Pokémon the Gathering - La Poltrona di Galar

di ThePrankstersPage
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cieca Eternità ***
Capitolo 2: *** Nebbia ***
Capitolo 3: *** Creature Tascabili ***
Capitolo 4: *** Mostri Giganti ***
Capitolo 5: *** Verso la Città ***
Capitolo 6: *** Che lo scontro abbia inizio! ***



Capitolo 1
*** Cieca Eternità ***


Non vi erano alberi né rocce né acqua. Sembrava un posto vuoto, un interminabile corridoio completamente spoglio e buio, in cui l'unica fonte di luce erano varchi che brillavano di colori diversi e ognuno di essi conduceva in un universo parallelo a sua volta differente. Era come una grande rete che teneva uniti tutti i mondi e ogni popolo che li abitava la conosceva come Cieca Eternità. Il mana la dominava ed era così denso e saturo che qualsiasi comune essere vivente sarebbe stato disintegrato in pochi istanti, se avesse provato a mettervi piede. Tuttavia, Oko ci era dentro, fino alla più alta punta rossa della corona che aveva in testa, e completamente illeso camminava guardandosi intorno con aria confusa e cercando di ricordare come ci fosse arrivato.

Tutto era avvenuto quando ancora si trovava nel suo regno. Stava nascendo una nuova società e la classe dirigente che si era sostituita alla precedente aveva ordinato di eliminare o riconvertire tutti coloro che si sarebbero ribellati alle nuove leggi. Oko era un ribelle malizioso, nato con poteri magici eccezionali e quelli come lui erano ormai diventati degli individui intollerabili agli occhi di quella comunità. Quando successe quello strano avvenimento, la creatura fatata era stata catturata e si trovava incatenata in una stanza; sentiva delle voci minacciose ripetersi e ripetersi tutt'intorno a lui, assordanti nelle sue lunghe orecchie a punta: «Dimenticherò la malizia e i miei poteri e servirò questa società con assoluta fedeltà! Dimenticherò la malizia e i miei poteri...» Lo stavano torturando sottoponendolo alla tecnica dell'ipnosi e sarebbe diventato un individuo perfetto, uguale a tutta la massa: non avrebbe più avuto i suoi poteri e certamente non si sarebbe più ribellato. Non più se stesso, non più unico nel suo genere. Oko non voleva tutto questo e ricordava bene tutta la lotta contro il dolore fisico e psichico che cercavano di dominarlo, ma improvvisamente tutto era diventato bianco e subito dopo aveva provato una sensazione di leggerezza, come se l'aria lo avesse dolcemente trascinato altrove.

E lo aveva trascinato altrove! Esattamente nel vuoto della Cieca Eternità. La creatura non credeva ai propri occhi: possibile che in quel momento in cui tutto sembrava perduto, qualcosa in lui si fosse acceso come...una scintilla? E che quella cosa l'avesse portato in salvo, lontano dal pericolo?

Qualcosa di straordinario era successo: quei torturatori non solo non erano riusciti a riconvertirlo, ma avevano anche acceso quella sua scintilla che, sopita, era sempre stata in lui, sin dalla sua nascita. Era appena diventato un VIANDANTE e come tutti i Viandanti poteva finalmente viaggiare da un universo parallelo all'altro, quella scintilla lo avrebbe guidato dove voleva. Nessuno sarebbe più riuscito a catturarlo e a torturarlo, quel regno ribollente di ipocrisia e corruzione era ormai lontano.

Oko si sentiva finalmente libero e dal quel momento avrebbe davvero potuto fare quello che voleva, quando voleva e come voleva, senza conseguenze: gli sarebbe bastato scappare nel vuoto tra i varchi e tutti i problemi sarebbero andati via in un batter d'occhio. Ma aveva appena iniziato ad assaporare quell'attimo di gioia che qualcosa interruppe bruscamente i suoi pensieri.

«GROOOAAASSSHHHH»

Un ruggito spaventoso riecheggiò in lontananza alle sue spalle; sembrava che in quell'istante mille dragoni avessero ruggito tutti insieme in una volta sola. Oko sentì il sangue nelle sue vene gelarsi ed era incredulo: non potevano esserci draghi nella Cieca Eternità...o forse sì? Si girò a guardare in direzione del rumore e fu allora che in lontananza riuscì a distinguere una luce debole, rotonda e bianca. Era una luce insolita, diversa da quelle emanate dai varchi e il VIANDANTE, incuriosito, restò fermo a guardarla, ma ora era diventata più grande e luminosa. Stava progressivamente aumentando e...veniva verso di lui, ora sempre più veloce! Oko notò che anche la forma stava cambiando: era sempre un nucleo bianco, ma tutt'intorno stava assumendo sempre di più l'aspetto di una mano a cinque dita. Anche i colori stavano cambiando, la mano sempre più rossa e le dita sempre più spinate e blu.

«GROOOAAASSSHHHH»

La cosa enorme ruggì di nuovo, si era fatta vicinissima e...quelle non erano dita! Cinque gigantesche teste corazzate e prive di occhi venivano verso di lui, affamate e inarrestabili. Oko iniziò a correre come non aveva mai corso prima, mai e poi mai avrebbe voluto morire nella Cieca Eternità, mangiato da un'idra a cinque teste. La bestia gli era ormai alle costole e il VIANDANTE iniziò ad avvertire la sensazione che il tempo trascorso in quel vuoto stesse per finire. Che delusione, pensò, nemmeno i Viandanti potevano sopravvivere a lungo in quel posto. Oko era nel panico, il mana stava iniziando a consumarlo, ma perché sul gigante che lo stava inseguendo non aveva lo stesso effetto? Possibile che fosse fatto della stessa materia che componeva la Cieca Eternità e che quella fosse la sua tana? Non riusciva a smettere di pensarci, ma più che ci pensava, più il terrore aumentava, nel tentativo di cercare un varco in cui tuffarsi. L'immonda creatura spalancò le cinque mascelle, mostrando lunghe lingue rosse a strisce bianche e luminose e i colli robusti e corazzati iniziarono a chiudersi a pugno davanti e sopra di lui, mentre il mana continuava inesorabilmente a consumarlo: era in trappola, era finita, la Cieca Eternità lo avrebbe inghiottito per sempre, ma davanti a lui vide un varco farsi sempre più vicino. Oko sentì la speranza accendersi nuovamente in lui come una scintilla e si abbassò appena in tempo per schivare una gigantesca bocca dentata e pronta ad afferrarlo. Il varco era già a pochi metri da lui, ma vide che le teste si erano disposte ai suoi lati e stavano iniziando ad allinearsi, no, volevano schiacciarlo e si sarebbero scontrate nel farlo. Con tutta la sua forza si diede una spinta nelle gambe e fece un gran balzo in avanti verso la luce del varco. Le teste si scontrarono le une contro le altre, ma non riuscirono a prenderlo.

Oltrepassò il portale, mentre il ruggito del mostro riecheggiò dalla parte opposta. Aveva smesso di inseguirlo, ma, nell'atterraggio, Oko perse l'equilibrio e si ritrovò a rotolare giù in discesa su una superficie umida, fresca, terrosa ed erbosa. La caduta sembrava interminabile e il VIANDANTE sentiva il terriccio umido e la ghiaia entrargli in bocca, negli occhi, nei pantaloni e pungergli il corpo tutt'intorno, mentre rotolava. Era una sensazione fastidiosa per uno come lui, non riusciva a frenare con le dita unghiate e sentiva le forze iniziare a venirgli a mancare. Con tutto quel correre e cadere, prima o poi sarebbe morto, pensava, ma ecco che andò a sbattere contro il tronco muschioso di un albero caduto e finalmente tutto finì.

Oko provò a rialzarsi, intontito, la testa che gli girava, il bel corpo muscoloso ora tutto dolente e i lucenti capelli neri ora tutti arruffati, terrosi, erbosi e in disordine. Anche il mantello di piume nere e lustre che gli scendeva lungo la schiena era tutto sporco e sbarbato, così come i suoi pantaloni lunghi e scuri. Il torso nudo e pallido ora marrone di terriccio, così come la sua faccia delicata. Così non è elegante, pensò, e inizio a risistemarsi con cura. Era disperato, gli veniva quasi da piangere. Quella sua bellezza che aveva passato ore e giorni a curare, rovinata da una stupida caduta. Assumere un aspetto illusorio non sarebbe bastato.

Si chinò a raccogliere la corona a punte rosse che, durante il ruzzolone, era rotolata via con lui. Fortuna che non l'aveva persa e che non aveva nulla di rotto, almeno quella. Fece per raddrizzarsi a indossarla nuovamente, il varco da cui era uscito si era ormai richiuso, ma Oko non si accorse che qualcosa arrivò dall'alto e lo colpì in testa. Era duro come la pietra. Il VIANDANTE lasciò cadere la corona e, girando su se stesso, cadde privo di sensi. Era giunto in quel mondo sconosciuto a notte fonda e a notte fonda era svenuto.

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Capitolo 2
*** Nebbia ***


Si era fatta mattina e l'aria era umida. Dagli alberi, gocce di rugiada cadevano tranquille sul suo corpo seminudo e sul suo viso. Era sdraiato a pancia in su e gli sembrava che dita molli e fredde lo stessero dolcemente toccando per svegliarlo. Aprì lentamente gli occhi e cercò di tirarsi su a sedere; era ancora un po' stordito e mezzo addormentato, mentre la testa continuava a fargli male e dovette portarsi una mano sopra per massaggiarsela.

Voleva anche capire in che luogo si fosse svegliato, così iniziò a guardarsi intorno: si era ritrovato sotto a un albero e dintorno tutto era immerso in una fitta nebbia, ma riusciva a distinguere, anche se a malapena, sagome di altri alberi. Ce n'erano tanti, era sicuramente in mezzo a un bosco, ma era confuso, c'era qualcosa che non gli quadrava: forse non doveva trovarsi in un posto simile o forse sì, ma i suoi ricordi non erano ancora abbastanza nitidi e continuò mezzo intontito a osservare quel paesaggio.

Una debole luce rossastra , nel terreno, in mezzo alle foglie cadute, attirò improvvisamente la sua attenzione e Oko si chinò a guardarla da vicino: era una pietra, ma era molto particolare e la raccolse per osservarla meglio. Era tutta bucherellata in superficie, come un meteorite, mentre dall'interno proveniva quell'insolita luce scarlatta che gli era molto familiare, ma dove l'aveva già vista? Nella sua mente, tutto iniziò di colpo a farsi più chiaro e allora cominciò a ricordare: la fuga attraverso la Cieca Eternità, il gigante a cinque teste, la caduta in discesa, la perdita dei sensi e...quel sasso! Era stata quella roccia a colpirlo in testa dall'alto, ma in quella foresta nebbiosa non sembrava esserci niente e nessuno in grado di lanciargli addosso un simile oggetto. Forse un furfante, accortosi di quel ruzzolone, poteva averlo fatto. In effetti, il VIANDANTE ricordava di essere stato tutt'altro che silenzioso con tutto quel rotolare, ma non era del tutto sicuro di quell'ipotesi. Riflettendoci, però, notò che la pietra misteriosa e il mostro gigantesco avevano una certa somiglianza, soprattutto nella forma e nel colore, ma anche in quella strana energia che emettevano. Poteva essere una squama che, staccatasi durante l'inseguimento, doveva aver attraversato il varco, per poi cadergli in testa poco dopo il ruzzolone. A quanto pare il gigantone poteva perdere i pezzi, pensò, e decise di tenere con sé quel sasso, come ricordo e come tesoro di cui vantarsi, ma anche come mistero da risolvere, dal momento che non aveva prove a sufficienza per dimostrare che quell'oggetto potesse davvero essere un frammento di quel bestione.

Intanto si era anche ricordato di un'altra cosa: era ancora tutto sporco di terriccio e ciò lo faceva sentire non poco in imbarazzo. Che vergogna sarebbe stato, uscire dal bosco conciato in quel modo. Chiunque l'avesse guardato avrebbe riso fino a morire, pensò, e non gli sarebbe andato giù. Si mise così in cammino, alla ricerca di un laghetto, un ruscello, si sarebbe accontentato di qualsiasi fonte d'acqua pur di lavarsi di dosso quello schifo, anche se sarebbe stato molto difficile individuarla, in mezzo a tutta quella nebbia. Si affidò all'udito e continuò a camminare con le orecchie tese, facendo attenzione a ogni suono. Sotto i suoi piedi scalzi, le foglie cadute scricchiolavano e tutt'intorno a lui il bosco non era poi così silenzioso: sui rami degli alberi, Oko poteva udire gli uccelli cantare, ma erano note strane, mai sentite prima d'allora. Magari avevano pure un aspetto strano, pensò, ma non poteva vederli, nascosti com'erano dalla nebbia.

Piano piano, mentre si faceva strada, iniziò a udire quello che sembrava il suono dello scrosciare dell'acqua farsi sempre più vicino. Non poteva sbagliarsi, aveva preso la via giusta, era giunto sulla riva di un fiume che sembrava anche abbastanza profondo da poterci fare il bagno e che aveva pure una cascatella che scendeva tranquilla. Era perfetto, il VIANDANTE non desiderava di meglio. Soddisfatto di quella visuale, iniziò a togliersi in fretta i pochi vestiti che aveva addosso e li adagiò su un masso lì vicino, accertandosi che potesse tenerli sempre d'occhio, poi, completamente nudo, si immerse con leggerezza e delicatezza. L'acqua era gelida e gli arrivava ai fianchi, ma Oko non se ne curò: il suo desiderio di lavarsi e di riacquistare la sua vera bellezza era così forte da vincere persino il freddo. Si spostò lentamente verso la cascatella e, quando vi fu sotto, iniziò a passarsi con cura le mani tra i capelli e poi su tutto il corpo, lavando meticolosamente via lo sporco che gli era rimasto addosso. Non doveva rimanere neppure il minimo granello di sabbia, doveva essere tutto pulito e perfetto. Non si preoccupava per la maschera blu dipinta in volto, così come per le pitture sulle braccia e sulle mani: erano resistenti all'acqua e non ci sarebbero stati problemi. Intorno a lui, tutto era immerso nella quiete più totale e, nonostante il freddo, il VIANDANTE iniziò a sentirsi sempre più sollevato e rilassato e si abbandonò un pochino sotto lo scroscio d'acqua, la testa rivolta verso l'alto, assaporando ogni momento in cui l'acqua toccava la sua pelle. Nel mentre, fu avvolto da una sensazione di piacere e un'espressione sognante comparve sul suo viso. Si sentiva bellissimo, abbandonato in quel modo sotto la cascata e non avrebbe provato alcun imbarazzo se qualche guardone fosse stato lì a spiarlo, anzi, avrebbe ben gradito la presenza di qualcuno a osservare e ad ammirare la sua ineguagliabile e delicata bellezza, a patto che avesse avuto buone intenzioni per farlo.

Dopo essersi rilassato sotto quello scroscio, si tirò fuori da esso e si mise a guardare attentamente in acqua: era limpida e, nonostante la nebbia, si potevano intravedere i pesci che vi stavano muotando. Sembravano enormi carpe arancioni e avevano pinne bianche e gialle, lunghi baffi e grandi occhi rotondi. Non sembravano pericolosi, anzi, nuotavano intorno a lui come se non si fossero mai accorti della sua presenza. Quel posto iniziava a piacergli sempre di più, era tutto così tranquillo, poteva rimanere lì a mollo per ore, magari per sempre, ma sentiva che non poteva restare e che avrebbe apprezzato maggiormente esplorare il mondo fuori da quella foresta sopita nella nebbia. Non c'erano malocchi da fare, prima o poi si sarebbe annoiato, perciò doveva andarsene. A piccoli passi ritornò a riva, prese i vestiti dalla roccia e, con calma ed eleganza, si rivestì. Era ritornato tutto bello pulito e poteva riprendere il cammino, così si avviò tra gli alberi, stavolta alla ricerca di un'uscita. Man mano che andava avanti, però, la nebbia iniziava a farsi sempre più fitta e Oko finì per ritrovarsi in un punto dove non riusciva più nemmeno a vedere dove metteva i piedi, infatti qualche volta gli capitò di pungerseli con dei rami appuntiti, anche a sangue, ma egli era perfettamente in grado di guarirseli in fretta con i suoi poteri magici, perciò fecero presto a smettere di sanguinare.

Mentre camminava, sopra di lui, dei rami iniziarono a scuotersi, così si fermò un attimo e alzò la testa a guardare, ma la nebbia gli ostacolava la visuale, sicché non riuscì a vedere bene cosa stesse succedendo in tutto quell'agitarsi di foglie e riprese il suo cammino. A un tratto il rumore finì e Oko sentì qualcosa di soffice cadergli in testa e saltargli sulla spalla. Girò la testa a guardare di cosa si trattasse, ma il nuovo arrivato si era già arrampicato giù per il suo braccio, per poi posarsi sulla sua mano blu. Era una piccola creatura pelosa e grigia, con due occhietti neri e lucidi, due guance gonfie e paffute e una lunga coda folta di pelo. Sembrava un normale scoiattolo, finché il VIANDANTE non udì per la prima volta il suo verso: «SKWOT, SKWOT!»

«Ma che...?» fece Oko sorpreso: non aveva mai sentito uno scoiattolo squittire in un modo così bizzarro.

«SKWOV, SKWOT, SKWOT!» gli rispose lo strano roditore. Il VIANDANTE si sentiva fortunato a essere nato fatato, poteva comprendere il linguaggio di quell'esserino e aveva capito che non era pericoloso per lui. Sembrava, anzi, incuriosito dal suo aspetto: pareva che anche per lui fosse la prima volta che incontrava un simile "essere umano", che umano poi non era, e si mise ad annusargli la mano dove stava seduto.

«SKWOV!» fece un salto divertito. Oko cominciò a osservarlo, incuriosito.

«Che cosa sei, mio piccolo amico?» chiese amichevolmente «Sei molto carino, anche se io lo sono di più. Ti ruberei e ti terrei con me per tutto il viaggio!»

«SKWOV, SKWOV, SKWOT!» lo scoiattolo sembrava aver capito cosa gli era appena stato detto e pareva ancora più felice. Sorrideva. Il VIANDANTE fatato non aveva mai visto un animaletto simile sorridergli così.

«Cosa? Restare con me?» chiese in tono affettuoso e soave «Oooh, ma che tenerello, certo che puoi rimanere! Sarò il tuo migliore amico!»

«SKWOT!» gioì la creaturina e Oko la avvicinò gentilmente alla spalla.

«Mettiti pure comodo, ci sarà da divertirsi.» un sorriso beffardo comparve sulle sue labbra pallide, mentre si apprestava a pronunciare l'ultima parola: «Vedrai!»

Si incamminarono insieme, brancolando nella nebbia. Il VIANDANTE aveva preso in simpatia quella nuova conoscenza, parlavano e scherzavano insieme del più e del meno e si tenevano compagnia.

«Sai, dolcetto, non ti dà fastidio, se ti chiamo "dolcetto", vero? Sei stato davvero fortunato a incontrare un amico assai bello e intelligente. Sono convinto che ti invidieranno tutti, non si incontra tutti i giorni un esemplare tanto eccezionale quanto il sottoscritto» Oko era un gran chiacchierone e il continuo vantarsi della propria bellezza e del proprio intelletto, alle lunghe, risultava noioso per il suo amichetto, soprattutto quella sua voce costantemente melodica e gentile era quasi fastidiosa, ma qualcosa iniziò a preoccupare quel VIANDANTE: la nebbia stava divenatndo sempre più fitta e l'uscita da quel posto sembrava essere sempre più lontana. Avrebbe potuto chiedere indicazioni al suo compagno scoiattolo nel momento in cui lo aveva incontrato, ma non ci aveva minimamente pensato e in quel momento erano giunti in un punto in cui tutt'intorno a loro era diventato completamente bianco. Non riusciva a distinguere niente, sembrava così surreale.

«SKWOT, SKWOT, SKWOT!» fece il roditore.

«Persi? Ma davvero? Non lo avrei mai detto.» rispose Oko gentilmente, ma sarcastico.

«SKWOT, SKWOV, SKWOV!» squittì. Sembrava spaventato e iniziò ad annusare nervosamente l'aria. Qualcosa si stava avvicinando a loro, ma la fata sembrava non essersene minimamente accorta e gli rispose ancora soave, ma con una leggera nota di arroganza: «Davvero divertente! Credi forse che uno scherzo simile possa farmi pau...» non fece in tempo a finire la frase che un ululato spettrale e lamentoso risuonò davanti a loro.

«AWOOOOOOOOOO»

«SKWOOOOV!» il piccoletto saltò terrorizzato dalla spalla di Oko.

«EHI, ASPETTA! AMICO!» gridò il VIANDANTE girandosi di scatto, cercando di acchiapparlo, ma il roditore era già scomparso nella nebbia. «TORNA QUI! Non lasciarmi da solo, in mezzo a...»

«AWOOOOOWOOOOOO»

L'ululato agghiacciante lo interruppe di nuovo. Questa volta, la fata distinse due lamenti diversi e si paralizzò dalla paura.

«...ai lupi.» terminò la frase con un filino di voce, terrorizzato, e si girò lentamente a guardare. Le sagome di due lupi grandi quasi quanto cavalli si stavano avvicinando a lui, furenti, in mezzo a tutto quel bianco. I due animali ringhiarono. Oko non volle perdere tempo a osservarli e iniziò a scappare, correndo come un pazzo, mentre i lupi inferociti lo inseguivano. Durante la fuga, non si curò dei ramoscelli appuntiti che gli pungevano i piedi, era troppo preso dal panico per potersi fermare un attimo a controllarli.

Nonostante il terrore lo stesse assalendo, nella corsa la fata riuscì a trovare un attimo di lucidità e si ricordò che poteva usare i suoi poteri magici contro di loro, per provare a neutralizzarli. Si voltò di scatto verso le due bestie, tendendo il braccio, e dalla sua mano partì un raggio di luce colorata che andò a colpirli in un lampo, ma i lupi uscirono da quel bagliore e continuarono a inseguirlo, completamente illesi e più feroci di prima. Adesso sì che Oko era nel panico e riprese la sua folle corsa. Non riusciva a crederci: quelle creature erano a prova di malocchio, allora provò ad agire diversamente. Il suo corpo iniziò a ricoprirsi di piume nere e a farsi più piccino, mentre un becco comparve al posto della bocca: si era trasformato in corvo e iniziò a volare più veloce che poteva per distaccare gli inseguitori, ma con tutta quella nebbia non riuscva a distinguere bene gli ostacoli e andò a sbattere contro un albero. Cadde a terra, riassumendo rapidamente le sue vere sembianze; il becco sparì, così come le ali. Aveva il fiatone, non ne poteva più di correre, ma non poteva fermarsi, quei lupi stavano ancora continuando a inseguirlo. Sentiva il loro ringhio in lontananza farsi sempre più vicino e ricominciò a fuggire.

Pensandoci bene, poteva benissimamente aprire un varco per la Cieca Eternità e non farsi più vedere, ma il pensiero che avrebbe potuto di nuovo incontrare quel mostro abominevole gli fece cambiare idea e poi era troppo desideroso di conoscere a fondo quel mondo misterioso e sconosciuto, per cui non fece nulla e continuò a scappare. Magari si sarebbe salvato lo stesso.

La nebbia stava lentamente iniziando a dissolversi, man mano che correva: stava fuggendo verso l'uscita, ma era troppo terrorizzato per darvi importanza e non osò fermarsi un momento. Uscì dal bosco senza quasi accorgersene, i lupi smisero di inseguirlo. Era ormai fuori pericolo, mentre intorno a lui si estendeva la campagna. Colline verdeggianti dominavano il paesaggio, mentre casette e paesini campagnoli avevano preso il posto della nebbia e degli alberi fitti. Era giunto su un praticello in discesa e stava continuando a correre come un ubriaco, credendo di essere ancora inseguito. In fondo al sentiero vide un cancello di legno in mezzo a un muricciolo, ma sembrava chiuso e Oko era troppo in preda al panico per trasformarsi in una bestia abbastanza robusta e forte da sfondarlo. Iniziò a correre più veloce e a testa bassa, pronto a caricarlo e convinto che avrebbe potuto superarlo con le sue sole forze.

Infatti ci riuscì: si buttò con tutte le sue energie contro il cancello, che si spalancò con facilità e con violenza e sbatté contro il muro di pietra, quasi spaccandosi. Non era chiuso come credeva che fosse: gli sarebbe bastato spingerlo dolcemente e, invece, Oko fece un lungo volo sul terreno sterrato del vialetto e cadde esausto slittando con la faccia nella terra e col sedere per aria, sollevando un gran polverone.

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Capitolo 3
*** Creature Tascabili ***


«Eh? Ehi, fratellone, hai sentito anche tu quel tonfo?» un ragazzino si girò a guardare verso la cima della collinetta, in direzione del muretto e notò che il cancello di legno si era aperto e, nelle vicinanze, della polvere si era appena sollevata, malgrado non tirasse vento. In mezzo a essa iniziò a distinguere una sagoma confusa.

«Là c'è qualcosa fratellone, è uscito dal cancello!» gridò sorpreso, ma l'altro non gli stava nemmeno prestando attenzione «Fratellone? Dandel, sto dicendo a te, puoi smetterla di coccolare 'Zard e ascoltarmi? Dai, andiamo a vedere!»

«Un momento, Hop, stavo solo...EHI, MA DOVE CORRI? Non vorrai mica ritornare nel bosco!? Se vi perdete di di nuovo nella nebbia, tu e 'Loo, sappiate che non ci sarà per sempre il fratellone a tirarvi fuori dai guai!» ma il giovanetto non lo aveva neppure ascoltato, anzi si era già avviato di corsa verso la cima della salita.

«Santo Arceus» disse in un sospiro «quanta pazienza!» e si affrettò a seguirlo.

Dandel e Hop erano due fratelli che vivevano con la madre in un paesino campagnolo, situato nelle vicinanze del bosco nebbioso. Hop era il fratello minore e aspirava a diventare come Dandel, forte e popolare tra gli abitanti di quel mondo, perciò ogni volta andava a caccia di nuove avventure, ma quel giorno si era quasi trovato a un passo indietro al raggiungimento del suo sogno: stavano tornando a casa dalla foresta ed era stato sgridato da suo fratello maggiore perché aveva rischiato di smarrire per sempre la sua migliore amica, una lanosa e candida pecorella che aveva amorevolmente chiamato 'Loo. Era scappata dal cancello, perdendosi tra gli alberi e la foschia, e il ragazzino non era riuscito a fermarla, ma fortunatamente Dandel era riuscito a ritrovarli tutti e due, nonostante il suo pessimo senso dell'orientamento. Era pericoloso avventurarsi in luoghi simili senza una creatura al proprio fianco e Hop aveva corso un brutto rischio.

Aveva ancora da imparare sulla responsabilità, ma la loro madre da sola durava molta fatica a insegnargliela e il padre se n'era andato per motivi che lei non aveva mai avuto il coraggio di spiegare. Dandel sapeva che non avrebbe mai colmato la mancanza di una figura paterna, dal momento che non era quasi mai a casa, impegnato com'era in questioni riguardanti la sua popolarità, ma se qualche volta rimproverava il suo fratellino, lo faceva solo per il suo bene e cercava sempre di accertarsi che non gli succedesse niente di brutto. Perciò fece in fretta a raggiungerlo vicino al cancello di legno.

Notò che Hop si era fermato a pochi metri di distanza dal muretto, a quanto pareva non aveva alcuna intenzione di ritornare nel bosco e perdersi di nuovo. Era immobile, accovacciato e stava fissando con molta curiosità la cosa che si trovava per terra ai suoi piedi.

Appena la vide, Dandel ebbe un sussulto e fece un passo indietro: quello non era "qualcosa", non somigliava nemmeno alle loro creature, ma era "qualcuno". Giaceva semidisteso, la faccia nel terreno, nascosta dal mantello piumato e dai riflessi blu che gli si era rovesciato scoprendogli la schiena, e il sedere all'in su. Sembrava una posizione quasi imbarazzante e divertente, ma non si muoveva, per cui Hop gli tirò gentilmente tre colpetti sulla schiena. Anche 'Loo lo spintonò dolcemente, ma quel corpo non diede alcuna risposta e la pecora scosse la testa, facendo oscillare le lunghe trecce grige di lana che le scendevano ai lati come capelli.

«E'...morto?» chiese il ragazzino un po' preoccupato.

«A giudicare da quel pallore potrebbe esserlo» rispose Dandel scherzando «ma è meglio se prima ce ne accertiamo, magari è solo svenuto».

Hop appoggiò un orecchio sulla schiena nuda dello sconosciuto, sperando di sentirne il cuore e tirò un sospiro di sollievo, appena si accorse che batteva ancora.

«E' vivo, è vivo!»

Guardando la reazione del fratellino, anche Dandel si rasserenò: «Ah, menomale, cominciavo già a preoccuparmi dove avremmo potuto seppellirlo...»

Non sarebbe stato difficile trovare un luogo adatto, poiché la campagna offriva molte possibilità, ma quel ragazzone non voleva saperne di avere a che fare con la sepoltura di corpi appartenenti a gente ignota, che lavoro disgustoso! Una cosa, però, era certa: non potevano lasciare quel malcapitato lì per terra, almeno non con la faccia tra la sabbia, perciò si avvicinò a Hop, chinandosi sul nuovo arrivato privo di sensi.

«Dai, aiutami a sistemarlo» gli disse e prese quel corpo per le gambe e lo distese per bene, poi il fratellino lo girò a faccia in su, ma appena il loro sguardo cadde su quel volto, i due sobbalzarono all'indietro, increduli alla vista di quell'aspetto.

Era un uomo, ma era molto bello, dal fisico pallido e muscoloso all'elegante taglio degli zigomi, ma ciò che aveva maggiormente attirato la loro attenzione erano le sue orecchie lunghe e a punta.

«Fratellone, da dov'è uscito questo tizio? Non è presto per il carnevale?» chiese Hop a occhi spalancati, non riusciva a distogliere gli occhi da quello strano individuo.

«Beh, in effetti manca ancora un po', ma...WOW, è davvero una bellissima maschera!» rispose Dandel con ammirazione «Guarda quel viso, tutti quei rovi sulle spalle, quel trucco e...quelle orecchie sembrano vere!»

Spinto dalla curiosità, provò a tirargliele per vedere con quanta cura fossero state realizzate. Non si sfaldarono, anzi, rimasero perfette senza nemmeno un graffio né un'ammaccatura e la loro forma non si alterò. Dandel ritrasse la mano quasi spaventato: era pelle vera! Tutto di quel tale era reale, non protesi di gomma o trucco!

«Hop, vorrei anch'io continuare a pensare che si tratti di un accurato travestimento, ma ho paura che non lo sia» disse. Non sapeva se essere estasiato di ciò che aveva appena scoperto o averne paura.

«Ma di che stai parlando?» chiese il ragazzino preoccupato.

«Ricordi quando mamma ti leggeva, anzi, ci leggeva le fiabe prima di andare a letto? Molte parlavano di elfi e di fate, creature straordinarie, simili a noi esseri umani. Hai mai creduto nelle fate? Dico, quelle di cui parlavano i libri di fantasia?» mentre lo diceva, Dandel ebbe la sensazione di essere ritornato bambino, immerso in un mondo incantato fatto di sogni, ma la sola differenza era che quella creatura era reale e si trovava proprio sotto ai loro occhi.

«Fate? Da', ma non è possibile, lo sai anche tu. Mamma diceva sempre che elfi e fate non esistono. Tutti lo dicevano!» Hop iniziava ad avere le idee confuse, suo fratello stava forse diventando matto?

«E se mamma e tutti si sbagliassero? Nessuno ha mai incontrato una di quelle creature, ma questo non significa che non siano mai esistite. Quei racconti parlavano di fate capaci di cambiare il proprio aspetto, magari sono sempre state tra di noi e non ce ne siamo accorti!» il volto di Dandel si illuminò.

«Hop, te ne rendi conto? Insomma, guardalo! Potremmo trovarci davanti a un'enorme scoperta!» disse eccitato.

Il fratellino continuava a guardarlo sempre più confuso, sembrava che in quel momento Dandel avesse davvero perso la testa, oppure stava forse dicendo la verità? Possibile che quella non fosse affatto una persona mascherata, ma un bellissimo elfo o un'incantevole fata? Non sapeva a cosa credere e continuava a osservare lo sconosciuto misterioso.

«Pensaci bene» continuò pacificamente Dandel «questo fatto potrebbe renderti famoso in tutta la regione e forse anche al di fuori di essa, in quanto saresti il primo ad esserti imbattuto in un essere tanto speciale. Non lo pensi anche tu?»

Hop lo guardò incerto, poi si mise a pensare.

«Un'incredibile scoperta...» disse tra sé «...che mi farà diventare popolare come te...» si illuminò improvvisamente.

«MA CERTO, FRATELLONE! E' UN'IDEA FANTASTICA!» gridò iniziando a saltare di gioia «YAHOO! STA PER SUCCEDERE DAVVEROOO!»

«Ehi, ehi, frena, cavallino» rise Dandel, calmandolo un po' «dovrai avere pazienza, non tutto ciò che si vuole arriva subito e poi non possiamo lasciarlo qui da solo, ha bisogno di aiuto. Prima di tutto, lo porteremo a casa, così potrà riprendersi con tranquillità.»

«A casa?» Hop lo guardò allibito «Ma..se mamma lo vede? Se qualcun altro lo vede? Non possiamo semplicemente nasconderlo?»

«Non potrai nasconderlo per sempre, se vuoi dimostrare a tutta la regione che lo hai visto e non credo che il nostro amico qua vorrà farsi nascondere da noi.» gli disse Dandel «E poi, non aver paura, mamma sarà felicissima di vederlo, anche se non sarà a casa prima di cena. Per i passanti non ci sono problemi, è ora di pranzo, saranno tutti in casa a mangiare e non ci sarà nessuno per la strada che potrà notarlo.» gli spettinò scherzosamente i capelli violacei.

«D'accordo, Da'» rispose Hop, sentendosi più sicuro «ma non possiamo aspettare che si risvegli, prima di mangiare? Vorrei che pranzasse insieme a noi. TI PREEEGO!»

Dandel rise: «Va bene, accontentato, ma non fino a tardi, ok?»

«EVVAIII!» gioì il fratellino.

«Avanti, 'Zard, ho bisogno che mi aiuti a trasportarlo.» Dandel si fece da parte e la robusta lucertola arancione, che era rimasta ad ascoltarli in silenzio per tutto il tempo, avanzò verso il corpo misterioso. I due ragazzi coricarono delicatamente la creatura dalle orecchie a punta sul dorso del rettile e iniziarono a incamminarsi verso casa, lungo la discesa.

Sebbene la loro abitazione si trovasse nelle vicinanze, subito dopo la discesa, preferirono comunque guardarsi intorno ogni tanto, per vedere se nei paraggi ci fosse qualcuno. Le strade, però, erano deserte, neanche una persona, solo muretti di pietra ricoperti di muschio che li separavano dalle villette, sparse qua e là per la campagna, e qualche pecorella candida che brucava o rotolava nei praticelli.

Fecero in fretta ad arrivare a destinazione, una grande casa di amttoni di pietra, con due file di finestre su ogni lato e un mulino a vento di fianco a essa. Giunti di fronte al portone, Hop estrasse le chiavi di casa da una tasca della borsa che portava dietro la schiena e la porse al fratello che le infilò nella serratura ed entrarono.

Appena furono dentro, presero con cautela lo sconosciuto, lo tolsero dalla schiena di 'Zard e, cercando di tenerlo in piedi, gli scossero con leggerezza la terra che gli era rimasta sui capelli e sui vestiti. Lo adagiarono infine su un divano, in salotto.

«Vado a prendergli qualcosa per pulirgli il viso» disse Dandel, avviandosi verso la cucina «tu, Hop, rimani lì a controllarlo.»

Il ragazzino annuì. Suo fratello aprì uno sportello, tirò fuori un panno e lo inumidì con l'acqua, dopodiché ritornò da Hop. Si chinò poi sulla creatura bizzarra e iniziò a passargli lo straccio sulla faccia, rimuovendo con cura il terriccio.

«Ecco, ora dovrebbe essere a posto» disse, osservando soddisfatto quel bel volto tutto pulito «non ci resta che aspettare che si riprenda.»

'Zard avvicinò il suo muso squamoso al viso di quello strano individuo e, incuriosito, iniziò ad annusarlo. Profumava di fiori e il rettile, inebriato da quell'odore, cominciò a leccarlo come se si fosse trovato davanti a una bacca squisita.

A un tratto, l'uomo iniziò a muovere la testa, emise un mugolio quasi inudibile di fastidio e una smorfia di disgusto comparve sulle sue labbra. Dandel e Hop lo guardarono stupiti: stava riprendendo conoscenza e sentivano di trovarsi di fronte a qualcosa di straordinario.

Aprì lentamente gli occhi, tutto ciò che aveva intorno a sé era ancora appannato, il naso caldo e arancione di 'Zard era a una virgola di distanza dalla sua faccia, ma non riusciva a distinguerlo. L'animale sbuffò e lo sconosciuto sentì un tepore piacevole avvolgerlo.

Chiuse gli occhi, poi li riaprì per vedere meglio, ma si ritrasse di colpo verso la spalliera del sofà quasi impaurito, le orecchie abbassate: di fronte a lui, il muso di una lucertola simile a un drago lo stava guardando attentamente, attraverso i suoi occhi azzurri. Non c'era alcun segno di minaccia in quello sguardo, anzi, sembrava piuttosto calmo e sereno. Aveva un lungo collo, due ali non abbastanza grandi da riuscire a sorreggere in volo quella bestia corpulenta e una fiamma brillava vivace sulla punta della coda.

«Quale meravigliosa creatura.» disse soavemente il nuovo arrivato «Dimmi, mio amico fiammante, non puoi ardere una bella faccia come la mia, dico bene?»

Allungò cautamente una mano verso quel muso e la creatura squamosa cedette alle carezze.

«Wow, sono davvero sorpreso!» esclamò Dandel, ancora più stupefatto di prima «Di solito non si fa toccare, senza il mio permesso.»

Il tale si girò verso i 2 fratelli – si era accorto di loro solo in quel momento – smise dolcemente di coccolare l'animale, si alzò dal divano e si avvicinò a loro. I suoi occhi scuri, profondi e un po' malinconici si assottigliarono osservando per bene i ragazzi: esseri umani, entrambi dalla carnagione olivastra, gli occhi gialli e i capelli violacei. Dandel li aveva molto più lunghi ed era atletico e più alto, mentre Hop li aveva più corti, pettinati come una cipollina ed era più basso, oltre ad avere un aspetto meno maturo.

L'attenzione della creatura venne attirata anche dai loro vestiti: una giacca azzurra come quella del più piccolo gli era totalmente nuova, ma storse un po' il naso nel guardare attentamente gli abiti del più grande. Pareva che trovasse ridicoli quella maglia nera sportiva, con il disegno di una spada blu e uno scudo rosso, e quel mantello, anch'esso scarlatto, che riportava gli stessi simboli. Ma la cosa più ridicola gli sembrava quella calzamaglia bianca sotto quei pantaloni corti dello stesso colore.

Studiato in quel modo, Dandel arrossì, sentendosi per la prima volta in imbarazzo per ciò che aveva indosso.

«Fratellone» sussurrò Hop alquanto in difficoltà «questo tipo è davvero strano»

«Va tutto bene» cercò di rassicurarlo Dandel «è solo la prima volta che ci ve..»

«”Fratellone”?» li interruppe il tipo misterioso, la sua voce si fece più gentile «Dunque, le mie ipotesi si sono rivelate giuste: sono stato soccorso da due fratelli che hanno offerto ospitalità, in questa loro accogliente dimora, a un'umile anima indifesa come la mia!»

Dandel e Hop si guardarono a disagio, mai nella vita avevano incontrato un individuo tanto bizzaro, prima di allora.

«Miei prodi cavalieri» continuò l'incantevole figura in tono vellutato «vi porgo i miei più sinceri ringraziamenti. Non dimenticherò mai il vostro atto di bontà, ma questo significa che adesso sono in debito con voi e indebitarmi non è cosa da me gradita. Devo dirvi che non ho alcuna intenzione di pagar...»

«Non c'è alcun bisogno di pagare il tuo debito» lo interruppe Dandel cortesemente «anzi, noi non vogliamo assolutamente che tu ricambi il favore, signor...ehm, signor...»

«Oh! Vi prego di perdonarmi, amici miei, sono stato davvero maluducato!» rispose tirandosi una botta in testa e fingendo un leggero imbarazzo, poi si ricompose : «Non trovate che “signore” sia un tantino inadeguato per un delicato esemplare come me? Permettete di presentarmi: chiamatemi Oko. Al vostro servizio!» fece un inchino formale.

«Lieti di conoscerti! Io sono Dandel e questo è mio fratello, Hop!» sorrise, indicando il giovanetto. Fece poi un cenno verso la pecorella che stava al suo fianco e il rettile arancione che, dal divano, si era riavvicinato al nuovo conoscente: «Questa è Wooloo, da sempre amica di Hop, mentre quel lucertolone è Charizard, il miglior compagno di avventure che io abbia mai avuto!»

La creatura di fuoco guardava Oko, scodinzolando giocoso.

«Sei proprio adorabile, amico squamoso.» gli disse affettuosamente e gli accarezzò la testa, facendolo fremere di gioia. Poi guardò Dandel, mantenendo un'espressione gentile: «Dovete essere un uomo davvero rispettato, mio caro, non si incontra tutti i giorni qualcuno in grado di domare un drago e farne un amico per la vita.»

«Drago?!» nell'udire quella parola, Dandel rimase un attimo senza parole, poi aggiunse: «Ma 'Zard non è un drago.»

«Amico mio, so riconoscere certe creature quando le vedo. Volete forse dirmi che questa bestia squamosa, alata, cornuta e fiammeggiante non sia un drago? Fare scherzi non dev'essere il vostro mestiere.» sghignazzò l'altro, mettendosi comodo a sedere sul sofà.

Dandel era sempre più perplesso, ma, sentendo Oko parlare, in quel momento capì: sebbene fosse tra le personalità più note di quel posto, c'era una ragione per cui quell'ospite non lo conoscesse per niente e ignorasse la vera natura delle creature che vi abitavano. Fata o elfo che fosse, egli doveva essere giunto da un altro mondo, ma come poteva Dandel averne la certezza? Come aveva fatto ad arrivare? E perché si trovava lì? Si era però convinto che quell'aspetto avrebbe reso la loro scoperta ancora più incredibile.

«Da ciò che mi hai detto, suppongo che tu non sia di queste parti, mi sbaglio?» chiese assottigliando gli occhi e avvicinando lo sguardo al giovane pallido «Da dove vieni? Chi sei veramente?»

«Così tante belle domande e io ho così tante belle risposte. Mi piacciono quelli come voi, sempre alla ricerca di un perché» gli rispose Oko soave, distendendosi rilassato e accavallando una gamba «ma non vorrei riempire le vostre innocenti orecchie con la storia della mia vita. Lasciatemi dire solo che sono un umile e vagabondo avventuriero, venuto da molto lontano in questo reame a me ignoto. Sono davvero sollevato dell'aver trovato voi, nobile Dandel, ho ancora tanto da chiedervi!»

Il ragazzo annuì, poggiando una mano sulla spalla di Hop: «E noi saremo lieti di darti delle risposte!»

Ebbe un lieve sussulto, in quel momento si ricordò della promessa fatta al fratellino.

«Ma non vorresti ascoltarle mentre mangiamo qualcosa tutti insieme?» chiese cortesemente, indicando la cucina «Dopo un lungo viaggio come questo, immagino che tu abbia fame. Perché non rimani a pranzo qui con noi, così ti racconteremo tutto quello che vuoi sapere sulla regione di Galar!»

Il giovane affascinante si drizzò di scatto: «Galar? Dunque è così che si chiama?»

Fece un balzo dal divano, battendo le mani: «E' magnifico! Siete troppo gentili, amici miei, tutti i mondi avrebbero bisogno di persone così generose. Gradirò volentieri un pasto con voi.»

«Lascia che ti prepariamo uno dei nostri piatti più deliziosi.» sorrise Dandel, avviandosi ai fornelli «Mentre noi cuciniamo, mettiti pure comodo dove vuoi. Fa' come se fossi a casa tua!»

I due fratelli iniziarono ad aprire vari sportelli e a tirar fuori pentole, tegami e ingredienti e, mentre preparavano da mangiare, Oko iniziò a girovagare per il salotto, guardandosi intorno. Era tutto ordinatamente arredato; sugli scaffali delle librerie vi erano molti trofei, tutti d'oro e col nome di Dandel inciso sopra. Appese alle pareti figuravano molte immagini, anche quelle tutte di Dandel; in molte di esse compariva anche 'Zard, ma di Hop non c'era neanche l'ombra.

Oko le guardò attentamente: non erano dipinti, ma frutto di qualcosa che a lui era completamente sconosciuto. Qualunque cosa fossero state, il vagabondo aveva però una certezza: a Dandel piaceva essere sempre al centro dell'attenzione.

Si sdraiò di nuovo beatamente sul divano, le braccia incrociate dietro la testa, poi sfilò la daga che teneva in un piccolo fodero e si mise a osservarla, specchiandosi e ammirandosi attraverso la lucida lama, pensando fino a smarrirsi a quali altre sorprese lo stavano aspettando in quel luogo ancora misterioso che solo conosceva col nome di Galar. Quante creature bizzarre avrebbe ancora dovuto incontrare? Sarebbe stato di nuovo inseguito da mostri giganti? E le persone che abitavano quelle terre erano davvero tutte così cortesi e accoglienti come quei fratelli? Era così perso nelle sue fantasie che si accorse a malapena del tempo che era passato e dei due che lo stavano allegramente chiamando dalla cucina: «Ehi, Bell'Addormentato, è pronto in tavola!»

Con un sorriso smagliante, rimise a posto l'arma, si alzò e andò verso di loro.

«Prego, accomodati!» Dandel gli porse una sedia e Oko si sedette con finezza.

Sul tavolo una pentola fumante emanava un profumo delizioso. Hop aprì il coperchio e gli servì nel piatto quella pietanza odorosa. Da una parte c'era del riso condito con una miscela di spezie giallastra; dall'altra, verdure varie rendevano il tutto più appetitoso. Oko non era molto pratico con le posate, avendole usate così raramente, ma aveva troppa fame e quel cibo sembrava così invitante, perciò ne prese una cucchiaiata e lo assaggiò. Di colpo le sue pupille si dilatarono e il suo volto si fece sognante, quel piatto aveva un sapore così buono!

«E' davvero squisito, amici miei. Siete stati così gentili con me, a servirmi una simile prelibatezza, che io non saprei come ringraziarvi.» disse con innocente dolcezza «Ditemi un po', quale nome porta questa gustosità?»

«La chiamiamo “Curry” ed è la cosa più buonissimissima di Galar!» rispose Hop entusiasta, mangiando rapidamente e a grandi bocconi. Era evidente che ne andasse matto.

«Ne esistono moltissime varietà» fece Dandel «quella che abbaimo voluto cucinarti è il Curry alle verdure, una delle nostre preferite!»

'Zard gli si avvicinò alle spalle e iniziò a guardarlo, facendo gli occhi dolci.

«Perché mi guardi così, bello? Cosa c'è?» gli chiese come se stesse parlando a un cucciolo «Ne vuoi un po' anche tu, eh? Sì? Dai, non fare quella faccia, eccolo che arriva!»

Appoggiò il piatto pieno di Curry accanto a sé e il lucertolone iniziò a mangiarlo tutto contento. Hop ne porse un po' anche a 'Loo che gradì molto, belando soddisfatta.

Oko, invece, voleva evitare di sporcarsi per sbaglio col cibo, così continuò a mangiare con calma e con molta attenzione, ma senza smettere di osservare le due creature: se quello non era un drago, possibile che quella non fosse esattamente una pecora normale? Era molto più piccola di quelle che aveva visto nel suo mondo ormai lontano, con una lana che la rendeva perfettamente rotonda, difatti si muoveva rotolando.

Riflettendoci, il Viandante aveva già incontrato bestie bizzarre nel bosco nebbioso, come gli uccelli dalle note strane, quel simpatico scoiattolo che avrebbe volentieri tenuto con sé e i due lupi enormi dai colori inusuali, ma nulla di Galar aveva ancora smesso di sorprenderlo.

«Conosco quello sguardo, so quello che pensi» gli sorrise Dandel «tutti gli stranieri rimangono di sasso, la prima volta che vedono questi insoliti animali, ma lascia che ti faccia vedere una cosa.»

Si alzò dalla sedia e prese in mano uno dei tanti oggetti rotondi che aveva attaccati alla cintura: una sfera le cui metà, una rossa e una bianca, erano divise orizzontalmente da una striscia nera. La puntò verso 'Zard, premendo il pulsante al centro e il congegno si aprì, facendo smaterializzare il rettile al suo interno in una scia di luce.

Oko guardò quell'evento affascinato, di certo non succedeva tutti i giorni che la potenza di una simile bestia venisse racchiusa in una pallina.

«E ora, sta' a vedere!» Dandel puntò la sfera dalla parte opposta, schiacciando nuovamente il bottone e il lucertolone si rimaterializzò al suo fianco.

«A dir poco ammirevole, amico mio, e aggiungerei incredibile!» esclamò Oko, esagerando un'espressione di incredulità. Assistere a quella scena gli aveva interrotto il pranzo, ma ormai poco importava, il Curry si era già raffreddato ed egli voleva sapere di più.

«Che tipo di magia avete usato?» chiese mellifluo «Vedo che siete davvero abile nel padroneggiarla.»

«Magia? Oh, no, no, non c'è alcun tipo di magia» rise il ragazzo «nessun essere umano sa usarla qui a Galar. Questa è tutta tecnologia. Solo le creature come Charizard o Wooloo possono averla ed è qui che entrano in gioco queste capsule!»

Fece smaterializzare nuovamente 'Zard nel piccolo contenitore e lo passò a Oko che iniziò a passarsela tra le mani, osservandola compiaciuto.

«Dal momento che solo questi esseri possono essere magici, noi abbiamo imparato a vivere in armonia con essi» continuò «in modo che potessimo trarre il meglio dai loro poteri e che loro potessero fare lo stesso con il nostro ingegno. Queste sfere ci hanno aiutato nel farlo, sono state un grande passo in avanti. Pensa, premendo semplicemente al centro di esse, siamo riusciti ad avere sempre con noi la magia dei nostri amici, affinché potessimo aiutarci a vicenda in ogni occasione!»

«Come tirare fuori bestie dalle tasche, eh?» Fece Oko, fissando l'oggetto bicolore che aveva tra le mani «Affascinante!»

«Esattamente. Ed è proprio così che li chiamiamo noi: mostri tascabili!» Dandel aveva iniziato a prendere gusto in quello che diceva «Anzi, non è completamente corretto, è da decine di anni che non vengono più usate quelle parole, nessuno ti capirebbe. Si chiamano Pokémon e questi congegni che li contengono prendono il nome di Pokéball!»

Quella parola riecheggiò interminabilmente nelle orecchie del Viandante. Suonava molto buffa, come un simpatico soprannome da dare a un animale da compagnia, ma la faccenda lo stava intrignado sempre di più, mentre faceva rotolare quel congegno sul tavolo.

«”Pokémon”, eh? Interessante» disse col suo solito tono dolce «ma ditemi di più, carissimi: questa pace e armonia di cui mi avete parlato è forse frutto di una precedente guerra, violenza o discordia che l'umanità di Galar ha dovuto affrontare, al fine di guadagnarsi il rispetto e la tolleranza di tutto ciò che voi chiamate “Pokémon”?»

«Di storia non sono l'esperto» rispose Dandel pensoso, cominciando a camminare avanti e indietro accanto al tavolo «non saprei dirtelo con certezza, ma so per certo che Galar non vede la guerra da più di tremila anni. I grandi re del passato hanno dato la vita, pur di mantenere l'equilibrio tra umani e Pokémon e ci sono riusciti. Al giorno d'oggi, i sovrani non regnano più, ma è un presidente che si occupa di portare avanti questo incarico, oltre a rendere sempre più prospero il nostro mondo.»

«Ma se non c'è discordia, allora perché continuate a tenere le vostre creature in queste sfere?» Il soave sorriso di Oko aveva in quel momento una sfumatura di perplessità «Non si sentono chiusi in gabbia e privati della loro libertà? Di certo è affascinante avere gli amici sempre a portata di mano, ma non la vivono come una tortura?»

«Assolutamente no» lo rassicurò il ragazzo «le Pokéball sono state progettate in modo da offrire la maggiore comodità possibile ai Pokémon che vi entrano e poi nel nostro mondo sono la prima cosa che si deve avere, se si vuole averne uno come amico.»

Dandel si sedette di nuovo a tavola, di fronte al Viandante che gli restituì la capsula, e riprese tranquillamente a illustrargli le stranezze di Galar: «Devi sapere che le persone hanno adottato stili di vita molto diversi tra loro, con questi animali: c'è chi li tiene semplicemente come animali domestici; ci sono persone che adorano collezionarli e poi ci sono quelli come me, gli allenatori: facciamo combattere i nostri Pokémon contro altri, affinché diventino più forti e allo scopo di rendere più solido il nostro legame con essi!»

Sollevò la Pokéball: «Ma in tutti e tre i casi, questi oggettini sono sempre il punto di partenza. Qualunque sia il tuo scopo, è sempre d'obbligo avere una Pokésfera dentro cui il tuo amico possa stare»

«Meraviglioso» disse Oko dolcemente, guardandosi attraverso un bicchiere e sistemandosi dei ciuffi in disordine «sono informazioni davvero preziose per me, amici miei, i miei ringraziamenti non saranno mai abbastanza, ma avete acceso il fuoco della mia curiosità e adesso mi delizierebbe assai assistere a uno scontro tra Pokémon. Sareste così gentili da farmi divertire un pochino, voi e vostro fratellino?»

Quell'affascinante vagabondo dalle orecchie a punta era così gentile ed educato che Dandel e Hop sarebbero stati perseguitati da un mostruoso senso di colpa per il resto dei loro giorni, se gli avessero detto di no. Ormai gli avevano raccontato tutto quello che desiderava, mancava solo la parte più importante.

«Stai parlando con un campione di battaglie Pokémon in persona!» esclamò esaltato e fiero di sé, puntando il pollice al petto «In quanto allenatore più forte di Galar, non posso rifiutare una simile proposta. Seguimi, Oko, è l'ora del campione!»

Si alzò dalla sedia e fece una piroetta che terminò in una grintosa posa di vittoria.

«Vieni, Hop, facciamogli vedere una piccola lotta amichevole!»

Dandel uscì dalla cucina e si avviò verso il portone di casa, seguito dal fratello che aveva appena richiamato 'Loo nel suo congegno. Invitarono cortesemente il Viandante a uscire per primo, poi lo seguirono, accompagnandolo verso il giardino. Assomigliava a un piccolo campo sportivo rettangolare, con un'enorme Pokéball dipinta al suo centro.

I due fratelli si misero uno di fronte all'altro, nel mezzo della sfera, e piano piano iniziarono ad allontanarsi.

«Ehi, Oko» fece Hop, cercando di impressionarlo, mentre si mettevano in posizione «lo sai? Mio fratello è così forte che persino il Presidente lo ammira tanto, è il suo allenatore preferito!»

La fata drizzò le orecchie e un sorriso inquietante e beffardo comparve sul suo volto, ma i ragazzi erano troppo emozionati e intenti a iniziare per potersene accorgere.

«Splendido!» esclamò lento e vellutato «Allora sarà un vero onore assistere allo scontro. Prego, che la battaglia abbia inizio!»

«Sei pronto, Hop?» gridò il campione, eccitato.

«PRONTISSIMISSIMO!»

Dandel si tirò due schiaffetti sulle guance con entrambe le mani, per darsi la carica, e il fratellino fece lo stesso, poi estrasse una sfera dalla cintura.

«Forza, Charizard!» gridò, lanciando la capsula. Il lucertolone uscì da essa, ruggendo fiero verso il cielo.

«Avanti, Wooloo!» gli rispose Hop che tirò la sua. La pecorella balzò fuori, saltellando felice.

Oko si preparava ad assistere alla lotta, guardandoli a braccia incrociate.

«'Zard, Fuocobomba!» ordinò Dandel alla bestia.

«'Loo, Azione!» fece lo stesso Hop al batuffolo di lana.

Il rettile abbassò il collo e spalancò le fauci in una violenta palla di fuoco, mentre la pecora correva verso di lui, all'attacco.

«Scansati, 'Loo!» le ordinò Hop e l'animaletto rotolò rapidamente da un lato, eludendo l'attacco e buttandosi di corpo contro il ventre di 'Zard. Rimbalzò all'indietro come una palla, ma il lucertolone rimase quasi completamente illeso.

I due Pokémon continuavano a girare intorno al campo di battaglia, scrutandosi e pronti a fare le prossime mosse, mentre l'incantevole vagabondo osservava lo scontro a occhi socchiusi, con un sorriso sinistro stampato in faccia, come se stesse tramando qualcosa di losco, ma nessuno dei due giovani se n'era reso conto, impegnati com'erano a far combattere i loro mostri.

«Charizard, usa Eterelama!»

«Wooloo, di nuovo! Azione!»

La bestia fiammante, con una raffica di ali, generò un vento tagliente e quasi luminoso che si scagliò contro la pecorella alla carica.

«No, 'Loo, schiva!» le urlò Hop, ma la sua amica non fece in tempo a scansarsi e il getto d'aria la scaraventò violentemente indietro e cadde a terra esausta. L'incontro era finito con la vittoria di Dandel.

«Che forza!» esultò il fratello «I tuoi Pokémon sono sempre così potenti!»

Il campione si girò verso il Viandante: «Allora, Oko? Che te ne è parso di questa prima lotta Pokémon?»

«Magistrale, eccellente!» gli rispose piacevolmente, congiungendo le mani «Non sareste il campione, se non foste un maestro nel trarre da queste magnifiche creature la massima potenza.»

Il suo sguardo scivolò lentamente su 'Zard: «Ma ora avrei un piccolo e innocuo favore da chiedervi: mio valoroso campione, sareste così generoso da prestarmi uno dei vostri nobili combattenti? Sapete, ho gradito così tanto questa battaglia che desidero vivamente provare anch'io una di queste cosette del vostro mondo. Mi concedereste uno scontro con voi?»

«Uh, ehm...certo!» rispose Dandel, sentendosi un po' in difficoltà «Ma ci sono delle avvertenze che dovrei spieg...»

«Magnifico!» Oko lo interruppe, avvicinandosi alla bestia con un movimento troppo rapido, affinché il ragazzo potesse fermarlo.

«Ehi, se non fai attenzione, potresti bruciarti» gli disse, stava iniziando a sudare freddo, non voleva che il suo nuovo conoscente si facesse male, avrebbe rovinato la loro incredibile storia da raccontare «lascia pure a me Charizard, ho altri Pokémon più sicuri da usare.»

«Siete preoccupato per me? Siete davvero un tesoro» gli rispose il Viandante, portandosi le mani vicino al cuore «ma non c'è bisogno che vi agitiate, niente paura, io gli piaccio!»

In qualche modo, aveva una manciata di Curry nelle mani e la offrì al rettile che la mangiò, gioioso. Lo invitò poi ad avvicinare il muso al suo viso e, accarezzandolo gentilmente sulla testa, sussurrò con voce melliflua e gli occhi rivolti verso Dandel: «Fuocobomba!»

Improvvisamente, la fiamma che 'Zard aveva sulla coda cambiò colore, diventando verde acido e Oko indietreggiò rapidamente da esso. La bestia iniziò ad agitarsi con movimenti forsennati, emettendo lamenti e ruggiti che sembravano di dolore. Pareva spaventato, ma in realtà stava lottando contro una forza sconosciuta, intenta a dominarlo.

«Va tutto bene, bello» cercò di calmarlo il campione, parlandogli amichevolmente, cercando di mantenere il controllo sulla propria paura «ci sono io qui con te.»

Ma il Pokémon, che fino ad allora aveva tenuto gli occhi strinti, nel combattere per rimanere se stesso, di colpo li spalancò. Erano dello stesso colore aspro della coda e ardevano minacciosi.

'Zard attaccò il suo migliore amico, vomitando un'enorme sfera di fuoco. Dandel la evitò per un pelo, gettandosi a terra, ma la fiammata andò a colpire un lato della loro casa, incendiando le siepi e le finestre si frantumarono.

Oko fischiò, producendo un suono assordante, e la creatura, completamente fuori di senno, spiccò il volo verso l'edificio e vi abbatté tutta la sua furia, incendiandolo di violente lingue di fuoco.

«CHAAAR, FERMATI, COSA STAI FACENDO?!» gli urlò il ragazzo disperato e con le lacrime agli occhi. Anche Hop stava piangendo, mentre stringeva a sé Wooloo terrorizzata.

Il campione si girò a guardare il Viandante che sorrideva, inquietantemente compiaciuto, mentre osservava divertito quello spettacolo terrificante. Dandel avrebbe voluto gridare, insultarlo, riversargli addosso tutta la rabbia che provava in quel momento, ma non riusciva a parlare, le parole gli morivano in gola.

Era stata quella fata a stregare il suo fidato compagno, ma per quale misterioso motivo? Loro erano stati così gentili e accoglienti con lui, eppure perché aveva scatenato tutto questo? Quali erano le sue vere intenzioni?

«Vi ringrazio per tutte le preziose informazioni che mi avete dato» disse soavemente Oko, rivolgendosi a loro a braccia aperte «è stato un vero piacere conoscervi e un onore, soprattutto voi, campione Dandel, ma una missione importante ora mi attende, perciò credo che dovremo separarci e concederci un addio.»

Rivolse ai due ragazzi un formale inchino, poi pronunciò le sue ultime parole: «A mai più riverderci, o forse ci rivedremo ancora? In ogni caso non ha importanza, non ho più tempo da perdere. Addio!»

Ma prima che il campione potesse reagire, il Viandante fece loro un occhiolino e sparì in un gioco di luci colorate. Al suo posto comparve un Wooloo che rotolò via giù per il vialetto, direto verso nord.

'Zard si era calmato e tutto era ritornato tranquillo, anche se le fiamme ardevano ancora. Dandel e Hop rimasero immobili a fissare il vuoto, storditi. Nelle loro menti tutto si era fatto bianco, offuscato, sembrava che non sapessero nemmeno perché si trovavano fuori in giardino.

Si guardarono intorno confusi, il sole stava già tramontando, illuminando le verdi colline campagnole con la sua ultima luce.

«Fratellone, la nostra casa sta bruciando.» disse Hop in tono intontito, girandosi verso il fuoco.

«Già» fece Dandel con lo sguardo perso nel nulla «ma com'è successo? Perché sta bruciando?»

Furono assaliti da un forte mal di testa che passò rapidamente, come se delle immagini sopite stessero cercando di uscire da una gabbia immaginaria come mostri inferociti, ma nessuno dei due riusciva a ricordarsi come fosse potuto accadere. Nella loro memoria era sparito tutto.

«Penso che dovremo chiamare i pompieri, fratellone.»

«Non ti sbagli.»

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Capitolo 4
*** Mostri Giganti ***


Era solo, nel suo ufficio, seduto sulla sua poltrona imbottita, chino sulla scrivania, a mettere in ordine una pila di fogli. Ogni tanto sorseggiava una tazza di caffè caldo, per poi posarla accanto alle scartoffie. Quel lavoro lo annoiava, era sempre tutto uguale, gli sembrava di soffocare in tale monotonia.

Debiti, accordi, contratti, entrate... tutto ciò che aveva a che fare con le sue aziende ruotava attorno a lui come i pianeti a una stella e il peso di quel gigante, la MACRO COSMOS, gravava sulle sue spalle, ma egli vi era abituato: aveva scelto lui di essere ciò che era diventato. In fin dei conti, chi avrebbe mai detto che un giovane minatore, dal sottosuolo di una miniera, avrebbe un giorno scalato la piramide fino a raggiungerne la punta?

Quella era la vetta ed era consapevole che ad attenderlo vi sarebbero stati anche momenti terribilmente noiosi, come quello che stava vivendo quel giorno: sistemare pezzi di carta di un'intera società che, col passare degli anni, si era fatta sempre più esigente.

Nonostante ciò, il popolo di Galar lo amava ed egli amava il popolo di Galar; aveva dato ai cittadini una metropoli, numerosi stadi dove far combattere i propri Pokémon e una grande centrale energetica. Tuttavia, tutto questo era collegato a una sola cosa che negli ultimi tempi era considerevolmente aumentata: il bisogno e il consumo di energia.

Ne era ossessionato, tormentato dal pensiero che prima o poi tutta l'energia proveniente dall'entroterra della regione si sarebbe esaurita e la sua cara MACRO COSMOS, della quale era a capo, non sarebbe riuscita a fare nulla per evitarlo.

Assalito da tali pensieri, firmava e firmava e impilava le schede, iniziando a sudare freddo. Sentiva che doveva trovare una soluzione e che il tempo non avrebbe assolutamente dovuto coglierlo impreparato.

Egli era il Presidente Rose, pensava, e non avrebbe sbagliato!

Fuori dal suo ufficio, una voce femminile lo chiamò: « Signor Rose? Signor Presidente? Potrebbe venire qui un momento, per favore?»

Poteva riconoscerla tra mille: era Olive, la sua Vice, nonché principale segretaria.

Oh, no, non adesso che sono in condizioni impresentabili, pensò. Era stravolto, la fronte sudata e i capelli neri, che normalmente portava pettinati accuratamente da un lato, parevano riccioli.

«Non posso, cara» le rispose stanco «al momento, sono molto occupato.»

«Ma è molto importante» insistette lei «si tratta di Dandel!»

I suoi occhi verdi si spalancarono improvvisamente: «Arrivo subito!»

Si sistemò come meglio poteva e si precipitò sulla soglia dove la donna lo attendeva. Appena aprì l'uscio, Olive gli porse un giornale, senza neppure salutarlo.

«È il corriere di Galar, legga qui» gli disse, indicando il grosso titolo in prima pagina, e il Presidente lo lesse.

"DISGRAZIA A FURLONGHAM - Incendio distrugge la casa del Campione"

«Terribile» esclamò sorpreso «Non gli era mai successo!»

«È accaduto ieri sera, poco prima del tramonto.» fece lei preoccupata, mentre lui continuava a leggere.

«Come sarebbe a dire "perso la memoria"?» Rose era incredulo «Il nostro Asso vuole forse prenderci in giro?»

«Non è una beffa e questo lei lo sa. Dev'essere stato Charizard» fece lei pensosa «dal momento che lo tiene sempre fuori dalla Pokéball, prima o poi sarebbe successo.»

«Ma non da lui, il nostro Dandel!» le rispose il Presidente che, ancora allibito, continuava a guardare la foto che si trovava sotto al titolo dell'articolo: un edificio in pietra dalle cui finestre uscivano fiamme mostruose, quella che fino alla sera prima era stata la casa di Dandel «Ha addestrato quel Pokémon con tale maestria che tutto ciò non sarebbe dovuto avvenire!»

«Eppure è accaduto, lamentarsi non riporterà indietro le cose. Domani ci sarà la finale del torneo di Goalwick, il Campione non può mancare, deve battersi contro il Maestro di Draghi! Lei è il principale sponsor di Dandel, dobbiamo aiutarlo e in fretta!»

«Hai ragione, cara» sospirò Rose, tranquillizzandosi e poggiandole dolcemente una mano sulla spalla «lo aiuteremo: ospiterò lui e la sua famiglia in una delle tante ville che possiedo; non gli faremo mancare nulla e domani sarà come se questa tragedia non fosse mai successa!»

«Così la voglio, signor Presidente!» gli sorrise la segretaria «Mi dispiace averla disturbata a quest'ora, ma sono contenta che tutto verrà risolto per il meglio. Bene, direi che adesso può continuare il suo lavoro e io ritornerò a occuparmi delle cose che mi riguardano. Le auguro una buona notte.»

«Ma figurati, mia cara Olive. Non c'è alcun problema»

La donna si allontanò di qualche passo, ma, mentre lui stava apprestandosi a rientrare, si girò a guardarlo intensamente coi suoi occhi chiari: «Ma prima, le andrebbe un caffè nel mio ufficio? Tutti questi affari di centrali energetiche l'avranno stremata. Si riposi e venga da me, così potremo discutere con tranquillità sui preparativi per il gran finale. Sono sicura che anche i suoi Pokémon si sentiranno meglio.»

L'uomo ricambiò il sorriso e annuì: «Ti ringrazio, Olive, gradirò volentieri la tua proposta.»

«Allora ci vediamo più tardi, la aspetto. Ci conto!»

Dopodiché si avviò lungo il corridoio, verso l'ascensore. Il Presidente aspettò che il rumore dei tacchi della Vice si fosse affievolito con la distanza.

«Ah, tutta questa energia non rinnovabile finirà per uccidermi» mormorò tra sé e sé sfinito.

E rientrò goffamente nella sua stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

***

Era la giunta la notte; stelle scintillanti tappezzavano il cielo di Galar con le loro luci tremolanti. Il chiarore della luna si rifletteva sulla pelle della giovane fata, che aveva assunto una sfumatura molto delicata.

Oko si guardò indietro: aveva fatto parecchia strada, aveva camminato per un giorno e mezzo da quando aveva lasciato i 2 fratelli, con solo una notte di riposo, ed era molto stanco. Si sentiva a pezzi, avrebbe potuto trasformarsi in uccello e volare, così avrebbe impiegato meno tempo e durato meno fatica, però aveva scelto di godersi quei bei paesaggi tutti nuovi da terra e quella era stata la conseguenza.

Almeno, però, i suoni della natura lo tenevano su di morale. Il Viandante chiuse gli occhi e aprì bene le orecchie, ascoltando attentamente: Pokémon simili a insetti producevano melodie alquanto inusuali e molto rilassanti, a tal punto che si sarebbe volentieri addormentato in piedi, ma aveva l'impressione che ciò che lo aspettava davanti a sé gli avrebbe offerto una possibilità migliore.

Si apprestò a scavalcare una staccionata che lo ostacolava e si ritrovò immediatamente immerso in un paesaggio notturno e selvaggio che si estendeva quasi come se non avesse confini. Rimase a osservarlo a bocca aperta, sembrava incantato, non vi era alcuna traccia del passaggio degli umani, a parte pochi ponti di legno e una torre diroccata che la fata scorse in lontananza. Tutto era dominato dalla natura: verdi prati, ampie distese di erba alta, graziosi boschetti ombrosi ed enormi specchi d'acqua dove quella vista incantevole si contemplava.

Il vagabondo pensò che avrebbe dormito il più tranquillo dei sonni, così iniziò a cercare un posticino comodo in cui poter dormire. Aveva fatto solamente qualche passo verso un albero carico di frutti, quando improvvisamente il terreno accanto ai suoi piedi tremò per un momento, rialzandosi leggermente, poi si fermò. Oko abbassò lo sguardo, con aria interrogativa: sotto terra qualcosa si era mosso, come se avesse strisciato. L'attimo fu breve; di colpo una bestia grande e grossa emerse violentemente, sollevando una marea di ghiaia e polvere, ma i riflessi del Viandante furono più pronti e balzò indietro appena in tempo.

Un serpente massiccio e di roccia gli soffiò contro, furioso, emettendo un suono duro e pietroso. Aveva percepito la fata come un intruso nel suo spazio di territorio, così lo attaccò, caricandolo col lungo corno che aveva in fronte. Avvertito il pericolo, Oko strabuzzò gli occhi e, non volendo assolutamente finire miseramente impalato come uno spiedo, in un lampo di scintille sparì.

Aveva lasciato il posto a un uccellino piccolo e colorato come una cincia e volò via in alto, lontano dall'animale, posandosi sul ramo di un altro albero. Da lì osservò la creatura scavare impetuosamente una galleria e sparire nel sottosuolo a una velocità sorprendente, per un animale fatto di macigni come quello. Aveva il cuore in gola, ci era mancato davvero un pelo, ma la minaccia sembrava essere passata ed era giunto il momento di ritornare alle proprie vere sembianze e scendere giù, perciò si arrampicò dal tronco e atterrò nel prato.

Riprese il suo cammino alla ricerca di un luogo dove trascorrere la notte, ma era turbato: quella serpe aveva fatto sul serio! Qualsiasi Pokémon si nascondesse in quelle terre selvagge immense non avrebbe scherzato. Non erano carini e ubbidienti come quelli di Dandel e Hop, pensò, ma feroci e selvaggi, proprio come i lupi che lo avevano inseguito il primo giorno che era capitato in quel mondo. Una minima distrazione e prima o poi sarebbe stato maciullato e mangiato...o forse no? Aveva pur sempre degli invidiabili poteri magici su cui contare, ma di una cosa era sicuro: non doveva abbassare la guardia.

Mentre camminava, pensoso ma vigile, le orecchie tese e attente a ogni rumore, ogni tanto guardava il terreno. Era davvero curioso: dove l'erba non cresceva, bizzarre formazioni rocciose e perfettamente geometriche formavano buche esagonali. Ne distinse moltissime, sparse qua e là, l'intera valle ne era piena, ma c'era di più: qualcosa in esse lo aveva già visto da qualche altra parte.

Estrasse dalla tasca la pietra misteriosa che aveva sempre tenuto con sé, sin da quando l'aveva trovata nel bosco, e in quel momento se ne accorse: sia essa che i bordi delle tane erano impregnati della stessa energia rossastra di cui era fatto della gigantesca mano mostruosa che abitava la Cieca Eternità, ma...com'era possibile? Che fosse davvero l'aura di quell'essere abominevole a proiettarsi ed estendersi al di là della dimensione? O forse c'era qualcosa lì sotto?

Il Viandante si affacciò a guardare dentro, ma sembrava troppo buio e profondo, a tal punto che si sentì scoraggiato e si tirò indietro. Aveva bisogno di gettarvi qualcosa, qualunque cosa, pur di capire quanto si estendesse in profondità, così si guardò intorno, in cerca di un oggetto adatto. Piano piano il suo sguardo si posò su un ciottolo blu che giaceva tra l'erba, non lontano da lui. Andò a raccoglierlo, poi lo guardò per un breve istante: era pieno di crateri, come quello che aveva già, ma non emanava alcun tipo di energia. Probabilmente era solo un semplice sassolino, pensò, avrebbe sicuramente fatto un rumore sonoro cadendo giù.

Ritornò così alla buca e, divertito, lo lanciò dentro, aspettando che toccasse terra, ma non udì alcun suono, anzi, successe qualcosa di inaspettato. Improvvisamente un lampo si accese nell'oscurità e un raggio di luce scarlatta fuoriuscì, abbagliante come un faro puntato verso il cielo. Oko si coprì immediatamente il volto con le braccia, per non rovinarsi i suoi splendidi occhi, poi, quando il bagliore si fece meno acciecante, se le tolse dalla faccia.

Quando si affacciò di nuovo a guardare all'interno della caverna, ora tutta illuminata, notò che le rocce geometriche erano disposte tra loro a formare gradini di una scala, per cui era possibile scendere e così egli fece, spinto dalla curiosità.

Mentre procedeva, sentì il freddo umido assalirlo, attaccarsi alla pelle ed entrargli nelle ossa, man mano che si allontanava dall'ingresso e appuntite stalagmiti e stalattiti diventavano sempre più fitte. Viaggiare ogni giorno a torso nudo non era sempre vantaggioso, pensò, e in quei casi poteva davvero diventare un impedimento, ma cercò di resistere, voleva a tutti i costi scoprire cosa si nascondesse all'origine di quel lume.

A un tratto, un tuono riecheggiò lungo il corridoio, facendo vibrare le pareti. Il soffitto non crollò per un soffio, ma la fata era sicura che si trattasse di un ruggito e che fosse molto vicino. La luce stava lentamente venendo verso di lui e, poco a poco, iniziò a udire dei tonfi farsi sempre più forti. Li riconobbe: passi pesanti di una bestia, un animale che doveva essere molto grande. Oko rabbrividì, sia di freddo che di paura, e corse a nascondersi dietro a una parete, sbirciando di soppiatto.

La creatura non tardò ad arrivare, due enormi zampe pelose si mostrarono ai suoi occhi. Il Viandante guardò allora in su, per ammirarne l'eccezionale grandezza: aveva il pelo color nocciola, una lunga coda arricciata, però non era una scimmia ed era così alto che non riusciva a distinguerne bene la testa, ma sopra di essa imperversavano inspiegabilmente nubi oscure e vorticose, cariche di fulmini. Una tempesta sotto terra? Un fenomeno piuttosto interessante, pensò, ma com'era possibile? Cominciava a convincersi che il mondo dei Pokémon fosse davvero strano e ogni giorno sempre più sorprendente.

Al vedere che tutto l'intero corpo del colosso era ricoperto di quella curiosa energia rossiccia, la fata trasalì e di colpo il gigante si fermò. Si tappò immediatamente la bocca, la cosa si era accorta di lui, il suo respiro era stato troppo rumoroso. Gocce di sudore iniziarono a scendere lungo la sua fronte azzurra; doveva rientrare nell'ombra del nascondiglio e alla svelta, ma il Pokémon si era già chinato su di lui, poteva sentirne il fiato caldo e pesante sul collo.

Oko si girò lentamente e si ritrovò a guardare negli occhi un colossale muso...di gatto! Due fanali gialli e luminosi lo scrutavano attentamente, forse per curiosità, forse per fame, mentre una grossa moneta d'oro scintillava sopra di essi. Il Viandante, con le orecchie abbassate dal terrore, non si era mai sentito così piccolo e insignificante prima di allora.

«MEEEOOOWWW!» miagolò, o meglio, tuonò il lungo felino. Un ruggito così potente che i capelli della fata si spettinarono tutti e, per poco, non venne spazzato via all'idietro.

«Hehe...» rise Oko, con un filino di voce, improvvisando un piccolo saluto con la mano «...quale meraviglioso gattone.»

Non aspettò un secondo di più, iniziò a correre come un pazzo dalla parte opposta della belva, ma essa fu più veloce: con un rapido scatto, allungò le zampe e gli fu addosso, catturandolo e affondandogli gli artigli nella carne delle gambe.

Il Viandante sentì un dolore atroce invadergli tutto il corpo e non seppe trattenere un urlo straziante, mentre veniva sollevato da terra a testa in giù. La corona gli si sfilò di capo, ma riuscì ad afferrarla in tempo, prima che cadesse. Tentò di dimenarsi, ma più che si agitava, più che il bruciore delle ferite aumentava e gridò ancora. Quegli enormi unghielli lo tenevano ben saldo e non c'era modo di liberarsene a mani nude.

La creatura lo portò faccia a faccia col suo naso baffuto e lo annusò: il suo profumo era così delizioso che dilatò le pupille e, facendo rumorose fusa, gli diede una grossa leccata, inondandolo di saliva.

«Che schifo, quale ignobile mostro» bofonchiò tra sé la fata, in una smorfia a dir poco disgustata, cercando di togliersi quell'appiccicaticcio di dosso «odio suscitare queste reazioni!»

Ma il Pokémon parve averlo sentito e, guardandolo con espressione minacciosa, spalancò le fauci e lo avvicinò a esse.

«Oh no, tu non vuoi divorare un maestoso esemplare come me, vero, mio prezioso amico peloso?» chiese, assumendo un tono seducente, in preda alla disperazione, ma il felino non gli diede ascolto, ormai lo aveva quasi appoggiato sulla lingua.

Gli artigli della bestia gli stavano dilaniando le cosce e gli stinchi, Oko poteva percepire il sangue scorrere dalle ferite, mentre la sua tenera carne veniva lacerata. Doveva fare qualcosa, pensò, e subito o da lì a poco sarebbe diventato nient'altro che un magico spuntino di mezzanotte.

«D'accordo, amico mio» sorrise amichevolmente «ora, se vuoi scusarmi e io so che lo farai...»

Agitò le braccia e le sue mani brillarono; da ognuna di esse uscì una rampicante irta di rovi che fece roteare energeticamente come una doppia elica. Strinse i denti e infine colpì violentemente quella lingua immonda.

«MEEOOOOGGHH!» miagolò fragorosamente di dolore il gatto che mollò la presa, lasciandolo cadere per portarsi le zampe sulla bocca.

Finalmente libero, il Viandante scomparve in una nube nera di fumo, trasformandosi in uccellino e iniziò a battere le piccole ali più veloce che poté, pur di seminare quella cosa enorme. In quel momento, la principale preoccupazione era di trovare un'altra via d'uscita, ma il pericolo non era ancora passato: dove finivano i giganti, iniziavano le fitte stalattiti. Durante la fuga, il pennuto fatato ne scansò così tante che pensava che non sarebbero mai terminate e che prima o poi ne avrebbe presa una in pieno, ma in fondo a quell'impervia galleria cominciò a distinguere una flebile luce chiara. Si sentì più sollevato, conduceva sicuramente in superficie e sarebbe scappato una volta per tutte da quel freddo che era là sotto.

Quell'attimo di felicità, però, durò poco e ben presto si accorse che l'animale che aveva appena superato non era il solo ad essere così grande: al termine della sua traiettoria, vi era un altro colosso ad attenderlo, stavolta differente. Una lucertola ricoperta di una spessa corazza verdastra e le cui zanne erano asce affilate tentò di colpirlo con la coda, ma la fata lo schivò per un pelo e si precipitò in alto, attraversando il buco e si ritrovò immediatamente fuori dalla grotta.

Atterrò tra il verde e riprese il suo vero aspetto. Era al sicuro, ma non poteva ancora definirsi salvo: le ferite sulle gambe gli facevano così male che una lacrima gli scese lungo la guancia, mentre le distendeva lentamente nell'erba per osservarle meglio. Quel suo bellissimo pallore si era tinto di rosso e tagli profondi fino all'osso gli avevano strappato i pantaloni, straziando la pelle. Aveva perso molto sangue ed era molto debole, aveva il respiro affannoso, gli girava la testa e tremava come una foglia. Era ridotto molto male, però sapeva che in quei casi la magia non lo avrebbe mai deluso, così chiuse gli occhi e si concentrò, avvicinando la mano a uno stinco. Ogni pensiero superfluo venne respinto da una barriera psichica mistica, tutto ciò su cui doveva focalizzarsi era guarirsi. Una volta che la mente fu purificata, una luce fioca si accese e il dolore cominciò poco a poco a passare, mentre tutto si riemarginava.

Ora era davvero fuori pericolo, ma per quella notte ne aveva ormai abbastanza di cercare posti in cui riposare: quella terribile avventura lo aveva sfinito e si sarebbe accontentato volentieri di dormire lì sul posto. Perciò, si slacciò e si tolse il mantello, poggiandolo accanto a sé, e si sdraiò comodamente a pancia in su, le braccia incrociate dietro la testa, aspettando che il sonno giungesse. Non aveva le forze per pensare ai giganti, si augurò anche di non sognarli, dopodiché si addormentò come un sasso.

Mentre sonnecchiava sereno come un beato, come se non lo avesse mai fatto in vita sua, il cielo limpido improvvisamente si oscurò, coprendo tutte le stelle. Nuvole nere iniziarono a vorticare impetuosamente come cicloni, mentre tutt'intorno a lui fortissime raffiche di vento soffiavano portando in aria ogni cosa. La terra, tormentata dalle scosse, si spaccò ed enormi pezzi si sollevarono. A un tratto, al centro della tempesta esplose un'abbagliante supernova cremisi. Oko aprì gli occhi, a guardare verso l'alto: dal cuore di quello scenario apocalittico, un'immensa figura a cinque teste cominciò a calare, arrotolata in un cerchio infinito. Era lei, la Mano, e si dirigeva verso di lui. Il Viandante era in trappola, non aveva via di scampo, quell'abominio lo avrebbe afferrato e trascinato via con sé!

Si svegliò di soprassalto, drizzandosi a sedere. Stava sudando ininterrottamente dalla fronte, gli occhi strabuzzanti e il battito accelerato. Era ancora buio; non si avvertiva alcun rumore, alcun terremoto e neppure un singolo movimento. Ogni elemento era al proprio posto, dov'era sempre stato, e la valle giaceva assopita e avvolta nel silenzio.

La fata tirò un sospiro di sollievo: aveva solo fatto un incubo, niente di quello che era appena successo era reale, eppure egli non era tranquillo, anzi, si sentiva ancora angosciato e in sovrappensiero, all'idea che l'alba fosse ancora tarda ad arrivare. L'immagine di quell'essere aveva iniziato a tormentarlo pure nei sogni, sarebbe mai riuscito a liberarsene?

Provò a distendersi, ma gli era difficile: si trovava in uno stato di dormiveglia ed era così inquieto che si girava e si rigirava ogni poco, mentre ogni tanto si tirava su a guardare la natura immobile. I lumi di una città che distinse da lontano, però, gli alleggerirono l'animo. Non era poi così distante, sarebbe stata una meta perfetta e sicuramente avrebbe imparato cose nuove sui Pokémon e sugli abitanti di Galar, pensò, ma aveva bisogno di riprendere energia se voleva raggiungerla a piedi. Così, si adagiò nuovamente e si riappisolò.

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Capitolo 5
*** Verso la Città ***


Aprì lentamente gli occhi e con tranquillità. Era la prima volta a Galar che gli capitava di svegliarsi indisturbato: non una singola goccia di rugiada, neanche una creatura giunta ad annusarlo o a leccargli il volto. No. Quella volta era andata diversamente e, nonostante quell'incubo avesse tentato di tormentarlo la notte, Oko si sentiva sereno, così come lo era il cielo quella mattina. Il sole illuminava coi suoi raggi l'intera terra selvaggia e il Viandante amava essere coccolato da quel piacevole calore, mentre se ne stava disteso a oziare passandosi le dita tra i capelli. Sarebbe rimasto tutto il giorno lì a pisolare e a rilassarsi, ma aveva una meta da raggiungere e non aveva tempo da perdere, per cui si alzò e, dopo essersi stirato per bene, si rimise in marcia.

Passo dopo passo, l'ombra iniziò a farsi più frequente, per via degli alberi, e vi era una quiete gradevole. Tra l'erba alta, piccoli Pokémon di varie forme e colori si nascondevano, mentre di tanto in tanto la fata riusciva a vederne qualcuno più grande vagabondare allo scoperto. Ognuno aveva un aspetto piuttosto singolare, ma il suo sguardo venne attirato da una figura particolarmente bizzarra: pareva l'anello mancante tra una papera e un ananas, mentre in testa un'enorme ninfea le faceva da cappello. Si muoveva ballonzolando spensieratamente, emettendo un verso simile a un'allegra musichetta.

Colpito e divertito, Oko non seppe resistere alla tentazione di seguirlo, così cominciò a fischiettare, imitando quella buffa danza. Lo strano animale lo udì e, attratto da quel suono, si girò verso di lui.

«LUDI LUDI LUDI! COLO COLO COLO!» gli rispose, scuotendosi e agitandosi freneticamente. Non aveva intenzione di aggredirlo, anzi, sembrava che il Viandante gli avesse messo ancora più voglia di ondeggiare, così gli si avvicinò con aria di festa e Oko si lasciò trasportare dai movimenti del suo corpo, in un balletto gioioso.

Fecero salti e giravolte e volteggiarono a lungo, finché la fata lentamente si fermò. Il Pokémon lo guardò allora con aria interrogativa.

«Sono desolato, amico mio» gli disse mellifluo, recitando il proprio dispiacere «ma temo che sia giunta per me l'ora di lasciarti.»

«Ludi ludi?» fece la creatura, preoccupata.

«Ballerei con te ogni dì, ma non posso restare, o mio carissimo. Il dovere mi chiama.»

«Cooolo?» mugolò deluso l'animale

«Oh, no, niente affatto!» gli rispose gentilmente Oko, chinandosi su di esso e guardandolo dolcemente «È stato per me un onore questo breve momento con te. Non ti crucciar: un giorno danzeremo di nuovo insieme, d'accordo?»

«LUDI LUDI LUDI!» schiamazzò agitandosi dalla contentezza.

«Allora, amico mio, è stato un vero piacere incontrarti» si inchinò com'era solito fare «mi auguro di rivederti presto. Ti saluto!»

Si separarono: il mostriciattolo riprese il suo ritmo giocoso e il Viandante ritornò sui suoi passi. Non aveva alcun senso di colpa nell'aver illuso quel poveretto, anzi, provava un certo gusto nell'essere cosciente che un bel giorno si sarebbe reso conto che l'amico dalle orecchie a punta non sarebbe più ricomparso. Trovava ancora più appagante pensare che probabilmente quella creatura sarebbe stata ad aspettare e a sperare il suo ritorno fino alla fine dei suoi giorni, a tal punto che gli era venuto un leggero languorino. Solo dopo essersi allontanato da quel Pokémon, si era ricordato che non aveva ancora fatto colazione e che la fame in quel momento stava iniziando a infastidirlo.

Non tardò, però, a trovare la soluzione a quel problema: poco distante da lui, un albero molto particolare spiccava tra gli altri del boschetto. Oko era colpito da tale aspetto: non un solo tipo di bacca cresceva su di esso, ma pareva averne tre per ramo. Mangiarle sarebbe stata una grande soddisfazione, così si aggrappò al tronco e lo scosse facendone cadere abbastanza da potersi saziare.

Dopo averle raccolte, ne assaggiò una: era due volte più saporita di un normale frutto, così tanto che gli si abbassarono le orecchie da quanto era deliziosa e decise di conservare le altre per gustarsele durante il tragitto.

Mentre sbocconcellava e procedeva spensierato, uscendo da quella piccola foresta, improvvisamente il cielo si rannuvolò con sorprendente rapidità e cominciò a piovere. Non era un problema per lui bagnarsi un po', anzi, trovava molto curioso come in quelle terre selvagge il tempo potesse mutare in un modo così inaspettato e con estrema frequenza. Dandel aveva ragione: laddove finivano la città e la tecnologia, la magia ne prendeva il posto, esercitando il dominio più assoluto. Oko si sentiva quasi a casa, anche se una casa non l'aveva più e il suo piano d'origine avrebbe preferito dimenticarlo.

Era giunto nei pressi della torre diroccata e mentre osservava da lontano e con la coda nell'occhio quell'antico rudere, scorse una figura nera scendere lentamente dall'alto: un corvo, ma era più grosso di un'aquila e una spessa e lucente corazza lo ricopriva dalla testa fino alla punta degli artigli. Sembrava un cavaliere alato e volava molto basso; sembrava anche piuttosto tranquillo, ma forse era meglio non disturbarlo, per cui la fata proseguì indifferente per la propria strada.

Regnava la calma, tutt'intorno piccoli spettri fluttuavano a dozzine nell'erba alta. Il Viandante poteva udirne i mormorii ed i lamenti che rendevano l'atmosfera leggermente inquietante, quasi come se quella zona fosse infestata o maledetta.

Passando vicino alla costruzione di pietra, superò un enorme golem che, camminando a passo lento e pesante, neanche si era accorto della sua presenza. Oko si fermò a guardarlo: era interessante come delle sfere piccole quanto le sue mani potessero racchiudere una bestia così grande, come un genio in una lampada, ma sarebbe bastato a contenere l'immenso potere dei Pokémon giganti che abitavano il sottosuolo? Forse esistevano PokéBall di dimensioni maggiori? Non poteva ancora saperlo, ma era certo che le risposte alle sue domande le avrebbe trovate molto presto. La destinazione non era più così distante e iniziava a sentire freddo, inzuppato com'era da quella pioggia mattutina. Riprese allora il suo cammino lungo il praticello.

Quando raggiunse le porte della città, il cielo ritornò sereno alla stessa velocità con cui si era rannuvolato. Il Viandante tirò un sospiro di sollievo, poteva finalmente asciugarsi, ma prima di fare un altro passo, ebbe un attimo di esitazione: era forse il caso di mantenere le proprie sembianze? Poteva davvero avere la certezza che a Galar ci fossero creature simili a lui, dalle orecchie a punta, tra le quali mimetizzarsi facilmente? C'era un solo modo per scoprirlo, per cui salì i gradoni di pietra ed entrò.

Quel centro abitato era come un grande borgo i cui edifici erano tutti costruiti in mattoni rossi, ma ciò che vi era di più caratteristico era quello che usciva dai camini e dai tubi di metallo di ogni palazzo: il vapore. Sembrava una gigantesca fabbrica, affollata di persone e Pokémon di varie specie e dimensioni.

Oko si chinò a leggere un cartello che si trovava al suo fianco, attaccato a un muro: «Steamington, città industriale che ha abbracciato la modernità, grazie alla potenza delle macchine a vapore.»

Doveva essere una località importante, sicuramente il posto giusto dove ottenere nuove preziose informazioni, perciò la fata si affrettò ad attraversare il ponte che collegava l'ingresso al resto della città, alla ricerca delle persone giuste alle quali porre domande.

Mentre camminava, però, notò che un passante lo stava fissando e che la sua espressione si era fatta più incredula, così come per quelli che gli stavano intorno. Inizialmente, Oko non comprese tutto quello stupore, quindi non poté fare a meno di volgere un delicato sorriso a tutti coloro che lo stavano osservando in quel modo: forse non avevano mai visto un esemplare così bello e affascinante, pensò, ma ad un tratto udì qualcosa che gli fece cambiare idea all'istante.

«MAMMA, GUARDA: UN ELFO! C'È UN ELFO LÌ!» la voce gioiosa di un bambino dietro di lui lo immobilizzò.

«Non si indicano le persone col dito, tesoro» si aggiunse una voce femminile. Sua madre.

«MA MAMMA, QUELLO È UN ELFO VERO!» insistette lui.

La fata sentì una minuscola gocciolina di sudore scendere lungo la fronte e lentamente si voltò. Gli occhi del marmocchio gli erano incollati addosso, scintillanti, come se avesse visto qualcosa di straordinario.

«Su, andiamo a casa, amore» gli disse la donna, prendendolo gentilmente per la mano e affrettando il passo «e non lo guardare, è solo un ragazzo molto confuso!»

E mentre il suo sguardo li seguiva mentre andavano via, Oko sentì qualcosa urtarlo al fianco, come una gomitata: un gruppo di ragazzini gli era appena passato accanto.

«Ehi, bel costume, sfigato!» lo schernì uno di loro.

Il Viandante gli rivolse un'occhiata di disprezzo.

«SSSHH, piantala, Gennaro, ci fai sempre fare brutta figura!» lo riprese un altro, sottovoce, accortosi della reazione negativa.

«Ma hai visto com'era conciato?!» continuò a sbeffeggiare il bulletto, mentre si allontanavano «Dai, neanche il mio Rattata è più sfigato di così...»

La maleducazione non mancava proprio mai! Oko abbassò leggermente le orecchie, era evidente che si sentisse a disagio. Se avesse pensato a camuffarsi sin da subito, pensò, quella scena imbarazzante non sarebbe mai accaduta e non si sarebbe ritrovato ad essere lo “strano” in mezzo a tutta quella gente normale, o presunta tale. Erano TUTTI umani e lui l'unico “elfo”, che elfo poi non era. Certamente Dandel non gli aveva parlato dell'esistenza di creature diverse da esseri umani e Pokémon, ma la fata aveva preferito credere che su quel piano non ci fossero SOLO quelle e così si era sbagliata.

Poteva, però, ancora rimediare: era impensabile cancellare la memoria di quell'avvenimento facendo l'occhiolino a tutti, ma aveva ancora la possibilità di farlo passare come una cosa insignificante, effimera, della quale quella folla si sarebbe subito dimenticata; in fin dei conti lo avevano solo scambiato per un buffone da quattro soldi.

Cominciò allora a passeggiare, in cerca di un angolo nascosto, escludendo i luoghi più trafficati e mantenendo un atteggiamento indifferente, ma non poteva evitare di attirare l'attenzione degli altri: qualsiasi strada prendesse, qualcuno gli avrebbe comunque puntato gli occhi addosso e anche i Pokémon ne sarebbero stati incuriositi. Oko era sottopressione e, nonostante si sforzasse il più possibile di far finta di nulla, continuava a sudare, ma finalmente riuscì a trovare la soluzione.

Aveva svoltato in un vicolo cieco che si affacciava sul fiume. Era completamente ombreggiato, a tal punto da essere quasi buio, e l'unica compagnia che poteva avere erano delle scale di ferro arrugginite.

Si sedette per terra e fece un respiro profondo per calmarsi. Il cuore gli batteva ancora forte, ma era fuori pericolo, lì nessuno lo avrebbe disturbato, così prese un po' di tempo per aspettare che si fosse del tutto ripreso, finché non giunse il momento di dar prova di ciò che sapeva fare meglio: Mutare forma. Le sue orecchie si accorciarono e si smussarono, mentre le pitture blu sparirono e allo stesso modo fecero la sua corona, le armi e tutti gli altri vestiti. Al loro posto comparve un cappello; il mantello piumato e gli spallacci divennero un giaccone borchiato e i pantaloni furono sostituiti da un paio diverso; ai piedi calzarono subito un paio di scarpe.

Era diventato un ragazzo dall'aspetto abbastanza ordinario ed era irriconoscibile. Ora sì che poteva godersi la città con tranquillità, pensò, e adesso che le acque si erano calmate, le strade gli parevano ancora più colme di vita: in una piccola area verde, dei bimbi giocavano allegramente insieme ai loro animaletti; sulle panchine, coppie di anziani si riposavano a guardare il fiume di fronte a loro e ogni tanto si chinavano a buttare briciole di pane agli uccellini che si posavano a mangiare soddisfatti; i negozi avevano tutti vetrine illuminate e un viavai di persone vi entrava e usciva.

Tutto ciò era quasi rilassante, ma, di colpo, il grido di una folla seguito da un applauso attirò la sua curiosità. Proveniva da un piccolo locale, fuori dal quale era raggruppata moltissima gente di tutte le età. Oko si unì a loro e, facendosi spazio tra quella calca di esseri umani e mostriciattoli, notò che ognuno di essi aveva lo sguardo rivolto verso l'alto e fisso su un bizzarro oggetto rettangolare: era come uno specchio magico che rifletteva immagini in movimento e ed emetteva suoni. Mostrava un edificio simile a un'arena per gladiatori e che allo stesso tempo sembrava un gigantesco fiore dai petali schiusi; si avvicinava sempre di più, come se si trovasse sotto una gigantesca lente di ingrandimento.

«BENVENUTI, SIGNORE E SIGNORI, AL GRAN FINALE DEL TORNEO...DELLE STAR...DIII...GAALAAAAR!» gridò con entusiasmo una voce proveniente dallo strano artefatto «STASERA LO STADIO DI GOALWICK È ORGOGLIOSO DI PRESENTARE L'EVENTO DI LOTTA IN SINGOLO PIÙ ATTESO DELL'ANNO, MA...UN MOMENTO! CHI ARRIVA?»

Per un istante, la voce si interruppe e la fata guardò l'inquadratura spostarsi rapidamente su un uomo in giacca e cravatta che aveva appena fatto il suo ingresso e, camminando, si stava dirigendo al centro. Aveva la pelle olivastra, mentre i capelli neri, rasati da un lato, terminavano in un ciuffo ben pettinato che pendeva dalla parte opposta.

«MA SÌ! È LUI! È IL SOLO! È L'UNICO! UN GRANDE APPLAUSO AL PRESIDENTEEE...ROOOOSE!»

Il pubblico applaudì, tra grida e fischi di gioia, mentre il magnate salutava alzando le braccia. Poi avvicinò il microfono alla bocca.

«Buonasera, carissimi spettatori» disse, rivolgendo a tutti un caloroso sorriso «è un onore avervi qui oggi, insieme a me, in questa meraviglia dello Stadio di Goalwick che come il sole e la luna, ogni giorno e ogni notte, illumina i nostri animi e i nostri cuori. Questa sera assisteremo alla fine di una stagione di battaglie che non ha mai smesso di regalarci nuove emozioni, ma non disperate perché ogni fine è in realtà un nuovo inizio ed io ho preparato per voi una bellissima sorpresa che, però, non vi rivelerò.»

Tra la folla si levò un grosso “NO” di finta delusione.

«Hehe...siete curiosi, eh?» continuò scherzando, mentre Oko lo seguiva attentamente dall'altra parte dello schermo «Ma niente panico, la vostra curiosità sarà presto appagata! Abbiamo tutto il pomeriggio per aspettare ed io so che la vostra attesa sarà incantevole perché adesso arrivano GLI INIMITABILIII...MAXIIIMIZEEEEERS!»

Seguì un altro applauso e Rose lasciò lentamente il posto a un gruppo di Pokémon di varie forme e dimensioni che entrarono in fila: due di essi somigliavano a salamandre ed erano molto simili tra loro; entrambi erano di colore violaceo, avevano musi cornuti e code ricoperte di spine appuntite, però uno aveva una lunga cresta gialla e dentellata e il ventre dello stesso colore caldo, mentre per l'altro le stesse parti del corpo erano azzurre. Il terzo era un gorilla robusto e possente, dalla folta chioma di foglie verdi che dalla testa gli scendeva lungo la schiena; portava con sé un tamburo di legno. L'ultimo era quello dall'aspetto più inquietante: ricordava un ibrido tra un lupo mannaro e un tasso, dagli occhi rossi e lo sguardo truce di un predatore affamto; la sua pelliccia era bianca e nera, a tratti più folta e grigia, mentre la lunga lingua la teneva continuamente penzoloni e fuori dalle mascelle dentate.

Le quattro creature si disposero in ordine a formare un quadrato, poi il mannaro impugnò il microfono e gettò un ululato spaventoso al cielo. Le salamandre lo seguirono e cominciarono a sfregare le loro dita sulle protuberanze che avevano sul petto, come se fossero chitarre. Infine si unì anche la scimmia, con un potente rullo della sua percussione, e il gruppo attaccò a suonare come una vera e propria banda.

Il Viandante si aspettava di udire una cacofonia ridicola e invece rimase stupito nel sentire che quella era una musica armoniosa e orecchiabile. Quegli animali erano stati ammaestrati molto bene, pensò, e rimase a guardarli da quello specchio magico, affascinato.

Andarono avanti per tutto il pomeriggio e a loro si unirono numerose danze di Pokémon ballerini. Poi quando cominciò a far buio, lasciarono il campo sportivo esattamente come avevano fatto il loro ingresso e restituirono il posto al Presidente, sempre accompagnato da un intenso batter di mani.

«Eccezionali i nostri Maximizers» si complimentò «riescono sempre a farci sognare col loro ritmo coinvolgente, ma adesso arriva il grosso. È arrivato il momento che tutti noi stavamo aspettando! Non vedevate l'ora, eh?»

Un gioioso “YEEEEEAAAAH” si levò dallo Stadio e dalla gente intorno a Oko.

Il volto di Rose, di colpo, si rattristò.

«Purtroppo, la brutta notizia di ieri è giunta pure a me» disse con aria afflitta «Dandel, il nostro invincibile campione, ha perso la casa, avvolta dalle fiamme in un tragico incendio ed io voglio condividere con voi il mio più profondo dolore.»

Nell'udire quelle parole, un sorriso malizioso e compiaciuto comparve sulle labbra della fata. Hehehe, sua maestà adesso lo sa, pensò, ma allo stesso tempo era infastidito dall'ipocrisia che leggeva nel suo tono.

«Egli, però, non si è ancora dato per vinto, non ha ancora perso la voglia di combattere!» continuò Rose, era nuovamente radioso «Anche stasera è ritornato alla carica e noi saremo qui a fare il tifo per lui e per il suo eterno rivale! SIETE PRONTIII?»

«YEEEEAAAAAAH!» urlarono tutti in coro.

«NON VI SENTO! VOGLIO SENTIRLO DRITTO DAI VOSTRI CUORI!»

«SÌÌÌÌÌÌÌÌÌ!» risposero ancora più forte.

Andiamo, sua altezza reale, arrivi al punto, pensò Oko, che non stava più nella pelle dal voler sapere cosa stava per succedere.

«SIGNORE E SIGNORI» gridò trionfante a pugni stretti e aprendo le braccia agli spettatori «IL GRAN FINALE DEL TORNEO DELLE STAR DI GALAR È ORGOGLIOSO DI PRESENTARE L'IMBATTIBILE CAMPIONE DANDEL E IL MAESTRO DEI DRAGHI, LAAABURNOOOO!»

E dopo un profondo inchino, contornato dall'ennesimo applauso, il Presidente Rose ritornò sui propri passi, sparendo dalla scena.

 

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Capitolo 6
*** Che lo scontro abbia inizio! ***


«Egli, però, non si è ancora dato per vinto! Non ha ancora perso la voglia di combattere!»

Era proprio di lui che il Presidente Rose stava parlando. Essere lodato e stimato dall'uomo più potente della regione di Galar era sempre appagante...eppure Dandel in quel momento non provava lo stesso. A breve avrebbe fatto il suo ingresso leggendario nello stadio e lo scontro tanto atteso sarebbe iniziato, ma c'era qualcosa in lui che non andava. Avrebbe dovuto essere carico, impaziente e pieno di adrenalina e invece continuava a sentirsi tormentato da mille pensieri.

Fiamme...lingue di fuoco...Charizard...casa e...Hop! Ma sì, era stato lui a chiedergli di sfidarlo in un'amichevole lotta Pokémon e a usare il suo Charizard! Lo sapeva benissimo che suo fratello era un gran maldestro e irresponsabile che prima o poi avrebbe combinato un disastro, ma nonostante ciò aveva l'impressione che quei ricordi non gli appartenessero. Non aveva mai lasciato che Hop prendesse in prestito le sue creature, non gli aveva mai detto di “sì”, eppure era successo e gli sembrava davvero strano.

Mentre cercava di mettere insieme i pezzi di quel rompicapo mentale, di colpo fu preso da un fastidioso malditesta che lo costrinse ad abbassare il capo e a poggiarsi una mano sulla fronte. Il rettile arancione, che era lì con lui, se ne accorse.

«Mmrrroooh?» fece, guardandolo con aria incerta, come per domandargli se fosse tutto a posto.

«Va tutto bene, 'Zard, sta' tranquillo» lo rassicurò, accarezzandolo sul muso «era solo...» non fece in tempo a finire la frase.

«...L'IMBATTIBILE CAMPIONE E IL SIGNORE DEI DRAGHI, LAAABURNOOOO!» il grido di Rose interruppe la loro conversazione.

«Oh no, è il momento!» esclamò spalancando gli occhi e drizzandosi in piedi dalla panchina su cui era seduto.

Se si fosse presentato a scoppio ritardato, avrebbe fatto brutta figura davanti agli spettatori, pensò, per cui si apprestò a sistemarsi i capelli e a richiamare la lucertola nella PokéBall, poi si mise il cappello e, mostrandosi fiero e pieno di sé, s'incamminò lungo il corridoio che conduceva al campo sportivo, lasciando che il suo mantello svolazzasse e ondeggiasse ad ogni suo passo.

Uscì contemporaneamente al suo rivale che, dalla parte opposta, gli stava venendo incontro. Laburno era, come al solito, inconfondibile: atletico e asciutto, mentre la sua pelle scura, sotto la luce dei riflettori, assumeva sempre un'affascinante sfumatura opaca. Era impossibile non riconoscere da lontano quel berretto rosso acceso e quella felpa disegnata apposta a imitare il ventre corazzato di un drago.

Il pubblico li accolse con un intenso applauso, tra chi faceva il tifo per l'uno e chi per l'altro, e le loro immagini furono immediatamente proiettate sui maxi-schermi.

I due continuarono ad avanzare verso il centro, finché non si trovarono faccia a faccia, a distanza di un metro, poi Dandel guardò con fermezza il suo sfidante che, essendo più alto, torreggiava dinanzi a lui. Gli occhi azzurri e limpidi di Laburno fissavano immobili i suoi, gialli e luccicanti come l'oro. In quel momento il Campione sentì la tensione crescere e salire tutta insieme: sarebbe riuscito a sconfiggerlo anche questa volta?

«Finalmente» cominciò il Maestro di Draghi, interrompendo il silenzio «ci incontriamo di nuovo sul campo di battaglia, “invincibile campione”...o forse dovrei dire “vincibile”?»

Dandel lo conosceva bene, erano molto amici e aveva imparato a prendere sullo scherzo ogni sua provocazione, ma i nuovi allenatori avrebbero trovato il suo atteggiamento un poco arrogante.

«E cosa ti fa pensare che io lo sia davvero?» gli chiese, mantenendo la propria compostezza «Sei davvero convinto che riuscirai a battermi?»

«Io non “sono convinto che riuscirò a batterti”, io ti batterò!» rispose presuntuosamente il rivale, puntandogli contro il dito «Tu e la tua squadra sarete sopraffatti! Ho studiato a fondo la tua strategia e adesso non hai più segreti per me, haaaah!»

A quelle parole, a Dandel sfuggì un sorriso quasi divertito.

«Dici sempre così in ogni torneo, eppure sei stato stracciato per...uhm...» iniziò a contarsi le dita delle mani «oh, che peccato, ti ho messo a tappeto così tante volte che ho finito le dita. La fiducia in te stesso ti fa onore, ma faresti meglio a non abbassare di nuovo la guard...»

DEEEENG!

Il suono della campana terminò la loro conversazione: la battaglia doveva prendere il via all'istante! I due si allontanarono subito l'uno dall'altro.

«Oh, scusa, non ho sentito bene» lo stuzzicò Laburno e, con una smorfia grintosa, estrasse una PokéBall «potresti dirmelo mentre...MANGI LA POLVERE?» la lanciò «VAI, TORKOAL!»

Una tartaruga dal guscio color carbone e fumante come un vulcano, uscì dalla sfera e poggiò goffamente le zampe a terra, diffondendo un calore estivo.

«Primo tempo di fuoco, eh?» osservò Dandel, preparando a sua volta un congegno «Avanti, Aegislash!»

Una spada animata volteggiò elegantemente su se stessa, poi si mise rapidamente sulla difensiva dietro la sua egida dorata. Era così affilata che bastava solo guardarle la lama per tagliarsi.

«Uuuuh, un Pokémon d'acciaio?! Questo è il mio turno fortunato!» esultò il rivale, poi si rivolse al suo «Torkoal, che ne dici di fondere quel ferro vecchio? VAI CON LAVASBUFFO!»

Il rettile si abbassò sulle zampe anteriori, sollevò il carapace dalla parte posteriore e il cratere sopra di esso eruttò violenti zampilli incandescenti.

«Aegislash, tu sai cosa devi fare» sussurrò il Campione all'arma, in segno d'intesa.

Nessun bisogno di spiegazioni, la creatura aveva capito benissimo: prima che i flutti roventi potessero colpirla, una barriera luminosa comparve davanti a essa, neutralizzando l'attacco.

«IL NEMICO ORMAI È NOSTRO, TORKOAL!» gridò l'altro «LAVASBUFFO!»

E la tartaruga ripeté nuovamente l'attacco.

«Argislash, è il momento! Rientra!» ordinò Dandel, richiamandolo all'interno della Pokéball. Rapidamente ne tirò fuori un'altra e la lanciò «Rhyperior, tocca a te!»

Il bestione dalle sembianze di un rinoceronte atterrò pesantemente sul campo di battaglia. Lavasbuffo lo investì, ma la sua corazza dura come la pietra dimezzò i danni e ne uscì quasi illeso.

«Ora è il mio turno!» disse il Campione, sorridendo «PIETRATAGLIO!»

Il colosso sollevò le grosse braccia e le batté sul terreno.

«Oh no! Torkoal, scansati di lì!» urlò Laburno al rettile, che si ritirò immediatamente nel guscio e rotolò di lato come una trottola, appena in tempo per schivare delle rocce appuntite che fuoriuscirono dal suolo.

«BECCATI QUESTO, DANDEL: SOLARRAGGIO!»

Torkoal cominciò ad assorbire luce dal carapace, poi si abbassò ancora sulle zampe anteriori e dal cratere partì un potente fascio luminoso che travolse Rhyperior come un'onda. I due allenatori furono costretti a coprirsi gli occhi per non rimanere acciecati.

Quando il bagliore sparì, il Campione vide che la sua bestia era a tappeto, immobile e priva di sensi, mentre la tartaruga era ancora in piedi. Il pubblico applaudì in coro il Signore dei Draghi per il primo Pokémon battuto.

«SÌÌÌ, UNO A ZERO PER MEEE!» esultò lui «Non vorrei rovinarti l'autostima, “invincibile Dandel”, ma sembra proprio che quello in vantaggio adesso sia il sottoscritto, hahaha!»

Sebbene all'altro quella battuta bruciasse un po', non cedette alla provocazione e mantenne la propria fermezza. Dopotutto aveva perso solo un componente della squadra, mentre tutti gli altri erano in piena forma e ancora pronti a ribaltare la situazione in qualsiasi momento.

«HAXORUS, DACCI DENTRO!» gridò lanciando una sfera.

Questa volta fece il suo ingresso una lucertola dalle squame nere e ricoperta da una spessa armatura verdastra, mentre due zanne a forma di ascia sporgevano dalle mascelle.

«Vedo che hai tirato fuori il tuo primo drago!» osservò Laburno divertito, poi si rivolse a Torkoal «Mettiamolo a nanna. Usa sbadiglio!»

Ma prima che la creatura potesse agire, il dinosauro spiccò un balzo e si schiantò a terra, sugli arti posteriori e con tutta la sua forza. Le scosse sismiche che provocò furono così potenti e impetuose che l'avversario si accasciò al suolo, svenuto. Seguì un altro gioioso applauso.

«Dicevi?» sorrise il Campione al rivale, che nel frattempo stava cercando di trattenere la rabbia.

«DAI, FLYGON, FALLO A PEZZI!»

Dalla PokéBall di Laburno uscì una bestia volante, dalle ali a forma di rombo, l'anello mancante tra un draghetto e una libellula.

«FLYGON, AFFETTALO CON DRAGARTIGLI!» ordinò all'animale, che si preparò ad attaccare.

Dandel stava per rivelare la sua prossima mossa, ma, improvvisamente, in quell'istante fu assalito da un fastidioso malditesta che iniziò a martellarlo insistentemente. Fu costretto a girarsi di lato e a poggiarsi una mano sulla fronte, anche se non voleva assolutamente che il pubblico lo vedesse in quello stato.

«Che c'è, Campione, ci stai pensando su?» lo stuzzicò lo sfidante «Non pensavo che per te fosse così difficile.»

Dandel non riusciva a sentirlo, il dolore era tale che ogni suono intorno a sé era ovattato e distorto. Non si era nemmeno accorto che il suo Haxorus si era girato verso di lui, in attesa di ordini, mentre il nemico stava per saltargli addosso, gli unghielli sguainati e pronti a ferirlo.

Nel giro di alcuni secondi, si riprese.

«HAXORUS, USA OLTRAGG...COSA?!» era troppo tardi: il dinosauro giacieva a terra, sfinito. Il drago libellula lo aveva battuto con un colpo critico ed egli non se n'era reso conto.

«Ma...si può sapere che ti è preso?» chiese Laburno, perplesso.

Anche gli spettatori lo avevano notato, il Campione poteva sentirli mormorare e parlare tra di loro. Non andava per niente bene, pensò, lo avevano visto tutti e sicuramente sarebbe finito sul giornale, cosa che avrebbe influito sulla sua reputazione ed egli non lo desiderava affatto, per cui si ricompose rapidamente e la sua espressione ritornò alla normalità. Come se nulla fosse successo, estrasse la sua terza sfera.

«CORAGGIO, DRAGAPULT!»

Il congegno si schiuse, liberando una salamandra dalla coda trasparente e la cui testa ricordava un deltaplano.

«Ehi, bello, niente compassione stavolta» scherzò l'avversario «Sai bene che non voglio vittorie regalate!»

«Infatti non l'avrai!» replicò il Campione, grintoso come al solito, poi guardò il Pokémon «DRAGOSPIRO!»

«FLYGON, ANCORA! SPACCALO CON DRAGARTIGLI!»

Ma quando l'animale osò scagliarsi contro il nemico, questo fu più veloce e sparò dalla bocca un getto violaceo che lo investì, lasciandolo intorpidito e incapace di reagire.

«DANNAZIONE, ME LO HAI PARALIZZATO!» protestò Laburno.

«Lo hai detto tu di non volere compassione» lo schernì gentilmente l'altro «e ora, se permetti...DRAGOSPIRO!»

Dragapult ripeté l'azione e Flygon cadde a terra, privo di energie.

«MALEDETTO, ADESSO ME LA PAGHI!» ringhiò l'avversario e lanciò una Pokéball «HYDREIGON, È IL TUO MOMENTO!»

Il congegno sprigionò un'idra dalle piume nere e le squame blu che ruggì con tutte e tre le sue inquietanti teste.

Dandel si rivolse alla sua creatura: «Dragapult, penso che non ci sia bisogno di spiegazioni.»

La salamandra lo guardò con i suoi occhi gialli e annuì.

«FAGLI ASSAGGIARE IL TUO DRAGOPULSAR!» gridò il Maestro dei Draghi, in preda alla foga.

Le due bestie attaccarono all'unisono e i loro soffi si scontrarono in uno spettacolo di luce purpurea, ma Hydreigon, facendosi forza con tutte quante le mascelle, riuscì a respingere l'attacco nemico e Dragapult fu travolto e scagliato via. Un altro K.O.

Laburno era diventato davvero forte dall'ultima volta che lo aveva incontrato nello stadio, Dandel non aveva mai visto così tanta potenza in lui, prima di allora. Si sentiva quasi alle strette, aveva solo due Pokémon rimanenti, poi sarebbe stato costretto a tirar fuori l'asso nella manica.

«AEGISLASH, AVANTI, TOCCA A TE!»

E la spada fece il suo ritorno in campo.

«Quella cosa non ha speranze» rise il rivale «Hydreigon, scaldalo un po' con fuocobomba!»

Il mostro unì le sue tre bocche e vomitò una grossa fiammata.

«Spadasolenne!» ordinò il Campione.

Prima che potesse essere colpita, l'arma volteggiò in alto con una piroetta, facendo roteare l'egida ed eludendo elegantemente l'attacco. Poi la lama fischiò e, come un cavaliere che abbatte il drago, tagliò l'idra a sangue che rovinò al suolo. L'aveva sconfitta, i due allenatori erano nuovamente in pareggio.

«TI PORTERÒ VIA QUEL TUO TITOLO DI CAMPIONE, MI HAI SENTITO?» urlò lo storico rivale, ribollente di rabbia «Non riuscirai a battermi! GOODRA, CONTO SU DI TE!»

Hydreigon lasciò il posto a un animale paffuto e viscido, simile a una lumaca a due zampe, dall'aria simpatica. Dandel fece cenno al suo Pokémon di attaccare.

«Vediamo come te la cavi con...TUONO!» gli rispose l'avversario.

Aegislash, con una giravolta, si scagliò contro la creatura e la ferì con la lama, ma fu respinto da una violenta scarica elettrica che lo scombussolò un pochino. Ma il Campione non si diede per vinto e insistette ancora. Quando la spada si rilanciò all'assalto, il secondo colpo fu troppo per Goodra, il quale si accasciò a terra, fuori combattimento.

«TE LA FACCIO ESPLODERE QUELLA MALEDETTA SPADAAAA!» ruggì Laburno, scagliando la penultima Pokéball «TURTONATOR, VAIIII!»

Ne uscì un mostro dalle sembianze di una tartaruga che si mise immediatamente sulla difensiva, col guscio rosso acceso e irto di spine appuntite verso l'avversario. Lo sfidante gli ordinò di usare Fuocobomba e Aegislash fece per colpirlo con Spadasolenne, ma il corpo viscoso del Goodra gli aveva rallentato i movimenti e non riuscì a scansarsi in tempo. Le fiamme lo avvolsero e l'arma rovinò al suolo.

«Ehi, Campione, non senti anche tu questo odore?» scherzò il rivale, annusando l'aria «Non sarà forse...il profumo della mia vittoria?»

«Caspita, devo aver preso il raffreddore!» ironizzò Dandel che si preparò a tirare la sfera Poké «RILLABOOM, FAGLI VEDERE CHI SEI!»

Col suo robusto tamburo di legno, il possente gorilla rigoglioso poggiò le zampe a terra.

«Non ti senti in colpa per aver mandato un Pokémon erba contro il mio? Hahahahaha» lo derise l'altro.

«Sono i rischi del mestiere» fu la risposta pacata del Campione «ma adesso questo “Pokémon erba” userà...FORZA EQUINA!»

«OH, MAMMA!»

Lo scimmione ruggì, battendo i pugni al petto, poi partì alla carica, muovendosi sulle quattro poderose zampe. Laburno si chinò verso Turtonator e gli sussurrò qualcosa nell'orecchio. Dandel si fece sospettoso: cosa poteva avergli mai detto? Aveva paura di saperlo.

Rillaboom sollevò le braccia muscolose e in quel momento la tartaruga arroventò il carapace, porgendoglielo. Il primate gli si schiantò addosso con tutta la sua potenza, ma di colpo, scoccò una scintilla.

«Oh, no!» mormorò il campione, preoccupato.

Dalla corazza si generò un'esplosione che scagliò all'indietro i due allenatori. Si rialzarono a fatica, tossendo un pochino, e quando il polverone si fu dissolto, videro che entrambe le creature giacievano sfinite.

«AAAAHAHAHAHAHA, TE L'HO FATTA!» rise il Signore dei Draghi, spanciandosi dal divertimento «ERA DA UNA VITA CHE VOLEVO FREGARTI CON LA MIA GUSCIOTRAPPOLA!»

Ma Dandel non sembrava contento. Non avevano fatto altro che pareggiare e ora era rimasto solo un Pokémon su cui riporre tutta la fiducia e la speranza. Si fermarono per riprendere fiato e si guardarono furenti e ansimanti. La tensione saliva verso il culmine e il pubblico esultava, mentre il sudore scendeva lungo i loro volti, sporchi di fuliggine.

Passarono i minuti, poi, a un tratto i due estrassero le loro sfere e, contemporaneamente, le lanciarono.

«DURALUDON, FAMMI SOGNAREEEEE!» gridò Laburno.

Entrò in gioco un goffo dinosauro ricoperto di una spessa corazza di metallo e lucida come uno specchio.

«CHARIZARD, IO SCELGO TEEEE!» rispose Dandel.

Il lucertolone volante ruggì con lui, pronto per lo scontro finale.

«DURALUDON, QUESTO GIORNO È FINALMENTE ARRIVATO, SCATENA IL TUO POTERE GIGAMAX E MOSTRA A TUTTI CHI È LA VERA TORRE DI GALAAAAR!» urlò lo sfidante, richiamando la bestia nel congegno che, intriso di una strana energia scarlatta, aumentò di grandezza. A quel punto, se lo avvicinò a una spalla e il suo Rotomdex uscì da una tasca della felpa. Con un attraente sorriso, l'allenatore si scattò fulmineo una foto e scagliò l'enorme palla. Il Pokémon liberato iniziò a crescere a dismisura e a cambiare aspetto, fino a superare in altezza l'edificio. L'armatura sul lunghissimo collo e sul ventre era diventata così trasparente e vitrea che sembrava richiamare le finestre di un grattacielo vivente, mentre sopra la sua testa nubi nere e burrascose avevano iniziato a vorticare furiosamente.

«CHE IL FUOCO DELLA VITTORIA ARDA DALLA MIA PARTE!» fece il Campione, ritirando il suo rettile, poi con entrambe le mani tirò in alto la grossa sfera.

Charizard s'ingigantì progressivamente, a tal punto che le fiamme, non più capace di contenerle all'interno del suo immenso corpo, si sprigionarono dalle spalle e incendiarono le ali. Il pubblico cominciò ad agitarsi e a cantare un gioioso coro da stadio: il bello stava per arrivare.

«Non senti gli spettatori che fanno il tifo per me, Dandel? Ti schiaccerò quel tuo volatile e ti ritroverai a guardare la cenere della tua sconfitta!» Laburno alzò lo sguardo verso il colosso «SCATENA LA TEMPESTA, TRASCINA QUEST'ARENA NELL'ABISSO COL TUO DYNAMACIGNO!»

Dal suolo, il gigantesco animale fece emergere un'altissima parete di roccia che lentamente iniziò a inclinarsi verso l'avversario.

«CHARIZARD, ORA! SPAZZALO VIA CON DYNAJET!»

La lucertolona si alzò prontamente in volo e agitò violentemente le ali infuocate, generando un vortice d'aria che trapassò il muro, mandandolo in frantumi, e colpì Duraludon che si piegò leggermente, ma non si mosse di un millimetro. Le macerie si schiantarono a terra e il polverone sollevato generò una tempesta di sabbia che arrecò del danno a Charizard.

«Come siamo diventati gentili, mi stai regalando il titolo, per caso?» lo provocò ancora una volta il rivale «Ti farò passare la voglia di prenderti gioco di me. AVANTI, DURALUDON, QUESTA È QUELLA BUONA! DYNAMACIGNO!»

«Regalare? A te? Te la regalo subito, vieni a prenderla!» gli rispose Dandel per le rime, poi si rivolse al suo Pokémon «È il momento, 'Zard...VAI CON GIGAVAMPA!»

Il rettile si gonfiò e dalle fauci sprigionò un'onda di fuoco che spaccò nuovamente il colossale masso di Duraludon, travolgendolo. Il calore estivo prese il posto della tormenta di polvere, cambiando le condizioni atmosferiche, ma Charizard non riuscì a evitare i grossi frammenti di pietra e li prese tutti in pieno. Si schiantò a terra, facendola tremare, e rimase immobile, mentre il nemico, seppur in condizioni critiche, ancora torreggiava come un palazzo. Gli spettatori trasalirono, poi tacquero e osservarono l'accaduto a bocca aperta: lo aveva sconfitto?

«Charizard...» anche Dandel era senza parole, non gli era mai capitato che Laburno lo mettesse con le spalle al muro o peggio...in ginocchio!

«AAAAHAHAHAHA, sapevo che questo giorno prima o poi sarebbe giunto!» esultò il Maestro di Draghi «Che c'è, hai paura della sconfitta, eh, Campione? O forse non dovrei più chiamarti così?»

Qualcosa, però, non tornava, pensò Dandel: il pubblico non stava applaudendo e un Pokémon gigante, una volta sfinito, avrebbe dovuto riacquisire le proprie dimensioni di sempre, ma 'Zard aveva ancora il potere Gigamax attivo! Che stesse fingendo?

La risposta alla sua domanda non tardò ad arrivare: il bestione si mosse e goffamente si liberò dai massi che lo avevano tenuto intrappolato, facendo sentire il suo possente ruggito.

«AAAGH, NO! NO! NO! NOOOOO!» si mise a urlare l'avversario, con gli occhi strabuzzanti, mettendosi le mani nei capelli «NON PUÒ FINIRE COSÌ! NON DEVE FINIRE COSÌ! È MIA LA VITTORIA! DURALUDON...CONTRATTACCA!»

Ma il drago era troppo indebolito per vincere di velocità. Le fiamme di Charizard divamparono ancora più violentemente, divorandolo per l'ultima volta. Nella caduta, l'enorme dinosauro corazzato divenne sempre più piccolo, fino a sparire nella PokéBall del suo proprietario. La folla andò in delirio, acclamando Dandel che era riuscito a difendere il suo titolo con successo, mentre Laburno, a pugni stretti, cercava di non esplodere.

«E va bene» aggiunse, chiamando il Rotomdex fuori dalla felpa e incrociando le braccia dietro la testa per farsi bello «vada per l'ennesimo autoscatto della sconfitta, ma il prossimo torneo lo vincerò io!»

I due tornarono al centro del campo, l'uno di fronte all'altro e si strinsero la mano.

«UNA BATTAGLIA MERAVIGLIOSA, DAVVERO MOZZAFIATO!» esclamò il cronista «UN GRANDE APPLAUSO AL NOSTRO INVINCIBILE CAMPIONE, CHE ANCHE STASERA HA DATO PROVA DI TUTTO IL SUO GRANDE TALENTO, E AL SIGNORE DEI DRAGHI, UN AVVERSARIO DAVVERO TEMIBILE! NON LO AVEVAMO MAI VISTO COSÌ FORTE PRIMA D'ORA, RIUSCIRÀ A CONQUISTARSI IL TITOLO DI CAMPIONE AL PROSSIMO TORNEO DELLE STAR? QUESTO È ANCORA TUTTO DA VEDERE, MA RIMANETE CON NOI, LA SERATA HA ANCORA IN SERBO TANTE NOVITÀ!»

Gli spettatori continuarono a battere le mani con urla e fischi, mentre Dandel espresse la sua gratitudine facendo la famosa posa da campione. Vederli felici e gioire per lui gli rendeva il cuore più leggero, soprattutto quando nell'incendio di due giorni prima aveva creduto di perdere quasi tutto. Sua madre e suo fratello sarebbero stati davvero fieri di lui, dopo questo trionfo, e non vedeva l'ora di poterlo festeggiare con loro.

Laburno gli poggiò un braccio intorno al collo e insieme salutarono il pubblico. Come erano entrati, infine, uscirono di scena.

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Dall'altra parte dello schermo, Oko aveva seguito attentamente lo scontro, senza perdere alcun dettaglio, ed era orgoglioso di aver finalmente ottenuto le preziose informazioni che stava cercando. I bestioni che aveva incontrato nelle Terre Selvagge non erano giganti per natura: le loro enormi dimensioni dovevano essere frutto di un potere a lui ancora sconosciuto che, però, poteva essere innescato...ma con cosa? Il Viandante ricordava bene di aver attivato un faro di luce rossa, gettando un sasso simile a quello che teneva con sé in un buco, ma era sicuro di non aver visto strani ciottoli in mano ai due allenatori. C'era qualcos'altro con loro che, a contatto con le PokéBall, aveva rilasciato quell'energia, alterandone le dimensioni. Ma alla fata non veniva in mente niente, se non un piccolo particolare che inizialmente aveva ritenuto insignificante: un bracciale che entrambi avevano al polso ed era identico, sia per Dandel sia per Laburno. Con quell'oggetto era dunque possibile avere il controllo di quei colossi senza subire alcun danno e senza ricorrere alla violenza, ma avrebbe avuto la stessa certezza di farlo anche senza? A quel solo pensiero, gli si illuminò il volto e un sorriso malizioso comparve sulle sue labbra.

Nel frattempo, nel bizzarro specchio magico era nuovamente comparsa la figura del Presidente Rose, a prendere il posto dei precedenti sfidanti. Il magnate, dopo aver salutato il pubblico a braccia aperte, impugnò il microfono.

«Bentornati ancora, carissimi spettatori!» disse «Dopo questa entusiasmante battaglia, dichiaro ufficialmente concluso il Torneo delle Star di Galar!» finse poi di asciugarsi le lacrime «Provo già nostalgia, non lo pensate anche voi?»

Si alzò un coro di approvazione.

«Vi ringrazio, amici miei, vi sono molto grato di essermi emotivamente vicini» proseguì «ma veniamo ordunque al sodo. Vi avevo promesso una sorpresa, al termine di questa serata. Volete scoprirla?»

«SÌÌÌÌÌÌÌÌ!» gridò la folla, gioiosa.

«Ebbene, signore e signori, tenete occhi e orecchie ben aperti perché state per assistere all'inaugurazione della Novantanovesima Edizione della straordinaria e unica...SFIDAAA DELLEEEE PALESTREEEE!»

Cominciò a fare gesti con le mani, come se volesse invitare della gente a entrare nel campo. «CAPIPALESTRA, VENITE AVANTI!»

Gli spettatori applaudirono impazziti e anche Oko sembrava molto curioso: cosa poteva mai essere un “capopalestra”?

Piano piano, fecero il loro ingresso sette persone in divise non molto diverse a quella che aveva Laburno.

«Le sue vittorie sbocciano rigogliose come fiori in un prato, ecco a voi, in prima linea, il coltivatore di Pokémon erbaaa...Yarrow!»

L'inquadratura si spostò su un giovane dai capelli mossi e rossicci; era grande, grosso e muscolosissimo, ma aveva l'aria molto pacifica e gentile. Indossava un grande cappello da fattore e una bandana verde.

«A seguire, direttamente dal fascino degli abissi del mare, l'onda travolgenteee...Azzurraaa!»

Era una ragazza alta, magra e scura di pelle; aveva gli occhi celesti, così come lo erano alcune ciocche della sua chioma nera e raccolta in una crocchia. Buttò un bacio al pubblico, mentre camminava ondeggiando.

«Le fiamme ardono potenti in lui, il nostro veterano del fuocooo...Kabuuu!»

Il Presidente passò a un uomo di mezza età dall'espressione seria, sul volto leggermente emaciato, e dai capelli sale e pepe. Anch'egli era nerboruto, e prevalentemente vestito di rosso.

«È timido e taciturno, ma quando combatte è davvero spaventoso! L'amico degli spettriii...Oniooon!»

Un bambino si fece strada a passo insicuro e curvo. La sua faccia era coperta da una maschera bianca e inquietante, come se volesse imitare un fantasma.

«Lasciatevi affascinare dalla magia del rosa perché sta arrivando la favolosa incantatriceee...Poppyyy!»

Dal naso lungo e a punta e dai capelli bianchi, una donna anziana camminava lentamente e gobba; aveva un lungo abito rosa, un cappello verde in testa, mentre al collo portava una grossa sciarpa viola e in mano un ombrello degli stessi colori.

«Quando inizia la sfida, arriva l'inverno! L'nconfondibile professionista del gelooo...Melaniaaa!»

Aveva un fisico rotondo e formoso, mentre il suo abbigliamento era completamente bianco come la neve, da capo a piedi.

«E ora l'ultimo della lista! Il più forte e incredibile, l'eterno rivale di Dandel, nonché Signore dei Draghiii...LAAABURNOOO!» gridò indicando l'allenatore grintoso che aveva appena fatto ritorno.

«Ne manca uno, ma c'era da aspettarselo, è un tipo molto...spinoso per queste cose.»

Si misero tutti quanti in ordine in fila orizzontale e Rose passò di fronte a ognuno di loro.

«Dieci sono gli allenatori scelti e sponsorizzati che avranno l'onore di sfidare i signori capipalestra in epiche battaglie e sono già tutti qui, in attesa di poter fare il loro ingresso nel meraviglioso Stadio di Goalwick! Stasera voglio dare loro il mio più caloroso benvenuto. Entrate in scena, giovani!»

Arrivarono in gruppo, accolti dagli applausi più sinceri, e si disposero anch'essi in linea retta. Avevano tutti circa la stessa età e il Viandante fu sorpreso nel notare che erano tutti...bambini!

Il Presidente li presentò uno alla volta, fino ad arrivare all'ultimo. Oko lo riconobbe subito.

«E dulcis in fundo, abbiamooo...» fece il magnate, porgendogli il microfono.

«Sono Hop!» esclamò il ragazzino, emozionato e radioso.

«Straordinario!» Rose era meravigliato «Mi sento davvero fortunato! Quest'anno avremo con noi anche il fratello del Campione! Sarà lui la nuova stella che prenderà il posto dell'invincibile Dandel?Lo scopriremo nei prossimi giorni! Il torneo avrà inizio tra una settimana, a partire da oggi, e non vedo l'ora di potervi regalare le più belle lotte Pokémon che abbiate mai visto!»

Oh, sì, le più sublimi che vossignoria abbia mai visto, pensò la fata, ridendo sotto i baffi. Avrebbe partecipato anche lui, senza ombra di dubbio, ed era certo che sarebbe stato un vero spasso! Non gli restava altro che aspettare.

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