We're lost without you?

di ilovebooks3
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cho ***
Capitolo 2: *** Rigsby ***
Capitolo 3: *** Van Pelt ***
Capitolo 4: *** Lisbon ***
Capitolo 5: *** Jane ***



Capitolo 1
*** Cho ***


CHO
 
 

“Te ne vai?”, chiede il capo a Jane.
È sulla difensiva.
“Se non posso usare questo lavoro per trovare la mia vendetta personale, allora qui non c’è altro da fare per me”, dichiara lui.
Ha senso.
Jane non ha mai nascosto di essere qui per John il Rosso.
Forse farei la stessa cosa.
Ma Lisbon è delusa.
Donne.
È il capo, e io la rispetto come non ho mai rispettato nessuno, ma è pur sempre una donna.
Troppo sentimentale.
Pensava che Patrick tenesse a noi.
Balle.
Ha sempre visto del buono in lui che in realtà non c’è.
“Non sono molto d’aiuto, non posso riportare in vita le persone. Cos’è che facciamo? Noi giriamo la California visitando gente poco felice?”, ironizza il bastardo.
Questo è sbagliato.
Mi sto arrabbiando.
Il mio lavoro è importante.
Il mio lavoro è tutto.
È ciò che mi ha salvato, molti anni fa.
E ora sono io a salvare altre persone.
“Combattiamo il male e le ingiustizie”, dichiara Van Pelt con orgoglio.
Proprio così.
“E come sta andando? Qualche progresso?”
Che idiota.
“Mettiamo le persone cattive dove non possono più nuocere”, gli rispondo.
È la nostra missione.
Ne vale la pena, sempre.
Io ero a un passo dal finire dall’altra parte.
Sono fiero di quello che sono diventato.
“Beh, ero più utile come sensitivo, almeno davo speranza alla gente. Falsa speranza, ma è già qualcosa”.
Che stronzo.
“Hai ragione, è meglio se vai. Così puoi tornare a essere una frode a tempo pieno, e noi possiamo continuare a fare il nostro inutile lavoro in pace”, dice Lisbon con durezza.
È chiaro che è ferita, ma un animale ferito colpisce.
Io e Rigsby incrociamo le braccia, furiosi.
Siamo pronti a sbatterlo fuori, se il capo ce lo chiederà.
Ha oltrepassato il limite.
“Non è esattamente quello che ho detto, stavo parlando di me stesso”, si giustifica Patrick.
Ma non gli riesce bene, stavolta.
Stavolta nessuno è disposto a perdonarlo.
Lui non è un poliziotto.
Lui non conosce il peso di questo distintivo.
La squadra siamo noi, lui è solo un consulente.
Furbo, ma non è uno di noi.
Non lo sarà mai.
Una chiamata. Dobbiamo muoverci.
“Andiamo. Prendiamo due mezzi nel caso ci dividessimo”, ordina Lisbon.
Ce ne andiamo, lasciando Jane solo in questo ufficio.
Più solo che mai.
Non ci sarà quando torneremo.
Tutto sommato mi mancherà.
È un tipo strano, ma divertente.
Quando non bara a poker.

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Capitolo 2
*** Rigsby ***


RIGSBY
 
 
La vedo male senza quel furbone di Patrick Jane.
Non che io non mi fidi del capo, Lisbon è una grande poliziotta.
Ma, a volte, non basta.
“Capo, con tutto il rispetto, ci serve Jane”, le ricordo, mentre saliamo sul pick up, pronti ad andare a indagare a mani nude, ovvero senza il geniale consulente grazie al quale chiudiamo tutti i nostri casi.
Impensabile immaginare di lavorare senza di lui.
A volte mi chiedo come facevamo prima che arrivasse.
Meno denunce, certo, ma anche meno successi.
E meno divertimento.
“Ce la caveremo. Forse non riusciremo a chiudere tutti i casi, ma quelli che chiuderemo saranno chiusi bene, da professionisti”, ci rassicura Lisbon.
Sembra sicura di se’, e ha pure ragione, in effetti. Jane combina sempre un sacco di casini. Ma poi ci azzecca ogni volta, permettendoci di arrestare il colpevole e di fare giustizia.
E poi è uno spasso quando mette in scena i suoi trucchetti.
Sarà tutto diverso, da oggi in poi.
Anche Grace è nervosa, so che la pensa come me.
Se Jane non sarà più con noi, lei sarà molto più presente sul campo. Anche adesso, infatti, Lisbon l’ha voluta con se’.
È una cosa positiva per lei, ma forse non è ancora pronta.
E io preferirei saperla al sicuro in ufficio davanti a un computer.
Grace non riesce ad accendere il motore di questo ingombrante gioiellino che non ha mai guidato, poi fa scattare per sbaglio un allarme.
“Van Pelt, non devi guidare un aereo”, sottolinea Lisbon, leggermente irritata. Anche lei è nervosa. Le manca già Jane, è così chiaro. Ma non sono fatti miei.
“Ok, ok. Mi dispiace”, si scusa Grace e io vorrei abbracciarla e dirle che va tutto bene.
Ma non posso.
È così bella, con i suoi lunghissimi capelli fiammeggianti.
Ma non posso neanche pensarlo.
Ne va delle nostre carriere.
Ed ecco che compare per magia Jane, che sale in macchina e si siede vicino a me.
Ha l’aria indifferente, come se non fosse successo niente.
“Non vi lascerei mai nei guai. Un ultimo caso”, dichiara solennemente.
Meno male.
Siamo salvi, per ora.
“Metti la cintura”, gli intima Lisbon.
Sembra arrabbiata, ma sento del sollievo nella sua voce.
Anche lei è felice che lui sia qui, forse ancora più di noi.
Chissà mai perché.
Meglio non chiederselo.

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Capitolo 3
*** Van Pelt ***


VAN PELT
 

Sono alla guida di questo enorme bestione.
Prima ho fatto una figuraccia con Lisbon, ma ero nervosa: non ho mai guidato un pick-up, e neanche mi aspettavo, in realtà, di essere chiamata sul campo oggi. Succederà più spesso, ora che Jane ha deciso di andarsene. Non che la cosa mi dispiaccia.
Cioè, che Jane abbia deciso di andarsene mi dispiace; per quanto spesso i suoi metodi mi risultino incomprensibili, qualcosa in lui mi affascina e mi incuriosisce. Gli sono affezionata, ormai. E anche se credono che la dolce Grace Van Pelt si affezioni a tutti, non è così.
Jane mi fa pena, con il tragico dolore che ha nel cuore, e ho paura che lontano da noi, in particolare lontano da Lisbon, finirà per autodistruggersi.
Mi mancherà. Mi mancheranno i suoi battibecchi con il capo, le sue battute sarcastiche, i suoi trucchetti da circo, la sua etica così lontana dalla mia, e, perfino, il suo totale scetticismo nei confronti della mia religione.
Ma, tornando a me, quello che non mi dispiace affatto è avere un ruolo un po’ più attivo nella squadra. Sono un’agente, non sono un’esperta di informatica con le radici piantate sotto ad una scrivania. Sono stata addestrata per andare sul campo.
Ma oggi non ero pronta.
La prossima volta andrà meglio, ne sono sicura.
Devo solo abituarmi.
Ora siamo fermi, il capo è fuori dalla macchina a parlare con Jane che, poco fa, si è degnato di ricomparire. Sul sedile posteriore c’è Wayne e io, malgrado tutto, sono più tranquilla quando Wayne è con me.
“Niente segreti, Jane, niente bugie, niente trucchi, niente sorprese. La verità”, sento che sta intimando Lisbon a Patrick.
È il miglior capo che potremmo mai avere, la ammiro, la stimo e vorrei diventare come lei, un giorno. Ha un solo punto debole: le dà tutte vinte al suo consulente. A meno che non gli tiri un pugno sul naso, come, immagino, muoia dalla voglia di fare in questo momento.
“È il mio ultimo caso, ricordi? L’unico motivo per cui sono qui è perché sono preoccupato per come vi organizzerete senza di me”, dice con la sua solita strafottenza il nostro futuro ex-collega.
“O davvero? Quindi saremo perduti senza di te?”, ironizza il capo.
In realtà è proprio così, e anche il nostro consulente ne è fin troppo consapevole.
“Beh, siamo onesti…sì”, dichiara lui in tono saccente.
Questo è troppo per Lisbon.
È furiosa, come raramente l’ho vista.
Mi fa quasi paura.
Entra in macchina.
“Andiamo, parti!”, mi ordina.
E io parto, a tutta velocità, per dimostrare a Jane che ce la caveremo alla grande, anche senza di lui.
O almeno spero.

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Capitolo 4
*** Lisbon ***


LISBON
 
 
Ed ecco Jane, qui davanti a me con la sua solita nonchalance, come se nulla fosse.
Con un cestino di fragole in mano.
La sua ultima stranezza.
“Fragole?”. Sono scettica.
“Non sono buone?”, mi chiede lui, incoraggiandomi a servirmi.
“Buone”, gli concedo, dopo averne assaggiata una. E devo ammettere che lo sono. Io adoro le fragole, non so come questo bastardo di mentalista l’abbia scoperto, probabilmente con l’ennesimo trucchetto dei suoi.
Ma abbiamo da fare, non c’è tempo per scherzare né per fare merenda.
Mi sbrigo a dare ordini alla squadra. Io andrò con Vanpelt.
Jane non è contemplato.
Jane ormai è fuori dalla squadra. Per sua scelta.
Mi sto per allontanare, quando il mio consulente mi sorprende prendendomi per mano e trattenendomi. Sarà lo stupore, ma il suo tocco mi colpisce come una scarica elettrica. Spero non se ne accorga. Sarebbe difficile da giustificare.
“Lisbon. Scusami tanto per quello che ho detto prima. Posso continuare a lavorare con voi?”.
Ha l’aria da cucciolo pentito. Mi vuole manipolare, è così ovvio. Ha capito che gli conviene continuare a collaborare con il CBI, se vuole avvicinarsi a John il Rosso. Che poi è chiaramente l’unico motivo per cui lavora con me.
“Pensavo che te ne volessi andare”.
“Lo sai che scherzavo”.
“Allora ti piace il tuo lavoro”, lo provoco.
“Ah, non è questo…voglio dire, sì, mi piace ma…è che…non ho nient’altro da fare…”, ammette alla fine, abbassando lo sguardo e quasi balbettando. Non è da lui.
Lo guardo negli occhi. È sincero ora. Nessuna manipolazione mentale. Nessuno giochetto. È la verità. Non saprebbe cos’altro fare. Ed è una cosa terribilmente triste.
Ma non devo fargli capire che mi sto ammorbidendo.
“Niente giochi. Da adesso in poi ci saranno dei limiti”, gli ordino con più durezza di quella che vorrei.
“D’accordo”.
“Devi fare il tuo lavoro ed essere efficace senza fare disastri a cui poi io devo rimediare”.
“Niente disastri, lo giuro”.
“A queste condizioni puoi restare nella squadra”, concludo severamente.
“Grazie”, sussurra.
E, all’improvviso, il mondo si ferma e Patrick Jane mi abbraccia.
È dolce il tocco delle sua mani intorno alle mie spalle, è salda la presa delle sue braccia intorno al mio corpo, è buono il suo profumo che mi ricorda quello del tè che ama tanto, o forse è soltanto una mia suggestione.
Ma che sto dicendo?
È solo Jane.
Non mi sciolgo languidamente nel suo abbraccio, rimango rigida come una statua di cera, impietrita dallo scettiscismo e dallo stupore.
E poi quell’idiota accenna qualche passo di danza.
Per un attimo è come se stessimo ballando insieme, abbracciati.
È la cosa più stupida che abbia mai visto.
E anche la più dolce.
Poi, dopo qualche secondo che sembra un’eternità, mi libera dall’abbraccio e mi porge il cestino di fragole.
Ma non serve più.
L’ho già perdonato.

 

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Capitolo 5
*** Jane ***


JANE
 
 
È vero.
Non saprei cos’altro fare, se non lavorassi al CBI.
Mi tiene la mente occupata, ed è tutto quello di cui ho bisogno.
Ho ancora un motivo per cui alzarmi al mattino.
Ovviamente ho sempre intenzione di sfruttare il mio ruolo all’interno della squadra per la mia vendetta personale, questo è chiaro, e Lisbon sarebbe una sciocca se pensasse che non sia così.
Ma questo lavoro mi è anche necessario per fuggire dalla noia.
La noia mi farebbe ripiombare nel vortice del dolore.
Ma non è solo questo.
Per la prima volta dopo anni mi sento utile a qualcuno.
È vero quello che ho detto stamattina, cioè che non riportiamo in vita le persone, ma hanno anche ragione i ragazzi: arrestiamo i cattivi impedendo che colpiscano ancora e diamo giustizia alle vittime.
Giustizia, non vendetta. A differenza di ciò che voglio io.
Per questo voglio tornare.
E anche perché la squadra non se la caverebbe senza di me.
Lisbon non se la caverebbe senza di me.
O forse sì, ma mi piace troppo pensarlo.
Sono stato sincero poco fa con lei: non saprei cos’altro fare, se smettessi.
Niente trucchetti da mentalista, ora.
Quello che non le dico è che tutti loro mi mancherebbero.
Lei mi mancherebbe.
Mi piace questo lavoro, è vero, ma mi piace farlo al suo fianco.
Altrimenti non sarebbe divertente.
E poi devo proteggerla, malgrado lei dica di non averne bisogno e che si sa proteggere da sola.
Vero, sono io stesso fin troppo consapevole dei suoi leggendari pugni sul naso.
Ma, alcune volte, potrebbe non bastare.
All’improvviso la abbraccio perché mi viene naturale e istintivo, nonostante il mio celebre odio nei confronti dei contatti umani.
Con Lisbon è diverso.
È tesa e diffidente, non si fida di me e non ha tutti i torti, e allora la guido in un piccolissimo passo di danza, solo per farla sorridere.
Per un attimo balliamo, spensierati e leggeri come non saremo mai.
Per un attimo mi sento bene.
Poi la libero e le offro ancora una fragola in segno di pace.
Guardo questa piccola donna così forte e fragile insieme.
Così trasparente, eppure, a volte, così imprevedibile.
Così dolce, ma anche così dura.
Così onesta, sempre.
È felice che io abbia deciso di restare, lo so, ma è anche così orgogliosa che non lo ammetterebbe mai ad alta voce.
La capisco.
Anche io non ammetterei mai ad alta voce che l’unica cosa che ho di vagamente simile ad una famiglia è proprio lei.
 

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