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di Dream89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Avventure? No, grazie. ***
Capitolo 2: *** Avventure? Io sto parlando di giustizia. ***



Capitolo 1
*** Avventure? No, grazie. ***


Buon pomeriggio a tutti!
Tutti lo volevano, tutti lo reclamavano, tutti lo aspettavano: LO SPIN OFF BAGGINSHIELD.
Ok, deliri i onnipotenza a parte, questa storia sarà un po'diversa dalle altre due precedenti (ho il sospetto di essermi imbarcata in qualcosa di troppo grande per i miei due neuroni); come al solito spero di non aver reso i personaggi troppo OOC e che la storia non risulti eccessivamente trash.
Detto ciò, spero che vi potrà piacere e/o divertire.
Remember: commenti, messaggi, critiche, curiosità e suggerimenti sono sempre ben accetti.

Buona lettura!

Un bacio!




Era un giorno come un altro in città; i negozi mostravano in scintillanti vetrine gli ultimi arrivi delle nuove collezioni, genitori con passeggini camminavano tranquilli su e giù per le strade, signori distinti e studenti stressati sedevano ai tavolini dei bar per una meritata pausa dal lavoro o dai libri. Insomma la vita di tutti i rispettabili cittadini scorreva placida e tranquilla e nessuno scandalo sembrava poter essere capace di sconquassare la calma di quella tarda primavera.

 

“Grazie a lei, arrivederci!” Bilbo salutò cortesemente il cliente, che aveva appena pagato e stava uscendo, con un sorriso gentile sul volto mentre metteva nella cassa i soldi.

Si appoggiò un momento al bancone, aveva passato le ultime due ore affannandosi a servire tutti gli avventori del bar senza avere nemmeno un attimo di respiro; afferrò un depliant (il quale esaltava le bellezze senza fine dei Monti Azzurri*) che si trovava lì accanto e cominciò a sventolarsi il viso, accaldato. Le temperature erano davvero molto elevate quell’anno anche se l’estate non era ancora ufficialmente cominciata.

Sospirò e lanciò uno sguardo all’orologio sulla parete: erano quasi le due; Frodo sarebbe dovuto giungere al bar da un momento all’altro; forse dovrei preparargli uno spuntino, pensò l’uomo, che non si fidava affatto della mensa della scuola,

era piuttosto certo che la qualità del cibo lasciasse alquanto desiderare.

Il locale, dopo l’abituale pienone che spesso e volentieri si creava durante l’ora di pranzo, era quasi vuoto (solo un paio di universitari stavano occupando un tavolino) e lui poteva tirare un po’ di fiato.

Sondò con un’occhiata l’intera stanza, controllando che fosse tutto in ordine; con grande disappunto notò che il pavimento era pieno di briciole, i clienti non facevano mai attenzione quando mangiavano.

Andò nello sgabuzzino a prendere scopa e paletta e si mise a spazzare di buona lena.

Quel bar era il suo orgoglio e il suo vanto. Aveva ereditato il locale da suo padre, Bungo Baggins, al quale aveva promesso di portare avanti l’attività con onestà e rettitudine.

La sala era abbastanza ampia per contenere una decina di tavoli e un bel bancone in legno sormontato da un piano in finto marmo; le vetrate che davano sulla strada erano grandi e rotonde, decorate con delle rigogliose fioriere all’esterno; la porta era dipinta di un bel verde brillante. 

Aveva cambiato gli asettici tavoli in plastica, risalenti a quando suo padre era giovane e mai più rinnovati, con dei tavoli in legno chiaro e sedie abbinate, ognuno era decorato da un elegante centrino; in un angolo vi aveva posizionato una libreria (ereditata da uno zio) con svariati volumi (l’idea gli era venuta quando aveva notato molti ragazzi, seduti da soli, trafficare ininterrottamente col cellulare: aveva pensato che magari un buon libro fosse una valida alternativa). Alle pareti erano anche appesi numerosi quadri raffigurante paesaggi bucolici e campestri.

Aveva fatto montare a terra un finto parquet di una calda tonalità di marrone.

In qualche modo, voleva che i suoi clienti, quando entravano per una bibita o un croissant, si sentissero in un comodo, accogliente, rispettabile, caldo rifugio.

Quando finì di pulire in terra, ripose gli attrezzi in maniera molto ordinata e tornò dietro il bancone a riordinare bicchieri e tazzine.

La campanella che era stata fissata sopra la porta tintinnò, annunciando l’arrivo di un cliente, e lui alzò automaticamente lo sguardo.

Sulla porta si stagliava, alto e magro, un anziano signore dai capelli grigi e un’impressionante barba, anch’essa argentea; aveva un viso segnato dal tempo ma che in gioventù doveva essere stato attraente. Indossava una tuta da ginnastica, che sicuramente aveva visto giorni migliori, e sia i pantaloni che la felpa erano grigi; un colore che non donava a tutti, ma che riusciva a dare all’uomo un aria saggia e antica, a discapito dell’abbigliamento sportivo.

Bilbo sorrise cortesemente. 

“Buongiorno!” Esclamò.

Il signore si avvicinò al bancone guardandolo e sollevando un sopracciglio chiese: “ Che cosa vuoi dire?”

Bilbo si stupì non poco di quella domanda, ma prima che potesse replicare qualsiasi cosa, l’altro continuò.

“Mi auguri un buon giorno o vuoi dire che è un buon giorno che mi piaccia o no? O forse vuoi dire che ti senti buono in questo particolare giorno? O affermi semplicemente che questo è un giorno in cui occorre essere buoni?”**

“Tutte e quattro le cose, suppongo…” L’uomo era a corto di parole, quel cliente l’aveva spiazzato; era serio? O stava scherzando? O forse era solo un po’suonato?

“Posso aiutarla?” Chiese recuperando presto un certo contegno; non aveva dimenticato le buone maniere e, nonostante lo sconcerto, gli anni trascorsi a lavorare a contatto con le persone gli avevano insegnato come mantenere una certa compostezza, o come fingerla.

“Un caffè, per favore.” Disse allora il signore.

Bilbo si affaccendò immediatamente attorno alla macchina del caffè, e in men che non si dica poggiò sul bancone una tazzina con dentro l’amaro liquido fumante.

Sul piattino, oltre la bustina di zucchero, aveva anche posato un piccolo cioccolatino avvolto in una carta dorata; era una piccola furbizia che gli aveva insegnato sua madre: tratta il cliente come se fosse speciale e vedrai che tornerà.

Il signore strappo la bustina di zucchero e ne rovesciò l’intero contenuto nel caffè.

“Forse tu non ti ricordi- disse mentre mescolava con calma- ma noi ci siamo già incontrati in passato. Il mio nome è Gandalf.” I suoi occhi azzurri erano scintillanti e allegri ed era intuibile che dietro di essi si nascondeva una mente acuta e saggia.

Bilbo socchiuse gli occhi, effettivamente quel nome gli era familiare, cercò di ricordare a quale memoria fosse collegato.

“Gandalf… Gandalf, l’allenatore di basket?” Chiese incerto, aveva praticato quello sport anni e anni addietro e per un tempo davvero limitato, la sua costituzione fisica era troppo minuta per uno sport dove il contatto fisico era così frequente, aveva anche realizzato molto in fretta che la sua natura lo spingeva verso la ricerca della comodità e degli agi (nonostante non avesse esitato un istante a rimboccarsi le maniche quando se ne era presentata la necessità).

“Ma sì certo, ora ricordo! Ci facevi fare degli allenamenti sfiancanti, ma alla fine era sempre divertente.” Continuò, entusiasmandosi a rivivere quei momenti passati.

“Beh, sono felice che ti ricordi di me, o anche solo dei miei allenamenti. Dimmi, Bilbo, come vanno gli affari?” Si informò Gandalf, cercando di mantenere una certa noncuranza nel tono di voce.

“Oh, non posso certo lamentarmi!- Esclamò Bilbo- Certo, ci sono sempre quelle giornate in cui la clientela scarseggia, ma in particolare nei weekend e nei giorni di mercato c’è una bella affluenza. Ma come mai, se posso chiedere, questo interessamento?”

“Vedi, devo confessarti che la mia presenza qui non è del tutto casuale. Sono venuto per sentire se tu fossi interessato ad un impiego.”

“Un impiego? - Gli fece eco Bilbo senza comprendere - Non capisco, io ho già un impiego.” E con un ampio gesto indicò l’intero locale.

“Ed è una gran bella attività, non fraintendermi. Ma ciò che ti sto offrendo io è qualcosa di molto diverso; potrei quasi dire che si tratta di… un’avventura.”

Un campanello d’allarme trillò nella mente di Bilbo; ‘pericolo’ sembrava dire; le avventure, di qualsiasi genere, erano ben al di fuori della sua comfort zone. 

“Un’avventura? No, grazie.” Disse subito, mettendosi sulla difensiva.

“Ma non vuoi nemmeno sapere di che cosa si tratta? Potrebbe dare una scossa alla tua vita, portarti via dalla monotonia delle giornate grigie e…” Bilbo non seppe mai cos’altro avrebbe potuto fare quell’impiego per rivoluzionargli la sua tranquilla e piacevole esistenza, perché proprio in quel momento la porta si aprì violentemente e un bambino entrò correndo nel locale. 

Aveva capelli neri, ricci e scompigliati e luminosi occhi azzurri.

“Zio!” Esclamò sorridendo, rivelando così una simpatica finestrella fra gli incisivi, si fiondò subito dietro il bancone e lo salutò con un abbraccio.

“Frodo! Com’è andata a scuola?” Chiese Bilbo accarezzandogli affettuosamente il capo, grato di avere una scusa per ignorare Gandalf, che nel mentre stava guardando la dolce scenetta divertito e intenerito.

“Bene!- trillò il bimbo- oggi abbiamo fatto i dinosauri. Ma tu lo sapevi, zio, che erano tipo dei draghi ma senza ali? E lo sapevi che il Tirannosauro Rex era super cattivo e si mangiava tutti gli altri? E poi ora ho un dinosauro preferito!” Continuò Frodo con l’ entusiasmo tipico di quell’età.

Bilbo era molto fiero di come stava crescendo quel bambino, al quale voleva più bene di qualunque altra persona al mondo.

“Sembra interessantissimo! Dopo mi racconterai tutto. Ti va un sandwich?”

Il piccolo annuì vigorosamente sorridendo; il suo appetito era insaziabile, nonostante la piccola taglia.

Bilbo lo mandò quindi a lavarsi le mani e iniziò a comporre il panino; era consapevole dello sguardo di Gandalf su di sé, che seguiva ogni sua mossa ma continuava a tenere la testa china fingendosi profondamente concentrato in ciò che stava facendo.

“Quindi, tornando alla mia proposta…” Riprese l’uomo.

Bilbo però non lo lasciò continuare, alzando una mano per interrompere quel discorso che probabilmente sarebbe stato molto convincente e che, per quel motivo, non aveva intenzione di ascoltare.

“No, grazie. Non voglio avere nessuna avventura.” Disse secco, dimenticando per un momento le sue buone maniere.

“Io sto bene così. Noi stiamo bene così- continuò alludendo a Frodo.- Abbiamo una bella vita; una vita che ci piace e ci soddisfa. Non ho bisogno di grandi sconvolgimenti. Grazie mille.”

Gandalf emise un sospiro con profondo disappunto, probabilmente non era così che aveva immaginato quella conversazione, stette per qualche momento in silenzio, come se nella sua mente stessero prendendo piede grandi macchinazioni e profondi pensieri. 

Bilbo interpretò il silenzio da parte dell’interlocutore come un segnale di rassegnazione e sorrise; nel mentre l’uomo si frugava nelle tasche alla ricerca delle monete per pagare il caffè e, dopo avergliele lasciate sul bancone, fece un cenno con la testa e uscì fischiettando.

Bilbo scosse la testa; che gente strana che c’era al mondo! Un impiego, bah, non aveva tempo per certe cose.

L’arrivo di Frodo che tornava saltellante dal bagno, fece distrarre la sua mente dalla conversazione appena avuta con Gandalf. Gli baciò la testina  e lui gli diede il panino.

L’uomo osservò il bambino per un momento con affetto; occuparsi di lui all’inizio era stato destabilizzante e spaventoso.

Quel piccolo gli era letteralmente capitato fra capo e collo sei ani prima; ne aveva ricevuto la custodia dopo la morte dei suoi genitori, avvenuta per annegamento. 

Lui, con i bambini, non ci aveva mai avuto a che fare e, all’epoca, sperava che la situazione sarebbe rimasta invariata per diversi anni; quando l’assistente sociale si era presentata alla sua porta comunicandogli che gli era stato affidato il piccolo Frodo, lui era andato nel panico. Cosa doveva fare? Come si allevava un bambino? Gli sembrava persino di tenerlo in braccio in maniera sbagliata. In quel frangente, l’unica cosa che gli venne in mente fu chiedere aiuto; aveva così chiamato i signori Gamgee che avevano un bambino circa dell’età di Frodo e sicuramente erano più esperti di lui. Hamfast Gamgee era stato suo giardiniere per molti anni (ancora curava le fioriere del suo bar), Bilbo si fidava di lui, e sua moglie era una brava donna. I primi mesi furono di grande aiuto, consigliandogli che cibo comprare, quale crema fosse migliore e rivelandogli trucchi per far addormentare il bimbo più velocemente. Tuttavia man mano che le settimane passavano, lui diventava sempre più bravo a prendersi cura di Frodo, e quest’ultimo sembrava essersi affezionato molto all’uomo. Dopo neanche sei mesi, Bilbo non ricordava più come fosse vivere senza il bambino al suo fianco; quella creatura gli riempiva le giornate e i momenti vuoti, lo privava di molte energie ma allo stesso tempo lo ricaricava, donandogli gioiosi sorrisi. Si faceva chiamare ‘zio’, ma di fatto Bilbo era stato cugino col padre del piccolo.

Frodo era sempre stato un bambino curioso e avido di conoscenza, caratteristiche che lui non aveva esitato ad assecondare, cercando di insegnagli il più possibile, persino una lingua straniera.

Sì, Frodo Baggins era stato il più bell’imprevisto della sua vita.

La porta del bar si aprì nuovamente e proprio i sopracitati Gamgee fecero la loro comparsa. Hamfast, da tutti soprannominato Gaffiere, era un gioviale rubicondo signore che amava passare il suo tempo libero in compagnia di amici e parenti, con in mano un boccale di buona birra mentre raccontava storie che narravano avventure goliardiche vissute in gioventù da questa o quell’altra persona (spesso e volentieri ingigantiva i fatti narrati affinché gli ascoltatori potessero rimanerne più impressionati).

Il figlio era uno dei migliori amici di Frodo; Sam era un bambino biondo e paffuto, ispirava affetto a prima vista, aveva precocemente dimostrato un altruismo e un ottimismo incrollabili. Spesso non vedevi l’uno senza l’altro; entrambi, lavorando di fantasia, fingevano di essere prodi eroi in terre lontane.

“Buongiorno, Bilbo! Sono passato a prendere Frodo, così tu puoi lavorare tranquillo.” Lo salutò allegramente Gaffiere, sporgendosi sul bancone per dare una pacca sulla spalla al barista.

“Salve! Ti ringrazio tantissimo per essere venuto. Sai, io adoro averlo qui in giro, ma credo si diverta molto di più in compagnia di tuo figlio.” E a conferma di ciò, Bilbo scoccò un’occhiata ai due bambini che stavano conversando fitto fitto mentre di dividevano il panino di Frodo.

“E’ un piacere. Così possono giocare insieme con la figlia dei nostri nuovi vicini. Ah, non te l’ho ancora raccontato? La casa gialla in fondo alla nostra strada, hai presente no?, beh, è stata venduta un mesetto fa, o giù di lì. Da qualche giorno la famiglia che l’ha acquistata, i Cotton, si è ufficialmente trasferita. Sono tanto delle brave persone, dice mia moglie che li ha incontrati. E hanno questa adorabile bambina che ha un anno in meno di Frodo e Sam.”

Bilbo ascoltava senza fiatare il racconto dell’amico, lo sguardo un po’ perso; non è che non gli interessassero i pettegolezzi e le novità di quartiere che l’uomo soleva raccontargli, ma a volte la sua mente si distraeva e cominciava a saltare da una riflessione all’altra.

Si riscosse giusto in tempo per sentire l’uomo che gli domandava se lui avesse qualche notizia interessante.

Subito i suoi pensieri corsero allo strano incontro avuto poco prima con Gandalf, ma istintivamente decise che quell’episodio era meglio tenerselo per sé.

“Mah, niente di nuovo qui. Si vedono sempre le stesse facce qua in giro. Piuttosto, non trovi che i miei fiori sui davanzali abbiano un’aria un po’ spenta?” Rispose lui, portando tempestivamente la conversazione su un argomento che sapeva avrebbe coinvolto il suoi interlocutore.

Infatti Gaffiere andò subito ad esaminare le piante e convenne che in effetti necessitavano di qualche manciata di concime.

Dopo aver promesso a Bilbo che sarebbe tornato il giorno dopo con il miglior concime in circolazione, chiamò a sé Frodo e Sam e li portò a casa, in modo che potessero terminare i compiti prima di sera.

 

Bilbo passò il resto della giornata a preparare bevande, pulire tazze e bicchieri e conversare occasionalmente con questo o quell’altro cliente.

All’ora di chiusura aveva completamente dimenticato la visita di Gandalf e, dopo aver salutato l’ultimo cliente e appeso alla porta un cartello con su scritto CLOSED, stava dando l’ultima passata con il disinfettante sui tavoli mentre già pregustava la serata che gli si prospettava davanti: una confortevole cena e Frodo che gli raccontava tutto sui dinosauri o su qualche avventura che aveva vissuto quel pomeriggio con Sam.

Inaspettatamente sentì la campanella sull’uscio tintinnare; stava dando le spalle alla porta e perciò non vide subito chi fosse entrato.

“Siamo chiusi.” Disse automaticamente mentre finiva di ultimare le pulizie.

“Mi scusi,- disse una voce calda e profonda- mi avevano detto che sarei potuto entrare.”

Quando Bilbo si voltò, rimase folgorato.

 

 

 

*Esistono davvero nella Terra di Mezzo. 
**Frase detta da Gandalf ne Lo Hobbit; ma lo sapevamo tutti no? :’)

Se siete giunti fino a qui, vi ringrazio. Come continuerà la storia? Gandalf si è davvero arreso con Bilbo? Riuscirà Gaffiere a curare i fiori del bar? Sam e Frodo fananno amicizia con la piccola Cotton? E chi sarà mai il misterioso avventore del locale arivato dopo la chiusura? Tutto questo e molto altro nella prossima puntata!

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Capitolo 2
*** Avventure? Io sto parlando di giustizia. ***


Salve  a tutti!!
Benvenuti nel secondo capitolo. Confesso che sono molto, molto, troppo scettica riguardo questo capitolo; quindi se fa schifo probabilmente avete ragione fatemelo sapere che mi sotterro provvedo a una revisione.
Buona lettura!

Un bacio!

Thorin controllò ancora una volta Google Maps, ma dov’era quel maledetto locale? Le indicazioni dicevano che avrebbe dovuto trovarsi sulla sua sinistra, ma a quanto poteva vedere c’erano solo dei portici con portoni in legno. Provò a chiudere e riaprire la app, dannati telefoni. Non c’era nemmeno nessuno in giro a cui chiedere informazioni, di quel passo sarebbe arrivato troppo tardi.

Ritornò alla svelta indietro, pensando che forse il navigatore gli aveva indicato di girare in una traversa sbagliata. Ripercorrendo la strada a ritroso, prestò maggior attenzione ai cartelli che indicavano i nomi delle strade. Ed eccola lì la sua via, Bag End, dopo averne percorso metà, giunse alla sua destinazione: il bar La Contea.

Sulla porta c’era un cartello che indicava che il caffè era chiuso,  non se ne curò e con decisione spinse la porta.

Si ritrovò in una sala abbastanza grande, in cui i colori prevalenti erano marrone, giallo e verde; se avesse dovuto descrivere con una parola l’ambiente circostante avrebbe detto: confortevole, quel posto trasmetteva un certo calore e serenità.

“Siamo chiusi.” Esclamò una voce; e lui notò un uomo, il quale gli sta dando momentaneamente le spalle, che era impegnato a pulire i tavoli in fondo alla sala.

“Mi scusi- disse senza scomporsi- mi avevano detto che sarei potuto entrare.”

Il barista a quel punto si voltò.

Thorin si trovò davanti un uomo non troppo alto, con capelli castano chiaro e ricci, gli occhi erano azzurri, aveva un’espressione sorpresa sul volto, come se avesse avuto un’apparizione. Indossava una camicia con le maniche arrotolate fino ai gomiti e in vita teneva legato un grembiule verde scuro. Il suo viso era ancora giovanile, Thorin non gli avrebbe dato più di quarant’anni. Sembrava essere una delle creature più innocue della terra, non sarebbe mai andato bene per ciò che aveva in mente, pensò.

L’uomo lo fissò per un lunghissimo istante, diffidente.

“Buonasera. Mi dispiace ma siamo chiusi.” Ripetè Bilbo con un tono di voce un po’ più alto e deciso; dopo l’iniziale sconcerto, aveva recuperato l’uso della parola. 

“L’ho sentita già quando l’ha detto la prima volta.Tuttavia una conoscenza che abbiamo in comune mi ha detto che sarei potuto entrare ugualmente.” Disse Thorin con uno sbuffo (odiava doversi ripetere), fissando il barista dritto negli occhi

“Una conoscenza in comune? Non capisco… E poi questo è il mio locale… Vorrei proprio sapere…” Aveva preso a balbettare. 

Thorin notò con un certo disappunto che l’uomo sembrava molto vicino a perdere la calma, sulla sua faccia poteva leggere irritazione, sconcerto, timore, fastidio, tuttavia era come se si stesse trattenendo, come se non fosse abituato a fare sfuriate.

“Signore, si calmi. Non sono un ladro venuto per svaligiarle la cassa. Aspetteremo questo nostro amico e tutto le sarà più chiaro. Ora, vorrei un bicchiere d’acqua.” Il suo tono era deciso, autorevole, di comando. 

Bilbo continuò a fissarlo, piegando la testa leggermente di lato e alzando le sopracciglia; durante tutti gli anni che aveva lavorato nel bar, mai gli era capitato di incontrare un cliente tanto sfacciato e inopportuno.

“Per favore.” Aggiunse quindi Thorin, accennando un leggero sorriso, gli avevano sempre detto che con le persone si comportava in maniera troppo dispotica, e questo non gli faceva fare una buona impressione con chi aveva appena incontrato.

L’altro allora andò dietro al bancone e vi depositò sopra una bottiglietta d’acqua con un bicchiere di vetro; sua sorella aveva ragione, pensò Thorin avvicinandosi al bancone, a volte i ‘per favore’ fanno miracoli.

“Mi vuole dire il suo nome almeno?” Si sentì chiedere mentre si riempiva il bicchiere.

“Mi chiamo Thorin Oakenshield.” Disse allora quello, tendendogli la mano.

“Bilbo Baggins” Fece lui stringendogliela, aveva un sorriso incerto sul volto, molte domande di varia natura gli stavano affollando la mente in quel momento. Era indeciso su come comportarsi: avrebbe dovuto ancora una volta invitare l’uomo ad andarsene? Insistere per conoscere l’identità dell’amico in comune? Fare finta di niente e ignorarlo (quella sembrava proprio una buona idea)?

Dopo quelle brevi presentazioni rimasero in silenzio. Thorin notò che  Bilbo fingeva di essere impegnato a riordinare il bancone già ordinato pur di non dover interagire con lui.

Si chiese quali pensieri stessero passando in quella testa ricciuta. Se un episodio del genere (uno sconosciuto che entra nella sua palestra dopo l’orario di chiusura) fosse capitato a lui, probabilmente non avrebbe esitato a buttare l’intruso fuori della porta senza tanti complimenti, intimandogli di tornare il giorno dopo ad un orario decente, o non tornare affatto. Tuttavia il signor Baggins, dopo l’iniziale diffidenza, stava tenendo  un comportamento da ‘perfetto padrone di casa’, certo era un po’ silenzioso, ma d’altra parte nemmeno lui era molto loquace e la situazione era quanto mai particolare.

Si guardò attorno, rigirandosi il bicchiere di vetro tra le mani; era consapevole che il barista gli lanciava di tanto in tanto uno sguardo di sottecchi, decise di ignorare la cosa e lasciò vagare il suo sguardo dalla libreria, ai quadri, ai superalcolici disposti ordinatamente sugli scaffali. Quel posto gli sarebbe piaciuto molto quando era ragazzo, ci sarebbe venuto con i suoi fratelli dopo esserli passati a prendere a scuola, oppure vi avrebbe trascorso i pomeriggi con il ragazzo o la ragazza che stava frequentando in quel periodo.

“Signor Oakenshield, mi dice chi è questo amico in comune?” La domanda di Bilbo lo distrasse dall’immaginare situazioni mai avvenute nel passato.
Stava per rispondere e soddisfare ogni curiosità dell’uomo, quando la porta si spalancò improvvisamente. 

La figura di Gandalf comparve sull’uscio, sorridente e con un pallone da basket sotto il braccio.

“Thorin, amico mio! Ce l’hai fatta alla fine.” Esclamò gioviale, avvicinandosi a lui a grandi passi e stringendogli la mano.

“Ciao! Avevi detto che questo posto sarebbe stato facile da trovare. Mi sono perso persino con l’aiuto di Google maps.” Disse lui, rinfacciando all’anziano le sue stesse parole, ma sorridendo.

“Ma, una volta che hai imparato come arrivarci, non te lo dimentichi più.- Affermò Gandalf con occhi luccicanti.- Ti chiedo scusa per il mio ritardo, ma l’allenamento è durato un po’ più del previsto; quegli sciocchi non corrono mai abbastanza.”

Thorin annuì con fare comprensivo, poi entrambi si voltarono poi verso Bilbo; quest’ultimo aveva gli occhi sgranati e la bocca spalancata, era letteralmente senza parole e non sapeva più che pensare; chi era quel Thorin? Come mai Gandalf era tornato? Che diamine di situazione era quella?

“Bilbo, mi fa molto piacere vederti di nuovo. Vi siete già presentati?” Gandalf si rivolse in maniera affabile al barista, il quale però continuava a far passare lo sguardo da Thorin a Gandalf e viceversa senza emettere una sillaba.

“Si, prima che tu arrivassi.- intervenne Thorin- e stavo giusto iniziando a…” Non fece in tempo a finire perché improvvisamente Bilbo parlò o per meglio dire: urlò

“Si può sapere cosa sta succedendo? Perché questo tizio è nel mio bar a quest’ora? E perché tu sei tornato? Vuoi ancora propormi avventure? Non ti è bastata la risposta di stamattina? Se vuoi te la ripeto, perché non è cambiata affatto!” Tutto il fastidio, la tensione, la rabbia che Bilbo aveva tenuto repressi e celati sotto strati di buone maniere e rispettabilità stavano venendo galla, in uno scoppio di collera che non era certo da lui; quando finì il suo sbotto si appoggiò al bancone, leggermente ansimante. Quei due se ne stavano a parlare tranquillamente  come se fossero amici di lunga data lasciandolo a brancolare nel buio della sua ignoranza; ciò, oltre che essere terribilmente maleducato, lo irritava particolarmente.

“Allora? Qualcuno mi risponde?” Esclamò di nuovo, stizzito. Thorin lo fissò ancora per un istante, poi, invece che rispondergli, rivolse la sua attenzione a Gandalf.

“Gli hai davvero detto che si trattava di un’ avventura?” Chiese sollevando un sopracciglio incredulo. Gandalf si strinse con nonchalance nelle spalle, d’altra parte quello era un dettaglio minimo.

“Lasci che le dica una cosa, signor Baggins: qui non si sta parlando di avventure, ma di giustizia.” Affermò Thorin, il suo tono era freddo e deciso, il suo volto impassibile, tuttavia gli occhi erano infiammati e lasciavano trasparire un animo impetuoso.

“Thorin, prima di tutto, spieghiamo a Bilbo di cosa stiamo parlando. Mi sembra un po’ confuso.” E per avere conferma di ciò lanciò uno sguardo all’uomo che, ancora dietro al bancone, aveva aggrottato le sopracciglia e incrociato le braccia, in attesa di chiarimenti.

“Ti ricordi quando, stamane, sono venuto ad offrirti un impiego?”

Bilbo fece un verso in direzione dell’anziano uomo che con ogni probabilità significava ‘ovvio, come dimenticarlo?’

“Ebbene- continuò Gandalf imperterrito- il tuo datore di lavoro, se vogliamo chiamarlo così, sarebbe proprio Thorin. Non sei curioso ora di scoprire di cosa si tratta?”

Bilbo annuì lentamente, una parte di sé non voleva, per nessuna ragione al mondo, essere informato su questa famigerata avventura; ma l’altra parte invece bramava di saperne di più.

“Innanzitutto anche la definizione ‘datore di lavoro’ non è molto appropriata. - Si intromise Thorin- D’altra parte io, come Gandalf, sono un semplice allenatore di basket.” 

Bilbo aveva la netta sensazione che entrambi gli uomini non si considerassero ‘semplici allenatori di basket’ e che quella descrizione fosse stata scelta apposta per tranquillizzarlo; tuttavia si ritrovò ad annuire, Thorin aveva un modo di parlare che catturava l’attenzione, da leader.

“La farò breve: ogni cinque anni la società sportiva The Lonely Mountain organizza un campionato di pallacanestro tra alcune squadre selezionate. E’ una competizione a livello nazionale. In palio c’è un cospicuo premio in denaro e, non meno importante, la possibilità di accedere ad un torneo a livello mondiale.

Fra un paio di mesi si disputeranno le ultime partite e la mia squadra è riuscita ad arrivare ai quarti di finale dopo mesi di allenamenti sfiancanti e duro lavoro. Un’altra squadra che ha passato tutte le selezioni è quella di Azog, la Orc Team. Azog non è esattamente una brava persona, se vogliamo usare un eufemismo. Io e Gandalf siamo quasi certi che abbia truccato le partite, corrompendo chiunque potesse: arbitri, allenatori e gli stessi giocatori. Ed è in questa stessa maniera che lui pensa di arrivare in finale e vincerla.”

Thorin aveva cercato di riassumere la vicenda nella maniera più coincisa e, seguendo un suggerimento che Gandalf gli aveva dato in precedenza, aveva evitato di descrivere a fondo i crimini di Azog.

Bilbo stava seguendo attentamente il racconto, tuttavia ancora non riusciva a capire cosa i due uomini volessero da lui; certo gli dispiaceva per la situazione di Thorin, questo torneo sembrava importante per l’uomo, ma episodi di illegalità, riguardanti piccole e grandi cose, accadevano tutti i giorni, lui non avrebbe di certo potuto fare niente.

“Ti vedo confuso, Bilbo- intervenne Gandalf- e ciò è più che comprensibile. Ti starai chiedendo cosa c’entri tu in tutto questo. Ebbene, fra qualche tempo, un mese o giù di lì, si giocheranno i quarti di finale tra la Orc Team e la squadra di Pontelagolungo. La squadra ospitante è proprio quella di Azog. Devi sapere, mio caro Bilbo, che è tradizione che la sera prima della partita i giocatori di entrambe le squadre con gli allenatori consumino una cena tutti insieme, in segno di amicizia e cooperazione. Il tuo compito è, essenzialmente, fingerti uno dei camerieri del catering e fare entrare me, Thorin e forse un altro paio di persone nella palestra di Azog, senza che lui lo sappia ovviamente dal momento che non credo che saremmo i benvenuti, affinché possiamo, come dire?, dare un’occhiata in giro e trovare le prove delle sue azioni illegali.” Concluse Gandalf con una semplicità disarmante, come se parlare di compiere effrazioni e spiare persone fosse una cosa all’ordine del giorno per lui.

Bilbo alla fine della spiegazione rimase zitto con lo sguardo perso nel vuoto. Il suo cervello era letteralmente andato in tilt; le parole come ‘fingersi un cameriere’, ‘corruzione’ e ‘azioni illegali’ roteavano nella sua mente. Ma come? Ma in che senso? Ma perché?

Thorin nel mentre lo fissava, si sarebbe aspettato un qualche tipo di reazione da parte del barista, ma quello sembrava caduto proprio in catalessi. Eppure non gli 

pareva che il compito richiesto fosse troppo difficile; inoltre Bilbo nel suo bar svolgeva anche i classici compiti da cameriere, non avrebbe dovuto fingere così tanto no? 

“Ebbene, signor Baggins, cosa ne pensa?” 

Il barista allora puntò lo sguardo su Thorin, poi senza dire una parola si voltò, prese la bottiglia di liquore più vicina e ne versò due dita abbondanti in un bicchiere, quindi bevve tutto d’un fiato, il liquido scese bruciandogli la gola, ma ebbe l’effetto positivo di scuoterlo e riprese a pensare lucidamente, più o meno.

“Cosa ne penso?- chiese poi- Penso che siete due pazzi. E siete sonora più pazzi a voler coinvolgere me. E tutto questo per uno stupido torneo.”

“Non si tratta solo di un torneo.- Iniziò a spiegare Gandalf con pazienza, aveva deciso che era giunto il momento di scoprire tutte le carte in tavola, la versione leggera e censurata di quella storia non stava ottenendo i risultati sperati.- La squadra di basket e la società sportiva di Azog sono solo una copertura, dietro c’è un giro di partite truccate, scommesse  e riciclaggio di denaro sporco, il tutto gestito dallo stesso Azog.  Se noi riuscissimo a trovare le prove che lo collegano ad almeno uno di questi crimini, allora sarebbe possibile avviare delle indagini serie e…”

“Riciclaggio di denaro sporco? Cosa? Qui stiamo parlando di malavita, Gandalf. Inoltre com’è possibile che… Insomma …Tu sei solo un allenatore… Come puoi fare quello che dici?” Se già la situazione era incredibile, queste nuove scoperte terrorizzarono Bilbo; l’intera situazione era al di là di ogni sua immaginazione.

“Oh, bhe… diciamo che il basket è una sorta di hobby per me. Comunque…”

“Signor Baggins- si intromise Thorin all’improvviso- noi le stiamo domandando il suo aiuto. E’ solo una piccola azione, un piccolo contributo che le stiamo chiedendo di dare, ma tutto ciò potrebbe innescare una serie di reazioni a catena che renderebbero questo paese un migliore, almeno un po’. Non è stanco di vedere certe ingiustizie? Non pensa mai ‘vorrei che qualcuno facesse qualcosa a riguardo’? Ebbene, lei E’ qualcuno. Azog quando vincerà, perché sì, lui vincerà, utilizzerà il denaro del premio per incrementare le sue attività. Noi possiamo fermarlo.  Sarà forte? Sarà al nostro fianco?” Mentre pronunciava quel discorso sembrava avere le fiamme negli occhi, era deciso e aveva parlato con trasporto.

Bilbo lo aveva ascoltato rapito, nonostante lo shock dato dalle spiegazioni precedenti; durante il discorso aveva avvertito risvegliarsi nel profondo della sua anima qualcosa che collegava ai suoi anni giovanili, anni in cui si era sentito invincibile e capace di cambiare il mondo solo con la forza di un’idea. Quei momenti erano ormai lontani, soffocati dalla vita adulta che era pian piano sopraggiunta, ma il discorso di Thorin… Scosse la testa, cercando di recuperare un minimo di lucidità.

“No, non posso. Non sono cose di mia competenza. Io ho un bambino da crescere, se mi dovesse accadere qualcosa, non so cosa ne sarebbe di lui. Inoltre ho questo bar… E voi venite qui a propormi cose assurde… No no no, devo badare ai miei affari io.” Aveva parlato pronunciando frasi sconnesse, balbettando.

Thorin sembrava deluso; certo fin dall’inizio era stato scettico sul coraggio dell’uomo, ma gli aveva dato il beneficio del dubbio, forse il barista possedeva delle virtù che non emergevano ad un primo sguardo. Tuttavia il rifiuto di Bilbo pareva confermare le sue prime impressioni, quell’uomo era un rispettabile, noioso, apatico, inerte borghese, contento solo di servire caffè e badare ai suoi affarucci.

Anche Gandalf sembrava avvilito e teneva il capo chinato. Dopo qualche momento di silenzio generale, l’uomo sembrò riscuotersi dai suoi profondi pensieri e sorrise con gentilezza a Bilbo.

“Ebbene, se questa è la tua decisione definitiva, noi leviamo il disturbo. Non vogliamo farti sentire obbligato a fare niente, sarà come se questa conversazione non fosse mai avvenuta.” Disse Gandalf e fece per andarsene, Thorin lo guardava con occhi sgranati: quello non era certo un comportamento che si sarebbe aspettato dall’amico; da quando lo conosceva, Gandalf non era mai stato uno che si arrendesse con così tanta facilità.

L’anziano aveva quasi raggiunto la porta quando sembrò avere un ripensamento.

Si voltò e con un mezzo sorriso sul volto ritornò lentamente verso il bancone.

“Un ultimissima cosa, mio caro Bilbo. Nell’eventuale, remota possibilità che tu dovessi ripensarci, chiama o manda un messaggio a questo numero.” E da una delle tasche della tuta estrasse un post it giallo su cui era stato scribacchiato un numero di cellulare. Lo posò sul bancone e poi fece cenno a Thorin di seguirlo. Entrambi uscirono dal locale, lasciando Bilbo da solo a guardare quel post it come se fosse radioattivo. 

Una volta all’esterno, Thorin sospirò.

“Pensi davvero che cambierà idea?” Chiese scettico, sapeva che la fiducia di Gandalf negli esseri umani era inesauribile.

“Nessuno può sapere come si svolgeranno gli eventi futuri.- Lanciò un’occhiata veloce all’orologio che portava al polso.- Ma guarda te come si è fatto tardi! Per i vecchietti come me è proprio ora di andare a letto.” Esclamò sereno, cominciando a camminare.

“Di chi è il numero che gli hai lasciato?” Chiese allora Thorin a voce alta, siccome l’amico si era allontanato.

Gandalf si fermò e si voltò leggermente.

“Oh, lo vedrai.” Dichiarò con fare misterioso prima di riprendere a camminare per fare ritorno a casa.

Thorin scosse la testa e si avviò nella direzione opposta, l’unica cosa che voleva era dimenticare l’incontro con quel barista e tornare a casa.

 

Erano trascorsi alcuni giorni da quando Bilbo aveva avuto quella visita inaspettata da parte di Gandalf e Thorin; aveva fatto del suo meglio per non pensarci, si era tenuto il più occupato possibile. Aveva persino portato Frodo, Sam e Rosie (la figlia dei Cotton e nuova amica dei due bambini) a fare una gita fuori porta.

Tuttavia la sua mente tornava di continuo alle parole che Thorin gli aveva detto; beh, non solo alle parole.

L’aspetto dell’uomo lo aveva colpito fin da subito: alto e austero, il suo portamento era autoritario e Bilbo aveva avuto l’impressione che fosse un uomo che si aspettava di venir sempre ascoltato e che le sue richieste fossero sempre esaudite.

Aveva anche un bel viso: occhi azzurri, i suoi lineamenti erano decisi, capelli leggermente lunghi e portava un accenno di barba.

Inizialmente Bilbo si era sentito inspiegabilmente attratto da lui, sebbene fosse un perfetto sconosciuto; quell’attrazione era scomparsa non appena era venuto a conoscenza dei piani suoi, e di Gandalf, di improvvisarsi allenatori-detective.

Bilbo, mentre era intento a lavare delle tazzine nella piccola cucina dietro il bancone, scosse la testa: le indagini non erano cose per lui. Certo, non gli avevano esattamente chiesto di indagare, ma il solo pensiero di venir coinvolto in qualcosa di pericoloso gli faceva accapponare la pelle; dalle rapide spiegazioni che aveva ricevuto, aveva potuto dedurre che Azog fosse una persona molto pericolosa. 

A lui piaceva la sua vita, la sua routine; gli piaceva occuparsi di Frodo e passare le loro serate a fare giochi di società con i Gamgee.

Sospirò, le parole di Thorin continuavano però a tornargli in mente, oltre la recinzione del suo piccolo giardino c’era un mondo in cui le vite delle altre persone non erano pacifiche come la sua; lavorando a contatto con molta gente era spesso venuto a conoscenza di brutte storie, di ingiustizie sia piccole che grandi. Aveva sempre provato irritazione ascoltando questo genere di notizie, tuttavia il suo pensiero era sempre stato lo stesso: io sono solo un barista, cosa posso farci? Ora che aveva la reale opportunità di dare una mano…

“Bilbo Baggins!” Una gracchiante voce femminile lo riscosse dai suoi pensieri facendolo sobbalzare.

‘Ti prego fa che non sia lei. Fa che non sia Lobelia.’ Pensava mentre, molto lentamente, si toglieva i guanti di gomma prima di uscire dalla cucina.

Sbirciando dalla porta, notò con sommo orrore che le sue preghiere erano rimaste inascoltate e dall’altro lato del bancone c’era proprio lei, spuntata direttamente dalle fiamme dell’inferno, Lobelia Sackville-Baggins: tutta vestita di nero e con i capelli malamente raccolti in uno chignon mezzo disfatto, a Bilbo ricordò un pipistrello un po’spelacchiato.

Indossò il sorriso più falso che potè e le andò incontro.

“Lobelia, quel buon vento! Come mai da queste parti? Satana ti ha dato la giornata libera?” Chiese in maniere ironica.

“Bilbo. Non sono più gradite le visite dei parenti adesso? Dov’è finita la tua leggendaria ospitalità?” Quella donna era fra le persone più acide e sgradevoli con cui Bilbo aveva avuto la sventura di dividere la parentela. Cercava di evitarla il più possibile, ma erano anni che periodicamente faceva visita al suo bar (e ogni volta non mancava di criticare quel pezzo d’arredamento o il suo modo di servire il caffè) adducendo come motivazione il fatto che fosse stata incaricata di invitarlo a qualche cena di famiglia; tuttavia Bilbo era più che consapevole che quella donna veniva a controllare come andassero i suoi affari, sperando ogni volta che stesse per fallire così che lei e il marito potessero rilevare la sua attività a basso costo.

“Che sciocco che sono stato a dimenticare le buone maniere!- Esclamò in maniera affettata- Gradiresti una tazza di the, mia cara? Dentro, per caso, ci vuoi anche del velen… Ehm dello zucchero?”

Lei gli lanciò un’occhiataccia alla quale lui sorrise amabilmente, nel mentre fece bollire dell’acqua che poi mise in una tazza con una bustina contenente the verde (l’unico che lei beveva da almeno trent’anni).

“Attenta che scott…”Ma non fece in tempo a finire la frase che la donna ne aveva già bevuto un sorso, senza battere ciglio; Bilbo era impressionato anche se forse non avrebbe dovuto: probabilmente all’inferno la temperatura era molto più alta di quella dell’acqua in ebollizione.

“Comunque, cugino, sono venuta per ricordarti che venerdì prossimo c’è il compleanno del mio piccino, Lotho. E che tu e Frodo dovete esserci assolutamente.”

Oh no, il compleanno di quella piccola peste! Se n’era completamente dimenticato. Cercò di  pensare a una buona scusa per non andarci; lui e il nipote odiavano avere a che fare con quella famiglia.

Approfittando del suo silenzio, Lobelia aveva continuato a parlare.

“… E quindi ho preso questa macchina ad un prezzo stracciatissimo. L’unico difetto è che è piena di ammaccature e graffi, ma ho già la soluzione pronta. Sai, pensavo di farmi tamponare di proposito, in questo modo potrò sganciare un bel po’di soldi al tipo che mi urterà e avrò la possibilità di rifarmi l’intera carrozzeria. Non pensi che sia un’idea geniale?”

Bilbo aveva un’espressione nauseata sul volto, odiava questi espedienti che erano particolarmente cari alla donna e detestava la sua disonestà.

“Mio marito inoltre è entrato nel business dello smaltimento di rifiuti, non immagini quanti vantaggi che se ne possono ricavare! Una parte degli scarti li smaltisci secondo le regole ovviamente, ma l’altra parte, beh, diciamo che ci pensa la natura.” Affermò con un sorriso furbo, proprio di chi aveva capito tutto della vita.

Bilbo era livido dalla rabbia. Con un tono di voce gelido si congedò da Lobelia e ritornò nella cucina, lasciandola dietro il bancone che cercava di chiamarlo con la sua voce da rana.

Una volta solo, fece un respiro profondo. Aveva sempre saputo che la famiglia Sackville-Baggins fosse marcia, ma non credeva fino a quel punto.

Si sentiva male, stomacato, stufo, schifato. Perché le persone dovevano approfittarsi in maniera così vile di certe situazioni? Perché certa gente era più privilegiata rispetto ad altra? E perché nessuno faceva niente? Qualcuno dovrebbe fare qualcosa.

Qualcuno dovrebbe… Erano le stesse parole che aveva detto Thorin. E, esattamente come aveva detto l’uomo, Bilbo era qualcuno.

Di slancio, senza darsi il tempo di riflettere, afferrò il telefono e recuperò il post it lasciatogli da Gandalf. Compose velocemente il numero e, portandosi il cellulare all’orecchio attese che qualcuno rispondesse.

Gli era stata donata la possibilità di partecipare ad un impresa per cercare di rendere il paese un posto migliore; quello stesso paese in cui abitava anche Frodo, e lui, al suo piccolo tesoro, avrebbe voluto lasciare solo il meglio.

Aveva il respiro corto e camminava su e giù nella piccola cucina.

Finalmente qualcuno rispose all’altro capo della linea.

“Pronto?” La voce era profonda e calma.

“Pronto? Sono Bilbo Baggins. Volevo solo dire, riguardo all’avventura, che ci sto.”

 

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