The Hippogriff Club

di Jace94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Cerimonia di Smistamento ***
Capitolo 2: *** Un giorno da Serpeverde ***
Capitolo 3: *** Un giorno da Corvonero ***



Capitolo 1
*** La Cerimonia di Smistamento ***


Wizarding World

The Hippogriff Club

-Primo Arco-


Capitolo 1

La cerimonia di smistamento
 

 

Mentre una folla di giovani maghi si addensava sul binario 9¾, il sole di fine estate picchiava ardente sulla locomotiva rosso scarlatta dell'Espresso per Hogwarts. 
Astrid ebbe la forte sensazione che le ginocchia non l'avrebbero retta ancora per molto. Il bubolo dei gufi, i manici di scopa in mano agli studenti più grandi e il fumo nero del treno che sporcava il cielo azzurro, le procuravano un ansia e un'eccitazione che sicuramente non avrebbe mai dimenticato. 
Due mani le scivolarono sulle braccia, sostenendola dolcemente mentre gli occhi color miele incontravano quelli del padre, ora alla stessa altezza. 
«Astrid, mi raccomando, scrivimi ogni giorno, va bene?». 
«Certo papà». 
Un aeroplanino di carta seguito da un sibilo acuto le sfrecciò accanto ed esplose in una pioggia di scintille multicolori quando raggiunse il cielo. 
Il signor Wizzabeth lo seguì con lo sguardo, indispettito, poi l'attenzione tornò sulla figlia che si costrinse a spegnere il sorriso. 
«Stai sempre vicino agli insegnati mi raccomando», le disse sistemando la piega del colletto.
«Sì, papà». Il respiro le si fece più corto, anche se di ossigeno l'aria era piena.
«E non ti fidare dei compagni. Cioè…». Virò lo sguardo verso terra, come se le parole più adatte potessero essere scritte sugli stivaletti di Astrid. «Fatti degli amici ovviamente, ma non accettare nessun regalo che sembri poter parlare o pensare o agire per conto proprio… e tanto meno da bere, ok?». La guardò apprensivo, accarezzandole la guancia paffuta. «Potrebbe essere chissà quale pozione per uno scherzo di cattivo gusto».
«Va bene, Papà». 
«E niente gelatine tuttigusti+1». Scandì con severità queste ultime parole, neanche potessero essere più pericolose di collane maledette o di manici di scopa con il malocchio.
«Lo sai che non fanno bene. Tutti quei strani gusti scombussolano soltanto lo stomaco e rovinano gli altri pasti». 
Restò in attesa di un roger della figlia che, con sguardo inquieto, annuì. Non riusciva a metabolizzare alcunché. Ansia, eccitazione, desiderio e paura frullavano tra lo stomaco e il petto, senza sapere a quale emozione dare la priorità. 
«Vai a letto presto e lavati i denti dopo ogni pasto. Sai che un buon riposo è fondamentale per avere una mente concentrata e l'igiene orale migliora quel bel sorriso che hai». Le tirò delicatamente la guancia, ma il tentativo di farla sorridere fallì miseramente. 
«Dai, vieni qui». L'accolse tra le forti braccia, tenendola stretta a sé più per il desiderio di non lasciarla partire, che per rassicurarla. Nonostante ciò, Astrid si sentì più tranquilla e il respiro tornò regolare.
Al fischio del treno il Signor Wizzabeth dovette suo malgrado lasciare la presa e accompagnarla fino alle scalette. 
«Per qualsiasi motivo, se tu avessi bisogno, mandami un gufo e io arrivo immediatamente, va bene?». 
La bambina annuì. «Grazie Papà». 
E dopo avergli dato un ultimo bacio sulla guancia, salì a bordo dell'Espresso che l'avrebbe portata nella miglior scuola di Magia e Stregoneria del mondo. 

… 
 

Districandosi tra numerosi studenti più alti di lui, Marius riuscì faticosamente a farsi strada lungo il corridoio dell'Espresso fino a trovare uno scompartimento vuoto. 
Si abbandonò sul sedile e, mentre King's Cross si faceva più piccola, i pensieri tornarono per l'ennesima volta a poco meno di un anno prima. 
Un uomo alto e di bell'aspetto suonò al campanello di casa sua, nel cuore di Londra, presentandosi ai suoi genitori come Alexander Liam Lance, professore alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Chiunque gli avrebbe sbattuto la porta in faccia componendo il numero delle forze dell'ordine, invece la coppia sorrise, e con uno sguardo perso nel vuoto lo pregarono di accomodarsi. 
Il mago accennò un inchino di gratitudine e seguendo i Signori Allen in soggiorno, gettò uno sguardo al resto della casa. Marius si trovava nel sottoscala, dove era solito sistemarsi per starsene tranquillo a leggere e, quando i due sguardi si incrociarono, l'uomo gli fece l'occhiolino, sorridendogli.
Il bambino strinse Trattato di Astronomia al petto, colto da un profondo senso di curiosità e irrequietezza.
Poco dopo il padre lo invitò a raggiungerli e l'uomo lo accolse alzandosi dalla poltrona e porgendogli la mano. Marius gliela strinse, esitante, e si sedette sul divano tra il papà e la mamma. 
«Sono il Professor Lance, della scuola di Hogwarts. Una scuola speciale, per ragazzi speciali. Come te». Lo indicò con un cenno della mano.
«C-come me?», guardò i genitori, perplessi e preoccupati quanto lui. 
«Ti è mai capitato di vivere strani eventi? Magari quando sei spaventato oppure arrabbiato?». 
I suoi profondi occhi neri sembravano studiarlo attentamente, pronto a cogliere la risposta nella mente del ragazzino ancora prima che potesse pronunciare parola. Marius riflettè attentamente, ma non ci volle molto prima che i pensieri si spostassero all'estate precedente, quando durante una gita al mare, il suo compagno di scuola Thomas si ritrovò circondato da uno squadrone di grossi granchi rossi con chele pelose e ticchettanti dopo avergli rovinato un elaborato castello di sabbia. 
Chissà se questa vale, pensò il bambino abbozzando un sorriso al ricordo, e anche il Professor Lance sorrise. 
«Oh sì, vale eccome». Marius trattenne rumorosamente il fiato, sbiancando tutto d'un colpo. 
«Tu sei un mago, Marius». 
Ed ora, dopo aver acquistato una bacchetta, pile di libri di magia e una piccola gufetta chiamata Nebulosa, si trovava su un treno diretto ad una scuola per maghi. 
Poteva rivivere quel ricordo quante volte voleva, ma non gli sembrava ancora reale. 
«Ehm… posso?». 
Una bambina paffutella e con caldi occhi color miele si era fermata all'ingresso dello scompartimento, aspettando il permesso di entrare. 
«Oh, certo, è libero». Si raddrizzò sullo schienale per educazione e la seguì con lo sguardo mentre si sedette all'angolo opposto al suo, ringraziandolo. 
«Figurati». Sorrise e non sapendo cos'altro dire tornò a guardare il panorama che scorreva veloce. Non era mai stato un abile conversatore e tutto considerato nemmeno lei doveva cavarsela molto bene: si fissava le punte dei piedi grattandosi il polso. 
La porta dello scompartimento ruppe il silenzio, aprendosi. 
«Oh, alleluia, pare che qui ci sia un po' di tranquillità. Non ne potevo più di sentir parlare di grifondoro, tassorosso o serpefessa e corvoscemo». 
La voce vivace apparteneva ad un esile e spigoloso ragazzino cespuglioso che piombò sul sedile accanto a Marius. 
Dietro di lui, un bambino corvino dai profondi occhi color ghiaccio si chiuse la porta alle spalle, sedendosi educatamente accanto ad Astrid. 
«Si potesse scegliere la casa capirei tutti sti discorsi, ma non decidiamo noi dove andare, no?». Fece le spallucce sospirando. 
«Certo che per essere una persona che vuole tranquillità, parli parecchio», ironizzò il corvino. 
«Oh, hai ragione», convenne il bambino. «È che sentire tutti i primini sperare di andare da una parte o dall'altra mi mette un po' di ansia addosso». Guardò Astrid per coinvolgerla nel discorso. «Andrà alla grande ovunque finirò, questo è quello che penso. A proposito, io sono Noah Webb, piacere di conoscervi». 
«Marius Allen, piacere mio». 
«Ruben Castelli». Alzò l'indice e il medio in segno di pace.
«Castelli? Non sei inglese vero?». Noah sembrava sinceramente interessato. 
«Arguto», sospirò. «Sono italiano, il mio patrigno ha convinto mia madre a spedirmi ad Hogwarts. È convinta che qui mi possano rimettere in riga». 
«Riga? Per la mutande di merlino, che hai combinato?».
Marius trovò curioso quel modo di dire, ma non sapeva bene come chiedere. Non voleva sembrare... fuori posto. Come d'altronde si sentiva. 
Ruben comunque non rispose e si voltò verso Astrid. 
«E tu? Come ti chiami?».
«I-io sono Astrid Wizzabeth, piacere di conoscervi». 
Marius e Noah sorrisero. 
«Bel nome, ma penso che ti chiamerò Wizzy. Fa più strega, non pensate?».
I due bambini annuirono e Astrid ringraziò imbarazzata, non capendo se la stessero prendendo in giro o se risposero sinceramente. 
Noah saltò sul sedile quasi inviperito. «Io lo penso sul serio, ti dona molto!».
«Anche tu sai leggere nella mente?». Le parole gli erano sfuggite dalla bocca prima ancora di pensarci.  
«Uh? Magari», ridacchiò. «Sarebbe grandioso. No, glielo si leggeva in faccia». La indicò con il pollice e Astrid arrossì. 
«Ma tu conosci qualcuno che sa leggere i pensieri?». 
Noah, curioso, si voltò con tutto il corpo verso Marius, ora pentitosi di aver attirato così tanto la sua attenzione.
Quell'uomo, il Professor Lance, gli spiegò che ai figli di streghe e maghi veniva spedita una lettera da Hogwarts e che soltanto per i "nati babbani" si presentava qualcuno a spiegare la situazione. 
Notò anche l'interesse di Ruben e Astrid e pensò che prima o poi si sarebbe saputo che lui non era come loro, quindi tanto valeva essere sinceri fin da subito. 
«Il signore che è venuto a dirmi che sono un Mago… mi ha letto nella mente». Sospirò, evitando gli sguardi. 
«Ah, tranquillo, anche mio padre è un babbano», disse con noncuranza Noah. «Cioè, mia madre è una strega, ma mio padre non ha poteri magici. Si sono innamorati ed eccomi qua». Aprì le braccia in segno di presentazione. 
«Che fortuna», sibilò Ruben tra i denti e Marius sorrise, decisamente alleggerito. 
«A-anche mia madre». Si voltarono tutti verso Astrid, che tornò rossa. «Era una non magica. Una grande donna», terminò orgogliosa.
«Insomma, non ti devi fare problemi. Sei un mago ed è questo ciò che conta», lo convinse Ruben. 
«Grazie ragazzi». 
Restò in silenzio, dubbioso se soddisfare la sua curiosità oppure no. «È solo che…». Era più forte di lui, doveva saperlo «perché le mutande di merlino?».
Noah e Ruben scoppiarono a ridere, Astrid tentò di contenersi, ma non c'è la fece. Marius non capiva bene perché stessero ridendo, ma fu sicuro che non lo stavano prendendo in giro e gli venne naturale aggiungersi a loro. 
«Beh, tu magari è meglio se ti limiti alla sua barba, le mutande lasciale a Noah». 
Risero ancora, mentre la porta dello scompartimento si aprì nuovamente e un volto rugoso fece la sua comparsa.
«Volete qualcosa, figlioli?». 
Noah balzò in piedi eccitato. «Oh, assolutamente». 
Il carrello era pieno di tramezzini, bibite e dolci di ogni tipo. Comprò una manciata di cioccorane che posò accanto a lui, come se fosse il tesoro più grande. Ruben invece prese un tramezzino, ma fu tentato alla vista del bottino del compagno e cedette anche lui all'invito delle cioccorane, prendendone un paio. Marius non voleva niente, ma su insistenza di Noah prese delle gelatine tuttigusti+1.
«Amico mio, non puoi non provarle. Una volta ne ho trovato una al gusto di latte rancido, un'esperienza dell'altro mondo!»
Ovviamente Marius non fu per niente invitato all'idea di assaggiare, ma si fece coraggio e ne prese una color viola scuro. La faccia si dipinse di disgusto e mandò giù senza finire di masticare.
«Credo melanzane al vapore», annunciò tossendo. 
Noah ridacchiando ne prese una color rosso e allungò il pacchetto verso Ruben che ne estrasse una verde, trovando rispettivamente peperoncino e cavoletti di Bruxelles.
«Affidendi che bruddo paccheddo», sentenziò Noah sventolando le mani per rinfrescarsi la lingua in fiamme. 
Ruben invece rimase impassibile. 
«Che c'è? A me piacciono i cavoletti di Bruxelles». Finì di masticare e mandò giù. «Mia madre me li cucinava sempre. Diceva che fanno bene alla salute perché hanno molte vitamine», aggiunse in sua difesa allo sguardo poco comprensivo dei compagni. 
Noah allungò il pacchetto anche ad Astrid, ma lei rifiutò educatamente. 
«Oh, andiamo Wizzy. Magari sei più fortunata di noi». 
«È che poi mi rovinano la cena, meglio di no…»
«Mancano ancora tante ore alla cena, non ti rovini nulla», aggiunse Ruben, che nel frattempo stava già scartando la sua prima cioccorana. 
Anche Marius la guardava incoraggiante e in fondo lei aveva sempre desiderato assaggiare quelle caramelle, anche se suo padre gliele aveva sempre vietate. Titubante, ne presa una gialla. 
I ragazzini aspettarono una qualche reazione, ma gli occhi color miele avvamparono luminosi e una smorfia di piacere si distese sul volto paffuto, mentre un caldo sapore di caldarroste le scendeva in gola.
«La tipica fortuna dei principianti», disse Noah a Marius, passandogli una cioccorana. 
«Tu non hai mai fatto la collezione delle figurine dei maghi, vero?». 
«Ehm… No, non sapevo nemmeno esistessero».
«Tranquillo, puoi iniziare adesso», gli suggerì, scartando la propria.
Ruben trovò l'ennesimo Albus Silente, ma perlomeno riuscì a trattenere la rana di cioccolato prima che potesse saltare via. 
Noah invece non fu altrettanto abile e Astrid si ritrovò l'animale sul petto, irrigidita dalla paura. 
Con un secondo balzo piombò sulle gambe di Marius che rapido la afferrò tra le mani. 
«Oh grazie, non sono mai stato bravo a prenderle. Ne avrò mangiato la metà di quelle comprate». Rise e prese tra le sue mani la rana, adesso non più animata. Le staccò la testa con un morso e guardò la figurina. 
«Uffa, un altro Merlino. Ne avrò sei». E guardò deluso Marius. «Poi ti chiedi perché me la prendo con le sue mutande».
Risero e anche Marius spacchettò la sua. Riuscì ad afferrare la rana e ne morse una zampa, guardando la figurina. 
«Che hai trovato?», gli chiese Noah aprendo compulsivamente un'altra. 
«Hermione J. Granger», rispose tranquillo. Una donna castana e affascinante gli sorrise educatamente.
«Cosa?!» La voce gli si fece acuta, Ruben s'alzò per vedere la figurina e persino Astrid trattenne il respiro.
«Oh, è la versione Ministro della Magia», concluse Noah, deluso. 
La donna sparì dalla figurina e Marius si chiese se per caso si fosse offesa.
«Peccato, ne possiedo già tre di questa. La versione giovane subito dopo la battaglia di Hogwarts è quella super rara. Anche perché non sparisce», chiarì Ruben, sedendosi. 
«Battaglia di Hogwarts?»
Per la prima volta fu Astrid a rispondere prima degli altri.
«All'incirca ventisette anni fa, un mago molto cattivo tentò di prendere il potere su tutto il mondo magico. Furono in molti a combatterlo, ma fu sconfitto per merito di tre amici». 
«Il leggendario Harry Potter, colui che lo ha definitivamente battuto nel duello finale ad Hogwarts e l'unico che gli sia mai sopravvissuto», si intromise Noah eccitato. 
«Ronald Weasley, il suo miglior amico», aggiunse Ruben. 
«E Hermione Granger, che qualche anno fa è diventa Ministro della Magia», terminò Astrid, luminosa ed elettrizzata. 
«La ammiro davvero tanto, ha cambiato un sacco di leggi magiche a favore dei più deboli e continua a migliorare il nostro mondo». Gli occhi le si fecero sognanti, ma divenne rossa quando si accorse di aver monopolizzato su di sé l'attenzione. «È praticamente la mia eroina», aggiunse con un filo di voce.
Marius nel corso degli ultimi mesi si era immaginato più volte come potesse essere il mondo dei maghi, ma non aveva mai contemplato l'idea che potessero esserci persone cattive che usavano la magia per azioni brutte.
«Posso vedere la figurina?»
Astrid gli tese la mano sporgendosi verso di lui, con un gran sorriso stampato sul volto. 
«Oh, certo. Puoi anche tenerla se vuoi».
Lo guardò stupita. «Ma dici sul serio?».
«Certo». Gliela diede. «Di sicuro tu lo apprezzi più di me. Io posso sempre iniziare la collezione con un'altra figurina. Magari con il leggendario Harry Potter!». Le sorrise e prese un altro pacchetto dal mucchio. 
«Oh, grazie!». Affondò nel sedile elettrizzata, leggendo e rileggendo la breve biografia stampata sul retro della figurina. 
E così le ore passarono e il cielo s'imbrunì. 
Raccontarono a Marius vari aneddoti dei maghi e delle streghe trovati nelle cioccorane e ad un certo punto Astrid si sentì fortunata a doversi allontanare per cambiarsi, dal momento che iniziarono a parlargli del Quidditch per colpa di Roderick Plumpton, cercatore inglese divenuto famoso per aver catturato il boccino d'oro nel tempo record di tre secondi. Per fortuna si trattava dell'ultima figurina e prima di allora si divertì sinceramente con tutti loro, in un modo che non riteneva nemmeno possibile quel pomeriggio. Purtroppo tutta l'ansia e l'eccitazione per Hogwarts tornò prepotente quando si mise la divisa e tornata nello scompartimento trovò i ragazzi seduti in silenzio, anch'essi con gli abiti scuri della Scuola. All'improvviso l'aria si fece carica di tensione e fermento.
«Ragazzi, guardate». Marius schiacciò il naso contro il finestrino e fu raggiunto dai compagni. 
Una brillante luna piena accendeva il profilo di un antico castello. 
«Ci siamo», confermò Ruben.

 

… 

 

Il vento fresco e pungente della sera investì i ragazzi appena scesi dall'Espresso. 
I prefetti radunarono a sé gli studenti della propria casa, guidandoli in direzione delle carrozze, mentre quelli del primo anno si sentirono chiamare a gran voce da un enorme sagoma in prossimità del cancello della stazione. 
«Studenti del primo anno a me! Studenti del primo anno a me!», ordinò oscillando a destra e a sinistra una grossa lanterna per farsi notare, come se ce ne fosse il bisogno.
Marius, Astrid, Ruben e Noah si mossero seguendo il gruppo, nel più solenne dei silenzi.
«Ci siete tutti ragazzi?».
Un omone anziano, dalla folta criniera grigia e piccoli occhi neri, guardò dall'alto dei suoi tre metri la piazzola della stazione.
Vide che nessuno era rimasto indietro, quindi si presentò. «Io mi chiamo Rubeus Hagrid, custode delle chiavi e dei luoghi di Hogwarts. Arriviamo nella scuola passando per il lago, quindi seguite la luce così non vi perdete».
Uscirono dalla stazione e in fila indiana percorsero un lungo e stretto viottolo cementato. 
Nessuno riusciva a proferire parola, ma un eccitato mormorio si diffuse quando raggiunsero la riva di un grande lago. 
Le acque, nere come il cielo puntellato di stelle, rispecchiavano la luna argentata.
Il castello si ergeva sul promontorio della sponda opposta, con tanti torri e torrette dalle cui finestre provenivano le calde luci dell'interno. 
«È tutto vero», mormorò Marius. 
Una flotta di piccoli battelli emerse silenziosa dalle acque scure. 
«Bello vero?» Hagrid osservò con fierezza quella che fu la sua casa per tutta la vita. «Non dimenticherete mai questo momento, quindi godetevelo».
Salì su un battello, che quasi sprofondò nel lago prima di tornare a galla reggendo il peso del guardiacaccia.
«Massimo quattro persone per battello! Non spingetevi che se cadete nel lago a quest'ora non so mica se riesco a ripescarvi, ah!». Rise per quella che doveva essere una battuta e che invece finì per inquietare i bambini. 
Marius, Astrid, Ruben e Noah salirono sullo stesso battello e non appena tutti gli studenti trovarono posto, le barche si mossero per conto proprio, seguendo quella di Hagrid alla cui prua fu appesa la lanterna.
«Ragazzi, non vi ho chiesto una cosa».
Nessuno dei tre aprì bocca, ma guardarono Marius in attesa che continuasse a parlare. 
«Harry Potter e i suoi due amici… a che casa appartenevano?».
«Grifondoro… casa dei coraggiosi», rispose Astrid. 
Marius rifletté, cullato dal battello.
«Non so dove finirò, ma spero che ci siate anche voi», disse sereno. 
«Oh beh, anche a me piacerebbe», concordò Noah. 
«Non so se ti potrei sopportare a lungo, parli davvero un sacco», rifletté Ruben. «Ma potrei abituarmici», aggiunse in risposta al suo sguardo di rimprovero. «Forse», terminò, facendo ridacchiare i tre compagni. 
«M-mi sono trovata bene con voi oggi… S-sarebbe bello, sì. E poi Wizzy non è male», affermò Astrid imbarazzata e pensierosa. 
Nel frattempo fiancheggiarono la costa, superando numerosi anfratti che collisero in un tunnel sempre più oscuro. 
Ebbero la sensazione di trovarsi sotto la superficie del castello e infatti le barche terminarono la corsa arenandosi sulla riva interna di una grotta. 
Scendendo dal battello Astrid scivolò sulla fanghiglia, ma evitò la caduta reggendosi al braccio di Ruben. 
«Attenta Wizzy, qui è facile scivolare», le disse aiutandola a rimettersi in equilibrio. 
«G-grazie. E scusami».
Una bambina lentigginosa dai capelli ricci e scuri osservò tutta la scena poco distante da loro, ridacchiando. 
«Attenta che se schiacci qualcuno ci rimette pure la bacchetta, Wizzy», le disse riferendosi al peso e superandoli.
Astrid abbassò lo sguardo, mentre Marius non se la tenne. «Grande! Tra le ore spese a contarti le lentiggini riesci anche a trovare il tempo di studiare queste battute?».
Noah e Ruben risero, mentre la bambina lo fulminò con lo sguardo e Astrid, sorridendo imbarazzata, avanzò trascinandosi dietro i tre compagni. «Dai, andiamo o resteremo indietro». Noah comunque si premurò di salutarla facendole una pernacchia. 
Hagrid li guidò su una ripida scala in pietra e tornati all'aperto si trovarono sul lato destro della scuola. 
Un breve viottolo sterrato, e il grande portone in quercia di Hogwarts si presentò ai loro occhi accesi di impazienza. 
Si aprì e un uomo affascinante, dai capelli e occhi scuri con una barbetta incolta, li raggiunse, sorridendo al guardiacaccia. 
«Ecco gli studenti del primo anno professore».
«Grazie, Hagrid. Da qui in poi li guiderò io, tu raggiungi pure il corpo insegnante». 
Marius lo riconobbe subito: era il mago che venne a trovarlo meno di un anno prima e lo trascinò in quel mondo impensabile. 
Con voce forte e chiara ordinò ai bambini di seguirlo e li condusse finalmente all'interno del castello. 
La sala d'ingresso poteva ospitare molte altre persone tanto era grande. Numerose torce appese alle pareti di pietra la illuminavano ardentemente, ma nonostante ciò i bambini riuscirono a malapena ad individuare l'alto soffitto. Alla loro destra sentivano il brusio degli altri studenti che li attendevano per la cerimonia di Smistamento. 
Il professore lasciò che si godessero quel momento, ma al terzo scalino in marmo si schiarì la voce per richiamare l'attenzione su di sé.
«Benvenuti, io sono il Professor Alexander Lance, Vice Preside della scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts». Marius all'epoca del loro primo incontro non aveva idea che fosse una figura così importante e adesso sperò con tutto se stesso di avergli fatto una bella impressione. Essergli antipatico poteva risultare una pessima idea. 
«Vi sto per condurre nella Sala Grande, dove avrà luogo il tradizionale banchetto di inizio anno. Ma prima di ciò verrete smistati in uno delle quattro nobili case di Hogwarts: Grifondoro, Serpeverde, Tassorosso e Corvonero.
È una cerimonia molto importante, perché è con i compagni di dormitorio che trascorrerete la maggior parte del vostro tempo. Saranno la vostra famiglia. 
Da ogni casa sono nati nobili maghi e potenti streghe, quindi siate orgogliosi ovunque andiate. 
Nel corso dell'anno vi verranno assegnati punti per ogni apporto positivo alle lezioni e detratti per ogni infrazione. La casa che a giugno avrà totalizzato più punti verrà dichiarata vincitrice della Coppa delle Case, il traguardo più importante a cui ambire. Impegnatevi al massimo per voi stessi e per la vostra casa. 
E adesso, andiamo».
Sfoggiò un sorriso sghembo e la porta della Sala Grande si spalancò. 
Tutti gli studenti erano disposti in quattro lunghe tavolate imbandite di gustose leccornie e applaudirono al loro ingresso. 
Mentre il Professor Lance li guidò fino alla quinta tavola, perpendicolare alle altre e ospite del corpo insegnanti, numerosi fantasmi -Fantasmi?! sussurrò Marius- si lanciarono in teatrali urla percorrendo in volo tutta la Sala Grande, dal pavimento di pietra fino al cielo scuro e sereno che si estendeva al posto del soffitto. 
Si fermarono su segnale del professore, che invece raggiunse uno sgabello di legno su cui poggiava un logoro cappello dall'aspetto molto stregonesco. 
«Questo è il Cappello Parlante. Sarà lui a smistarvi in una delle quattro case. Quando farò il vostro nome verrete qui e lo indosserete. Tutto chiaro?».
I bambini annuirono ansiosi. 
«Bene, ma prima…». Fece un passo indietro e una cucitura del cappello si strappò a mo' di bocca, cantando:

 

Nel mezzo del cammin di mia vita 
un incanto mi diede voce
una bocca mi fu cucita  
e a smistare iniziai precoce

Dove vi manderò miei giovani menti? 
Tra gli astuti e gli ambiziosi, culla di serpenti? 
O a superare ostacoli con il duro lavoro

come i tassorosso che non bramano l'oro? 
Oppure nei Corvonero artisti creativi
molto logici e poco emotivi? 
Se invece avete coraggio e un gran cuore
tra i grifondoro starete bene tutte le ore

Ragazzi miei io non sono che un cappello parlante
e sono le vostre scelte a rendere la vita brillante
 

Tutti gli studenti gli applaudirono e il cappello accennò un inchino con la sua punta. 
Nel frattempo il Professor Lance prese un rotolo di pergamena e tornò al fianco dello sgabello.
«Adesso possiamo cominciare». Si schiarì la voce e lesse il primo nome. «Allen Marius».
Doveva sospettare di essere uno dei primi ad essere chiamato se andavano in ordine alfabetico. Convenne che perlomeno si sarebbe tolto subito il pensiero. 
Gettò un ultimo sguardo ad Astrid, Ruben e Noah e si sedette sullo sgabello, con il cuore che gli martellava in gola.
Il Professor Lance gli posò il cappello in testa.
«Oh, interessante… Sei il primo Allen che smisto… vediamo, dove potrei collocati?». Se voleva tenere per sé che fosse un nato babbano, adesso era di dominio pubblico e un crescente fastidio si fece strada in lui. «Leggo dell'ambizione, non c'è dubbio. E scaltrezza, anche. Mmm… Mi sembri un Serpeverde perfetto!».
Dalla tavola con gli stendardi verde e argento ci furono ovazione e applausi, quindi Marius scese dallo sgabello riguardando ancora una volta i tre compagni, speranzoso, prima di raggiungere gli altri serpeverde. 
Noah guardò Ruben, dubbioso.
«Onestamente non lo avrei mai pensato serpeverde… », disse a bassa voce. «Cioè mi sembrava un tipo apposto».
«Magari perché anche tu sei un serpeverde», gli rispose il corvino, ma anche lui sembrava perplesso. Astrid si limitò ad ascoltare, mentre altri studenti venivano smistati. 
Giunti alle lettera C, fu chiamato Castelli Ruben.
«Vado», sibilò, e si sedette sullo sgabello. 
Non appena il cappello sfiorò i suoi capelli scuri, annunciò a gran voce «Corvonero!».
Noah sbuffò. Non si sentiva abbastanza intelligente per i corvonero e tanto meno voleva la brutta fama di un serpeverde. 
Ruben si sedette al suo tavolo, incrociando lo sguardo dispiaciuto di Marius. Anche lui lo era e alzò le spallucce per dirgli "è andata così". 
Alla lettera H fu chiamata Hughes Emilia, la bambina con cui ebbero da ridire nella grotta. Raggiunse lo sgabello con fredda disinvoltura e, come per Ruben, non appena il cappello parlante le sfiorò la fronte, ci fu subito il responso: «Serpeverde!».
Raggiunse Marius, ma nessuno dei due guardò l'altro.
«Ecco, lei si che è una vera serpe», disse Noah ad Astrid sotto voce. «Marius invece… non è che dopo mille anni e passa il cappello ha perso qualche rotella? Sarebbe normale, pure io impazzirei a fare questo lavoro».
Astrid ridacchiò. «Dai, magari uno di noi due finisce con loro. O noi due insieme. Meglio di niente, no?».
«Meglio di niente», convenne il cespuglioso. 
Alla fine rimasero soltanto quattro bambini, ed era il momento della lettera W. 
Il primo ad essere chiamato fu Webb Noah che trattenendo il fiato indossò il cappello. 
«Mmm noto che hai già dei legami e vorresti raggiungerli…» Se non ti dispiace, pensò il ragazzino. «Penso proprio che tu sia più adatto a Tassorosso!».
«Ti dispiace», sentenziò con un filo di voce raggiungendo i suoi nuovi compagni di dormitorio. 
Nel farlo Incrociò lo sguardo con Astrid, dandosi il cambio per lo sgabello. 
«Oh, Wizzabeth. Ricordo chiaramente tuo padre, un buon Tassorosso». Rimase più di mezzo minuto in silenzio, ma ad Astrid le sembrò molto di più. Poi lo sentì sospirare come avesse fatto un grande sforzo e annunciò trionfante «Grifondoro!».
La bambina, incredula, scese lentamente dallo sgabello. Lei una Grifondoro? Sul serio? Si sarebbe vista bene nei Tassorosso, come suo padre. Persino nei Corvonero, ma mai avrebbe potuto immaginare di essere una Grifondoro.
Dopo questo primo pensiero, il secondo fu rivolto ai suoi tre compagni di viaggio. Alla fine, nonostante lo desiderassero, erano stati smistati ognuno in una casa diversa. 
Li cercò con lo sguardo, ma tutti e tre erano stati catturati dalle attenzioni dei compagni più grandi e la stessa sorte sembrava aspettare anche lei. Un ragazzo castano con la spilla da Prefetto puntata al petto si presentò come Maxwell Harper e le diede una calorosa pacca sulle spalle offrendole il suo aiuto per qualsiasi dubbio o difficoltà. 
Terminato lo smistamento, il Professor Lance portò via il Cappello Parlante e dal tavolo degli insegnanti si alzò il mago seduto al centro.
Era alto, brizzolato e dalle spalle larghe. Si sistemò dove fino ad un momento prima c'era lo sgabello, affinché tutti poterono osservarlo attentamente. Indossava dei vecchi stivali in cuoio e un pantalone scuro a cui teneva legato un pratico fodero per la bacchetta. Si trovava all'altezza giusta per essere sfoderata rapidamente e senza impicci. 
La camicia era di un bianco sporco, con le maniche arrotolate fin sotto i gomiti e il gilet si intonava ai pantaloni. 
Marius pensò che aveva l'aspetto meno magico di tutti lì dentro, ma di sicuro faceva la sua figura. Dava l'idea di un uomo pronto a lanciarsi in un duello in qualsiasi momento, e la fantasia del bambino volò lontana, immaginando l'arrivo di un drago proprio in mezzo a quella sala e lo stregone affrontarlo a colpi di Magia, schivando lunghe lingue di fuoco. 
La sua voce, forte e profonda, lo riportò alla realtà.
«Per gli studenti del primo anno, io sono Baron Leonidas Archibald Gray, Preside di Hogwarts. Vi invito ad ascoltare i vostri professori e ad impegnarvi ogni giorno. Inoltre l'accesso alla Foresta Proibita è ovviamente… proibito». 
Guardava le quattro tavolate, calamitando su di sé l'attenzione di tutti gli studenti. 
«Per chi deve affrontare i G.U.F.O. e i M.A.G.O. è inutile che vi ricordi quanto è importante che superiate questi esami per il vostro futuro. Dateci dentro. 
E per tutti: abbuffatevi».
E a quel via libera si consumò una strage di cotolette, cosce di pollo, pasta al pomodoro, zuppe, mele caramellate, budino e tante altre leccornie, rendendosi conto soltanto adesso di quanto stavano morendo di fame.

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Capitolo 2
*** Un giorno da Serpeverde ***


Wizarding World

The Hippogriff Club

-Primo Arco-
 

Capitolo 2

Un giorno da Serpeverde

 

Marius aprì gli occhi temendo di trovarsi nella sua cameretta, a Londra, ma mettendo a fuoco le tende color smeraldo del letto a baldacchino, ebbe la conferma di non essersi sognato nulla: si trovava per davvero ad Hogwarts. 
La sera precedente seguì insieme agli altri serpeverde il suo Prefetto, James Turner, nei sotterranei del castello. 
Per un breve e ridicolo momento credette che lo stessero accompagnando al battello per rimandarlo a casa, ma giunti in un corridoio poco illuminato, si fermarono all'altezza di due statue a forma di serpente. 
«Mamba Nero», annunciò chiaro e forte James.
Le due statue, sibilando, attivarono un meccanismo all'interno del muro di pietra, e la parete tra i serpenti iniziò a ruotare lentamente, permettendo agli studenti di entrare nella Sala Comune dei Serpeverde.
E «Che sala», sussurrò Marius. 
Riscaldata dal fuoco di un possente camino, era illuminata da una tenue luce verdastra che le donava un'atmosfera molto misteriosa e affascinante.
Un grande e lussuoso tavolo in legno era sistemato proprio al centro della sala, sopra un tappeto finemente ricamato con i colori della casa.
Sparse per tutta la stanza c'erano divanetti in pelle nera e numerosi teschi giallastri che facevano da portacandele. 
Un'intera parete ospitava una libreria ricca di titoli su Merlino, Alchimia, Incantesimi e maghi famosi, ma l'aspetto migliore era la veduta: dalle spesse finestre si vedevano le profondità del grande Lago Nero di Hogwarts. 
Marius poté giurare di aver intravisto qualcosa muoversi nell'oscurità verdastra dell'acqua, e James gli disse di darci spesso un'occhiata, ridacchiando.
Le lancette dell'orologio segnavano ancora le sei del mattino, le lezioni sarebbero iniziate soltanto due ore più tardi, ma non avendo più sonno, riprese in mano la lettera che la sera precedente trovò sul cuscino. 
James gli aveva spiegato che si trattava di una missiva di benvenuto per i nuovi arrivati, lasciata in eredità dal miglior Prefetto degli ultimi anni. 
Marius l'aveva già aperta, ma le numerose informazioni che conteneva, meritavano un attenzione che la stanchezza del viaggio non gli permetteva di darle, quindi l'aveva riposta sul comodino accanto al letto, rimandando la lettura. 

 

Complimenti! Sono il prefetto Gemma Farley e ho il piacere di darti il benvenuto nella CASA DI SERPEVERDE. Il nostro simbolo è il serpente, la più saggia delle creature. I nostri colori sono il verde smeraldo e l’argento, e la nostra sala comune si trova dietro a un’entrata nascosta nei sotterranei. Come vedrai, la finestra della sala dà sulle profondità del lago di Hogwarts. Spesso vediamo il calamaro gigante scivolare tra le acque, così come altre creature ancora più fantastiche. Ci piace avere la sensazione che il nostro ritrovo abituale sia avvolto da un’aura di mistero, come un relitto in fondo al mare.

Ci sono però alcune cose che devi sapere sui Serpeverde, e altre che devi dimenticare.

Innanzitutto, sfatiamo alcuni miti. Potresti aver sentito dire che noi Serpeverde nutriamo un profondo interesse per le Arti Oscure, che ti rivolgiamo la parola solo se il tuo bisnonno era un mago famoso e altre sciocchezze del genere. Bene, non credere mai a quello che senti dire dalle Case concorrenti. Non sto certo negando che abbiamo sfornato la nostra quota di Maghi Oscuri, ma lo stesso hanno fatto anche le altre tre Case, solo che non vogliono ammetterlo. Ed è vero che per tradizione abbiamo sempre cercato di avere tra noi studenti che provenissero da lunghe generazioni di streghe e maghi, ma oggigiorno tra i Serpeverde puoi trovare molti ragazzi che hanno almeno un genitore Babbano.

Ora ti svelo una cosa che non tutti sanno e che le altre tre Case tendono a non sottolineare: Merlino era un Serpeverde. Sì, proprio Merlino, il più grande mago della storia! Ha imparato tutto quello che sapeva proprio in questa Casa! Vuoi seguire le orme di Merlino? O preferisci sederti alla vecchia scrivania di Eglantine Puffett, illustre ex-Tassorosso inventore del Panno Auto-Saponante?

Non credo proprio.

Ad ogni modo, ora basta parlare di quello che non siamo. Parliamo invece di cosa siamo, ossia la Casa migliore e più intelligente della scuola. Noi giochiamo per vincere, perché a noi stanno a cuore l’onore e le tradizioni di Serpeverde.

Siamo rispettati dai nostri studenti. È vero, parte di questo rispetto potrebbe essere dovuto a un po’ di timore, a causa della nostra “oscura” reputazione, ma sai una cosa? Può essere divertente avere la reputazione di quelli che amano prendersi dei rischi. Fai credere agli altri che puoi avvalerti di un gran numero di maledizioni e vedremo se poi qualcuno osa rubarti l'astuccio!

Ma non siamo persone cattive. Siamo come il nostro simbolo, il serpente: eleganti, potenti e spesso incompresi.

Ad esempio, noi Serpeverde sappiamo badare a noi stessi, cosa che non si può dire dei Corvonero. A parte l’essere il più grande gruppo di secchioni che tu abbia mai incontrato, quelli di Corvonero sono famosi per l’abilità a scavalcarsi l’un l’altro per ottenere i voti migliori, mentre noi Serpeverde siamo come fratelli. I corridoi di Hogwarts possono nascondere sorprese per gli sprovveduti, e quindi sarai felice di avere i Serpenti che si muovono al tuo fianco quando ti avventurerai per la scuola. Per quanto ci riguarda, quando anche tu sarai diventato un serpente, sarai uno dei nostri, uno dell’élite.

Sai cosa cercava Salazar Serpeverde nei suoi studenti? I semi della grandezza. Sei stato/a scelto/a per appartenere a questa Casa perché hai le potenzialità per diventare un grande, nel vero senso della parola. Dunque, potresti vedere un paio di persone girovagare per la sala comune e pensare che non siano destinate a niente di speciale. Bene, tienitelo per te. Se il Cappello Parlante li ha smistati qui, c’è qualcosa di grande in loro, non dimenticarlo.

Se vogliamo invece parlare di persone che non sono destinate alla grandezza, non ti ho ancora citato i Grifondoro. Un sacco di gente dice che Serpeverde e Grifondoro rappresentano le due facce della stessa medaglia. Personalmente, credo che i Grifondoro non siano altro che aspiranti Serpeverde. Attenzione però, alcuni dicono che Salazar Serpeverde e Godric Grifondoro apprezzavano lo stesso tipo di studenti, e quindi forse siamo più simili di quanto pensiamo. Questo non significa comunque che andiamo d’accordo con i Grifondoro. A loro piace batterci solo un po’ meno di quanto a noi piaccia battere loro.

Ci sono ancora un paio di cose che devi sapere. Il fantasma della nostra Casa è il Barone Sanguinario. Se lo prendi per il verso giusto, potrebbe anche accettare di spaventare qualcuno per te. Ma non domandargli come si è macchiato di sangue, non gli piace sentirselo chiedere.

La parola d'ordine per accedere alla sala comune cambia ogni due settimane. Ricordati di guardare la bacheca degli avvisi. Non portare mai nessuno delle altre Case nella nostra sala comune e non rivelare loro la parola d'ordine. Nessun estraneo vi è mai entrato da più di settecento anni.

Bene, credo sia tutto per il momento. Sono sicuro che i nostri dormitori ti piaceranno. Dormiamo in antichi letti a baldacchino con tende in seta verde e copriletti ricamati con filo argentato. Arazzi medievali che raffigurano le avventure dei Serpeverde celebri coprono le pareti e lanterne d'argento pendono dai soffitti. Dormirai bene; di notte è molto rilassante sentire il rumore dell’acqua del lago sbattere dolcemente contro le finestre.

 

Sì, di sicuro aveva dormito bene, anche se Timon Scott fece di tutto per tenerlo sveglio: non lo aveva ancora sentito parlare, ma russare sì, e anche tanto. 
Si sedette accanto alla finestra per guardare il fondo del lago, visibile soltanto dalle stanze da letto, e metabolizzò le parole di Farley. 
Quindi era davvero destinato alla grandezza? Lui che non sapeva niente di quel mondo ed era nato da genitori non magici? 
A quel pensiero provò il feroce impulso di mettersi sotto con lo studio, e la mente volò rapida tra la libreria della Sala Comune e i libri di testo scolastici. 
Corse ad aprire il baule ai piedi del letto ed estrasse la pergamena con l'orario delle lezioni che gli diedero la sera precedente. 
Alla prima ora aveva Incantesimi, perciò prese Manuale degli Incantesimi Vol. 1, di Miranda Gadula, e salì due scalini alla volta la scala a chiocciola, raggiungendo la luce verdastra della Sala Comune.
Qui trovò Emilia, acciambellata su una poltrona e assorta nella lettura dello stesso libro. Evidentemente avevano avuto la medesima idea, anche se la bambina indossava già la divisa e probabilmente era sveglia da almeno un'ora. 
Per un attimo alzò lo sguardo dal libro, posandolo su Marius, che era rimasto immobile sull'ultimo scalino. 
Il bambino valutò se salutare o meno, ma l'unico ricordo che aveva di lei non era per niente piacevole e poiché lei sembrava del suo stesso parere, sprofondò sul divanetto più vicino, aprendo il manuale. 
«Bel pigiama. Ora sì, che sembri un vero mago con tutte quelle stelline».
Il bambino sospirò e richiuse il libro, guardandola.
«Ascolta, siamo partiti con il piede sbagliato, ok? Che ne dici di ricominciare?».
Emilia alzò nuovamente il naso dal testo. «D'altronde saremo compagni di dormitorio per tanto tempo, no? Io sono Marius, piacere di conoscerti».
Attese qualche lungo secondo, guardandola nei grandi occhi verdi. 
Sembrava stesse valutando sinceramente, poi sospirò. 
«Se mai vorrò fare amicizia con un nato babbano ti chiamerò», rispose secca.
Marius decise in quell'immediato istante che non le avrebbe dato una seconda possibilità, né ora né mai. 
Aprì il volume uno degli Incantesimi e si dedicò allo studio. 

… 

James glielo aveva detto: Alle scale piace cambiare, ma non pensava così spesso. 
Dal primo piano si ritrovarono al quarto, poi al secondo e di nuovo al primo, passando dal lato destro a quello sinistro della scuola un paio di volte. 
«Oh andiamo, faremo tardi per la lezione!», sbottò Marius verso le scale, e Timon non poté che concordare, frustrato. 
Si era presentato ufficialmente a colazione, nella Sala Grande, con voce così piatta da stupire Marius, che finì per chiedersi come fosse possibile che invece di notte ronfasse con tutte e sette le note musicali, fa diesis compreso. 
«Marius! Siamo qui!». 
A chiamarlo fu Noah, sbracciandosi dal fondo del corridoio per farsi notare. 
Marius afferrò Timon dal gomito, rimasto a fissare quel groviglio di scale con sguardo perplesso, trascinandolo verso il Tassorosso. 
Era accompagnato da due del primo anno e da uno studente ben più alto, castano e dai lineamenti morbidi. 
«Simpatiche, vero?», disse Noah indicando le scale. 
«Stavamo solo facendo un po' di esercizio mattutino», rispose Marius ridacchiando con lui.
Lo studente del sesto anno inarcò il sopracciglio, guardandoli. Poi rilassò il volto, sfoggiando un sorriso malinconico. 
«Capirete presto come muovervi, è solo una questione di abitudine». Una scala proveniente dal terzo piano finalmente si allineò al pavimento di pietra dove si trovavano. 
«Anche se una volta», abbozzò ad un sorriso, «un Grifondoro del primo anno cercò per tutto il giorno di raggiungere il suo dormitorio senza riuscirci», rifletté, salendo le scale con il gruppo. «Ed era quasi la fine dell'anno», aggiunse mesto. «I Serpeverde non glielo fecero dimenticare per tutti i sei anni successivi», concluse, guardando Marius e Timon che lottavano per non ridere, mentre Noah sghignazzava senza problemi. 
«Ragazzi!». James lì raggiunse con passo veloce. «Tutto apposto?», disse dando una pacca sulle spalle a Timon. 
«Oh sì, non riuscivamo a prendere la scala giusta, ma ci hanno accompagnato», spiegò Marius. 
«Ah, bene. Menomale che c'era Brown», disse sarcastico guardandolo negli occhi, e il bambino ebbe la sensazione che non scorresse buon sangue tra loro. 
«Prego, Turner», sibilò tra i denti, e senza indugiare oltre il Prefetto di Tassorosso si allontanò. 
«Beh, comunque ora è meglio che andiate o farete tardi a lezione». E anche lui si incamminò in corridoio, mentre i cinque primini si affrettarono verso l'aula di Incantesimi. 
Per fortuna la lezione non era ancora iniziata e gli studenti stavano prendendo posto in quattro grandi scrivanie, costruite a scala nei due lati della classe. Grifondoro e Serpeverde in basso, una di fronte all'altro, e Tassorosso e Corvonero in alto. 
Marius notò subito Hughes seduta in fondo, ancora immersa nella lettura, quindi si sedette al primo posto, quello più vicino all'ingresso. 
«C'è Emilia laggiù», gli suggerì Timon, atono.
«Non mi sta molto simpatica, preferisco restare qua», spiegò Marius, prendendo il volume uno di Incantesimi. 
Timon fece le spallucce, e si sedette accanto al compagno giusto in tempo per l'arrivo del professore.
«Benvenuti, miei cari ragazzi!», esclamò entusiasta.
Alto e di mezza età, indossava un cilindro viola che posò sulla sua scrivania al centro dell'aula, mostrando una crescente pelata incorniciata da capelli grigi. 
Con un tocco di bacchetta le tapparelle si alzarono, scoprendo due alte finestre e permettendo al sole di illuminare l'aula.
Si schiarì la voce benché non ce né fosse bisogno -erano già tutti attenti ed emozionati- e cominciò la lezione.
«Mi presento: io sono il Professor Icarus Lux, direttore di Corvonero, e vi seguirò in questo corso di Incantesimi».
Mentre spiegava, un gessetto bianco scriveva le parole chiavi sulla lavagna alle sue spalle. 
«È bene chiarire che Incantesimi è la materia più importante per un mago. Senza una sua buona conoscenza sarà difficile avanzare negli altri corsi». 
Percorreva l'aula a grandi passi, osservando gli studenti prima alla sua destra e poi quelli alla sua sinistra. 
«Per eseguire efficacemente un incantesimo, elementare o complesso che sia, dovrete pronunciare correttamente la formula magica. Basta anche solo una lettera o un accento errato per stravolgere l'incantesimo e ritrovarsi circondati da schiopodi sparacoda». Alcuni studenti sbiancarono, convincendo Marius che forse era un bene in quel momento non sapere cosa fossero. «Se tutto va bene», aggiunse inoltre a bassa voce, ma con tutta l'intenzione di farsi sentire. 
«La formula da sola però non è sufficiente. Mentre la pronunciate, dovete visualizzare nella mente la magia che volete compiere». Li guardava con fervore, desideroso che comprendessero. 
«È la vostra forza di volontà il motore della magia: dovete pensare con tutto voi stessi di compiere l'incantesimo. Un pensiero viscerale che diventa azione. Questa è la magia».
Marius, entusiasta, cercò uno sguardo di intesa con Noah, ma lo colse a bisbigliare nervoso ai suoi compagni di dormitorio. 
«Ma prima di ogni altra cosa, è importante che impariate ad usare correttamente questa». Sfoderò la bacchetta, tenendola in alto per farla vedere a tutti. 
«Prendete la vostra, così possiamo fare pratica».
Marius non l'aveva ancora maneggiata, da quando l'aveva acquistata a Diagon Alley: si sentiva un po' ridicolo. Ora però in quell'aula, e in quella scuola, non vedeva l’ora di provarla.
Come gli altri, la estrasse: undici pollici e mezzo, legno di pino e leggermente flessibile, con un pratico manico a cui furono intagliate delle piume.
Gale Olivander, ultimo di una famiglia di abili fabbricanti di bacchette, era euforico quanto un bambino il giorno di Natale. Gli spiegò che usare le penne di ippogrifo come nucleo fu un'idea studiata durante i suoi viaggi per il mondo, e che stava avendo un discreto successo dato che era già il quarto mago che riusciva ad abbinarsi correttamente ad una bacchetta del genere.
E sarebbe stato tutto ancora più entusiasmante se solo gli avesse spiegato anche come era fatto un ippogrifo. 
«Il movimento del polso è fondamentale: nella maggior parte dei casi deve essere breve e deciso, in questo modo». Agitò la bacchetta come se schioccasse una frusta, ma con un gesto meno ampio. «Su, provate voi adesso».
Iniziarono i primi tentativi, con il professore che passava tra gli studenti correggendo gli errori: la posizione del polso, l'ampiezza del movimento, la corretta impugnatura e in alcuni casi persino la posizione del bacino e delle gambe. 
Durante l'ultimo giro e dopo numerosi tentativi, superò Marius con sorriso soddisfatto, diede qualche altro consiglio a due Grifondoro, e tornò alla sua scrivania. 
«Mancano dieci minuti. Voglio che occupiate questo tempo a trascrivere gli appunti sulla lavagna e che li studiate bene, mi raccomando», disse con tono affabile. 
Al termine della lezione si riversarono in corridoio e Marius affiancò Noah, che tenne lo sguardo basso, sospirando. 
«Bella la lezione, vero?», gli chiese con un sorriso a trentadue denti. 
«Sarebbe stata ancora più fantastica se avessimo fatto magia», considerò in aggiunta. «Ma è stata comunque». Il Tassorosso lo interruppe, questa volta alzando lo sguardo sugli occhi grigi del compagno.
«Scusami Marius, ma devo andare a Storia della Magia». 
Affrettò il passo superandolo, seguito dagli altri due Tassorosso, mentre il Serpeverde rallentò, chiedendosi cosa fosse successo. Timon lo raggiunse. 
Noah si voltò un'ultima volta, con uno sguardo sinceramente dispiaciuto. 
«Sbrighiamoci Marius, dobbiamo andare a Trasfigurazione», disse il compagno guardando l'orario. 
«È tra un quarto d'ora no?», gli rispose noncurante, valutando se raggiungere Noah oppure no. 
«Sì, ma è al pian terreno… ». 
Marius sbuffò, alzando gli occhi al cielo: una nuova sfida con le scale stava per avere inizio. 

… 

Il resto delle giornata non fu il massimo. 
Innanzitutto non ebbe più modo di incontrare Noah a lezione: scoprì che gli orari del mercoledì li faceva incrociare solo ad Incantesimi. E non vide nemmeno Ruben e Wizzy per lo stesso motivo. 
Al contrario ebbe Emilia ad ogni corso, e a Trasfigurazione e Storia della Magia fu anche costretto a sedersi accanto a lei. 
Si ritenne fortunato ad avere il Professor Lance come insegnante di Trasfigurazione, in questo modo era più spronato a concentrarsi sulla lezione anziché divagare con i pensieri -che il professore sapeva leggere- su Noah e gli altri.
E calzò a pennello, perché scoprì che se c'era una materia di cui capiva poco o nulla, al momento era proprio Trasfigurazione. 
Il Professor Lance, dopo essersi presentato in quella veste, e anche come direttore dei Serpeverde, lì introdusse al suo corso: «Sicuramente il Professor Lux, di Incantesimi, vi avrà detto o vi dirà che la sua materia è la più importante per un mago. Ed è vero. 
Ma quella più complessa è la mia: se non apprendete al meglio anche solo un passaggio, una nota, una formula, una mia parola, non riuscirete a proseguire. Quindi impegnatevi al massimo». Li osservava uno per uno, con i suoi profondi occhi neri. 
«E pretendo massima serietà. Non tollero scherzi o esperimenti. Qualsiasi tentativo di Trasfigurazione che non sia sotto la mia supervisione o permesso avrà come pena l'espulsione da questa scuola. Intesi?».
Aspettò la risposta degli studenti, che annuirono timorosi, e dopodiché riprese a spiegare la sua materia introducendo concetti come Trasfigurazione umana, trans-specie, lo scambio, la detrasfigurazione, l'evanescenza e un'altra decina di termini che Marius non era sicuro di saper pronunciare. 

Per fortuna si rese conto che anche tutti gli altri fissavano vacui il Professor Lance. Significava che alla fine essere figli di maghi o di babbani non cambiava nulla, erano tutti più o meno allo stesso livello. Inoltre ebbe la forte sensazione che Lance parlasse complicato di proposito, giusto per spaventarli un po' e convincerli ad impegnarsi sul serio. Oltre che magari a divertirsi ad ascoltare le loro preoccupazioni.
Difatti, nel corso della seconda ora spiegò molto più concretamente come trasfigurare un fiammifero in un ago, e non solo esibendo l’incantesimo più volte, ma anche seguendo uno per uno gli studenti nel corso dei numerosi tentativi, esattamente come fece il Professor Lux ad Incantesimi.
Marius, come gli altri, non ci riuscì, pur sforzandosi al massimo: era veramente complesso. 
Perciò fu uno smacco quando Emilia esultò davanti al suo ago. Il Professor Lance fu sinceramente stupito e assegnò dieci meritati punti a Serpeverde, mentre lei guardò dall'alto verso il basso Marius, rosso di invidia quasi quanto i suoi capelli color bronzo. 
Se non altro non aveva polverizzato il suo fiammifero come Stewart McKenzie di Grifondoro.
A pranzo i suoi colleghi Serpeverde provarono a coinvolgerlo nei propri discorsi, domandandogli da dove venisse, chi fossero i suoi genitori e come stava andando il suo primo giorno ad Hogwarts. Tutte conversazioni cadute abbastanza in fretta, perché essere figli di chirurghi non era molto interessante, e a Marius non andava di rendere pubbliche le sue difficoltà in Trasfigurazioni. 
Fece parlare per lo più Timon, a cui si aggiunsero Auberon Lee e Zachary Levin, anch'essi del primo anno e che ebbe modo di conoscere meglio soltanto in quel momento. 
Il primo era di origini cinesi da parte paterna, da cui ereditò degli esotici occhi a mandorla, e spiegò che per poco non sarebbe andato a Mahoutokoro, la scuola di Magia in Giappone. La madre riuscì a convincere suo marito ad iscriverlo ad Hogwarts per motivi linguistici e pratici.  
Levin invece era un bambino di origini scozzesi, corpulento e dalle folte sopracciglia. 
Notò che come lui, anche Emilia se ne stava sulle sue, mentre Agnes Jenkins, una rossa dalla voce ovattata, non faceva altro che raccontarle le sue lezioni di Erbologia e Pozioni nei minimi dettagli. Credette che da un momento all'altro le avrebbe chiuso il becco con qualche commento tagliente, e invece se ne stette buona ad ascoltare i suoi discorsi, mangiando uno sformatino di zucca. 
Parlò solo per raccontare di quando riuscì a trasfigurare il fiammifero in un ago, e di come il Professor Lance si prodigò in numerosi complimenti -dettaglio che Marius non ricordava affatto- assegnandole dei punti, ricevendo così le congratulazioni di tutta la tavolata. 
Sbuffando, Marius si alzò a metà pranzo, avviandosi verso Storia della Magia, al primo piano. 
Qui fu di malumore per quasi tutto il tempo, complice il Professor Ruf -il fantasma che insegnava la materia da quasi un secolo, molto rugoso e con grandi e spessi occhiali da vista-, che si limitava a leggere le avventure di Emeric il maligno dal testo scolastico di Bathilda Bath, con tono assolutamente privo di qualsiasi verve. 
Poteva darsi battaglia con Timon, pensò Marius. Persino i cavalieri e le dame nei quadri appesi alle pareti dell'aula se ne andarono dalle cornici, sbadigliando. 
Per fortuna l'ultima lezione della giornata era Volo, e qui Marius si sentì per la prima volta un vero mago. 
Quando sui prati apparve una donna minuta, ma dal fisico prestante, numerosi studenti mormorarono sorpresi.
«Ma sarà veramente lei? Magari gli somiglia soltanto», sentì sussurrare alle sue spalle. 
L'insegnante si presentò come Milena Cloud e i borbottii si fecero più accesi. Micheal Garret di Corvonero si rivolse nuovamente al suo compagno di dormitorio, di cui Marius non ricordava il nome. «Oh mamma, è veramente lei! L'ex battitrice delle Holidays Harpies!».
Battitrice?, rifletté Marius. Gli parve di ricordare che Noah e Ruben nominarono quella parola quando gli parlarono di Quidditch, quindi doveva essere un ex giocatrice abbastanza famosa.
Emilia, molto distante da lui, pareva estranea alla situazione. Evidentemente anche lei non seguiva lo sport, pensò il serpeverde. 
Non riuscì a fare grandi voli o piroette, ma seguendo le istruzioni della professoressa Cloud, il manico di scopa assegnato ai primini, una comet020, obbedì alla sua volontà balzandogli in mano, e nel giro di un'oretta sorvolò rasoterra il prato esterno di Hogwarts, andando proprio dove voleva lui. Si sentì straordinario.
Un buon risultato considerando che solo la metà degli studenti riuscì a fare altrettanto -tra cui Hughes, purtroppo- e che Garret si fece duecento metri sparato a razzo, finendo intrappolato a gambe all'aria nella chioma di un albero.
Tutto sommato una scena molto divertente per la fine delle lezioni, anche se al bambino costò un paio di ore in infermeria. 
Marius non vide il sole calare poiché preferì fare i compiti assegnati nelle profondità della sua Sala Comune anziché in biblioteca, dove era diretta Emilia. E poi il dolce sbattere delle onde sulle finestre non solo conciliava il sonno, ma lo aiutava anche a concentrarsi meglio. 
I sette rintocchi dell'orologio di Hogwarts lo distrassero dalle formule aritmetiche di Trasfigurazioni, e il brontolio dello stomaco gli fece capire perché.
Timon era appena rientrato con Auberon e Zachary -anche loro preferirono la biblioteca- per posare i libri nei rispettivi bauli e tutti insieme raggiunsero la Sala Grande per cenare. 
Molti Grifondoro arrivarono dopo di loro, tra cui Wizzy, che lo salutò con la mano. 
Ne fu molto contento perché perlomeno lei sembrava non avercela con lui, anche se le due bambine in sua compagnia ostentavano uno sguardo rigido.
Rivolse loro uno sguardo scocciato e cercò Ruben tra i Corvonero. C'erano tutti i primini, meno che lui. 
Nemmeno il tempo di chiedersi dove fosse, che Noah arrivò con un folto gruppo di Tassorosso, e non appena si sedette rivolse uno sguardo ai Serpeverde. 
Marius lo salutò con la mano, ma si limitò ad un cenno educato e un breve sorriso contrito.
Il Serpeverde non ci vide più. 
La pazienza non era la sua principale virtù, quindi si alzò dalla tavolata -i Serpeverde si zittirono all'istante, seguendolo con lo sguardo- e a passo deciso percorse tutta la Sala fino ai Tassorosso, passando proprio davanti all'intero corpo insegnanti, anch'essi perplessi. 
A parte qualche borbottio tra i Grifondoro e i Corvonero, nella Sala piombò un silenzio solenne, rotto nemmeno dal rumore delle posate.
Marius si sedette a cavalcioni sulla panca dei Tassorosso, proprio accanto a Noah che era seduto alla sua estremità. 
«Quindi? Mi vuoi dire cosa succede?».
Il bambino ne rimase sorpreso, poi si guardò intorno.
«Usciamo un secondo, qui ci sono un po' troppi sguardi indiscreti», gli disse Noah, e Marius si accorse solo in quel momento che l'intera scuola lo stava fissando.
Seguendo il compagno fino all'uscita gettò uno sguardo al tavolo degli insegnanti, dove perlomeno il Preside era assente. Aveva infranto qualche regola? Non si era mai chiesto se si potesse sedere ad un tavolo che non fosse della sua casa, ma effettivamente se erano divise, forse era vietato. E adesso l'avrebbero punito, o peggio, espulso. 

Non ebbe il tempo di formulare altri terribili scenari che già stavano uscendo dalla Sala Grande, e sentì esplodere un chiacchiericcio frenetico alle sue spalle, una volta fuori. 
Noah lo guardò dritto negli occhi. 
«Ascolta Marius, non hai fatto nulla di male. E mi dispiace sul serio». 
«Ma allora qual è il problema?», sbottò. 
«I miei compagni… Non vanno molto d'accordo con i tuoi. I serpeverde non hanno mai perso occasione per denigrare i Tassorosso, per questo mi hanno sconsigliato di…». Il suo viso si dipinse nuovamente di mortificazione. «Fare amicizia con te», terminò con un filo di voce.
«Non so cosa gli altri cosa facciano, ma io non potrei mai prendervi in giro!».
«Mi hanno spiegato che tutti all'inizio la pensano così…», disse con un filo di voce. 
Nel petto del bambino montò una rabbia crescente. Credeva davvero che anche lui avrebbe iniziato ad offenderlo? Che lo avrebbe deriso insieme ai suoi amichetti serpeverde? Che sarebbe stata una cattiva compagnia? 
Sì, lo pensa davvero, si rispose. E al culmine della rabbia decise anche di dargli ragione, urlandogli quanto fosse cretino. 
Aprì bocca, ma non uscì fiato.
I sorrisi contriti di Noah, lo sguardo mortificato, quelle spiegazioni così… insensate, ma sincere. 
No, non lo pensava davvero. Glielo avevano detto i suoi compagni Tassorosso, ma lui non ci credeva sul serio. Non di lui, almeno. 
Di certo non poteva pensare che Emilia fosse una santa, per esempio.
Respirò profondamente. 
«E così sia… ci si vede a lezione». E senza voltarsi si allontanò verso la Guferia, nella torre ovest del castello. 
La raggiunse senza perdersi nemmeno una volta, e pensò che forse le scale erano troppo stanche per muoversi ancora. 
L'odore penetrante dei gufi e dei barbagianni lo raggiunse quando ancora stava salendo l'ultima rampa, e si fece più intenso quando aprì il cancello che dava sulla guferia, nonostante tutte le finestre fossero aperte. 
Si guardò in giro, ma un verso più acuto gli fece risparmiare tempo: Nebulosa lo stava chiamando a sé.
La raggiunse sorridendo, e le accarezzò dolcemente la fronte rossiccia.
Il piumaggio bicolore, bianco candido e rosso bronzo come i suoi capelli, lo spinsero a scegliere lei tra i tanti gufi e animali del negozio di Diagon Alley.
«Scusami se non sono passato prima a salutarti, ma è stata una giornata molto intensa». 
Bubolò, godendosi le coccole del padroncino. 
«... E non è andata molto bene. Credo di aver perso un amico».
La finestra era talmente grande che riuscì a sedersi sul davanzale, stendendo le gambe. 
«È vero, in fondo ci conoscevamo solo da due giorni, ma… ». Si concentrò per trovare le parole più adatte. «Con loro, su quel treno, ho provato qualcosa di… strano, ma al tempo stesso naturale. Come se fossimo amici da una vita». 
Guardò il cielo nero puntellato di stelle luminose. 
«Di sicuro starai pensando che sono matto da legare», disse ridacchiando al bubolo di Nebulosa e osservando uno strano uccello volteggiare nei pressi del castello e allontanarsi nel buio della sera. 
«Di sicuro sei un Serpeverde molto strano».
A Marius prese quasi un colpo, rischiando di cadere da oltre cento metri di altezza. 
«Oh perdonami, non volevo spaventarti. Anche se è tra i miei compiti, tecnicamente». 
Dal pavimento della guferia sbucò prima la testa trasparente, poi tutto il corpo, colante di sangue argentato e avvolto da numerose catene.
L'aria si fece gelida e Nebulosa bubolò acuta nella sua direzione. 
«T-tu sei il Barone Sanguinario?»
«Ottimo intuito», convenne sarcastico. 
«Perché dici che sono strano?», disse scendendo dal davanzale e ignorando il suo commento. 
«Che uno studente di una casa si sedesse al tavolo di un'altra, non è comune. Non è molto raro, ma nemmeno comune».
Marius sospirò più leggero, riprendendo colore. Voleva dire che non era vietato, e quindi non sarebbe stato punito. 
«Tante… coppie», disse sforzandosi, «di due case diverse si sono sedute insieme. Oppure fratelli divisi allo smistamento. Anche se sempre per pochi minuti, come buona norma qui ad Hogwarts insegna. Tuttavia...»
Si avvicinò a Marius e gli occhi accesi dei gufi lo seguirono rapidi. 
«... tu sei il primo Serpeverde in mille anni di storia che lo ha fatto. Perché?».
«Se eri qui ad ascoltarmi sai già il motivo», gli rispose Marius, facendogli le spallucce e sedendosi nuovamente sul davanzale, per allontanarsi. 
Il Barone Sanguinario lo osservò attentamente.
«Sono molti i motivi che nel corso della storia hanno spinto i Serpeverde ad isolarsi. La fissazione per il sangue puro tramandato per secoli da generazione in generazione. Il desiderio di grandezza che ci fa credere di essere superiori. Il forte senso di autoconservazione che ci spinge alla sopravvivenza, qualunque costo comporti»
«Non capisco dove vuoi arrivare», ammise sinceramente. 

«Ventotto anni fa, quando Lord Voldemort -che per inciso era un Serpeverde e discendente del nobile Salazar, fondatore della casa- ha preso il controllo del mondo magico, sono molti i maghi che si sono opposti a lui, nell'ultima grande battaglia qui ad Hogwarts. 
Ai Serpeverde fu chiesto di scegliere: combattere il Signore Oscuro insieme alle altre case, per la libertà del nostro mondo, o fuggire. Indovina cosa hanno scelto».
Marius sospirò «... Fuggiti». 
«Furono allontanati dalla battaglia, rinchiusi nelle segrete del Castello. Sembri un bambino intelligente, quindi è inutile che ti dica quanto ciò ha pesantemente influito sui rapporti tra le case».
«Beh, ma ci saranno delle eccezioni, no? Io non voglio isolarmi dalle altre case. Sono un Serpeverde, ok, ma non mi ritengo superiore agli altri, né ho intenzione di prenderli in giro o che ne so io».
«Noi siamo destinati alla grandezza, in un modo o nell'altro. E sono molti i Serpeverde che si sono distinti per azioni di grande nobiltà d'animo, ma imparerai presto che gli uomini tendono a ricordare solo degli errori».
Rimase in silenzio, con lo sguardo perso nel tempo. 
«Ne ho visti molti di bambini pensarla come te, ma presto o tardi cambiano tutti idea. Il pensiero del gruppo e dei genitori influenza tanto. E ancora di più quello delle altre case, che di sicuro non sono invogliati a stringere legami con noi».
Marius guardò fuori dalla finestra a lungo, rimuginando sulle parole del fantasma.
«Beh, ho già parlato troppo, non sono abituato a tenere conversazioni così lunghe. Vado a smuovere le catene sulla Torre di Astronomia», e sparì attraversando il muro. 
«Ehi! Ma a mezzanotte abbiamo la lezione di Astronomia!», urlò il bambino verso la parete, ma non fu sicuro che la sua voce lo raggiunse. 
Sbuffò, e dopo aver salutato Nebulosa, promettendole che sarebbe andata a trovarla il giorno dopo, tornò in sala Comune per scrivere una lettera ai genitori. 
Si sentiva addosso gli occhi dei compagni, ma era troppo orgoglioso per mostrarsi infastidito, perciò si sedette ignorando i bisbigli e incominciò a scrivere, pur fermandosi diverse volte: le parole del Barone Sanguinario continuavano a tormentarlo. 

… 

Verso mezzanotte Marius, Emilia e Timon furono accompagnati dal Professor Lance sulla Torre di Astronomia, dove li affidò a Ioannes Arrow, una donna alta e giunonica, con dieci unghie smaltate in modo diverso e un lungo scialle perlato sulle spalle. 
Sfoggiando un gran sorriso, agguantò il braccio del direttore dei Serpeverde per ringraziarlo, sbattendo le lunghe ciglia con occhi sognanti. 
Lance, imbarazzato, riuscì a liberarsi della presa affermando che fosse tardi e non vedesse l'ora di coricarsi.
Marius non riuscì a trattenere un sorriso, ma il tempo di posizionare il telescopio d'ottone, e vide Astrid con le altre due Grifondoro appresso. 
La bambina, sorridendo e sistemandosi la gonna della divisa, gli si sedette accanto. 
«C-ciao Marius. Finalmente una lezione insieme, vero?», gli disse, mentre lo sguardo del bambino studiò le due Grifondoro venute con lei. Sembravano rigide esattamente come prima, nella Sala Grande. 
«Wizzy… sei sicura che non sia un problema?». Guardò a terra, imbarazzato. 
Lei però sorrise. «Certo che no».
«È che non vorrei se la prendessero con te perché stai fraternizzando con un Serpeverde», le disse alzando gli occhi su quelli color miele di lei. 
Astrid sistemò il suo telescopio e fece le spallucce. 
«Non è stato un Grifondoro a difendermi da…», indicò con lo sguardo Emilia, poco distante. «Ma tu», affermò con semplicità. 
Il bambino sorrise mesto, osservando il manto stellato. 
«Io sono sempre stato appassionato di Astronomia, sai?».
«Davvero? Quindi conosci già delle costellazioni?», chiese elettrizzata. 
«Certo!».
E prima ancora che la Professoressa Arrow potesse incominciare la lezione, Marius le stava già dando molte accenni e curiosità sulle stelle che aveva studiato fin da quando era piccolo. 
Complice il fantastico telescopio acquistato a Diagon Alley, molto più capace di quelli babbani -Marius ipotizzò che avessero una potenza simile a quella del telescopio Hubble-, la lezione filò liscia ed estremamente interessante. 
Ma il merito era soprattutto di quel coraggioso gesto amichevole di Astrid. 
Per questo motivo il giorno successivo, intorno alle dieci del mattino -orario di inizio lezioni per chi la notte precedente fa Astronomia- entrò a Pozioni di buon umore. 
Anche Wizzy, che era già seduta tra le due bambine della sera prima, sembrava serena, ma non poteva dire lo stesso di Noah. 
Cercò di guardarlo senza farsi notare e notò immediatamente l'espressione corrucciata.
Ruben fu l'ultimo a varcare l'ingresso, e sbattè i libri sul banco prima ancora di sedersi, sbuffando. 
Marius pensò che nemmeno per lui il primo giorno doveva essere andato alla grande e gliene dispiacque. 
Tuttavia, nessuno di loro poteva sospettare che quella lezione di Pozioni si sarebbe rivelata fondamentale per gli eventi futuri, che da lì a qualche anno avrebbero sconvolto l'intero mondo magico.

 

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Capitolo 3
*** Un giorno da Corvonero ***


Wizarding World

The Hippogriff Club

-Primo Arco-
 

Capitolo 3

Un giorno da Corvonero


Al termine del lauto banchetto di inizio anno, tutti gli studenti ad eccezione dei primini tornarono nei propri dormitori. 
Il giorno dopo sarebbero cominciate le lezioni e affrontarle con poche ore di sonno alle spalle non era una buona idea. 
Ruben seguì con lo sguardo il suo Prefetto Olivia Stone fino al corpo insegnanti. 
Era una ragazza del quinto anno molto carina, con capelli scuri a caschetto che incorniciavano dei grandi occhi castani e un nasino alla francese. 
Ebbe un breve colloquio con il Professor Lux, direttore della casa Corvonero, e tornando alla tavolata li superò con passo deciso. 
«Seguitemi, forza!».
Anche il tono non lasciava segni di tentennamento, e tutti i primini scattarono in piedi affrettandosi dietro di lei.
«Mi ripresento: sono Olivia Stone, Prefetto di Corvonero. Mi congratulo nuovamente con voi per essere stati smistati nella casa migliore di Hogwarts, spero possiate dare lustro alla nostra gloriosa storia».
Svoltò imboccando un corridoio lungo e stretto. 
«Il nostro dormitorio è modestamente il migliore dei quattro. Si trova nella torre più alta, quindi godiamo di una vista meravigliosa, vedrete!».
Sorrise al gruppo, guidandoli su una lunga scalinata a chiocciola. 
«Dovete sapere che le altre case devono utilizzare una parola d'ordine per entrare nei propri dormitori. Ma noi non ne abbiamo bisogno», affermò elettrizzata. «E nessuno estraneo è mai riuscito ad entrare. Abbiamo un sistema di sicurezza parecchio… ingegnoso».
I bambini si guardarono incuriositi ed emozionati, ad eccezione di Ruben la cui attenzione era rivolta alle nobili dame e valorosi cavalieri ritratti nei dipinti appesi alle pareti. 
Si spostavano da una cornice all'altra chiacchierando del tempo nei loro quadri -come se potesse cambiare, pensò Ruben-, di come il Professor O'Byrne fosse ancora più fuori di melone dell'anno precedente e delle insistenti voci che vedevano la Professoressa Arrow impegnata nella preparazione di un potente filtro d'amore. 
Devo fermarmi a parlare con loro qualche volta, decise il corvino. 
«Ed eccoci arrivati». 
Si ritrovarono su un ampio piazzale della torre, gremito di Corvonero. 
Ruben si affacciò alla finestra, incantato dal panorama. 
La luna sembrava più vicina che mai ed era accompagnata da un luminoso manto stellato. 
Inspirò una fresca boccata d'aria al sapore umido del lago, e si appoggiò al davanzale per godersi il momento. 
Nel mentre gli altri primini si avvicinarono timorosi ai loro compagni più grandi. 
«Non siete ancora riusciti a risolvere l'indovinello?», chiese Olivia, stupita. «Che figura ci facciamo con i nostri nuovi compagni?».
Si rivolse ai bambini. «Come vi avevo accennato, l'aquila sulla porta pone ogni volta un indovinello diverso, e solo una mente brillante come le nostre può trovare la soluzione».
Era un grande batacchio di bronzo a forma di rapace, che smosse le ali come per sgranchirsi le ossa, osservando i nuovi arrivati. 
«Alla nascita sono di tutti, ma fino alla morte pochi mi tengono», gracchiò. 
«Abbiamo già provato con denti e lacrime, ma ce le dà sbagliate!», chiarì un ragazzo del quarto anno, rivolgendosi al suo Prefetto.
Olivia si appoggiò al muro, incrociando le braccia. «Mmm vediamo, vediamo…», sussurrò, pensando al rompicapo.
La mente di Ruben invece vagava oltre i confini britannici. 
Suo fratello Agostino era l'unico motivo per cui pregò sua madre di non mandarlo ad Hogwarts. Ora l'avrebbe rivisto soltanto nei mesi estivi e terminato gli studi, fra sette anni, li avrebbe incominciati lui. Insomma, per ben quattordici anni si sarebbero visti per due mesi all'anno. Che rapporto avrebbero mai potuto creare in queste condizioni? E l'idea di lasciarlo crescere con quell'uomo… 
Per il resto, stare lontano dal suo patrigno era l'evento più auspicabile che gli potesse capitare, anche se significava stare lontano dalla mamma e dal fratellino. 
La stanchezza del viaggio interruppe quei pensieri tormentati facendolo sbadigliare, perciò raggiunse i compagni che si scambiavano idee sulla possibile risposta. 
«L'innocenza», disse chiaro e forte al rapace. 
Questo sbatté le ali di bronzo, e complimentandosi con il bambino, aprì la porta in quercia. 
Tutti i primini rimasero sbigottiti, mentre gli studenti più grandi ne furono impressionati. Olivia seguì il ragazzo all'interno del dormitorio inarcando un sopracciglio, e fu seguita a sua volta da tutti gli altri.
La Sala Comune si mostrò a Ruben così spaziosa che serviva ben più di un'occhiata per coglierne tutti i dettagli. 
A saltare subito agli occhi fu una statua di marmo bianco scrupolosamente lavorata nei minimi dettagli. Rappresentava una donna dal piglio sicuro e con un elegante diadema tra i capelli. 
«Lei è Corinna Corvonero, la fondatrice della nostra casa. Si dice fosse la strega più intelligente della sua epoca», spiegò Olivia ai bambini, con tono vivace. «Dovete sapere che è stata lei a progettare le scale di Hogwarts. Oh, a proposito, a loro piace cambiare».
I bambini si guardarono interrogativi. Michael Garret, alto quanto un tredicenne e grosso quanto un barile, chiese con voce cicciona cosa intendesse dire. «Domani lo scoprirete-, rispose Olivia, tentando di destare la loro curiosità. «E sono sicura ne resterete affascinati. Io ho passato la prima settimana a studiare i loro movimenti finché non ho intuito lo schema», aggiunse. «Anche se ancora adesso ogni tanto mi stupiscono con qualche bizzarro cambio», soppesò. 
La lussuosa moquette blu trapuntata di stelle era replicata sull'alto soffitto della torre, da cui scendevano lampadari di cristalli azzurri e lucenti. 
Oltre alle stracolme librerie sistemate tra le grandi finestre ad arco, pile di libri erano stipati in ogni possibile anfratto. 
«Di qua si raggiunge il dormitorio maschile, da quest'altra parte quello femminile», spiegò Olivia indicando prima una porta nera a destra e poi quella a sinistra.
«Vi ricordo infine che domani mattina le lezioni cominciano alle otto, quindi ci si vede alle sette in Sala Grande per la colazione.
Sui vostri letti troverete l'orario delle lezioni e la lettera di Benvenuto scritta dal nostro miglior Prefetto degli ultimi anni. E adesso a nanna, su», terminò, congendandoli con un cenno della mano. 
Ruben seguì gli altri maschietti verso il proprio dormitorio, gettando un ultimo sguardo alla Sala Comune.
Lì trovò due occhi neri come la notte fissarlo intensamente. 
Appartenevano ad una minuta bambina dai capelli scurissimi e tratti orientali, la quale, senza smettere di fissarlo, gli sorrise.
Lui ricambiò con un cortese cenno della testa, ma distolse subito lo sguardo varcando l'ingresso del dormitorio. 
Felix Gunter, un ragazzino piuttosto alto, ma con grandi orecchie a sventola, sarebbe stato un suo compagno di stanza, mentre il terzo letto a baldacchino, quello più vicino alla finestra ad arco, era già stato conquistato da Garret.
Benché Ruben fosse più interessato a leggere il suo orario, lo coinvolsero nei loro commenti minuto per minuto della serata, da quando scesero dall'Espresso fino allo smistamento e alla cena. 
Le prime due ore aveva Erbologia, lesse Ruben, poi Difesa contro le Arti Oscure, Volo e infine Incantesimi. 
«Tu sei stato grande! Come ci sei arrivato ad "innocenza"?», gli chiese Garret. 
«Ho solo avuto un colpo di fortuna», rispose il corvino, mettendo a posto l'orario e infilandosi la maglia del pigiama. 
«Beh fortuna o no, dovevi vedere come rosicavano gli studenti più grandi!», concluse ammaliato Felix. 
«Spero di essere intelligente quanto te… onestamente non so se il Cappello Parlante mi ha messo nella casa giusta», aggiunse mesto. 
«Per forza! Lui non sbaglia mica», chiarì Garret buttandosi sul letto -che scricchiolò pericolosamente- dopo un vistoso sbadiglio. 
«Speriamo». 
Ruben nel frattempo aprì la lettera di benvenuto e la lesse. 
 

Complimenti! Sono il prefetto Robert Hilliard e ho il piacere di darti il benvenuto nella Casa di Corvonero. Il nostro simbolo è l'aquila che vola in alto dove altri non possono arrivare. I nostri colori sono il blu e il bronzo e la nostra sala comune si trova sulla sommità della Torre di Corvonero, dietro una porta con un batacchio incantato. Le finestre ad arco disposte lungo i muri della nostra sala comune di forma circolare dominano il comprensorio della scuola: la Foresta Proibita, il campo di Quidditch e i giardini di Erbologia. Nessun'altra Casa della scuola ha una vista così spettacolare.

Senza vantarsi troppo, questa è la Casa in cui vivono le streghe e i maghi più intelligenti. Il nostro fondatore, Corinna Corvonero, amava lo studio più di ogni altra cosa, ed è così anche per noi. Diversamente dalle altre Case, che hanno tutte ingressi segreti per raggiungere la propria sala comune, noi non ne abbiamo bisogno. La porta della nostra sala comune si trova in cima a un'alta scalinata a chiocciola. Non ha maniglia ma un batacchio di bronzo a forma di aquila. Quando bussi alla porta, il batacchio ti pone una domanda e, se sai rispondere in modo corretto, ti lascia entrare. Questa semplice barriera ha lasciato fuori tutti, tranne i Corvonero, per quasi un millennio.

Alcuni studenti del primo anno hanno paura al pensiero di dover rispondere alle domande dell'aquila, ma non preoccuparti. I Corvonero imparano in fretta, e presto apprezzerai le sfide che la porta ti porrà. Non è inconsueto vedere venti persone fuori dalla sala comune mentre cercano di trovare la risposta alla domanda del giorno. È un'ottima occasione per incontrare studenti di Corvonero di altri anni, e per imparare da loro; anche se è comunque una scocciatura quando ti dimentichi l'attrezzatura di Quidditch e devi uscire in fretta dalla sala. Per questo motivo, ti consiglio di controllare tre volte che nella tua borsa ci sia tutto quello di cui hai bisogno prima di lasciare la Torre di Corvonero.

Un'altra cosa interessante sui Corvonero è che i nostri membri sono i più originali, al punto che qualcuno potrebbe anche definirli eccentrici. Ma i geni sono spesso fuori dalla portata della gente comune, e differenza di altre Case che potremmo citare, pensiamo di avere il diritto di indossare quello che ci piace, credere in quello che vogliamo e in quello che pensiamo. Non ci facciamo fuorviare da gente che viaggia su frequenze diverse; al contrario, li teniamo in considerazione!

La Casa Corvonero vanta una storia illustre. La maggior parte dei maghi inventori e innovatori proviene da qui, compresa Perpetua Fancourt, che ha inventato il lunascopio, Laverne de Montomorency, grande pioniera delle pozioni d'amore, e Ignatia Wildsmith, che ha inventato la Polvere Volante. Tra i famosi Ministri della Magia di Corvonero si annovera Millicent Bagnold, che era in carica la notte in cui Harry Potter riuscì a sopravvivere all'anatema del Signore Oscuro e che difese i festeggiamenti dei maghi che si tennero in tutta la Gran Bretagna con le parole "Rivendico il nostro inalienabile diritto a festeggiare". E poi c'era anche il Ministro Lorcan McLaird, che era un mago piuttosto brillante, ma preferiva comunicare con nuvolette di fumo che faceva uscire dalla punta della sua bacchetta. Beh, te l'ho detto che abbiamo sfornato degli eccentrici. Infatti, siamo anche la Casa che ha dato i natali al mago Uric Testamatta, famoso perché indossava una medusa come cappello. I maghi amano raccontare molte barzellette su di lui. 
Per non parlare dell'ex nostro direttore e insegnante di Incantesimi Filius Vitious, senza ombra di dubbio uno dei migliori incantatori dell'ultimo secolo.

Per quanto riguarda i nostri rapporti con le altre case: bene, sicuramente avrai sentito parlare dei Serpeverde. Non sono proprio tutti cattivi, ma è meglio che tu stia attento fino a quando non li conosci bene. Hanno una lunga tradizione che li rende famosi per essere disposti a tutto pur di vincere; fai attenzione, quindi, specialmente durante le partite di Quidditch e gli esami.

I Grifondoro sono OK. Se devo proprio fare una critica, direi che i Grifondoro tendono ad essere esibizionisti. Inoltre sono anche molto meno tolleranti di quanto non lo siamo noi nei confronti di chi è diverso. Sono, infatti, famosi per raccontare barzellette sui Corvonero e il loro particolare interesse per la levitazione, per i possibili impieghi delle caccole di troll e per l'ovomanzia, che (come probabilmente sai) è un metodo di divinazione che utilizza le uova. I Grifondoro non hanno la nostra curiosità intellettuale. Al contrario, noi non ci facciamo nessun problema se vuoi trascorrere giorno e notte a rompere uova in un angolo della nostra sala comune scrivendo le tue predizioni in base a come cade il tuorlo. Anzi, forse troverai anche qualcuno disposto ad aiutarti.

Per quanto riguarda i Tassorosso, bene, nessuno può dire che non siano carini. Anzi, sono tra le persone più carine della scuola. Diciamo solo che non devi preoccuparti troppo di loro quando iniziano le competizioni durante gli esami.

Penso di averti detto quasi tutto. Ah sì, il fantasma della nostra Casa è la Dama Grigia. Il resto della scuola pensa che lei non parli mai, ma invece lo fa con noi Corvonero. È molto utile se ti perdi o hai smarrito qualcosa.

Sono sicuro che trascorrerai una buona nottata. I nostri dormitori sono distribuiti in torrette che si diramano dalla torre principale; i nostri letti a baldacchino sono coperti di trapunte in seta color blu notte e il rumore del vento che fischia attraverso le finestre è molto rilassante.

Ancora una volta: complimenti per essere diventato membro della Casa più intelligente, eccentrica e stimolante di Hogwarts.


Beh, a parte qualche informazione storica sui maghi e streghe famosi, Olivia gli aveva già spiegato tutto, pensò Ruben. 
Riposò la lettera sul comodino ed estrasse dal baule ai piedi del letto una specie di album con all'interno dei dischi argentati. 
Garret e Felix allungarono il collo per osservare meglio. 
«Cosa sono?», chiesero all'unisono. 
«Si chiamano CD. Servono ad ascoltare la musica».
I due corvonero si guardarono, inarcando le sopracciglia. 
«Forse non lo sai, ma è tecnologia babbana e non funziona qui. C'è troppa magia che crea interferenze».
«Ha ragione
», aggiunse Felix, «C'è scritto in storia di Hogwarts».
«Sì, l'ho letto anche io», lo interruppe Ruben. «Ma non è propriamente corretto. La magia viaggia su potenti onde che disturbano alcune delle frequenze di comunicazione tra dispositivi non magici. Per esempio è difficile comunicare con gli smartphone, e ancora di più collegarsi a reti WiFi, il che rende Internet impossibile da utilizzare, almeno qui ad Hogwarts che è un luogo impregnato di Magia. Lo stesso vale per ricetrasmittenti o tutti quei dispositivi che fanno uso del Bluetooth. 
Nonostante ciò, quasi tutto ciò che invece non comunica wireless, funziona. Per esempio potremmo utilizzare tranquillamente il vecchio telefono di casa, anche se ormai molti babbani non lo possiedono più, per loro è tecnologia obsoleta. 
E lo stesso vale per questo». Mostrò un vecchio e compatto lettore CD, con diversi graffi sulla superficie. «Non comunica in alcun modo con un altro apparecchio, quindi funziona benissimo».
I due lo fissavano a bocca socchiusa, e non risposero nemmeno quando terminò la spiegazione.  
«Beh è più semplice di quel che sembra», aggiunse in loro aiuto. 
«È che non conosciamo molto dei termini che hai usato, ma se quel… lettone DC  funziona, buon per te amico mio», rispose Garret. 
«Ma magari uno di questi giorni ci spieghi un po' la tecnologia che usate voi», propose sinceramente Felix. 
«Volentieri», concluse Ruben indossando le cuffie. 
Probabilmente stavano pensando che fosse un nato babbano, ma in verità entrambi i suoi genitori discendevano da una nobile stirpe di maghi italiani, una delle poche che poteva ancora vantare una purezza di sangue. 
Semplicemente suo padre gli aveva insegnato che i maghi sanno compiere magie straordinarie, ma la musica… beh, solo i babbani sapevano fare della vera buona musica. 
E sulle note di The House of the rising sun, si addormentò.

«Ma vi rendete conto? La nostra prima lezione sarà con Neville Paciock!».
Garret saltò eccitato sulla panca, puntando con forza tre innocenti fette di bacon croccante. 
Non aveva parlato di altro da quando si era svegliato, quindi sì, ce ne rendiamo conto, pensò Ruben. 
Però doveva ammettere che anche lui era molto curioso di conoscerlo, in fondo era un eroe della Battaglia di Hogwarts. 
«Ciao! Tu sei Ruben Castelli, vero?».
La bambina intravista la sera prima comparve al suo fianco dove un istante prima non c'era, con un gran sorriso da guancia a guancia e facendogli andare di traverso l'idromele. 
«Ieri sera sei stato mitico con l'indovinello! Di sicuro se resto bloccata fuori dal dormitorio verrò a chiedere a te. Anzi facciamo che andiamo e torniamo da lezione insieme? Tanto siamo amici, no? Insomma lo so, ci siamo appena conosciuti, ma siamo entrambi Corvonero! Oh ma che scema, non mi sono presentata! Io sono Mei Blake. Il mio cognome non ti dirà nulla, ma perché mio padre non è un mago, si chiama Norman Blake e fa il banchiere. Mia mamma però è una strega davvero in gamba e pensa: era una Corvonero anche lei! Mi ha raccontato persino che da giovane ebbe un flirt con Harry Potter, il mago leggendario! Ma ci puoi credere? Tanto mio padre non né capisce molto di magia e pensa sia una famosa rock star o qualcosa del genere. Oh ma scusami, sto parlando solo io! Tu da dove vieni? Il tuo accento è strano. I tuoi sono maghi famosi? O sei un nato babbano anche tu? Statisticamente parlando ne stanno nascendo di più sai? Quindi si potrebbe dire quasi normale».
Ruben la fissò a bocca socchiusa per tutti i dodici secondi in cui Mei parlò, per poi alzarsi dalla tavolata e avviarsi verso i giardini di Erbologia senza aggiungere altro. 
La bambina però non si scompose: raccolse i suoi libri addentando una mela, e si affrettò a seguire il corvino. 
«Aspettami arrivoooo!».
Ruben alzò gli occhi al cielo, sospirando. Cosa aveva fatto di male? 
Si fermò ad attenderla.
«Sono italiano. Purosangue. I miei sono nobili e vivono di rendita. Mi piace ascoltare la musica e suonarla. Odio chi parla tanto».
E come si era fermato riprese a camminare, con Mei al suo fianco con passo cadenzato. 
«Dai, grande! E che musica ti piace? Io non ascolto tanta musica, anche se mia madre ha l'intera discografia delle Sorelle Stravagarie, un gruppo storico».
«State parlando di musica? Ruben ascolta dei DC… roba babbana. Sembra interessante però», si intromise Garret, salvando Ruben in calcio d'angolo. Almeno non le toccava rispondere per forza, e Mei poteva chiacchierare con lui. 
Passando dal parco del Castello si aggiunsero a loro anche gli studenti delle altre case, tra cui Astrid e altri tre Grifondoro di cui Ruben non ricordava il nome. 
Rallentò il passo facendosi superare da Mei e Michael, e attese che il gruppetto di Wizzy lo raggiungesse.
Li salutò con un cenno della testa, per poi affiancare la compagna. 
«Quindi sei una Grifondoro eh».
«Così pare… non ci credo nemmeno io, però».
«Effettivamente avrei detto Tassorosso».
«E tu? Ti ci ritrovi nei Corvonero?», gli chiese risentita dal suo commento. Lei stessa non si riteneva all'altezza della fama dei Grifondoro, ma non poteva non trovare doloroso che altri la pensassero allo stesso modo. 
«Sì, dai. Mi piace tenermi informato su questo o quello», le rispose vago. 
«Comunque dicono che il Cappello Parlante non sbaglia mai. Se ti ha messo in Grifondoro evidentemente puoi portarne il buon nome».
Astrid accennò un sorriso, guardando il profilo smosso dal vento della Foresta Proibita, dall'altro parte del parco. 
Era contenta che stesse ritrattando, ma non voleva dargli l'impressione di aver dimenticato il suo commento precedente. 
«E così stiamo per conoscere Neville Paciock», cambiò argomento Ruben. 
«Sì, non vedo l'ora!», gli rispose Wizzy con occhi brillanti e dimenticandosi completamente di dovergli tenere per un po' il broncio. «Chissà se possiamo chiedergli qualche storia della guerra magica oppure no. Sarà un tipo severo?».
Seguirono una stradella sterrata fino ad intravedere delle strutture in vetro. 
«Non saprei. Più che severo, forse sarà stufo di rispondere sempre alle stesse domande».
«Mmm… mi sa che hai ragione. Immagino che ogni anno tutti gli studenti nuovi siano impazienti di conoscerlo», convenne Astrid.
All'improvviso la brezza lì raggiunse, portando con sé un burroso odore di bruciato… come di biscotti appena sfornati. 
Tutti si guardarono intorno per capirne l'origine, e Ruben notò un colonna di fumo nero al limitare della foresta, oltre le serre che avevano ormai raggiunto.
«Beh, menomale che ci sono degli elfi a cucinare per noi», ironizzò il corvino indicandola a Wizzy, che sorrise.
Sette lunghe strutture in vetro tenute salde da uno scheletro in ferro, si estendevano per diverse decine di metri. 
Sui tetti si ergevano delle statue draconiche rivolte verso il castello in posizione guardinga. Erano realizzare così bene che nessuno si sarebbe stupito nel vederle alzarsi in volo e sputare fuoco. 
Un uomo alto e dall'arruffata chioma color mandorla uscì da vivaio più vicino. 
Benché la visiera ne nascondesse il volto, tutti gli studenti scattarono sull'attenti e l'aria si fece carica di tensione.
Una folata di vento alzò dalla lunga veste scura un nuvola di fuliggine, mentre sfilandosi i guanti di cuoio estrasse la bacchetta dalla cintura. 
L'impressione generale fu di un uomo uscito da un campo di battaglia anziché da un orticello, e l'entusiasmo non poté che farsi elettrizzante.
«Benvenuti ad Hogwarts!», disse un po' affannato. Con un tocco di bacchetta gli strappi della veste si ricucirono e tornò linda e profumata come appena acquistata.
«Chiedo scusa per il mio abbigliamento, ma sono i rischi del mestiere: io sono il Professor Neville Paciock, direttore di Grifondoro e insegnante di Erbologia». 
Si tolse la visiera scoprendo gli occhi castani e la mano di un Serpeverde scattò immediatamente verso l'alto. 
«Sì, signor… ?».
«Auberon Lee. È vero che lei ha avuto il fegato di affrontare Voldemort faccia a faccia?-
Il Professor Paciock sorrise imbarazzato e Ruben notò il velo di esasperazione nei suoi occhi. 
«Ehm sì, ma sono stati molti gli atti di coraggio quel giorno, da parte di tutti».
Una seconda mano scattò verso l'alto, questa volta di un Grifondoro. 
«Sono Baston Robert. Ed è vero che volando in groppa ad un drago ha decapitato un gigante con la spada di Grifondoro?».
Questa volta il professore ridacchiò di gusto. 
«Oh, no no, il drago fu usato da Harry, e in un'altra occasione. Però quella creatura ora vive qui, tra i confini di Hogwarts. Quindi davvero: non andate nella Foresta Proibita».
Tutti gli studenti trattennero rumorosamente il fiato nello stesso istante.
«Avanti, potrete chiedermi altro mentre vi mostro le piante che andremo a studiare».
Fece segno di seguirlo nelle serre e tutti si affrettarono dietro di lui.
«E pensare che noi ci facevamo problemi a fargli una domanda», disse Ruben a Wizzy sottovoce.
Non appena aprì la porta in vetro furono accolti da un intenso odore di muschio selvatico, dal profumo afrodisiaco di fiori tropicali e da altri pungenti aromi.
«Vi ci abituerete, e con un po' di esperienza saprete anche riconoscere le piante dal loro profumo, competenza fondamentale per un buon mago che si rispetti. Immaginate di trovarvi davanti ad una strana pozione: se riusciste a riconoscere l'odore di una o più erbe usate come ingrediente, potreste intuire che tipo di pozione si tratti e la sua pericolosità».
Le travi di ferro erano ricoperte di edere e rampicanti, mentre le altre piante crescevano rigogliose in decine di vasi sparsi per tutto il locale, tanto che gli studenti dovevano fare attenzione a dove mettevano i piedi… e anche la testa, visto che alcuni vegetali erano appesi al soffitto come dei lucernari.
Superato il primo momento di meraviglia, Albert Petel di Tassorosso tornò all'attacco. 
«È vero quindi che lei ha guidato l'Esercito di Silente? E questo gruppo è ancora attivo?», gli chiese fantasticando su grandi avventure e lotte contro maghi oscuri.
«Non l'ho guidato da solo. Ogni membro dell'ES ha dato il suo contributo. E no, non siamo più operativi, ma ogni tanto una serata a La testa di Porco ce la facciamo ancora, in onore dei vecchi tempi», gli rispose allegramente.
Uscirono dalla prima serra ed entrarono nella seconda, dove le piante iniziavano a farsi più bizzarre. Tra queste una era alta più di un metro e aveva un grande bozzo sullo stelo che si gonfiava e sgonfiava come un polmone. 
Anche qui gli fecero domande sulla grande Battaglia di Hogwarts, e alcune virarono su Harry e gli altri protagonisti della battaglia, come l'ex ministro Kingsley Shacklebolt o l'ex preside di Hogwarts Minerva McGranitt. 
Tuttavia l'attenzione pian piano si stava spostando sulla variegata vegetazione. 
Ogni serra conteneva piante sempre più strane: alcune si "accendevano" di un verde fluorescente, due cactus si prendevano a pugni, un grande e bel fiore arancione aprì la corona e quasi non staccò un dito a Marisa Monclair di Grifondoro. 
Senza contare le radici che si divertivano ad intralciare il loro cammino facendo sgambetti.
E più le piante si facevano curiose, meno erano le domande che gli studenti gli ponevano sul suo conto, finché nell'ultima serra le uniche fatte riguardavano proprio quelle strane coltivazioni. 
Ben presto per Ruben fu chiaro che il giro delle serre era soltanto un modo per destare la loro curiosità e far sì che trovassero più interessante la materia, anziché il suo Professore.
Tuttavia anche lui aveva una domanda da porgli, quindi quando uscirono dalla settima serra e si affacciarono su dei campi coltivati all'aperto, alzò la mano. 
«Castelli Ruben. Le vorrei fare un'ultima domanda». Pose l'accento su "ultima" per far comprendere bene il messaggio ai suoi compagni e non vanificare gli sforzi del professore. 
«Dicono che in ogni guerra si lascia sempre qualcosa sul campo di battaglia. Lei… cosa ci ha lasciato?».
Sentì un frenetico mormorio alle sue spalle, e quasi sicuramente il ridacchiare dei Serpeverde. 
Wizzy teneva lo sguardo fisso su di lui, con espressione enigmatica, ma Ruben attese la risposta del Professore senza voltarsi verso i compagni. 
Non poteva saperlo, ma lo aveva preso in contropiede. Dal momento in cui varcò il castello di Hogwarts in qualità di insegnante, quella fu la prima volta che uno studente gli rivolse una domanda così profonda, seppur privata. 
Si guardò le punte degli stivali, cercando le parole più adatte, e quando fu pronto incontrò gli occhi color ghiaccio del Corvonero. 
«Molti uomini e donne hanno perso la vita quel giorno, quindi più che qualcosa, ho lasciato qualcuno. Come tutti del resto».
Ruben annuì mesto, sempre sotto lo sguardo attento di Astrid. 
«Ma è molto più complesso di così. Quel giorno combattemmo tutti insieme, come un'unica grande forza. Quel giorno abbiamo liberato il nostro mondo da un male radicato nel profondo e non mi riferisco a Voldemort». 
Il tono si fece più acceso, lo sguardo più intenso. 
«No, lui era soltanto un psicopatico con manie di grandezza. Mi riferisco alle leggi razziali nei confronti delle altre creature, ad obsolete tradizioni di sangue, all'ipocrisia del nostro mondo.
Quel giorno, subito dopo la sconfitta di Voldemort, ci sedemmo tutti in Sala Grande: grifondoro insieme a tassorosso e corvonero, elfi e studenti, centauri e maghi. Senza più distinzioni. E da quel giorno tutti cambiammo un pochino. E se cambiamo noi, cambia il mondo. 
Quindi sì, ho lasciato qualcuno in quella battaglia, ma ogni giorno, quando mi sveglio al mattino, preferisco ricordarmi cosa ha lasciato lei a me». 
Gli studenti rimasero in solenne silenzio. Per alcuni di rispetto, per altri di imbarazzo, mentre altri ancora riflettevano sulle sue parole.
Ruben ricambiò lo sguardo intenso, con il pensiero rivolto a sua madre e al fratellino.
Forse nemmeno lui doveva pensare a chi aveva lasciato in Italia, piuttosto cosa poteva trovare qui ad Hogwarts, e magari a quanto ne avrebbero guadagnato dalla sua assenza… 
Wizzy si poggiò piano al braccio del Corvonero, riportandolo al presente. 
Lui non cercò i suoi occhi, ma nemmeno si scostò dal tocco. Sapere di averla vicina gli dava coraggio.
«Bene, direi che possiamo iniziare ufficialmente la nostra prima lezione di Erbologia», disse il Professor Paciock guidandoli nuovamente verso la prima serra, luogo in cui si trovavano le piante che avrebbero studiato in quel primo anno di corso.
La lezione filò liscia e interessante: gli studenti non posero altre domande private al Professor Paciock e ognuno piantò un seme di Oddium Viandantis in un vaso di terracotta. Il compito era seguirne la crescita per tutto l'anno scolastico, e al termine di esso lo studente con le foglie più rigogliose avrebbe guadagnato ben trenta punti per la propria casa. 
Tornati nel castello, Ruben e Astrid dovettero separarsi. Mentre la seconda andava ad Incantesimi, il Corvonero aveva lezione a Difesa contro le arti oscure e per sua sfortuna anche Mei.
«Oh perfetto, andiamo! La lezione di Erbologia è stata fantastica vero? E anche il Professor Paciock, non c'è che dire! Io lo avevo già incontrato qualche anno fa ad un piccolo raduno dell'ES, ma ero troppo piccola per ricordare bene. Mi ci portò mia madre perché anche lei era un membro dell'Esercito di Silente! Te lo avevo mai raccontato? Ah, ma che stupida, certo che no. In fondo ci siamo appena conosciuti! Ma dopo le lezioni ti racconterò un po' delle storie di mia mamma, sono molto interessanti! Sempre se non ti annoiano le storie di guerre e duelli magici. Che ne dici?».
Ruben non sapeva dire se fosse una sua speciale abilità magica, ma fu così confuso dalla rapida lingua della compagna che il cervello gli andò in cortocircuito. Tuttavia il cuore desiderava ardentemente di chiuderle la bocca con una Languelingua. Sarebbe stato la prima maledizione che avrebbe imparato, si promise. 
«Ruben! Mei!». 
Si voltarono e videro Felix correre nella loro direzione. 
«Avete anche voi Difesa contro le arti oscure, vero?».
«Sì, vieni con noi?», chiese speranzoso Ruben, così da liberarsi nuovamente della bambina. 
«Sì, e magari tu riesci a districarti in questo labirinto», rispose tremendamente sconfortato. 
Si avviarono verso le scale. 
«Voi siete stati fortunati. Non solo avete conosciuto subito Neville Paciock, ma per arrivare ad Erbologia non servono scale».
Indicò il groviglio di rampe che si muovevano da un lato all'altro del castello. 
«Oh, me ne aveva parlato la mia mamma, ma non pensavo fossero così… così», concluse senza trovare altre parole per l’immensa gioia di Ruben. 
Il silenzio lo avrebbe aiutato a concentrarsi meglio mentre osservava ipnotizzato quel rompicapo.
Corinna Corvonero doveva essere veramente una donna geniale, pensò ammaliato. 
Si distrasse solo alla vista di Marius che, trascinando per il gomito un suo compagno, sbottava istericamente verso gli scalini. 
Rise, augurandosi di beccarlo a lezione. 
«Allora… Difesa è al terzo piano», lesse Felix dalla pergamena con l'orario. 
«Seguitemi», ordinò Ruben senza togliere lo sguardo dalle scale.
Anziché prendere la rampa subito vicino a loro e che portava direttamente al terzo piano, li guidò in un corridoio del pianterreno.
«Ma Ruben dove stiamo andando?».
«Fidati, credo di aver capito un po' i loro movimenti».
«Fidati, fidati. Lui è mitico», aggiunse Mei con voce adorante.
Ruben alzò gli occhi al cielo, esasperato, e si fermò dall'altro lato del groviglio. 
«Di qua». 
Salirono su una rampa che conduceva al secondo piano, ma a metà della scalinata la pietra sotto i loro piedi tremò, andando verso destra e alzandosi di un piano. Nel frattempo, la scala che ignorarono scese di uno. .
«Ma come hai fatto?», chiese Felix fissando a bocca aperta e con vivace invidia nello sguardo la porta dell’aula di Difesa contro le arti oscure.
«Te lo detto che è mitico», chiarì Mei entrando in classe.
Ruben gli fece le spallucce in risposta, e sedendosi vicini, attesero l'ingresso dei loro compagni per cominciare la lezione. 
Sulle pareti erano affisse diverse fotografie d'epoca: uomini che brindavano allegramente al bancone di un bar, altri che salutavano agitando un manico di scopa, e altri ancora erano in una posa più formale. 
Tutte quante avevano in comune il mago al centro: un ragazzo dai capelli e occhi chiari, con un gran sorriso a trentadue denti e una bellezza invidiabile. 
Altri cornici invece esponevano articoli di giornali, da La Gazzetta del Profeta al famoso Wizard Times di New York, passando per il Fattucchiere della Sera italiano -suo padre lo leggeva sempre- e il Zauberer-Zeitung tedesco. 
Il titolo più vicino recitava "Straordinaria impresa dell'auror O'Byrne: sono sei i non-magici salvati dall'incendio doloso".
Nel frattempo la porta dell'aula si chiuse rumorosamente. 
«Caspita quanti siete! Vi moltiplicate a vista d'occhio voi giovani maghetti». 
Un signore dal volto decisamente centenario si avviò lento verso la cattedra, trascinando a peso morto la gamba destra.
Dei lunghi baffoni da tricheco bianchi come il cotone scendevano sul volto rotondo e rugoso del mago e il corpo assai robusto non doveva aiutarlo molto con quella gamba che si ritrovava.
Giunto alla cattedra, ci si sedette sopra respirando affannosamente, ma una volta comodo rivolse un bel sorriso paonazzo ai bambini. 
«Benvenuti ad Hogwarts! Io sono l'ex Capo Auror del Ministero della Magia, Ordine di Merlino prima classe, ex Ambasciatore Inglese nella comunità magia americana degli States presso il Macusa, plurionorificato», espose le medaglie appuntate sul petto con fare orgoglioso, «per il valore dimostrato in numerose battaglie a cui ho partecipato, e infine insegnante di Difesa contro le Arti Oscure nella Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Inghilterra».
Ora Ruben iniziava vagamente a capire cosa intendessero dire i ritratti appesi alle pareti, ma ne ebbe l'assoluta certezza quando a metà lezione non aveva ancora fatto aprire Forze Oscure: Guida all'autoprotezione e reinterpretava, battuta per battuta, il duello contro il malefico Miloslav Ivanov, un mago oscuro che in Russia guidò una banda di stregoni a saccheggiare una serie di sperduti villaggi babbani, rapendo tra l'altro la mucca Geltrude, amata mascotte nelle feste di paese di una di queste comunità. 
Saltava da destra a sinistra e viceversa, recitando la sua parte e quella di Miloslav, con tanto di accento russo. 
«E così mi disse: Ti schianto in due, e mi lanciò uno stupeficium che diavolo se fece male! Mi sono portato un livido grande quanto un bolide sul petto per una settimana intera. Ma non potevo arrendermi». Saltò con magica disinvoltura a destra -forse si è dimenticato di avere una gamba fuori uso, pensò divertito Ruben- e continuò l'intenso racconto. 
Per lo meno gli studenti non si annoiarono nemmeno un momento, e raggiunsero la Sala Grande ridendo e commentando la lezione.
«Oh, si, O'Byrne è ogni anno più fuori di zucca di quello precedente», confermò divertita Olivia a pranzo, nella Sala Grande. 
«Fra un paio di lezioni gli aneddoti più interessanti saranno finiti e inizierà ad insegnare, seppur infilando storielle qua e là ogni tanto», li rassicurò, soffiando via il fumo dalla zuppa di piselli.
«Però ricordategli il vostro anno. Una volta stava per insegnare le maledizioni senza perdono a degli studenti del secondo anno», soppesò. «Gli fecero presente che non era oggetto di studio e allora si corresse, con buona pace dei Serpeverde che se ne stavano zitti zitti per poter imparare quelle maledizioni. Per chissà cosa farci poi…». 
Ruben guardò in direzione dei Serpeverde e vide Marius starsene zitto a mangiare, mentre i suoi compagna cianciavano allegramente.
«Ma perché non assumono qualcun'altro al posto di O'Byrne?». Tornò con lo sguardo sulla sua zuppa. 
«Beh, ho sentito dire che il Preside sta impazzendo per trovarne uno. Ogni anno cerca personalmente dei candidati che possano ricoprire il ruolo».
«E nessuno ne aveva le capacità?», chiese con scetticismo.
«Oh no, molti sarebbero stati degli ottimi insegnanti. Ma tempo fa, si parla degli anni 80 e 90, per un motivo o per l'altro l'insegnante della cattedra di difesa contro le arti oscure durava giusto un anno. Alcuni perché… sono morti», terminò abbassando il volume della voce. 
«Dopo la Battaglia di Hogwarts, O'Byrne è stato l'unico mago ad avere il fegato di farsi assumere per quella cattedra e da allora ha continuato ad insegnare qui, dimostrando come la storia della maledizione fosse solo una coincidenza bizzarra. 
Ora sono passati quasi trent'anni, ma noi maghi tendiamo ad essere superstiziosi e sospetti, quindi non ha ancora trovato qualcuno disposto ad accettare il rischio».
Beh, perlomeno le lezioni saranno divertenti, pensò Ruben mangiando la zuppa e cercando di estraniarsi dalla loquace parlantina di Mei. 
Stranamente gli venne incredibilmente facile, perché fu la stessa bambina a zittirsi a metà discorso. 
Alzò lo sguardo dal piatto decisamente stupito, e mentre tutti chiacchieravano allegramente, la scoprì fissare Garret al di sopra del cucchiaio che teneva in mano, finché non cominciò a pranzare sospirando pesantemente. 
Riprese a mangiare anche lui, ma gli venne naturale gettarle spesso un’occhiata.

… 

Per le lezioni pomeridiane fu graziato. 
Non solo a Volo non ebbe Mei attorno che potesse disconcentrarlo dalla lezione, ma ebbe la stessa fortuna anche ad Incantesimi. 
Al suo posto ebbe come compagne corvonero Cinzia Palmer e Cassia Hant, con le quali parlò solo brevemente a pranzo dato che legarono subito tra loro -e non con Mei, anche se condividevano la stessa stanza del dormitorio- e non si aprirono molto con gli altri. 
Ovviamente non che gli desse fastidio, anzi.
Si scoprì particolarmente abile con il manico di scopa e fu l'unico della classe a fare un giro completo del parco a quasi cinque metri di altezza senza barcollare o perdere il controllo del mezzo.
Ad Incantesimi invece ebbe finalmente modo di conoscere meglio il direttore della sua casa, il Professor Icarus Lux, che li guidò nel corretto movimento della bacchetta da fare per il lancio della magia. 
Di per sé non lo trovò complesso, si trattava soltanto di provare e riprovare finché non veniva con naturalezza, e inoltre la comoda impugnatura della sua bacchetta di olmo lo aiutò molto. Tredici pollici e mezzo, inflessibile e come nucleo una rara piuma di Ippogrifo. Sinceramente non vedeva l'ora di praticare della vera magia e sentiva che anche la bacchetta fremeva dal mettersi in azione.
«Ruben! Ruben!», lo chiamò a gran voce Felix dal fondo del corridoio.
Le lezioni erano terminate quando fu bloccato dal compagno di dormitorio mentre stava tornando in Sala Comune.
«Ehi». Il bambino lo raggiunse correndo a perdifiato. 
«Micheal», rispose tenendosi il fianco. «Sì è fatto male a lezione di Volo e lo hanno portato in infermeria».
«Oddio ma è grave?», gli chiese allarmato. Poteva fare il duro quanto voleva, ma l'idea di un compagno ferito non poteva che preoccuparlo. 
«Non ne ho idea, la Professoressa Cloud l'ha portato subito via
».
«Dai, andiamo».
All'ingresso dell'infermeria, situata al primo piano del castello, videro il Professor Lux parlare con una donna dalla veste bianca e i capelli biondi raccolti in una lunga treccia.
Rallentarono il passo in loro prossimità.
«Professor Lux».
«Oh, Signor Castelli, Signor Gunter. Immagino siate qui per il vostro compagno. Non abbiate timore, la Signora Abbott mi stava giusto dicendo che non c'è nulla di cui preoccuparsi».
La donna rivolse ai bambini un dolce sorriso rassicurante. 
«Potete vederlo per qualche minuto se lo desiderate, ma mi raccomando, non fate rumore. Più tardi, quando lo avrò dimesso, avrete tutto il tempo di ascoltare la sua… rocambolesca avventura». Ridacchiò facendo loro l'occhiolino, e ritornò nel suo studio salutando il Professor Lux. 
I letti dell'infermeria saranno stati più di cinquanta, tutti vuoti, perciò la voce di Garret rimbombò per tutta la sala. 
«Felix, Ruben!». Non aveva l'aria di stare male, anzi saltò sul letto non appena li vide. 
Ci hai fatto prendere un colpo amico», gli disse Felix sedendosi sul letto più vicino. 
Ruben invece preferì restare in piedi. 
Oh, avanti tu c'eri! Hai visto quanto è stato figo!». Si rivolse al corvino con voce carica di adrenalina. 
«Saranno stati più di duecento metri a cinquanta all'ora, Ruben! Oh, ma che dico saranno stati almeno settanta!», si corresse esaltato. 
«Sì, per poi finire a gamba all'aria. Krum non avrebbe saputo fare di meglio», gli rispose il bambino ridacchiando. 
«Oh, non capisci nulla: l'importante è che sono riuscito ad andare così veloce. Ora devo solo allenarmi sulla frenata, e il prossimo anno entrerò nella squadra di Quidditch!».
Passò i restanti cinque minuti di visita a raccontare dettaglio per dettaglio come aveva fatto, e Ruben capì cosa intendeva dire la Signora Abbott: per il resto della giornata sarebbe stata una seconda Mei. 
Però fu contento di trovarlo bene, almeno non si era rotto la testa.
Lo salutarono come promesso, e mentre Felix andò in Biblioteca per fare i compiti, Ruben preferì il silenzio della Sala Comune nonostante l'invito del compagno di studiare insieme. 
Non appena il batacchio a forma di rapace lo fece entrare, vide Mei in piedi ed immobile davanti alla finestra. 
Rimase sulla porta, valutando se scappare in Biblioteca, ma d'altronde non poteva evitarla per sempre, quindi nel caso gli avrebbe detto di lasciarlo studiare in tranquillità. 
L'istinto lo spinse comunque a camminare a passo felpato fino ad un tavolo, e senza proferire parola aprì Erbologia. 
Molti minuti passarono veloci, il cielo si dipinse dei colori del tramonto, e benché fosse uno spettacolo mozzafiato dalla loro torre, Ruben iniziò a trovare alquanto bizzarro la presenza di Mei, sempre lì, ferma sul posto. 
Sospirò, sicuro di pentirsene. 
«Ehi Mei, tutto apposto?». 
Non ricevette risposta, perciò la richiamò alzando la voce, ma inutilmente. 
Perplesso si alzò dalla poltrona, raggiungendola. 
Gli occhi della bambina puntavano le chiome della Foresta Proibita, ma sembravano guardare ancora oltre, persi in chissà quale panorama. 
Incuriosito, le agitò la mano davanti al viso, in attesa di qualche reazione che non arrivò.
Una fitta di paura gli attraversò il petto. 
«Mei», sussurrò. «Sono io, Ruben». 
Con il cuore in gola le toccò la spalla e finalmente la bambina sussultò sul posto. 
«Oh, Ruben!». 
«Tutto apposto Mei? Stai bene? Sembravi… non lo so», ammise preoccupato e guardingo.
La bambina lo guardò per qualche istante con le guance in fiamme, poi si allontanò verso l'uscita. 
«Sisi, non ti preoccupare, mi ero solo incantata a guardare il tramonto. Ora scusami, devo andare in biblioteca a studiare. Ci vediamo a cena!». E così si congedò dal compagno. 
Ruben non aveva idea di cosa pensare, né cosa fosse successo, ma di sicuro non le avrebbe chiesto spiegazioni. Sembrava parecchio imbarazzata dall'accaduto e non aveva intenzione di mortificarla ulteriormente. 
Perciò tornò a studiare, benché gli fu difficile restare concentrato. L'afflusso di Corvonero che rientravano dalla Biblioteca per posare i libri, andare agli allenamenti di Quidditch e infine a cena, non aiutò. 
«Ruben andiamo? Sto morendo di fame», gli chiese Felix al ritorno dalla Biblioteca. 
«Ah, no io non ho molta fame. Preferisco restare qui a leggere ancora un po'».
«Sicuro?».
Il bambino annuì. «Però se mi porti una fetta di torta mi fai un grande favore».
«Non c'è problema. A dopo allora».
«Grazie, sei un grande». 
Finalmente solo, chiuse il libro e prese il lettore CD. Cuffie alle orecchie, poltrona vicino alla finestra, piedi sul davanzale, il cervello spento. 
La pace in terra. 

… 

Il mattino dopo a colazione Mei era tornata la solita, Garret raccontava a tutti come avesse capito gli errori commessi in volo e prometteva di diventare il primo studente del primo anno ad entrare nella squadra di Quidditch dopo il leggendario Harry Potter. 
Felix invece racconto a lui e Ruben come quell'Allen di Serpeverde si fosse seduto al tavolo dei Tassorosso. 
«Ruben dovevi esserci, ieri sera non si è parlato di altro. E dovevi sentire Olivia e gli altri: dicono che non era mai successo un fatto del genere».
Ruben iniziò a valutare se fosse giusto parlarne con Marius e Noah in giornata, per capire cosa stesse succedendo e magari aiutarli, ma nel mentre un barbagianni grigio planò sul tavolo, lasciandogli una lettera vicino al piatto di uova in camicia. 
Sulla busta c'era il nome della mamma e, stupito, l'aprì.
I suoi compagni continuavano a chiacchierare, perciò non si accorsero del viso sempre più scuro del corvino. 
Il respiro si fece più profondo, e al termine della lettura stropicciò il foglio nella mano, fissando il vuoto. 
Non seppe dire se i suoi compagni lo avessero chiamato mentre si alzava dalla tavolata. Il cervello era da tutt'altra parte e non vedeva né sentiva nulla. 
Le gambe lo portarono meccanicamente nei giardini interni del castello, dove poté sbollire un pochino all’aria aperta. 
L'ora di Pozione però stava per iniziare, perciò si affrettò in direzione dei sotterranei.
Per quanto fosse difficile, non doveva pensare alle lettera della mamma. 
Entrò in aula che quasi tutti gli studenti erano già seduti al loro posto, e con rabbia gettò i libri sul banco, per poi sedersi anche lui, sbuffando. 
Vide che anche Marius, Noah e Wizzy erano lì e si rincuorò al pensiero di poter scambiare due parole con loro. 
Ne aveva davvero bisogno, e non poteva immaginare che il destino oppure il caso gli stava per offrire una ghiotta occasione.

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