Negli occhi ho una botte che perde

di sunonthesea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Se piovesse il tuo nome ***
Capitolo 2: *** Un bacio ed un addio sono la stessa cosa ***
Capitolo 3: *** Fiori di Chernobyl ***
Capitolo 4: *** Il Bacio Di Klimt ***



Capitolo 1
*** Se piovesse il tuo nome ***


Non ci siamo mai dedicati
dedicati le, le canzoni giuste
forse perché di noi
non ne parla mai nessuno

 

Erano dalla loro parte.

Che bella parola, “loro”. Significava che apparteneva solo a loro due, e a nessun altro. Solo loro. La loro parte.

Che bello far parte di un “loro”. Crowley non l’avrebbe mai immaginato.

 

Nascondersi per lui era sempre stato facile. Era un serpente, era la sua specialità scomparire prima tra le fronde dell’Eden, poi tra le strade brulicanti di persone anche in forma umana, con braccia, gambe e tutto il resto.

Anche nascondere i suoi sentimenti era una sua specialità.

Non ne parlava spesso. Li teneva bloccati dentro di sé, dentro il suo corpo vuoto, inutile. Li trasformava. Li negava. Li bruciava come bruciava il legno nel camino, per non lasciare traccia.

Perché era un demone.

Non era fatto per avere sentimenti.

Lui odiava essere un demone, in realtà. Voleva tornare ad essere un angelo, sentire il sole sulla sua pelle e l’amore di Dio sulle sue labbra.

Ma lui sapeva che non era l’amore di Dio che cercava.

 

Non ci siamo mai detti le parole
non ci siamo mai detti le parole giuste
neanche per sbaglio
neanche per sbaglio in silenzio

 

Eden...Mesopotamia...Londra...Roma...Parigi…

In quanti luoghi era stato? In quanti luoghi erano stati, loro due? Dove? Perché? Perché si erano sempre incontrati? Sempre vicini, sempre così vicini.

Erano sempre stati vicini. Sempre stati distanti.

Due mondi di distanza, in realtà.

E lui lo sapeva, lui l’aveva sempre saputo.

E aveva risposto con il suo solito sarcasmo, le risate grezze e le sue occhiate coperte dalle lenti perennemente presenti.

Il silenzio era diventato il suo scudo, in un certo senso. Se non parli non sei incriminato, se non parli nessuno può usare le tue parole contro di te.

Il silenzio era presente, in mezzo a loro due mentre aspettavano il bus.

L’apocalisse era finita.

Anzi.

Non era mai iniziata.

Crowley e Aziraphale erano lì, nella notte. Aspettando un bus che doveva mettere una pezza sopra tutto quello che era successo.

 

La città è piena di negozi
ma poi chiudono sempre
e rimango solo io
a dare il resto al mondo

 

Avevano vinto. Avevano perso.

Non lo sapevano nemmeno loro.

Aziraphale aveva perso la sua libreria. Il suo lavoro. La sua casa. Aveva perso tutto, ma non aveva perso Crowley.

Crowley, dall’altra parte, aveva perso la sua macchina. La sua bellissima macchina.

E Aziraphale.

Aveva perso Aziraphale, per un breve attimo.

Sentiva ancora i getti d’acqua contro la pelle.

Il calore del fuoco negli occhi.

All’improvviso il bus arrivò, un Caronte pronto a caricare le anime sulla sua scaletta cigolante che si apriva con uno sbuffo assieme alle porte.

-Andiamo a casa mia?- la domanda del demone suonò trepidante nella notte, arrivando assente all’angelo.

Era una domanda stupida: Aziraphale non aveva altro posto dove andare.

 

Se in mezzo alle strade
o nella confusione
piovesse il tuo nome
io una lettera per volta vorrei bere
in mezzo a mille persone
stazione dopo stazione
e se non scendo a quella giusta è colpa tua

 

Si erano seduti. Vicini. Si erano seduti vicini, spalla a spalla.

Crowley riusciva a sentire il profumo di cacao che l’angelo emanava. I capelli bianchi come le nuvole attraverso il riflesso del vetro.

Sentiva, sentiva, sentiva.

I suoi pensieri correvano selvaggi esattamente come i suoi ricordi.

Aziraphale c’era sempre stato. Aziraphale c’era sempre stato. Aziraphale c’era sempre stato.

Non gli aveva mai voltato le spalle.

C’era sempre stato per lui.

Era stato suo amico? Sì.

Si era degnato di essere suo amico, si era degnato anche per un solo istante di fargli sentire di nuovo l’amore nel suo cuore.

E lui non l’aveva mai ringraziato.

Ed era tutta colpa sua.

Era immerso nei pensieri, di nuovo. Gareggiavano a chi fosse il più disgustoso, il più stupido e il più inutile e il più disprezzabile e il più ignorante.

Quando sentì delle dita attorno alle sue.

Una mano salda.

Non tremolante come la sua.

Una mano calda.

Non fredda come la sua.

Alzò gli occhi: Aziraphale gli sorrideva con tenerezza nei suoi occhi.

Seimila anni di sguardi e sorrisi e parole e azioni riassunte in pochi secondi.

Pochi secondi e una stretta, per essere precisi.

 

Erano dalla loro parte.

Che bella parola, “loro”. Significava che apparteneva solo a loro due, e a nessun altro. Solo loro. La loro parte.

Che bello far parte di un “loro”. Crowley non l’avrebbe mai immaginato.

 

 

la città incontra il tuo deserto
che io innaffio da sempre
sarà la mia missione
sarà, sarà, sarà
che ora ho un fiore nella bocca

 

Aziraphale non andava matto per l’appartamento del demone.

E lui ovviamente lo sapeva.

Aveva visto il paradiso, all’alba dei tempi.

Era freddo, troppo ordinato.

Il suo angelo cercava sempre di allontanarsi il più possibile dal paradiso, esattamente come lui faceva con il quattordicesimo secolo.

Il problema era che il suo appartamento era ordinato tale e quale al paradiso.

Solo in tinte più scure.

-Mi dispiace per la libreria, angelo- mormorò come a mettere una pezza su una ferita.

-Mi dispiace per la macchina, Crowley- “angelo” era un nomignolo che era proprio del demone, Crowley non aveva un nomignolo vero e proprio.

Aveva Anthony.

Ma era solo uno pseudonimo.

L’angelo si era seduto sul pavimento, non trovando altri posti dove sedersi, stringendo le braccia strette attorno alle ginocchia.

Sembrava a disagio.

Sembrava triste.

Crowley si sedette vicino a lui, mentre la luna continuava ad osservarli.

-Crowley. Anthony- il tono di Aziraphale era stanco, ma ancora vigile. Ancora sorridente, in un certo senso -penso che sia ora di parlare-

 

Ma senza te chi sono io
un mucchio di spese impilate
un libro in francese che poi non lo so neanche
neanche bene io
se devi andare pago io
scusa se penso a voce alta
scusa se penso a voce alta

 

Crowley sentiva il sangue nelle tempie come il rombo di un tamburo, l’ansia che si era liberata nel suo corpo come uccelli fuori dalla gabbia.

Di cosa dovevano parlare? Di nulla.

Non dovevano parlare di nulla perché non c’era niente di cui parlare.

Vero?

Sentì la mano di Aziraphale posarsi sulla sua spalla, il peso di quelle dita che poco prima aveva stretto con tutta la tenerezza di cui era capace.

-Di cosa, angelo?- lui sapeva benissimo di cosa, andiamo.

Secoli e secoli di vicinanza, di occhiate e di tutte quelle cose che erano accadute tra di loro non potevano essere solo uno sbaglio, qualcosa che era accaduto senza un motivo.

Niente accadeva per sbaglio, e questo loro due lo sapevano fin troppo bene.

Il nervoso era troppo.

Quel peso iniziava a fargli male fisicamente.

Un peso sul cuore che non riusciva ad abbandonare.

-Di cosa dovremmo mai parlare? Abbiamo fottuto tutti, abbiamo evitato l’apocalisse- non era vero, Gabriel e Belzebù erano certamente sulle loro tracce.

Sarebbero morti a breve? Probabile, ma non era tempo per pensarci.

-Abbiamo fottuto l’apocalisse, Aziraphale! Ce l’abbiamo fatta!- il suo cervello aveva aperto i boccaporti, il sorriso nevrotico perennemente presente e vibrante.

Aziraphale lo notava spesso: quando sorrideva gli tremava la punta del naso.

-Ce l’abbiamo fatta. Abbiamo sconfitto il piano ineffabile, l’abbiamo sconfitto! L’abbiamo sconfitto! Abbiamo sbagliato, ma sbagliare è una cosa del tutto naturale. Quello che è importante è che abbiamo fatto quello che dovevamo fare. Ce l’abbiamo fatta. Ce l’abbiamo fatta-

Aveva ripetuto troppe volte quella frase. Le gambe che scalpitavano. Il pugno chiuso che batteva sul pavimento. Il rosso dei capelli che era sceso sulle sue guance, le sue lentiggini che parevano brillare sotto la luce led dell’appartamento.

Non era in grado di frenarsi.

Non era fatto per frenarsi.

Era stanco di rallentare.

Era stanco. Stanco. Stanco. Stanco. Stanco.

Era stanco.

I pensieri era come se gli stessero uscendo dalle orecchie, liquide fuori dalla sua bocca.

Non riusciva a fermare le parole prive di senso, le risate gracchiate ridotte a crepitii.

Quando Aziraphale lo baciò.

Così.

Di botto.

Senza un minimo senso.

Si era girato sorridendo. Gli aveva sfiorato la nuca, il retro dell’orecchio fino a toccare l’asticella degli occhiali.

Si era avvicinato.

Labbra contro labbra.

E il cuore di Crowley si sciolse.

 

Se in mezzo alle strade
o nella confusione
piovesse il tuo nome
io una lettera per volta vorrei bere
in mezzo a mille persone
stazione dopo stazione
e se non scendo a quella giusta è colpa

 

 

-Dovevamo parlare di questo- dopo che si erano separati, Aziraphale aveva potuto godere dell’espressione deliziosamente confusa dell’altro.

Rossa.

Rossa come un peperone con gli occhi gialli scoperti dagli occhiali caduti sul suo grembo.

-Seimila anni, e poi alla fine lo fai così- il balbettio che uscì dalle sue labbra ancora umide era totalmente esilarante agli occhi dell’angelo. Il cinguettio di un pulcino appena uscito dal guscio.

Aziraphale fece un sorrisetto divertito nell’osservare la sua reazione.

Era stato divertente.

-Sì, l’ho fatto- il suo tono era poco distante da un cinguettio –e pare che a te sia piaciuto, o sbaglio?-.

Crowley abbassò gli occhi, ragionando.

L’aveva baciato.

Si erano baciati.

Avevano salvato il mondo.

Quella mattina si era svegliato e si era vestito, ed era finito tutto così.

E poi rise.

Per la prima volta in secoli, rise di gusto.

Senza malizia.

Senza timore.

E si unì anche Aziraphale, a quelle risate.

Riuscirono ad illuminare la stanza per quel breve istante.

Vicini.

Amati l’uno dall’altro.

 

Erano dalla loro parte.

Che bella parola, “loro”. Significava che apparteneva solo a loro due, e a nessun altro. Solo loro. La loro parte.

Che bello far parte di un “loro”. Crowley non l’avrebbe mai immaginato.

 

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Capitolo 2
*** Un bacio ed un addio sono la stessa cosa ***


Amore mio
Da dove vengo io
Un bacio ed un addio
Sono la stessa cosa

L’Apocalisse non era arrivata. Non ancora, almeno.

Aziraphale e Crowley erano seduti sulla panchina al parco, guardando con gli occhi stanchi il laghetto davanti a loro. Le onde che si infrangevano sulla piccola spiaggetta seguivano il ritmo dei loro cuori vuoti, l’aria che trepidava attorno a loro.

-Siamo fottuti- Crowley aveva imparato tante formule appartenenti al gergo umano, in quei seimila anni. Le parole volgari, da scaricatore di porto gli erano sempre piaciute. Sempre trovate utili per esprimere i concetti per cui non riusciva a trovare altre parole.

-Già. Siamo davvero fottuti- ad Aziraphale non era mai piaciuto dire quelle parole, però doveva trovare una frase da dire con quel suo tono u po’ triste, un po’ sollevato.

Triste perché, be’…

La guerra era alle porte.

Sollevato perché almeno era arrivato, il momento. Come quando si fa un tuffo da uno scoglio troppo alto e si aspetta solo di arrivare nel freddo dell’acqua.

Non doveva più avere timori.

-Almeno ci abbiamo provato, dai- Crowley era conosciuto per il suo ottimismo, anche nelle situazioni peggiori -dovremmo esserne fieri-.

-Il mondo sta per finire, Anthony- gli occhi dell’angelo erano ghiacciati. Non avevano da essere fieri di nulla. Avevano fallito.

Ora si beccavano le conseguenze.

Il silenzio in mezzo a loro era interrotto soltanto dalle grida dei bambini che giocavano intorno a loro, ignari di tutto quello che stava succedendo.

-Lo so, ma adesso non possiamo farci più di molto-

-Quand’è che verranno a prenderti?-

-Cosa?- Crowley non era mai stato un campione di attenzione, impegnato com’era nel guardare le anatre arrivare alla spiaggia, la palla di un ragazzino arrivare ai suoi piedi e i fiori che sbucavano piccini dai cespugli vicini al laghetto.

-Ho detto- Aziraphale si schiarì la voce, il tono di chi non vorrebbe essere lì a parlare –quand’è che verranno a prenderti. I tuoi, intendo-.

Il demone scrollò le spalle, aggiustandosi gli occhiali sugli occhi con noncuranza. Non lo sapeva, a dirla tutta. I suoi non avevano orari precisi, non erano come quelli dell’altra parte. Arrivavano, gli ordinavano un paio di cose e bam, era già tra le fila infernali nella Grande Battaglia.

-Non lo so- si limitò a rispondere, per poi passarsi una mano tra i corti capelli rossi. Sapeva che sarebbero diventati lunghi, quando sarebbe dovuto arrivare il momento.

Non vedeva l’ora.

-La nostra fazione vincerà, lo sai?- non poteva dirlo, ma dire quelle parole gli faceva male. Crowley era suo amico, nel profondo. Avevano tante cose in comune (non era vero), si erano sempre piaciuti (no, non era per niente vero) e si erano sempre fidati l’uno dell’altro (ma quando mai).

Crowley non gli aveva mai voltato le spalle.

Crowley l’aveva salvato molte volte.

Era un peccato, non avere il tempo per ricambiare il favore.

-Già-

-E voi perderete, lo sai?-

-Oh, certo che lo so-

-Morirai. Ti uccideremo come tutti gli altri-

-Va bene-

Le risposte sbrigative di Crowley stavano iniziando a stargli sui nervi, in un certo senso. Come si permetteva di essere così leggero?

-Probabilmente ti ucciderò io- Aziraphale fece un sorrisetto furbo, come a voler sottolineare il suo star scherzando.

Non avrebbe mai ucciso Crowley. Non avrebbe mai ucciso il suo unico amico.

-Grazie dell’informazione- il demone sembrò aver preso lo scherzo, una smorfia tenera che si creava sul suo volto severo –così saprò che sarai gentile e non mi infilzerai come uno spiedino-

-Gabriel sono secoli che parla di cannoni di acqua santa nebulizzata, quindi non penso ci saranno spade. Mi dispiace-

-Meglio, così almeno Belzebù si farà una doccia-

I due risero. A denti stretti, ma risero.

 

Vieni con me
Ti porterò dove
La solitudine è un regalo
Più bello di una rosa

-Cosa ti mancherà di più di questo posto?- il tempo delle risate era terminato. Crowley era tornato ad essere malinconico, dietro i suoi occhialetti scuri.

-Gli uomini, penso- Aziraphale abbassò gli occhi, una smorfia quasi disperata sulle sue guance morbide. -Tutto quello che riescono ad inventarsi, nel bene e nel male, mi ha sempre affascinato- i suoi occhi erano andati a quel branco di marmocchi che continuavano a giocare felici.

Lui non era mai stato un marmocchio.

Gli sarebbe piaciuto, però.

-Sei sempre stato sentimentale, angioletto- i due non si erano mai guardati negli occhi, in quell’incontro. -A me penso che mancherà più quello che hanno creato, piuttosto che loro come esseri- si aggiustò ancora i capelli.

Le stelle stavano iniziando a cadere come foglie da un albero.

Stava iniziando.

-Io ti mancherò?- nel vedere le stelle crollare sul loro stesso peso, all’angelo venne un groppo alla gola. Crowley era suo amico. Il suo unico amico.

-Quando sarò un cadavere? Oh, certo che mi mancherai-

-Anthony- con un tocco delicato gli tolse gli occhiali da sole. Voleva vedere i suoi occhi. Voleva solo toccare le sue mani. -Io ti mancherò?-.

Crowley cercò di distogliere lo sguardo, si sentiva sempre così insicuro senza gli occhiali, sentendo poi i tocchi delle dita dell’angelo sulle sue, ben strette.

-Sì. Mi mancherai. Tanto, anche. Tanto. Non...faccio il cazzone ma non voglio...non voglio...-

-Va tutto bene. Va tutto bene- le stelle continuavano a cadere –io cercherò di proteggerti? Conosco il campo di battaglia, non permetterò che ti facciano del male-

-Sei sicuro?-

Aziraphale annuì di nuovo, sfiorando poi con le labbra il palmo della mano del demone.

Sarebbe stata una notte tempestosa.

 

 

Lui era figlio dei ritardi del treno
Che fecero conoscer mamma e papà

L’Apocalisse era arrivata.

La terra era una palla di fuoco sotto i loro sandali, le tuniche bianche come le loro ali piumate e candide.

La mano di Aziraphale era sudata attorno all’elsa della spada, niente cannoni, a quando pareva, e il rombo del fragore etereo nelle sue orecchie.

I suoi fratelli stavano gridando.

Il clangore delle spade contro gli scudi celesti lo stava facendo impazzire.

Niente cannoni. Forse Dio l’aveva considerato un metodo troppo gentile per uccidere i demoni.

Li vedeva attraverso le teste dei suoi fratelli davanti a lui: sporchi, rozzi nelle loro uniformi lacere tutte diverse tra di loro. Brandivano lance, mazze, scuri. Occhi verdi come il veleno o neri come la morte. Teste calve, spelacchiate, bruciacchiate.

Aziraphale cercava con gli occhi azzurri la chioma rossa di Crowley, non trovandola tra tutte quelle bestie. Non lo stava trovando, scandagliava tutti con lo sguardo preoccupato.

L’avevano ucciso. Probabilmente l’avevano ucciso. Per essere un traditore. Sì, per essere un traditore.

Gli angeli non erano stati programmati per provare timore, però la paura provata dall’angelo in quel momento andava oltre ogni possibile comprensione.

-Compagni- venne distolto dalla sua ricerca dalla voce grave di Michele, davanti alle fila angeliche con le sue ali dorate. Scintillanti sotto il sole brillante della gloria di Dio. -Oggi si consumerà la battaglia che sancirà la vittoria di Dio contro il Maligno-.

Aziraphale di maligno vedeva soltanto il suo sorriso.

-Siete coraggiosi- no, non lo siamo. Non siamo nulla senza gli umani –siete abili- siamo fatti per amare, non per combattere –siete dei vincenti- sulla Terra chiamavano quelli come noi dei bari, lo sapete?

Le mani sull’elsa della spada, Aziraphale venne spinto via dalla foga delle fila.

 

Lei era bella come il cielo più nero
Cercava il senso della vita nei bar

Crowley, Crawly, era schiacciato dai suoi colleghi. I capelli raccolti in una treccia e l’uniforme stretta sul suo corpo serpentino.

Nelle mani stringeva una mazza. Glie l’avevano lanciata in mano prima di allinearlo.

Le ali dei demoni non sono poi così diverse da quelle degli angeli: sono solo bruciacchiate.

-Tu sei il traditore- una voce cavernosa l’aveva distolto dall’osservare le fila angeliche davanti a loro, la tensione che continuava a crescere sempre di più fino a sentire le sue ossa schiacciate nella

cassa toracica.

Era il demone alle sue spalle: ghigno malefico sul volto in putrefazione e la testa spelacchiata. Tra le mani reggeva una potente scure.

-Non capisco- aveva capito benissimo, lo sprezzo nei suoi occhi dorati.

-Il traditore, quello che voleva scappare con l’angelo- un’altra voce si unì al coro: acuta, fastidiosa come una zanzara. Era un demone più piccolo, ma ugualmente disgustoso.

A volte, essere un tentatore poteva avere i suoi vantaggi.

Crowley sbuffò.

-Ci assicureremo di tagliarlo a pezzi, serpente- la minaccia gli arrivò muta alle orecchie.

Aveva altro a cui pensare.

Aveva un angelo su cui vegliare.

Poi, all’improvviso, un boato.

Nessun discorso.

Crowley si lancia in avanti.

 

Fingevano di essere in un cinepanettone
Perché lì la vita no non sembra mai dura
E invece qua in questa fottuta provincia
Ci vuole del coraggio anche per aver paura

Mentre correvano sentivano entrambi il cuore nelle gambe, le proprie armi strette tra le mani mentre la foga dei rispettivi eserciti li spingeva verso il centro del campo di battaglia.

Negli occhi pieni di lacrime di Aziraphale ritornavano le immagini della sua vita nel prima, sulla Terra. I bei momenti con tutti i cervelli che aveva conosciuto. Tutte le parole che aveva sentito. Tutte le idee che aveva ascoltato.

Le serate erano le cose che gli mancavano di più.

Alcool.

Parole.

Sesso, a volte. Con tutti gli amanti che aveva avuto. I tanti amanti che aveva avuto.

Ma le serate con Crowley erano quelle che preferiva di più.

Loro due nel retro della libreria. Alcool a fiumi, non poteva non ammetterlo.

Loro due che spesso finivano abbracciati sul divanetto. I capelli del demone tra le dita paffute dell’altro. Il suo respiro contro il suo collo.

I suoi occhiali che attorno a lui si toglieva con molta più voglia, per scoprire i suoi occhi così meravigliosamente particolari e unici.

Un ricordo in particolare era incastrato nella sua mente angelica.

Più che incastrato si era accomodato sul divanetto a leggere.

Era successo negli anni trenta. Anno più anno meno. Erano entrambi ubriachi, e avevano voglia di restare così.

Crowley acciambellato sul suo petto, le sue gote rosse come i suoi capelli.

-Angelo- aveva borbottato sul suo petto -dimmi che mi vuoi bene-

-Ti voglio bene-

-Dimmelo ancora-

-Ti voglio bene-

-Dimmelo ancora...-

Si promise che l’avrebbe detto, ancora una volta.

 

Amarmi sai
Non so se ti conviene
Mi manchi e sai perché?
Perché non miri bene
Si sentirà uno sparo in lontananza
Poi un rumore di ambulanza
E io non ci sarò più

Crowley era rosso di rabbia. Correva come un ossesso. Brandiva la sua mazza come se non ci fosse stato altro. Colpiva tutti: demoni o angeli non importava.

Lui aveva creato le stelle. Aveva snarnutito le nebuolose e aveva visto il Sole nascere. Non avrebbe temuto la morte.

Gli artigli. Gli occhi indemoniati. Le zanne mostrate e i capelli che parevano sangue libero nell’aria.

Doveva trovare Aziraphale.

Doveva trovare Aziraphale.

Doveva trovare Aziraphale.

Non pensava ad altro.

I suoi occhi.

La sua voce.

Il suo tutto.

E avrebbe combattuto per ritornare dal suo angelo. Aveva ucciso amici. Aveva ucciso nemici.

Aveva ucciso.

Il fremito della battaglia che lo circondava e che gli rombava nelle orecchie, mentre le sue urla animalesche facevano tremare ogni cosa.

Le sue parole.

La sua tenerezza.

Il suo tutto.

Il mondo attorno a lui sembrava vorticare assieme alla sua mente. La paura sempre costante di ferire l’oggetto del suo desiderio era forte, guardandosi intorno con il timore di trovare quel nido di capelli color del grano disfatto sul terreno morbido.

-Dove sei? Angelo? Dove sei?- deambulava come un fantasma, la foga che si era dispersa. Si osservava intorno, la stanchezza che iniziava a riempire il suo corpo come acqua in un vaso.

Non si accorse nemmeno della spada che l’aveva attraversato.

 

Amore mio
Da dove vengo io
Un bacio ed un addio
Sono la stessa cosa

Aziraphale aveva fallito.
Non era riuscito a proteggerlo.
Aveva visto un suo collega, un suo compagno, infilzarlo crudelmente con la spada, l’altro cadere a terra in una pozza di sangue che sembrava mischiarsi con i suoi capelli.
L’espressione ancora confusa sul volto.
Perse la spada, che cadde silenziosa sul campo di nuvole, gli occhi sgranati mentre correva verso di lui.
Non voleva toccare nessuno, ma nella foga era impossibile. Doveva correre.
Doveva salvarlo, in qualche modo.
Si buttò al suo fianco, e non gli importava di essere preda facile per i nemici. O per gli amici.
Voleva solo stare accanto a lui. Nient’altro.
-Angelo...- appena lo vide, il volto dolorante del demone si illuminò di speranza. Un pallido sorriso si fece largo sulle sue labbra. -Sei vivo...-
-Shh...shh...- l’angelo si guardava intorno disperato, cullandolo nervosamente. La battaglia era troppo violenta. Rischiavano di morire entrambi. -Ora risparmia il fiato-.
Fece uscire le sue ali, le piume bianche a fare loro da scudo in mezzo alla battaglia. Erano solo loro due, in quella bolla di pace.
-Aziraphale, non è...-
-Sì che è. Si può fare tutto- l’angelo continuava a girarsi nervoso, le piume bianche ben legate tra di loro in modo da schermare il più possibile le lame del fuori, che tuttavia mostravano la loro presenza attraverso aloni rossastri, che più di quanto aveva sperato erano presenti in quella minuscola atmosfera.
Non poteva mostrarlo, ma anche lui provava dolore.
Posò la mano sulla ferita del demone, solo per constatarne la gravità. La mano si stava ricoprendo rapidamente di quel sangue nero e caldo, il volto sempre più calmo del demone che gli stava facendo venire voglia di piangere.
Di urlare.
Di uccidere tutti quei bastardi uno ad uno.
-Angelo...-
-Taci- cercava di trovare un modo per risolvere tutto. Di guarire quella ferita. Di fare qualcosa. Qualsiasi cosa. Non poteva permettergli di morire.
Non prima di lui.
-Mi dispiace di non...di non averti trovato...- la risata di Crowley era spezzata. Sentiva la gola piena di sangue, la vista farsi sempre più appannata.
Stava morendo.
Mica male, aveva sempre immaginato una morte peggiore.
-Crowley...smettila per una volta...- Aziraphale lo stava pregando. La ferita era santa. La ferita era troppo profonda. Impossibile fare qualcosa.
-Va bene- il sorriso era l’unica cosa che lo faceva sembrare ancora vivo, le labbra sottili distorte e insanguinate.
-Ecco- l’angelo muoveva le dita con velocità sulla ferita, cercando di fare un miracolo per risolvere tutto quanto.
Era il suo dovere.
Aveva giurato di proteggerlo.
Non c’era nulla da fare. Il dato appurato era già nella sua mente, però non voleva ammetterlo a se stesso. Non voleva crederci. Non riusciva nemmeno ad immaginare di essere arrivato al punto di vedere il suo migliore amico. Il suo unico amico. Il suo Crowley morire proprio sotto ai suoi occhi.
-Angelo- mentre le lacrime iniziavano a scendere sulle guance dell’essere celestiale, le dita del demone si erano strette debolmente attorno al suo braccio.
Il pulsare del suo cuore nelle orecchie aveva fatto spazio a quello della battaglia. Era sempre più flebile.
Il dolore cupo che velocemente gli stava facendo dimenticare cosa significasse non provare dolore.
Doveva fare in fretta. -Angelo, potresti…-.
-Non voglio che tu te ne vada via- i singhiozzi di Aziraphale erano non poco dissimili da quelli di un gattino, quieti nella loro disperazione. -Non voglio-.
Gli angeli non erano nemmeno fatti per piangere. Ma lui era diverso dagli altri.
Aveva commesso l’errore di amare il nemico.
L’eternità poi, lo terrorizzava. E il pensiero di trascorrerla da solo ancora di più.
-Potresti...potesti dirmi che mi vuoi bene? Ancora una volta- il tono di Crowley era ridotto ad un filo di vento.
Aziraphale restò sorpreso da quella richiesta. Ma era anche contento, in un certo senso.
Si era ricordato.
-Sì. Certo che ti voglio bene-cercò di fare un sorriso. Uno dei suoi soliti sorrisi mentre i suoi occhi parevano pozzanghere.
Al suo sorriso si unì quello di Crowley. Un colpo di tosse. Altro sangue. La stretta che si era fatta sempre più debole, esattamente come il velo che teneva aperti gli occhi serpentini del debole.
Un miracolo c’era stato. Era riuscito a sentire quello che più aveva desiderato.
Il grido di dolore di Aziraphale risuonò potente, mentre stringeva il suo unico amore tra le braccia.



Vieni con me
Ti porterò dove
La solitudine è un regalo
Più bello di una rosa

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Capitolo 3
*** Fiori di Chernobyl ***


La libertà spaventa più di una prigione
E tutti cercano qualcuno per cui liberarsi
L'odio uccide forse è vero come dicono
Ma so che è da un veleno che nasce un antidoto

Aziraphale si era addormentato tra le braccia di un demone e si era svegliato in Paradiso.

Aveva sentito la luce accecante attraverso le palpebre, per poi aprirli con confusione.

Non si era mai abituato a tutto il bianco del suo luogo d’origine, le nuvole brillanti alla luce del sole fuori dalle infinite finestre.

Tutto quell’ordine non gli era mai piaciuto. Tutto troppo freddo. Tutto troppo macchinoso.

Tutto troppo poco umano.

-Buongiorno- si era ritrovato vestito di tutto punto, la giacca beige e il farfallino crema che avevano rimpiazzato la canottiera e i pantaloni che usava come pigiama, e cercava disperatamente di fare quello specifico sorriso angelico tanto richiesto ai piani alti, ma riuscì soltanto a mostrare una smorfia confusa. -Cosa succede?-.

Lo sguardo truce di Gabriele gli aveva già fatto capire tutto, ma voleva sentirlo.

-Succede che hai infranto le leggi del Paradiso, Aziraphale- aveva sempre trovato inquietanti le sue espressioni, soprattutto quando era vicino a Sandalphon e Michele.

-Cosa avrei fatto, di grazia?- lo sapeva benissimo, però voleva sentirlo. Ridacchiò nervosamente, iniziando poi a dondolarsi sui talloni.

-Hai fraternizzato con il nemico- il tono di Michele era statuario nella sua severità, quando nelle sue mani apparve una spada luminosa di riflesso.

Non prometteva niente di buono.

-Io...io non ho fatto proprio nulla- non poteva negare, ma poteva almeno tentare di difendersi. Barcollò all’indietro, quando toccò timidamente altri due angeli dietro di lui.

Non li aveva mai visti, ma i loro occhi bianchi e privi di emozioni parlavano per loro.

- Altroché. Non solo hai fraternizzato con il nemico...- Sandalphon si era avvicinato, un ghigno di disgusto a coronare il suo volto –ma a quanto c’è scritto sui nostri rapporti siete andati a vivere assieme, e state pianificando un matrimonio-.

Il modo in cui pronunciò l’ultima parola era calcato, fatto apposta per far ridacchiare gli altri esseri celestiali e far arrossire con vergogna Aziraphale.

Era nel posto sbagliato.

Doveva andare via.

- Non è affare vostro quello che io faccio della mia vita- si riprese subito, il tono forzatamente educato che usava nelle situazioni d’emergenza che fuoriusciva dalle sue labbra con eleganza.

Doveva scappare. E presto.

- Tu non hai una vita. Sei stato creato come tutti noi per seguire gli ordini e adesso non solo non li hai seguiti durante il piano per l’Apocalisse, ma ci stai pure sputando sopra con questa storia della relazione con quello...- Gabriele, nel camminare verso il biondo con quel suo sorriso in volto, cercava le parole giuste –sporco, lurido demone-.

-Non ti permetto di chiamarlo così-

Si sentì stringere il collo con una mano, gli occhi viola del suo superiore che parevano emanare dei lapilli di fuoco sul suo viso. -E invece sì. Perché è la pura verità-.

La stretta era forte, ma non sentiva l’aria mancare.

Lo dimenticava sempre: non aveva bisogno di respirare, in Paradiso.

Dopo pochi secondi lo liberò, voltando la schiena per non vedere l’altro ritornare al suo ordine. -Ma il nostro Signore è clemente, e ha deciso per te una punizione molto meno grave- nel voltarsi fece un cenno agli angeli dietro Aziraphale, che immediatamente venne preso con forza dalle spalle e obbligato ad inginocchiarsi.

Il biondo non oppose resistenza. Osservò Michele avvicinarsi con la spada.

Era a conoscenza del suo destino.

L’aveva visto fare, in passato.

Aveva sempre pensato una cosa, nel guardare cose del genere: “chissà se farà male”.

-Ti verranno recise le ali-.

Con quelle semplici parole, Gabriele attivò un meccanismo. Gli angeli strapparono via la giacca e la camicia del biondo, lasciando scoperti alla luce tutti quei segni che Crowley gli aveva meticolosamente lasciato quella sera, obbligandolo poi ad aprire le braccia e a far uscire le sue stupende ali bianche.

Aziraphale aveva paura, ma non poteva ammetterlo a voce troppo alta.

Era stato un protettore dell’Eden, in passato.

Si limitò a stringere i denti così come gli occhi, sentendo poi la lama incandescente vicina alla pelle nuda.

Si dimenticò di respirare, mentre l’incandescenza gli tagliava la pelle. I muscoli. Le ossa.

Sentiva il calore entrargli dentro, il ferro che gli stava staccando dei pezzi del corpo fino quasi a fargli dimenticare della loro stessa esistenza, la mente resa sterile e vitrea dal dolore lancinante che provava in ogni singola molecola del suo corpo, impedendogli di pensare a qualsiasi altra cosa oltre ad una sola parola: “perché?”.

Malediceva silenziosamente il Paradiso, la sua carne così fragile e ogni altra cosa che l’aveva portato a quel punto. Per un attimo si dannò di essere stato così debole, di aver dato ascolto a Crowley e di averlo seguito.

Ma poi si morse la lingua.

Era colpa sua. Solamente sua.

Dopo un numero di minuti impossibili da calcolare, Aziraphale non sentì più la lama progredire nel suo intento, mentre una pozza di sangue dorato decorava il pavimento immacolato.

Il pulsare del suo cuore era coordinato con quello che sentiva alle ferite, sordo nel suo essere così rumoroso nella sua testa.

Non aveva fatto nemmeno troppo male.

 

Vieni con me, la strada giusta la troviamo
Solo quando ci perdiamo e restiamo da soli
Perché è dagli incubi che nascono i sogni migliori
Anche a Chernobyl ora crescono i fiori

Crowley, nel dormiveglia, aveva sentito un tonfo. Un rumore profondo, come di un qualcosa che cade.
Allungò la mano per toccare il suo compagno, per poi sentire un brivido lungo la schiena nel sentire il vuoto accanto a lui.
Si stropicciò gli occhi.
Collegò il rumore con il vuoto.
Scattò via dal letto con una velocità che doveva rasentare quella di un lampo, percorrendo il breve corridoio fino a trovarsi davanti una sagoma nella penombra.
Dei brevi mugolii erano gli unici rumori che riusciva a percepire oltre al suo respiro agitato.
-Aziraphale!- esclamò, la preoccupazione palpabile nella sua voce mentre si inginocchiava attorno all’altro, cercando in qualche modo di scuoterlo per svegliarlo.
Cosa poteva essere successo? Aveva visto molte volte i corpi degli umani perdere energie e smettere di funzionare.
Ma Aziraphale umano non era.
-Cosa ti è successo?- sentiva vagamente i suoi sospiri affannati, quando percepì sotto le dita i muscoli muoversi.
-Niente, niente- nonostante la penombra, il demone poteva vedere i suoi occhi azzurri brillare dalle lacrime. -Sono andato a bere e sono inciampato, tutto qui- non doveva dirgli nulla, anche perché non c’era sangue o altro a parte il dolore lancinante che ancora gli faceva venire voglia di urlare a squarciagola, e doveva farlo solo per non farlo sentire in colpa.
C’erano dolori che non potevano essere condivisi.
-Oh, certo- Crowley lo aiutò a rialzarsi, accompagnandolo poi nella loro camera da letto.
Si misero sotto le coperte e si addormentarono, ognuno dal proprio lato del letto.



Odio queste cicatrici perché mi fanno sentire diverso
Posso nasconderle da tutti ma non da me stesso

I giorni successivi li aveva passati con un groppo alla gola che non voleva saperne di sciogliersi.
Ogni volta che entrava in una stanza si voltava, il terrore di vedere i suoi vestiti scomparire per mostrare al mondo intero le cicatrici rimaste che gli riempiva la bocca, quasi come a volerlo far annegare nelle sue stesse debolezze.
Ogni volta che si vedeva allo specchio vedeva solo un’espressione di paura e di rimpianto sul suo volto.
Ogni volta che stava con Crowley non poteva che ritornare con vergogna a quei pensieri che aveva formulato durante la tortura, sentendosi indegno di restare in sua presenza.
Non doveva dirgli nulla.
Non voleva ferirlo.
Non poteva fargli credere che fosse colpa sua.
Era...cambiato, da quell’evento. Non solo all’interno di quel sacco di carne ambulante che lui chiamava corpo, non sentire più le ali all’interno della schiena era stato strano, a primo impatto, ma anche fuori.
Aveva iniziato a parlare molto meno. Se prima si perdeva sempre nei suoi discorsi, dopo non ne faceva più molti, limitandosi soltanto ad annuire e ad abbassare costantemente lo sguardo.
Ogni volta che apriva bocca temeva di cedere. Di tirare tutto fuori in un solo sospirp.
Aveva anche iniziato a sorridere decisamente meno. Non che fosse diventato una di quelle persone sempre il viso duro, ma rispetto a prima trovava molti meno motivi per sorridere.
Solo quando c’era Crowley faceva dei sorrisi sinceri.
Gli altri erano solo smorfie di pura finzione, il frutto di sentimenti e sensazioni che era costretto a tenere segreti.
E il demone aveva iniziato a notare sin dalla prima mattina stessa ogni singola cosa, continuando a farsi domande nel silenzio dell’altro.

Fa più rumore il tuo silenzio che le urla della gente
Un albero che cade che una foresta intera che cresce
Tengo i miei sogni nascosti dietro alle palpebre
Siamo fiori cresciuti dalle lacrime

-Ti è successo qualcosa e non vuoi dirmelo- il tono del demone non voleva essere inquisitorio o cattivo, mentre si arruffava i capelli da solo in vista di appoggiare la testa sul cuscino.
Osservava il suo compagno a pochi passi da lui schioccare le dita per mettersi il pigiama, aspettando il giusto momento per parlarne con calma.
Erano seimila anni che si conoscevano e appena qualche mese che abitavano assieme, aveva subito notato quei cambiamenti non indifferenti nemmeno alle persone più vicine a loro, come i Quelli o Anathema.
E non ne sapeva la causa, e quel fatto lo mandava letteralmente in bestia.

-A cosa ti riferisci?- Aziraphale sentì le parole colpirlo come una lama nella gola, facendolo improvvisare con una risata nervosa.
Non doveva parlare.
Non doveva assolutamente parlare.
Sapeva che sarebbe arrivato quel momento, perché non era mai stato bravo a nascondere le cose, però poteva ancora evitare di parlare. Allungare il brodo. Fare qualcosa.
Il demone si alzò dal letto in uno scatto, avvicinandosi all’altro fino a circondargli le spalle in un abbraccio delicato.
Quasi avesse paura di vederlo scomparire da un momento all’altro.
-Non sorridi più e parli sempre meno- nello specchio poteva vedere un’espressione ansiosa coronare il viso del suo angelo, segno che aveva fatto centro. -È una cosa mia? Ti ho fatto qualcosa?-.
i pensieri di Aziraphale si erano fatti rumorosi nella sua testa tu hai fatto tutto perché io arrivassi qui, ma non voglio metterti in mezzo.
Prese un respiro.
Perché non meriti di essere messo in mezzo.
-
Problemi con la libreria- scattò subito sulla difensiva, cercando di sembrare in qualche modo calmo.
Doveva restare calmo.
-Sei un pessimo bugiardo, angelo- sentì il sibilare nel suo orecchio, accompagnato da un fugace bacio sul collo. -C’è qualcosa che ti turba ma non so dire cosa, e ciò mi dà molto fastidio-
-Non dovrebbe-
-Ti vedo costantemente triste, e se prima eri aperto con me ora sembra che tu mi stia nascondendo qualcosa- guardò dritto il riflesso nello specchio, alzando il sopracciglio in senso di dubbio -mi stai tradendo?-
L’angelo sgusciò via dalla stretta del compagno, trovandosi a pochi passi da lui con le braccia conserte e il volto improvvisamente severo.
La situazione stava diventando più complicata di quello che aveva previsto.
-Come ti salta in mente di pensare una cosa simile? Anche così vicini dal nostro matrimonio?- ecco, sentiva la voce diventare sempre più incrinata. Sempre più vicina al frantumarsi.
Non ce la faceva più.
Quella frase era stata l’ultima goccia.
-Dammi un buon motivo per non pensarla, allora- Crowley stava mostrando la lingua serpentina, gli occhi rettili che parevano brillare dalla rabbia mentre si metteva in posizione d’attacco.
Non litigavano spesso, ma quando lo facevano entrambi dovevano essere pronti a tutto.
-Vuoi un buon motivo?- era il momento di sputare tutto, una lacrima pioniera che stava già lasciando l’occhio per scendere lenta sulla guancia -eccolo-.
Con uno schiocco di dita si tolse il pigiama, mostrando al demone due grosse cicatrici rossastre sulla sua schiena.
Erano grandi.
Parevano pulsare ancora, nel mostrare la carne sottostante con così tanta ferocia.
-Mi hanno reciso le ali-.

Portami in alto come gli aeroplani
Saltiamo insieme vieni con me
Anche se ci hanno spezzato le ali
Cammineremo sopra queste nuvole




Stettero in silenzio per molto tempo. Gli occhi del demone erano fissi sulle cicatrici dell’altro, cercando di dare un senso a tutto quello che aveva sentito.
Chi aveva fatto una cosa simile?
Chi aveva fatto del male al suo angelo?
Perché? Perché poi? Cosa aveva fatto? Cosa aveva fatto per ricevere una cosa simile?
Erano stati i suoi capi. Era stato Gabriel.
Ma non importava come era arrivato a quel punto, importava solo che qualcuno aveva osato ferire Aziraphale.
E lui era stato l’ultimo a scoprirlo.
Un attimo, e si ritrovò il volto dell’altro contro la spalla, lasciando che le lacrime gli bagnassero il tessuto della maglietta.
-Scusa se non ti ho detto nulla- il tono dell’angelo era flebile come la fiamma di una candela al vento, ed era compito del demone far sì che non si spegnesse del tutto.
Nonostante sapesse che l’altro stava aspettando un qualche tipo di risposta, il demone si limitò a stringerlo con forza, quasi a volergli imprimere nella pelle tutte le scuse immagazzinate nel suo cervello.
Se solo si fosse fermato in tempo, prima di dire quelle parole intrinseche di dubbio.
-Non...non era perché non mi fidavo...- i rantolii peggioravano man mano che il silenzio continuava, assieme alle lacrime che sgorgavano dagli occhi del biondo.
Era da secoli che non piangeva. Forse sfogarsi era quello di cui aveva bisogno di più.
Assieme agli abbracci del rosso. Di quelli aveva bisogno sempre.
Prese un profondo respiro.
Doveva continuare a parlare.
-Perché non volevo farti stare male, ecco-.
Crowley non sentiva tutto quello, stava solo lì, a creare cerchi attorno alle cicatrici del biondo quasi a volerle riparare con quei semplici tocchi.
Aziraphale era l’ultimo a doversi sentire in colpa per qualcosa.
-L’unico che si deve scusare, qui- iniziò, il tono di chi doveva assolutamente dire qualcosa di straordinaria importanza ma che allo stesso tempo cercava di nasconderne l’entità – sono io. Per non aver notato prima...- il ricordo di quella notte che lo attanaglia come a volerlo far annegare nei sensi di colpa. -E per averti detto quella cosa-.
Nei suoi occhi si poteva vedere il senso di colpa.
-Non fa niente. Oramai il peggio è passato-. Quando l’angelo usava quel tono così infantile, era impossibile restare tristi.
Perché gli angeli non sono fatti per provare paura, tristezza o rimorso.
Ma in quella stanza, di angeli non ce n’erano più.

Se questa notte piove dietro le tue palpebre
Sarò al tuo fianco quando è l'ora di combattere
Portami con te, ti porterò con me

I due erano stretti l’uno all’altro, i loro corpi uniti da una stretta che non si sarebbe slegata in nessun modo.
Sembravano due parti della stessa corda legate assieme, impossibili da snodare e una che si appoggiava all’altra, quasi come avessero entrambi la paura di cadere in un qualsiasi momento.
Formavano una forma perfetta, a vederli. Le dita strette colmavano tutti gli spazi, le teste erano appoggiate in quell’equilibro che si poteva vedere rare volte e i piedi erano messi agli opposti, ben piantati come radici di un albero.
E il silenzio dominava la stanza. I singhiozzi dell’angelo erano andati via via a farsi sempre più brevi fino a scomparire del tutto.
-Aziraphale- quello stesso silenzio venne rotto dal suo nome, che suonava molto come l’amen alla fine di una preghiera –tu lo sai che io ti amo più di qualsiasi altra cosa, vero?-.
L’angelo annuì. A domande dalla risposta così ovvia non rispondeva nemmeno a parole.
-E che incontrarti è stata la cosa migliore che mi sia mai successa, vero?-
-Quando dici così è perché hai fatto qualche guaio- le guance rosse dalle lacrime non gli impedirono di sorridere, quei sorrisi che solitamente facevano scogliere anche i cuori più freddi.
- Non ho fatto nessun guaio! Sto soltanto...- il demone ridacchiò, cercando le parole giuste per mandare avanti il discorso, mentre con uno schiocco di dita teletrasportava entrambi sotto le coperte.
La visione degli occhi azzurro oceano dell’altro gli fecero tornare l’ispirazione.
- Sto soltanto cercando di dirti che qualsiasi cosa facciano, o dicano, io sarò sempre al tuo fianco- si scansò un ciuffo rosso dal volto, per permettere all’angelo di contare tutte quelle minuscole lentiggini che l’avevano fatto innamorare al primo sguardo dato sulle mura dell’Eden all’alba dei tempi.
-E ti proteggerò sempre, anche quando tu non vorrai parlarne- il rosso posò il palmo aperto sul petto dell’altro, in modo da percepire quasi il battito del suo cuore.
Aziraphale sorrise ancora, fino a che i suoi occhi non si riempirono di nuovo di lacrime calde.
-Ehi, non dirmi che ti stai per mettere di nuovo a piangere!- ridacchiando bonario, il demone lo strinse a sé, facendo attenzione a non toccare direttamente le cicatrici e lasciando che l’altro si sentisse a suo agio.
-Mi è entrato un insetto nell’occhio, lo giuro- mentì l’angelo, per poi spegnere la luce sempre con uno schiocco di dita.
Due sorrisi erano le uniche cose a brillare nell’oscurità.
Due cuori battevano vicini.
E per quella notte, e per tutte le altre notti che la succedettero, le cicatrici sulla schiena di Aziraphale non bruciarono.

Passeranno questi temporali
Anche se sarà difficile
Sarà un giorno migliore domani
Anche per te



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Capitolo 4
*** Il Bacio Di Klimt ***


Dimmi cosa sei venuta a fare
Se vuoi restare oppure andare via
Ma quanto pesa la malinconia
Ma quanto costa dire una bugia

 

Appena varcata la soglia dell’appartamento di Crowley, l’angelo sentì una stretta allo stomaco.

Si sentiva nel posto sbagliato al momento sbagliato, e quella sensazione aveva iniziato a sentirla da quando erano scesi dal bus. Precisamente, da quando il demone aveva avuto la brillante idea di abbandonare le sue dita, slacciare il nodo perfetto che si era creato.

Evidentemente era quello che aveva scatenato tutto. Ma andava benissimo così, non voleva rendersi asfissiante e fargli domande assurde tipo “ehi, posso stringerti la mano?”.

Era inappropriato fare quelle domande. Era inappropriato e stupido. Poteva benissimo vivere con quel peso, come aveva sempre fatto in situazioni del genere.

-Allora- Crowley, nel voltarsi, gli parve esausto. I capelli rossi avevano perso il loro ordine naturale, il disordine che si era impossessato di loro. Dietro gli occhiali da sole gli occhi ambrati erano stanchi, Aziraphale poteva vederli anche attraverso il vetro scuro, e il sorriso pareva più una smorfia da maschera tragica che un’effettiva dimostrazione di un qualsivoglia sentimento.

Aveva imparato ad osservare il suo corpo per comprenderlo, e sapeva che quello non era un buon segnale. Era stanco. Stanco di ogni cosa. E lui rispettava le sue sensazioni. Rispettava ogni cosa di lui.

Era il minimo.

-Vuoi entrare oppure stare qui come un allocco fino a domani?-.

-Potresti riformulare la domanda in modo più gentile?-

il sorriso divenne notevolmente più piccolo, quando il demone entrò a passo svelto in casa sua seguito dall’altro. -Non ho molto da offrirti- borbottò, avviandosi verso il luogo dove teneva gli alcolici.

Né l’uno né l’altro sapevano bene cosa sarebbe successo il giorno dopo. Forse sarebbero morti. Era l’opzione più probabile, era quello che succedeva ai traditori. Avevano tradito le rispettive parti, avevano incasinato il piano per la fine del mondo. Avevano fatto tutto quello, ed ora era il momento di saldare i conti.

Il pensiero della morte era nello sfondo del suo cervello, sicuramente non nel posto principale. Era lì, certo, ma quando c’era Crowley attorno a lui, la sua mente era perennemente concentrata su di lui. Sul suo viso, sui suoi capelli, sulla sua voce.

C’era solo Crowley. Nessun altro.

Esattamente come quella volta, nella chiesa. Temeva di discorporarsi, ma appena il demone era entrato nell’edificio per salvarlo si era sentito leggero, come una piuma. La paura era scomparsa. C’erano solo quelle iridi dorate a fare da scudo contro i suoi timori.

-Non c’è problema- mormorò il biondo, scrollando le spalle e aggiustandosi l’impermeabile. -Mi basta restare qui-.

 

Anche se adesso fuori è buio un giorno smetterà
Con te diventava sole anche una lucciola

 

Si sedettero sul divano, osservandosi dritti negli occhi. Non era una cosa che facevano molto spesso, Crowley e i suoi occhiali erano praticamente una cosa sola, però in quel secondo non c’erano barriere, non c’erano ostacoli.

C’era solo l’azzurro che si fondeva con l’oro, due figure a pochissimi centimetri l’uno dall’altro in un totale silenzio, come se qualcosa si fosse impossessato dell’aria attutendo ogni altro suono.

Aziraphale non era un fan dell’appartamento di Crowley, nel suo insieme. Era troppo ordinato, era troppo spoglio. Gli ricordava il paradiso, nel suo ordine così macchinoso e poco...umano.

Sì, nell’appartamento di Crowley mancava l’umanità. O forse c’era, ma era un lato di essa che lui (fortunatamente) non aveva avuto modo di incontrare.

Quindi, lui cercava di non guardarsi attorno, concentrandosi solo sulle iridi dell’altro.

Erano così belle.

Speciali.

Era un peccato che se le coprisse sempre con gli occhiali da sole. Nonostante fossero simili a quelle di un serpente, avevano lo stesso colore del sole.

Quello che probabilmente non avrebbe più visto, dopo quella notte. Ma a lui cosa importava? Aveva un sole proprio davanti ai suoi occhi, un sole che si era girato a materializzare una bottiglia di vino e due bicchieri solo per dargli qualcosa.

Solo per accoglierlo.

-Non...- fece per gesticolare il rosso, le mani scheletriche che per un soffio non persero la presa sul vetro umido, quando venne fermato da un cenno dell’altro.

-Va bene così, Crowley- mormorò il biondo in un sorriso comprensivo, ricordandosi per un attimo perché era stato creato. Era un angelo, era il suo dovere far stare bene le persone. O i demoni. O chiunque. -Sei stato molto gentile a farmi stare qui- non aveva altro posto dove andare, la sua libreria, la sua casa, era andata distrutta, ma ora era lì. Crowley si era offerto per fargli da casa, per quella notte.

E non era nemmeno la prima volta, dannazione.

L’altro era palesemente a disagio. Lo si poteva notare dalle labbra increspate, dal ticchettio delle dita sui pantaloni stretti come le spire di un serpente. Non era mai pronto a quei contatti così vicini, soprattutto in momenti come quelli.

-Cos’altro avrei dovuto fare, angioletto? Lasciarti sul ciglio della strada come un cagnolino abbandonato? Sotto la pioggia?- l’espressione perplessa dell’altro era tutto un programma.

-Non abbiamo bisogno di mangiare o dormire, avrei trovato comunque un modo per passare la serata-

-Oh, riesci sempre a rovinare tutto!- il demone fece un movimento annoiato con la mano, come a scacciare una mosca particolarmente molesta, per poi passargli il bicchiere –volevo farti un piacere e non volevo peggiorarti l’umore facendoti restare al freddo tutta la notte- terminò con un borbottio.

-Be’, grazie- il freddo del bicchiere pieno di quel liquido del colore dei raggi del sole si scontrava con il caldo che l’angelo stava provando nelle ossa. -Molto gentile-.

-Quando vuoi-.

 

Se vuoi da bere,ti offro un drink
Rompi un bicchiere, sembrava un film
Tu vino bianco ,io niente alcool
Cambi discorso, parliamo d'altro

 

-Perché non bevi?- nel vedere le mani vuote di Crowley mentre la bottiglia si smaterializzava, Aziraphale inarcò il sopracciglio, dubbioso. Crowley beveva sempre, ogni volta che si incontravano. Era strano non vederlo direttamente tracannarsi la bottiglia.

Era molto strano.

L’altro rispose con un’espressione accigliata, come se gli avesse appena fatto una domanda assurda, passandosi la mano tra i capelli. -Voglio restare sobrio, almeno questa sera- rispose, il tono che rasentava il sussurro. Si vedeva che non stava bene, che non era per niente sereno. Era l’effetto dell’avere la morte sulle spalle, il pensiero sempre vorticante nella testa.

Il demone era sempre stato uno che tendeva a pensare troppo.

-Immagino-

-Non voglio sprecare la serata a dire cose stupide-

-Onesto come piano-

- No, seriamente. Domani succederà qualcosa, e non voglio…-

-Crowley. Caro- l’angelo non poteva mostrarsi spazientito, non se la sentiva di rovinare l’atmosfera con uno dei suoi commentini acidi, però non poté fare a meno di contrarre le labbra in un sorriso divertito –va tutto così. Davvero-. Sentiva il sangue pulsare nel suo corpo mentre gli passava una mano sul dorso scarno, ricevendo in risposta solo uno sguardo ancora più pensoso.

Crowley, come già detto, pensava troppo. Cercava di nasconderlo, certo. Ma spesso non ci riusciva. Faceva commenti su ogni cosa, almeno nella sua testa, e i suoi pensieri più cupi erano rivolti verso gli umili, i bambini, gli indifesi.

Ponderava sempre le azioni degli altri usando l’impatto di quelle azioni sulle già citate categorie come peso per misurare la malvagità di un’azione, come quella volta in Mesopotamia.

Ci teneva agli altri. Teneva al suo destino.

Era un demone dal cuore d’oro, per farla breve. Uno dei pochi, uno dei difettosi.

Talmente ribelle da aver tradito l’Inferno stesso con tutti i diavoli.

Fece un grande sospiro, appoggiando la schiena al divano con un tonfo sordo. -Sono contento di essere assieme a te, angelo-.

-Anche io-

-Bene-.

Crowley iniziò a guardare il soffitto, il piede che ritmicamente batteva sul pavimento. -Dove vanno i demoni quando muoiono, secondo te?-. Disse quelle parole con il tono di un bimbo incuriosito davanti alla vetrina di un museo, ricordiamo che proprio a causa di domande scomode si era fatto sbattere fuori dal cancelli di perla, ma alle orecchie dell’angelo quella domanda risuonò come universale, qualcosa che aveva senso anche per lui.

Dove vanno gli angeli quando muoiono? Assieme ai demoni? Non sapeva rispondere, ma non voleva lasciarlo così, a bocca asciutta.

Sospirò pure lui, sedendosi vicino alla figura del demone sul divano di pelle.

-Non ne ho la minima idea- rispose con sincerità, grattandosi la nuca –ma suppongo che domani lo scopriremo-

-Già-

-E non hai paura?-

-“Per una mente ben allenata, la morte è solo una nuova, grande avventura”- citò a memoria con un sorrisetto, creando cerchi nell’aria con l’indice –l’ho sentita in un film, una volta-.

Aziraphale rimase sorpreso dal sentire Crowley citare Harry Potter, allargando il sorriso per non trasmettere l’angoscia che gli stava lentamente divorando quel che rimaneva della sua anima.

-E la tua mente è allenata?- chiese ancora il biondo, avvicinando la mano tremolante a quella dell’altro, solo per scacciare i brutti pensieri che circolavano nella sua testa. Era la sa ultima notte, la loro ultima notte, non voleva morire con dei rimpianti.

La sensazione delle dita che andavano di nuovo a legarsi gli fece per un secondo dimenticare quello che stavano passando, quello che stavano per passare.

-Penso di sì- ottenne in risposta uno sbuffo. -E la tua?-

-Penso anche io di sì- era stanco di fare quei discorsi, voleva parlare d’altro.

Ma le parole gli mancavano.

 

Dimmi che ore sono dai,dimmi che ora siamo noi
Siamo un'ora indietro sai, il resto lo vedremo poi
Siamo un sentimento ,o un presentimento
Che passato esiste,ma il futuro è incerto

 

-Ci sei mai stato ad un matrimonio?- Crowley decise di prendere le redini della conversazione, tornando a fissare l’angelo con i suoi grandi occhi. Aziraphale le aveva notate subito, le piccole lentiggini che gli coprivano il naso, e non poteva non fare una smorfia dolce nel vederle. Erano rimasugli di polvere di stelle rimasta dal suo lavoro, all’alba dei tempi.

Era così bello.

Così...speciale.

Era proprio un peccato averlo visto così tardi, aver così poco tempo davanti.

Però dovette concentrarsi su quella strana domanda, cercando ancora una volta di dare una risposta. Cercò di ricordare tutti gli anni in cui era rimasto sulla Terra, per poi arrivare ad una bizzarra conclusione: non era mai andato ad un matrimonio.

-No. Non ci sono mai stato- rispose semplicemente, per poi chiedersi il perché della domanda. Crowley non era un tipo smielato, sicuramente non si trattava di un discorso strappalacrime sui sentimenti o roba del genere.

Anche se l’angelo forse sperava che lo fosse.

-Cosa?- sorpreso, il demone emise quella che sembrava una risata, ma poteva benissimo essere scambiata per un ringhio. -Un angelo che non è mai andato ad un matrimonio?-.

-Sono stato abbastanza occupato in questi secoli-

-A mangiare sushi?-

Aziraphale alzò gli occhi al soffitto, sospirando rumorosamente. -Dove vuoi arrivare?- sbottò impaziente, quando vide l’altro alzarsi in uno dei suoi movimenti fluidi, il vuoto tra le sue dita che era ritornato.

Era stupendo da guardare. Il corpo serpentino racchiuso in vesti così strette, le mani che ondeggiavano nell’aria. Gli occhi che ritornarono a puntarsi su di lui con uno scatto. - Nei matrimoni solitamente ci sono delle danze, o almeno...- si diresse verso il cellulare che aveva abbandonato sul tavolo, trafficando un secondo sotto lo sguardo confuso dell’angelo. Stava per succedere qualcosa di stupido, e lui era vagamente spaventato.

Erano secoli che non ballava.

Poi, con un’altra persona, non gli era mai capitato. Era tutto così strano! Ma non era male, come ultima serata.

Come ultima serata.

Ogni volta che ci pensava, un brivido gli scendeva sulla schiena.

Il giorno dopo, sarebbero morti entrambi.

Dopo interminabili secondi, dal cellulare del rosso partì una musica lenta, antica. Il tamburello che andava a ritmo con le parole, in quella che sembrava una ninna nanna straordinariamente rilassante.

Non era di certo nello stile di Crowley, e questo dava un risvolto ancora più strano alla vicenda.

-...alla fine delle danze sfrenate c’è sempre il ballo lento- nel terminare la frase, il demone porse la mano all’angelo, un sorriso straordinariamente casto ad incoronare il suo volto. -Ti andrebbe di provare?-.

Aziraphale accettò l’invito, alzandosi. Era agitato, lo si poteva notare dal sorrisetto ansioso sul suo volto, o dall’espressione che in qualche modo riusciva a comunicare sconforto.

Era pronto? Forse. Forse.

Si mise davanti all’altro, la differenza di altezza che non poteva non essere notata, aspettando con trepidazione. La musica continuava a gracchiare dal cellulare del rosso, che in quel momento sorrideva soddisfatto.

- Cosa...cosa dobbiamo fare adesso?-

-Io metto la mano qui- in un movimento rapido, Crowley appoggiò la mano sulla spalla del biondo. Inutile descrivere la scossa che lo stesso sentì attraverso le ossa.

-Ora- il demone sfiorò al mano dell’altro, portandola sul suo fianco. L’angelo era confuso. No, spaventato. Cosa stava per succedere? Non lo sapeva nemmeno lui.

Ma tutto ciò, in qualche modo, gli stava piacendo.

Si ritrovarono vicini, forse troppo vicini, l’espressione liquida di Aziraphale che era letteralmente tutto un programma. Crowley, dal suo canto, era rilassato, la musica che si stava decisamente allungando più del normale.

-Ora?- l’angelo non capiva perché si fosse interrotto, forse per godersi la musica.

-Ora mi segui- con quella frase così semplice, il demone iniziò a fare dei movimenti lenti al ritmo della musica, lasciando che l’angelo si abbandonasse alla corrente. Aziraphale si sentiva sollevato, nel seguire i movimenti esperti dell’altro. Si sentiva talmente sicuro da appoggiare la fronte sulla spalla dell’altro, inspirando il suo profumo. Non era zolfo, come aveva sempre immaginato. Piuttosto, Crowley profumava di fiori, di crema da sole. Crowley profumava d’estate.

Entrambi erano esausti, entrambi non ne potevano più. Avevano sventato l’apocalisse, stavano per morire.

Erano stanchi. Aziraphale era stanco, e nell’appoggiare la fronte sulla spalla del demone stava comunicando la sua resa.

Si era arreso.

Era meglio così, Crowley l’aveva capito. Aveva avvicinato i due corpi, rendendo la danza un abbraccio in movimento.

Era come se ogni cosa si fosse annullata, lasciando solo loro due ballare in quella stanza la notte prima della loro morte.

Ogni cosa sembrava non esistere. E forse era anche così.

 

Come un dipinto nella notte ti verrò a cercare
Per te giuro ho sceso forse un milione di scale
Afferrami la mano prima di cadere
Tutti i girasoli adesso son fiori del male

 

-Sai- Crowley non amava il silenzio, rendeva più rumorosi i pensieri. -Non pensavo che tu fossi così-

-Così come?-

-Così...- i ricordi della mancata apocalisse, l’orgoglio con cui teneva quella spada infuocata in mano. La sua forza. -Coraggioso-.

Aziraphale alzò le spalle, sentendo le sue interiora bollire. A volte era un vero orrore essere umani. -Oh, grazie- sorrise sulla sua spalla, quando un’idea gli attraversò la mente.

Erano gli anni quaranta, piena guerra. Crowley l’aveva salvato, ancora. Aveva sentito per la prima volta quel calore anomalo, quel pensiero di stargli sempre accanto. Di volerlo salvo. Lo voleva al sicuro, lo voleva vicino a lui.

Cos’era? Probabilmente amore, ma non ne era sicuro. Forse Crowley conosceva la risposta, bastava solo chiedere.

Tanto, nulla aveva più senso.

-Senti, Crowley...- iniziò, la voce che usciva a stento dalle labbra –c’è una cosa che devo dirti-

- Be’, anche io-

-Allora vai prima tu-

-Nah, vai prima tu-

Aziraphale si morse l’interno della guancia, cercando di creare un discorso sensato. -Ti ricordi quella volta, durante la Seconda?- iniziò, stringendo le dita alla giacca dell’altro. Le parole si stavano creando nel suo cervello, cercando di non spaventarlo.

-La storia della chiesa?-

-Esatto-.

Crowley si ricordava benissimo quella volta, oh sì. Ricordava l’odore del fumo dopo il bombardamento, la sua entrata speciale nell’edificio e le sue battute piccanti. Il bruciore sotto i suoi piedi che riempiva di lacrime i suoi occhi. L’espressione sorpresa di Aziraphale mentre gli passava la borsa con i suoi libri.

Ricordava anche loro due nella libreria del biondo, le sue mani che pazientemente applicavano cerotti sulle bruciature.

Ricordava ogni cosa di quel giorno, fortunatamente. Aveva un ruolo essenziale in quello che avrebbe detto dopo.

-Ecco, io...- stava per dire una cosa stupida. Stava per dire una cosa orribile e non voleva dirla. Ma sentiva le parole bloccate nel suo stomaco, che non potevano non uscire. Era obbligato. Non poteva più tirarsi indietro.

Stava per dirlo, le parole stavano per uscire.

-Io penso di amarti, Crowley- riuscì finalmente a mormorare.

L’aria si fermò, giusto in tempo per far sentire una risatina. Era il rosso, che con un movimento lento lo strinse a sé.

Il biondo si dimenticò di respirare per una buona decina di secondi, sgranando gli occhi. Non si erano mai abbracciati così. Non era mai successo. Non sapeva cosa fare.

-Anche io- nel sentire il mormorio dell’altro, una parte del suo cuore si sciolse. Cosa? Davvero? Era davvero così semplice? -Ma è un peccato, sai. Abbiamo solo più questa notte-. Il tono del demone era affranto. Era spezzato.

Probabilmente stava per mettersi a piangere.

Esattamente come l’angelo.

I due non mostravano molto le reciproche emozioni l’uno con l’altro. Forse perché entrambi avevano sempre avuto il timore di far cadere le loro maschere, di sembrare deboli.

Ma in quel momento, a differenza delle altre volte, nulla aveva più importanza.

Una lacrima solitaria abbandonò gli occhi del biondo, andando a sciogliersi sulla giacca dell’altro. -Sono stato uno sciocco ad averlo compreso così tardi- anche la voce dell’angelo si era ridotta ad un sussurro strozzato.

Era spaventato.

Era triste.

Era entrambe le cose.

Tremava come una foglia al vento, tenendosi stretto all’altro come se fosse sul punto di cadere in un burrone. E l’altro lo stringeva, lo proteggeva come uno scudo.

-Io ti amo, Crowley- iniziò a singhiozzare l’angelo, le labbra strette tra i denti per cercare ancora di darsi un freno che ormai aveva smesso di funzionare. -Quando...quando eravamo alla chiesa io...io non...-

-Va tutto bene, angelo- il demone guardava avanti, deciso su cosa fare. Voleva tenerlo così stretto, lasciare che si calmasse. Avevano sprecato troppo tempo a rincorrersi, e ora che si erano presi era finito il tempo per giocare.

Il mondo ha un’ironia così crudele.

 

Ci siamo persi per riprenderci
Ci siamo scelti per non sceglierci
Ma anche tra mille anni,io sarò ancora qui
Siamo eterni come il bacio di Klimt

 

-Non va tutto bene- l’angelo tirò su con il naso, cercando di riavere un aspetto presentabile. -Moriremo. Tra poche ore. Non abbiamo tempo per fare nulla, per distruggere quello che siamo qui. Non abbiamo tempo per-

Venne zittito da un bacio rapido e indolore, uno di quelli che si possono vedere nei film per adolescenti.

Era casto. Era puro. Angelico.

Aziraphale si sentì morire e rinascere in un mezzo secondo. Che piacevole sensazione.

-Mi hai baciato- l’angelo riuscì solo a sottolineare l’evidenza, sorpreso. L’aveva baciato. Si erano baciati. Ad un passo dalla fine del loro mondo.

-A quanto pare- Crowley sembrava più sorpreso di lui, un sorriso che si stava allargando sempre di più sul suo volto. -Cazzo...scusa?- si grattò la nuca, guardando negli occhi l’altro. Sembrava veramente confuso pure lui, come se avesse fatto tutto per impulso, senza ragionare.

E forse era esattamente così.

I due si scrutarono per minuti interminabili, dopodiché entrambi scoppiarono in una risata. Risate nervose, decisamente poco spensierate.

Ma almeno erano risate.

Di certo non sapevano cosa avrebbe riservato loro il futuro, ma una cosa era certa. Avrebbero affrontato ogni cosa nella stessa maniera come da seimila anni a quel momento: assieme.

Come un dipinto nella notte ti verrò a cercare
Per te giuro ho sceso forse un milione di scale
Afferrami la mano prima di cadere
Tutti i girasoli adesso son fiori del male

 

Erano nella camera da letto del demone, il letto a castello che si stagliava nella parete dipinta di nero. Crowley non aveva dato spiegazioni in merito alla presenza di un letto a castello, nonostante lui vivesse da solo. Era uno dei suoi tanti misteri.

Stava osservando l’angelo svestirsi, il suo pigiama materializzato sulla sedia vicino a lui. Avevano deciso che entrambi avrebbero dormito, almeno quella notte.

Era strano da dire, ma entrambi ne avevano bisogno.

-Fuoco infernale?- avevano iniziato un discorso poco prima, dopo che entrambi erano tornati un minimo lucidi.

Stavano parlando di cosa li avrebbe aspettati il giorno dopo.

-E acqua santa. Esattamente- Aziraphale affermò, mettendosi le mani in tasca. Era una cosa che faceva abbastanza spesso, in realtà. Aveva dei precedenti, con i contenuti delle tasche, e non voleva ripetere certe esperienze che forse racconteremo un’altra volta.

Avevano deciso che oramai era inutile piangere sul latte versato. Avevano fatto le reciproche confessioni. Si erano baciati.

Tutto bello, ma ora era il momento di dormire.

Mise le mani nel tessuto, aspettandosi come al solito nulla. Ma in quel caso, andò diversamente. Le sue mani si scontrarono con un foglio antico, ruvido sotto le mani.

Lo tirò fuori, non capendo.

- Cos’è?- borbottò il demone, già in canottiera e pronto a dormire, nell’individuare il foglio tra le mani dell’angelo.

- Non ne ho la minima idea- disse, già analizzando. La carta era antica, non qualcosa di recente, ed era stata strappata da un libro. Girò il foglio, leggendo solo una frase: “quando arriverà il momento, scegliete le vostre facce con saggezza”. La lesse ad alta voce, ricevendo un’occhiata stranita dall’altro.

-Cosa significa? È una profezia?-

-Probabile-

-Hai voglia di analizzarla?-

L’angelo scrollò le spalle, notando con piacere che il demone aveva fatto spazio per lui nel letto di sotto, in modo da dormire assieme anche in quello spazio così piccolo.

-Forse domani non saranno così precisi, è probabile che avremo tempo per controllarla e trarre conclusioni-.

- Mi piace il tuo modo di pensare- ritrovandosi entrambi a distanza ravvicinata sotto la stessa coperta, il demone aveva iniziato a stringerlo per tutte le volte che non aveva potuto, beandosi del suo calore. -A domani, angelo- sussurrò, sperando di essere sentito.

-A domani, Crowley-

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