Provaci ancora.

di N e v e r l a n d 91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di Sam, Dean e altri ancora. ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***



Capitolo 1
*** Di Sam, Dean e altri ancora. ***


Prologo

"Say something, I’m giving up on you"
 
 

8:20 PM

« Ancora non riesco a capire come tu mi abbia convinto a venire. »
« Ho detto che ci sarebbe stato molto cibo gratis Dean, non è stato poi così difficile! »
Il biondo roteò gli occhi, allungando una mano verso l’ennesima tartina e portandola alla bocca in un morso tutt’altro che modesto. A qualche metro da loro, due ragazze puntavano le dita verso di lui, lasciandosi sfuggire qualche risatina imbarazzata che Sam colse e ignorò.
« Potresti far finta di comportarti in maniera civile, almeno?»
« E’ una riunione dei vecchi alunni, Sam. Ci sono solo ex secchioni pronti a rinfacciare agli ex Quarterback  il loro successo ed ex cheerleaders che fingono di essere felici in un matrimonio fallito. Oggi si scoperebbero volentieri i secchioni che un tempo prendevano in giro, quindi datti da fare, Sammy!»
« Credi che andrei con una donna sposata?»
« Se la donna in questione fosse Rubi…sì.»
Sam sbuffò una risata e scosse appena il capo, rassegnato dalla cocciutaggine del fratello. Il viaggio verso il Kansas era stato stancante ed il tempo passato nel motel troppo poco per poter essere rigenerante. Dean si era lamentato per gran parte del tempo ed anche ora che si trovavano nella palestra di quella che un tempo era la loro scuola non sembrava entusiasta di rivedere i vecchi compagni.
Sam non riusciva a comprendere tutto quell’astio per il Summit, in fondo il periodo del liceo era stato il migliore per suo fratello: Il miglior Quarterback  che la scuola avesse mai avuto. Ogni giorno era un party e quando non poteva essere a casa loro, si prodigava a organizzarlo altrove.
Dean, dal canto suo, si sentiva soffocare dalle mura della palestra che sembravano essersi terribilmente rimpicciolite. Trovava asfissianti le pareti, la musica, perfino l’alcol sembrava essere sbagliato.
Detestava il Summit, gli portava alla mente dei ricordi che avrebbe preferito dimenticare. Soffocare da qualche parte nella sua mente e acconsentire affinché venissero estirpati chirurgicamente. Il suo futuro era stato deciso da quella scuola e in quella scuola. Le sue scelte sbagliate sembravano riecheggiare tra i mattoni verniciati di rosso e propagarsi oltre i corridoi e le aule. Ogni punto gli portava alla mente un ricordo e nessuno di questi sembrava essere emolliente per la sua anima.

«Nessuno ha portato la torta di mele?»
La voce d’un uomo dal familiare accento europeo si fece largo tra i suoi pensieri, costringendolo a tornare alla realtà.
«Alce, avrei scommesso che almeno uno di voi due zucconi avrebbe portato la torta di mele.»
Quella voce gracchiante fece stridere le orecchie di Dean, che si trovò costretto a sporgersi per dare conferma ai suoi sospetti e forma a quel suono molesto.
« Crowley, vedo che stavolta hai ricordato i pantaloni.»
L'espressione del maggiore era goliardica, trasudava una qualche acuminata soddisfazione condita dall'ego e Sam scostò lo sguardo verso un punto indefinito della stanza esprimendo ancora una volta con il silenzio disappunto per il commento inappropriato del fratello.
« Sì, Dean… Non posso però dire lo stesso del tuo bavaglio. »
L’inglese sollevò un dito in direzione del colletto della camicia del biondo e sfoggiò un mezzo ghigno divertito nell’indicarlo.
« Comunque la flanella non assorbe le macchie, vai tranquillo.»
Crowley aveva il tipico atteggiamento borioso di chi voleva ostentare il successo ottenuto dopo anni di soprusi e violenti commenti. La consapevolezza d'esser riuscito nella vita in ciò a cui Dean Winchester non era mai arrivato lo appagava già  abbastanza da interessarsi ad una stupida battuta lanciata al sol scopo di pungere.
Eppure pungeva.
Dean continuava a prudere come le camicie di flanella che tanto amava indossare.
L’abito d’Armani di Crowley invece esprimeva eleganza da tutti i pori. Quello stile Italiano che il biondo non avrebbe mai avuto nella vita.
« E’ che non ci volevo nemmeno venire, qui... »
Rispose, sfregando un fazzoletto di carta sulla macchia evidenziata dall’inglese.
«Mi ha costretto Sam.»
Continuò il biondo e Crowley scostò lo sguardo al più alto dei due, affilandolo leggermente.
« Non credo ci fosse l’obbligo di presenza, Alce.»
Sam allora scosse la testa, trovava infantile quella discussione puerile per quanto concerneva il senso della loro presenza lì.
« Volevo solo fare qualcosa di carino per una volta, Dean. Scusa se ci ho provato.»
Il tono offeso del fratello costrinse Dean ad accorgersi dell’esagerazione delle sue affermazioni. Arricciò quindi le labbra e si strinse nelle spalle come per scrollarsi di dosso la responsabilità delle sue stesse parole.
«Ma guardate che bello. Ogni faccia che credevo mai più avrei visto nella vita ora appare davanti a me.»
Gracchiò Crowley in direzione della folla e Dean per un momento gli fu grato d’averlo liberato da quell’ostica discussione. Ignorò quindi Sam, avvicinandosi al terzo elemento del gruppo e lanciando uno sguardo anche lui verso la sala, ora colma di persone.
«Non trovi sia un incubo?»
Chiese, estraendo una fiaschetta dall’interno della giacca in pelle marrone e portandola alle labbra in un gesto secco, quasi abitudinario.
Crowley gli lanciò un’occhiata confusa vista l’innumerevole quantità di alcol presente sul tavolo alle loro spalle, ma decise di ignorarlo.
«Uno dei peggiori.»
Dean sorrise e Sam approfittò di quel momento per allontanarsi da quella  conversazione circostanziale  e raggiungere finalmente Nick. - il motivo principale per cui aveva costretto Dean a viaggiare fino in Kansas per quel ritrovo di vecchie anime ormai dimenticate- .
Quando le luci iniziarono ad abbassarsi per lasciare posto a quelle della console di Gabriel, la folla che fino a pochi minuti prima adornava i muri della palestra iniziò ad avvicinarsi al centro di essa, concedendosi il gusto di aprire le danze e scaldare così quell’atmosfera arcigna.
In breve tempo il buio si ricoprì di luci azzurre e bianche, avvolgendo i volti dei presenti e perfino Dean, dall’alto del suo inguaribile cinismo, dovette ammettere che era malinconicamente bellissimo.


10:30 PM

Il cocktail alla banana di Gabriel era una bomba.
Ne avevano bevuti una quindicina e ora l’unico sapore che Dean aveva sulla lingua era quello di lime e vodka.
Per tutta la serata non aveva fatto altro che chiedere a Gabriel cosa c’entrasse la banana ed ogni volta aveva ottenuto una risposta differente da quella precedente. Per ora la teoria più palpabile era quella di Crowley che sosteneva fosse un’ode alle doti sessuali di chi lo offriva. In quel caso Dean doveva averle ostentate fin troppo quella sera.
La serata di Dean era esplosa così velocemente che a fatica era riuscito a connettere tutti gli eventi:
aveva rivisto tutti i suoi amici del liceo e per qualche ora s’era sentito libero di scherzare, accusare e rivangare o quantomeno di fingere che la sua vita non fosse un totale disastro.
Stava andando tutto troppo bene, perfino la presenza del gruppo degli sfigati non lo infastidiva più. Il cibo, speziato dall’alcol, aveva raggiunto un gusto dieci volte migliore rispetto al primo morso.
« Devi ancora spiegarmi cosa fai per vivere.»
La voce di Crowley non mancava di gracchiare e nemmeno dopo averla ascoltata per ore riusciva ad assumere un tono più gradevole.
Era comunque abbastanza sorpreso dall’interesse dell’inglese, anche perché leggeva alcun velo d’ironia o spocchiosaggine nel tono della voce ma semplice interesse, cosa che imbarazzò non poco Dean poiché non poteva nascondersi dietro una battuta di scherno.
«Sono in polizia. Un semplice sbirro di quartiere, Crowley.»
Scrollò le spalle e l’inglese affilò appena gli occhi, assumendo una di quelle espressioni feline che riportarono Dean ancora una volta al passato.
«Non è semplice essere un poliziotto. Perché lo sminuisci?»
«Non lo sto sminuendo!»
«Il tuo tono era rassegnato.»
«Pensavo che mi avresti schernito, vista la tua maturità!»
«Era quello che volevo fare, ma non posso farlo se fai quel tono da depresso!»
Dean rise, scuotendo appena il capo. Stranamente Crowley non riusciva ad essere pungente come si era ripromesso e questo, forse, era dovuto anche all’alcol.
«Tu invece cosa fai per…»
«Castiel! Alla buon’ora!»
Una voce in lontananza pronunciò quel nome. Una voce talmente lontana da potersi facilmente scolorire tra il berciare caotico della folla  e, nonostante tutto, apparire come un’insieme di sillabe agglomerate a caso e mal interpretate. Uno spartito di suoni che non volevano dire nulla e volevano dire tutto. Era strano, strano in un modo terribile e angosciante, il pugno nello stomaco che percepiva e la mano che lo stringeva fino a togliergli il fiato si infittirono, indirizzando tutto il bruciore nelle orecchie e ricacciandolo attraverso lo stridio d’un suono sordo, fastidioso. Ripensò alla sensazione di vuoto che aveva percepito in auto. All’ansia, all’asfissia.
Gli mancava il respiro e nemmeno sapeva perché.
«Io invece cosa… cosa, Dean?»
La domanda di Crowley lo richiamò all’attenzione, la fronte dell’inglese era corrugata e alla ricerca di risposte che probabilmente non sarebbero arrivate tanto presto. Dean era paralizzato come alla vista di un fantasma. Spiazzato, soffocato.
Mangiato da un nome.


 

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Salve a tutti! Vi presento questa storia nuova AU in cui spero di donare delle gioie ai nostri amori, ma sono abbastanza sicura che non sarà così facile conoscendoli... spero vi piaccia! 

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Capitolo 2
*** I ***


 

I



22 Gennaio 1999

2:05 PM

Michael non poté trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo e nemmeno cercò di farlo. Quando Dean gli aveva parlato del suo piano di privare il resto della squadra degli abiti e nasconderli nello spogliatoio delle ragazze aveva pensato che scherzasse, o quantomeno sperato che la sua follia non sarebbe poi arrivata al limite dell’espulsione.
Ora che si trovava in piedi e senza mutande, comprese che quando Dean Winchester aveva in mente qualcosa nulla poteva riuscire a smuoverlo dal desistere. Specialmente il buon senso, di cui evidentemente era privo.
A qualche passo da lui Nick, appena uscito dalla doccia, cercava gli indumenti poggiati sulla panchina solo pochi minuti prima. Stessa cosa per il resto della squadra che ancora non aveva capito che l’unica persona assente era la causa di quell’imbarazzante scambio di sguardi confusi.
Il biondo dai penetranti occhi glaciali si avvicinò all’uscita e schiuse la porta quanto bastò a controllare la situazione in corridoio. Il cambio dell’ora doveva suonare a breve e non avrebbero avuto il tempo di sgattaiolare oltre il corridoio per controllare nel bagno di fronte.
Poteva aver mentito Dean, lo faceva sempre.
« Giuro che stavolta lo ammazzo.»
Sibilò Nick, accompagnando la sua voce con il rumore sordo d’un pugno contro l’armadietto, privato anche degli asciugamani.
« Come se risolvessi qualcosa. »
Rispose Benny,  mentre la fronte coperta dalla scomposta ciocca corvina lasciava colare piccole gocce d’acqua che cercava di tamponare malamente con il palmo della mano.
In quello spogliatoio la pazienza era virtù di pochi e alle volte Michael si sentiva l’unico in grado di controllare il testosterone.
« Dovremmo aspettare che la campanella suoni.»
Asserì il biondo, allungando una mano verso lo zaino viola che stranamente non era stato preda del quoterback.
«Arriverò in ritardo a lezione di algebra.»
«Da quanto ti interessano i voti?»
Zack e Rafael risero, esprimendo complicità verso Benny. Nick in tutta risposta scoccò la lingua contro il palato  e ricercò l’appoggio di Micheal che però puntava lo sguardo verso la porta, come un felino pronto a scattare qualora Dean decidesse di desistere da quel piano suicida.
«Mi interessano.»
«Come gli interessano i ragazzini del primo… »
Incalzò Rafael mentre avvolgeva la maglia sporca dall’allenamento appena terminato attorno alla vita, Benny arricciò il naso con disgusto per quel gesto ma evitò di commentarlo.
«Ma che cazzo dici?»
Nick lanciò la saponetta contro Rafael ma colpì il mobile alle spalle degli altri due, mancando il bersaglio come spesso gli capitava anche sul campo.
«Che intendi, Raf?»
Lo incalzò Benny, ottenendo in risposta un mutismo selettivo da parte dei tre. Il protagonista di quel pettegolezzo scosse il capo e poggiò la schiena contro le mattonelle della doccia, ancora appiccicaticce per via del sapone che aveva da poco lavato via dal corpo.
Poté percepire lo sguardo di Michael ma lo ignorò di proposito, gli occhi del biondo erano saettati dalla porta a lui subito dopo le parole di Rafael. Sapeva che lo stava puntando e incrociare le braccia attorno al petto non sarebbe bastato a distanziarsi da quegli occhi perforanti.
«Niente, si diverte a tormentare i ragazzini. Fa il bulletto con i nuovi!»
«E’ sempre attorno al Winchester più piccolo, io la chiamo compensazione. Non riesce a battere il più grosso in campo e si sfoga con lo sfigatello.»
«Occhio Raf, se Dean ti sente prendere in giro suo fratello finisce male. »
«Non credo sia qui, Benny. In caso lo fosse finirebbe male per lui visto che mi sto asciugando con una maglia zuppa di sudore.»
Zack rise, dando al compagno di bravate un colpetto col gomito per incitarlo a chiudere la bocca.
«State un po’ zitti. Ho tempo per prendere il posto di Winchester, tempo e pazienza. Quindi chiudete il becco e non rompete le palle!»
«Baci tua madre con quella bocca, Nick?»
«No, la tua.»
La saponetta tornò al mittente e colpì Nick alla spalla, che in tutta risposta la lanciò verso il water facendo un canestro perfetto.
«Valla a riprendere ora, Rafael.»
Il messicano sollevò la mano esponendo in tutta risposta il dito medio. Nick schiuse le labbra per appropriarsi ancora una volta dell’ultima parola ma il trillare della campanella gli impedì di emettere alcun suono, lasciando che i pensieri rimanessero appesi in attesa, pronti a formulare una via d’uscita da quelle dichiarazioni imbarazzanti.
Intanto Michael riorganizzava le idee, sbirciando di tanto in tanto fuori dal corridoio, in attesa del momento più propizio per evadere da quella gabbia.

***

2:30 PM

Dean sospirò, mollemente adagiato sulla sedia con lo sguardo perso nel vuoto. A Kansas City quando pioveva l’infrangersi dell’acqua contro la finestra era come lo schiocco d’una freccia nell’imbottitura bianca e rossa del bersaglio; ci si fermava ad ascoltarla per ore, al riparo dai boati e dalla caoticità della folla. Il biondo dalla perenne abbronzatura californiana adorava la silenziosa solitudine che ne scaturiva, ruggito e tuono danzavano armonicamente attraverso lo spartito scomposto d’un quartetto di fiati che soffiava tra i rami e tamburellava contro i cruscotti delle auto parcheggiate fuori dalla scuola. Il tutto andava in totale contrasto con lo scrosciare dei fogli sulla scrivania in mogano verde del professor Davis, il cui riecheggiare nell’aula somigliava più al rumore molesto delle scarpe sportive contro l’erba sintetica del campo da football e si trasmutava nel clangore della sconfitta e quella Dean poteva percepirla chiaramente. Gli era stata concessa un’ultima possibilità nei test di algebra ed ogni fibra del suo essere era consapevole d’averla persa.
Il preside Ketch avrebbe dovuto intercedere ancora una volta affinché il professor Davis mantenesse nei limiti la sua media, permettendogli così di partecipare alla semifinale di campionato. Non potevano permettersi di perdere il loro quoterback migliore in un momento tanto delicato e il preside ne era consapevole.
«Ben fatto Hannah, A+ come sempre.»
La mora a due banchi di distanza sorrise con una compostezza quasi fastidiosa, Dean arricciò il naso cercando di controllare ogni fibra del suo corpo affinché impedisse ai bulbi oculari di roteare verso l’alto ed esprimersi così al suo posto. Si scompose, dilatando le ginocchia e molleggiando sulla gambe posteriori della sedia in attesa del verdetto.
« MacLeod,  devi comprendere meglio i radicali. Per il resto… bene come sempre.»
Davis lasciò uno dei fogli sul banco del ragazzo dai capelli corvini, il quale dopo averlo afferrato voltò lo sguardo verso Dean. Certamente non poté aspettarsi che anche quello dell’altro fosse indirizzato a lui, convinto della sua perenne distrazione. Eppure quegli occhi verdi lo puntavano e l’espressione seriosa sul viso esplicava chiaramente i suoi pensieri.
Qualche giorno prima infatti aveva chiesto al moro di raggiungerlo a casa sua per studiare, necessitava di ripetizioni di algebra e sapeva per certo che da solo non ce l’avrebbe fatta. Crowley aveva rifiutato senza pensarci troppo perché quell’atteggiamento arrogante lo metteva a disagio e quel modo fervente d’utilizzare lo sguardo lo irritava non poco.
Scostò quindi il viso e tirò su gli occhiali, tornando a puntare la macchia di gesso giallo all’angolo della lavagna, certamente più piacevole degli occhi verde chiaro del Winchester.
«… Dean, credo che quest’anno salterai buona parte del campionato.»
Nonostante quel velo di falso dispiacere nella voce del professore, Dean contrasse i muscoli della mascella, costringendo i molari a sfregare tra loro per qualche secondo, causandogli una fitta dolorosa all’altezza delle orecchie.
«Andiamo signor Davis, non può darmi una F! Ho bisogno almeno di una C, la squadra conta su di me!»
«Allora avresti dovuto essere così previdente da non deluderla.»
«Non le costa nulla aiutarmi.»
«Ti avevo proposto un’alternativa.»
«Un’alternativa irrealizzabile.»
Le dita del ragazzo andarono a tamburellare freneticamente contro la formica verde del banco, mentre l’altra mano sfregava la cerniera della giacca sportiva Blu e bianca.
«Winchester, io non posso fare favoritismi solo perché fai parte della ‘squadra di football’.»
Dean sbuffò una risatina nervosa.
«E’ una specie di vendetta perché quando andava al liceo veniva bullizzato dagli atleti della ‘squadra di football’
Il modo in cui il biondo evidenziò la sua appartenenza a quella che per un ragazzo del liceo era una condizione gerarchica favorevole lasciava trasparire una certa alterigia, che venne amplificata dallo sguardo dello stesso, affilato come la lama d’un coltello orientale. La classe tacque, lasciando che quel momento restasse sospeso tra sospiri di stupore e sguardi sconcertati. Il professore dal canto suo appariva rilassato, fermo nella sua posizione autorevole. Dalla sua espressione statuaria si poteva arguire il disappunto e quella scintilla di pungente fastidio che trovò sfogo in un leggero incresparsi del naso.
Il ragazzo dai capelli corvini ad un banco di distanza si schiarì la voce, nella sua mente quel gesto avrebbe in qualche modo distratto la classe da quell’imbarazzo molesto, eppure la scena del professore di algebra zittito da un intoccabile Winchester difficilmente sarebbe passata in secondo piano.
«Al preside Ketch non piacerà.»
Aggiunse Dean sfidando l’uomo dal basso, con una boria degna del suo nome.
«Al preside Ketch potrà non piacere ma a me non interessa affatto. Ti dirò di più caro Winchester, vista la lingua lunga e la completa mancanza di rispetto verso i tuoi insegnanti, questo pomeriggio lo passerai in punizione. »
La matita tra le dita del professore prese a roteare tra i polpastrelli mentre con calma s’avvicinava alla scrivania per tornare a dedicarsi alla lezione. Il ragazzo evitò di commentare, limitandosi ad arricciare il naso e voltare lo sguardo verso le scarpe nere di Crowley.
Si chiese perché dovette capitargli proprio quello sfigato egoista di fianco e cosa aveva fatto di male in quella vita per meritarsi tante persone pedanti attorno.
La sedia su cui dondolava tornò a poggiare su tutte e quattro le gambe e i gomiti a tastare il banco verde, con il pollice sfilò l’anello d’acciaio dalla forma quadrata che gli aveva regalato suo padre e prese a sfregarlo contro il banco.
Mentre occupava l’ora restante a disegnare piuttosto che ascoltare la lezione si convinse che passare il pomeriggio in punizione sarebbe stato meglio che incrociare Michael e gli altri dopo il tiro che gli aveva lanciato e la loro assenza in aula era la riprova che il suo piano fosse andato a buon fine.


Nel pomeriggio ciò ch’era stato un boato incessante d’acqua e tumulti fulminei s’era ora trasmutato in una sorta di placida quiete, pronta a calmare anche i cuori più irrequieti. Il cielo era ancora coperto da ampie nubi scure ma il grigiume che ne scaturiva donava quella calma confortante in cui Dean poteva crogiolarsi a discapito del logorante silenzio.
Se il biondo avesse avuto il senso delle iperbole avrebbe di certo saputo riconoscere un parallelismo tra il suo stato d’animo e l’andamento climatico di quella giornata, ma Dean non amava la poesia o forse credeva di non poterla amare, troppo impegnato ad essere ciò che  avrebbe dovuto e dentro quell’essere, sparire.
Lasciò che lo zaino scivolasse dalla sua mano al pavimento e tornò a sedere su una sedia troppo dura per poter essere comoda.
In aula v’erano solo tre studenti e lui li conosceva tutti. Ciò non significava fossero amici, tutt’altro. Il massimo dei rapporti scolastici che il biondo instaurava altro non era che echi distorti degli interessi che avrebbe dovuto avere.
Lui amava giocare a football, amava bere, fare festa e trangugiare hamburger. I ragazzi come lui avevano uno scopo e degli obiettivi, primo tra tutti la popolarità e nella popolarità non era concesso concedersi. C’erano solamente Dean ed il suo gruppo, il resto delle conoscenze non era altro che insalata decorativa ai lati d’un Hamburger; futile, evitabile.
Lasciò scivolare la guancia lungo il braccio e fece in modo che la nuca venisse sostenuta dal polso. La stanchezza iniziava a farsi sentire e gli occhi faticavano a restare aperti. Il professore li stava ignorando completamente, dedicando tutta la sua attenzione al cellulare che probabilmente riproduceva un video.
Proprio nel momento in cui Dean stava per chiudere le palpebre il rumore della maniglia cigolante dell’aula di cucito lo riportò alla realtà, costringendolo a sollevare lo sguardo verso la porta, senza però cambiare la posizione in cui era accomodato.
Il volto d’un ragazzo castano spuntò appena attraverso la mezza apertura, cercava il professore con lo sguardo e non appena l’ebbe trovato fece un passo in avanti, lasciandosi la porta socchiusa alle spalle. Tra le mani aveva un foglio di carta, Dean affilò lo sguardo convinto quasi che a quella distanza sarebbe riuscito a leggere cosa vi fosse riportato.
«Stavo cercando delle informazioni.»
La sua voce era profonda, troppo profonda per un ragazzo del liceo. Lo sguardo verde di Dean cercava di comprendere a cosa fosse dovuta la presenza di quel tipo strambo nell’aula in cui venivano scontate punizioni, visto che evidentemente non era lì per il loro stesso motivo.
«Si, dimmi tutto.»
«Stavo cercando la segreteria ma… non riesco a capire in che punto si trovi. Il professore con la tuta blu mi ha indirizzato qui.»
Il professore con la tuta blu? Ma che diavolo stava dicendo quel cretino?
Una mezza risatina femminile costrinse Dean ad interrompere quel contatto visivo. Meg cercava di trattenersi dal prenderlo esplicitamente in giro, fallendo miseramente.
Dean tornò a lui, aveva uno sguardo confuso ma allo stesso tempo d’un intensità che non riuscì a spiegarsi. Riconobbe un accento dell’est e comprese che doveva essere straniero.
«Probabilmente parli del bidello.»
Intervenne il professore, ammonendo Meg con uno sguardo rassegnato. Gli occhi del ragazzo passarono da lui a lei. Ora chinava il volto, probabilmente si chiedeva cosa ci fosse di divertente nelle sue parole e a giudicare dalla sua espressione, doveva essersi risposto che la causa di tanta ilarità provenisse dal suo accento.
«Meg ti accompagnerà in segreteria molto volentieri, vero Meg?»
«Per allontanarmi da qui, posso accompagnarlo anche in paradiso!»
Rispose prontamente la ragazza, masticando una gomma in modo fin troppo esplicito per passare inosservato. Dean tornò ritto sulla sedia, bloccando con il palmo il cammino della ragazza.
«Posso andarci io, prof. Devo consegnare dei file al preside.»
«Figurati Winchester, chi pensi che ci creda? »
Taci, Meg.
Il professore scosse il capo troppo in fretta, impedendogli di argomentare quella bugia e facendo cenno a Meg e al ragazzo di uscire. La mora obbedì ma non prima d’aver mostrato il medio a Dean mentre l’altro si limitò a guardarlo ancora con quell’espressione confusa sul volto. Gli portava alla mente quell’uccellino che suo fratello Sam aveva salvato a sei anni; la stessa smarrita agitazione.
Sam s’era prodigato a nutrirlo per settimane, aveva cercato di aiutarlo a riprendere a volare fino a quando suo padre non l’aveva trovato e fatto sparire. Dean non gli aveva mai chiesto in che modo.
La sensibilità di Sam a volte spaventava suo padre e per lui commettere delle stronzate era lecito. Come era lecito per Dean non fare nulla e lasciare che un bambino di sei anni soffocasse tra lacrime disperate notte e giorno.
Era per il suo bene, si diceva John.
Era suo padre e lui lo amava, ma a volte era troppo duro. Spesso litigavano e Sam ci finiva in mezzo.
Non aveva mai dimenticato quell’uccellino e tutto il tempo che gli aveva dedicato, Sam era solo un bambino e ci aveva creduto, ma il padre non l’avrebbe capito.
La verità in quel momento era più semplice; Dean avrebbe voluto uscire da quella stanza ed ogni occasione sarebbe stata buona per farlo. Quel ragazzo poteva essere la scusa perfetta eppure gli era sfuggita.




 

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Primo capitolo, mi rendo conto sia piuttosto breve ma cercherò di rimediare con i prossimi!!
Se vi piace o avete delle correzioni costruttive commentate pure con una recensione!
Buona lettura!

 


 

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Capitolo 3
*** II ***




II
Di lineamenti sovietici e feste indesiderate.

 









 


9:30 AM

“Credo che metterò quella gonna rossa che abbiamo comprato ieri. Tu evita gli orecchini di perle, che ormai neanche mia nonna li indossa più.”
La voce trillante di Rubi inneggiava per tutto il corridoio e probabilmente importunare il resto della scuola con quel fischietto che si ritrovava in gola era tra gli obiettivi mattutini della cheerleader.
Dean affiancò il gruppo di ragazze che sostavano -come ogni santo giorno- davanti al suo armadietto e lo aprì, posando il libro di algebra al suo interno.
“Di che festa parli oggi, Rub?”
Le pose quella domanda pur non essendo propriamente interessato alla risposta. Era una sorta di protocollo da seguire quando la si vedeva nei paraggi, ogni festa che si rispettasse era pubblicizzata da Rubi.
“Come, non lo sai?”
Domanda retorica, pensò Dean. Che in tutta risposta scrollò le spalle in un mezzo sorrisetto.
“Nick da una festa questo fine settimana! Sei il quarterback devi per forza saperlo.”
“E venire!”
Intervenne improvvisamente Sophie e lo sguardo smeraldo di Dean passò dalla mora alla bionda che la affiancava.
“Sapete com’è con Nick, non possiamo certo definirci buoni amici.”
“E’ anche consapevole che la tua assenza può decretare la riuscita o la disfatta della festa!”
Aggiunse Rubi, in un sorriso felino.
“Quindi non mancare, Winchester.”
“Non vi farei mai un tale torto.”
Le dedicò un occhiolino colmo di opportunismo mentre, con un gesto secco della mano, si apprestò a chiudere l’armadietto.
“Winchester, non sei ancora espatriato allora!”
Uno zaino verde lo colpì sul polpaccio, distraendolo dalla conversazione. Dean sollevò lo sguardo intercettando il resto della squadra e pensò che se si fosse trovato in una commedia americana da quattro soldi in quel momento avrebbe visto i suoi amici camminare al rallentatore.
Rafael avrebbe catturato la telecamera, vista la posizione centrale e quel sorriso perfetto da latino che possedeva la capacità di fondere ogni donna entrasse nel suo raggio d’azione. Per Nick alle sue spalle la storia era diversa, invece. Lui era un vero stronzo con tutti, non ci sapeva fare nemmeno con le ragazze e  detestava Dean Winchester con tutto se stesso.
“Vedo che hai trovato i pantaloni!”
Esclamò il biondo e Rafael rise, dando un colpo di palmo alla spalla di Dean.
“Sai fratello, la devi smettere con questi scherzi o un giorno di questi in quel cassonetto ci infilo te invece dello strambo.”
“Ma se non riesci nemmeno a sollevarmi.”
“Mi devi una polo di Ralph Lauren. Le mutande puoi tenerle, lo so che le annusi di nascosto.”
Dean scoccò la lingua contro il palato, dedicando al moro un’occhiataccia sarcastica.
“Devo capire ancora perché voi uomini troviate divertenti queste battute squallide sulla vostra sessualità.”
“Rubi, sei ancora qui? Pensavo fossi andata via tempo fa’.”
Rafael rise, incalzando il collega.
“Non l’avevo neanche vista, è al di sotto della mia soglia visiva, infatti pensavo parlassi da solo!”
“Vedete di essere puntuali a biologia, trogloditi.”
Concluse la mora, arricciando il naso con fare stizzito prima di voltarsi per svolazzare via assieme alla biondina.
“La tagli tu la mia rana oggi?”
“Taci Winchester.”
“Amano chiamarmi per cognome.”
“Forse perché il tuo sembra il nome di un cagnolino.”
La voce di Nick si interpose su quella di Rafael, annullandola completamente.
“Le tue battute si fanno più intelligenti ogni giorno Nick…”
Si limitò a rispondere il biondo, vuoto del desiderio di uno scambio di battute con l’altro. Defilarsi in quel momento gli sembrava la cosa più sensata da fare, quindi salutò il compagno di squadra con un cenno del capo e si diresse con calma verso l’aula di biologia.

Le pareti bianche dell’aula sembravano riflettesi negli attrezzi adagiati sui banchi, o quantomeno rispecchiavano sul loro lato in metallo e Dean pareva come sempre essere più interessato alle molteplici variazioni di colore piuttosto che alle parole della professoressa.
Inclinando leggermente il bisturi riusciva a vedere il volto di Anna, a qualche banco di distanza da lui e se lo scostava verso l’altro il riflesso delle spalle di Garth riempiva completamente la lama.
Prima che potesse fare qualsiasi cosa per impedirlo, il gomito di Michael gli fece perdere a tal punto l’equilibrio da farlo scivolare con il braccio in basso, causando un rumore sordo che trasferì la concentrazione dei suoi compagni dalla lavagna a lui.
Gli occhi infiammati del Winchester andarono a incatenarsi al profilo perfetto del biondo alla sua sinistra, cercando di fulminarlo nonostante il distaccato interesse dell’altro.
“Devi prestare attenzione.”
Sibilò l’ala destra, corrugando la fronte in modo quasi impercettibile.
“Lisa mi ha detto della tua insufficienza in matematica, è inammissibile Dean. Hai intenzione di abbandonarci alla finale?”
Quella domanda aveva l’amaro sapore della realtà. Il quarterback si strinse nelle spalle, schiarendosi la voce per evitare di rispondere ma l’altro allungò ancora il gomito per richiamare la sua attenzione, stavolta toccandogli appena il polso.
“Potresti anche guardarmi mentre mi parli, Mike.”
Michael aveva il carisma del leader, loro due faticavano ad andare d’accordo vista la tendenza al  comando di Dean. Era infatti quest’ultimo a decretare legge nella squadra, in un modo più semplice e infuocato, diverso da quello dell’altro. Michael sembrava essere la rappresentazione fisica del controllo e della calma. Era posato, studiato, metodico. Aveva una sicurezza quasi contagiosa.
“Non voglio che Nick prenda il tuo posto.”
Dean corrugò la fronte. Era dunque questo il problema?
Fu naturale per lui esprimere tutto il disappunto in una mezza risata sarcastica che fu nonostante tutto in grado di degnarlo dell’attenzione dell’altro, ora rivolto verso di lui, con una velata confusione a deturpargli il volto.
“Sono divertente?”
Chiese quasi innocentemente, tanto che Dean iniziò a domandarsi se quello non fosse un suo modo contorto di mostrare interesse o, in qualche modo, lasciargli capire che gli importava anche di lui oltre che della partita.
“Non sei divertente, sei solo pesante.”
“Se tu ti applicassi un minimo non dovremmo neanche parlarne.”
“Possiamo parlarne questo fine settimana, alla festa di Nick.”
“Non ci vengo.”
“Ma se è a casa tua!”
Michael scrollò le spalle, schiarendosi la voce per intimare a Dean di tacere.
“Hai problemi con il fratellino?”
Il biondo serrò appena le dita della mano destra che stringeva la matita, sfregando lentamente con l’unghia del pollice il legno che incatenava la mina.
“Non mi piacciono le feste.”
Dean pensò che in parte fosse vero e nonostante la tensione del muscolo mascellare volesse rivelare un fastidio di tutt’altra natura, decise di ignorarlo e lasciar cadere così il discorso. Gli scheletri negli armadi e i problemi di famiglia andavano lasciati a casa e quella discussione era morta nello stesso modo in cui era iniziata.
Non avevano mai parlato davvero, non erano tipi in grado di farlo.
Sollevò finalmente lo sguardo in direzione della professoressa Harvelle tanto per dare un contentino al compagno di banco, riuscendo a mantenere la concentrazione giusto i minuti necessari a trovare una nuova distrazione, distrazione che stavolta aveva un volto che non rifletteva le parti bianche dell’aula di biologia.
Il ragazzo che aveva visto il giorno prima prendeva appunti su un quaderno dalla copertina azzurra in un banco ai lati della stanza. Prestava un’attenzione quasi eccessiva, innaturale. Sembrava perso tra le varie nozioni che filtrava dal cervello alla punta dei polpastrelli. Quell’espressione concentrata al limite del disappunto portava Dean a chiedersi a cosa volesse mai opporsi. Quindi tornò con gli occhi alla lavagna per cercarne una motivazione, ma esponeva solo uno schema sull’origine e l’evoluzione delle cellule. L’unica cosa che riusciva ad assimilare era il titolo, scritto in maiuscolo con un gessetto di colore rosso. Il resto sembravano parole inventate da Tolkien e lanciate lì affinché risultassero involute.
Tornò con gli occhi al ragazzo e in quel momento realizzò che non conosceva nemmeno il suo nome.
“Michael…”
“Mh?”
Il biondino chinò appena il viso verso Dean, senza interrompere il contatto visivo con la lavagna.
“Sai come si chiama il tipo nuovo?”
La mina nera della matita 2b di Dean andò a puntare esattamente al centro del viso del ragazzo, affinché Michael capisse di chi stesse parlando. Lui Indossava una maglia verde ed una giacca di Jeans nera, difficilmente sarebbe passato inosservato e non per il suo strambo modo di vestire, quanto più per una questione di estetica.
Michael affilò lo sguardo e si strinse nelle spalle.
“L’hanno presentato alla prima ora, quella che hai saltato.”
Dean prese quell’ammonimento con un sorriso sferzante.
“Quindi?”
Chiese, e Michael continuò:
“Non ricordo il suo nome, è qualcosa come Carl o… Fassel.”
“Sono due nomi molto simili tra loro Mike, è facile confondersi.”
Rispose Dean con sarcasmo, sfregando la mina contro il banco e mantenendo il contatto visivo verso il nuovo arrivato.
“Senti non mi ricordo, so che viene dalla Russia, ne parlava stamattina Lisa.”
Russo, certo. Quei tratti somatici non potevano essere Americani.
“Tu parli troppo con la mia ragazza.”
“Tu non ci sei mai.”
“Quindi?”
Chiese ancora una volta, canzonandolo con lo sguardo. “Ciò ti autorizza a passare del tempo con lei? Eh Miky-mouse?”
Continuò e Micheal corrugò la fronte, tornando a guardare la lavagna.
“Non rientra nel mio codice morale andare a letto con le ragazze dei miei amici.”
“Dai, Mike. Ridi un po’. Ti prendevo in giro!”
“Smetti di farlo.”
Quella risposta lapidaria lasciò cadere ancora una volta la discussione in un baratro nero e Dean non poté far altro che lasciarla precipitare con una risatina compiaciuta. Tornò poi al russo, ancora concentrato sulla spiegazione, tanto concentrato da essersi trasformato nel fulcro della distrazione del quarterback, i cui occhi andavano a studiare quei lineamenti marcati e la linea precisa delle sopracciglia. La sua provenienza spiegava la durezza nella voce e l’espressione confusa probabilmente dipendeva dalla differenza culturale, forse era più concentrato degli altri perché cercava di tradurre ciò che la professoressa diceva, anche se l’ultima volta che l’aveva sentito parlare si era espresso con una spigliatezza degna di un madrelingua.
Probabilmente sarebbe stato suo rivale come re del ballo di fine anno, ne era certo. Conosceva quell’ammasso di oche che amavano sentenziare chi era cool e chi no e quel ragazzo aveva tutte le carte in regola per aggiudicarsi un posto nel loro tavolo a mensa.
La matita che teneva tra le mani sembrava essere una HB, lo capiva dalle strisce verdi e nere che ne dipingevano il legno. La mano che la sosteneva era più robusta della sua, pressava il polpastrello del pollice contro il legnetto e lo sfregava lentamente verso il basso, fino a toccarlo con la punta dell’unghia per poi ritornare in su, di nuovo con il polpastrello. Se non fosse stato limitato dalla sua stessa mente Dean si sarebbe permesso di giudicare quei movimenti quasi erotici, nella loro genuinità. Continuava ad osservarli con una sorta di ipnotico vincolo, dato dalla sua concentrazione e dall’assimilazione delle nozioni spiegate. Era così intensamente estraniato dal mondo che Dean si era permesso di osservarlo senza il timore di essere beccato, fino a quel momento.
Prima o poi uno sguardo così perituro viene percepito e anche una persona assorta finisce per tornare alla realtà. Quindi quando inevitabilmente il russo diresse lo sguardo verso di lui, Dean non poté far altro che mantenerlo nella stessa direzione per qualche secondo. Se si fosse scostato immediatamente avrebbe tradito un imbarazzo che non stava provando.
Probabilmente era solo abitudine ma in quel gioco di potere stava già perdendo.
Gli occhi del russo erano molto più intensi dei suoi, spingevano in una maniera che non era in grado di contrastare e non mollavano la presa pur non sapendo per che cosa stessero combattendo.
Dean fu il primo a cedere, con la bocca dello stomaco in fiamme e una struggente voglia di vomitare tornò con lo sguardo alla lavagna con apocrifa indifferenza, mentre la testa veniva sostenuta con il palmo della mano e il volto mascherato da una noncuranza che si obbligò a provare.
Nonostante tutto sentiva ancora gli occhi di lui sul viso ed erano perforanti. Si chiese cosa potesse pensare e si rispose che, probabilmente, non era una cosa così poco frequente per il ragazzo nuovo essere adocchiato dai compagni. Faceva parte del pacchetto, tutti erano curiosi e anche Dean meritava la sua fetta di curiosità.
Ora che il russo aveva percepito la presenza del quarterback nella stanza, Dean sapeva che non avrebbe più potuto osare tanto in futuro, né lì, né in nessun altro luogo.

***

12:05 AM

Michael sentì il rumore scuotergli i nervi, ma si trattenne dal mostrare qualunque reazione, consapevole di avere tutti gli occhi degli amici puntati addosso.

Sapeva di non essere corretto nel ritenerli invadenti, ma il mese passato in ospedale lo aveva inselvatichito e la stanchezza lo rendeva insofferente.
“Mike va tutto bene?”
Il biondo concentrò tutto il proprio autocontrollo nel non alzare gli occhi al cielo, possibile che nessuno riuscisse ad essere originale? Sarà stata la quinta volta che gli rivolgevano quella domanda ed erano solo arrivati al pranzo.
“Sì Zack, non sono più abituato a tutto questo rumore, ma sto bene.”
Benny storse il naso, quasi sicuro di averlo sentito affermare in passato di adorare il vociare disorganizzato della mensa.
“E’ per il rumore che non vuoi esserci sabato alla festa?”
Chiese, e gli occhi color ghiaccio di Michael vennero obliterati dalle palpebre mentre cercava di convogliare la calma, aspirandola in un profondo respiro.
“Smettete di parlare di questa festa, non verrà mai!”
E finalmente sentì l’irritazione abbandonarlo all’improvviso, scivolando via al suono di una voce baritona fin troppo familiare, quella di Dean.
“Hey brutto bastardo! Lo sai che ce la pagherai molto presto, vero?”
La maturità di Zack si espresse in tutta la sua completezza quando una coscia di pollo colpì la maglia nera del quarterback, lasciando un bell’alone di grasso sul centro della stessa.
“Sul serio amico? Ho un appuntamento più tardi.”
“Il pepe ce lo aggiungi tu, allora.”
Benny roteò gli occhi al cielo a quella pessima battuta, spalmando la schiena contro la sedia e tamburellando la faccia ellittica del cucchiaino sul budino alla vaniglia.
“Anche il pene.”
La servì infine, molto più sporca e spontanea di quella di Zack. Tanto stupida che perfino Michael rise e Benny tese le labbra in una soddisfazione totalitaria.
Dean si accomodò al fianco del moretto e gli rubò il budino dal vassoio.
“Tanto non lo mangi.”
Disse, leccando via dal coperchio il resto della crema.

Ed eccoli lì, a pranzare come ogni giorno in mensa e occupare il tavolino più ambito della scuola. Neanche alle ragazze era permesso di mangiare con loro, quel posto era riservato alla squadra di football e far parte di quella realtà era stata per Dean una delle cose migliori gli fossero mai capitate. Non aveva intenzione di perdere la possibilità di un buon college e nemmeno di non giocare più dopo il liceo. Non vedeva l’ora di andarsene il più lontano possibile e lasciarsi tutta la merda alle spalle.
Afferrò una coscia di pollo e la morse senza grazia, lasciando che l'olio e il grasso della cottura gli colasse dalle labbra al mento per poi tornare nel vassoio bianco.
“…noi ci terremmo davvero che tu venissi, siamo sicure che ti divertirai e sarà un ottimo modo per integrarti al meglio!”

Dean alzò gli occhi dal vassoio con la fronte corrugata e lo sguardo perso: Perché la voce di Rubi doveva disturbarlo anche a pranzo? E perché stava parlando con il sovietico?
Afferrò uno dei fazzoletti al centro del tavolo e lo utilizzò per asciugarsi le labbra, lasciando che la lingua scivolasse tra i molari per raccattare i rimasugli di cibo incastrati tra i denti.
Intanto guardava Rubi, che sorrideva al ragazzo nuovo con fare civettuolo. I nuovi pesci andavano adescati prima che chiunque altro riuscisse a farli abboccare e quel tale sembrava proprio essere un bel trofeo per il gruppo di cheerleader.
“No grazie, non mi interessa.”
Dean chinò il viso ed affilò lo sguardo. Quale pazzo rifiutava l’invito di una come Rubi? Quale folle non assecondava una tale iniziazione? L’invito ad una festa valeva dire popolarità e Dean non ci credeva che quel genere di gerarchie non fossero consuete anche nella russia sovietica.
“Io comunque ti lascio l’indirizzo! Ecco tieni… non deluderci!”
“Non deluderci!”
Scimmiottò il quarterback storcendo le labbra e quando Benny si voltò verso di lui per capire a cosa alludesse scosse il capo, simulando un imbarazzato colpo di tosse. Gli occhi però erano ancora puntati a guardare la scena, curiosi di scorgere in che punto della mensa il moro avrebbe deciso di sostare.
Si guardava attorno ed era da solo, al centro della sala grande, con il vassoio in mano. Dean puntò lo sguardo verso i suoi compagni che occupavano tutto il tavolo e poi tornò a lui, spaesato come lo era stato suo fratello il primo giorno di scuola. Rimase a fissarlo in silenzio finché quegli occhi azzurri non lo intercettarono e lo stomaco di Dean venne pervaso da una fiammata prepotente che risaliva sulla bocca dello stomaco e spingeva verso il costato. Odiava quella sensazione, lo agitava.
Si schiarì la voce, ignorando i battiti accelerati di una tachicardia forse dovuta all’eccesso di zuccheri assunti in mattinata e fece per alzarsi quando in lontananza Meg lo anticipò dal tavolo in fondo alla sala per dichiarare a lui la sua presenza.
“Castiel qui!”
Urlò e lui sconnesse i loro sguardi per dedicarsi a lei e risponderle con un sorriso. Era la prima volta che lo vedeva sorridere e quasi trovò strana quella mutazione sul volto. Castiel tornò a voltarsi ancora una volta verso di lui prima di raggiungere Meg e Dean si lasciò cadere sulla sedia, chiedendosi come avrebbe giustificato il gesto che aveva avuto in mente di fare fino a qualche secondo prima.
Grazie Meg, senza saperlo mi hai salvato la vita.

***

14:30 PM

Sam non voleva salire sulla moto.
Troppo imbarazzante per lui tornare a casa stretto al busto di suo fratello maggiore e Dean sarebbe anche stato d’accordo nel lasciarlo tornare a piedi se casa loro non si fosse trovata in periferia.
Quindi attendeva placidamente che tutti uscissero dalle aule, adagiato su una delle panche del parco scolastico mentre il braccio  dondolava mollemente sullo schienale verde.
“Come sono le lezioni?”
Chiese il maggiore, pur non essendo propriamente interessato alla risposta. Con Sam non si poteva parlare di ragazze o motori, no. A lui interessavano sul serio le materie scolastiche. Il che forse avrebbe impedito a lui un futuro da barbone, se ci si voleva concentrare sull'altro lato della medaglia.
“Non male, oggi abbiamo fatto la prima vivisezione e Charlie ha vomitato.... ma non credo fosse per lo schifo.”
Dean arricciò il naso con disgusto.
“Non avvicinarti ai perdenti, Sam. In questa scuola sono veloci a stampare i codici a barre sulla fronte.”
Sam corrugò la fronte, indeciso se rispondere o meno all’asserzione di suo fratello. Non era d’accordo e questo era ovvio, anzi lo infastidiva la facilità con cui tendeva a giudicare e catalogare una persona di cui aveva sentito solo parlare.
“Charlie è mia amica, non è una perdente.”
“Oh, è una ragazza?”
Sam scrollò le spalle, evidenziando con lo sguardo la futilità di quella domanda e Dean continuò:
“Lo chiedo perché se lo fosse e ti piacesse, dovresti proprio invitarla ad uscire."
Il minore sollevò lo sguardo sul fratello, scuotendo il capo con rassegnazione. Non rispose ancora, si limitò a scalciare lontano uno dei sassolini adagiati sull’asfalto, poi riprese a parlare:
"Magari lo farò alla festa di Nick, sabato.”
“Certo, la festa di Nick mi sembra un’ottima..."
Il volto di Dean rimase bloccato per qualche secondo, giusto il tempo necessario a permettere alle informazioni di essere elaborate, studiate e riportate nel cervello.
“Nick ti ha invitato alla festa?!”
Chiese, ma quella domanda vestiva più come un’asserzione e non sembrava concedere molte vie di fuga al minore.
“Sì, ha invitato me e Vince, ha detto che possiamo portare chi vogliamo. "
Perché Nick invitava suo fratello a party pieni di Alcol e droghe? Non poteva permettere a Sam di andarci, ma impedirglielo equivaleva a creare un nuovo nemico e in quel periodo era l’ultima cosa di cui aveva bisogno.
"Nostro padre non vorrà mai. Te lo negherà.”
“Non se tu sarai con me."
Certo, doveva fare da balia al fratellino quando avrebbe potuto scopare in camera di Michael.
“Non–– Sammy io non sono molto affidabile.”
"Lo sono io, però. Pensi che sia così stupido da finire nei guai?”
In effetti non lo era, ma Dean si conosceva e sapeva che quella situazione sarebbe finita male per entrambi, ma più per lui.
“Sono usciti tutti. Vogliamo andare?”
“Sì, lo dirai tu a papà però, ok?”
“Ovvio, Sammy. Figurati se evito di prenderle per te.”


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Fine del secondo capitolo! Spero vi stia piacendo nonostante la storia prosegua per ora con la calma che merita! Prometto tante tragedie future!!

 

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