Redemption

di Rose Heiner
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo & Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***



Capitolo 1
*** Prologo & Capitolo I ***


 
 
“Esistono molte vie per la redenzione,
non tutte sono pacifiche...”
 
 
 
 
 
Redemption
/re·den·zió·ne/
sostantivo femminile
 
 
1. Acquisizione di uno stato di libertà fisica o morale attraverso la liberazione da colpe e motivi d'infelicità.
 

 
Capitolo I
 
Gloria se ne stava col capo reclinato al sole. Ad occhi chiusi, non si curava della spallina che le era scivolata lentamente lungo il braccio.
Si era tolta il giubbotto di pelle e lo aveva abbandonato col casco sull’erba accanto a lei. Alex si accorse di non essere l’unico a fissarla quando un paio di suoi coetanei gli passarono dietro, sogghignando e masticando qualche commento sulla posizione distrattamente sensuale della ragazza. In effetti la dissolutezza con cui si concedeva alla luce calda sulla pelle... il collo morbido... il luccichio degli orecchini minuscoli sui lobi... niente di quello lo aiutava a concentrarsi.
-Alex mi osserva.- Gloria si era girata a guardarlo. - Mi osserva e mi vuole.-  Aveva il tono canzonatorio di una bambina. -Non è così, Alex?-
Alex trasalì e strinse un pugno in tasca. Cercò di dare l’impressione di essere perfettamente consapevole di sé. I suoi sensi erano abituati ad ubbidire. Era ridicolo temere che lei potesse fare breccia nel suo autocontrollo.
 -Alex ti osserva e pensa che, mentre tu cerchi di abbronzarti, anche la moto starà cuocendo.- rispose con un sorriso sfrontato. Dall’autogrill vicino cominciarono ad alzarsi voci allegre. Alex capì che erano arrivati i primi gruppi di famiglie in viaggio: dovevano essere almeno le dieci del mattino. -E che se non ci muoviamo a ripartire, la sella scotterà e tu ti lamenterai per le prossime due ore. - aggiunse. Ma Gloria restò immobile, quell’espressione di divertimento disegnata tra i lineamenti da amazzone.
Non avevano tempo per i giochetti voluttuosi. Alex si costrinse a sostenere lo sguardo e rimanere serio fino al momento in cui la ragazza fu in piedi. Allora Gloria raccolse le sue cose e si incamminò tranquilla verso la moto. Sembrava una pantera, quando avanzava così sicura di sé, questo Alex l’aveva sempre pensato.
La seguì e si sentì stupido a tenere gli occhi bassi, inchiodati a terra, pur di non averli sulla sua schiena. Come previsto, l’Honda nera cromata era tiepida al tatto. Alex tese una mano in attesa delle chiavi. Ce le aveva sempre lei, altrimenti rischiavano di perderle. Invece Gloria, per tutta risposta, lo afferrò per il colletto della maglia e un’espressione maliziosa le illuminò il viso.
-Lasciami guidare, dai. - bisbigliò, scuotendo leggermente i capelli color caramello. Alex emise un suono a metà tra una risatina e un sospiro. La sua forza di volontà era immensa, davvero. Però quell’atteggiamento provocante, quella selvatichezza degli istinti lo torturava.  Se fosse avanzato di qualche centimetro avrebbe potuto sfiorare la labbra di Gloria con le sue. E se aveva una vaga idea a riguardo di come sarebbe stato, evitò accuratamente di scoprire la verità. C’erano  dei limiti. Flirtare con Gloria, risponderle per le rime, toccarsi per scherzo... a quello erano abituati. Il resto non lo poteva considerare.
-Grazie dell’offerta, ma non voglio schiantarmi.- replicò e mise decisamente fine a quella pericolosa vicinanza. Saltò in groppa alla moto  e sentì Gloria armeggiare col casco dietro di lui.
Alex sorrise e diede una rapida occhiata alla strada. -Stringiti forte.- ordinò, mentre un tipo con una maglietta dei Nirvana sfilava ad un metro da loro. Gli venne in mente che una volta, a scuola, aveva letto qualcosa a proposito del significato del Nirvana in religione. Secondo una commentario buddhista rappresentava libertà dal desiderio e si otteneva solo con l’ auto-redenzione.
Libertà dal desiderio. Rise e partì sgommando, mentre il vento cominciava a crescere e a strappare via le parole di bocca. Nirvana. Il corpo di Gloria aderiva perfettamente al suo. E se non c’è nessuna volontà di redimersi?
 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Capitolo II
 
La voce di Bob Marley lambiva dalla cassa l’aria soffusa di chiacchiere e risate. Gli amici si scambiavano battute e scoop dell’ultimo minuto. Sandy stava appoggiata al suo petto, mordicchiando una fragola opportunamente rubata dal tavolino ricolmo di bicchieri e stuzzichini. Luke sorrise. Una volta avrebbe giudicato un pomeriggio del genere sprecato, addirittura ridicolo. Adesso si guardava intorno e si chiedeva come avesse potuto rinunciare a piccoli momenti di felicità come quelli.
Mentre tirava giù un sorso di tè - nessuno si era avvicinato alla birra e di questo era grato -,  il campanello trillò rumorosamente, spezzando il vociare divertito del salotto. Era strano: Luke non si aspettava che sarebbe arrivato qualcun altro. Il gruppo era al completo. Fece un cenno di assenso alla ragazza più vicina alla porta che indugiava sul da farsi. Probabilmente erano solo i vicini che chiedevano di abbassare il volume della musica. Non c’era da preoccuparsi, si disse.
Ma, evidentemente, sbagliava. Luke fu sfiorato da un vago senso di deja-vù quando dallo spiraglio aperto dell’ingresso notò sullo sfondo della strada una grossa moto in stallo. All’inizio non riconobbe le due figure  che sostavano sulla soglia, lei con le braccia serrate al petto e un’espressione fiera, lui immobile e silenzioso. Poi, improvvisamente, un’idea malsana gli procurò un tuffo al cuore. Se fossero entrati in casa con le mani intrecciate, sarebbe stato meno chiaro che si appartenevano e si sostenevano da sempre. E Luke conosceva solo due persone che si comportavano così. Invece, le ragazze del suo gruppo, specialmente quelle single, affilarono gli sguardi quando Alex si fermò qualche passo indietro rispetto a Gloria, come in una muta minaccia contro chiunque le si fosse avvicinato troppo.
Luke saltò in piedi, con la nausea che gli stringeva lo stomaco. Gli sembrò di sentire gli occhi sorpresi di Sandy su di sé, così come quelli di tutti gli altri. Doveva avere un’aria nera, allucinata. Non gli importava. Non poteva essere. Lei non poteva aver osato...
-Che ci fai qui?- sibilò e, anche se lo avesse voluto, non sarebbe riuscito a controllare il veleno che fluiva insieme alla sua voce. Da anni era accumulato e soffocato dentro di lui.
Gloria esibì una smorfia di finta offesa. -Luke! Cos’è, non mi presenti ai tuoi amici? Non sei contento di vedermi?- domandò, passando gli occhi di fuoco verde sulla sala.
Luke non riusciva a vedere altro. C’era solo Gloria. Una parte della sua testa si manteneva salda e la osservava: era completamente cambiata da quando aveva lasciato quella casa, non l’aveva mai vista così spavalda. L’altra voleva solo cacciarla nel modo più brusco possibile. Cominciò ad avanzare verso di lei e non sapeva che avrebbe fatto. Vide Alex irrigidirsi. Luke era uno psicologo. Se lo ripeté fra sé. La rabbia era una pulsione naturale, non doveva permettere che prendesse il sopravvento. Se avesse lasciato campo libero all’istinto avrebbe gridato, avrebbe fatto pensare ai suoi amici che era un folle, pur di allontanare quei due intrusi dalla sua vita.
-Tu non...- non ebbe neanche il tempo di parlare che Gloria scattò in avanti e lo aggirò. Allarmato, si voltò per scoprire suo padre sulle scale che portavano al piano di sopra. Doveva essere stato attirato dall’insolito silenzio del gruppo, mentre lavorava ad uno dei suoi progetti per la libreria. -Gloria?- mormorò e Luke capì dalla voce sottile che l’incredulità stava lasciando il posto alla commozione.
-Papà!-
Gli sembrò quasi che Gloria volasse: si lanciò ad abbracciare loro padre con tanta foga, come una bambina dopo essersi persa.
-Papà...- ripeté Luke. Era indignato. Gli voleva dire di non toccarla. Gloria se n’era andata una volta, ora non aveva più nessun diritto di essere accolta.
La voce gli morì in gola quando suo padre gli rivolse uno sguardo stupito, come se si fosse appena accorto della sua presenza in quella stanza. Uno sguardo impietosito, uno sguardo che diceva: “Hai visto chi è tornata? Hai visto? Abbraccia tua sorella, Luke, vieni ad abbracciare tua sorella.”
Gloria si voltò e gli sorrise, stavolta nessuna provocazione le forzava il volto . Aveva le mani giunte al petto, in un gesto che mal di accordava al look da biker. Mimava le parole di Bob Marley, cantava Redemption song senza voce e si mordeva le labbra. Emancipate yourself from mental slavery...
Luke si avvicinò un pugno chiuso alla bocca. Di solito diceva ai suoi pazienti che l’odio è un parassita, il più efficace metodo di autodistruzione. None but ourselves can free our minds. Cominciava a comprendere perché risultava a tutti così difficile liberarsene. Festeggiamo! La traditrice si rifà viva e deve essere ricevuta a braccia aperte.
-Luke, so che mi detesti, ma sono anni che non parliamo. Puoi provare a mettere da parte collera, rancore e istinto omicida nei miei confronti?- Ironia. Adesso si faceva anche dell’ironia. Ma certo, il figliol prodigo è tornato, ridiamo e facciamo per lei ciò che desidera.
Luke si girò in un lampo e rispose con uno sguardo assassino agli occhi feroci di Alex quando gli colpì una spalla, uscendo fuori casa.  Qualcuno, forse Sandy, aveva urlato il suo nome da dentro.
Filò sull’asfalto veloce. Il rumore del vento gli rombava nelle orecchie. Corse fino a sentire spazio e tempo mischiarsi, il sapore della bile alla bocca. Quando si fermò, cadde e non fece nulla per placare la violenza dell’urto. Batté le ginocchia e la testa gli girava turbinosamente. Si guardò i palmi delle mani. 'Cause all I ever have...
Aveva faticato così tanto per migliorarsi. Si era costretto a dimenticare, se perdonare era troppo difficile. E tutto quello che Luke aveva sempre avuto... Redemption songs... tutto quello che aveva ora, una stupida canzone di redenzione.
Un rivolo di sangue cominciò a scorrergli lungo un braccio. Rabbia cieca.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Capitolo III
 
No, lei ed Alex non stavano insieme. No... non lo erano neanche stati in passato. E no, assolutamente no! Lui non l’aveva mai toccata più di quanto fosse normale per un amico. Gloria sorrise stanca, mentre le ragazze le ponevano le solite domande e spettegolavano curiose. Già aveva dimenticato tutti i loro nomi. Si ricordava solo di Sandy, che adesso se ne stava in disparte ad ascoltare. Lei era stata l’unica a non stringerle la mano quando, dopo l’improvvisa drammatica uscita di Luke, era entrata in cucina e si era presentata. Gloria non se l’era presa: quella doveva essere la fidanzata di suo fratello. E a quanto pareva, una fidanzata molto fedele.  
-Ma è gay?-
Gloria scoppiò a ridere.  -Alex? Gay? No, Alex non è gay...- replicò divertita. Le frullarono in testa frammenti di frasi lasciate a metà, ricordi che aveva accuratamente evitato di menzionare. Alcuni baci caduti dalla guancia ad un angolo della bocca. I dialoghi stuzzicanti alle due del mattino degli after-party. Gli occhi di Alex che scivolavano sui punti giusti, come solo lo sguardo di un uomo che ama le donne sa fare.
-Allora sarà che non gli piacciono le cattive ragazze.- ammiccò una tra le più civettuole del gruppo. Gloria sollevò lo sguardo dal pavimento per distrazione, più che per sorpresa. Alzò il bicchiere di aranciata in un cenno di brindisi e tirò giù un sorso. Lasciò correre la provocazione: era facile essere definita dalle apparenze. Vestiti aderenti, aria sfrontata, labbra lucide. Ormai quell’idea di sembrare una “cattiva ragazza” non la innervosiva più.
-Dai, però... sembri simpatica! Non capisco perché Luke ce l’ha così tanto con te.-
Gloria scrollò le spalle. Negli anni aveva accumulato molte risposte. Ma che senso aveva parlarne? Rischiava solo di aumentare ancora la distanza che separava lei e suo fratello. Stava per incolpare l’incompatibilità dei loro caratteri diversi quando Sandy si mosse davanti alla finestra. Non era più con le braccia conserte appoggiata al muro. Si era girata verso di lei appena Luke era stato nominato.
Gloria si spostò un ciocca di capelli dal viso. Evidentemente Sandy sapeva qualcosa. E quel che sapeva derivava dalla visione pallida e sbilanciata di Luke.
-L’hai lasciato in un momento di bisogno. Mi ha detto che gli avevi promesso una mano e l’hai abbandonato.- affermò e parlava seccamente, come se recitasse una lezione che conosceva a memoria. Gloria appoggiò lentamente il bicchiere, sul bordo del mobile accanto a lei, quasi in bilico. Lo teneva su con un dito. Non le piaceva quando venivano giudicate le sue azioni senza permesso. Era abituata a ricevere commenti maschili sfacciati, a volte femminili invidiosi: preferiva sentire la gente avvalersi del diritto di soppesare ed infangare il suo corpo, non la sua testa. -E poi?- mormorò.
Sandy strinse i denti prima di continuare. -E poi la polizia si è presentata qui con un mandato di perquisizione. Cercavano qualcosa per una soffiata anonima.-
Gloria la fissò. Ripensò a quando un Alex di appena diciotto anni le aveva accarezzato una mano, guidando piano nel traffico di Boston. Le aveva detto di non piangere, lei aveva fatto il possibile per sostenere Luke. “Ma a volte per aiutare davvero le persone a cui teniamo dobbiamo ferirle. Hai capito, Gloria? Hai fatto ciò che ti sembrava giusto. Va bene, tesoro?” Mentre la moto si lasciava indietro le strade affollate, Gloria aveva immaginato due agenti che suonavano il campanello di finto ottone di casa sua. Luke apriva annoiato e si irrigidiva impressionato nel vederli. Tratteneva il respiro quando aprivano il cassetto della sua camera e ne tiravano fuori bustine di plastica trasparenti con un’occhiata snervata. Luke non era né il primo né l’ultimo diciannovenne delle loro carriere che avrebbero portato in caserma per spaccio e avrebbero costretto ai lavori forzati per la comunità.
-E qualcosa hanno trovato.- rispose Gloria freddamente.
-Lo sai che non ha mai usato quella roba, voleva uscire da quel brutto giro! Ti aveva chiesto aiuto!- La voce di Sandy era diventata più stridula del previsto.
Gloria rimase in silenzio. Sì, Luke le aveva chiesto una mano. Si era accorto che quelli che lui chiamava amici erano più interessati a comprare da lui che a passare una serata insieme. Ma l’unica ragione per cui si era rivolto a lei era perché non aveva altri.
-Li hai mandati tu qui, davanti a tuo padre e sei sparita. Non ci hai mai pensato a quanto lo avrebbe ferito, vero?-  L’espressione di dolore del volto di suo padre si proiettò davanti agli occhi di Gloria. Sandy aveva un tono indignato, ma sorrise, come se avesse colto l’ironia del fatto. -Hai ragione, sai?  Tu sei esattamente una cattiva ragazza.-
Adesso non poteva più tenere a freno la lingua. Gloria scattò. Spinse il bicchiere, allontanandolo da sé bruscamente. -Sandy,- cominciò e non si curò del gelo che stillava dalle sue parole -cara Alexandra, il tuo encomiabile affetto per mio fratello ti acceca.-
Avvertì immediatamente la tensione delle altre ragazze che osservavano la scena ammutolite. Avevano detto cattiva ragazza? Volevano davvero vedere ciò che era capace di fare? Gloria avanzò di qualche passo.
-Se ho una giacca di pelle, jeans attillati e guido una moto, non significa che vado in giro a scatenare risse e a bere. Anzi, spesso l’odore dell’alcol mi dà fastidio.- Era vero: una volta Alex le aveva fatto odorare una bottiglia di birra e lei aveva avvertito il bisogno di voltarsi dall’altra parte. -Cattiva ragazza? Be’, sì, ho notato che i vostri fidanzati lì in salotto mi hanno seguito con lo sguardo quando gli sono passata davanti. Però questo non significa che sarei pronta a scoprire cosa piace ad ognuno di loro.-
Sapeva che in quel preciso momento, con quella affermazione, con quella bruciante schiettezza, si era attirata parecchie antipatie. Ma perché Gloria avrebbe dovuto usare un po’ di tatto, se nessuno era in grado di farlo per lei? Almeno non era una bugiarda.
-Io non credo neanche esistano “cattive ragazze”.- ammise con un filo di irritazione. -Esiste solo gente fortunata e gente meno fortunata.- Era consapevole che nessuno avrebbe capito cosa intendeva.
C’era un libro di psicologia che Gloria adorava. L’aveva studiato per ore, mentre Alex disegnava i bozzetti delle sue scenografie, e aveva imparato che è il modo in cui si è cresciuti nei primi anni di vita ad influenzare per sempre comportamento e mentalità. La mera fortuna determina la famiglia che capita al singolo individuo e da questa casualità derivano tutti gli atteggiamenti successivi. Non esistono in natura “cattive ragazze”, né di certo ragazzi. Non è la natura a generare mostri, solo la società che li cresce.
Sandy taceva, ma continuava a guardarla sprezzante.
-E per la cronaca, in modo che tu possa aggiungere qualche dettaglio alla vostra versione dei fatti,- aggiunse Gloria -non avevo programmato di andarmene di casa. Sai quando mi sono convinta? Quel giorno, dopo che Luke mi aveva pregato di aiutarlo, una ragazza si presentò alla porta. Cercava Luke. Piangeva e diceva che non poteva essere. Non poteva andare così. Si teneva una mano sotto lo sterno, un po’ più su, perché non ne sapeva ancora niente di quella roba.- Man mano che Gloria raccontava, riusciva a scorgere la furia degli occhi di Sandy sgretolarsi. -Jocelyn non lo voleva proprio quel bambino.-
Se la ricordava bene Jocelyn. Aveva i capelli luminosi e un visino fragile, il tipo che s’innamorava di Luke per essere dimenticata da lui in qualche settimana. Avrebbe potuto andare al college e non dover lavorare come cameriera per quasi sette mesi. - Sai, alla fine non ha avuto il coraggio di...- Gloria si interruppe. Jocelyn era stata la scintilla che aveva innescato il suo cuore, che l’aveva spinta ad agire in maniera diversa. Grazie a lei le scelte che avevano formato il suo carattere avevano confluito in un’altra direzione. Ogni volta che Gloria ci pensava, le veniva un nodo in gola... Luke aveva rovinato l’adolescenza di Jocelyn... aveva danneggiato così tanti...
 -Appena nato, l’ha dato via.-
Sandy aveva un’espressione sconvolta. -Non l’avete mai detto a Luke?- chiese e sembrava che le mancasse il respiro.
Gloria fu pizzicata da un morso di tenerezza. -Oh, Sandy... certo che Luke ne era a conoscenza. E non ha alzato un dito. - Quello che stava facendo, dipingere suo fratello nella sua vecchia luce all’attuale fidanzata, era sbagliato, era invadente. -Ormai aveva intrapreso il suo cammino per cambiare vita, non voleva avere niente a che fare con chi gli ricordava il passato.-
Gloria sapeva di come Luke si era trasformato. Si era messo a studiare, aveva costruito un nuovo giro di amici e aveva cominciato a lavorare nella libreria con loro padre. Aveva da poco dato l’ultimo esame all’università: era uno psicanalista a tutti gli effetti e, da quel che Gloria aveva scoperto, trattava anche già qualche paziente.
-Io sarò stata tremenda. Una sorella che guarda negli occhi il fratello disperato, gli promette di aiutarlo, lo illude e addirittura lo tradisce. E per giunta, per tutto il tempo lontana da qui, sono stata bene. Ho ballato, ho cantato, ho riso con Alex. Io sarò stata un mostro. Ma credimi, per perdonare me stessa ho fatto cose inimmaginabili...- Il peso di quella parola, perdonare, lo aveva sopportato per anni... E dentro di lei perdonarsi aveva avuto a momenti lo stesso suono di punirsi. Gloria si passò le mani sui pantaloni aderenti e stretti. Prima di  andare via di casa, adorava indossare vestitini morbidi e gonne leggere.
-Io mi sono perdonata.- Gloria incrociò lo sguardo di Sandy. Era ancora scioccata, ma le parve di intravedere una nota di rispetto sul suo viso. -Ma tu pensi che Luke abbia mai perdonato se stesso? -
Non aggiunse altro. Lasciò che il silenzio si insinuasse fra di loro, portando i suoi dubbi frastornanti. Luke adesso era un giovane brillante, un ragazzo perfetto, ligio al dovere. Senza colpe apparenti. Il problema era che un passato doloroso può essere seppellito e dimenticato, come una vecchia scatola di fotografie in giardino, ma con la pioggia e con il tempo verrà fuori. O può essere affrontato. Ma suo fratello, nel profondo, era sempre stato terrorizzato dalle sfide. Sandy sbagliava. Luke non era un angelo risorto dalle ceneri, un redento. Luke viveva nella luce, non perché avesse sconfitto tutte le ombre, ma perché aveva una paura matta di chi diventava quando scendevano le ombre. E Gloria lo percepiva con la stessa certezza del sangue identico che scorreva nelle loro vene.


Angolo autrice: questo capitolo è davvero messed up per me. Purtroppo non riesco ad apprezzarne il contenuto, nè la forma. Mi piacerebbe conoscere un riscontro sincero da un occhio esterno. ( però, senza brutalità, per favore 
♥)

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV
 
Gloria aveva capelli più interessanti da disegnare rispetto alle altre ragazze. Le arrivavano alle spalle, erano mossi e dove il sole li colpiva brillavano dorati. Bastava un tratto per abbozzarli, senza bisogno di staccare la punta dalla carta. Alex ricacciò indietro un’imprecazione quando la penna si inceppò e la pagina fu imbrattata di macchie nere. Aveva il dannato vizio di tenere sempre in tasca il block-notes, ma non la matita. E quindi si doveva arrangiare con quello che trovava in giro. Gettò di lato la biro e il foglio sporco e si strofinò le mani per far sparire le tracce scure dai palmi. Sbuffò seccato.
Gloria era dentro casa e si aggirava a suo agio tra gli estranei. Era già riuscita a fare conoscenza, a risultare simpatica e, per di più, ad Alex non erano mica sfuggite le occhiate ammiccanti di alcuni dei ragazzi nel salotto che la squadravano. Invece lui era lì fuori, nel patio. A trovare la posizione meno scomoda su quella panchina di legno e cercare di  salvare perlomeno i vestiti dall’inchiostro. Doveva apparire ridicolo.
All’improvviso uno scatto secco lo fece sussultare: qualcuno si era chiuso la porta alle spalle. Anche se non aveva la minima intenzione di interagire con chiunque fosse uscito -a meno che non fosse Gloria, ma lei non era, perché riusciva a riconoscerla dal rumore dei tacchi-, si girò istintivamente a guardare. Un signore alto dai capelli brizzolati e dall’aspetto garbato lo scrutava con un cipiglio indecifrabile Era difficile essere spaventati dall’aria da bibliotecario o dalla ciotola di biscotti che teneva con una mano, ma il padre di Gloria e Luke aveva una durezza nello sguardo che trafiggeva e tradiva una sofferenza segreta, come di  una ferita da tempo sanata che qualcuno avesse appena riaperto.
Alex fu investito da un senso di inadeguatezza. Era seduto fuori casa di quell’uomo, erano cinque anni che girava l’America con sua figlia e non gli si era mai nemmeno presentato. Provò ad accennare ad un saluto con la mano, ma se ne pentì subito.
-Sei quello che ha portato via la mia bambina.-
Alex deglutì. Gli era capitato di pensare alla possibilità - quasi certezza, in realtà - che Luke serbasse rancore nei suoi confronti. L’ovvietà che, però, anche un uomo adulto, responsabile per Gloria, potesse nutrire sentimenti del genere lo colpiva davvero per la prima volta. E lo inquietava.
-Signore...- biascicò Alex. Aveva la gola secca.  -Gloria non desiderava più stare qui.- E di certo lui non l’aveva portata via...  come se avesse potuto rapirla di punto in bianco... assurdo, in quel caso lei avrebbe tirato tante di quelle sberle per difendersi... Gloria non era una bambina, né lo era tempo prima quando erano partiti. Quel discorso, oltre che a intimorirlo, lo irritava.
-E questo ti ha dato il diritto di farla salire su una moto e allontanarla dalla sua casa.- Non sembrava una domanda, aveva più il tono dell’accusa senza scampo che precede una pena atroce.
-Sì, signore, se era la sua casa a procurarle dolore.- rispose e cercò di infondere nella sua voce tutta la convinzione possibile. In fondo era vero. Perché sentiva di dover dimostrare qualcosa? Gloria era infelice quando viveva a Boston. Suo fratello la maltrattava e l’affogava con lui nei suoi stessi guai. Il senso di colpa le impediva di coinvolgere suo padre, che già soffriva per la recente separazione e per gli alti e bassi della sua libreria. Il desiderio di fuggire era vivo ben prima che ad Alex si presentasse l’occasione di lasciare la città, zaino in spalla e rombo dell’Honda, per la sua prima commissione scenografica. Era una colpa se aveva sperato così ardentemente che lei gli chiedesse di andare via insieme, di non lasciarla da sola in quel disastro? Era un peccato aver pensato che anche per lei sarebbe stata un’opportunità migliore? E se lo era, non si era redento per tutte le premure e l’affetto e i pensieri che le aveva rivolto in quegli anni?
Il padre di Gloria e Luke stringeva ancora il recipiente di plastica viola con le dita. All’interno dovevano esserci i Chocolate Chips cookies, quelli che si trovavano in ogni supermercato americano e odoravano di burro fresco. Alex lo sapeva perché Gloria ne aveva una tremenda ossessione. Era un dettaglio insensato da notare in quel momento? Certo. E sapeva anche quello.
-Vuoi bene a mia figlia?-
Alex fu colto di sorpresa. L’uomo lo studiava con due occhi impenetrabili. Ecco da chi Gloria aveva ereditato la capacità di incuriosire con i riccioli spumosi delle onde che vorticavano nelle sue iridi, di incantare e spogliare con le nere pupille profonde, senza mai lasciare intravedere le sue fragilità. Volere bene? Gloria aveva riso per lui, aveva imparato a guidare con lui, aveva soffiato le candeline davanti a lui. “Volerle bene” era quasi riduttivo.
Sorrise. -Sì, signore.-
Ma il padre di Gloria e Luke non appariva completamente soddisfatto. Alex pensò che era il tipo di persona che gli sarebbe risultata simpatica in pochi minuti. Se le cose fossero andate in modo diverso, in un’altra dimensione in cui le loro vite si fossero intrecciate ancora, probabilmente sarebbero andati molto d’accordo. Si sarebbero scambiati libri e pareri sul football. E Gloria ne sarebbe stata compiaciuta e mortalmente imbarazzata allo stesso tempo.
-Rifaresti ciò che hai fatto?- gli chiese ed Alex indugiò prima di avventarsi in una risposta impulsiva. Certo che lo avrebbe rifatto... Il suo interlocutore  sembrò spazientito dalla sua titubanza. -Non c’è una risposta sbagliata, ragazzo.-
-Se me lo chiedesse, non esiterei a rifarlo.- Era alquanto sicuro che dopo quell’affermazione sarebbero fioccate le intimidazioni paterne di non avvicinarsi più a sua figlia e di lasciarle vivere la sua vita in pace. Si morse l’interno di una guancia... Gloria non lo avrebbe mai permesso, vero? C’erano state stanze d’albergo in cui i loro respiri avevano suonato la stessa musica e lunghe corse in moto in cui il battito dei loro cuori si era sincronizzato. Il legame che li univa era così forte...
Invece si stupì quando sentì la ciotola frusciare sotto il suo naso. Il padre di Gloria e Luke gliela stava porgendo. Continuava ad avere una posizione autoritaria, ma non era teso. Anzi, sul suo volto era comparsa un certo barlume di stima.
-Prendi un biscotto, Alexander.-
Alex rimase senza fiato, ma non si fece ripetere due volte il messaggio di fiducia che gli era stato lanciato. Si spostò per fare spazio all’uomo che si stava sedendo accanto a lui.

Angolo autrice: Ho bisogno ancora una volta di un giudizio equilibrato. Sto cercando di lavorare sulla scorrevolezza dei testi, ma il capitolo IV di Redemption non mi sembra tanto scorrevole. E' così?

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Capitolo V
 
Ritirarsi lì, dopo anni di fuga e rifiuto della religione, sembrava quasi una colpa mortale. Luke strinse le mani sulle ginocchia, osservando smarrito l’interno della chiesa. Era seduto in prima fila, tra le panche di legno vuote. Ai piedi dell’altare, in attesa del suo turno di confessione, un’anziana signora contava i grani del suo rosario, mormorando fra sé. Per il resto l’atmosfera era permeata dal silenzio di cristallo che si crea nei luoghi sacri.
Doveva apparire tremendamente fuori posto, ma la quiete e la frescura avevano attirato Luke con mera sfacciataggine all’interno della chiesa. Desiderava solo che la fitta alla testa passasse e che i graffi sui palmi smettessero di bruciare in maniera tanto fastidiosa. Gli sarebbe piaciuto anche tornare indietro nel tempo, cambiare gli eventi del suo passato, ma quello era un altro conto.
Mentre si guardava intorno, una figura minuta scivolò alla sua destra, verso il banchetto delle offerte: ad ogni moneta lasciata, si poteva accendere una candela.
-Salve, sorella.- disse Luke a mezza voce. Non voleva risultare indiscreto, eppure l’aveva sempre affascinato l’idea di una vita così, ritirata, lontana dal mondo. La suora si voltò verso di lui, con il velo sui capelli e il viso un po’ paffuto. Aveva gli occhi piccoli, ma pazienti. Chinò il capo in un cenno modesto di saluto e tornò ad occuparsi della disposizione delle candele.
Luke sospirò e chiuse gli occhi. Non poteva distrarsi, doveva capire cosa fare con sua sorella. Non sarebbe riuscito ad evitarla per sempre, né a convivere con quella rabbia vorace che gli scavava dentro.
Trasalì quasi quando una voce sottile gli giunse all’orecchio. -Sembri tormentato. Vuoi che preghi con te?- La suora, che aveva perso interesse per il banchetto delle offerte, lo guardava con un misto di apprensione e comprensione.
-Sono un uomo di scienza, sorella.- rispose e in parte gli dispiacque dover rifiutare quell’offerta gentile. -Non so quanto ancora valgano le mie preghiere.-
Lei gli offrì un sorriso benevolo, come se non fosse la prima volta che ascoltava quelle parole.
-Sei pur sempre un figlio di Dio.- replicò e Luke la osservò camminare con il suo passo calmo verso una panca poco distante dalla sua. Figlio di Dio. Luke non si era mai sentito un figlio di Dio. Anzi, nella fase più buia della sua vita aveva persino negato l’esistenza di una qualunque divinità perché in fondo sapeva che, se fosse stato reale, il suo comportamento, in una dimensione ultraterrena, lo avrebbe condotto dritto all’Inferno. Poi, quando aveva cominciato a studiare seriamente e aveva mollato le vecchie abitudini, aveva capito che la religione è una necessità umana, un conforto per lo spirito in tempi di paura e dolore. Se mai ci fosse stato un Dio, come aveva affermato nella sua tesi di laurea, quello era la mente, che tutto può e percepisce. La mente, che nasconde segreti nel buio dell’inconscio, che ci protegge dalle ombre e ci indica quando è il momento di cercare un aiuto esterno. C’è un dio in ognuno di noi, bisogno solo saperlo ascoltare.
-La tua anima non trova pace.-
Di nuovo la suora lo colse di sorpresa nelle sue riflessioni, riportandolo al presente. Non si era neanche girata a guardarlo, come se la sua sofferenza potesse avvertirsi nell’aria attorno. Luke abbassò il mento sul petto, fissando i jeans morbidi e il pavimento chiaro della chiesa.
-Non sono in grado di perdonare qualcuno.- confessò. Alla fine si trattava di quello, perdono e coraggio. La donna tacque, aspettando che andasse avanti.
-Lei...- Luke ripensò alla stanza vuota di Gloria il giorno in cui era andata via di casa, la sciocca illusione che sarebbe tornata come ogni sera per cena. -Mi ha ferito e mi ha abbandonato per tutti questi anni...- La sconvolgente realizzazione che non l’avrebbe rivista né il giorno dopo, né quello dopo ancora. Il nodo in gola e il ronzio nelle orecchie, come un ago sottilissimo che incontra una lastra di ghiaccio, la buca e la riduce in mille pezzi.
-E poi?- domandò la suora con semplicità. E poi? E poi, cosa? Cosa c’era ancora da dire? Luke fece un respiro profondo. -E poi è tornata.-
La donnina si portò una mano al petto, accarezzò il sottile crocifisso d’argento che indossava. -Il figlio di Dio venne e rimase per trentatré anni. Poi andò via, lasciando lacrime e lamenti.- Stava probabilmente citando le Sacre Scritture, ma Luke lo intuì solamente dal tono sicuro e monotono con cui parlava. Non era capace di riconoscere i testi religiosi.
-E’ diverso, sorella... Gesù è stato tradito dagli uomini, è il loro peccato che lo ha ucciso e allontanato, non è così?-
La suora annuì vagamente, con lo sguardo puntato su Luke. -E lei, la donna di cui parli, non è stata allontanata dal tuo peccato?- domandò.
Luke aprì la bocca per rispondere, ma poi la richiuse. Per una volta non sapeva che dire. E’ più facile odiare qualcuno che si è amato ardentemente, se non si capiscono le ragioni che lo hanno spinto a far del male. Luke alzò lo sguardo al soffitto della chiesa, tracce di nuovo intonaco bianco coprivano la vecchia pittura trasandata. Era così complicato... -Io... non ci riesco.-
-E’ lei che non riesci a perdonare? O forse non sai perdonare te stesso per amarla ancora?-
Luke ci mise un po’ per realizzare il senso della frase, ma appena ne fu in grado, spalancò gli occhi per lo stupore. Cosa...? Non poteva essere così! Non era quello il motivo della sua rabbia, vero? Eppure sembrava così sensato: “l’inconscio lo sa”, era solito dire ai suoi pazienti. La ragione inconscia per cui agiva in quel modo...
Come se avesse intuito una domanda implicita dalla meraviglia dipinta sul viso di Luke, la suora sorrise garbatamente. -Se avessi smesso di amarla quando se ne è andata la prima volta, saresti qui ora?-
 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Capitolo VI
 

 
Uno. Due. Tre. Uno. Due. Tre. Uno...
Alex ispirava profondamente all’uno e al tre tentava di espirare immobile, senza muoversi. Senza mordersi un pugno, senza scattare come una furia o senza spalancare la finestra e rovesciare un secchio di acqua gelida al di sotto. L’unico minuscolo ostacolo per la sua pace interiore era il numero due: ogni volta che ci arrivava, le risatine maliziose di Gloria risuonavano nel patio esterno e si intrufolavano nella sua stanza al piano superiore, come una freccia attraverso il vetro. E poi seguivano i bisbigli dell’altro, quello che si era presentato fuori casa di Alex durante il pomeriggio e che, quando lui era andato ad aprire, gli aveva detto con aria svergognata: “Ehi, come va? Cerco la tua amica.” A quel punto Alex seppelliva la testa sotto al cuscino e lasciava che il letto smorzasse le sue imprecazioni. Quel tipo aveva una voce quasi irritante e Gloria... oh,  Gloria diventava così insopportabile quando flirtava per gioco -perché era un gioco, nient’altro che uno stupido gioco.- con quei ragazzi patetici.
Per non parlare dei loro discorsi, ridicoli... cosa le stava dicendo adesso? Perché non entravano dentro per un ultimo drink? Alex saltò a sedere sul materasso. No, Gloria, no. Non ci provare neanche. Non ti azzardare... Ma non riuscì a sentire la risposta di lei mentre schizzava in piedi e si precipitava giù per le scale fino al salotto. Era troppo. C’erano dei limiti a tutto, anche alla sua pazienza. Alex spalancò la porta d’ingresso e si ritrovò a fissare il viso stupito del tipo che fino a qualche istante prima faceva lo spavaldo con Gloria. Lei, dal canto suo, aveva cacciato un gridolino di sorpresa quando l’uscio si era illuminato d’improvviso. -Alex? Che cosa...-
Alex non spostò lo sguardo dal ragazzo che ancora teneva tra le dita le chiavi della cabriolet nera parcheggiata a pochi metri. -Buonasera.- disse con una voce un po’ più profonda del solito.
Non aspettò che contraccambiasse il saluto: prese una mano di Gloria e la trascinò dentro con sé senza che opponesse resistenza. Probabilmente neanche a lei piaceva l’idea di rimanere ancora a bere con quell’... individuo, ma continuava a prenderlo in giro nel modo malizioso che Alex odiava tanto.
Qualche secondo dopo, quando furono entrambi in casa, Gloria gli sorrise.
-Credo che tu mi debba una spiegazione.-  Non sembrava arrabbiata, anzi aveva l’espressione divertita che metteva su quando veniva beccata a combinare qualche guaio. Si sfilò i tacchi e il giubbotto di pelle in un gesto indifferente. Alex rimase a guardarla con un misto di emozioni contrastanti. C’era da qualche parte dentro di lui l’impulso di starle più vicino, di scoprire se anche il suo profumo fosse tanto attraente. Ma, in fondo, lei si era conciata così per uscire con quello. Aveva scelto appositamente dall’armadio quei jeans aderenti e quella magliettina attillata per ridere con un perfetto sconosciuto di cui non avrebbe ricordato nulla in qualche settimana. Perché Gloria faceva così, faceva sempre così.
Alex le voltò le spalle lentamente e cominciò a salire le scale. Che senso aveva parlarle? Cosa avrebbe dovuto dire? “Avrei voluto dormire stanotte, ma tu e il tuo amico avevate altri piani.”? Ridicolo.
-Alex? Ehi! Da quand’è che sei così antipatico?.- Non le rispose. Non era seria, aveva ancora una nota di allegria nella voce, ma la sentì corrergli dietro, con i piedi scalzi sul pavimento.
I loro rari litigi in genere si sviluppavano così: uno dei due rincorreva l’atro, si gridavano contro cose che non pensavano e tiravano su un muro di orgoglio. Poi, la mattina dopo, quando si rivedevano a colazione, in pigiama, con le occhiaie e i capelli scompigliati, ridevano l’uno dell’altra e tornavano a maltrattarsi per gioco.
Stavolta però Alex non si curò di Gloria che si appoggiava allo stipite della porta della sua stanza, le braccia incrociate al petto in cerca di una provocazione. Dandole le spalle, si sfilò la maglia e la lasciò scivolare sul letto. Si spostò davanti alla finestra, aprendo leggermente i battenti per sentire l’aria fresca sulla pelle.
-Allora? Che cos’hai che non va?- fece lei con un pizzico di disappunto. Certamente provava un po’ di risentimento poiché il loro consueto “litigio da innamorati” non aveva preso la solita piega. Alex sorrise.
-Hai una vaga idea di che ore sono?-
-Be’, scusa se ti ho svegliato. - mormorò Gloria, quasi delusa. -Anche se non mi sembra che hai la faccia di uno che è stato svegliato nel mezzo del sonno.-
Alex si girò leggermente verso di lei. Era seria? Non poteva essere seria.
-Che ci facevi ancora in piedi, Alex?- Che ci facevi ancora in piedi? Alex strinse i denti. Che ci faceva ancora in piedi? Quello che faceva sempre e che aveva sempre fatto. Aspettarla.
Aspettare che Gloria tornasse a casa a notte inoltrata, che si stancasse di giocare. Aspettarla in silenzio, da solo, con gelosia e senza sonno. Aspettarla fingendo di stare sveglio per un motivo personale qualunque. Aspettarla senza ammetterlo. Provò a parlare tenendosi il più calmo possibile. -E tu che ci facevi con quello? Alle due del mattino.-
Gloria, dietro di lui, sbuffò. -Dio, Alex, non pensavo fossimo arrivati a questo. Lascia stare: l’hai detto anche tu, no?  Sono le due. Ognuno a letto suo e siamo tutti contenti.-
Alex non disse nulla. Lasciò che lei si avvicinasse e che si frapponesse tra lui e la finestra. Il cielo nero sparì per lasciare posto ad un sorriso ferino. Gloria gli posò due dita sotto il mento, osservandolo con gli occhi socchiusi. Aveva davvero un buon profumo.  -Così domani mattina sarai bello come sempre e riposato.-
-No.-
Il cuore di Alex cominciò ad accelerare rovinosamente. Era stato quasi un sussurro, ma non l’aveva potuto evitare. Gloria, che stava già per allontanarsi indisturbata, si bloccò. Gli rivolse uno sguardo sorpreso. Non era abituata ad essere contraddetta. -Scusami?-
Alex si leccò le labbra prima di rispondere. C’era qualcosa che avrebbe voluto fare, che era molto diverso, invece, da quello che avrebbe dovuto fare. -Non ho voglia di dormire.- disse e sfiorò dolcemente una mano di Gloria con la sua.
Lei rimase dov’era, squadrandolo divertita, come se fosse ubriaco. - Alex, stai sparlando dal sonno.-
Alex scosse appena  la testa. Ormai non si poteva tornare più indietro. L’avvicinò a sé e prese a giocherellare con le dita di Gloria, come quando era annoiato. Le guidò al suo viso in innocenti carezze e se le portò alle labbra così da percepirne la presenza morbida mentre parlava. -Non ho voglia di dormire.- ripeté -Da solo.-
Per la prima volta nella sua vita gli sembrò di cogliere alla sprovvista Gloria. Aveva la bocca leggermente schiusa per lo stupore. -Stai scherzando, vero?-
Alex sorrise nervosamente. Non sapeva come rispondere. La voce gli era diventata così roca e remota che credette di averla persa. Un brivido impercettibile gli percorse la schiena nuda. Avvertiva il calore di un altro corpo accanto al suo, gli occhi grandi di Gloria che lo confondevano. L’afferrò lievemente per la vita e l’attirò ancora più vicina con il respiro spezzato. -Alex, noi...-
La baciò con delicatezza all’inizio, le sfiorò semplicemente la bocca con la sua come se temesse una reazione brusca. Ma Gloria non si spostò. Non gridò, non gli tirò uno schiaffo. Gli cinse il collo con le braccia e appoggiò la testa su una sua spalla. Alex sentì la guancia bollente di lei sulla sua pelle, quell’intreccio di profumi, impulsi e corpi vibranti. Non ci volle molto perché le affondasse il ardente viso nel collo, mentre indefinibili scosse lo elettrizzavano.
-Alex...- Era giusto? Era folle. Avrebbe dovuto fermarsi, avrebbe dovuto allontanarsi subito da lei. Ma ad ogni istante in più che stavano così, si sentiva accaldato, come quando aveva la febbre.
-Alex...- Gloria aveva affondato le dita tra i suoi capelli e gli scompigliava i ricci, ansante. -Alex, guardami.- ordinò.
Con un mugolio di protesta Alex aprì gli occhi e incontrò il suo sguardo. Stava per dirgli di smetterla, di non toccarla in quel modo? Ma non aveva un’espressione disgustata o indignata, anzi sembrava... diversa. Gloria sorrise senza l’usuale spavalderia. Indugiò con un tenue rossore sugli zigomi.
-Spegniamo la luce?- mormorò poi. Era stata dolce, quasi teneramente imbarazzata.
Alex la spinse indietro, camminarono insieme senza staccarsi l’uno dall’altra fino alla parete con l’interruttore. Gloria, di spalle, tastò alla cieca il muro e, dopo qualche tentativo, il buio calò su di loro. L’ultima cosa che Alex vide furono le dita di Gloria sul suo petto e le sue labbra rosse, un attimo prima di baciarla ancora. Rimasero nella penombra della stanza, con il fioco bagliore dei lampioni fuori in strada e i deboli faretti della scrivania. E Boston dormiva tra i loro sospiri.

Angolo autrice: A Smartie, alla mia migliore amica che non vedeva l'ora di leggere qualcosa così.

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