La luna rossa

di Herm_periwinkle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 - Moma ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 -la spiaggia ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 - Al completo ***
Capitolo 4: *** Cap. 4 -Il falò ***
Capitolo 5: *** Cap. 5 - Partenza ***
Capitolo 6: *** Cap. 6- Ricordi ***
Capitolo 7: *** Cap. 7 - Malattia ***
Capitolo 8: *** Cap.8 - La palude ***
Capitolo 9: *** Cap. 9 - Dubbi ***
Capitolo 10: *** Cap. 10 - I fichi ***
Capitolo 11: *** Cap. 11 -Amicizia? ***
Capitolo 12: *** Cap. 12- Qualcosa è cambiato ***
Capitolo 13: *** Cap. 13- Il segreto dei draghi danzanti ***
Capitolo 14: *** Cap. 14 -Il dolore della consapevolezza ***
Capitolo 15: *** Cap. 15 - Il tormento dell'inconsapevolezza ***
Capitolo 16: *** Cap. 16 -La luna rossa ***



Capitolo 1
*** Cap. 1 - Moma ***


“Sokka!” urlò Katara correndo incontro al fratello, che la abbracciò di slancio “Mi sei mancato tantissimo!”

“Anche tu, sorellina” le disse lui, stringendola forte. “Non sapevo che sareste arrivati così presto, altrimenti vi avrei preparato un’accoglienza migliore. Non vedo l’ora di farvi conoscere Moma!”

Aang saltò giù da Appa con estrema leggerezza, unendosi all’abbraccio dei due fratelli. “Oh, non riesco a credere che tu l’abbia chiamata davvero così!”

“Beh, mi sembrava l’unica cosa da fare, dato che Momo te lo sei portato via tu. Lo sai che mi hai spezzato il cuore!” disse Sokka con fare melodrammatico, fiondandosi ad accarezzare il piccolo lemure volante che spuntava da dietro la testa di Aang. “Oh, come mi sei mancato amico mio!”

“Mi stai dicendo che l’hai davvero chiamata Moma?” chiese Katara piuttosto perplessa. “Non posso credere che Suki te l’abbia permesso”.

“E infatti non è quello il suo nome” disse Suki, apparendo all’improvviso e dando uno scappellotto affettuoso a Sokka “Si chiama Momoka, è solo tuo fratello che continua ad abbreviare il nome.” Fece un larghissimo sospiro “Non sono riuscita a fare di meglio, non ho mai visto Sokka impuntarsi tanto per qualcosa.”

Katara rise di gusto, suo fratello era incorreggibile “Allora, che cosa aspettate a farmi vedere mia nipote?”

Entrarono nella casa in cui Sokka e Suki vivevano da quando la guerra era finita. Si erano stabiliti nell’isola di Kioshi, così che Suki potesse rimanere a capo delle guerriere, mentre Sokka aveva aperto una scuola dell’Arte della Spada, che in pochi anni era diventata celebre in tutto il paese, accogliendo studenti di tutte le nazioni. Era una bella casa, ampia e accogliente, con un delizioso giardinetto sul retro.

“Ma è bellissima” sussurrò Katara non appena vide la sua nipotina. Aveva gli stessi occhi blu del fratello, ma il colore dei capelli e la forma del viso erano quelli di Suki. Sentì le lacrime farle capolino e bagnarle le guance. “Ciao piccolina” le disse, solleticandole delicatamente le manine cicciotte.

“Vuoi prenderla in braccio?” le chiese Suki, notando la dolcezza con cui lo sguardo di Katara si posava su quel piccolo corpicino. Prese Momoka dalla culla e lasciò che Katara la prendesse.

“Non riesco a credere che tu sia diventato padre. Oh, sarete due genitori meravigliosi”. Suki sorrise vedendo la commozione della sua amica. Era davvero felice di averla di nuovo al suo fianco. “Quanto vi fermerete?”

“Una settimanella, poi dobbiamo riprendere i nostri giri. È davvero difficile risolvere tutte le beghe che si vengono a creare e tentare di ricostruire una comunità di monaci si sta rivelando un’impresa titanica” sospirò “A volte mi chiedo chi me l’abbia fatto fare”

“Questo è il duro lavoro di chi ha salvato il mondo” disse Sokka, annuendo, cercando di rimanere serio mentre solleticava i piedi a sua figlia. “Ah, sei proprio fortunata sai sorellina. Ogni tanto mi piacerebbe tornare a fare tutti i nostri viaggi sull’Appa line”.

“Ma se non fai altro che stare a giocare con Momoka! Hai perfino bocciato la mia idea di andare un fine settimana al lago!” commentò Suki ridendo.

“Beh, mi pare ovvio. Dove lasceresti la bambina se no?”

“Te l’ho detto, potremmo lasciarla ai miei genitori.”

“Non se ne parla! Nessuno mi toglierà mai la mia dolce Moma.” Se la riprese in braccio e cominciò a farle piccole pernacchiette sulla pancia, facendo ridere di gusto la bambina.

“Vuoi prenderla anche tu Aang?”

“No no, vi ringrazio” rispose lui ridendo “Non ci so molto fare con i bambini.”

“Dai, andiamo a cena, ho preparato moltissime cose da mangiare.”

“Devi proprio assaggiare le prugne di mare, Suki ha imparato benissimo a farle. Mi fa sentire ancora come se stessi al polo sud.” Commentò Sokka, schioccando un sonoro bacio sulla guancia della moglie.

La tavola era riccamente apparecchiata, con specialità di tutte e quattro le nazioni. In una ciotola c’erano i fiocchi di fuoco, che Sokka adorava, in un’altra le prugne di mare, la salsa di rana, gli spaghetti alle alghe, verdure grigliate, carne di anatra-tartaruga e una deliziosa torta panna, specialità dei monaci dell’aria, fatta appositamente per Aang, che la notò subito.

“Suki, sei proprio la migliore!”

I quattro amici si avventarono sul cibo, riempendosi le pance fino a scoppiare. “Mi dispiace che Toph e Zuko non siano qui, sarebbe stato bello fare una rimpatriata del Team Avatar” commentò Aang, mentre si grattava stancamente la pancia gonfia per il cibo trangugiato.

Suki e Sokka si lanciarono un’occhiata complice “Già, sarebbe proprio bello.”

“Comunque, a dispetto del fatto che avete una figlia così piccola vi vedo proprio bene. Siete raggianti” commentò Katara, abbracciandoli con uno sguardo pieno di affetto.

Era vero, erano proprio raggianti. Sokka aveva acquisito un’aria molto più matura e consapevole ed erano commoventi gli sguardi amorevoli che dedicava alla figlia. Suki, nonostante la gravidanza, aveva ancora un fisico perfettamente allenato, ma aveva una nuova rotondità che le conferiva una femminilità estremamente affascinante, forse dovuta proprio alla sua maternità.

“Vi abbiamo preparato la camera degli ospiti, spero che riusciate a stare comodi.”

Era una stanza di medie dimensioni con un letto matrimoniale al centro. Non era particolarmente arredata, ma sulle pareti aveva una serie di foto del Team Avatar, sia al completo che non. Katara sentì il cuore riempirsi di nostalgia. Era da tantissimo tempo che non si vedevano tutti insieme, dal matrimonio di Sokka e Suki, che era avvenuto pochi mesi dopo la fine della guerra.

“Grazie davvero per l’ospitalità” disse commossa abbracciando il fratello “Non hai idea di quanto io sia felice di stare qui con voi e con la piccola Momoka”.

“Anche io sono contento sorellina.” Le diede un delicato bacio sulla fronte “Domani sarà una grande giornata, tenetevi in forze. La piccola Moma finalmente giocherà con Momo!” disse Sokka ridendo, lasciando Aang e Katara soli nella stanza.

Si misero a letto, osservando la luna che faceva capolino da dietro la finestra. “Sono davvero una bella famiglia” commentò Katara guardando il cielo.

“Già, e Moma è davvero carina. Secondo me ha il tuo naso sai?” disse Aang abbracciandola.

“Tu dici? A me sembra avere il viso di Suki”

“Sì, ma il naso è il tuo”

Katara sospirò. Si girò verso Aang e gli passò una mano sulla testa liscia. Il tatuaggio sembrava quasi brillare illuminato dalla luce della luna. Posò un bacio delicato sulle sue labbra. “Mi piacerebbe tanto avere un figlio da te, Aang.”

Aang la guardò imbarazzato. Era così bella, stretta attorno a lui. Crescendo Katara era diventata di giorno in giorno più affascinante, con quegli occhi blu che scrutavano fino in fondo all'anima e un sorriso da capogiro. Ma non poteva cedere a quella richiesta, per quanto capisse che lei lo desiderasse. “Sai bene che non è il momento, ne abbiamo già parlato.”

Il viso di Katara si rannuvolò e si girò dall’altro lato. Sapeva che non glielo avrebbe dovuto chiedere, ma non era riuscita a tenere a freno la lingua, come al suo solito. Aang la abbracciò e rimasero in silenzio fino a che non si addormentarono.

 Dopo il rewatch di Avatar uscito su Netflix mi è sembrato d'obbligo
scrivere una fic sul mio adorabile team Avatar. 
Spero vivamente che la storia vi possa piacere,
è un modo come un altro per non abbandonare la mia serie preferita e dargli un continuo,
magari cambiando qualche dettaglio e facendola finire come avrei voluto
finisse fin dall'inizio (chi vuol intendere intenda ahahah).
Fatemi sapere che ne pensate, qualsiasi parere è ben accetto! <3

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Capitolo 2
*** Cap. 2 -la spiaggia ***


Katara si svegliò al sorgere del sole. Aang stava ancora dormendo, perciò uscì dalla stanza senza fare rumore. Nella casa regnava il silenzio e Katara si diresse verso la cucina, dove preparò la colazione per sé e per gli altri per quando si sarebbero svegliati. Dopo aver mangiato, prese una tazza di tè caldo e si diresse in veranda, dove si accomodò su una sedia di paglia.

Soffiò sul tè ai fiori di loto, per farlo raffreddare, poi portò lentamente la tazza alle labbra. Fuori l’aria era ancora abbastanza fredda e piccole gocce di rugiada brillavano come diamanti sul prato di fronte a lei. Si sentiva in paradiso, finalmente a casa. Negli ultimi anni non aveva fatto altro che viaggiare, seguendo Aang nelle quattro nazioni, e non aveva mai avuto una casa in cui tornare. Erano abituati a soggiornare in giro per il mondo, ed ovunque andassero ricevevano una calorosissima accoglienza e un alloggio quasi principesco, ma Katara era consapevole che nessuno dei quei posti era realmente casa loro. La casa di suoi fratello, nonostante la semplicità, trasudava amore e Katara sentiva in parte di appartenere a quel luogo, forse anche solamente per il legame che la legava indissolubilmente a lui. Si chiese quando sarebbe giunto anche per lei il momento di mettere radici.

“A che pensi?” le chiese una voce alle sue spalle.

Katara si girò, sorridendo. “A nulla di importante. Semplicemente qui mi sento a casa.”

Aang si sedette accanto a lei, posandole un braccio attorno alla spalla e stringendola a sé. Katara si raggomitolò in quell’abbraccio. Aang era cresciuto molto fisicamente in quegli ultimi anni. Era diventato più alto di lei ed aveva messo su un po’ di massa muscolare grazie ai continui allenamenti nei quattro domini. Lei, invece, era rimasta la stessa, l’unica cosa che era cambiata era la sua acconciatura. Soleva, infatti, tenere i capelli legati in due trecce, raccolte attorno alla testa, che riteneva le dessero un’aria un po’ più matura.

“Che dici, ti va di andare in spiaggia? Come ai vecchi tempi.”

Katara non ci pensò due volte e accettò subito l’offerta. Si infilarono in tutta fretta i costumi e corsero fino alla spiaggia, poco distante dalla casa di Sokka e Suki. Si buttarono in acqua e cominciarono a schizzarsi a vicenda, ridendo come matti. A Katara sembrò per un attimo di essere una semplice ragazza, non più la fidanzata dell’Avatar ed eroina delle quattro nazioni. Si sentiva normale. Creò attorno a sé otto tentacoli d’acqua, con i quali cercava di far sbilanciare Aang, che surfava su una tavola di ghiaccio. A sua volta il ragazzo le diresse incontro delle onde altissime, per farle perdere l’equilibrio e buttarla in mare. Il primo che cadeva avrebbe perso.

Lei lo inseguì, rapida e leggiadra, e alla fine Aang capitombolò in acqua, facendo schizzi altissimi. Katara rise di gusto. “Sei fortunata che ho usato solo il dominio dell’acqua!” esclamò Aang riemergendo e sputacchiando acqua salata.

“Ti avrei battuto comunque mio caro” lo prese in giro lei, mentre tornavano a riva. Aang prese la rincorsa e la buttò in acqua prendendola alle spalle. “Così non vale!” esclamò Katara appena riemerse, spingendolo a sua volta sott’acqua. Continuarono a giocare così, finché Aang non se la caricò in spalla come un sacco di patate e, nonostante Katara scalciasse, la trascinò fuori dall’acqua.

“Ehi, voi due, avete finito di fare i piccioncini?” disse una voce, che Katara non sentiva da tanto tempo, ma che era inconfondibile. Saltò giù dalle braccia di Aang e corse subito incontro alla nuova venuta.

“Toph!” la abbracciò di slancio e anche l’amica rispose all’abbraccio, stritolandola.

“Ma lo sai che un po’ mi sei mancata mammina? È strano non avere più una rompina che ti dice cosa non devi fare tra i piedi.”

“Tu mi sei mancata da morire, testa dura. Che cosa ci fai qui?”

“Sokka mi ha chiamata a rapporto e mi son detta che i miei allievi sarebbero riusciti a sopravvivere qualche giorno senza di me. Mi sono finalmente presa una vacanza!”

Poi si diresse verso Aang, dandogli una pacca sulla schiena talmente forte da fargli fare un paio di passi in avanti “Piedi rapidi, quanto tempo che non ci si vede! Certo che un salto lo potevi anche fare alla mia scuola, non è che ti sei dimenticato della tua vecchia maestra?”

“E come potrei?” le rispose, poggiandole il gomito sulla testa “Anche se devo dire che qui siamo rimasti un po’ piccolini eh? Ti ricordavo più possente”. Non fece in tempo a dire queste parole che Toph aprì un buco nel terreno di una trentina di centimetri, così che la testa del ragazzo si trovasse un po’ più in basso della propria. “Stavi dicendo?” gli chiese, con un sorriso insolente sul volto “Scusa, non ti sento da quassù.”

“Aang, ti sei fatto proprio mettere nel sacco!” disse Sokka ridendo talmente tanto da doversi tenere la pancia con le mani. Era appena arrivato insieme a Suki, che teneva la bambina in braccio. “E tu Toph sei sempre la solita, mi chiedo come faccia a sopportarti il povero Lin.”

“Lin, chi è Lin?” chiesero subito Aang e Katara sgranando gli occhi. “Ma non sarà mica...” si guardarono con aria complice per poi bisbigliarle “…il tuo ragazzo!”

“Sokka, tu e quella tua linguaccia! No, Lin è solo un amico, mi aiuta a gestire la mia scuola.”

“Sarà, ma sei diventata tutta rossa” commentò con non chalance Sokka e non soddisfatto continuò “E poi l’ultima volta che ci siamo visti mi eravate sembrati, come dire, intimi… Bisogna ammettere inoltre che è proprio un bel ragazzo.”

“Non c’è assolutamente nulla tra me e Lin! E poi ti ricordo che sono cieca, non posso dire se una persona è bella o no!” esclamò Toph, avvampando ancora di più. Ormai aveva il volto in fiamme e sembrava piuttosto evidente che la verità fosse un'altra. Risero tutti di gusto, prendendola un po’ in giro.

Katara guardò quella scena e si sentì estremamente felice. Era bello essere di nuovo tutti insieme. Le dispiacque solo un po’ che non fosse con loro anche Zuko, a scherzare proprio come ai vecchi tempi sull’isola di Amber.

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Capitolo 3
*** Cap. 3 - Al completo ***


Passarono l’intera mattinata sulla spiaggia, rilassandosi e prendendo il sole. Era bello poter stare dopo tanto tempo finalmente lontani dai problemi e da tutte le dispute che ogni volta Aang doveva risolvere. Suki e Sokka furono i primi a tornare a casa, per evitare che Momoka prendesse troppo sole e si scottasse.

“Allora, chi è questo Lin a cui ha accennato mio fratello prima?” chiese Katara a Toph, mentre Aang stava in acqua alla ricerca di un pesce volante da poter cavalcare.

Toph avvampò nuovamente “Nessuno, solo un amico.”

Katara la guardò di sottecchi da sotto il cappello di paglia “Sai che non sei affatto brava a mentire?” le disse ridendo.

Toph sbuffò sonoramente “Uff, ok, forse è un po’ di più di un amico.”

“Ne ero sicura! Come vi siete conosciuti?”

“Se racconti qualcosa ad Aang o a Sokka giuro che non ti parlo mai più.”

“Prometto” disse Katara, che non resisteva più dalla curiosità. Non riusciva a credere che qualcuno fosse davvero riuscito a sciogliere il cuore di Toph ed era felicissima per l’amica.

“È stato uno dei primi ad iscriversi alla scuola che ho fondato. E devo ammettere che fin dall’inizio aveva ben poco da imparare, era anche lui un maestro del dominio. Infatti mi chiedevo perché si ostinasse a seguire le mie lezioni, ha imparato il dominio del metallo molto presto. Poi, non molto tempo fa, mi ha detto che era rimasto lì tutto quel tempo solo per stare con me…” mentre raccontava la sua storia il volto di Toph diventava sempre più rosso “… e io non sapevo cosa dire e gli ho detto grazie. Non ne abbiamo più parlato.” Si prese il viso tra le mani, scuotendo la testa “Sono proprio una frana.”

Katara sorrise e pose un braccio attorno alle spalle dell’amica. Sembrava quasi piccola e indifesa a vederla così. “Non ti preoccupare, risolverai tutto in un battibaleno. Appena torni a casa ti basterà dirgli che anche tu provi le stesse cose.”

“Fosse davvero così facile! Ci ho provato ma non mi escono le parole.”

La loro conversazione fu interrotta da Aang, che tornò ricoperto di una miriade di alghe appiccicose e irritanti. In diversi punti del corpo la pelle si era già iniziata a ricoprire di bolle e le dimensioni della sua testa sembravano essersi raddoppiate per il gonfiore.

“Prude tantissimo!” gridò correndo verso di loro e buttandosi nella sabbia. “Ti prego Katara fallo passareee.”

Katara rise e in pochi secondi lo liberò dalle alghe e dal gonfiore. “Certo che fa proprio comodo avere una fidanzata curatrice.” Commentò Toph, che aveva passato tutti gli ultimi minuti a prenderlo impietosamente in giro “Sei proprio uno scarsone piedi rapidi ti sei fatto battere da delle alghe.”

Toph ed Aang cominciarono a battibeccare e continuarono così fino a casa. Katara cercò a stento di rimanere seria per tutto il tragitto, ma non riuscì a non farsi sfuggire qualche risolino.

Un buonissimo odore di tè proveniva dall’interno della casa. “Siamo tornati” annunciò, togliendosi la sabbia dai piedi prima di entrare, seguita da Aang e Toph.

“Io mi prenoto la fetta di torta che ieri è avanzata!” disse Aang correndo in cucina.

“No, non ci posso credere!” lo sentì esclamare Katara dall’altra stanza “Ma allora siamo proprio tutti! Katara vieni qui!”

Katara e Toph lo raggiunse subito in cucina. “Volete una tazza di tè?” chiese loro Zuko.

“Tutto questo tempo che non ci vediamo e mi chiedi se voglio il tè? Dammi un abbraccio piuttosto!” gli disse Toph, dandogli un forte pugno sulla spalla, che gli fece versare qualche goccia di tè in terra.

“Ma allora siamo proprio al completo” disse Katara felice. Il team avatar si era finalmente riunito dopo tanto tempo. Non poteva desiderare niente di più.

“Proprio così” esclamò Suki raggiungendoli “Che dite, vi è piaciuta la sorpresa?”

Katara annuì con slancio “Non ci posso ancora credere.”

“E tenetevi pronti… stasera abbiamo un’altra sorpresa per voi.”

“Quale?” chiesero tutti, terribilmente curiosi. Ma il perfido Sokka si limitò a fare un sorrisino e a dire “Ho la bocca cucita. Aspettate qualche ora e lo scoprirete.”

A nulla servirono le proteste di Aang e di Katara, decisamente i più curiosi del gruppo, né Sokka né Suki erano intenzionati a rivelare alcunché.

Zuko distribuì il tè a tutti loro. “Certo, non sarà buono come quello di zio Iroh, ma spero vi piaccia. È una nuova ricetta che ha inventato lui.”

Katara portò alle labbra la tazza bollente e lo assaggiò con piccoli sorsi. Subito sentì un turbinio di fragranze che le esplodevano in bocca, fruttate e delicate, ma con un retrogusto piccate che ogni tanto dava una scarica di sapore. “Ma è buonissimo” commentò estasiata. Zuko le sorrise per ringraziarla, mentre sorseggiava il suo “Purtroppo ho ancora molto da imparare, ma sono felice che apprezziate.”

Katara notò che c’era qualcosa di nuovo in Zuko, una luce che prima non aveva. Non sapeva ancora bene cosa, ma sembrava una persona diversa dal ragazzo al fianco al quale aveva combattuto o dal sovrano che in diverse occasioni era andata a trovare insieme ad Aang. Sembrava molto più sereno, come se tutti i suoi tormenti si fossero sciolti e avesse finalmente trovato il suo equilibrio.

“Dopo pranzo dovete andare tutti a riposare” disse Sokka, interrompendo i pensieri di Katara “Vi voglio carichissimi per questa sera!”

 

 

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Capitolo 4
*** Cap. 4 -Il falò ***


“Come sto?” chiese Katara facendo una giravolta su se stessa. Indossava un vestito leggero di un azzurro talmente pallido da sembrare quasi bianco, che si sollevava attorno al suo corpo avvolgendola come in una nuvola. Negli ultimi anni, in viaggio da un luogo ad un altro, si era abituata ad indossare solo vestiti sportivi e non ricordava quasi più che sensazione facesse indossare un bel vestito. “Ti sta benissimo” le rispose Aang, colpito da tanta bellezza.
Andarono in salotto, dove c’erano tutti gli altri. “Lasciate pure le scarpe qui!” esclamò Sokka, che non riusciva a celare tutta la sua emozione “Non credo proprio che vi serviranno.”
Uscirono tutti a piedi scalzi, accelerando il passo nel tentativo di stare dietro a Sokka che, nonostante portasse con se due enormi cestini, procedeva molto più velocemente di loro. “Forza vecchietti, muovete quelle chiappe!” esclamò, senza dar alcun cenno di voler rallentare.
“Non ci posso credere!” esclamò Toph, prima ancora di arrivare in spiaggia “Voi due siete due matti, ma come vi è venuta un’idea simile?” chiese ridendo “Il signore del…” ma Suki riuscì a tapparle la bocca prima che riuscisse a finire la frase.
“Toph, non vale se sbirci con i piedi!”
“Ma non sto sbirciando, dovevate metterlo in acqua se volevate che non lo vedessi per prima.”
Presto, però, non si pose più il problema e davanti si stagliò l’imponente figura di un manichino, con indossa una tunica bruciacchiata in diversi punti, che al posto del volto aveva un cocomero, intagliato con un ghigno malefico.
“Il signore delle angurie!” esclamarono tutti, sorpresi di ritrovare su quella spiaggia il fantoccio con cui tanti anni prima si erano allenati.
“Zuko, tu che puoi accendi un falò. Questa sera abbiamo deciso che è la festa in suo onore!”
“Se non ricordo male però il signore delle angurie era qualcuno di ben specifico… chissà se riesco a farmi venire in mente chi fosse… accidenti proprio non ricordo” commentò Toph, fingendo di avere un nome sulla punta della lingua “Ah sì, ma ero io! Grazie Sokka, non serviva una festa in mio onore, lo so che sono sempre nei tuoi pensieri.”
Risero tutti, mentre Zuko con rapidità preparava un falò scoppiettante. Si sedettero attorno al fuoco mangiando qualcosa e bevendo un po’ di sake. Momoka presto si addormentò, mentre gli adulti erano sempre più vivaci nel rievocare le loro vecchie avventure. Di goccio in goccio l’alcool cominciò a circolare nei loro corpi e la situazione divenne ancora più esilarante.
“Che ne dite, vi va di giocare ai mimi?” chiese Aang, cercando di trattenere la serie di singhiozzi che gli scappavano dalle labbra. Accettarono tutti di buon grado e si divisero in due squadre, maschi contro femmine.
Per primo cominciò Sokka, che si mise a quattro zampe, facendo finta di leccare quello che aveva attorno.
“Sei un lama?” provò a indovinare Aang, un po’ perplesso. Sokka scosse con forza la testa, non riuscendo a capire come quei due zucconi potessero non indovinare un’imitazione così elementare. Dal canto loro Katara e Suki se la ridevano di gusto, avendo capito fin dal primo istante dove Sokka volesse arrivare a parare.
Sokka allora cominciò a fare delle specie di salti, stendendo le braccia e le gambe mentre era sollevato in aria.
“Ci sono, ci sono! Sei un coniglio!”
“Una lepre!”
“Un ippopotamo-camaleonte”
Continuarono a sparare nomi di animali a caso, finché Sokka, con il fiatone e la fronte imperlata dal sudore per lo sforzo appena compiuto, a pancia piena per giunta!, non si arrese. “Ero Appa” disse, buttandosi sconfitto sulla sabbia “Ma quanto siete scarsi per non indovinarlo!”
Andarono avanti a giocare per un bel po’, sentendosi di nuovo ragazzini e continuando a bere come se non ci fosse un domani. Perfino Katara, la mamma del gruppo, non aveva niente da ridire e si lasciava andare a quell’ebbrezza.
Quando ormai tutti biascicavano e non si reggevano più sulle proprie gambe, Sokka tirò fuori un’ultima sorpresa: un ukulele.
“E da quando suoni?” biascicò Katara, che si era persa questa passione del fratello.
“Più che suonare direi strimpellare” disse Suki ridendo “Ora sentirai.”
Sokka si schiarì la gola e si sedette su un tronco d’albero con fare cerimonioso, proprio sotto al fantoccio del signore delle angurie, ormai senza testa, che era finita dritta dritta nella pancia di Appa. Con aria solenne sfiorò le corde dell’ukulele per controllare che fosse accordato, poi cominciò a suonare. Zuko riconobbe la canzone fin dal primo accordo e cominciò subito a cantarla insieme a Sokka “It’s a long long way to ba sing se…”
Era difficile dire chi fosse più stonato tra i due, ma a nessuno importava molto e ben presto tutti si unirono al coro, alcuni inventando parole, altri storpiandole, ma ridendo come matti. Katara ad un certo punto si mise a ballare, tirando con se Suki e Toph. Katara, mentre ballava, si sciolse i capelli e si sentì di nuovo una ragazzina, volteggiando libera da ogni pensiero. Cadde a terra, esausta, accanto a Zuko. Aveva il volto ricoperto di capelli e lui gliene tolse un paio dagli occhi. “Sei davvero bella stasera” si lasciò sfuggire, avvampando subito dopo. Anche Katara arrossì, ma fu estremamente felice del complimento spontaneo dell’amico, che mai, in tanti anni di amicizia, gliene aveva fatto uno. Era sicuramente colpa dell’alcool.
Il fuoco si era ormai spento e tutti quanti, con le gole ormai secche per il troppo cantare e la testa che gli girava, decisero di rimanere in spiaggia a dormire, un po’ per non far finire quella notte magica, un po’ perché in ogni caso non sarebbero riusciti ad arrivare a casa sulle loro gambe. Crollarono tutti in pochi secondi.
Sokka guardò con un sorriso i suoi amici addormentati. Era felice che la serata fosse andata bene e si fossero divertiti. Era felice della sua vita, ma gli mancavano un po’ le vecchie avventure. Alzò lo sguardo verso il cielo, in cui era incastonata una luna perfettamente sferica, che con la sua luce vegliava su tutti loro. Sussurrò un timido “Grazie” verso di lei, grato dal più profondo del cuore per ciò che aveva. Senza il suo sacrificio, se lei non si fosse tramutata in luna, tutto questo non sarebbe mai successo. Una lacrima gli solcò il volto e non seppe dire se fosse gioia o nostalgia o una miscela di entrambi i sentimenti.
 

 

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Capitolo 5
*** Cap. 5 - Partenza ***


“Cos’è questo rumore?” chiese Katara stropicciandosi gli occhi. Si sollevò un poco per cercare di capire da dove provenisse, ma una fitta lancinante alla testa la fece ricadere di peso sulla sabbia. Sentì lo stomaco rivoltarsi e dovette fare un enorme sforzo per non rimettere. Decisamente non aveva più l’età per simili nottate, si disse tra sé e sé. Aang, invece, era riuscito ad alzarsi, e stava slegando con aria assorta un messaggio legato alla zampa di un falco messaggero. Il cuore di Katara fece un tuffo per la preoccupazione, i falchi messaggeri raramente portavano buone notizie.
“Ci sono dei problemi nel regno della terra” rispose Aang sospirando “Pare che dei dominatori stiano abusando del loro potere e vessino il villaggio vicino di non-dominatori. Temo che la mia vacanza sia finita qui.” Aveva uno sguardo pieno di tristezza, ma non voleva costringere Katara a seguirlo, non anche questa volta. Era da tanto tempo che non la vedeva così serena. “Tu rimani qui con tuo fratello. Sono anni che non vi vedete, non mi perdonerei di separarti ancora da lui. Io tornerò presto.”
“Ma avevamo promesso che non ci saremmo mai separati” provò a dire Katara, nella speranza di trattenerlo. Sapeva di essere egoista, ma le sarebbe piaciuto che per una volta Aang pensasse anche a lei, alla sua famiglia e non solamente al mondo. “Siamo appena arrivati e avevamo detto che saremmo stati qui tutta la settimana.”
“Ed è per questo che tu manterrai la parola data a tuo fratello rimanendo qui. Io non ci metterò molto a risolvere questo problema, fidati di me.” Le posò un delicato bacio sulle labbra. “Mi mancherai, ma devo andare. Non posso voltare le spalle al mondo, non di nuovo”.
Katara lo abbracciò. “Non metterti nei guai, questa volta non ci sarò io a guarirti.” Lo strinse a sé più forte che poté, come se solo con un abbraccio potesse impedirgli di andar via. Nonostante desiderasse che rimanesse con lei sapeva di non poterlo trattenere, e lo amava anche per questo suo senso del dovere, che lo accompagnava sempre.
“Partirò subito, vado a svegliare gli altri e dirglielo. Chi sentirà Sokka, gli porto di nuovo via Momo.”
Katara rise, prima di ripetergli per l’ennesima volta le sue raccomandazioni: non mettersi nei guai, farsi aiutare, non infilarsi in combattimenti in cui era solo contro tutti e soprattutto di scriverle qualsiasi cosa accadesse tutti i giorni, così da poter essere certa che lui stesse bene. Aang sorrise nel vederla così preoccupata, era sempre la solita. Lo voleva proteggere a tutti i costi e a volte sembrava quasi non capire che ormi era diventato un uomo a tutti gli effetti e non era più il ragazzino trovato nell’iceberg.
 
Katara stava giocando con Momoka, quando Suki apparve sulla porta. “Non penso di essere stata così male da dopo i festeggiamenti per la sconfitta del signore del fuoco” disse Suki ridendo. “Ho lo stomaco sottosopra, eppure non mi era sembrato di aver bevuto così tanto.”
“Ti capisco. Non mi sono mai pentita tanto di qualcosa.”
“È sempre così?” le chiese all’improvviso.
“Cosa intendi?”
“La tua vita. Arriva un messaggio, Aang corre a risolvere il problema e tu con lui. Continue battaglie, sempre in movimento, mai un attimo di riposo.”
Katara sospirò. “Purtroppo sì. È il duro fardello di chi sta insieme all’Avatar presumo. Detto onestamente, a volte invidio la vostra quotidianità.”
“Non credere che per noi sia tutto rose e fiori. Fino a pochissimo tempo fa, io e Sokka eravamo sempre in movimento, non avevamo un minuto per noi. Lui era, ed è tutt’ora, impegnato con città della repubblica. Una città che ospiti dominatori di tutte le nazioni è difficile da governare, molto più di quanto avremmo potuto immaginare. Io continuo ad allenarmi con le guerriere Kyoshi e aiutiamo a mantenere l’ordine. Siamo ancora molto impegnati, ma cerchiamo sempre di ritagliarci qualche settimana l’anno per vivere una vita normale, senza il peso di essere quelli che hanno fatto parte del team che ha salvato il mondo.”
“Vorrei che fosse così anche per me. Sia chiaro, amo Aang ed amo la mia vita, ma a volte vorrei solo un po’ di tranquillità, una casa in cui tornare. Noi non riusciamo a prenderci una pausa, quando il mondo chiama, lui corre.”
“Che fate, mi escludete dalle chiacchiere tra donne?” chiese Toph entrando nella stanza “Sappiate che potrei offendermi.”
“Ma non stavi giocando con quei due bifolchi di mio marito e Zuko?”
“Sono degli scarsoni” rispose Toph buttandosi a terra “Si sono arresi al primo round, non c’è stata alcuna sfida. Ah e, tanto per la cronaca, tuo marito ancora sbarella per la bevuta di ieri sera. Quell’altro invece è tutta la mattina che rimette in giro per la spiaggia, dovreste vederli. Sono proprio una bella coppia.”
Suki scosse la testa, al pensiero di chi avrebbe dovuto mettere in ordine il disastro che quei due stavano combinando in cortile.
Uscirono fuori per controllare ed effettivamente le loro condizioni non erano molto diverse da quella che aveva descritto Toph. “Venite qui voi due” li richiamò Katara, pronta a risolvere la situazione e rimettere in sesto quei due derelitti.
“Sono solo fuori allenamento, sono anni che non bevo” disse Zuko cercando di recuperare un po’ di contegno, ormai inesorabilmente perduto.
“Non mi sembra una buona scusa” rispose Katare prendendolo in giro, mentre gli poneva le mani sullo stomaco, per fargli passare i terribili attacchi di nausea “Hai lasciato le tue tracce dalla spiaggia fino a qui.”
“E sappiamo benissimo che sarà proprio lui a ripulirle” urlò Suki, che stava arrivando con un secchio e degli stracci che gli lanciò addosso colpendolo in pieno.
“Sono ancora debole di stomaco, lasciami almeno il tempo di riprendermi!” provò a protestare lui, ma dopo aver visto l’occhiataccia che gli lanciò Suki si alzò subito in piedi “Scherzavo scherzavo, stavo proprio andando!”.
“Che signore del fuoco fifone!” lo canzonò Toph, mentre Zuko, mogio e profondamente disgustato, nonché imbarazzato, aveva appena cominciato a ripulire il suo disastro. Sokka, dal canto suo, stava cercando di entrare di soppiatto in casa, per non farsi beccare dalla moglie ed essere costretto a fare anche lui delle faccende di casa.
“Guarda che ti vedo sai. Non sperare di sfangartela così.”
“Dici a me per caso?” chiese con non-chalance, “Stavo giusto andando un attimo in casa… a prendere… ecco...”
“A prendere una scopa vero?”
“Mi hai proprio tolto le parole di bocca, dolce mogliettina! Proprio quella!”
Suki rise “Muoviti stupidone, Zuko ha bisogno di aiuto. Non credo abbia mai preso in mano uno straccio a giudicare da come lo sta osservando. Va bagnato con acqua e sapone prima di strofinarlo per terra, genio!”
“Ma non potrebbe farlo Katara? Lei con il dominio dell’acqua farebbe in un lampo!”
In risposta Katara lo colpì con un getto d’acqua, bagnandolo come un pulcino “Ops, mi deve essere sfuggita”. Toph, seduta sulla sua roccia, si stava sganasciando dalle risate “Oh, se ti vedessero i tuoi sudditi! Ci faresti proprio una bella figura!”
Zuko provò a tenere il muso, ma alla fine cedette e scoppiò a ridere proprio come tutto il resto del gruppo. Era bello, per una volta, non essere il signore del fuoco.

 

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Capitolo 6
*** Cap. 6- Ricordi ***


“Tu non mi ami più. Forse non mi hai mai amata” gli disse con una voce gelida. Il suo volto non lasciava trapelare nessuna emozione, con lo sguardo percorreva la stanza e a malapena si posava su di lui.
“Certo che ti amo, io…”
Lei scosse la testa, piegando le labbra in una curva innaturale, piena di amarezza. “Non fingere con me e soprattutto non fingere con te stesso. Ti sei invaghito di me, quello sì. Ti sono sempre stata accanto, ho sempre creduto in te, ho sempre messo te al primo posto. Tu hai creduto di amarmi solo perché era quello di cui avevi bisogno.”
Lui abbassò la testa, incapace di sostenere il suo sguardo, annichilito sotto il peso della sua freddezza. Sapeva che sotto quel volto statico si celavano delle emozioni, ma anche dopo tanto tempo non era assolutamente in grado di comprenderle. Non era certo stato un buon compagno, se ne rendeva conto, ma aveva sempre fatto di tutto per renderla felice. Non era bastato, era evidente. Non riusciva a darle quello che lei voleva davvero, ma non capiva cosa fosse.
“Ti ho amato con tutta me stessa, il mio amore era diventato quasi un’ossessione. Mi rendo conto, però, che non siamo mai stata una vera coppia, che forse era tutto un’illusione. Ora non provo più niente per te, se non il desiderio di starti lontana.”
Sgranò gli occhi, non riuscendo a credere alle parole della sua ragazza. Voleva trattenerla in qualche modo, voleva dirle di restare, ma non riusciva a creare un pensiero con un filo logico e le parole gli sfuggivano dalle labbra in un farfugliamento senza senso. “Cosa significa?” riuscì infine a dire.
“Che ti sto lasciando, Zuzu. Non ha senso che continui questa storia tra noi.”
Il volto freddo, le parole taglienti come lame, una calma eccessiva, come se si stesse limitando a licenziare un domestico.
“Che significa che è finita? Non mi puoi lasciare così. Pensa a tutto quello che abbiamo passato insieme. Io ti amo!” provò a dire, gesticolando come se potesse con i gesti rendere più reali le sue parole.
“Il passato è passato, non intendo rimanerne intrappolata. Questa vita non fa per me, non ha senso che noi due rimaniamo insieme. Ti renderai conto anche tu che è meglio così, vedrai.” Si alzò dalla poltroncina rossa su cui era seduta con estrema compostezza, lisciò le pieghe del vestito e, senza degnarlo di nemmeno un’ultima occhiata, lasciò la stanza con passo felpato.
Zuko si accasciò a terra, non riuscendo a realizzare quello che fosse successo, non riuscendo realmente a capire che Mai se ne stava andando, lo stava lasciando solo. Era abituato alla sua presenza, non voleva che se ne andasse, nonostante i loro rapporti si fossero raffreddati e non riuscissero a trarre alcuna gioia dalla reciproca vicinanza. Forse l’avrebbe dovuta inseguire, avrebbe dovuto fare qualcosa per farla rimanere, ma si rese conto che non avrebbe saputo che cosa fare. Si sedette a terra, svuotato. rimase in quella posizione per un tempo indefinito, guardando il cielo limpido attraverso l'ampia finestra, ma senza guardarlo realmente. Alla fine non poté fra asltro che capire. Mai aveva ragione. Lui non l’amava. Non come avrebbe dovuto. Era giusto lasciarla andare.
 
“Ti sei forse invaghito dei tuoi stracci sporchi? È mezz’ora che li fissi inebetito.”
Zuko si riscosse, arrossendo violentemente. Ringraziò mentalmente che Toph non potesse vedere il suo rossore. “Niente, niente, mi ero solo imbambolato un po’.”
“Non sei molto bravo a mentire, lo sai questo, vero?”
Cavolo, le vibrazioni. Se ne era dimenticato. Non aveva visto le guance in fiamme, ma non le poteva mentire. “Stavo pensando a una vecchia storia” bofonchiò tra i denti “Ma preferirei che tu non ti impicciassi.”
“Sai quanto me ne frega delle tue vecchie storie lagnose!” commentò lei, lanciando con il piede un sassolino “Basta che con il tuo muso lungo non fai preoccupare Katara. Quella si preoccupa per tutto. Ed ha già abbastanza a cui pensare.”
Zuko rimase sorpresa dalla delicatezza del pensiero di Toph. Certo, non si era espressa in maniere gentili, ma era stata dolce a preoccuparsi per l'amica. Teneva a lei molto più di quanto volesse dar a vedere. “Non accadrà, te lo prometto.”



Ciao, innanzi tutto vi ringrazio se avete letto fino a qui, spero che la storia vi stia piacendo. Questo capitolo è prettamente un flashback, più che altro perché vorrei far proseguire la mia storia in maniera abbastanza coerente con la fine della serie e dovevo spiegare perché non ci fosse più Mai. Mi scuso con i fan della coppia, ma io non sono mai riuscita a vederli insieme. Mi sembra come se tra loro mancasse la scintilla. insieme diventano troppo mosci, si annullano a vicenda. Questa perlomeno è la mia visione. Se potete lasciatemi una piccola recensione, almeno capisco in cosa posso migliorare. A presto!

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Capitolo 7
*** Cap. 7 - Malattia ***


Un pianto continuo ed insistente tirò Katara giù dal letto. Era appena sorta l'alba ed una luce rosata filtrava da sotto le tende illuminando la stanza di un colore tenue. Si stropicciò gli occhi impastati dal sonno e si infilò una vestaglia sulla camicia da notte sottile, poi, con i capelli ancora scarmigliati, si diresse verso la fonte del rumore, mentre una lieve inquietudine cominciava a farsi strada nel suo petto.

“Che succede?” chiese a Sokka, non appena lo vide. Portava con se una bacinella contenente pezzuole e del latte. Aveva due vistose occhiaie scure, segno che quel pianto doveva essere cominciato ben prima che lei lo percepisse.

“Moma non sta bene, è bollente di febbre” le rispose, incapace di mascherare la sua preoccupazione. La sorella lo seguì subito nella camera da letto, pronta a dare alla coppia tutto il suo aiuto.

Suki aveva attorno agli occhi dei cerchi neri ancora più marcati. Katara si rimproverò in silenzio per non essersi resa conto di nulla. “La febbre continua ad alzarsi, non so più cosa fare” disse Suki stringendo al petto la bambina, che non dava cenno di volersi calmare.
“Potevate svegliarmi, posso provare con i miei poteri curativi" propose Katara, sperando che bastassero. Suki la guardò con uno sguardo esausto pieno di riconoscenza. Pose le sue mani sulla fronte incandescente della piccola e lasciò che la sua energia fluisse nell'acqua, che si illuminò. Moma smise subito di piangere e la sua temperatura si abbassò notevolmente . Katara tirò un sospiro di sollievo. Aveva temuto di non essere in grado, era molto più facile curare un taglio o un osso rotto, piuttosto che una febbre.

Tuttavia la calma in casa durò ben poco e Moma ricominciò presto a piangere, di nuovo con la febbre alta. Katara le abbassò una seconda volta la temperatura, ma era evidente che i suoi poteri non bastassero. Si sentì terribilmente in colpa per non riuscire a fare di più. Suki era stravolta, in preda all’ansia e Katara non l'aveva mai vista in simili condizioni. Zuko e Toph assistevano impotenti, non sapendo assolutamente che cosa fare, se non cercare di tirare su gli amici portando loro qualcosa da mangiare e cambiare l'acqua per le pezzuole al posto di Sokka.

“Le rane!” esclamò di colpo Sokka, senza alcun nesso logico con quanto stava succedendo attorno a loro. Tutti lo guardarono stralunati.
“Ma ti sembra il momento di parlare di rane, zuccone?” gli chiese Toph, che, per quanto non fosse la regina della delicatezza, capiva che c’erano cose più importanti a cui pensare.
“Hai ragione, le rane!” esclamò a sua volta Katara, come se avesse avuto un'illuminazione.
Tutti la guardarono a bocca aperta. Potevano capire certe uscite assurde quando provenivano da Sokka, erano a loro modo anche abituati ad esse, ma Katara non era solita perdersi in scemenze. Che esclamare ‘le rane' fosse un modo della tribù dell'acqua del sud per affrontare momenti di preoccupazione? Eppure era piuttosto eccentrico come modo di dire e notevolmente insensato.

“Katara, Sokka, sicuri di sentirvi bene?” chiese Zuko preoccupato “forse vi dovreste stendere e riposare, mi sa che lo stress vi sta dando alla testa.”

“No, assolutamente!” esclamò Katara, improvvisamente rinvigorita “Quando ancora scappavamo da te" disse, facendo arrossire Zuko che ancora si sentiva in colpa per quella spiacevole parte della sua vita “ io e Sokka ci siamo ammalati, avevamo la febbre altissima e le allucinazioni. Ma siamo guariti subito grazie a delle rane ghiacciate che si trovavano sul fondo di una specifica palude e che hanno poteri curativi. Possono funzionare anche per Moma!”

La speranza che nacque dalle parole di Katara ebbe il potere di tirar su di morale tutti gli amici. “Parto subito" esclamò Sokka alzandosi in piedi di scatto, ma la sorella lo fermò.
“No, tu rimani qui con Suki e Moma, hanno bisogno del tuo sostegno. Vado io, c’è bisogno di un dominatore dell’acqua per tenere le rane ghiacciate durante il viaggio.” Sokka non era convinto, detestava stare con le mani in mano, ma alla fine si arrese alle parole ragionevoli della sorella.
“Zuko, tu sei venuto qui in pallone, giusto? Puoi portarmi fino alla palude?” disse poi rivolgendosi al ragazzo che annuì, già in piedi e pronto a partire.
“Per me possiamo partire anche tra venti minuti. Il tempo di sistemare il pallone e caricarci sopra qualcosa da mangiare.”
Katara annuì seria e andò a fare i preparativi per partire.

“Mi dispiace che anche in vacanza tu sia costretta a partire per un’altra avventura" le disse Suki, prima che salisse sul pallone.
“Non dirlo nemmeno per scherzo, sono felice di poter fare qualcosa per Moma. Andrà tutto bene Suki" le disse poi, abbracciandola. L'amica si avvinghiò a lei e alle sue parole. “Lo spero tanto”.
Era la prima volta che Katara la vedeva così fragile, ma comprendeva il suo affanno. Era quello che lei provava ogni volta che i suoi amici stavano male, ma in misura anche maggiore.

“Pronta?” le chiese Zuko.
“Pronta" gli rispose, guardandolo con determinazione.
Il dominatore allora fece uscire un getto di fuoco dalle sue mani indirizzandolo verso il bruciatore, collegato all’involucro che conteneva l'aria calda, e il pallone si sollevò lentamente in aria. Dovevano fare il più in fretta possibile affinché Moma non peggiorasse ulteriormente, ma Katara era sicura che ce l'avrebbero fatta.

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Capitolo 8
*** Cap.8 - La palude ***


 

Sul pallone regnava l'imbarazzo tra Zuko e Katara. Era da tanto, troppo, tempo che non si trovavano da soli, dal loro combattimento contro Azula. Erano così piccoli all’epoca, Katara ripensandoci si era resa conto che era solo una bambina, costretta dalla guerra a crescere troppo in fretta.
“Come sta Mai?” chiese, per rompere il ghiaccio.
“Ci siamo lasciati" rispose Zuko lapidario.
“Oh" fu l'unica cosa che riuscì a proferire, avvampando. Ma tra tanti argomenti perché aveva tirato fuori proprio quello? si chiese maledicendo la sua linguaccia. Cercò di pensare in fretta a qualcosa per rimediare alla sua gaffe, ma non le venne nulla di intelligente in mente. Stranamente fu Zuko che riprese la parola. “Non ti sentire in imbarazzo non lo sapevi" disse, sorridendo alla vista delle guance scarlatte di Katara. “Ci siamo resi conto che la nostra relazione non andava da nessuna parte, probabilmente volevamo anche cose diverse dalla vita. Così ci abbiamo dato un taglio.”
“Oh" commentò di nuovo Katara. Sembrava non essere in grado di dire altro, si rese conto, e si sforzò di aggiungere qualcosa. “È stato molto maturo da parte vostra.”
Rimasero in silenzio un altro po', ma alla fine Zuko prese nuovamente la parola. Katara si stupì che fosse diventato così loquace, rispetto ai tempi in cui era perennemente un muso lungo molto silenzioso, essere Signore del Fuoco doveva avergli fatto bene. “Tu e Aang siete felici invece."
Katara non riuscì a capire se la sua fosse una domanda o un'affermazione. “Sì, beh, direi di sì" balbettò.
Lo sguardo di Zuko si fissò negli occhi sfuggenti di Katara. “Non mi sembri convinta” commentò. Nelle sue parole non c’era aria di rimprovero né di compassione, era una semplice constatazione.
Katara non sapeva se confidarsi o no. Erano amici, si fidava di lui, era quello del gruppo con cui aveva parlato di più dell'esperienza traumatica della morte della madre e proprio grazie a lui l'aveva maggiormente metabolizzata, ma era troppo tempo che non si vedevano. Quello che aveva davanti era lo stesso ragazzo di sempre? Non era ancora in grado di dirlo.
“A volte è più faticoso del previsto essere la ragazza dell'Avatar" si limitò a rispondere con un sorriso.
Zuko si accontentò e non le fece altre domande a riguardo. Era rimasto un ragazzo molto discreto, notò Katara, e lo apprezzò per questo.

La conversazione prese presto una piega migliore di quella con cui era partita. Parlarono delle rispettive vite. Zuko si lamentava della terribile staticità del suo ruolo, l'obbligo di presenziare riunioni, feste, e ogni singola celebrazione del regno, per non parlare di tutte le beghe amministrative e la fatica nel cambiare la mentalità di un popolo abituato alla guerra. Katara, al contrario, trovava pesante la sua vita frenetica, il suo continuo vagare da un posto all'altro, senza nemmeno avere una casa in cui tornare. Lei e Aang, in parole povere, facevano una vita da nomadi. Insomma, dai loro discorsi entrambi evinsero che non erano soddisfatti della loro vita, portavano sulle spalle un peso che non erano in grado di sostenere da soli. Erano molto più simili di quanto si potesse pensare.

“Ecco, ci siamo!” esclamò ad un certo punto Katara, indicando l’enorme palude sotto di loro.
Miasmi puzzolenti si sollevavano da essa e Zuko e Katara dovettero trattenere il respiro per procedere. La melma arrivava loro fino alle caviglie e sembrava alzarsi sempre più. Zuko mise un piede in fallo e a Katara sembrò di guardare una scena a rallentatore. Vide le sue braccia annaspare nell'aria alla ricerca di un appiglio, mentre il viso si trasfigurò in una maschera di puro terrore. Quando riemerse dalla palude sputacchiando melma verde e con i capelli ricoperti di alghe Katara non poté fare a meno di scoppiare in una risata talmente rumorosa che la fece ritrovare con le lacrime agli occhi.

Zuko la guardò con aria torva, mentre con goffi tentativi cercava di alzarsi. Vedendo che la ragazza non sembrava avere intenzione di smettere di ridere cominciò ad avvicinarsi a lei con aria sospetta. Non appena Katara intuì quello che Zuko aveva in mente cercò di scappare da lui, ma la veste e le scarpe piene di quella poltiglia puzzolente le impedivano qualsiasi movimento. Zuko riuscì a raggiungerla e la trascinò con se giù nella melma.
“I miei capelli!” esclamò non appena riemerse, toccandoli appena con la mano e sentendoli piene di alghe e altre cose appiccicose non ben identificabili.
“Io mi preoccuperei più che altro per la faccia” disse Zuko ridendo.
Era raro vedere una risata di Zuko e Katara ne rimase sorpresa. Rise anche lei alla vista del viso completamente sporco di Zuko che, più che il Signore del Fuoco, sembrava uno strano animale radioattivo. Aveva diverse alghe che dai capelli gli ricadevano sulla faccia ed anche una che gli usciva dell’orecchio. Era più che comico. Katara, non appena smise di ridere, gli si avvicinò per togliergli l'alga dell’orecchio. Ci fu un attimo di imbarazzo, ma fu appena percepibile.

“Forza, ora prendiamo le rane” disse sconsolata Katara, pensando al lavoro disgustoso che li aspettava. Anche se, a pensarci bene, non poteva essere più disgustoso di un tuffo nella palude. Immersero le braccia fino alle spalle, testando il fondale alla ricerca delle rane ghiacciate. Fortunatamente non ebbero difficoltà a trovarne, la palude ne era piena, ma ben presto si intirizzirono loro tutti gli arti per colpa del gran freddo.
Dopo aver raccolto una ventina di rane, si trascinarono a forza fuori dalla palude. Katara si sbrigò a creare un blocco di ghiaccio abbastanza spesso da impedire che le rane si sciogliessero.

“Sembri un mostro delle paludi" commentò Zuko, cercando di individuare il volto dell'amica sepolto dalla melma. Solo gli occhi si distinguevano nettamente, con un blu tanto intenso da sembrare quasi che stessero brillando.
“Beh, non credere di essere più carino di me" gli rispose, fintamente piccata.
Continuarono a battibeccare su chi fosse più ripugnante fino a che non trovarono un piccolo ruscelletto, dove si sarebbero potuti ripulire. Katara non ci pensò due volte e con un veloce gesto delle mani inondò Zuko dalla testa ai piedi, togliendogli di dosso le alghe e facendolo assomigliare terribilmente a un pulcino fradicio, con i capelli tutti appicciati alla fronte.
“Ehi, potevi almeno avvertirmi" provò a protestare Zuko, ma vide che aveva riservato lo stesso trattamento anche a se stessa.

“Certo che puzziamo parecchio" commentò Katara, annusandosi. Si avvicinò a Zuko e lo odorò, tirandosi subito indietro. “Cavolo, tu puzzi addirittura più di me" esclamò schifata. “Non possiamo tornare sul pallone in queste condizione, ci uccideremmo a vicenda.”
Zuko convenne con lei che non avevano un odore gradevole, ma provò a convincerla del fatto che fosse lei a puzzare di più. Argomentò la sua tesi dicendo che un Signore del Fuoco non può puzzare. Katara diede a malapena retta ai suoi tentativi di rigirare la frittata e si adoperò per costruire al volo due vasche di ghiaccio, in cui si potessero lavare senza vedersi a vicenda.
Zuko rimase piuttosto impresso, ma non lo diede a vedere. Si sbrigò a togliersi i vestiti e Katara si dovette girare di scatto per evitare di ritrovarselo in mutande davanti agli occhi. “Potevi avvertire!” esclamò, avvampando.
“Ma Katara, sei una donna grande e vaccinata. Non ti sconvolgerai mica per un paio di mutande.”
“No certo che no" disse arrossendo sempre di più “però preferirei non vedere le tue regali terga, ecco tutto.”
Zuko rise di gusto all’imbarazzo di lei e si girò per permetterle di spogliarsi e di entrare nella vasca appena creata.
“È gelata" commentò Katara non appena vi entrò e lui, con un rapido gesto, riscaldò l'acqua fino a farla diventare estremamente piacevole.
“Perché non tieni sempre i capelli sciolti?” le chiese incuriosito “Sei molto più bella così.”
“Oh, ehm, grazie” si limitò a rispondere Katara. D'un tratto la risposta ‘perché mi fa sentire più matura e mi dà l'aria da donna’ le sembrò terribilmente stupida e se la rimangiò. “Dobbiamo sbrigarci, non possiamo rischiare che Moma peggiori perché perdiamo tempo" disse poi, come se solo in quel momento si fosse ricordato del motivo per cui erano lì.
“Oh, sì, certo” disse Zuko, uscendo dall'acqua e rivestendosi in tutta fretta.

Corsero al pallone ancora fradici, per rimediare al tempo perduto a lavarsi e a scherzare, sentendosi in colpa per aver lasciato che il motivo per cui avevano fatto quel viaggio si fosse trasformato in una gitarella divertente. Ma che gli era saltato in mente? Era bello sentirsi ragazzi, ma non era quello il momento adatto.
“Forse abbiamo perso troppo tempo, però hai reso piacevole questo viaggio" commentò Katara mentre erano in volo. “Aveva ragione Toph quando diceva che fare questi viaggetti con te era un'esperienza.”
Le labbra di Zuko si piegarono in un profondo sorriso, ma Katara stava guardando l'orizzonte e non lo notò.
“Solo perché ho una buona compagna di viaggio.”

 

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Capitolo 9
*** Cap. 9 - Dubbi ***


Katara guardava il cielo con aria assente, mentre teneva tra le braccia la nipotina, che grazie alle rane si era completamente ristabilita. Sokka e Suki stavano finalmente riposando, scaricando tutta l’apprensione che avevano accumulato il giorno precedente.
“A cosa pensi?” le chiese Zuko, sedendosi accanto a lei sul porticato. Una lieve brezza sollevava delicatamente i suoi capelli bruni e smuoveva la veste leggera.
“A nulla” gli rispose scuotendo la testa. Zuko la guardò con aria insolente, aspettando che lei svuotasse il sacco. Conosceva bene Katara e sapeva che non era tipa da tenersi tutto dentro, a volte aveva solo bisogno di una piccola spintarella, che spesso consisteva nella semplice attesa.
“Uff, va bene a qualcosa sto pensando. Non sto ricevendo nessuna notizia da Aang. So che è impegnato, ma potrebbe almeno scrivermi un messaggio.”
Zuko sapeva bene che quello non fosse l’unico problema, ma non aveva intenzione di forzarla. “È la prima volta che siete separati?” le chiese invece.
Katara annuì, pensierosa.
“E?”
“E cosa?”
“Come ti senti?”
“Sai che non lo so?” confessò, dopo un lungo silenzio. “Pensavo che mi sarebbe mancato da morire. Cioè, comunque mi manca, ma pensavo che non sarei riuscita a stare senza di lui. Invece sto bene anche da sola.”
“Questo penso sia normale. Sei la ragazza più indipendente che conosco, non hai certo bisogno di un uomo per essere completa.”
Katara abbozzò un sorriso. “Quindi secondo te è normale? Pensare che forse non voglio più seguirlo ovunque vada?”
“Non siete un solo corpo, potete anche stare separati. Se c’è amore il legame ne uscirà rafforzato. Con me e Mai, invece, ha solo portato alla luce problemi e insoddisfazioni che cercavamo di nascondere.”
 “Perché vi siete lasciati? Non sentirti forzato a rispondermi, se non vuoi parlarne.”
“Non ti preoccupare, è passato talmente tanto tempo. Ora mi sono reso conto che è stata la cosa migliore, sul momento però mi sono sentito perso.” Ci fu una lunga pausa, in cui si guardarono negli occhi. Katara sentì come un brivido lungo la schiena, come se tra loro se si stesse creando una connessione più profonda di quella che avevano avuto fino a quel momento, così distolse lo sguardo. Si chiese se anche lui avesse percepito lo stesso.
“Lei è stata la prima ad aver avuto il coraggio di ammettere che la nostra relazione non ci stesse portando più da nessuna parte. Crescendo non volevamo più le stesse cose dalla vita, siamo cresciuti entrambi e siamo cambiati, andando in opposte direzioni.”

Katara rimase un po’ in silenzio, metabolizzando quello che Zuko le stava dicendo. Era da un po’ che aveva cominciato a porse domande sulla sua vita e le sembrò che le parole di Zuko le stessero aprendo una realtà che aveva a lungo ignorato e che non era sicura di voler ammettere a se stessa.
“Grazie per avermi raccontato queste cose” sussurrò. Si sentiva uno strano peso sul petto, ma non sapeva dire a cosa fosse dovuto.
“Tutto bene?” le chiese Zuko, vedendola contrarre le labbra e abbassare lo sguardo. Aveva paura di aver detto qualcosa di sbagliato. Toph l’aveva avvertito che sarebbe dovuto stare attento e probabilmente non lo era stato abbastanza. Le mise un bracciò attorno alla spalla e la strinse a sé. “Non volevo turbarti con i miei discorsi, né farti pensare che io possa stare male e abbia bisogno di aiuto. Non devi sempre aiutare gli altri.”
Katara scosse la testa. “In realtà questa volta, stranamente, stavo pensando a me” gli rispose con un sorriso abbozzato.
Zuko rimase un po’ spiazzato. “Davvero? Ti è passata la fase da mamma del gruppo che ci salva costantemente da ogni nostra stupidaggine?” le chiese prendendola in giro.
Katara rise, cosa che rasserenò un poco Zuko. “No, probabilmente quella fase non mi passerà mai. Solo che tu mi sembri sereno. Molto più sereno di quanto non lo fossi anni fa.”
“Lo sono, effettivamente. In parte ho trovato me stesso, o comunque ho capito che tipo di uomo voglio essere.”
“Sei cresciuto davvero tanto” commentò Katara guardandolo orgogliosa. “Sono fiera di te.”
Zuko arrossì notevolmente e Katara rise di nuovo. “Scusa, questa era proprio una frase da mamma.”
Rise anche Zuko ed ogni imbarazzo scomparve in un attimo. Continuarono a parlare per un bel po’ di tempo, mentre Moma, ormai sveglia, giocava tra loro con una bambola di pezza che rappresentava un lemure volante. Katara era piuttosto sicura che fosse stato Sokka a regalargliela.

Mentre parlavano Katara sentì una strana connessione con Zuko. Era una persona estremamente complessa, su quello non aveva mai avuto alcun dubbio, eppure sentiva che qualcosa in lui era cambiato. Era cresciuto, era diventato un uomo. Lei al confronto si sentiva ancora una bambina, che sfuggiva da questioni irrisolte che non era sicura di voler ammettere. Si rese conto che si stava rifugiando in quello in cui aveva sempre creduto, senza permette
rsi di mettere in discussione se stessa.

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Capitolo 10
*** Cap. 10 - I fichi ***


Da quando aveva parlato con Zuko le vorticavano nella mente una miriade infinita di dubbi e di pensieri. La domanda che si poneva più spesso era: è questa la vita che voleva?
Aveva scritto ad Aang diversi messaggi, preoccupata di non aver ricevuto notizie e bisognosa di un qualche tipo di conforto, nonostante lei per prima non sapesse bene quale conferma stesse cercando. Forse solo un misero segno che non avesse sbagliato tutto della vita. Invece, l’unica risposta che ricevette fu un misero “Qui tutto bene, penso che in massimo una settimana riuscirò a risolvere il problema. Ci è voluto più del previsto, baci e a presto.” Cercò di mentire a se stessa e dirsi che quelle quattro parole messe in croce non l’avessero ferita, ma era inutile fingere. Lo avevano fatto. Sentiva il suo animo in subbuglio e nemmeno la vista del mare calmo riusciva a metterle tranquillità. Si sentiva persa. Le erano bastati pochi giorni per mettere in discussione tutta la sua esistenza. Voleva davvero continuare a girare per il mondo, senza una casa, sempre dietro a mille problemi? La verità è che le sarebbe piaciuto più di ogni altra cosa vivere una vita normale. Erano troppe le esperienze da ragazza che la guerra le aveva sottratto e se ne stava rendendo sempre più conto.
Inoltre, cosa che le procurava più dolore, stava cominciando ad avere dei dubbi anche sul suo rapporto con Aang. Lo amava, ne era certa, eppure perché stava bene anche da sola? Perché lui gli aveva dato una risposta così fredda? Era davvero così impegnato da non poter scrivere qualche riga in più?
Per fortuna la presenza dei suoi amici la faceva distrarre parecchio. Avendo notato che c’era qualcosa che non andasse si preoccupavano sempre di tenerla impegnata, non la lasciavano mai troppo tempo da sola a rimuginare e di questo lei ne era più che grata. Non sarebbe stata in grado di resistere a quella valanga di pensieri senza di loro, nonostante non avesse espresso i suoi dubbi a nessuno, eccetto qualche piccolo accenno a Zuko. Ad ogni modo, erano tutti piuttosto discreti e nessuno la forzava a parlare.

“Forza Katara, alza le chiappe che si va a raccogliere fichi!” esclamò Toph sollevando la terra sotto di lei e scaraventandola in piedi. Zuko la afferrò al volo prima che si schiantasse per terra.
“Mi sarei alzata da sola se me lo avessi chiesto” grugnì Katara, afferrando un cestino che Toph le porgeva con un sorriso divertito stampato in volto. Non avrebbe mai smesso di fare dispetti, lo sapevano tutti.
Zuko le porse un grembiule, per evitare macchie indesiderate sui vestiti. Katara se lo legò in vita, ridacchiando alla vista di Zuko che ne indossava uno rosa con un delicato merletto. “Molto virile” commentò.
“Parlane con Suki, è lei che ha questi grembiuli ridicoli. Mi chiedo dove li abbia pescati.”
“Facciamo una gara!” propose Toph non appena arrivarono di fronte agli alberi di fichi, che erano molti di più di quanto Katara avrebbe potuto immaginare. “Chi ne raccoglie di più vince. Se volete vi lascio il vantaggio di giocare due contro uno” concluse, con uno sguardo che non lasciava presagire nulla di buono, come se avesse già la vittoria in tasca.
“E cosa vorresti giocarti?” chiese Katara sospettosa.
Le labbra di Toph si piegarono in un ghigno che Katara conosceva fin troppo bene. “Chi vince non dovrà più fare nemmeno mezza faccenda domestica durante il resto della permanenza qui. Il che significa che se vinco io voi apparecchierete e laverete i piatti quando è il mio turno e mi laverete anche la biancheria.”
“Se ci stai proponendo di fare due contro uno vuol dire che c’è qualcosa sotto. Perché sei così sicura di vincere?”
“Ma io non sono per niente sicura” rispose Toph, cercando di fare una faccia il più angelica possibile.
“Accettiamo!” disse Zuko.
“Che cosa?! Non puoi accettare anche per me.”
“Ma dai Katara, vinciamo per forza. Non ha mica il dominio dei fichi.”
“Ben detto!” esclamò Toph dandogli una potente pacca sulla spalla. Tutta quella sicurezza fece preoccupare un pochino Zuko, ma ormai il danno era fatto e non si sarebbe tirato indietro.
“Bene, possiamo cominciare allora. Spostatevi, così divido il campo in due.”
Zuko e Katara si posero in mezzo al campo e Toph innalzò con un rapido movimento delle braccia un muro di pietra. La sentirono urlare dall’altro lato “Tre! Due! Uno! Via!” e la gara iniziò.

Zuko e Katara cominciarono a raccogliere i fichi, ma ben presto la ragazza si rese conto che ci stavano mettendo decisamente troppo. Perdevano troppo ad arrampicarsi ogni volta per raggiungere i rami più alti, di quel passo non ce l’avrebbero mai fatta. Avrebbero dovuto giocare in squadra.
“Facciamo un giro il più veloce possibile e raccogliamo tutti quelli dei rami a cui arriviamo. Poi con il secondo giro tu mi tieni sulle spalle, così arriviamo anche ai rami più alti.”
Zuko sembrò più che d’accordo e cominciarono a lavorare di gran lena. Katara scoprì che era molto più faticoso del previsto, anche perché se lo faceva con troppa frettolosità rischiava di spappolarli. Tutto sommato non ci misero troppo a finire il primo giro. Katara si autocomplimentò silenziosamente per l’idea. Toph non poteva essere stata così veloce.
“Muoviti” le disse Zuko inginocchiandosi per permetterle di salirgli sulle spalle. Lei si salì a cavalcioni e Zuko si rialzò senza difficoltà, facendo quasi perdere l’equilibrio a Katara che lanciò un gridolino spaventato che lo fece ridere molto. “Non fare la fifona, non ti lascio tranquilla.”
Le teneva strette le gambe e correva da un albero all’altro, mentre lei si allungava il più possibile per raccogliere i fichi che si trovavano più in alto.
“Sai che ti facevo più leggera? Non mi sento più le spalle.”
“Stai zitto e muoviti, che se no perdiamo di questo passo. E comunque sappi che le tue spalle non sono affatto comode.”
“La prossima volta ci metto dei cuscini” rispose Zuko sarcastico.
“Sai che sarebbe proprio una bella idea.”
Ormai stanchissimi arrivarono all’ultimo albero. Katara stese le braccia il più possibile, ma non riusciva ad arrivare agli ultimi fichi. “Vai un pochino più avanti, mi manca poco” disse a Zuko, che fece qualche passo ma inciampò in una radice.
Katara sentì il ragazzo sbilanciarsi sempre di più e a nulla servì cercare di aggrapparsi ai rami per frenare la caduta. Precipitarono in terra, uno sopra all’altro.
“Ammazza che botta” commentò Zuko, schiacciato sotto il peso di Katara, che tentava imbarazzata di risollevarsi. Zuko si rigirò e si ritrovarono con le labbra ad un soffio. A Katara parve che le andasse in black-out il cervello. Ma che cosa le stava succedendo? Non seppe dire per quanto tempo fossero rimasti bloccati uno sopra l’altro, con pochi millimetri che separavano le loro bocche. Secondi? Minuti? Si rialzarono come se niente fosse, raccogliendo i fichi che erano caduti fuori dalla cesta e sospirando per quelli che si erano spappolati sui loro vestiti. Il grembiule non li aveva protetti abbastanza.
“Secondo te a che punto sta Toph?” le chiese Zuko.
“Voglio sperare che non abbia ancora finito.”
Arrivarono al muro, che ormai Toph aveva abbattuto e la trovarono comodamente seduta per terra che si leccava le dita piene di succo, circondata da tre ceste piene fino all’orlo.
“Ce ne avete messo di tempo, lumaconi. Qui qualcosa mi dice che sono finalmente in vacanza completa!” esclamò con un sorriso a trentadue denti.
Katara e Zuko rimasero a bocca aperta. “Ma come hai fatto?” chiese Zuko incredulo e amareggiato allo stesso tempo.
Il sorriso sul volto di Toph si tramutò in un ghigno malefico “Non te lo dirò mai, perdente!”
Zuko e Katara furono costretti a sentire le prese in giro di Toph fino a casa. Li aveva vergognosamente battuti.
“Te l’avevo detto che non dovevamo accettare” sibilò Katara tra i denti, mentre Toph continuava a gongolare.
Zuko sbuffò. Era piuttosto sicuro che Toph li avrebbe sommersi di lavoro solo per divertirsi un po’. A che gli era servito diventare Signore del Fuoco se poi si ritrovava a lavare la biancheria a una ragazzina scalza?
“Se qualcuna di voi racconta questa storia in giro, giuro che vi ammazzo.”
Toph e Katara risero di gusto alla sua aria sconfitta.
 
Una volta nella sua camera Katara non poté far a meno di chiedersi se effettivamente aveva rischiato di baciare Zuko o no. Doveva essere stata solo un’impressione, una sciocca coincidenza dovuta alla vicinanza. Erano semplicemente caduti uno sull’altro. Si stava facendo semplicemente delle paranoie e non aveva nulla di cui preoccuparsi. Erano solo buoni amici e lei amava Aang con tutta se stessa, era l’unico che aveva mai amato. Quindi perché preoccuparsi? Si decise che avrebbe cancellato quegli sciocchi pensieri dalla sua testa. Come aveva potuto pensare che si stessero per baciare? Era evidente che fossero solo grandi amici. Nessuno avrebbe potuto pensare il contrario.

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Capitolo 11
*** Cap. 11 -Amicizia? ***


Era ormai quasi una settimana che Zuko aveva notato che la situazione tra loro due era diventata eccessivamente strana. Tutto era cominciato perché aveva visto Katara giù di morale e non gli faceva affatto piacere trovarla a fissare con aria persa il mare o, peggio ancora, imbambolarsi a guardare il vuoto. Si era incaponito che voleva farla stare bene, voleva vederla sorridere. Tutti gli amici si comportano così, giusto? Non c’era assolutamente niente di male, lui di questo ne era più che certo. Eppure non riusciva a non sentirsi in difetto, come se stesse facendo qualcosa di profondamente sbagliato.

Erano uniti, troppo uniti. Passavano insieme tantissime ore, ridevano come matti, scherzavano, si spintonavano e giocavano. Si prendevano costantemente in giro e, in un modo o nell’altro, si ritrovavano sempre in situazioni dubbie. Zuko non sarebbe stato in grado di spiegare come si creavano certe situazioni, lui non faceva mai niente per trovarsi così vicino a lei, succedeva e basta. Si ritrovavano a fissarsi negli occhi, con i visi così vicini e in situazioni simili non riusciva a trattenersi e lasciava scivolare il suo sguardo dagli occhi blu, enormi, sprigionanti dolcezza, alle labbra carnose e delicate, sempre pronte e piegarsi in un sorriso.
Scosse la testa. No, non doveva pensare alle sue labbra, non era consono. Era la ragazza del miglior amico che avesse mai avuto!

“Qui qualcuno è innamorato o sbaglio?”
Alzò lo sguardo come se fosse stato colto in fragrante e si ritrovò davanti la faccia canzonatoria di Sokka. Subito cambiò espressione e fece in modo che dal suo viso non trapelasse alcunché. O almeno sperò che fosse così. “Cosa te lo fa pensare?” ringhiò, forse eccessivamente aggressivo.
“Hai staccato i petali a quasi tutte le margherite intorno a te. Compresa quella che hai in mano.”
Zuko si affrettò a incenerirla all’istante e Sokka capì che non era aria. “Scusa, scusa, stavo solo scherzando. Mamma mia che brontolone” gli disse allontanandosi.
Zuko aveva la fronte imperlata dal sudore e il cuore che batteva a mille. Perché era scattato in quel modo? Poteva sembrare quasi un’ammissione di colpa. Sokka stava scherzando, non avrebbe mai nemmeno potuto immaginare che qualcuno all’infuori di Aang potesse trovare interessante la sua piccola sorellina. Che a lui non interessava affatto, si sbrigò a ripetersi mentalmente. No, non era interessato, non lo era mai stato e mai una storia tra loro avrebbe potuto funzionare. Che follia.

Inoltre era tutto il giorno che Katara lo evitava. Non poté far a meno di chiedersi perché e di continuare a cercarla ovunque. Eppure ogni volta che si avvicinava a lei, dopo poco sembrava avere qualcos’altro da fare e lo abbandonava lì. Era come se tutta la magia della settimana passata fosse scomparsa nel nulla. Cercò di ripetersi che non gli importava, che era giusto così e che non sentiva affatto la mancanza dei momenti trascorsi insieme, ma sotto sotto sapeva che stava mentendo a se stesso. Voleva tornare a stare sempre insieme a lei, questa distanza, seppur minima lo stava uccidendo.

Cavolo, era il Signore del Fuoco e si stava comportando come uno stupido adolescente innamorato. No, non innamorato. Non era affatto la parola giusta. Lievemente affascinato, sì, era decisamente meglio. Ecco, il loro rapporto poteva essere definito come amicizia, ma con un pizzico di interesse reciproco. Sempre che fosse tale e che non si fosse immaginato tutto. Ad ogni modo, che male c’era? A lui non avrebbe dato fastidio se Katara si fosse comportata così anche con altre persone. Poi però questo pensiero gli si fissò in testa. La immaginò abbracciata ad un altro, la immaginò guardare con uno sguardo innamorato un altro. Sentì lo stomaco contorcersi dalla rabbia e dalla gelosia. Ma doveva essere normale anche quello, alla fine era una persona importante per lui, era solo sana gelosia quella che sentiva.

Che poi, perché era tutto il giorno che non riusciva a pensare ad altro? Non era certo la persona migliore del mondo, anzi aveva moltissimi difetti. Ad esempio, faceva la mammina e rimproverava tutti quando sbagliavano qualcosa. Era fastidiosa all’inverosimile quando si impuntava e sapeva essere estremamente irritante. Quando teneva il muso diventava odiosa. Però aveva un gran cuore e perdonava sempre tutti. Sapeva essere dolcissima e incantevole quando dominava il suo elemento. Ed era innegabile dire che era diventata davvero bellissima, con quei capelli lunghi e i tratti del viso che sembravano scolpiti da un’artista.

Zuko notò che Katara aveva smesso di legarsi i capelli. Non poté far a meno di chiedersi se lo avesse fatto per lui, perché le aveva detto che stava meglio con i capelli sciolti. Ma glielo aveva davvero detto? Non riusciva a ricordarsi se lo aveva fatto o se lo aveva solo immaginato.
Stava cominciando a tramontare il sole. Rientrò in casa cercando di mantenere un’aria neutrale, ma stava cercando Katara in tutte le stanze. Si chiese se avrebbero visto il tramonto insieme anche quella sera. Era una cosa che avevano fatto spesso e finivano sempre per chiacchierare di argomenti profondi e interessanti. Anche Katara aveva un animo tormentato, ma era molto più brava di lui a celarlo.

Non la trovò dentro casa e si sentì terribilmente perso. Era tentato di chiedere informazioni a Toph o a Suki, ma non poteva esporsi così tanto. Ormai qualsiasi cosa dicesse o pensasse gli sembrava un’ammissione di colpa. Perché era venuto a trovare Sokka? Stava tanto bene per i fatti suoi nel suo palazzo, un po’ stressato, ma tutto sarebbe stato meglio di quella situazione.
Decise di andare a vedere il tramonto da solo, pregando in cuor suo che Katara fosse lì. Solo quella sera e poi se la sarebbe tolta dalla testa per sempre. Uno, due giorni massimo e se ne sarebbe andato.

 Il suo cuore fece un tuffo quando la vide seduta sulla piaggia, con i piedi immersi nell’acqua e il volto rivolto verso il sole. La sua pelle riluceva come fuoco alla luce rossastra.
Si avvicinò titubante e si sedette accanto a lei. Aveva lo sguardo assorto e guardava la linea dell’orizzonte, dove il sole stava lentamente scomparendo. Teneva in mano un bigliettino tutto stropicciato.
“Che cos’è?” le chiese. Aveva un orribile presentimento.
“Una lettera di Aang” rispose lei, stringendola più forte. Fissò i suoi occhi blu in quelli ambrati di Zuko. “Torna domani.”
A Zuko sembrò di sentire un tonfo, ma doveva essere stato solo il suo cuore.

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Capitolo 12
*** Cap. 12- Qualcosa è cambiato ***


Quella notte Katara non chiuse occhio. A nulla valsero le tisane alla camomilla che aveva bevuto prima di andare a letto, aveva gli occhi spalancati e non c’era nulla che riusciva a placare il tormento della sua anima. Sapeva di non aver fatto nulla di male, ma sentiva il senso di colpa stringerle le viscere e toglierle il respiro. Detestava la sua fortissima moralità. In quel momento avrebbe voluto sotterrare la testa sotto la sabbia e far finta di nulla, ma sapeva che il ritorno di Aang avrebbe cambiato molte cose. In primis, non le avrebbe più permesso di guardare in faccia Zuko.
Sapeva che nulla era accaduto tra loro e che probabilmente era solo frutto della sua fantasia, ma sentiva che c’era una connessione forte, diversa da quella che aveva mai avuto con qualsiasi altra persona, e non la poteva ignorare. Sperò con tutta sé stessa che l’arrivo di Aang risvegliasse i sentimenti che provava per lui, che sembravano essersi assopiti.
Quando arrivò l’alba, l’angoscia nel petto di Katara non fece che crescere. Si vestì in fretta e si fiondò in cucina a preparare delle frittelle alle bacche di Ju-an, specialità del regno della terra che le aveva insegnato una simpatica vecchia durante uno dei suoi molti viaggi. Erano piuttosto complicate da cucinare, perciò erano perfette. Sapeva bene che l’unico modo che aveva per non perdersi nell’ansia era tenersi impegnata e non pensare.
“Che buon profumo.”
Il cuore di Katara fece un tonfo. No, non lui, non ora. Aveva bisogno di stare da sola e di non pensare, non lo voleva vedere.
“Grazie” commentò, senza osare guardarlo in faccia e rimproverandosi per la sua codardia. Ma che le stava prendendo? Gli mise nel piatto due frittelle e si tolse in grembiule in fretta, pronta a trovare un’altra attività che lo tenesse lontana da lui.
“Katara, va tutto bene?” le chiese, mentre si trovava già sulla porta.
Suo malgrado di girò e, piegando le labbra in un sorriso innaturale, cercò di mostrarsi il più calma possibile. “Sì sì, certo.”
Zuko la guardò andare via e non poté far a meno di notare un dettaglio, forse insignificante: si era di nuovo legata i capelli.
 
Aang arrivò quel pomeriggio. Katara lo aveva evitato per tutto il giorno e Zuko non riusciva a capire perché. Voleva parlarle per fare chiarezza, ma non sapeva bene che cosa dirle. Parlare avrebbe significato ammettere sentimenti che non si poteva permettere di provare.
Non appena vide Appa volare verso di loro sentì una lieve ansia salirgli nel petto. In fondo però era contento di rivedere Aang o perlomeno era quello che si andava ripetendo. Aang scese da Appa con un salto, leggero come una piuma e con la sua naturale delicatezza. Zuko accanto a lui non aveva mai smesso di sentirsi un gigante cattivo, nonostante ormai l’amico fosse praticamente alto quanto lui e altrettanto ben allenato. Vide la scena come a rallentatore. Lo vide avvicinarsi a Katara e stringerla tra le braccia, baciandola più volte. Con la mano destra le stringeva la vita, con la sinistra le teneva la nuca. Katara ricambiava quell’abbraccio e quei baci con anche più forza, si stringeva a lui così stretta che a Zuko parve quasi di ricevere una pugnalata nel petto. Ma che cosa si era raccontato per tutto quel tempo? No, non tollerava vedere Katara tra le braccia di un altro, voleva essere lui a baciarla e stringerla, più di ogni altra cosa al mondo. Perché non lo aveva fatto quando ne aveva avuto l’occasione? Ma forse si era solo immaginato tutto. Non aveva mai avuto una reale occasione, era solo nella sua testa. Katara amava Aang, non lui. Avrebbe dovuto ingoiare in fretta i suoi sentimenti, come se non fossero mai esistiti. Che cosa gli era passato in testa? Lui e Katara? Impossibile.
Aang gli andò incontro e lo abbracciò calorosamente. Zuko cercò di metter su un sorriso felice, ma non fu sicuro di esserci riuscito. Voleva andarsene da lì, ma non poteva, non subito almeno. Come poteva piacergli la ragazza del suo amico? Si maledisse, più e più volte. Alzò lo sguardo e incontrò gli occhi di Katara. C’era qualcosa di strano in quello sguardo, ma non fu in grado di decifrarlo. Gli sembrò che gli stesse scivolando via dalle dita e la stesse perdendo per sempre. Ma alla fine non era mai stata sua, si disse.
 
Quando Katara vide Aang scendere da Appa non seppe che cosa provare. Un turbinio di emozioni si facevano strada nel suo cuore, ma sopra a tutte troneggiava il senso di colpa, più forte che mai. Lo vide volare leggero verso di lei, sorriderle con sicurezza e stringerla in un abbraccio. “Mi sei mancata, dolcezza” le sussurrò prima di avvicinarla con decisione a sé e baciarla. Lei ricambiò il bacio, cercandovi la stessa passione che c’era sempre stata tra loro due. Eppure qualcosa non andava. Lo strinse forte a sé, come se volesse diventare un’unica persona, ma un lampo di consapevolezza le fece capire che non era quello l’abbraccio che voleva. Fu un istante, un breve sprazzo di luce nel mare del dubbio. Non poteva credere di star pensando una cosa del genere e si sentì un essere schifoso. Come si era potuta mettere in una simile situazione? Doveva ravvivare la fiamma con Aang, sapeva di amarlo ancora. Qualcosa era cambiato, ma tutto si poteva aggiustare. Quale coppia non aveva qualche crisi? D'altronde tra lei e Zuko non c’era mai stato niente, era solo lei che si era illusa e aveva reso le sue fantasie scioccamente reali. Lei per Zuko non era altro che una buona amica, avrebbe solo dovuto far finta di non aver mai avuto quell’istantanea consapevolezza che per lei potesse essere qualcosa di più.
Quando si staccò per salutare gli altri si sentì quasi libera di un peso e il provare un simile sentimento la preoccupò moltissimo. Come poteva essere così cattiva con una persona buona come Aang, il suo primo e unico amore? Non lo meritava affatto. Alzò lo sguardo e incontrò gli occhi di Zuko. Le sembrò che il mondo le cadesse addosso e la schiacciasse inesorabilmente. Non vi trovò quello che aveva immaginato di vedervi. Aveva gli occhi spezzati, vi poteva leggere dentro la rabbia e il dolore, ma mascherava il tutto con un sorriso. Katara mantenne fisso lo sguardo nei suoi occhi ambrati, quasi spaventata dalle fiamme che sembravano sprigionare. Era stata lei a ridurlo così? Era per lei quello sguardo così distrutto, così diverso da quello che l’aveva incantata durante i tramonti sulla spiaggia? Il senso di colpa nel suo cuore aumentò a dismisura. Forse quello che aveva cercato di negare con tutta sé stessa era più reale di quanto avesse potuto immaginare. Si maledisse. Come aveva potuto lasciare che un sentimento simile prendesse forma? Era stata una stupida. E ora avrebbe dovuto pagare le sue conseguenze, in un modo o nell’altro.


 
Ciao a tutti! Per prima cosa vi ringrazio tantissimo per essere giunti fino a questo punto, non avete idea di quanto mi rendiate felice. Spero che la storia vi stia piacendo, io sto facendo del mio meglio, Non esitate a farmi sapere quello che ne pensate, accetto di buon grado anche le critiche, l'importante per me è sapere cosa ne pensiate, così da poter migliorare!
Vi ringrazio ancora per avermi seguita fino a qui! 

A presto <3

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Capitolo 13
*** Cap. 13- Il segreto dei draghi danzanti ***


La sua idea era di andarsene da quella casa il giorno successivo, ma ne erano già passati tre da quando aveva preso una simile decisione. Per quanto si sforzasse di ripetersi che in realtà non gli importava nulla di lei, non riusciva a staccarsene. Nonostante ormai i loro contatti fossero drasticamente diminuiti, Zuko non riusciva a far a meno di quei momenti in cui riusciva a strapparle uno sguardo o, addirittura, un sorriso. Da quando era tornato Aang non erano stati più nemmeno un istante da soli, ma Zuko si continuava a ripetere che non aveva bisogno d’altro, gli bastava sapere che fosse felice, anche se quella felicità era un altro a dargliela. Di conseguenza continuava a rimandare la sua partenza, godendo del fatto che ci fosse suo zio Iroh a controllare il regno in sua assenza, regno che da un anno era più che tranquillo.

Ogni giorno aspettava la sera con ansia, perché dopo cena si riunivano tutti in salotto per raccontarsi storie o giocare a giochi di ruolo. Lui si sforzava di non guardarla sempre, si faceva bastare piccoli sguardi fugaci, che duravano un istante. Si chiese che cosa gli fosse successo. Per tanto tempo era stato convinto di non avere un cuore ed ora non riusciva a togliersi quella ragazza dalla testa in alcun modo. Soffriva come un cane a vederla abbracciata ad Aang, ma era un dolore al quale non poteva sottrarsi, perché stava ancora peggio quando non la poteva vedere.
 
Quella sera decisero di andare a teatro. Nel paese vicino davano una rappresentazione dal titolo “Il segreto dei draghi danzanti”. Era un’opera molto rinomata, che aveva avuto talmente tanto successo che era stata riadattata in tutte le nazioni. Zuko aveva assistito a quello spettacolo quando era molto piccolo, ma non si ricordava nulla, se non una scena con una danza, ma era talmente vaga nella sua memoria che se la sarebbe benissimo potuta immaginare.
“L’ultima volta che ho visto questo spettacolo è stato insieme a mia madre e ad Azula”. Il commento gli era sfuggito dalle labbra come un singhiozzo e si pentì delle sue parole non appena le disse. Non voleva affatto generare compassione nei suoi amici. Katara si volse verso di lui, con un’espressione indecifrabile. Zuko non sapeva perché, ma da quando era tornato Aang non riusciva più a comprendere cosa volessero dirgli quegli occhi blu. Gli rivolse un lieve sorriso, mentre camminava mano nella mano con Aang. Quella vista gli faceva sempre estremamente male e ogni giorno era più difficile convincersi di non provare niente. Stava cominciando a perdere il controllo sui suoi sentimenti. Sentì Sokka fare una battutina su sua sorella, per cercare di alleviare la tensione che si era creata, percepì Aang ridere e così rise a sua volta, mostrandosi il più sereno possibile, ma in realtà da quando Katara lo aveva guardato aveva perso ogni connessione con ciò che lo circondava.

Quando si sedettero sulle poltroncine di velluto Katara si trovò nel posto peggiore che avrebbe potuto immaginare. Aang era seduto alla sua destra e Zuko alla sua sinistra. Si maledisse. Perché i suoi sforzi di evitare Zuko fallivano ogni volta? Eppure ci si stava impegnando così tanto. Sperò che lo spettacolo fosse allegro e la distraesse dal turbine dei suoi pensieri. Le sue speranze andarono infrante nell’esatto momento in cui si rese conto di cosa parlasse lo spettacolo.

Era la storia di un uomo, fidanzato con la più bella fanciulla del regno. Tutti la desideravano e lui si considerava estremamente fortunato ad averla accanto, perché la bellezza non era la sua unica virtù. Era anche raffinata, intelligente, riusciva in tutto quello che faceva, oltre ad avere una bontà invidiabile. L’amore tra i due giovani era evidente ed entrambe le famiglie accettarono di buon grado il loro matrimonio. Per far sì che il legame matrimoniale fosse propizio e indissolubile decisero di seguire la tradizione e celebrare la cerimonia sacra. Solo i grandi amori riuscivano a superare questa cerimonia e i due promessi erano sicuri di potercela fare. Per portare a termine questa cerimonia l’uomo, come prova del suo amore, avrebbe dovuto scalare il monte Tsu-goju e sottrarre da lì un uovo di drago.
Arrivato in cima alla montagna l’uomo, che si chiamava Kuzho, trovò l’inaspettato. A custodire l’uovo non c’era un drago, ma il suo primo amore, Rhataka, che tutti credevano morta, da quando dieci anni prima era scomparsa dopo essere caduta in un burrone. Inutile descrivere il tumulto e l’indecisione nel cuore del povero Kuzho. Quale grande amore avrebbe dovuto scegliere?

Durante tutta la durata dello spettacolo Katara ridusse in pezzetti il volantino che le avevano dato all’ingresso. Si sentiva profondamente presa in giro, le sembrava che tutto lo spettacolo non facesse che parlare di lei. Non si volse nemmeno una volta alla sua sinistra, sforzandosi ostinatamente di fingere che Zuko non fosse seduto accanto a lei e che non fosse il suo il cuore che sentiva battere come un tamburo.

“Vuoi qualcosa da mangiare, tesoro? Mi è venuto un languorino” sussurò Aang, seguito da un gorgoglio del suo stomaco. Katara scosse la testa stizzita. Come poteva pensare al cibo quando erano arrivati a un momento tanto clou dello spettacolo?
“Va bene, allora aspetto un altro po’ prima di andare” cedette Aang, sperando che anche a Katara venisse un po’ di fame. Si rimproverò per non essere andato all’intervallo, ma non aveva avuto modo di farlo, perché era stato circondato da gentili signori che lo ringraziavano per quanto avesse fatto per il mondo e soprattutto per essere venuto lì quella sera.

Rhataka, quando seppe che il suo grande amore stava per sposarsi con un’altra impazzì dal dolore, ma nonostante ciò disse a Kuzho di tornare dalla sua promessa sposa, perché lei per poter vivere era costretta a rimanere lì, insieme ai draghi che l’avevano salvata dalla morte, e non poteva costringere il suo amore ad isolarsi dalla civiltà quando aveva una bella vita ad aspettarlo. Kuzho però non voleva abbandonarla lì, non ora che l’aveva ritrovata e si era reso conto di amarla ancora, perciò chiese se ci fosse un modo per slegarla dalla maledizione che la teneva ancorata a quella montagna.
L’unico modo per farlo era riuscire a battere il drago che l’aveva salvata nella danza dei draghi.

Katara si emozionò per la bellezza della danza che ballarono i due amanti e dal sentimento che trapelava dai loro volti. Erano indubbiamente degli attori fenomenali.
“Tesoro, io vado a prender i fiocchi di fuoco, sto davvero morendo di fame. Sei proprio sicura di non volere niente?”
“Sì. Sbrigati o ti perderai il finale.”
Aang si alzò in silenzio, divertito da quanto lo spettacolo avesse preso Katara. Di solito rideva abbastanza di questi spettacoli, soprattutto perché il livello di recitazione non era un gran che. Per carità, ne avevano visti di peggiori, ma avevano davvero molto da esercitarsi prima di poter essere considerati buoni attori. Passò davanti a Katara e Zuko per arrivare al piccolo corridoio laterale. Anche Zuko sembrava molto preso dallo spettacolo. Strano. Era piuttosto sicuro che di solito verso metà del primo tempo si stufava e andava fuori a prendere aria.

Kuzho e Rhataka riuscirono a tornare a casa e lì la futura moglie di Kuzho, quando vide che ormai negli occhi del suo promesso non brillava più la fiamma d’amore di un tempo, decise di sacrificarsi e si uccise. Amava talmente tanto Kuzho che per evitare di costringerlo a fare una scelta dolorosa, scelse per lui, augurandogli ogni bene.

Zuko sentì Katara singhiozzare al suo fianco. Pesanti lacrime le scendevano sulle guance, mentre lei cercava di asciugarle imbarazzata con un gesto veloce della mano. Zuko rimase per l’ennesima volta incantato a fissarla, poi le porse un fazzoletto, che lei accettò volentieri. Si asciugò gli occhi e cercò di ridarsi un contegno, guardando ostinatamente di fronte a sé. Eppure continuava a tremare, scossa da singulti silenziosi che non riusciva a controllare. Zuko sapeva che non avrebbe dovuto farlo, ma non poté far a meno di allungare la mano per stringere quella della ragazza. Era piccola e calda. Katara si girò verso di lui con gli occhi sgranati, ancora lucidi di pianto. Scossa appena la testa e sottrasse la mano dalla sua, lasciandolo in preda all’angoscia.
Perché aveva scosso la testa con quello sguardo distrutto? Zuko si sentì morire. Aveva sbagliato tutto.

Poche poltroncine più indietro, con i fiocchi di fuoco ancora caldi in mano, Aang sentì il cuore stringersi di fronte alla scena a cui aveva appena assistito.

 
Ed eccoci qui. Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto. Fatemi sapere che ne pensate, io cercherò di aggiornare il prima possibile. A presto!

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Capitolo 14
*** Cap. 14 -Il dolore della consapevolezza ***


“Penso che sia giunto il momento di parlare.”

Katara si sentì gelare. Mai una semplice frase le aveva messo tanta paura. Aveva combattuto contro le persone più pericolose senza battere un ciglio quando aveva solo quattordici anni ed ora che ne aveva venti suonati si sentiva solo una bambinetta con tanta voglia di scappare.

“Di cosa?” chiese con una voce così sottile che si domandò se lui l’avesse effettivamente sentita. Era di spalle e si stava togliendo un braccialetto dal polso per riporlo nel portagioie. Chiuse la scatola intarsiata di coralli con uno scatto meccanico e, cercando di non tremare, si girò lentamente.

“Di me e di te.”

Sì, l’aveva sentita.

Katara rimase in silenzio, aspettando che fosse lui a sganciare per primo la bomba. Lei non sapeva che cosa dire, né cosa fare. Sapeva solo che si sentiva in colpa come mai si era sentita in tutta la sua vita.
Si fissarono per qualche secondo, poi lui fece un profondo sospiro e cominciò a parlare. Aveva una voce calma che non lasciava trapelare alcun accenno di rabbia, ma Katara sapeva che stava soffrendo. Avrebbe voluto avvicinarsi a lui ed abbracciarlo, ma sapeva di non poterlo fare.

“Vedo il modo in cui vi guardate.”

Ci fu una pausa lunghissima, infinita. Abbassò lo sguardo colpevole, non sapendo cosa dire. Cosa si poteva dire in una situazione simile? Ogni parola sarebbe suonata sbagliata, una stupida scusa, ipocrita e inopportuna.

“Ti conosco più di chiunque altro e so che tra voi c’è qualcosa. Si vede, è palpabile.”
Ancora silenzio. Una stretta terribile le stritolava le viscere, lasciandola senza fiato.
“Ti chiedo solo di dirmi la verità: vi siete baciati?”

Katara scosse la testa e calde lacrime cominciarono a scorrerle sulle guance. Come aveva potuto fargli una cosa del genere? Come aveva potuto cominciare a pensare ad un altro? Lei ed Aang erano sempre stati la coppia perfetta, perché aveva distrutto tutto? Le si strinse il cuore al pensiero di quello che stava facendo al suo primo amore. E lui, nonostante ciò, non sembrava odiarla. Anzi, quando la vide piangere la strinse a sé, e le accarezzò i capelli finché non riuscì a tenere a bada i singhiozzi.

“Sei innamorata di lui?”

Come poteva farle una simile domanda? E lei come poteva conoscere una simile risposta e ammettere una verità che aveva tanto tentato di negare con tutta se stessa?
“Non lo so” sussurrò, con voce strozzata. “Non so più niente. Non so cosa sia successo, né come. Ma non ci siamo mai baciati, non ne abbiamo mai nemmeno parlato. Te lo giuro.”

“Ti credo” le rispose Aang, continuando ad accarezzarle i capelli.

Ci fu una lunghissima pausa, durante la quale rimasero abbracciati per tutto il tempo.
“Sei la prima e l’unica persona che abbia mai amato” continuò lui, facendo stringere sempre di più il cuore di Katara. “Ed è per questo che ti lascio libera. Mi rendo conto che ho sbagliato tante cose con te. Ti avrei dovuta ascoltare di più e dare meno per scontata. Non avrei dovuto pensare di più al mondo che a te.”
“No, tu non hai sbagliato niente. Non è colpa tua, è solo colpa mia. Mi dispiace, mi dispiace. Io ti amo, ti amo” gli disse ricominciando a piangere. Rumorosi singhiozzi le sconquassavano il petto. Ma c’erano cinque dolorose parole che era necessario aggiungesse. “Solo non più come prima.”
“Lo so, lo so” gli disse lui, accarezzandole lentamente la testa. “Forse il nostro destino semplicemente non è stare insieme.”

Sotto sotto Aang aveva sempre temuto che sarebbe arrivato questo momento. Era sempre stato un po’ geloso di Zuko, aveva notato fin da subito che tra quei due c’era un’intesa particolare, inspiegabile e allo stesso tempo innegabile.
“Sapevo che Zuko ti avrebbe portato via da me già da quella volta che vi hanno imprigionati a Ba sing-se.”
Katara sollevò la testa perplessa, asciugandosi il viso. “Cosa? Ma ci dava ancora la caccia a quell’epoca. Ti giuro che io mai, mai prima d’ora ho mai pensato che ci potesse essere qualcosa. Ho sempre amato te.”
Aang, nonostante lo sguardo pieno di dolore le sorrise. Per la prima volta nella sua vita Katara si sentì una bambina di fronte a quegli occhi.
“Lo so. Ma allo stesso tempo ho sempre saputo che tra voi due ci sarebbe stato qualcosa prima o poi. Semplicemente, speravo che il vostro ricongiungimento accadesse dopo la mia morte. Forse sono stato un po’ sciocco. Ma presumo che abbia ostacolato fin troppo il riunirsi di due anime complementari.”
Katara non capiva che cosa stesse blaterando il suo ragazzo, era più confusa che mai. Era come se conoscesse il suo cuore meglio di lei stessa, da sempre.
“Cosa intendi?”
“Lo capirai con il tempo. Voi riuscite ad accendervi quando siete insieme, i vostri occhi brillano di una luce che è impossibile ignorare. Siete due elementi contrapposti, destinati a bilanciarvi a vicenda.”

Emise un grande sospiro, cercando di cacciare fuori dal suo cuore il dolore che lo stava affliggendo. Non voleva pronunciare le sue prossime parole, ma sapeva che era la cosa più giusta da fare. Sia per lei che per sé stesso.

“Ti lascio libera. Lo scopo della mia vita è un altro, devo dar nuova vita ai monaci dell’aria e non posso caricarti sulle spalle un simile fardello. Promettimi solo una cosa. Che sarai felice. E che non ti rimproverai mai di come le cose siano finite tra noi. Non smetterò mai di amarti.”
Anche gli occhi di Aang si riempirono di lacrime. Katara aveva ricominciato a singhiozzare, rendendosi conto della persona meravigliosa che aveva davanti, un’anima troppo pura per essere umana. Lo abbracciò con tutte le sue forze. Avrebbe voluto dirgli di non lasciarla, ma non le uscirono le parole dalla bocca. In cuor suo sapeva che non era quello il suo destino, Aang aveva ragione. “Nemmeno io smetterò mai di amarti.” No, decisamente non avrebbe mai smesso. Ma sarebbe stato diverso.

Rimasero abbracciati a singhiozzare molto a lungo, ripetendosi a vicenda che non avrebbero mai smesso di amarsi, fino a che entrambi non si addormentarono esausti.
 
Buonasera cari lettori, grazie per avermi seguita fino a qui!
Spero che approviate la mia decisione di lasciare che Aang si sacrificasse per far sì che Katara fosse felice.
Per quanto sia una fan della Zutara, AMO Aang. Ha un'anima estremamente pura ed è la classica persona che mette prima gli altri di sé e che farebbe letteralmente di tutto per loro. 
Fatemi sapere che cosa ne pensate!
Un bacione e a presto!

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Capitolo 15
*** Cap. 15 - Il tormento dell'inconsapevolezza ***


Un raggio di luce ostinato che penetrava dalla persiana abbassata costrinse Katara ad aprire finalmente gli occhi. Aveva fatto un terribile sogno. Si girò verso Aang, ma il lato del letto solitamente occupato da lui era freddo e vuoto. Alzò la testa di scatto, sentendo il cuore trafitto da tante piccole lame sottili. Non era stato un sogno, la terribile notte precedente era stata reale. Aang doveva essere andato via da almeno un paio d’ore. Il suo lato del letto era freddo e nella stanza non c’era più alcun oggetto che potesse far sospettare che l’avatar avesse alloggiato in quella stanza.

Il senso di colpa strinse le viscere di Katara, facendola di nuovo scoppiare a piangere. Avrebbe voluto avere la forza di dominare le sue lacrime per far smettere quella cascata sul suo volto, ma non ci riusciva in alcun modo. Era stata un mostro. Non aveva nemmeno avuto il coraggio di parlare lei con Aang, ma aveva aspettato che fosse lui a farlo.

Si ributtò sul letto, coprendosi la testa con le coperte. Le sarebbe piaciuto scomparire da quel posto, essere inghiottita dal terreno, non dover più affrontare la vita. Decise che per il momento la cosa migliore da fare sarebbe stata rimanere sepolta nella sua stanza a piangere.
Il suo piano durò appena un paio d’ore, poi sentì qualcuno bussare alla porta.

“Katara, sei qui dentro?” chiese la voce dolce di Suki.
“Vai via, per favore” le rispose Katara singhiozzando irrefrenabilmente. Si chiese come fosse possibile che non fosse ancora morta disidratata.

Suki rimase piuttosto scossa. Non era da Katara farsi vedere debole e disperata, c’era evidentemente qualcosa che non quadrava. Decise di entrare ugualmente, sperando di poter aiutare l’amica in qualche modo.

Quando aprì la porta trovò la stanza in condizioni molto diverse da quelle che avrebbe potuto immaginare: metà delle cose che si sarebbero dovute trovare lì, come i vestiti e gli effetti personali di Aang, si erano completamente vaporizzate. Al loro posto c’era un mucchietto informe sotto alle coperte, in cui Suki, con un po’ di fantasia, individuò la sagoma di Katara. Si sedette sul bordo del letto e accarezzò titubante quella matassa singhiozzante che si trovava accanto a lei. Sperò di aver individuato la testa e di non star accarezzando nessuna parte del corpo imbarazzante.

“Che cosa è successo?” provò a chiedere quando sentì che i singhiozzi si erano un po’ calmati.
Solo allora Katara sollevò un poco le coperte, osando tirar fuori dal suo nascondiglio sicuro gli occhi gonfi e rossi e un naso sgocciolante. Suki si affrettò a passarle un fazzoletto. Piano piano la dominatrice uscì completamente fuori dalle coperte, asciugandosi gli occhi e cercando di controllare il respiro.

“Promettimi che non mi giudicherai in alcun modo” disse all’amica, indecisa se parlarle o no. Avrebbe voluto potersi alleggerire di quel peso, ma non era sicura di aver la forza di ammettere quello che aveva fatto.
Non appena Suki promise, Katara lasciò che tutta l’angoscia che serbava nel petto sgorgasse come un fiume in piena, raccontandole ogni cosa. Quando ebbe finito Suki l’abbracciò e le disse “Non puoi controllare il tuo cuore e non puoi essere arrabbiata con te stessa per essere umana.” Katara si strinse forte all’amica come se fosse il suo unico appiglio.
“Non raccontare a Sokka di Zuko” le disse, con una nota di disperazione nella voce. “Non è ancora il momento.”
Suki le promise che non l’avrebbe fatto. Conosceva bene Sokka e, impulsivo com’era, se avesse saputo la verità avrebbe solamente fatto danni, anche se solo a fin di bene. Katara le sorrise riconoscente e si accasciò di nuovo sul letto, esausta, ma lievemente alleggerita di un peso.

Quella mattina Zuko si svegliò tardissimo, avendo sprecato l’intera notte a pensare alla sua bella. Tuttavia gli bastò davvero poco per notare che in casa c’era un’atmosfera diversa, come se fosse calata una pesante cappa d’angoscia su tutti loro. Toph era uscita per andare ad allenarsi, Sokka e Suki erano particolarmente taciturni e si ostinavano a non voler far altro che giocare con Moma, Katara era chiusa in stanza e non dava alcun cenno di voler uscire, di Aang e di Appa, invece, non c’era nessuna traccia. Si chiese che cosa fosse successo, ma non riuscì ad ottenere niente da Sokka o da Suki. Suki non lo guardava nemmeno in faccia e Zuko si chiese perché all’improvviso avesse cominciato a comportarsi in maniera così strana con lui. Sembrava che provasse un misto di odio e compassione nei suoi confronti, eppure non ricordava di aver fatto nulla di male. Aveva anche lavato spesso i piatti nell’ultimo periodo. Si decise ad andare a parlare con Toph, per quanto quell’opzione lo spaventasse. Non era proprio la ragazza con cui era più facile avere una conversazione.

La cercò a lungo prima di riuscire a trovarla. Non stava in spiaggia, né in nessun altro luogo nelle vicinanza. Tuttavia sentiva la terra tremare, il che era evidentemente dovuto all’impatto con le rocce che scagliava. Seguì il suono di massi infranti fino a che non la trovò in una radura, intenta a lanciare lastre di terra come fossero fresbee contro dei pilastri che aveva eretto lei stessa.
“Cosa vuoi?” gli chiese, rude, senza dar cenno di volersi fermare. I colpi si susseguivano rapidi e precisi.
Zuko non seppe bene cosa rispondere. “Avevo bisogno di qualcuno con cui parlare.”
“Di cosa?”
“Non lo so, di parlare in generale” rispose arrossendo. Ma che razza di domanda era? Non bisognava avere sempre per forza un argomento di conversazione intelligente. Si poteva parlare anche solo per il piacere di farlo. Non era sicuro di potersi aprire e confidare con Toph. Probabilmente era l’ultima persona sulla faccia della terra in grado di parlare di sentimenti. Come avrebbe voluto avere accanto suo zio in quel momento. “Però vedo che sei molto impegnata, non volevo disturbarti.”
“Se non è un problema parliamo dopo. Intanto puoi parlare con Aang, lui non penso abbia niente da fare oltre a stare con Katara.”
“Oh, sì, certo. A dopo.”

Quindi lei non sapeva nulla, si disse mentre tornava a casa. Non si era nemmeno accorta che di Aang non c’era alcuna traccia, probabilmente era uscita per allenarsi molto presto. Il che rendeva la situazione ancora più strana.

Dopo aver percorso la sua camera avanti e indietro talmente tante volte che vi avrebbe potuto scavare un fossato si decise di fare quello che avrebbe voluto fare da ore: parlare con Katara. D'altronde erano amici, che cosa ci sarebbe stato di male? Le avrebbe chiesto scusa per averle preso la mano allo spettacolo, era stato semplicemente preso dal pathos della scena. Sì, era andata così.
Di fronte alla stanza di Katara il coraggio però gli parve venir meno. Era una semplice porta in legno d’acero, ma era più spaventosa di un drago sputafuoco.

‘Forza Zuko, ce la puoi fare’ si disse con le nocche sospese a mezz’aria. ‘Hai superato momenti peggiori’. Cominciò a sudare freddo, ma alla fine riuscì a colpire quella porta. Tre colpetti secchi e decisi, terribilmente in contrasto con il battito frenetico del suo cuore.
Sentì provenire un mugugno da dentro la stanza, interpretò con un ‘chi è?’.
‘Sono io, Zuko’ rispose allora.
Non ricevette nessuna risposta. Provò a chiamare il nome di Katara un altro paio di volte e a chiedere se potesse entrare, che voleva solo sapere come stesse, ma la ragazza continuava a tacere. In quel momento passò per il corridoio Suki, con in mano un vassoio con un teiera piena di the bollente.

“Non penso proprio sia il momento Zuko” gli disse, aprendo leggermente la porta e infilandosi dentro talmente velocemente da non dargli il tempo di sbirciare all’interno.

Zuko rimase come uno stoccafisso a fissare la porta che gli era stata appena sbattuta davanti al naso, se possibile ancora più confuso di prima. C'era decisamente qualcosa che non andava.

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Capitolo 16
*** Cap. 16 -La luna rossa ***


I due giorni seguenti trascorsero nell’incertezza. Zuko non riusciva a capire che cosa stesse succedendo. Sokka, Suki e Toph si comportavano normalmente, eccetto il fatto che Suki portava da mangiare a Katara in camera per tutti i pasti. Zuko aveva provato a chiedere informazioni sulla sua salute, ma riceveva solamente risposte elusive. Nonostante sembrasse che non fosse gravemente malata, Zuko non riusciva a trattenere la preoccupazione. Aveva più volte anche provato a sbirciare dalla sua finestra, ma la tenda perennemente calata gli impediva di guardare all’interno della stanza. Alla fine si rese conto che si stava comportando da stupido adolescente invece che da Signore del Fuoco (e se qualcuno lo avesse visto in quello stato probabilmente si sarebbe dovuto auto-bandire dal suo regno e avrebbe dovuto dire addio per sempre al suo onore) così si arrese e rinunciò ai suoi inutili tentativi di entrare in contatto con Katara.
 

Katara dal canto suo apriva le tende solo di notte. Il sole le dava terribilmente fastidio, ma la luna era in qualche modo consolante. Seppur non avesse mai avuto un particolare rapporto con Yue, parlare alla luna per lei era come parlare con un’amica. Quelle notti probabilmente sarebbero state terribilmente lunghe se non ci fosse stata la sua luce a illuminarla e donarle nuova forza.

Quella notte, però, la luna era diversa dal solito. Rimase a lungo a fissarla da dentro la sua stanza, poi però, come se la luna e la brezza fresca la chiamassero, scavalcò la finestra, senza sapere bene nemmeno lei perché lo stesse facendo o perché non stesse usando la porta come tutti i comuni mortali. Uscì, senza preoccuparsi di infilarsi addosso qualcosa di diverso dalla sottile camicia da notte che ormai non si toglieva da giorni.
 

Da quando era tornato Aang, e peggio ancora, da quando era scomparso, Zuko non riusciva più a prendere sonno. Mille scenari diversi gli si affacciavano alla mente ed in nessuno di questi lui era felice. Si chiese se ci fosse un modo per togliersi una persona dalla testa. Più si sforzava di non pensarci, più il volto di Katara si imprimeva nella sua mente e nel suo cuore.

Dalla finestra della sua camera entrava una luce soprannaturale. Non era il solito bagliore lunare, aveva piuttosto una sfumatura rossastra, inquietante, ma al tempo stesso affascinante. A Zuko sembrò che quella luce lo richiamasse. Si affacciò alla finestra e guardò la luna. Brillava nel cielo più che mai, ma era diversa da qualsiasi luna avesse visto fino a quel momento. Era rossa.
Involontariamente Zuko sorrise a quella vista. La luna, l’astro che dominava le maree e che dava potere all’acqua ora sembrava un globo di fuoco. Acqua e fuoco, uniti in un modo tale che non credeva potesse essere possibile. Sperò che fosse un buon presagio.
Abbassò lo sguardo sulla spiaggia. Una figura sottile era sulla battigia, probabilmente con i piedi immersi nell’acqua. Era talmente eterea che a malapena sembrava reale.

Zuko corse fuori, ancora in pigiama, spinto da un richiamo che non riusciva a spiegare. Era forse la luna che lo stava attraendo a sé, trascinandolo fino da lei? Non era in grado di darsi una risposta.

Arrivò in spiaggia trafelato, con un rivolo di sudore che gli scorreva lungo la tempia. Riprese fiato, immobile, aspettando che Katara si girasse. Non dava segno di volerlo fare, forse non lo aveva nemmeno sentito, ma lui non poteva aspettare oltre. Aveva le ginocchia che gli tremavano, il fiato corto e il cuore che sembrava esplodergli nel petto, ma doveva farlo. Doveva dire quello che per troppo tempo aveva cercato di negare a sé stesso con tutte le sue forze.

“Katara…” provò a dire, per poi rendersi conto che non sapeva come cominciare il discorso. Aveva parlato tante volte di fronte a una Nazione, con il cuore fiducioso e pieno di speranza, ma mai prima di quel momento aveva aperto il suo cuore ad una donna. Peggio ancora: ad una sua amica. Cercò di ingoiare la saliva che gli si era fastidiosamente bloccata in gola e, senza fare nemmeno una pausa per respirare, disse tutto d’un fiato “So che tu stai con Aang e che non dovrei intromettermi e mi sento il peggior verme del mondo a dirti queste cose, ti prego di perdonarmi per questo, tu dopo puoi fingere di non sapere nulla o puoi odiarmi, puoi fare quello che vuoi, ma io ho bisogno di dirtelo, perché non riesco più a sopportare questo peso, io ti amo e non ci posso fare niente, e so che siamo agli opposti, ma so anche che non so stare senza di te, mi sei entrata in testa e non ne esci più, ti chiedo scusa per tutto, ma ti amo e a volte mi chiedo se anche tu provi qualcosa per me, anche se so che probabilmente ho immaginato tutto.”

Solo dopo aver detto tutto ciò ed essere rimasto senza fiato osò aprire gli occhi, che fino a quel momento aveva tenuto sigillati, e allentare la stretta delle unghie che aveva conficcato nei palmi delle mani. Alzò lentamente la testa, aspettando una qualsiasi reazione dalla figura davanti a lui, ma questa non si voltò nemmeno. Zuko sentì tutto il coraggio abbandonarlo e la linfa vitale abbandonare le sue guance. Perché non lo guardava nemmeno in faccia?

Si avvicinò di qualche passo e allungò una mano per toccarle una spalla, quando una voce alle sue spalle lo immobilizzò. “Penso che tu stia parlando alla ragazza sbagliata.” Era una voce fresca e cristallina che al suo interno soffocava una risata.

Zuko si girò lentamente, non capendo cosa stesse accadendo. Si ritrovò davanti Katara in carne ed ossa, vestita solo di una leggera veste bianca, con i capelli sciolti sulle spalle mossi dal vento ed un viso che sembrava improvvisamente più maturo dell’ultima volta in cui l’aveva visto, ma non per questo meno bello. Era come se i suoi occhi brillassero di una nuova consapevolezza.

“M-ma…” balbettò, girandosi a guardare la sagoma dietro di lui e poi di nuovo Katara.
“Penso che tu mi abbia confusa per una delle stupide statue di mio fratello.”
Zuko avvampò, diventando talmente tanto scarlatto che, per quanto fosse poca la luce, era impossibile non notarlo. Katara sorrise di fronte a tanta goffaggine.
“Ha- hai sentito… ehm… quello che stavo dicendo?” chiese imbarazzatissimo. Non era così che immaginava sarebbero andate le cose tra loro due.

Katara sorrise, annuendo, e si avvicinò un po’ di più a Zuko, che nel frattempo cercava di sistemarsi il pigiama, maledicendosi per quella sua folle idea di essere uscito con indosso quell’abbigliamento così poco virile. Cavolo, era un pigiama con delle fiammelle! Ma come gli era venuto in mente? Come minimo Katara lo avrebbe preso in giro a vita se gli avesse ancora rivolto la parola dopo quella disastrosa dichiarazione fatta ad una statua di sabbia. Era proprio un idiota.

“Sono un po’ offesa che tu non mi abbia riconosciuta, sai?” continuò lei, prendendolo un po’ in giro e avvicinandosi sempre di più. Zuko non sapeva che cosa fare, se indietreggiare oppure no. Nel dubbio rimase perfettamente immobile.
“Ehm… ecco… io non è che mi voglio mettere in mezzo sia chiaro…  so che vi amate... solo che… dovevo dirtelo… anche se non so se hai sentito…”

Ecco, doveva aver detto qualcosa di profondamente sbagliato, perché gli occhi di Katara divennero estremamente lucidi. Si maledisse per la centesima volta nel giro di dieci minuti. Perché era così imbranato con le parole? A Zuko si strinse il cuore. Avrebbe voluto abbracciarla e baciarla, anche solo per consolarla, ma sapeva di non potere, sapeva che non le avrebbe mai dovuto dire quelle cose. Era stato uno stupido. Però, lei era così vicina e sembrava così fragile in quel momento, con ancora l’ombra di un sorriso canzonatorio impresso sul volto bagnato di lacrime.

Zuko non riuscì più a trattenersi e l’abbracciò. D'altronde meglio vivere con il rimorso che con il rimpianto, no? Perlomeno avrebbe avuto il bel ricordo di un abbraccio. La strinse forte, sapendo che poi con ogni probabilità le loro vite si sarebbero divise per sempre, ma lei, inaspettatamente, si abbandonò in quell’abbraccio.

I dubbi che avevano tormentato Katara fino a quel momento si sciolsero come neve al sole. Era lì, tra quelle braccia, che doveva stare. Aang aveva ragione. In cuor suo l’aveva sempre saputo, ma non l’aveva mai ammesso a sé stessa. D'altronde, come avrebbe potuto immaginare che acqua e fuoco potessero mai stare insieme?

"Aang ti augura il meglio” sussurrò, con il viso affondato nella sua spalla.
Zuko rimase a dir poco allibito. Doveva aver capito male. “Cosa?”
Katara ripeté le esatte parole che aveva appena detto.
“Mi augura il meglio nel senso che mi vuole morto?” chiese un po’ preoccupato. Non capiva chi fosse diventato matto dei tre, se lui, Aang o Katara.

Katara rise all’interno della sua spalla. Rimase sorpresa da come con Zuko riuscisse a ridere sempre, anche quando si sentiva a pezzi. “Ma no scemo. Vuole che io sia felice e che anche tu lo sia.”

“Continuo a non capire.” Ma che cosa stava blaterando quella ragazza? Era bella e intelligente, ma sembrava aver perduto improvvisamente il senno.
Katara staccò la testa dalla sua spalla e sollevò il volto verso di lui. “Ci siamo lasciati.”

Tre parole, apparentemente semplicissime. Zuko le aveva sentite pronunciate nella sua immaginazione in un numero infinito di modi diversi, eppure in quel momento, con Katara stretta tra le braccia, non era sicuro di riuscire a coglierne il significato.
Sembrava qualcosa di troppo bello per essere vero, non poteva essere reale quello che stava accadendo. Doveva essere un sogno. Non riuscì a trattenere un sorriso e si maledisse per questo. Era solo uno schifoso insensibile, l’avrebbe dovuta consolare, non gioire per le sue sventure. Cercò di riprendere un contegno e di chiedere con aria indifferente –che di indifferente non aveva proprio nulla- “Mi dispiace. Come mai?”

Katara gli rise in faccia, sollevando gli occhi al cielo. Ma come faceva a essere così tonto nelle situazioni di cuore? “Sicuro che non ti viene in mente proprio nessun motivo?” gli chiese con aria canzonatoria. "Sono sicura che tu lo sappia meglio di me."
Zuko la guardò con gli occhi sgranati aprendo la bocca un paio di volte e richiudendola subito dopo senza emettere alcun fiato. Sembrava un pesce boccheggiante. Si indicò con un dito e Katara poteva vedere la fatica che stava facendo il suo cervello per realizzare quello che la ragazza gli stava dicendo.

“Vuol dire che non mi sono immaginato tutto?” riuscì a dire alla fine.
Katara scosse la testa. “Direi di no.”

Vide gli occhi ambrati di Zuko riempirsi di lacrime, poi il ragazzo le prese il viso tra le mani e la avvicinò a sé. Dapprima le posò un bacio delicato sulle labbra, un bacio che lasciava trapelare la paura e l’insicurezza. Ben presto però la paura scomparve e lasciò spazio al desiderio, alla foga della mancanza, alla gioia che sgorgava nei loro petti.

Zuko si staccò da lei solo per guardarla negli occhi, anch’essi pieni di lacrime. Era così bella, sembrava risplendere. Non osò immaginare quello che doveva aver passato nei giorni precedenti. “Scusami se sei stata male per colpa mia” le sussurrò con la sua voce calda, sistemandole una ciocca di capelli dietro all’orecchio. Katara gli sorrise. “Non è stata colpa tua. È stato il destino.” Gli diede un altro bacio leggero, poi lo abbracciò con tutte le sue forze. Aveva il corpo bollente, ma a Katara sembrò che quello fosse l’unico posto in cui potesse realmente stare. Acqua e fuoco uniti. Opposti in tutto, ma con lo stesso cuore.

“Cosa è successo tra di voi?” chiese Zuko titubante, stringendola più forte. Gli sembrava tutto un sogno, non credeva di provare una simile felicità. Sentiva il cuore esplodergli nel petto, tanto i battiti erano veloci.

“Non è questo il momento di parlarne, zuccone” rise lei, con il viso affondato nella sua spalla. “Ho tutta la vita per raccontartelo.”

Zuko sorrise, baciandole i capelli profumati. Tutta la vita. Quasi non credeva di meritare tanta felicità. Eppure lei era lì, tra le sue braccia e lo amava. Si diede un pizzicotto sul braccio.

Era tutto reale.
 
FINE


 
E dunque siamo giunti alla fine della storia. Devo dire che mi dispiace parecchio averla conclusa, è stato bello scriverla, davvero bello. Spero che vi sia piaciuta e che il finale vi abbia soddisfatto. A me non soddisfa mai al 100% nessun finale che scrivo.
Zuko me lo sono sempre immaginata estremamente imbranato nelle situazioni di cuore, spero che vi sia piaciuta questa versione di lui :)
Sappiate che mi mancherete, ma sono felice di essere riuscita a terminare una fic senza abbandonarla a metà, soprattutto perché erano davvero anni che non scrivevo niente. Mi era mancato.
Fatemi sapere che cosa ne pensate, vi mando per l'ultima volta un immenso bacione  e un grande abbraccio e vi ringrazio ancora enormemente, soprattutto Blonde Green e te, Valeria (aka La Bionda 95). Senza di te avrei probabilmente mollato questa storia molto tempo fa, perciò ti sono davvero grata.
Vi mando (di nuovo) un enorme bacio.
Grazie ancora per avermi seguita fino a qui <3


 

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