Do you think love can bloom, even on a battlefield?

di Bethesda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Whisky e Steri-strip ***
Capitolo 2: *** Scelte Sbagliate ***



Capitolo 1
*** Whisky e Steri-strip ***


Prompt di Mairasophia L Garofalo: Personaggio A è un alcolizzato, o un problema con l’alcool, mentre è ubriaco si fa male.
B deve occuparsene.

Per la ATONEMENT CHALLENGE (#atonementchallenge) di Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart

 

Wiskey & Steri-Strip

 

 

Non era facile per Snake ubriacarsi.

Non che non ci provasse, sia chiaro, ma le nano-macchine mettevano sempre una pezza e le quantità che avrebbero steso un qualsiasi essere umano per lui erano da considerarsi irrisorie.

Dunque, per ridursi letteralmente a uno straccio, doveva bere una quantità di alcolici ridicola, a fronte della quale Otacon non poteva che inorridire.

Era bravo a non farsi notare: Hal capiva che cominciava ad essere ubriaco dopo ore che aveva cominciato a bere, e mai una volta in tutto quel tempo Dave si faceva vedere con in mano la bottiglia vuota.

Perché sapeva che lo scienziato lo avrebbe redarguito, e secondo la sua opinione “Non erano affari suoi”.

Ma come potevano non esserlo quando il suo amico e collega cercava di ammazzarsi, molto lentamente, a suon di alcolici a basso prezzo?

E soprattutto quando – finalmente ubriaco – cominciava a comportarsi in modo strano.

 

Perché Solid Snake aveva un piccolo problema: l’alcol lo rendeva ciarliero.

E non solo ciarliero.

Diventava inopportuno, molesto.

Non violento, quello assolutamente no, ma la lieve ubriacatura che riusciva ad ottenere lo inebriava in modo tale da far sì che fosse un po’ troppo…flirtante.

 

Il che era abbastanza imbarazzante, dacché erano in due – senza contare i cani -, nel mezzo dell’Alaska, completamente soli e circondati da neve.

Non vi erano molte persone con cui Dave potesse provarci a parte Hal e la situazione rendeva il tutto molto frustrante.

Perché il soldato il giorno dopo non si ricordava di averlo fatto – stronzate, pensava Hal, non era mai così ubriaco – e soprattutto perché ad Hal piaceva essere al centro dell’attenzione di Snake in quel modo.

Mai lo avrebbe ammesso, mai avrebbe risposto alle lusinghe di un ubriaco, ma quando Dave cominciava a “molestarlo”, mettendosi dietro di lui mentre lavorava, offrendogli massaggi, sfiorandogli le mani intente a scrivere al computer o semplicemente sdraiandosi sul divano accanto a lui, la testa sul suo grembo e gli occhi blu pieni di malizia che lo fissavano dal basso verso l’alto, a malapena riusciva a resistere.

Ed era ridicolo, perché non vi era nulla di subdolo nel suo atteggiamento e Hal avrebbe dovuto essere in grado di resistere a un tentativo di approccio tanto ridicolo.

E invece ogni tanto si ritrovava a domandarsi perché non gli fosse ancora saltato addosso.

 

Quella sera non fu da meno.

Era qualche settimana che Dave non riusciva a bere, complice il fatto che fossero stati in missione, e la serata era iniziata con degli pseudo-festeggiamenti legati al successo della stessa.

Anche Hal aveva bevuto, ma dopo due birre si era fermato.

Non amava gli alcolici e aveva già contato il numero di bicchieri di whiskey di Snake: tanto valeva che uno dei due rimanesse sobrio, ed era ovvio che non sarebbe stato il soldato.

 

Difatti bastò qualche ora perché Snake passasse dall’essere se stesso alla sua versione più spinta, chiacchierona e molesta.

Lo Snake che poneva domande inopportune, che non aveva idea di cosa fosse lo spazio personale, che gli faceva dei mezzi sorrisi che lasciavano trapelare se sue intenzioni mentre le mani andavano a cercare la pelle dell’altro.

Era quasi divertente da osservare, perché Hal non aveva dubbi che l’altro lo facesse con l’idea di sembrare subdolo.

 

Cielo, non ne era proprio capace.

 

«Dico solo», riprese con tono serio il soldato, seduto sul divano, un ginocchio piegato e l’altra gamba distesa sul tavolino, «Che dovresti comportarti in modo diverso».

 

Hal sbuffò dal naso, incredulo.

 

«Sul serio? Tu parli?»

 

«Perché?»

 

«Non mi hai mai parlato di una singola donna della tua vita con la quale tu abbia avuto successo. Nonostante il tuo modo di fare, nonostante il tuo fisico, nonostante tutto, non mi sembra che tu sia un latin lover».

 

Snake alzò un dito.

 

«Numero uno: non ho mai affermato di essere un latin lover. Non mi interessa, non ne ho mai avuto il tempo e soprattutto ho sempre lavorato nell’esercito. Di donne lì non se ne vedono molte e rendono l’attività difficile».

 

Hal sollevò le sopracciglia come a dire “Sì, certo, bella scusa”.

«Secondo. Non ho mai parlato di donne. Ho parlato di persone».

 

Hal non disse niente, ma non si finse neanche stupito.

Visto l’atteggiamento di Snake nei suoi confronti se lo aspettava che l’altro non fosse propriamente etero. Certo, era in grado di flirtare perfettamente anche con le donne, e Meryl e Mei Ling ne erano la prova, ma si poteva notare la sua predisposizione – quando voleva mostrarla, il che sino ad allora era accaduto solo in presenza di tanto, troppo alcol, e soprattutto in presenza di Hal.

 

«E dall’alto del tuo scranno, pensi di potermi dire come dovrei comportarmi per avere successo?»

 

«Penso che avresti tutte le capacità per far cadere chiunque ai tuoi piedi», mormorò Snake, piegandosi di più verso l’altro.

Hal non aveva paura che l’altro facesse qualcosa di sconveniente.

Sapeva che, nonostante i vari giochini, mai si sarebbe spinto a tanto.

Anche se un po’ lo desiderava, ma non avrebbe mai concesso a Dave di fare più di quello che stava facendo in quelle condizioni.

Non voleva se ne pentisse il mattino dopo.

 

«Ah sì? E cosa farei di sbagliato?»

 

«Anzitutto, smettila di presentarti come un Otaku».

 

Le orecchie di Hal andarono a fuoco.

 

«Si capisce benissimo che lo sei, non peggiorare la tua situazione».

 

Lo disse con un mezzo sorriso, ovviamente scherzando, ma Hal non poté non andare a pensare al loro primo incontro.

Un totale disastro.

Come potessero essere finiti in quella situazione – amici e colleghi – era per lui un mistero, viste le basi.

 

«Poi--»

 

«Non pisciarti addosso di fronte a degli sconosciuti?», tagliò la testa al toro, abbassando lo sguardo per l’imbarazzo.

 

Snake scrollò le spalle.

 

«Sì. Ma no. Non capita spesso che uno venga minacciato da un ninja cyborg, credo che la tua reazione sia stata normale».

 

«Come sei magnanimo».

 

Snake lo ignorò.

 

«Dicevo. Poi, dovresti--»

 

«Guardare di più la gente negli occhi? Sorridere di più?», lo interruppe piccato Hal.

 

«Parlare di più del tuo lavoro. Di quello che fai. Ti illumini quando lo fai, cambi atteggiamento, irradi passione. È bello da vedere. Mi piace quando parli delle tue—cose».

 

Lo scienziato si ammutolì, arrossendo.

 

Dannato Dave.

 

Scrollò da sé il senso di adulazione e sfoggiò un sorriso sghembo.

 

«Se mi stai dicendo queste cose per provarci, non sei molto bravo: darmi dritte su come provarci con altri potrebbe remarti contro».

 

«E come? Siamo io e te per decine di chilometri, e fuori sta cominciando a nevicare con violenza. Con chi mai potresti provarci, se non con il sottoscritto?»

 

Era una logica contorta.

Assolutamente senza senso.

Una logica da ubriaco.

 

Frattanto, Snake si era avvicinato ulteriormente. Aveva ruotato completamente il corpo sul divano, le ginocchia incrociate, il busto tutto tendente verso Hal, una mano sulla sua coscia mentre l’altra reggeva il bicchiere vuoto.

Hal sentiva le dita dell’altro tracciare piccoli cerchi sulla sua pelle attraverso la stoffa dei pantaloni della tuta e dovette fermarlo.

 

Gli prese la mano con delicatezza e la scostò, sebbene il suo corpo gli stesse gridando di non farlo, di lasciarlo continuare con i suoi stupidi giochetti.

Hal si domandava fino a dove Dave si sarebbe spinto con lui, ma per ottenere la risposta avrebbe dovuto mettere a repentaglio la sua fiducia e non era un gioco che valeva la candela.

 

Dave capì l’antifona ma non se ne dispiacque.

Sorrise, lanciò un’occhiata rapida al proprio bicchiere e decise che era il momento di riempirlo nuovamente.

Hal si corrucciò, osservandolo mentre si allontanava vero il lavello della cucina, accanto al quale avevano lasciato le loro scorte.

Guardò la sua schiena muoversi e sobbalzare delicatamente mentre prendeva la bottiglie e versava il tutto.

 

«Non sarebbe il caso di smettere per oggi? Abbiamo bevuto abbastanza».

 

«Ancora uno non ci ucciderà».

 

«Dave…»

 

Senza smettere di fare ciò che stava facendo, il soldato ruotò la testa per guardare Hal.

 

«Non fare la mogliettina preoccupata».

 

«Faccio l’amico».

 

«È solo un bicchiere».

 

«Sei già abbastanza ubriaco senza».

 

«Non sono u--»

 

Un suono di vetri infranti ruppe l’aria ed Hal sobbalzò, sorpreso e preoccupato, prima di rendersi conto da dove proveniva.

Dave gli stava di nuovo voltando le spalle, la testa bassa sul lavello, entrambe le mani lontano dalla vista dell’altro.

 

Hal si alzò istintivamente, avvicinandosi a lui in pochi passi.

Capì subito cosa aveva originato il dolore.

La bottiglia doveva essere scivolata dalle mani dell’altro, andando a sbattere conto il bicchiere, che invece di cadere immediatamente non aveva resistito all’impatto e si era frantumato nella mano di Snake, che adesso era vuota – i cocci nel lavello – ma completamente ricoperta di sangue.

Hal inorridì, imprecando.

 

Dave non disse niente, si limitò a grugnire osservando il disastro, la bottiglia ancora integra ma dalla quale nella caduta si era rovesciato quasi tutto il contenuto macchiata di rosso grondante.

Con la mano integra andò a sollevarla, rimettendola al suo posto senza chiuderla, e subito dopo aprì l’acqua, infilando sotto il getto quella ferita.

Hal scattò subito in avanti, afferrandolo per il polso, bagnandosi a sua volta di acqua e sangue.

 

«Ehi!»

 

«Non metterla sotto l’acqua, peggiori e basta. Fammi controllare questo disastro».

 

Si mise di fronte a lui, chiudendo il rubinetto e obbligandolo a mettesi in appoggio sul lavello.

Dave lo lasciò fare, troppo ubriaco o semplicemente troppo curioso.

Hal ruotò la mano dell’altro, palmo aperto e rivolto verso l’altro, fradicio di sangue e acqua, troppi per poter davvero vedere l’entità del taglio. Si allontanò giusto un istante per andare a prendere la cassetta del pronto soccorso in bagno.

Tirò fuori cotone e disinfettante, imbevendo un batuffolo, e tornò a concentrarsi sulla mano dell’altro, così grande rispetto alla sua, la mano di un uomo abituato a lavorare con le proprie mani, la pelle callosa e dura.

Diede prima una ripassata generica, cercando di togliere il sangue in eccesso, e questo gli permise di notare dove si trovava il problema.

Tre tagli, due grossi e uno molto minuto, più superficiale, attraversavano il palmo in tutta la sua lunghezza, e Hal poteva notare le schegge di vetro scintillare nella carne esposta.

Non sarebbero stati necessari i punti, pensò, ma doveva ripulirlo.

Allungò una mano verso la cassetta, lo sguardo sempre basso sulla mano dell’altra, e recuperò una pinzetta.

Non era un compito facile: i pezzi di vetro erano microscopici e nascosti dal sangue che continuava ad uscire, sebbene sempre più lentamente, e la sua vista non era certo delle migliori.

Ma con pazienza certosina si mise a levarle uno ad uno, gettando ciò che recuperava nel lavello, mentre Snake rimaneva in silenzio ad osservarlo, lasciandolo fare.

 

Era abituato, ormai, a curarlo dopo le missioni, a pulire ferite e tagli, a togliere il sangue.

Non vi era nulla di diverso dal solito.

Ma era sempre un atto così intimo, così pregno di fiducia, che un po’ – doveva ammetterlo – adorava farlo. Adorava prendersi cura di lui e rimetterlo in sesto, anche se sapeva benissimo di essere superfluo, che sicuramente Snake avrebbe fatto di meglio da sé.

Ma non si era mai opposto e aveva accettato il trattamento dell’altro senza opposizioni sin dall’inizio della loro collaborazione.

 

Una volta accertatosi che non vi fosse più nessun pezzo di vetro, tornò a prendere il cotone, ripulendo ulteriormente le ferite, premendo per bloccare il sangue.

Dave intanto lo fissava placido, rilassato, muto.

Hal scoprì che avevano ancora due pacchi di cerotti da sutura e decise di usare quelli sui tagli più profondi. Le nano-macchine sicuramente lo avrebbero aiutato a guarire più in fretta, ma non c’era nulla di male nell’aiutarle nel processo.

Ne mise quattro per ferita, stringendo bene i lembi di pelle, e sul terzo taglio, più vicino al polso, mise un semplice cerotto quadrato, abbastanza grosso per coprire il tutto.

Per evitare che perdesse i finti punti, decise di bendarlo. Nulla di troppo pesante, due semplici passate di garza che gli permisero di nascondere i tagli e di tenerli al pulito.

 

«Fatto», esclamò soddisfatto una volta concluso alzando gli occhi.

 

«No, non hai finito».

 

Hal guardò il soldato con aria interrogativa.

Che si fosse fatto male da altre parti?

 

«Non mi dai neanche un bacio sulla ferita?»

 

Hal si sentì avvampare e abbandonò subito la sua mano.

 

«N-non dire sciocchezze, sei un adulto grande e grosso!»

 

Dave si strinse nelle spalle.

 

«Peccato».

 

Lo scienziato lo osservò per qualche istante di troppo prima di rendersi conto di quanto quel silenzio – per lui – fosse imbarazzante. Così decise di mettere a posto la cassetta del pronto soccorso, e una volta che ebbe terminato fece per allontanarsi, lasciando Snake sempre nella stessa posizione, in appoggio al lavello, lo sguardo fisso sulla mano ferita ormai bendata.

 

Gli diede le spalle ma non fece in tempo ad andarsene che venne bloccato per la maglietta.

 

«Grazie», sussurrò Dave serio.

 

Hal sospirò, voltandosi, osservandolo.

Dave non aveva l’aria di uno capace di ringraziare o chiedere scusa, non con l’aria minacciosa che traspirava, specialmente quando era in missione.

Eppure lo faceva sempre, in modo semplice e genuino di chi non ha nulla di cui nascondersi o vergognarsi.

Era una delle cose che più amava di lui.

Non era come Hal stesso, che chiedeva perdono a prescindere che avesse torto o ragione, troppo spaventato dall’idea di deludere.

Dave dava peso alle proprie parole e azioni e non aveva paura delle conseguenze, conscio dei propri limiti come soldato, essere umano e amico.

 

Lo guardò negli occhi, e tanto bastò perché Dave lasciasse andare la sua maglietta.

Hal tornò allora sui propri passi, riavvicinandosi, prendendo nuovamente la mano ferita dell’altro con la propria.

Andò a posare uno, due, tre baci. Uno per ogni ferita.

Delicati, per non far male.

Con il terzo, sempre le labbra sulla garza, sollevò gli occhi per cercare quelli dell’altro.

Li trovò brillanti, imperscrutabili.

Solo allora si separò da lui e gli sorrise dolcemente.

 

«Per questa sera basta bere, va bene?»

 

Dave annuì, osservando l’altro mentre abbandonava dolcemente la sua mano e si allontanava da lui.

 

Da quella sera Hal notò che Dave aveva cominciato a darsi una maggior regolata nel bere.

Non che avesse smesso, ma non cercava più di portarsi al limite.

Un po’ se ne dispiacque – Dave ubriaco che cercava di portarlo a letto un po’ lo divertiva – ma era meglio così.

Presto non avrebbe più avuto bisogno di scuse per sentirsi adulare e chiedere baci consolatori all’altro.

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Capitolo 2
*** Scelte Sbagliate ***


Prompt di BloodyWolf Efp: A si ritrova con una spalla lussata, immerso nel niente assoluto, fino a quando raggiunge un ranch dove B lo ospita e lo rimette in sesto.

Per la ATONEMENT CHALLENGE (#atonementchallenge) di Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart

 

Scelte sbagliate

 

Non avrebbe dovuto trovarsi lì.

Sarebbe dovuto rimanere a Londra con Natasha, mollare la ricerca e dedicarsi all’insegnamento, e invece si trovava nel mezzo dell’Alaska, nel bel mezzo dell’inverno, come bagagli solo uno zaino, un computer e scarpe per niente adatte al clima, alla ricerca della casa di un uomo che aveva visto poche ore in vita sua e che non sapeva neanche del suo arrivo.

Lo avrebbe scacciato?

Gli avrebbe sbattuto la porta in faccia?

Otacon non ne aveva la benché minima idea ma in quel preciso istante aveva ben altro a cui pensare.

Per esempio il fatto che fosse caduto di nuovo, scivolando su una lastra di ghiaccio lungo l’unica strada carrabile presente – la poteva davvero definire tale? -, i vestiti bagnati, gli occhiali storti sul naso e un lancinante dolore alla spalla destra.

Hal provò ad alzarsi, imprecando, una forte voglia di piangere addosso, ma tutto ciò che gli uscì fu un gemito di dolore.

Non riusciva a far forza sul braccio dolorante.

Non riusciva a sollevarlo.

I suoi pochi averi si erano sparsi nella neve fresca durante la caduta e tutto ciò che gli rimaneva era un pesante senso di scoramento.

Forse fu la stanchezza, forse il fatto che si stesse rendendo conto di quanto pessima fosse stata la sua idea, forse il fatto che non avesse la benché minima idea di dove si trovasse, ma non riuscì a trattenersi e grosse lacrime cominciarono a scendere, accompagnate da singhiozzi silenziosi.
Si sarebbe lasciato morire lì, nel mezzo di quella terra inospitale, e forse qualcuno lo avrebbe trovato al disgelo.
Sì, come piano gli pareva congeniale.

«Otacon?»

Hal riaprì gli occhi e si stupì nel trovare sopra di sé un volto noto, sebbene dallo sguardo confuso e stupito.
Un paio di occhi azzurri lo fissavano pieni di domande e lo scienziato si rese conto di essere arrivato.

«Ciao Snake», singhiozzò con un sorriso.


 

All’interno della baita, Hal si stupì di un sacco di cose.
Anzitutto del fatto di essere riuscito ad arrivare in quel posto sperduto senza morire – circa.
Secondariamente, che Snake non avesse fatto ancora troppe domande sul perché lo scienziato si trovasse lì.
Terzo, del numero di cani da slitta che l’altro possedeva.
Solo in casa, Hal ne contò almeno otto, tutti splendidi, gioiosi ed estremamente incuriositi dall’ospite che si ritrovavano sul divano, in quell’istante mezzo nudo, con indosso solo un paio di pantaloni della tuta – di Snake, i suoi abiti erano ad asciugare di fronte al fuoco- e nulla più, poiché il soldato stava studiando la sua spalla, e per farlo gli aveva intimato di non rivestirsi.
Non che potesse fare diversamente.
In quel momento Hal neanche riusciva a sollevare l’arto, figuriamoci indossare qualcosa.
Snake stesso aveva dovuto aiutarlo nello spogliarsi, cosa che gli aveva provocato non poco imbarazzo, ma al soldato sembrava non importare.

«È lussata», stabilì il padrone di casa, la barba sfatta e l’aspetto rilassato, così diverso rispetto a come lo aveva visto la prima volta a Shadow Moses sei mesi prima.
Snake era in ginocchio sul divano logoro, esattamente accanto a lui, il braccio dell’altro fra le mani di modo che potesse tenerlo sollevato, a formare un angolo di novanta gradi con il gomito.

Hal imprecò e si morse le labbra.

«Cristo, dovrò farla controllare da qualcuno. Non ho più neanche l’assicurazione sanitaria, e quanto è distante l’ospe—», cominciò a parlare a vanvera Otacon, sino a che un lampo di dolore non gli attraversò tutto il corpo, mozzandogli il fiato.

Con un movimento rapido, preciso, Snake aveva tirato verso di sé il suo omero e la sensazione era stata come se qualcuno avesse tentato di strappargli l’arto. Poi, immediatamente dopo, vi erano stati un’altra serie di rapidi movimenti, seguiti da schiocchi e rumori poco confortanti, soffocati tuttavia dal grido di Hal, che non riuscì a trattenersi, troppo sorpreso dal dolore inaspettato.

 

«Fatto», replicò secco il soldato, il braccio dell’altro sempre fra le mani.

«C-cosa?», mugolò fra le lacrime Hal, ruotando la testa per cercare di capire se avesse ancora una spalla o meno.

«Te l’ho ridotta. Ora non ti serve altro che riposo, ghiaccio e antidolorifici».

«Oh», ribatté l’altro dopo qualche istante, ricomponendosi, scacciando una lacrima che era sfuggita dalle sue ciglia con il braccio che in quell’istante non stava bruciando per il dolore.

«Ne ho sistemate a decine quando ero nei Berretti Verdi. Non è facile avere un dottore a portata di mano quando sei nel mezzo di una missione».

«Grazie», riprese incredulo Hal.

Snake scosse la testa come a dire “non preoccuparti” e allungò una mano verso il tavolino posto di fronte a loro, mettendosi in piedi per accendere la sigaretta che aveva appena recuperato.

«Non pensarci. Ma ora Otacon, dimmi», si interruppe per prendere una boccata, soffiando fuori il fumo qualche istante dopo, abbassando lo sguardo verso l’ospite inatteso. «Che cazzo ci fai qui?»

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