevi al prossimo, ci sarà da ridere.
Ja mata!

 

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Capitolo 11
*** Il vestito nuovo per l'Imperatore ***


Questo capitolo è tra i miei preferiti. Spero che piaccia anche a voi.
* * *
“Solo un attimo, per favore.”
Takamiya udì  la voce della tata, ma non sentì la risposta. Suo malgrado, era incuriosito. Che diavolo voleva K.K. dopo tanto tempo? Era forse venuto a scusarsi e a supplicarlo di riprenderlo al suo servizio?

“Takamiya-sama, posso far accomodare il signor Kawahara?”
L’Imperatore annuì e pochi secondi dopo si trovò davanti un Kenji Kawahara con un’espressione seria e un certo cipiglio. Forse non era venuto a chiedere scusa…

K.K. si inchinò profondamente davanti al suo ex datore di lavoro.
Non era cambiato molto. Era elegantissimo con un completo nuovo, una cravatta intonata. Si era solamente fatto crescere i capelli che in quel momento erano sciolti. E aveva preso a portare occhiali da vista. Sempre a combinare qualcosa per indispettirlo: quei capelli non erano dignitosi.

“Signor Kawahara, qual buon vento la porta a Tokyo dopo tutto questo tempo? Questioni professionali, suppongo. Ma si accomodi, la prego.”
Kenji si sedette sul divano. Rigido come un baccalà. “No, nessuna questione professionale. Per quanto riguarda il lavoro, sono a posto.”

La risposta non sorprese Takamiya. Sapeva benissimo che nonostante il suo boicottaggio, K.K. sarebbe riuscito a farsi strada. Era troppo in gamba nel suo lavoro, anche se non glielo avrebbe mai detto chiaramente, come non gli avrebbe mai confessato che era tuttora terribilmente dispiaciuto di non averlo più alle sue dipendenze.

“Oh. E quindi?” Ora era sinceramente perplesso… e ancora più incuriosito.
“Ho bisogno di parlare con sua nipote.”
“Con Shiori?”
“Mi risulta sia la sua unica nipote.”
“Non sia impertinente, Kawahara. Vedo che nonostante il nuovo look non è cambiato di una virgola.”
La risposta non si fece attendere: “Potrei dire la stessa cosa di lei.”

Takamiya non fece un plissé. In realtà aveva e continuava avere un grande rispetto per chi non si faceva intimidire dal suo status. “Io non la capisco, Kawahara. Ho insistito per mesi per farle conoscere mia nipote, abbiamo anche litigato furiosamente perché la consideravo un marito migliore per Shiori di quell’Hayami e lei non ne ha mai voluto sapere. Ora la vuole incontrare?”
“Semplice, ho cambiato idea.”
“Lei non è una persona che cambia idea così facilmente. Ha persino rinunciato ad un impiego prestigioso e a uno stipendio di tutto rispetto per potere – vediamo se mi ricordo le parole precise – essere io a decidere chi devo frequentare e comunque di certo non quella lagna di sua nipote.”

Kenji arrossì leggermente, ma rimase in silenzio.
“Non si illuda, Kawahara. O mi racconta le cose come stanno o mia nipote non la vedrà mai, fosse l’ultima cosa che faccio”.

K.K. sbuffò tutta la sua frustrazione. Era sufficientemente intelligente da capire quando era con le spalle al muro. “ E va bene. Ho conosciuto sua nipote alla valle dei Susini e sono venuto per rivederla”.
Era molto raro che Takamiya si sorprendesse per qualcosa, ma quella era decisamente una delle poche volte in cui era successo.
“Ma non mi dica.”
“Se non vuole, non glielo dico”, ribatté seccamente il giovane.
“Le ripeto di smetterla di fare l’impertinente, Kawahara. La vuole rivedere mia nipote, sì o no? Considerando che si è fatto tutta questa strada e che è venuto da me nonostante quello che è successo, posso solo auspicare due cose: o che è interessato ai soldi di Shiori…”

L’espressione infastidita sul viso di K.K. fu una risposta sufficiente, anche perché sapeva benissimo che il giovane non aveva mai badato più di tanto al vile denaro.
“… oppure che è interessato a mia nipote. Come donna, intendo”.

Kawahara arrossì come un adolescente colto in fallo… e Takamiya pensò che era da tanto, troppo tempo che non si divertiva così. Si chinò verso di lui per osservarlo meglio e Kenji si sentì come una cavia da laboratorio al microscopio. “Dolce Amaterasu, lei non è solo interessato… direi che è innamorato perso!”
Kenji si limitò ad annuire, al ché l’Imperatore gongolò: “Avanti, lo ammetta, K.K.. Lo dica che avevo ragione da vendere a volervi mettere assieme.”
“E va bene, lo ammetto. Sono cotto come una pera e lei aveva ragione. Contento?” Solamente che lo disse con la stessa espressione di chi aveva bevuto l’aceto.

Takamiya tornò serio. “Lo sarò solo se toglierà quello sguardo triste dagli occhi di mia nipote. Da quando è tornata, mi sembra in preda allo sconforto e all’infelicità.”
K.K. lo guardò torvo: “E’ solo colpa sua! Noi stavamo tanto bene, non c’era bisogno di mandare i suoi beccamorti e la vecchia a portarmela via!” E borbottò qualcosa su del cibo buono buttato e una serata mandata a monte.

Takamiya gli lanciò uno sguardo penetrante: erano più o meno le stesse parole che gli aveva rivolto Shiori, anche se decisamente meno educate. Che sua nipote avesse subito il fascino rude di K.K.? Non osava sperare che i due avessero iniziato… qualcosa. Sollevò il telefono. “Shiori, mia cara? Puoi venire da me un momento?”.

Riattaccò la cornetta senza far rumore. “Solo una cosa, Kawahara… Mi raccomando!” intimò sollevando un minaccioso indice. E nelle sue parole una raccomandazione, ma anche una minaccia.

Kenji si inchinò profondamente.

Che canaglia!
* * *
Ecco qua! Spero vi sia piaciuto, io mi sono divertita molto a scriverlo.
Detto ciò, un grazie di cuore a Tetide, Ninfea e ladyathena perché mi fanno avere le impressioni, ma anche a chi legge.
Baci a tutti voi!

 

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Capitolo 12
*** Scene di una vita normale ***


“Nonno, avevi bisogno di me?”
“Io personalmente, no. Lui sì”.

Shiori era entrata nello studio e si era diretta verso la scrivania, senza guardarsi attorno.
Seguì lo sguardo del nonno e il suo cuore smise di battere per un nano secondo per poi ricominciare all’impazzata.

“Kenji!”
“E’ il mio nome, sì”, rispose sbruffone, facendo finta di ignorare il tremito che gli aveva preso le ginocchia.

Incurante di ogni cosa, Shiori gli volò tra le braccia.
“Kenji, Kenji!” Si staccò per un attimo e gli diede una buona occhiata. “Sei bellissimo!”
K.K. arrossì furiosamente. “Anche tu non sei male.”

Shiori ridacchiò felice, per tacer del nonno che li guardava sbalordito. Non avrebbe mai, mai sperato di vedere sua nipote così spensierata e contenta. E pure ignara, perché si tese a sfiorare la bocca di Kenji con la sua.
“Shiori, ti ricordo che non siamo soli…”

La donna si riscosse e si rammentò in quella della presenza del nonno, che ancora li stava osservando intento, con le mani raccolte dietro la schiena come il peggiore degli umarell davanti al cantiere di un centro commerciale. E fu il suo turno di arrossire furiosamente.
Nella stanza scese un silenzio imbarazzato che Takamiya si guardò bene dall’interrompere. Fissava alternativamente sua nipote e, a questo punto, il suo fidanzato. Lui era girato completamente verso di lei, quasi gli dava le spalle e lei aveva appoggiato una mano sulla spalla di lui.

L’Imperatore si schiarì la voce. “Molto bene. Kawahara, io e Shiori le siamo oltremodo grati della sua visita. Purtroppo per me e mia nipote domani inizierà un periodo molto impegnativo di incontri mondani che non possono essere assolutamente cancellati. Però saremmo lieti di averla a cena questa sera con noi.”

Kenji si sentì come se lo avessero preso a schiaffi, mentre Shiori impallidì penosamente.
“Mi spiace, cara. Ma spero capirai…”
Suo malgrado, Shiori dovette capitolare. “Nonno, però… ti prego… questa sera… lasciala a noi due”.

Kenji annuì mentre le prendeva la mano.
Dopo un tempo che sembrò infinito, Takamiya acconsentì alla richiesta accorata della nipote. “Kawahara, mi raccomando. Gliel’affido. Però prendete l’autista, vi accompagnerà dove volete.”
Non fece in tempo a finire di pronunciare quelle parole che i due erano già oltre l’ingresso.
Tutto sommato, era contento di come si erano messe le cose. Era fermamente convinto che quei due avrebbero potuto farsi del bene a vicenda e un genero in gamba come K.K. poteva sempre tornare utile.

Mentre l’Imperatore faceva queste riflessioni, i due Giulietta e Romeo erano in auto. Avevano chiesto all’autista di azionare il divisorio per avere un po’ di privacy e avevano preso a baciarsi e a parlarsi concitatamente.

“Quando sei…”
“Stamattina…”
“Mi è venuto un colpo quando non ti ho vista…”
“Sapessi a me quando mi sono trovata davanti quei..:”
“La mia camicia?”
“Messa stanotte…”
“Mmmm… Sexy…”
Il tutto intervallato da gesti assortiti di amore, desiderio, affetto e chissà che cosa altro.
“Signorina, dove devo andare?”
“Ti porto a cena. Conosco un ristorante vicino a Yoyogi.
“A cena?” mormorò delusa Shiori.
“Dove avresti voluto andare? In un love hotel a Shibuya?”
“Eh…”
“Non dico di non averci pensato, ma… ti immagini il pensiero del tuo autista che ci aspetta fuori? E che magari ti deve riportare a casa entro il coprifuoco? E tuo nonno che ci aspetta sulla porta con una katana in mano, pronto a ridurmi in sashimi?”
Il pensiero fu peggio di una doccia gelata. “Vada per la cena, allora…”

Il ristorante era molto carino, accogliente, anche se di poche pretese. Il cibo buono ma, a detta di Shiori, neppure lontanamente paragonabile a quello che aveva gustato a casa di Kenji, forse per il semplice fatto che non si trovavano a casa di Kenji, che il cuoco non fosse lui e c’erano decine di persone a poca distanza da loro.
La serata comunque fu molto piacevole. Chiacchierarono tutto il tempo e si raccontarono, cosa che non avevano avuto modo di fare nel breve periodo in cui erano stati assieme nella Valle dei Susini. Shiori pensò che era la prima volta nella sua vita in cui era una normale donna che usciva a cena col suo fidanzato e che la cosa le piaceva, valutò mentre i minuti volavano via troppo veloci e presto venne l’ora di separarsi.

L’autista accompagnò per primo Kenji e durante il tragitto i due non parlarono molto. La testa di Shiori era appoggiata sulla spalla di Kenji, che a sua volta le cingeva le spalle.
“Quanto starai via per gli impegni di tuo nonno, Shiori?”
“Tre mesi”.
“Accidenti…”
“Già.”
“E poi che farai?”
“Verrò da te per recuperare la cena che ci hanno fatto saltare.”
“Solo quello?”
“Dipende da te.”
“Se dipendesse da me, ti porterei a casa mia questa sera stessa.”
“Purtroppo non è possibile. Ma possiamo cercare di rimanere in contatto e di tenere duro. Se non altro, ci possiamo sentire quando vogliamo.”

Lui la abbracciò stretta e non parlarono più. L’auto sfrecciava per le strade di Tokyo, illuminate quasi a giorno, e macinava troppo in fretta i chilometri che mancavano a raggiungere l’albergo di Kenji. Fin troppo presto, arrivarono a destinazione. Entrambi scesero dall’auto e rimasero un pezzo a guardarsi in faccia, la stessa pena dipinta sulle loro facce.

“Allora… allora ci vediamo presto…” Questa volta fu lui ad aver bisogno di un fazzoletto.
“Certo, non appena riesco a liberarmi…”

L’autista diede loro le spalle e rimase in quella posizione per cinque minuti buoni. Gli spiaceva per la signorina. A dirla tutta, non la invidiava nemmeno un po’: dopo il lavoro sarebbe andato dalla sua fidanzata, come tutte le sere. Nonostante non fosse ricco, si sentì fortunato.
Si girò e vide che i due erano abbracciati stretti, lei col viso nascosto nell’incavo della spalla di lui, che teneva gli occhi chiusi e le accarezzava i capelli.

 “Signorina, dobbiamo andare…”
Senza una parola, Shiori si divincolò da Kenji e rientrò in macchina, piangendo silenziosamente.
 
 * * *
Care Tetide e ladyathena, grazie mille per le vostre parole.
Aggiornamento breve, ma il prossimo sarà decisamente più corposo e non dovrete attendere molto.
Buona serata!

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Capitolo 13
*** Anarchia, introspezione ed autonomia ***


Partito che fu Kenji, la vita a casa Takamiya era ripresa uguale, come al solito.
Solo in apparenza.

Shiori aveva ripreso il suo posto in società, ma al vecchio patriarca, che la conosceva bene, sembrava che la nipote fosse accanto a lui solamente col corpo, mentre la sua mente era dispersa da qualche parte nella valle dei Susini e il suo pensiero fisso su un certo personaggio coi capelli troppo lunghi per essere accettabili. Pareva, però, che solo lui si fosse accorto dello stato d’animo di Shiori.
 

Nel giro di pochi giorni, infatti, dapprima impercettibilmente, poi in maniera sempre più evidente, un’atmosfera anarchica prese stabilmente possesso della dimora avita dei Takamiya. L’Imperatore guardava la nipote e pensava che l’essenza di di K.K. si fosse impadronita del suo spirito, oltre che del suo cuore.

Era iniziata in modo abbastanza innocuo, notifiche sul telefonino e Shiori che aspettava il momento più appropriato per leggerle.

K.K. si era fatto più spavaldo ed erano cominciate le telefonate alle ore più impensate del giorno – il vecchio sospettava anche della notte  - a seguito delle quali Shiori spariva per intere mezz’ore, lasciando raffreddare cibo, tè e piantandolo in asso nel bel mezzo del pranzo o della cena. Telefonate che avevano uno strano effetto sulla sua adorata nipote, che ne usciva scombussolata, sconvolta, ma con gli occhi più brillanti e vivi che le avesse mai visto e un sorriso tanto luminoso da risultare quasi accecante. Dopotutto, le chiamate che riceveva da Hayami erano solo per disdire appuntamenti a causa dell’importantissimo lavoro di lui, mai dettate dall’autentico piacere di sentirsi. Quella canaglia di K.K. se non altro sembrava fare del suo meglio per farla felice e al momento pareva proprio ci stesse riuscendo, anche se non era per nulla sicuro di voler sapere cosa si dicessero quei due.

 
In ogni caso, il vecchio non poteva lamentarsi: d’altronde, in società il comportamento di Shiori era impeccabile come al solito e sotto sotto, Takamiya era alquanto soddisfatto di come si erano messe le cose.

 
“Oh, Shiori. Bene. Vedo che sei pronta. Possiamo andare, allora?”
“Certamente, nonno.”

Il vecchio prese galantemente la nipote per il gomito e assieme varcarono la porta. Appena fuori dall’uscio, li aspettava l’autista.
Si accomodarono nell’abitacolo e l’auto partì.

Il viaggio si svolse in perfetto silenzio, solo il ronzio dell’aria condizionata in sottofondo. Quel giorno faceva un gran caldo e Shiori non era entusiasta di dover uscire. Con suo nonno dovevano assistere all’inaugurazione di una mostra dell’Arte Europea del Novecento. Era un grande avvenimento, dato che era molto raro che i musei europei prestassero le loro preziose opere a enti che si trovavano in Estremo Oriente.

Shiori stava consultando il programma.”Non sapevo fosse previsto un rinfresco”.
“E’ una cosa ufficiale, di grande importanza. Parteciperanno tutte le persone di un certo rilievo qui in Giappone. Se non altro, per farsi vedere. Quindi è normale che abbiano organizzato un rinfresco. Sarà una cosa in grande”

Shiori sorrise tra sé alla battuta del nonno.

Il tragitto non fu molto lungo e poco tempo dopo si ritrovarono davanti al Museo.

Vennero accolti con molta cortesia, d’altronde erano una delle famiglie più in vista di tutto il Giappone, e fatti accomodare su comode poltroncine.
Dopo una breve presentazione delle opere e della mostra – sarebbe durata solo tre mesi – venne offerto il rinfresco. Shiori non si alzò subito, rimase seduta a visionare il catalogo dei quadri esposti e pensò che le sarebbe piaciuto tornarci con Kenji.
Sospirò e raggiunse il nonno.

A poca distanza da dove si trovava, scorse il suo ex fidanzato, Masumi Hayami, accompagnato dalla moglie, Maya Kitajima che, per l’occasione, sfoggiava un magnifico abito e un discreto diamante al dito.

“Nonno, vado a salutare il signor Hayami.”

Takamiya inarcò le sopracciglia per lo sorpresa, ma annuì. Sua nipote recentemente non finiva mai di stupirlo, ma non le mancava il buon senso, quindi non trovò nulla da obiettare.


“Masumi, buon pomeriggio.” Salutò, inchinandosi compitamente. “Signora Hayami, buon pomeriggio”.
Hayami fu molto sorpreso di quel saluto. L’aveva scorta da lontano, ma dato che l’ultimo loro incontro era stato piuttosto burrascoso, non aveva osato avvicinarlesi.

“Buon pomeriggio a te, Shiori. Come stai? Ti vedo bene.”
“Sì, grazie. Sto bene, infatti.”

C’erano tante, troppe parole non dette tra di loro. Questioni rimaste in sospeso che dovevano essere sistemate. Maya capì che i due dovevano chiarirsi, quindi esordì allegramente con un: “Masumi, ho molta sete, vado a prendermi da bere.” E si allontanò senza attendere risposta.

Shiori prese un profondo respiro e tirò fuori le parole che le stavano sul gozzo da un bel po’: “Masumi, io mi devo scusare ancora per la scenata che ti ho fatto l’ultima volta che ci siamo visti (il riferimento è a una scena della mia fanfic Benvenuta a Izu, nella quale Shiori non fa una gran figura NdA). Mi sono comportata in maniera imperdonabile e ti domando scusa.”

Masumi Hayami rimase letteralmente a bocca aperta. Era sinceramente sorpreso da quelle scuse, che ebbero il potere di addolcirlo e farlo uscire dalla difensiva.

“Anche io ti devo domandare scusa, Shiori. Ti ho causato dolore e umiliazione, anche se non avevo questa intenzione.”
“Non ti preoccupare per questo. Io adesso sto bene. Sarebbe stato un errore continuare il fidanzamento, saremmo stati infelici entrambi.”
Il tono in cui Shiori pronunciò queste parole fece scattare qualcosa nella mente di Hayami.
“Immagino allora che tu abbia capito cosa intendevo dire.”
Shiori annuì. “Certo, più di quanto tu possa immaginare.”
Un largo sorriso illuminò il viso di Masumi Hayami.“Ne sono molto felice. Davvero felice per te.”
“Anche io sono felice per me, Masumi. Ora ti prego di scusarmi, mio nonno mi starà cercando. Saluta tua moglie da parte mia, va bene?”

Pochi istanti dopo, Maya ricomparve a fianco di Masumi, un’aria vagamente preoccupata. “Tutto bene con la signorina Takamiya?”
“Fortunatamente, sì. Sembra cambiata, diventata un’altra persona”.
Masumi Hayami era sinceramente sollevato, ma mai quanto Shiori.

* * *
 

Era fine pomeriggio, quasi sera. Shiori si trovava nel giardino con un libro in mano. Era stata una giornata lunga e ora si stava godendo il meritato relax. Al di là delle orchidee, aveva sempre adorato quel posto: un’oasi di tranquillità e di frescura dal caos e dal caldo torrido della capitale.

Un bicchiere di tè verde ghiacciato aveva scacciato i rimasugli della canicola, ma l’appetito non era ancora arrivato. Il rinfresco all’evento al quale aveva partecipato quel giorno era stato più che sufficiente a riempirle lo stomaco e il caldo aveva fatto il resto. Aveva fatto una doccia ed era scesa in giardino a godersi la serata.

La voce del nonno la riscosse dai suoi pensieri. “Shiori, posso sedermi?”
La donna sorrise e gli indicò una sedia. “Prego, accomodati pure, nonno.”
“Sicura che non disturbo?”
“Sicurissima. Ma non ti sei fatto questi scrupoli prima!”
“No, è vero. Ma ho notato che ultimamente tendi a stare da sola, o almeno è quello che mi ha detto la tata.” Con una leggera esitazione nella voce, Takamiya proseguì, cautamente. “Ce l’hai con lei perché è venuta a prenderti?”

Shiori sospirò. “Non posso negare che mi sia arrabbiata con lei, in un primo momento. Ma non è questo”.
“Bene. Non è solo questo, allora di che si tratta?”

Altro sospiro da parte di Shiori. “Vedi, nonno, da quando sono tornata mi sono trovata spesso a riflettere.” La donna fece una pausa, soppesando con cura le parole. “Io mi sono resa conto che non ero mai stata da sola, non me l’ero mai sbrigata per conto mio. Non sono autonoma, non sono in grado di badare a me stessa nonostante sia una persona adulta. Scoprirlo è stato avvilente”
Il nonno la guardò con curiosità. “C’entra KK in tutto questo?”
Shiori scosse il capo. “Non direttamente”.
“Ti ascolto, cara”.
“Ho sempre avuto accanto la tata, non ho mai fatto nulla da sola fino a qualche giorno fa. E ora non gradisco più i suoi modi autoritari, che sono gli stessi di quando ero bambina, ma ora bambina non lo sono più da un pezzo. Ci sono cose che alla mia età dovrei essere in grado di sbrigarmela per conto mio e non mi serve una persona che controlli tutte le mie mosse. Credo che la tata sia in grado di dire quante volte vado in bagno e a che ora! E, a dirla tutta, detesto il suo tè. Vorrei potermelo preparare come desidero, ma pare che non possa farlo senza urtare i suoi sentimenti.”

Nonostante le parole di Shiori potessero essere ritenute comiche, Takamiya non ebbe alcuna voglia di ridere. Si sentì, anzi, riempire di un sentimento molto simile al senso di colpa. Voleva sinceramente bene alla nipote, dopotutto era l’unica persona di famiglia che gli era rimasta e lei gli era sempre stata devota, ma a quanto pareva, a sua nipote più che un ambiente piacevole nel quale vivere, le aveva dato una gabbia, per quanto dorata.

“Sono mortificato, non avevo idea che ti sentissi così.”
“Nonno, non volevo offenderti! Però devo ammettere che questi tre giorni fuori di casa, da sola, hanno acuito questa mia sensazione”
“Lo so, cara, che non volevi offendermi. Ma da quanto dura questo tuo sentimento?”

Shiori soppesò molto bene le parole, prima di rispondere. “Ho sempre vissuto con un disagio, ma non ho scoperto di cosa si trattasse fino a quando sono partita. Non penso si possa sentire la mancanza di ciò che non si conosce.”

Takamiya non era famoso per il suo cuore tenero, tutt’altro. Ma le parole di sua nipote lo avevano toccato nel profondo.

“Capisco.”, si limitò a rispondere. Si alzò e scrutò Shiori con attenzione. “Oggi al rinfresco sei andata a salutare Hayami e Maya Kitajima.”
Shiori sorrise, aveva capito subito dove voleva andare a parare suo nonno. “Sì, sono andata a salutarli. Sono una bella coppia, non trovi?”
“Non hai sofferto nel vederli?” le chiese il nonno con cautela.
“No. Ho provato sollievo e sono contenta per loro. Io e Masumi ci saremmo solo fatti del male a vicenda.”
“Ti ho osservato molto in queste ultime settimane. Sei cresciuta e maturata molto. Ti ho sempre apprezzata e sono sempre stato orgoglioso di te, ma mi hai stupito”.

Shiori si sentì arrossire. “Ti ringrazio, nonno… Ma ho avuto di riflettere molto e sono arrivata alla conclusione che sia io che Masumi eravamo destinati ad altre persone.”

“Dato che hai fatto cenno tu, i tuoi sentimenti nei confronti di K.K. sono sempre gli stessi?”
Shiori scosse decisamente il capo. “No. Sono ancora più forti, se possibile.”
Il vecchio annuì pensosamente. “Quindi, pensi che sia l’uomo per te?”.
Shiori abbassò gli occhi, timida.“Non lo so, non posso dirlo, ancora. Ma mi piacerebbe molto che lo fosse, sì”.
Takamiya rimase silenzioso a lungo.“Bene, cara. Oltre a limitare il raggio di azione della tata non so se ci sia qualcosa che posso fare per te.”
“Ecco, io… vorrei essere libera di fare le cose che fanno tutti. Ad esempio, imparare a cucinare.”
“Ho sentito bene? Per me non ci sono problemi, ma… è una richiesta strana, la tua.”

Shiori arrossì e rispose alla muta domanda del nonno: “La sera successiva al nostro incontro, sono stata a cena da Kenji. Non eravamo soli, c’era un suo amico. Avrei voluto rendermi utile e aiutare a preparare la cena, ma l’unica cosa che sono stata in grado di fare è stato di affettarmi il dito col coltello.” Ovviamente, la donna non raccontò di come KK le avesse curato la ferita, d’altronde non era quello il discorso e comunque era una cosa tra lei e Kenji. “Come ti dicevo, è stato avvilente. E’ anche per questo che vorrei essere autonoma… Non voglio più volermi vergognare di non saper fare ciò che la maggior parte della gente fa ogni giorno.”
“Va bene, se è ciò che vuoi… ” Yeyasu Takamiya si alzò per congedarsi dalla nipote. Le diede un bacio sulla fronte e, in un impeto di tenerezza le accarezzò il viso, con grande stupore da parte di lei Fece per rientrare in casa, ma si bloccò sul posto e tornò sui suoi passi. Non si arriva tanto in alto se non si è intelligenti e non si capisce quando è il caso di lasciare andare.

 “Mia cara, ti farebbe piacere se ti esentassi dai tuoi impegni a partire dalla prossima settimana?”
 * * *
E questo è il penultimo!
Come potrete notare, non succede niente di particolare, ma si capisce come Shiori si sia evoluta.
Spero vi piaccia.
Un abbraccio forte a Tetide e Athena per il continuo sostegno e affetto. Sappiate, mie care, che lo apprezzo tanto.

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