L'Azzeccagarbugli della Supercazzola

di Biblioteca
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In cella ***
Capitolo 2: *** L'interrogatorio dell'avvocato ***
Capitolo 3: *** Ritorno a casa ***



Capitolo 1
*** In cella ***


“Amici miei, mi sa che questa volta siamo nei guai per davvero.” Sentenziò il Mascetti appena fu sicuro di essere solo in cella insieme agli altri: il Perozzi, il Sassaroli, il Necchi e il Melandri.
Tutti e cinque tra tre mura e un cancello ferrato, più tristi che mai.
Era una bella serata estiva, fresca e tranquilla. La serata ideale per una zingarata.
Ma purtroppo, non sempre le zingarate erano destinate al lieto fine.
A volte, se c’era di mezzo una burla da giocare a qualcuno o non andava bene o si era costretti a scappare per l’arrivo della polizia.
Tentare di vendere al più bigotto dei preti bigotti della maremma, fingendosi inviati dal Vaticano “in persona”, una vertebra di montone spacciandola per la vertebra di un santo, era stata una bella idea del Mascetti stesso. Per fare un po’ di soldi, era andato in campagna a vendere i vestiti da neonata della figliola ormai cresciuta. Sapeva infatti che una famiglia di contadini, che aveva già avuto ben sei figli maschi, aveva messo al mondo la prima femminuccia e non potevano certo darle i vestiti dismessi dei fratelli.
L’affare era andato bene. Sulla via del ritorno, accompagnato dal contadino, aveva notato tra i sassi della strada qualcosa di anomalo e l’aveva raccolto: un sasso dalla forma strana. Il contadino gli aveva spiegato che non si trattava di un ciottolo, ma della vertebra di qualche animale, probabilmente un montone, a giudicare dalla grandezza.
L’idea era subito balzata in testa al Mascetti. Un giro di telefonate ed ecco tutti gli amici riuniti nel pomeriggio.
Ma purtroppo, il vecchio prelato bigotto non era solo: con lui c’era un novizio occhialuto che aveva subito intuito l’inganno. Ed aveva chiamato subito la polizia.
E siccome non era il primo scherzo che i cinque amici avevano fatto in quella parte della provincia, il maresciallo della zona era stato ben felice di avere finalmente i cinque burloni, tutti insieme, nella cella.
A quanto pare gli scherzi passati non erano stati presi molto bene dalle “vittime” che avevano raccontato al maresciallo dei cinque ingegneri, forestali, ferrovieri, professori, finanzieri, banchieri e tante altre professioni con cui si erano presentati, proponendo affari, svelando tradimenti, raccontando leggende del posto, salvo poi la scoperta da parte degli ascoltatori che tutto era falso.
E no, scoprire di essersi fatti prendere per il naso non è mai bello.
Ed ecco che per sfogo, o per vendetta, chi non si vergognava era andato a parlare al braccio destro della legge: il Maresciallo Rosselli.
“Ci da la caccia da molto tempo, quello lì.” Spiegò il Mascetti “È un osso duro!”
“Più duro della tua vertebra?” domandò il Necchi, anche lui rattristato dall’insuccesso, ma non troppo preoccupato.
“Necchi, non scherziamo. Qui la cosa è seria!” sbottò il Melandri “Vedrai tu Necchi quando toccherà a te la quantità di fascicoli sul tavolo del maresciallo!”
“Guido Necchi!” esclamò la voce dell’appuntato ricomparso all’improvviso nel corridoio.
Necchi fu prelevato dalla cella e portato davanti al maresciallo, lasciando soli gli altri quattro.
“Bravo Melandri, l’hai chiamato.” Fece il Perozzi.
“Se ho capito bene, stanno andando in ordine alfabetico.” Disse calmo il Sassaroli “E io dovrei essere l’ultimo.”
“Sassaroli, non è che c’hai qualcuno da chiamare? Un buon avvocato?” domandò il Melandri.
“Ah, certo che ce l’ho. Ma non credo che sarebbe disposto ad accettare una sola parcella per difenderci tutti e cinque.”
“Che problema c’è? Noi tutti possiamo permetterci…” ma il Melandri si interruppe nel momento in cui per caso incrociò lo sguardo del Mascetti e abbassò lo sguardo imbarazzato.
In altre circostanze, il Mascetti avrebbe reagito molto male a una battuta involontaria simile.
Ma in quel momento non ci riuscì. Sentiva anche lui il peso di quella situazione, a modo suo assurda e inaspettata allo stesso tempo. In più, sottoposto all’interrogatorio con Rosselli aveva capito che nulla lo avrebbe potuto salvare: né il suo titolo nobiliare, né una buona supercazzola.
Per quanto ci avesse anche provato.
 
“Beh generale, capisca, se mi chiama Antani, a sinistra no, nessuno può riuscire a truffare un rabarbaro perché prema turare una permuta…”
“Sì, la supercazzola, l’hanno descritta tutte le vittime da voi raggirate.”
“Ma raggirate, per una curva soltanto con scappella mento a destra!”
“Conte Mascetti, se lo può permettere un avvocato o no?”
“Permettere topioco ovviamente, senza stretta di mano da contratto!”
“E inoltre, se è vero che ha una figlia e sua moglie non lavora, cosa preferisce, un istituto o i servizi sociali?”
 
Quando il Maresciallo aveva tirato in mezzo sua figlia, il Mascetti si era sentito molto a disagio.
Si era reso conto che forse la situazione era più seria di quanto credesse.
Aveva iniziato a pensare a tutti gli avvocati che aveva conosciuto ai bei tempi andati. E era arrivato alla conclusione che nessuno di loro l’avrebbe mai aiutato senza compenso.
“Perozzi, ma il tuo figliolo, non era laureato in legge?”
Il Perozzi si era acceso una sigaretta e per poco non la sputò per la sorpresa.
“Lucianino? Scherzi vero? E comunque l’ha fatto la carriera accademica. Non è nemmeno iscritto all’albo.”
“Certo, ma già che è in città approfittiamone!  Magari conosce qualcuno!” insistette il Mascetti “Qualche novellino che deve farsi le ossa, che accetta pagherò, che…” si interruppe perché il Necchi venne riportato in cella.
Era pallidissimo.
“Hanno detto che manderanno l’ufficio d’igiene e la finanza al bar…” mormorò “Carmen questa non me la perdona…”
“Cazzo questo qui è proprio uno stronzo!” esclamò all’improvviso il Sassaroli “Per qualche scherzo che abbiamo fato negli anni sembra che vuole farci a pezzi!”
“Il Melandri non scherzava quando diceva che i fascicoli erano tanti.” Disse il Necchi “Siamo stati segnalati da tutti quelli della zona.”
“Alfeo Sassaroli!”
Calmo il Sassaroli seguì l’appuntato.
Tornò, come gli altri, dopo un tempo relativamente breve.
“Com’è andata?” gli chiese il Necchi.
“Ha capito che sono quello che può uscirne meglio, quindi non è stato troppo severo.”
“L’è stronzo e pure vigliacco!” Sibillò tra i denti il Melandri.
“Giorgio Perozzi!”
Il Perozzi sospirò e seguì l’appuntato. Prima di uscire dalla cella, fece l’occhiolino ai suoi amici.
Se la situazione era tanto grave, come poi in cuor suo sperava in realtà non fosse, si sarebbe preso tutto il piacere del mondo di fare qualche brutto tiro a quello stronzo che metteva completamente in soggezione i suoi amici.
Quando arrivò davanti al Maresciallo Rosselli, quello non gli strinse la mano né gli fece cenno di accomodarsi. Stava leggendo il suo documento.
“Giorgio Perozzi, classe 1922, capocronista della Nazione, residente a Firenze.” Mormorò.
Il Perozzi si sedette davanti a lui. “Sì, lo so, mi conosco abbastanza bene, non c’è bisogno che mi legga ogni cosa.”
Il Maresciallo sollevò gli occhi incredibilmente azzurri dal documento e lo fissò.
Il Perozzi, che era partito molto bene, si sentì all’improvviso profondamente a disagio. Senza capire perché.
“Lei non si ricorda di me, vero signor Perozzi?”
“Prego?”
“No, non se lo ricorda.”
Il Maresciallo tornò a fissare il documento, lasciando il Perozzi interdetto.
No che non si ricordava nulla; anche perché, ne era sicuro, degli occhi come quelli di certo non se li sarebbe mai scordati.
“Potrei chiederle come mai mi ha rivolto la domanda?”
“Certo che può chiedere, ma non è detto che io risponda.”
L’era stronzo e anche bravo.
Aveva ragione il Mascetti, la supercazzola non avrebbe funzionato.
Per diversi minuti ci fu solo un silenzio molto imbarazzante, almeno per il Perozzi, rotto soltanto dallo sfogliare delle pagine del Maresciallo.
“Beh signor Perozzi. Ce n’è di roba qui.” Disse finalmente dopo molto il carabiniere “direi che un paio d’anni a lei non glieli toglie nessuno.”
“Non si è innocenti fino a prova contraria?”
“Di prove contrarie ce ne sono molte, qui.” Indicò i fascicoli. Erano effettivamente tanti.
“Bene, allora andiamo in tribunale già da subito. Le va?”
“L’è notte fonda.” L’improvvisa virata sul toscanaccio del Maresciallo impensierì ancora di più il Perozzi: si era aspettato tanta severità da parte di qualcuno proveniente da un'altra regione. Ma questo invece era toscano, dunque sapeva della tradizione delle burle; e tuttavia era chiaramente deciso a non farla passare liscia a nessuno di loro… o forse solo al Sassaroli.
E poi quella strana domanda all’inizio. E se ci fosse stato sotto qualcosa di intimamente personale?
Aveva forse subito anche lui uno scherzo?
“C’è poi anche da dire che non per tutti la sorte sarà la stessa. Il vorsto quinto amico, il Sassaroli, non compare in tutte le denunce. Mentre il capo della banda, il mandante delle vostre truffe, il Mascetti, pare essere…”
“Non abbiamo capi noi!” sbottò il Perozzi interrompendolo “Siamo zingari. Facciamo quello che vogliamo tutti insieme. Tutti d’accordo!”
“Via Perozzi, lei sa che in ogni gruppo ne esce qualcuno più carismatico degli altri che guida la situazione. Come ne esce qualcuno che è più disposto a parlare di altri, perché magari rischia di più.”
Il Perozzi in quel momento saltò sulla sedia, strinse i pugni  e rosso come un peperone per la rabbia fissò il Maresciallo.
“Che storia è mai questa!? Perché ci trattate come se fossimo dei delinquenti!?” urlò.
“Avete orchestrato delle truffe in tutta la zona, siete dei delinquenti.” Il Maresciallo non si scompose minimamente di fronte alla sua furia.
“Non l’erano truffe! Erano burle! BURLE CAZZO!”
“Si sieda immediatamente.”
“Centinaia di criminali VERI girano questo paese completamente impuniti, perché vi rivolgete così a noi che siamo quattro disgraziati che vogliono solo divertirsi!!!!”
“Signor Perozzi, lei sta peggiorando la sua situazione. Si sieda.”
Il tono gelido del Maresciallo non spense la furia del Perozzi, ma lo convinse a tornare a sedersi.
Consapevole che rischiava di schiantarsi contro un muro di ghiaccio.
Respirò a fondo per riprendere fiato.
Il Mascetti aveva ragione, erano in una brutta situazione.
In quel momento l’appuntato fece il suo ingresso.
“La mi scusi Maresciallo, l’è arrivato l’avvocato dei signori.”
Pausa.
“L’avvocato dei signori?”
“Sì. Dice che li rappresenta tutti e cinque.”
Il Perozzi sgranò gli occhi stupito.
Un avvocato? Per tutti loro? E chi l’aveva chiamato?
“Va bene, può entrare. Inizierà con il Perozzi.”
Nell’ufficio del Maresciallo fece ingresso un uomo molto alto, che indossava un cappello fedora piuttosto grande, che gli copriva anche la fronte. Gli occhiali a fondo di bottiglia rendevano gli occhi invisibili e il volto era ricoperto da una barba nera e dalla lunghezza anomala, soprattutto per un avvocato. Indossava già la toga, cosa strana che lo faceva apparire quasi ridicolo.
Osservandolo il Perozzi sentì di essere passato dalla padella alla brace: difesi da uno così non avevano speranza di uscire da lì.
“Sono il Maresciallo Piero Rossellini.”
“Giuliano Antani.” Si presentò l’avvocato con una voce stranamente acuta.
A sentire “Antani” il Perozzi sgranò gli occhi per la sorpresa.
 
Continua…

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Capitolo 2
*** L'interrogatorio dell'avvocato ***


“Bene avvocato Antani, la situazione è questa” cominciò a parlare il maresciallo Rosselli “i suoi cinque clienti sono accusati perlopiù di truffa da quasi tutte le vittime che hanno denunciato un loro così definito dagli stessi, scherzo subito in varie occasioni nell’arco di cinque anni, se non di più. Siamo disposti a ritenere che l’entità degli… scherzi, e dei danni conseguenti gli stessi, sia ben più alta.”
Poggiò in ordine tutti i fascicoli davanti all’avvocato, che era rimasto in piedi.
Senza neanche guardare i fascicoli, l’uomo barbuto attaccò a dire: “Capisco, l’entità è inevitabilmente e sistematicamente fondamentale per poter trattare oltre il mille per mille un caso di tanta portata, poiché è risaputo che nella legislazione attuale del paese nulla può essere lasciato al caso e tutto va segnato nel modo giusto. E tuttavia ci sono parecchie cose non chiare che pero che lei possa chiaramente chiarire.”
Quando la filippica finì nell’ufficio calò uno strano silenzio, molto pesante.
Il Maresciallo aveva gli occhi spalancati e lo sguardo chiaramente perplesso.
Il Perozzi invece era teso e attento.
Non poteva averne la certezza, ma gli sembrava di aver appena assistito ad una supercazzola ben orchestrata. I termini erano tutti prolissi e abbastanza tipici di un avvocato e le frasi avevano un senso apparente. Ma erano abbastanza complesse da confondere le acque. In più quel tono acuto e sicuro di sé, e il fatto che la parlata fosse molto veloce…
“Scusi avvocato, non capisco, non ha neanche letto, come fa a non esserle già chiaro qualcosa?” domandò il Maresciallo.
“Ah no!” esclamò l’avvocato “Chiaro in sé è chiaro poiché comunque la trascrizione non può che essere tale in quanto tale. Ma se lei, Maresciallo, pensa che per ogni lettera c’è un peso e per ogni peso c’è un contrappeso, la bilancia della giustizia non può che squilibrarsi, poiché sistematicamente ogni frase implica necessariamente un seguito. Se poi ci annotiamo che prematuramente nessuno può sapere quanto sarà durante il processo lei si rende conto che ogni facoltà fisica e mentale va precisamente calcolata! Non è possibile usare il plurale maiestatis senza avere prima la certezza che cotanta accusa abbia in sé la realtà implicita del corpo del reato!”
Seguì una pausa ancora più lunga.
Questa volta il Maresciallo non riuscì a replicare.
“È questione di formalità Maresciallo! La burocrazia è semplicemente complicata poiché nessuno sa quello che sa ma tutti sanno tutto e tutti dicono di sapere qualcosa, ma sarà poi vero? LE PROVE! SERVONO LE PROVE!”
L’urlo finale fece sobbalzare il Maresciallo. E anche il Perozzi.
“Prove ci sono non si preoccupi! L’è tutto segnato negli atti!” fece subito il Maresciallo.
“E le prove d’antivalore?”
“Le prove d’antivalore?”
“Come sarebbe non sa che per ogni valore esiste il suo contrario? Va bene a parole dire che l’uomo ha fatto quel che ha fatto, ma se un fatto non ha circostanze di fattualità allora alcun fatto sussiste, poiché solo il vero fatto lascia una traccia visibile e se non vi è traccia lasciata allora è impossibile risalire al fatto in sé.”
Altra pausa.
“Senta avvocato, io credo che lei mi stia prendendo in giro, come fanno i suoi assistiti!” sbottò il Maresciallo.
“E questa è un’accusa molto grave, poiché io sto solo mettendo in evidenza che a parte le denuncie non c’è alcuna prova di quanto vengono accusati i miei assistiti. Hanno forse sottratto del denaro? Dei beni preziosi? Delle proprietà?”
“Oggi hanno cercato di vendere questo” fece il Maresciallo tirando fuori la vertebra di montone “a un prelato, spacciandola per la vertebra di un santo proveniente direttamente dal Vaticano.”
L’avvocato prese in mano la vertebra e l’osservò attentamente.
“Signor Perozzi, mi conferma quanto dice il Maresciallo?” domandò continuando a fissare l’osso intensamente. Probabilmente anche con i fondi di bottiglia non riusciva a vedere nulla.
“Eh sì, avvocato, proprio così. Ma la vendita non prevedeva uno scambio in denaro. Volevamo convincere il prelato a vendere il camposanto dove una delegazione del Vaticano sarebbe poi arrivata a disseppellire i cadaveri e cercare altri eventuali santi. Era una burla molto elaborata, che non prevedeva assolutamente che l’uomo ci pagasse in denaro.”
“Balle!” esordì il Maresciallo.
“Perché questa dichiarazione Maresciallo?”
“Sono assolutamente sicuro che dopo molti tentativi, compresa l’ingenuità degli abitanti della zona, i cinque volessero fare il grande passo e guadagnare dei soldi veri. Anche perché uno di loro, il fantomatico conte Mascetti…”
“Veramente è conte sul serio.” Lo interruppe il Perozzi.
Il Maresciallo proseguì: “Come dicevo, il conte Mascetti versa in gravi difficoltà economiche, ha ben senso che voglia cercare di guadagnare anche con l’illegalità!”
“Mi dica Maresciallo, non pensa che se l’avessero voluto fare per ricchezza personale i miei clienti avrebbero chiesto soldi fin dalla prima truffa ordita?”
Il Maresciallo non rispose subito. Si limitò a prendere il fascicolo, quello che stava sotto a tutti gli altri.
“Ai tempi erano ancora in quattro. La loro burla consistette nel convincere un albergatore della zona di avere come ospite una spia comunista, che era in verità un innocuo turista della Germania dell’Ovest e non dell’Est come i quattro lo convinsero fosse. Alla fine l’albergatore perse il cliente e con lui tutti i soldi che questo gli doveva.”
“Mi sembra di capire che comunque i miei clienti non guadagnarono nulla.”
“No. Ma i danni morali furono molto pesanti per l’albergatore.”
“Danni morali è una dicitura scorretta. Nessuno sta a guardare l’etica quando si tratta di fattori personali. Senza contare che in qualsiasi sede giuridica nessun giudice che giudica giudicherebbe solo partendo dall’etica morale di una qualsiasi azione scelta. Ipso facto, senza alcuna sentenza etica non vi è azione morale che tenga.”
Altro silenzio.
“Comunque venendo ho letto la scritta dell’albergo qui riportato, mi pare di capire che è ancora aperto e ben frequentato.” Proseguì l’avvocato. “Alla fine il danno non è stato poi così grave. E sono passati cinque anni.”
“Vuole danni gravi? Ecco, questo scherzo giocato al capomastro Busco ha portato questi in ospedale per un dito rotto.”
L’avvocato prese il fascicolo e lo lesse qualche minuto.
“Il dito si è rotto a causa di un pugno malamente lanciato a Mascetti, che si è rotto il naso nella colluttazione.”
Il Maresciallo non si scompose: “La reazione, per quanto possa sembrare deprecabile, è stata scaturita dall’uso della supercazzola che il Mascetti ha attuato per cercare di sfuggire all’accusa della rottura di un muro appena terminato a causa della marcia indietro della macchina.”
“Esercita ancora suddetto capomastro?”
“ Certamente! È uno dei più stimati della zona!”
“E a quanto risulta, i tre amici del Mascetti, tre dei miei assistiti, hanno fatto una colletta per pagare il muro.”
“Solo metà!”
“E il Mascetti non ha sporto denuncia per il naso rotto. A quanto risulta dagli atti, all’appuntato presente in ospedale per le denunce d’ufficio, ha chiaramente parlato di ‘bischerata’.”
“Infatti è così. Ma il capomastro non era d’accordo.”
“L’accordo e il disaccordo, legalmente parlando sono asserzioni prive di qualsiasi valore intrinseco e trascendentale, poiché è chiaro che si può essere d’accordo nel disaccordo e in disaccordo nell’accordo, cosa che vale anche per gli strumenti musicali. Se mi permette la metafora prematurata, un violino stonato, al sordo non stona, e si sa che non c’è più sordo di chi non vuol sentire.”
Il Perozzi quasi si emozionò di fronte all’ennesima supercazzola accuratamente recitata dall’avvocato, anche se forse non era migliore delle altre, lì aveva rischiato, con quel prematurata, di farsi scoprire dal Maresciallo che ora aveva assunto un colorito rosso molto simile a quello che aveva avuto il Perozzi poco tempo prima.
“Posso farle una domanda Maresciallo?” disse allora l’avvocato.
“Purchè sia una domanda chiara!” fece il Maresciallo furioso.
“Conosco molti uomini di legge e solitamente sono propensi a lasciar perdere faccende di burle come queste. Potrei chiederle come mai lei insiste?”
Il Maresciallo inspirò e respirò affondo. Infine disse: “Perché un brutto tiro, questi qui, lo hanno giocato senza saperlo anche a me!”
 
Continua…

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Capitolo 3
*** Ritorno a casa ***


“L’avevo immaginato.” Pensò il Perozzi. Ma si guardò bene dal dirlo.
Il Maresciallo aveva le narici dilatate e gli occhi furiosi.
“Ebbene.” Disse l’avvocato Antani dopo alcuni minuti di pausa “descriva pure la burla da lei subita.”
“Non l’hanno fatta a me direttamente, ma alla buonanima di mio padre. Pover uomo, non si è mai dato pace. Un giorno i quattro bricconi ch’erano andati a un cimitero a portare dei fiori a un parente loro l’hanno visto mentre stava, come sempre, a far visita alla tomba della mamma e hanno deciso di fargli credere che tutti e quattro erano stati amanti di quest’ultima. E mio padre c’è cascato. Anche se non era vero, ovviamente. È un miracolo se ho ancora qualche ricordo della mamma perché voleva buttare via tutto.”
Seguì un lunghissimo silenzio.
Il Perozzi dovette riconoscere che raccontata la burla non risultava più tanto divertente. E dire che s’erano divertiti molto a giocare quel tiro a quel vecchio.
Il Perozzi osservò l’avvocato Antani e notò che aveva stretto i pugni.
Non capì il perché di quel gesto: era forse arrabbiato anche lui? O era solo preoccupato perché non aveva elementi per difenderli?
“Una burla estremamente crudele, non v’è dubbio.” Fece l’avvocato “E tuttavia, credo che se è vendetta che cercava, vendetta ha già avuto. I miei clienti, prima d’oggi, non erano mai finiti in galera. Direi che la paura se la son presa.”
“Forse sì. Ma torneranno alla prossima idea.”
“Non se lei intima loro di non ripresentarsi mai più, e se effettivamente ricapitasse, potrebbe stavolta arrestarli ufficialmente con tanto di processo e condanna.”
“Suona tanto come un accordo da stretta di mano più che un accordo di legge.” Protestò il Maresciallo.
“Se non sbaglio tra le burle combinate in questa zona ce n’è una in cui c’è stato ampio uso del clacson della loro macchina, giusto?” domandò l’avvocato Antani.
Il Perozzi sobbalzò. L’avvocato non aveva letto i fascicoli, come faceva a sapere della burla dei clacson?
Altro colpo di genio del Mascetti: aveva convinto, spacciandosi per un biologo, che per cacciare via i cinghiali dal proprio campo, un contadino avrebbe dovuto suonare da mezzanotte, fino alle sei del mattino, il clacson della sua macchina al centro della piazza del paese.
E ovviamente, per aumentare la credibilità della bugia, il Mascetti e gli altri avevano clacsonato insieme a lui. Per tutta la notte.
Qualcuno si era unito a loro, ma la maggior parte dei paesani avevano minacciato di distruggere le auto.
La cosa che aveva reso la burla veramente speciale era il fatto che durante la notte i cinghiali avevano fatto man bassa del campo lasciato incustodito.
Dopo ciò, gli amici avevano concordato di non presentarsi per un po’ al paese.
“Sì è vero. Disturbo della quiete pubblica.”
“Allora,” proseguì l’avvocato “che ne dice intanto di far pagare almeno per quella burla una bella multa da novecento mila lire?”
Il Perozzi sobbalzò.
Novecento mila lire non erano uno scherzo! Per lui erano quasi due stipendi se non di più! E il Mascetti come avrebbe fatto a pagare?
Il Maresciallo però, sentendo la cifra, spalancò gli occhi e si lasciò sfuggire un mezzo sorriso.
“Novecento a testa!”
“Novecento per tutti e cinque.”
“Novecento a testa!”  ribadì il Maresciallo.
“Novecento per tutti e cinque. Ognuno darà qualcosa.” Ribadì Antani.
Seguì un silenzio durante il quale i due si fissarono negli occhi.
Il Perozzi si domandò se veramente vedeva gli occhi dell’avvocato sotto quelle lenti.
“Novecento per tutti e cinque e la solenne promessa che mai più verranno qui a farsi burle degli abitanti. Altrimenti galera.”
Forse dopotutto un po’ di spirito toscano a quello stronzo di Maresciallo era rimasto.
“Va bene.” Disse Antani.
I due si strinsero la mano.
“Appuntato, riporti il signore in cella.”
“Non ha diritto a trattenerli!”
“Avvocato, lo lasci andare a parlare con gli amici e vediamo se intanto hanno i soldi.”
Il Perozzi fu così riportato in cella dove trovò i quattro amici ancora tesi e sconsolati. Quando lo videro arrivare lo osservarono con uno sguardo sorpreso: come mai ci aveva messo così tanto lui?
Appena l’appuntato li lasciò soli, lo circondarono.
“Allora?”
“Che ti hanno fatto?”
“Perché c’hai messo tanto?”
“Che t’hanno detto?”
Il Perozzi, che non aveva minimamente perso la calma si sedette e in dieci minuti raccontò tutto: le minacce, l’arrivo di questo misterioso “Antani”, le sue incredibili supercazzole e infine l’accordo strappato al Maresciallo.
“Mi sa tanto di sostanziosa mazzetta camuffata da multa.” Fece il Sassaroli a racconto conlcuso mentre tirava fuori il libretto degli assegni (non girava mai senza). “Ma se ci darà la libertà, questo e altro.”
“Oh, appena ho la mia parte la porto eh!” esclamò subito il Mascetti.
“Io l’ho il pagamento domani, faccio un bonifico lunedì dopo aver portato Birillo a spasso.” Disse il Melandri.
“Ma quanti sono a testa?” domandò il Necchi.
“Ah non so, ma ora voglio solo esser fuori da qui. Mi sento stanco.” Fece il Perozzi “Se siete d’accordo, tornerei a Firenze e rispetterei il patto.”
“Ma che vuoi darla vinta a quello stronzo!?” chiese il Necchi.
“Per oggi e per un bel po, sì.” Disse con fermezza il Perozzi.
E poiché lo spavento era stato forte per tutti, tutti furono abbastanza d’accordo.
A volte anche gli zingari hanno bisogno di confini.
 
Pagata la multa, dovettero firmare un foglio tutti e cinque.
Mentre scrivevano i loro nomi, sentirono una rumorata di sgommata sull’asfalto.
“L’avvocato Antani mi ha detto di portarvi i suoi saluti.” Disse il Maresciallo.
Pausa.
“Se n’è andato?” domandò il Perozzi.
“Sì. Quella sgommata era la sua. Se avete finito, andate a prendere la macchina e sparite. A mai più rivederci.”
Nessuno dei cinque ebbe la forza di replicare.
Uscirono, presero l’auto e partirono.
“Ma Perozzi” il Mascetti fu il primo a rompere il silenzio “sei sicuro che si è trattato di supercazzole vere e non di semplice linguaggio burocratico?”
“L’era un maestro vero! Te lo dico io! L’azzeccagarbugli della supercazzola in persona!”
“Ah beh, chissà chi era allora. Mannaggia a non averci potuto parlare! Chissà perché l’è scappato via così!”
“Già… sarebbe stato bello conoscerlo e parlarci…. Ma forse, questi sono i buon samaritani veri: ti danno una mano e poi spariscono.”
“Una mano che costa novecento mila lire.” Borbottò il Sassaroli.
“Meglio quelli che il bar.” Disse il Necchi.
“Magari un giorno l’arritroviamo, è uno che sicuramente fa burle in giro, lo becchiamo!” fece il Melandri.
“Forse. Chissà… Io penso più al miracolo…” disse il Perozzi.
Attraversando la provincia nella notte, gli amici non si parlarono più.
La tensione e quel salvataggio miracoloso avevano trasformato quella semplice zingarata in un’avventura quasi onirica.
Spaventosa e straordinaria allo stesso tempo.
La gioia dell’uscita di prigione era unita all’amarezza dell’accordo (ingiusto) e dall’impossibilità di sapere chi fosse il loro salvatore.
Arrivarono a Firenze alle prime luci dell’alba.
Il Perozzi riaccompagnò ciascun amico a casa sua, tranne il Sassaroli che lasciò alla stazione. Sapevano tutti che dopo quell’avventura sarebbe passato del tempo prima di rimettersi a fare zingarate. Ma di sicuro, almeno con Melandri e Mascietti, ci si sarebbe rivisti al bar del Necchi già in settimana.
Alle sei, finalmente, anche il Perozzi arrivò a casa.
Sapeva già che Luciano era da lui, ma si stupì di trovarlo al bagno a lavarsi.
“Ah! Lucianino! Sveglia presto!”
“Che sveglia, se sono stato sveglio tutta la notte ad aspettarti Babbo!! Ma dove eri finito?!” urlò suo figlio.
Il Perozzi sospirò.
“Sapessi Lucianino, è una lunga storia…”
“Beh non la voglio ascoltare! Mi metto a dormire che domani c’ho da lavorare, io! Buonanotte!”
“Se non la vuole ascoltare perché chiede?” pensò il Perozzi.
Suo figlio uscì dal bagno e il Perozzi vide chiaramente che aveva delle occhiaie enormi e scure.
Ansò in camera sbattendosi dietro la porta.
Il Perozzi sospirò di nuovo e andò anche lui in bagno. Era conciato male. Ormai le notti brave lo facevano somigliare a un morto quando arrivava il mattino.
Si sciacquò il viso cercando di non pensare al fatto che stava invecchiando.
Si asciugò, andò in cucina a preparare il caffè.
“Che strano, Lucianino non ha vuotato la moca.”
Mentre buttava la polvere del filtro, notò qualcosa nella pattumiera.
All’inizio non ci fece troppo caso, poi guardò meglio: sembrava un grosso gatto nero morto.
Allungò la mano e toccando sentì chiaramente che si trattava di peli, ma erano sintetici.
Tirò così fuori la massa e….
“Oh…. Mio…. Dio….”
E vide che si trattava di una grossa barba nera finta, di quelle che si usavano a carnevale o a teatro, appallottolata attorno a un grosso paio di occhiali orribili, con le lenti a fondo di bottiglia leggermente scure, dove probabilmente era stato attaccato un tempo un naso finto strappato di netto.
Il Perozzi fece una prova: indossò gli occhiali e resse con le mani la barba sulla sua faccia.
E poiché portava ancora il cappello vide chiaramente nello specchio apparire l’avvocato Antani, solo più vecchio.
 
Tutto tornava, tutto quanto:  la conoscenza della burla del clacson (l’aveva raccontata a Luciano che l’aveva subito accusato di essere “un imbecille”), quella strana reazione al racconto della burla del vedovo, le occhiaie, l’andarsene via in gran corsa senza salutare…
In piedi, davanti alla stanza del suo figliolo, il Perozzi si rendeva conto che l’unica cosa che non sapeva era come aveva fatto Luciano a sapere dove trovarli e in quali guai fossero.
E si rendeva conto, con molta amarezza, che non lo avrebbe mai saputo.
No.
Anche perché se avesse voluto fargli sapere qualcosa, di sicuro non avrebbe buttato via gli strumenti della burla.
E non sarebbe stato tanto scostante con lui.
Di sicuro, si era dimostrato all’altezza di suo padre e in modo del tutto inaspettato.
Ma la cosa doveva rimanere un segreto.
Non dirlo a nessuno, nemmeno agli amici. Il Perozzi ne era sicuro. Né avrebbe mai rivelato a suo figlio di averlo scoperto.
Quel misterioso azzeccagarbugli della supercazzola, di cognome Antani e di nome sconosciuto, sarebbe rimasto una leggenda.
Il Perozzi entrò nella camera di Luciano. Dormiva. Evidentemente era crollato.
Si avvicinò al letto. Si chinò e gli diede un bacio sulla fronte. Proprio come gli era capitato di fare quando era più piccolo.
“Buonanotte Lucianino.” Sussurrò il Perozzi. E uscì dalla stanza sorridendo.
 
FINE

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