Un bicchiere di latte

di Traumerin_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01 ***
Capitolo 2: *** 02 ***
Capitolo 3: *** 03 ***



Capitolo 1
*** 01 ***


31 dicembre 1977
 
Il ronzio del giradischi ancora acceso si diffondeva leggero nell’aria, creando un sottofondo sommesso e continuo, una vibrazione inverosimilmente gradevole che sembrava sposare perfettamente l’atmosfera carica di tensione e nervosismo impadronitasi della stanza.
Lily, rannicchiata sulla morbida poltroncina in tessuto bianco nell’angolo della sua camera, fissava con astio gli oggetti che l’avevano gettata in quello stato di autentico sconforto, quei cosi infernali, quegli infidi traditori a cui aveva affidato la riuscita della sua impresa e che l’avevano pugnalata alle spalle: gli elastici.
Quegli elastici maledetti, che adesso giacevano sulla moquette chiara del pavimento, avevano deciso di tirarle un tiro mancino, di vanificare tutto il suo impegno e i suoi sforzi per acconciare i capelli in graziosi boccoli, di rendere inutile l’aver passato quasi un’intera giornata con un’imbarazzante acconciatura – che le era costata le risate divertite dei suoi genitori e le occhiate sprezzanti di sua sorella.
Prese un respiro profondo e si trattenne dall’impulso di tirarsi i capelli, consapevole che la situazione sarebbe solo potuta peggiorare se avesse osato passarvi le dita in mezzo – e no, decisamente non poteva permetterselo.
Quale terribile maledizione si era scagliata su di lei? Chi aveva fatto arrabbiare, lassù, per essere condannata ad un tale destino? Doveva essere un incubo. Non poteva essere vero, non stava seriamente per incontrare la persona che si era abituata a considerare “il pioniere dei parrucchieri magici” con una criniera informe pronta ad entrare in competizione con i capelli di James al mattino.
James, quel perfido manipolatore! La colpa era sua, l’aveva tratta in inganno, l’aveva attaccata in un momento di debolezza e aveva approfittato delle sue basse difese per raggiungere il suo obiettivo.
Da quel momento era stata vittima di una strana inquietudine che, oltre ad averle attanagliato le viscere in una morsa fastidiosa, l’aveva costretta a ripensare a quel giorno continuamente.
 
4 dicembre 1977
 
Era la prima domenica di dicembre e, nonostante le basse temperature che ormai avvolgevano gli altopiani scozzesi, Lily era stata convinta dal cielo insolitamente terso e dalla presenza di un Sole promettente a recarsi nel suo luogo preferito per godersi un po’ di quella pace che, all’interno del castello, non avrebbe trovato nemmeno nel recesso più sconosciuto.
Si era accomodata nell’angolo più appartato della tribuna dei Grifondoro, laddove nessuno, a meno che non fosse su una scopa, avrebbe potuto individuarla e, di conseguenza, infastidirla.
Ma era certa che, quella mattina, nel campo di Quidditch non avrebbe visto neanche l’ombra degli altri studenti: molti, chi come spettatore e chi come partecipante, sarebbero stati impegnati nella gara di Scacchi Magici organizzata dallo stesso club; altri avrebbero approfittato del silenzio della biblioteca per rimettersi in pari con lo studio; la maggior parte sarebbe rimasta a poltrire nel tepore delle coperte, grata di poter recuperare le ore di sonno dopo la festa di Mary MacDonald che aveva reso quel sabato sera il più frenetico dal loro rientro ad Hogwarts.
Lily, seppur si fosse sempre considerata una ragazza piuttosto assennata, non era riuscita a resistere al richiamo della sua anima da Grifondoro che l’aveva portata, sotto lo sguardo divertito dei suoi compagni di Casa, a cedere alle provocazioni di Sirius Black, finendo per accettare una sfida su chi dei due reggesse meglio l’alcol.
Dopo un’inquantificabile bevuta di Whisky Incendiario, il ghigno sardonico del suo avversario, convinto di avere la vittoria in tasca, si era trasformato in un sorriso palesemente brillo e, da lì a poco tempo, era stato vinto dagli effetti della bevanda alcolica.
Sirius, poco stabile, l’aveva accusata di barare e Lily aveva sbuffato una risata con la promessa che, un giorno, gli avrebbe fatto conoscere la Vodka.
Benché vincitrice, anche Lily aveva iniziato a sentire la testa leggera e, reduce delle imbarazzanti figure fatte l’anno precedente, quando aveva osato spingersi al di là dei propri limiti – un indecente elogio agli addominali di un James mezzo nudo ed altrettanto ubriaco di cui, fortunatamente, non vi erano prove se non nei suoi ricordi e nelle testimonianze di quelle arpie delle sue compagne di stanza – aveva deciso di barricarsi dietro le tende del suo baldacchino e sottrarsi alla possibilità di mettersi in una situazione scomoda.
Il vento che soffiava freddo ma docile in quella mattina d’inverno era un toccasana per la sua mente ancora intorpidita ed annebbiata. L’assoluto silenzio che regnava tutt’attorno, poi, contribuiva ad infonderle un senso di pura serenità, fondamentale dopo quella festa in cui la musica aveva rischiato di stordirli tutti.
Si concentrò sul panorama innevato delle irte montagne che circondavano il castello, sugli alberi rigogliosi della Foresta Proibita, sulla lastra ghiacciata del Lago Nero su cui gli studenti adoravano scivolare. Si lasciò irretire dalla magia di quelle terre nordiche, dalla spettacolare visione sempre pronta ad accoglierla e ad essere fedele custode dei suoi pensieri più intimi. Le sembrava che nulla avrebbe potuto rompere la bolla di felicità che le si creava attorno quando si trovava in quel posto. Nulla, nemmeno il timore della guerra che imperversava sul Mondo Magico, né il terrore che alcuni compagni cercavano di incuterle, nemmeno la costante preoccupazione per la sua famiglia.
In quello squarcio di Hogwarts, Lily si sentiva libera di proiettarsi in una realtà dove niente avrebbe potuto scalfirla, dove le sue paure informi venivano sottoposte alla sua razionalità finché non riusciva a disciplinarle, ad averne il pieno controllo, a farne il motore della sua determinazione.
Se anni prima qualcuno le avesse detto che un campo di Quidditch avrebbe potuto farle provare emozioni così forti, probabilmente gli avrebbe riso in faccia. Adesso, invece, non poteva che essere grata a colui che l’aveva trascinata lassù, al ragazzo che le aveva confidato quanto l’atmosfera di quel posto riuscisse a farlo concentrare, a fargli mettere chiarezza su determinati pensieri, a regalargli una pace interiore impossibile da trovare altrove.
Lily, colpita da quella spiegazione quanto dalla serietà con cui James si era espresso, aveva deciso di dare una possibilità a quel luogo e, camminando su e giù per le gradinate, si era ritrovata a perdersi nei suoi pensieri finché proprio James – e solamente grazie alla Mappa – non era andato a recuperarla, prendendola bonariamente in giro per la sua incoerenza e sussurrandole nell’orecchio una frase che Lily si era impressa nel cuore: “Questo posto ci permette di stare soli, Evans. È importante prendersi del tempo per sé, ricordarci chi siamo, ricordare di amarci”.
Quello era uno dei motivi per cui Lily si era innamorata di James: la sua totale assenza di maschere. James era sempre sé stesso, seguiva i propri principi con una convinzione invidiabile, agiva di testa sua senza lasciarsi mai influenzare dagli altri, sarebbe stato pronto ad infrangere un numero indicibile di regole se fosse stato certo di fare la cosa giusta. Inoltre, vantava un’ammirabile sicurezza di sé, una cieca fiducia delle proprie capacità e la voglia di dimostrare a tutti quanto realmente valesse.
James era un’esplosione di vitalità ed ottimismo, un concentrato di energia capace di ridare il sorriso a chiunque gli stesse attorno, il sole in grado d’illuminare gli altri con la sua sola presenza.
Ed era anche la persona più ostinata che conoscesse: se non fosse stata per la sua tenacia, non sarebbero mai arrivati a quel punto.
Al termine dei G.U.F.O. di Difesa Contro le Arti Oscure, tutti gli studenti del quinto anno si era recati nei pressi del Lago Nero per scaricare un po’ di tensione.
Lily era con le sue amiche, si stavano confrontando su qualche risposta riguardo al test appena concluso, quando aveva visto la cerchia di persone riunite attorno alla betulla e s’era accorta di cosa stesse accadendo: James e Sirius, ancora una volta, avevano preso Severus di mira. Seppur i suoi rapporti con il Serpeverde si fossero incrinati già da qualche tempo, non era riuscita a starsene in disparte ed era intervenuta in sua difesa, ricevendo in cambio una “Sanguesporco” da Severus e finendo per riversare tutta la sua rabbia su James in uno sfogo a dir poco plateale – che il suo ragazzo continuava a rinfacciarle.
Non avrebbe mai pensato che quell’episodio sarebbe stato tanto significativo e, invece, l’aveva portata a chiudere definitivamente la sua amicizia con Severus e a rivalutare James. In verità, aveva già iniziato a riconsiderare James quando, durante quel quinto anno, aveva scoperto che il suo compagno di Casa avesse salvato la vita del suo acerrimo nemico – seppur nessuno ne conoscesse il motivo – ma aveva continuato a disprezzare i suoi comportamenti infantili ed arroganti – costretta però a riconoscere che, talvolta, quand’era inoffensivo, riusciva persino a strapparle un sorriso.
Prima di prendere il treno per tornare a casa, a fine di quello stesso anno, James le aveva chiesto di parlare e si erano attardati a raggiungere la stazione di Hogsmeade. Tra tutte le accuse che lei gli aveva mosso quel fatidico giorno, l’unica da cui James si era mostrato realmente infastidito era stata quella riguardo al fatto che lui e Piton fossero uguali.
Lily era consapevole di aver esagerato, per cui, quando James le aveva detto “Ti manderò ogni giorno una lettera con una mia qualità positiva e capirai chi sono davvero!”, si era limitata a stringersi nelle spalle e rispondere: “Montato come sei, Potter, sono sicura che riuscirai a trovare tranquillamente più di sessanta tuoi pregi” seguito da un occhiolino che aveva lasciato intendere al ragazzo la vena sarcastica nascosta sotto il tono infastidito.
James aveva mantenuto fede alla sua promessa e, per tutta l’estate, casa Evans era stata subissata da gufi e lettere. Le prime erano state più serie: “Darei la vita per i miei amici”, “La magia oscura mi fa ribrezzo”, “Ci tengo molto alla media, anche se non do a vederlo”; poi, anche secondo le risposte sempre più divertite di Lily, le lettere di James avevano preso una piega più leggera: “Bevo ancora un bicchiere di latte prima di andare a dormire perché da bambino mia madre diceva che mi avrebbe evitato gli incubi. Mamma mi ha svelato che era solo un trucco per farmelo bere perché non mi piaceva, ma io intanto ho convinto anche Sirius a farlo e abbiamo creato “il lattetempo”, ovvero, un appuntamento fisso in cui beviamo un bicchiere di latte prima di addormentarci”, “Sono mancino!”, “Se fossi un animale sarei un cervo. Ti piacciono i cervi?”, “La McGranitt è l’unica professoressa che temo, perché in realtà è una Malandrina dentro e sa come fregarci!”.
Quando si erano rivisti il primo settembre a King’s Cross, Lily era rimasta interdetta nel trovarlo così attraente: aveva sempre pensato che James fosse un bel ragazzo ma, quell’anno, complice la simpatia nata a seguito dello scambio epistolare che le aveva permesso di conoscerlo meglio, aveva fatto difficoltà a staccargli gli occhi di dosso.
Il sesto anno li aveva visti impegnati in un legame che nessuno avrebbe saputo definire. In un tacito accordo stretto tra le pieghe di quell’abbraccio imbarazzato che si erano scambiati quando s’erano rivisiti, avevano deciso di intraprendere lo stesso percorso.
Lily era consapevole che James fosse diversi passi avanti, ma era rimasto paziente al suo fianco, senza accelerare o metterle fretta. James aveva camminato con la sua solita andatura rilassata, serena, sicura; Lily aveva dettato il passo, ogni tanto aveva saltellato, poi corso, dinnanzi a determinate situazioni s’era persino fermata – come la volta in cui James aveva osato alludere al fatto di doverla proteggere dopo uno scontro con alcuni aspiranti Mangiamorte e Lily, infuriata, gli aveva detto di non aver bisogno del principe azzurro in sella al suo cavallo bianco – ma poi, inevitabilmente, si era ritrovata a procedere nell’unica direzione possibile – come avrebbe potuto non farlo se James s’era avvicinato pentito dicendole di non voler essere il suo “cavaliere blu sul Thestral bianco” ma soltanto assicurarsi che lei sapesse di poter sempre contare su di lui?
Si erano ritrovati compagni di un viaggio privo di meta, dove ogni nuovo giorno aveva segnato una tappa importante nell’itinerario della loro storia, dove ogni avventura era stata un’esperienza per conoscersi meglio, dove le mappe erano state completamente inutili perché Lily odiava i percorsi già tracciati e James preferiva orientarsi osservando le stelle, unendo le loro capacità per cimentarsi nella realizzazione di un sentiero sicuro che nessun altro avesse mai calpestato.
Loro due non erano fatti per una semplice strada rettilinea sotto il Sole tenue del tramonto: il loro cammino vantava numerose curve, talvolta tanto strette da sembrare invalicabili e da richiedere un notevole sforzo per riuscire a superarle assieme, e il tempo che li accompagnava s’alternava tra un sole capace di ustionarli ed un temporale che minacciava di spazzarli via e vanificare mesi di sforzi per riuscire a comprendersi, ad accettarsi, a mettersi sullo stesso passo, seppur con andature diverse.
Lily sapeva che ci fosse una frase che recitava “L’unica regola del viaggio è: non tornare come sei partito” e lei, che s’era avviata da sola e ne era uscita mano nella mano con James, era certa di esserne uscita diversa. Non diversa nelle sue idee o nei suoi comportamenti, non diversa dalla Lily che era sempre stata, ma diversa dentro. Era una Lily più felice, raggiante. Erano riusciti a far emergere la parte migliore dell’altro e l’avevano fatto nella maniera più semplice ed autentica esistente: amandosi.
Dopo l’estate del sesto anno passata a materializzarsi ora a Godric’s Hollow, ora a Cokeworth, avevano deciso di vivere la propria relazione alla luce del sole – in verità, s’erano ritrovati a farlo senza nemmeno accorgersene: Lily lo aveva baciato non appena erano saliti sull’Hogwarts Express, incurante di essere nel mezzo di un corridoio ancora affollato che, presto, avrebbe fatto diffondere la notizia in tutti gli scompartimenti e avrebbe continuato a parlarne per tutti i mesi successivi.
Se ripensava che il professor Lumacorno, da sempre famoso per la sua vena impicciona, soltanto la settimana precedente le aveva sussurrato un “Ottima scelta, signorina Evans” quando lei e James si erano presentati ad una cena del Lumaclub insieme, Lily avrebbe voluto sotterrarsi.
«Cos’è quella faccia afflitta?»
Lily sobbalzò al suono di quella voce, spostando immediatamente la sua attenzione sulla figura che si stagliava innanzi a lei. James, ormai, non aveva più bisogno di controllare la Mappa per indovinare dove fosse, ben consapevole che l’avrebbe trovata a “usurpare il suo posto”, come si divertiva a rinfacciarle.
«Pensavo a quanto tutti mi dicano che tu sia un buon partito» rispose, inarcando un sopracciglio «Secondo me è il loro modo di ringraziarmi per essermi accollata un tale caso umano»
James si lasciò andare ad una risata divertita, gettando la testa all’indietro e portandosi una mano sullo stomaco, colorandosi di quella vivacità da cui Lily aveva imparato a trarre gioia. La rossa trattenne a sua volta un sorriso, decisa a interpretare bene il suo ruolo da povera martire, ma arrendendosi alla seguente verità che ogni giorno diventata sempre più una certezza: James era bellissimo.
Era bello perché vantava un fisico slanciato ed allenato, perfettamente proporzionato e di un’armoniosità sorprendente; un viso sottile, dai lineamenti affascinanti e ben definiti; capelli neri indomabili che ricadevano in tutte le direzioni e gli donavano un’aria da ribelle; occhi dal taglio sottile, di un nocciola che si perdeva nelle sfumature ambrate e alla luce risplendevano come pozzetti d’oro; il naso a punta su cui poggiavano un paio d’occhiali squadrati dalla montatura scura e labbra piene.
Ciò che lo rendeva davvero bello, però, erano quelle labbra sempre piegate in un sorriso gioioso, lo sguardo rassicurante da cui trarre forza, le braccia calde pronte ad accogliere.
«Veramente sono io quello che andrebbe ringraziato per essersi appioppato una tale rompiscatole!» ribatté, stringendosi nel suo mantello nero per ripararsi dal freddo.
Lily schioccò la lingua sul palato «Ma se hai fatto fuoco e fiamme per avermi!»
«Perché pensavo che fossi una persona normale, non una squilibrata con manie suicide!»
«Io non ho nessuna mania» controbatté, piccata «E se ti stai riferendo al fatto che ti ho chiesto di venire con me nella Foresta Proibita l’altra sera… beh, vuol dire che non sai cos’è un po’ d’avventura!»
Il moro le rivolse un’occhiata allibita «Io corro una volta al mese con un Lupo Mannaro!» esclamò, incredulo «Tu mi hai chiesto di accompagnarti per fare una scorta di Elleboro! Persino io che non ci capisco niente di piante, so che quella è altamente velenosa!»
Lily, a quel punto, sorrise e scosse la testa «Sei un idiota. Non ho cattive intenzioni, ti ho già detto che sto provando delle nuove pozioni»
«Sì, genietto, e io ti ho già detto che la cosa non mi piace» sbuffò, incrociando le braccia al petto.
«Tu rischi di fratturarti un osso ogni volta che sali su quella scopa e io non ti ho mai chiesto di rinunciare al Quidditch!»
James roteò gli occhi «Ma è diverso. Non ti sto chiedendo di rinunciare alle pozioni, solo di non rischiare di saltare in aria per una combinazione sbagliata»
La diciassettenne gli scoccò uno sguardo divertito «Facciamo così: io m’impegnerò a non esplodere nella stessa misura in cui tu t’impegnerai a scansare i Bolidi»
Il ragazzo aprì la bocca per ribattere ma, consapevole d’essere stato incastrato, si limitò a mugugnare, sedendosi al suo fianco a gambe divaricate sulla panca di legno.
Lily affondò il viso nella sciarpa rossa-oro per evitare di sbattergli in faccia il suo sorriso trionfante, ma dovette uscire da quel nascondiglio quando James le accarezzò una guancia arrossata per il freddo e si sporse verso di lei, posando le sue labbra su quelle di lei e indugiando qualche secondo in un morbido bacio, prima di ritrarsi.
«Buongiorno, comunque» sussurrò, sfiorandole il naso con il proprio.
Lily si riappropriò della bocca del suo ragazzo, godendosi il piacevole calore che quel bacio era capace di donarle. Un contatto che scatenava inappagabile desiderio e totale assuefazione – un’antitesi che l’avrebbe condotta in un ossimoro di lieto delirio.
James, d’altra parte, non poteva che ripensare alla prima volta in cui l’aveva finalmente baciata, quasi un anno prima. Un istante che si era congelato nella sua mente e tatuato nel suo cuore, che non sarebbe mai riuscito a dimenticare.
Erano semi-sdraiati sul tappeto della Sala Comune e illuminati dal bagliore del camino, la notte ormai era calata su tutto il castello e Lily gli stava raccontando divertita l’ultimo pettegolezzo che si era diffuso tra le mura della scuola e a cui lui non stava prestando la minima attenzione.
Come sotto effetto di un incantesimo, le aveva portato una mano alla base del collo, facendola ammutolire all’istante per l’intensità del suo sguardo. Le aveva accarezzato la giugulare invisibile, solleticato la pelle liscia della guancia con la punta del proprio naso, aveva mescolato il suo respiro caldo con quello accelerato della ragazza e intrappolato con delicatezza il labbro superiore di Lily tra le proprie labbra. Era stato un contatto casto, quasi impercettibile. Le bocche si erano toccate senza assaporarsi realmente, senza approfondire quel tocco così delicato, a tratti innocente nella sua disarmante purezza.
James si era ritratto lentamente, lo sguardo fisso in quello di Lily, pronto a cogliere il minimo segnale di pentimento, di disgusto, di ripensamento. Ma, in quelle distese di prato, aveva visto solamente un’irriducibile felicità, appannata da lampi di puro compiacimento misti ad un genuino appagamento.
Era stata Lily, poi, a riavvicinarsi. Aveva catturato il labbro inferiore di James con una maggiore avidità, lo aveva succhiato appena e morso solo per provocare nell’altro una reazione, per farlo uscire da quello stato di meravigliata immobilità.
Reazione che era arrivata istantanea nell’attimo in aveva realizzato cosa stesse accadendo. James aveva assecondato le labbra vellutate che si muovevano decise sulle proprie, entrambi spinti da un nuovo desiderio, dalla voglia di scoprire quel lato ancora sconosciuto dell’altro, di impararne i punti deboli, di conoscerne l’intimità più segreta.
Per James, venire a contatto con il sapore di Lily, era stata un’esperienza capace coinvolgere ed inebriare tutti i sensi: non era un gusto, non era un qualcosa riconducibile al suo apparato gustativo, era, piuttosto, un tono, un carattere, una squisitezza connessa all’animo. Lily sapeva delle cose preferite di James: della libertà che provava quando sfrecciava sulla sua scopa sui campi verdi come i suoi occhi; della spensieratezza di una serata passata ad oziare in Sala Comune; del calore che solamente i suoi abbracci erano capace di donargli; della più autentica ed indissolubile felicità. Lily sapeva di tutte le cose belle della vita.
Avevano sorriso contemporaneamente. Avevano sorriso perché non potevano fidarsi delle parole, in quel momento: erano sprofondanti in una dimensione diversa, alternativa ma altrettanto reale, dove quel bacio così significativo aveva preso una sfumatura indefinibile, si era caricato di accezioni talmente sottili, mutabili e imprecise da risultare straordinarie nella loro complessa ma armoniosa costruzione. Limitare, moderare, circoscrivere quella pluralità di stati d’animo, emozioni e percezioni era un’idea così folle da non poter essere nemmeno concepita, perché non esisteva un solo colore che potesse contenere le sfaccettature di quel bacio, e nemmeno la parola più adeguata sarebbe stata capace di trasmettere la scabrosità di quel circolo vizioso in cui erano caduti: il disperato tentativo di disciplinare le proprie sensazioni e l’impossibilità di queste ultime di essere ridotte ad una totalità.
Avevano dovuto accoglierle tutte. Avevano dovuto accettare di poter provare una molteplicità di emozioni senza classificarle, senza definirle.
Loro non potevano essere schedati, o semplicemente etichettati. Non erano solo amici e non erano solo amanti. Erano sorrisi raggianti e occhiolini complici, erano abbracci rassicuranti e baci affettuosi, erano scherzi esasperanti e battute divertenti, erano fiducia e lealtà, presenza e supporto, amore e rispetto. Erano James e Lily, una molteplicità irriducibile.
«Come stai?» le chiese, mentre Lily gli avvolgeva le braccia attorno al corpo e rifugiava la testa nell’incavo del suo collo.
«Bene, solo un po’ frastornata. Tu, piuttosto? Hai una faccia…»
James sospirò «Sirius ha passato la notte a vomitare e io gli ho fatto da balia. Sono anche rimasto in silenzio mentre t’insultava, tirandogli solo i capelli quando esagerava»
«Quindi immagino che riprenderà ad evitarmi per i prossimi giorni finché non lascerà una Cioccorana nel mio zaino come segno di pace» ridacchiò, esasperata.
«Sarei tentato di dirvi di smetterla di scommettere su qualsiasi cosa, ma sono certo che non servirebbe a nulla»
Lily si raddrizzò per osservarlo «Sì, James, il rapporto tra me e Sirius va al di là della tua presenza»
Il moro le sorrise sincero «E io sono felicissimo che sia così» ammise, lasciandole un veloce bacio sulle labbra «Senti, ti devo parlare di una cosa» disse poi, animato da una nuova luce nello sguardo che fece incuriosire la ragazza «Sai che l’anno scorso io e Sirius abbiamo organizzato una festa di capodanno a casa con gli altri Malandrini, no?»
La rossa annuì.
«Bene, stavamo pensando di rifarlo, allargando però un po’ la cerchia. Quindi noi, ovviamente tu, le ragazze, Frank sperando che non sia di turno… insomma, una cosa ristretta da noi, che dici?»
«Sì!»
L’entusiasmo e l’euforia con cui Lily rispose, lasciò James vagamente stranito.
«Ti ricordi che ti ho detto che Petunia aveva intenzione di far conoscere i nostri genitori e i genitori di Vernon a Capodanno? Ecco, mamma mi ha confermato, qualche giorno fa, che questa cena si farà e, per fortuna, mi ha accordato il permesso di scansarmela, anche se sono piuttosto certa che sia stata Tunia a non volermi lì. Comunque, sì, certo che ci sono, sarà divertente!»
James rimase fermo qualche secondo, incerto se consolarla per la questione di sua sorella o entusiasmarsi con lei per il Capodanno che avrebbero passato assieme. La risposta la trovò nello sguardo di Lily: una supplica a lasciar correre, a non farle affrontare quel discorso ancora una volta.
«Ottimo!» sorrise allora, stampandole un rumoroso bacio sulla bocca «Però devi promettermi che ci sarai!»
«Perché dovrei?» rise, confusa «Ti ho già detto che vengo»
«Perché voglio assicurarmi che potrò davvero baciarti a mezzanotte sotto i fuochi d’artificio, concludere l’anno con te e aprirne un altro al tuo fianco»
Lily annuì «Te lo prometto»
«Fantastico, avviso mia madre»
«COSA?!» urlò, scattando in piedi «No, James, no! Non è il momento di conoscere i tuoi genitori, non-»
«Ah, ah, ah» la interruppe, alzando un dito con fare saccente «L’hai promesso»
Lily sgranò gli occhi e spalancò la bocca «Stronzo!» lo accusò, colpendolo sul braccio «Come hai potuto? Mi hai ingannata!»
«No, mio dolce tesoro, ti ho dato una lezione di vita: mai fare promesse senza prima conoscere bene la situazione!»
«Questa me la paghi, Potter»
«Oh, Evans, non vedo l’ora»
 
31 dicembre 1977
 
A risvegliarla dai suoi ricordi fu il rumore di qualcuno che bussava alla porta della sua camera e che non aspettò una risposta per entrare.
Sua madre accese immediatamente la luce, rivolgendole un’occhiata accigliata «Che succede?» domandò, avanzando verso il giradischi per rimettere il braccino al suo posto ed interrompere quel piacevole ronzio.
«Succede che io non vado da nessuna parte» sentenziò, imbronciandosi «I miei capelli fanno schifo»
La donna annuì «Capisco…» mormorò, avanzando lungo la stanza, scansando la strage di elastici sul pavimento e sedendosi sulla punta del letto, poggiando i gomiti sulle ginocchia e guardandola dritto negli occhi «E i tuoi capelli hanno niente a che fare con qualcuno che ci sarà a quella festa?»
Rose Evans, stretta in un semplice tubino azzurro che richiamava la sfumatura dei suoi occhi ed evidenziava il corpo sinuoso, con i capelli rossi portati in un caschetto ordinato e qualche cosmetico sul volto grazioso che non andava ad intaccare la sua naturale bellezza, era l’unica persona capace di leggerle dentro.
Rose era la donna a cui Lily s’era ispirata per tutta la sua vita, colei che le aveva insegnato ad essere forte nelle sue fragilità, a non permettere a nessuno di farla sentire inferiore, ad affrontare la vita con la giusta dose d’ironia e quale fosse il potere di un sorriso.
Sua madre aveva accettato il suo essere strega con le lacrime agli occhi e la certezza di aver sempre saputo che sua figlia fosse speciale, promettendole che si sarebbe sempre impegnata a capire quel mondo a lei sconosciuto e che non avrebbe mai smesso di farle sentire la sua vicinanza.
«No» rispose Lily, seppur fosse chiaro ad entrambe che stesse mentendo.
Lily non aveva ancora detto alla sua famiglia di James, non esplicitamente, almeno: quando casa sua era stata invasa dalle lettere e dopo che sua sorella gliene aveva rubata una per vendicarsi del torto fattole anni prima – fortunatamente, vi era semplicemente scritto “Non ho la minima idea di come io abbia fatto a prendere una O ai G.U.F.O. di Erbologia, è la materia che meno mi piace” – lei si era sentita in dovere di dare una giustificazione ai suoi genitori, spiegando che James fosse un suo compagno di scuola e che dovessero svolgere assieme un progetto per, appunto, Erbologia.
L’estate successiva le lettere erano state sostituite con incontri piuttosto frequenti e, dalle frecciatine dei suoi genitori – “Un altro progetto a cui lavorare?”, “Sicuramente sono incontri a scopo puramente formativo” – aveva intuito che non credessero più alla storia de “il mio amico James” ma non l’avevano mai forzata ad aprirsi, né erano scesi in domande che l’avrebbero messa in difficoltà.
Lily aveva capito che i suoi genitori fossero ben consapevoli della relazione con James e, se ancora non aveva trovato il coraggio di dirglielo apertamente, non era perché se ne vergognasse o temesse che i suoi non lo accettassero, ma semplicemente perché dirlo alla sua famiglia lo avrebbe caricato di una pesantezza che Lily non era sicura di voler già affrontare.
Lei e James erano leggeri, avevano lasciato che il loro rapporto si sviluppasse senza seguire dei canoni prestabiliti, non avevano mai sentito la necessità di imporsi un giorno in cui tutto era iniziato, né avevano mai preso in considerazione l’idea di conformarsi alle altre coppie che conoscevano.
I cliché di coppia la facevano entrare in uno stato di puro panico e non perché disdegnasse un mazzo di fiori il giorno del suo compleanno o camminare mano nella mano per le vie della città, no: era l’abitudine a terrorizzarla, la paura di cadere in azioni e gesti che non fossero più dettati dal cuore ma dalla noia.
Il solo pensiero di presentare James ai suoi genitori, di dover formalizzare la relazione con una noiosa cena che avrebbe messo in imbarazzo chiunque, riusciva a farle contorcere le viscere. Almeno quanto l’idea di conoscere i genitori di James ed essere sottoposta al loro giudizio.
«Quindi vorresti davvero dirmi che sei entrata in crisi per una pettinatura che si può aggiustare con spazzola e phon? Per favore, Lily, credevo di aver cresciuto una ragazza più intelligente di così»
«Beh, suo padre è diventato famoso proprio perché ha inventato una pozione per capelli, che figura ci faccio io se mi presento così?! Penserà che non sia neanche capace di pettinarmi!»
Rose sollevò entrambe le sopracciglia, con un sorriso divertito sul volto «Oh, stiamo parlando del padre del tuo amico James?»
Lily, infastidita per aver ceduto alla provocazione di sua madre e per quell’ironia non richiesta, spostò lo sguardo sulla parete celeste tappezzata di fotografie ed annuì, stizzita.
La donna si lasciò andare ad una risata ilare, allungando una mano per posargliela sul ginocchio «D’accordo, d’accordo. È comprensibile che tu sia agitata, ma non c’è bisogno di fare un massacro di elastici»
La ragazza accennò un sorriso e scosse piano la testa, decidendo di fidarsi dell’unica persona che non l’aveva mai delusa «Mamma, tu non sai quanto sia legato ai suoi genitori. Quando nomina sua madre gli brillano gli occhi e praticamente venera la terra su cui suo padre cammina»
«Beh, è una bella cosa che abbia un bel rapporto con i suoi genitori, no?»
Lily sbuffò «E se io non piacessi loro? Se non mi considerassero all’altezza del figlio? Hanno avuto James in tarda età e lo hanno sempre messo su un piedistallo»
«Quindi sono persone un po’… snob? Com’è che si dice? Sanguesano?»
«Purosangue» la corresse, a disagio «Sì, ma non è questo il problema. Loro ritengono assurde certe ideologie»
Il sorriso di Rose s’illuminò di una tonalità ancora più raggiante, rasserenata dalla notizia – Lily aveva riferito loro qualche notizia sulla tragica situazione che stava scuotendo il mondo magico e Rose, ormai, viveva in un continuo stato d’allerta quando la vedeva andar via «E allora perché tanta paura di non piacere?»
«Perché io e James non abbiamo mai dovuto rendere conto a nessuno della nostra relazione e ce ne siamo sempre infischiati del parere altrui, ma voi siete i nostri genitori e… se non mi considerassero adatta a lui, io non voglio perderlo»
«Lily, non conosco questo James, ma deve essere un tipo piuttosto in gamba per sopportarti da almeno un paio d’anni» disse, accarezzandole il volto e rivolgendole un occhiolino complice «Sono sicura che non lascerebbe che i suoi genitori vi allontanino, così come non lo permetteresti tu. So che James è il tuo primo fidanzato e-»
«No» la interruppe Lily, con una nuova determinazione nello sguardo.
«No? Ne hai avuti altri?»
«James non è solo il mio primo fidanzato, mamma» chiarì, alzandosi in piedi «Forse per te saranno solo le parole di una diciassettenne, ma lui è molto di più di qualsiasi cosa tu stia pensando. Lui è sempre di più»
Rose le sorrise, annuendo «Lo so, tesoro»
«Lo sai?»
«Da quando c’è lui sembra che niente riesca a farti smettere di sorridere»
Il sorriso luminoso di Lily portò sua madre ad alzarsi con uno scatto dal letto e chiuderla in un abbraccio «Tu e tua sorella mi fate sentire vecchia!» la accusò, accarezzandole i capelli – provandoci «Oh, dobbiamo assolutamente sistemare questo disastro» disse, sbrigativa, guidandola verso la sedia dinnanzi alla scrivania «Vado a recuperare spazzola e phon, non muoverti»
Rose si voltò per uscire per dalla stanza, ma Lily la richiamò.
«Mamma!»
«Sì?»
«Grazie»
 



 
 
 
 
Note dell’autrice
Salve a tutti!
Ringrazio chiunque sia arrivato a leggere fin qui! Questa storia mi girava in testa da un po’, mi sono sempre interrogata sul primo incontro con i rispettivi genitori di Lily e James e, alla fine, ho deciso di provare a scrivere la mia versione.
Ma veniamo alla storia!
La caratterizzazione di Lily non è ancora ben delineata ma spero si capisca che il suo sclero-da-acconciatura nasconda un timore ben più profondo: la paura di non piacere ai Potter, sì, ma soprattutto il terrore di “appesantire” la relazione con James che, in questo periodo che stanno vivendo (ergo, con Voldemort che la vuole morta per il suo essere Nata Babbana) è l’unica cosa che riesce a farla sorridere davvero… ma nel prossimi capitoli, la questione sarà spiegata meglio!
Spero di essere riuscita a spiegare la natura del rapporto libero da qualsiasi convenzione di Lily e James. So che nella versione originale dei fatti hanno iniziato a frequentarsi dal settimo anno, ma credo abbiano iniziato a conoscersi da ben prima!
Dare alla mamma di Lily il nome di un fiore è stato istintivo e, dato che Lily l’ho sempre immaginata come una persona molto forte – non indistruttibile, però – ho voluto darle un valido esempio a cui ispirarsi, una persona che le abbia fatto capire il valore dell’essere madre.
Era nata come un OS, poi si è arricchita di troppi dettagli e ho preferito dividerla!
Grazie per aver letto fin qui.
Alla prossima,
Traumerin

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Capitolo 2
*** 02 ***


31 dicembre 1977
 
Lily rimirò la sua figura riflessa nello specchio affisso alla parete, voltandosi verso destra e poi sinistra, girando su sé stessa, scrutandosi minuziosamente alla ricerca di imperfezioni che sua madre – da poco uscita dalla stanza per andare a finire di prepararsi per la cena con i signori Dursley – le aveva assicurato non esistessero.
Sospirò, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi ed inclinando appena la testa, mordendosi nervosamente il labbro inferiore e chiedendosi quando fosse stata l’ultima volta che aveva passato così tanto tempo dinnanzi ad uno specchio.
Contrariamente a sua sorella, da sempre ben disposta a farsi vestire ed acconciare dalla loro mamma come se fossero delle bamboline, Lily aveva avuto un rifiuto per nastri e scarpette, ostentando sin da bambina il suo carattere testardo e vagamente prepotente.
Rose aveva dovuto riversare la sua passione per treccine e vestitini su Petunia che, a sua volta, si era mostrata entusiasta di poter condividere quell’interesse con sua madre.
La signora Evans, dunque, non si era affatto meravigliata quando, con l’avanzare degli anni, si era ritrovata a passare pomeriggi di shopping sfrenato e pettegolezzi con la sua primogenita e serate a chiacchierare dinnanzi ad una tazza di tè con la seconda, apprezzando ogni istante passato con entrambe e cercando, sempre con maggiore difficoltà, di trovare dei punti d’incontro per far riconciliare quelle sorelle che, prima della partenza di Lily, erano state tanto unite da giurarsi di non perdersi mai.
Ma Rose, attenta osservatrice, lo vedeva ancora quell’amore. Lo vedeva nella scatola di biscotti che Petunia metteva sul tavolo della colazione solamente quando Lily tornava a casa; lo vedeva in quelle strane caramelle tutte colorate che Lily portava dal Mondo Magico e che lasciava nel vasetto della cucina, ben consapevole di quanto sua sorella ne fosse ghiotta; lo vedeva nella decisione di rivedere almeno una volta all’anno lo stesso film, quello che da bambine avevano imparato a memoria e di cui adesso continuavano a sussurrare le battute, seppur sedute distanti; lo vedeva nei commenti apparentemente sprezzanti di Petunia che le diceva che il suo amico James sarebbe scappato a gambe levate se l’avesse vista indossare un determinato capo d’abbigliamento e che, invece, nascondevano il desiderio di darle un consiglio ben più esperto; lo vedeva negli sforzi di Lily di non roteare gli occhi dinnanzi ai vaneggiamenti di Vernon, mostrandosi sempre ben disposta ad ascoltarlo solamente per compiacere sua sorella; e lo vedeva, inevitabilmente, in quegli sguardi irritati che si scambiavano, nella rabbia che si urlavano, nelle lacrime che non riuscivano a trattenere e palesavano quanto si mancassero l’un l’altra.
E fu questo il pensiero che per un attimo, come un fulmine troppo veloce per essere messo a fuoco, attraversò la mente di Lily: chiedere a Petunia cosa ne pensasse. Poi scosse la testa, come a voler scacciare quell’idea, convincendosi che il suo abbigliamento fosse adeguato alla serata: il maglioncino nero dallo scollo a barca lasciava scoperte le spalle sottili ed evidenziava il busto magro e la curva sinuosa del seno, scomparendo oltre il bordo della gonna in velluto a vita alta, di un verde sgargiante, che scendeva aderente fino a metà coscia; un paio di calze nere velate rendevano le sue gambe snelle ancor più fini e dei semplici stivaletti neri le avrebbero permesso di restare comoda per tutto il tempo.
Aveva truccato leggermente il volto, cercando di far risaltare gli occhi e limitandosi ad uno strato di lucido sulle labbra, ben consapevole che James se ne sarebbe lamentato tutto il tempo e poi, dispettosamente, glielo avrebbe tolto a suon di baci.
Sua madre era riuscita a compiere un miracolo con i suoi capelli: non erano i boccoli in cui aveva sperato, ma di certo non poteva lamentarsi delle onde che adesso le cadevano morbide sul seno.
Era alquanto soddisfatta del suo aspetto e si sarebbe sentita al massimo della sua autostima – piuttosto alta, doveva riconoscerlo – se non fosse stato per il pensiero di dover incontrare i genitori di James.
Gettò un’occhiata all’orologio sul comodino, sbuffando nel realizzare che mancassero almeno una ventina di minuti alle sei del pomeriggio, ovvero all’orario in cui avrebbe dovuto smaterializzarsi per arrivare puntuale a Godric’s Hollow.
Consapevole di non poter rimanere ferma dinnanzi allo specchio a farsi consumare dalle sue paranoie, si avvicinò al giradischi con l’intenzione di rimettere il vinile nella propria custodia.
Sorrise distrattamente quando il disco, il regalo di Natale da parte di Sirius, le fu tra le mani e ripensò, ancora una volta, a quanto fosse strana la sintonia che s’era instaurata tra di loro.
Se qualcuno le avesse detto che lei e Sirius Black, un giorno, sarebbero arrivati a scambiarsi lo stesso regalo senza saperlo, Lily avrebbe chiamato un’autoambulanza o lo avrebbe portato al San Mungo – a seconda della situazione. Ma ormai l’aveva capito: alla vita piaceva sorprendere e, in quel caso, lo aveva fatto nella maniera più inaspettata di tutte.
 
16 marzo 1977
 
La notte incombeva silenziosa sul castello dormiente, una fitta coltre di nubi nascondeva le costellazioni luminose e il vento continuava a soffiare minaccioso, abbattendosi con violenza contro le vetrate delle finestre e producendo un fischio tedioso che, per Lily, rappresentava quella gocciolina capace di far traboccare il vaso: quella, pensò, non doveva proprio essere la sua giornata.
Sin da bambina, Lily si ritrovava a dover fronteggiare un dramma che riusciva sempre a gettarla in uno stato di puro sconforto: l’incapacità di resistere al dolore e l’ostinazione nel non permettere agli altri di scorgere le sue sofferenze.
Pertanto, sbattere contro uno spigolo, procurarsi un taglietto o cadere rovinosamente per terra, erano incidenti che, a causa della sua soglia di dolore pressoché inesistente, avevano un forte – e desolante – impatto sul suo corpo. Ma Lily era troppo orgogliosa per dare a qualcuno la soddisfazione di vederla soffrire, quindi stringeva i denti e, solo in un secondo momento, al sicuro dagli sguardi altrui, si concedeva di sfogare quel dolore nel modo che le sembrava più opportuno: talvolta prendeva a pugni il cuscino, altre si perdeva in una litania di santi e maghi, raramente concedeva spazio alle lacrime e spesso ricorreva alla sua bacchetta o alle pozioni per risanare una ferita – da quando aveva scoperto come ricavare l’Essenza di Dittamo dalla suddetta pianta, ne portava sempre dietro una boccetta.
Sfortunatamente, però, non c’era cura che conoscesse contro i dolori provocati dal ciclo mestruale. Certo, avrebbe potuto recarsi da Madama Chips e richiedere uno di quegli infusi che puntualmente l’infermiera preparava per le altre ragazze, ma ne detestava il sapore quanto la sensazione di spossatezza che la pervadeva subito dopo averlo bevuto.
Quel primo giorno, i dolori erano stati talmente insopportabili da averle reso impossibile rimanere concentrata durante le lezioni, o di svolgere adeguatamente i suoi doveri da Prefetto: aveva visto chiaramente due ragazzini armeggiare con dei prodotti di Zonko, ma erano scappati in fretta e Lily, solitamente ben felice di far valere il suo ruolo e d’incutere un certo timore, non aveva neanche pensato di riacciuffarli.
A cena aveva mangiato una salsiccia solamente per l’insistenza di una minacciosa Marlene e, non appena ne aveva avuto la possibilità, si era recata nella Torre per concludere quella giornata con una meritata dormita.
Prima di poter iniziare a salire le scale che l’avrebbero condotta al dormitorio femminile, però, aveva sentito una mano afferrarle il polso ed era stata costretta a rigirarsi. James le aveva rivolto uno sguardo confuso e preoccupato e, seppur avessero deciso di non mostrare quanto il loro rapporto si fosse effettivamente evoluto dinnanzi agli altri, Lily non si era scostata quando lui, istintivamente, le aveva accarezzato una guancia e le aveva chiesto il perché del suo insolito comportamento.
La ragazza lo aveva rassicurato, uno spiccio “Mestruazioni, James, niente di preoccupante, voglio solo andare a dormire” a cui l’altro aveva reagito con un sorriso comprensivo, approfittando della sua inconsueta pacatezza per lasciarle un’altra carezza ed augurarle una buonanotte.
Lily si era rannicchiata nel suo letto, pronta ad abbandonarsi al sonno e scrollarsi di dosso la stanchezza che l’aveva accompagnata per tutta la giornata.
Evidentemente, Qualcuno ai piani alti non era d’accordo con lei.
Aveva sentito le sue compagne di stanza rientrare, aveva ascoltato i soliti scleri di Alice su quanto Frank la facesse irritare, il riassunto di Marlene sull’ultima partita del Campionato Nazionale di Quidditch e la caterva di parolacce che Mary aveva indirizzato a Madama Pince. Le aveva sentite addormentarsi una alla volta, immergersi nel mondo dei sogni e lasciarla lì, con gli occhi ancora spalancati ed un’inspiegabile voglia di cioccolato che si faceva via via più forte con il passare delle ore, fomentata anche dalla fame che quella singola salsiccia non era riuscita a placare.
All’apice di una crisi di nervi, dopo aver inveito contro quel dannato fischio del vento, scostò le coperte e s’alzò in piedi, afferrando la sua bacchetta dal comodino e dirigendosi a passo di marcia verso le scale.
Uscì dalla Sala Comune e si affrettò a disilludersi con l’apposito Incantesimo, sussurrando un “Lumos” e tenendo la bacchetta puntata verso il basso per evitare di far svegliare gli innumerevoli quadri posti lungo le scalinate, chiedendosi ancora una volta perché i Grifondoro e i Corvonero affamati dovessero percorrere sette lunghi piani prima d’arrivare alla loro meta, mentre i Serpeverde dovevano solamente salire di un piano e i Tassorosso, addirittura, solo fare qualche passo.
Quando finalmente arrivò dinnanzi all’entrata delle cucine, mise fine all’Incantesimo e solleticò la pera del quadro, sgattaiolando rapida al suo interno. Rimase perplessa, però, nel riconoscere la figura di Sirius, seduto ad uno dei tavoli centrali, con lo sguardo perso dinnanzi a sé e le mani chiuse attorno ad un bicchiere.
Prima di legarsi a James, Lily aveva sempre considerato Sirius inavvicinabile: appariva sicuro di sé, avvolto in una scia di arroganza che lo rendeva intrattabile e con un’aria di strafottenza che si rifletteva nello sguardo enigmatico e indifferente che rivolgeva a tutti i suoi compagni – e mai ai suoi amici.
Vantava una bellezza sfacciata e superba, un fascino talmente accattivante da risultare ammaliante per chiunque gli stesse attorno.
Persino in quel momento, con i capelli corvini che gli ricadevano sulle spalle più sbarazzini del solito ed il ridicolo pigiama che lui e James avevano comprato in un negozietto babbano, faceva sfoggio di quella distratta eleganza che scorreva nel suo sangue nobile.
Non si voltò verso di lei, ma Lily era certa che si fosse accorto della sua presenza – era stato Sirius stesso a rivelarle che, da quando era diventato un Animagus, i suoi sensi si erano acuiti.
Lily prese una tavoletta di cioccolato dalla solita dispensa e poi, con nonchalance, andò a sedersi di fronte al ragazzo, scartando il suo spuntino di mezzanotte e staccandone subito un pezzo.
Sirius alzò lo sguardo su di lei, guardandola con quegli occhi grigi che riuscivano sempre a nascondere qualsiasi emozione provasse, osservandola in silenzio.
Se fino al quinto anno si erano rivolti la parola semplicemente per indispettirsi a vicenda o per svolgere un determinato compito assieme, il sesto aveva riservato loro un inaspettato cambiamento: con l’avvicinamento tra James e Lily, era stato inevitabile, difatti, che anche i due si ritrovassero a passare sempre più tempo assieme.
Contrariamente a quanto aveva sempre pensato – ovvero che l’avrebbe odiata soltanto per le attenzioni che James le rivolgeva – Sirius aveva approfittato di ogni istante con lei per cercare di conoscerla meglio, per andare oltre il superficiale rapporto che avevano instaurato in quegli anni di scuola.
Lily aveva sempre pensato a sé stessa e a Sirius come al cactus e al palloncino: incompatibili per natura. E, con il passare dei mesi, seppur avesse rivalutato determinati aspetti di quel ragazzo che aveva sempre considerato inavvicinabile, aveva capito che non sarebbe mai riuscita a capire cosa celasse veramente il suo sguardo: erano troppo diversi per riconoscersi.
«Come stai?» le chiese, tamburellando le dita sul bicchiere.
Lily si strinse nelle spalle «Affamata e assonata»
«Una combo vincente» ironizzò, senza alcun reale divertimento «Non dovresti muoverti da sola per il castello»
La rossa gli rivolse un’occhiata interrogativa, continuando a masticare il cioccolato.
«Hai già dimenticato cos’è successo a Mary l’anno scorso? L’hanno attaccata proprio quando era da sola»
Lily fu percorsa da un brivido al ricordo e scosse velocemente la testa, sperando di allontanare quella spiacevole sensazione da sé e concentrarsi sulla determinazione che aveva velato gli occhi della sua amica dopo quel terribile episodio «Quei vermi non possono togliermi la libertà, Sirius. Non posso permettere loro di avere tanto potere sulla mia vita»
Il moro tornò a guardare il bicchiere, mentre un sorriso sprezzante s’impossessava del suo volto «Già, la libertà»
Lily corrugò appena la fronte, confusa da quel commento. Seguì la direzione dello sguardo dell’altro, ritrovandosi ancor più sconcertata nel realizzare che stesse bevendo del latte.
«Pensavo lo prendessi solo con James» ammise, incerta, indicando il bicchiere con un cenno del capo.
Sirius annuì impercettibilmente «Magari una doppia dose mi evita davvero gli incubi» sussurrò, assente.
«Che tipo di incubi?» domandò, curiosa, spinta dal desiderio di conoscerlo meglio, di riuscire a scavalcare quel muro che lui erigeva tra sé stesso e tutti gli altri – quel muro dietro cui James e Remus le assicuravano ci fosse il ragazzo migliore del mondo.
Sirius sospirò, continuando a tenere lo sguardo basso «Quelli che sogni e quando ti svegli, ti rendi conto che sono reali» poi scosse la testa «Lascia stare, non puoi capire»
Lily si portò un altro cubetto di cioccolato alla bocca, masticandolo con distrazione. In quel momento, non aveva la benché minima idea di cosa Sirius stesse dicendo. Quegli incubi di cui parlava potevano riguardare il suo passato, oppure i suoi amici, o forse la persona che gli piaceva, poteva trattarsi di una banalità o forse di una questione di fondamentale importanza. Lily non lo sapeva: Sirius era un mistero troppo complesso da svelare – ma lei non aveva alcuna intenzione di lasciarsi scoraggiare.
«Mettimi alla prova»
Il ghigno arrogante ricomparve «Se sapessi cose tanto brutte, smetteresti di parlare con me»
«Io lo so che tu non sei una brutta persona, Sirius Black»
Il diciassettenne le lanciò un’occhiata perplessa, probabilmente stupito dalla sicurezza con cui Lily aveva pronunciato quelle parole – eppure, James glielo ripeteva sempre che Lily sapeva vedere la bellezza negli altri, soprattutto quando gli altri non riuscivano a vederla in sé stessi.
«E quindi secondo te una persona che abbandona il fratello e che non riesce ad avvicinarglisi per orgoglio, non è un brutta persona?»
Lily rimase interdetta: quella non era la domanda che si sarebbe aspettata e, soprattutto, quello era l’ultimo argomento che avrebbe voluto affrontare. Non era ancora in grado di parlare del rapporto con sua sorella senza provare una spiacevole sensazione alla bocca dello stomaco, ma sapeva che avrebbe dovuto farlo per Sirius, per quel ragazzo convinto che non ci fosse una persona capace di comprenderlo, che non aveva lo stesso supporto e quel barlume di speranza che i suoi genitori, invece, offrivano a lei.
«Io ho una sorella» disse, giocando nervosamente con la carta della cioccolata «Lei è una Babbana e mi considera un mostro. Eppure, io so che è solo invidia, che anche lei vorrebbe essere una strega e, la cosa peggiore, è che io non posso fare nulla per cambiare questa situazione. A casa a stento ci parliamo, al massimo litighiamo. Vorrei dirle che mi dispiace, per qualsiasi cosa io abbia fatto, ma il pensiero che lei mi odi davvero e possa rifiutarmi, mi terrorizza. Quindi, sono bloccata in questo limbo di incertezze»
Sirius la scrutò, rispecchiandosi in quella triste sfumatura che gli era tanto familiare «Come si esce dal limbo?»
Lily sospirò «Non lo so, Sirius» ammise in un sussurro.
Per la prima volta, Lily realizzò che non ci fossero né cactus, né palloncini, ma solamente due ragazzi provenienti da mondi differenti accomunati da un dolore troppo intenso per essere spiegato, troppo difficile per essere compreso da chi non lo aveva provato sulla propria pelle. Perdere un fratello, o una sorella, era come perdere una parte di sé: dopo, non si era più gli stessi.
Sirius allungò il bicchiere di latte verso di lei e, per la prima volta, guardandosi, si riconobbero.
 
31 dicembre 1977
 
A ridestarla dai suoi pensieri fu il suono del campanello.
Si augurò che i Dursley non fossero arrivati con anticipo: non aveva alcuna intenzione di restare bloccata in inutili convenevoli con persone che avevano cresciuto un tipo come Vernon.
Controllò velocemente lo zainetto in pelle nera dentro cui, grazie all’Incantesimo di Estensione Irriconoscibile, aveva riposto tutto il necessario per le notti che avrebbero passato da James e per il ritorno ad Hogwarts – avevano deciso, dopo una lunga discussione di dieci secondi prima di scendere dal treno, di tornare a scuola tutti assieme per godersi appieno quegli ultimi giorni di vacanza.
Quando sua madre la richiamò a gran voce dal piano inferiore, Lily non poté fare a meno di imprecare: le mancava solamente imbattersi nei genitori tronfi del tricheco per peggiorare il suo stato d’animo.
Nascose la bacchetta nella manica del maglioncino e mise lo zaino sulla spalla, decisa a fingere di essere in ritardo e di dover scappare, così da non dover necessariamente trattenersi in una conversazione sgradita.
Scese velocemente le scale, pronta a mettere in scena la parte del Bianconiglio, ma arrestandosi a metà della rampa.
«Guarda, Lily, il tuo amico James è venuto a prenderti!» esclamò suo padre, con un sorriso divertito che sua figlia sapeva bene preannunciasse guai.
David Evans era un uomo dalla corporatura piuttosto robusta, folti capelli biondi che spesso cambiavano pettinatura ed espressivi occhi verdi. L’aria ostile conferitagli dalla sua stazza e dai lineamenti marcati del viso veniva smentita nell’istante stesso in cui sorrideva: nessuno avrebbe potuto aver timore di un uomo dal sorriso così amichevole.
Secondo il parere unanime delle sue figlie, poi, era il padre migliore che esistesse al mondo: seppur rigido sulle regole e ferreo nelle decisioni, era stato sempre presente, attento, affettuoso. Non aveva mai fatto mancare le sue figlie di un abbraccio o un consiglio, di una carezza o una risata. Aveva insegnato loro ad andare in bicicletta e guidare, quale fosse il valore della famiglia e l’importanza dell’onestà. Le aveva sostenute, spronate, incoraggiate, appoggiate nelle idee più assurde e tenuto la mano nei sentieri nuovi. Aveva fatto sentire l’amore incondizionato per entrambe attraverso sguardi che esprimevano più di quanto le parole avrebbero mai potuto fare.
«Lily» la richiamò James, con un tono di rimprovero che la fece accigliare «Ma ti sembra possibile che ti lascio per una settimana e diventi ancora più bella?»
La rossa sgranò gli occhi perché no – no. James non poteva averle seriamente fatto un complimento dinnanzi ai suoi genitori e a sua sorella, non poteva aver reso quella situazione ancor più imbarazzante.
Lily scese gli ultimi gradini con gli occhi ridotti a due fessure «Tu, invece, sei il solito ranocchio» rispose, rifilandogli una linguaccia nella speranza di farlo desistere dal continuare quel teatrino.
Si sarebbe data da sola della bugiarda se non avesse avuto una reputazione da mantenere: stretto in quel cappotto nero, con i capelli disordinati ed il sorriso raggiante sul volto, James era ancora più bello dell’ultima volta in cui lo aveva visto – o, semplicemente, era caduta nell’ingannevole trappola dell’amore.
«Allora ho bisogno del bacio della mia principessa!» esclamò James, soddisfatto, senza riuscire a toglierle gli occhi di dosso.
Lily, fingendo una risata e giurandogli una morte dolorosa con lo sguardo, si annotò mentalmente di non raccontargli più le storie babbane per i bambini.
«Rose» la richiamò David, con un’aria da finto tonto «Non so a te, ma a me lui non sembra tanto un amico»
La donna roteò gli occhi, con un sorriso divertito sul volto «È bello poter finalmente dare un volto ad un nome che sentiamo così spesso, James» disse, togliendo sua figlia da quella scomoda situazione solamente per gettarla in un’altra altrettanto sconveniente.
Il volto di James parve illuminarsi a quelle parole «Signora Evans, il piacere è mio! Lily parla sempre di voi, siete i migliori genitori babbani che esistano!»
«Oh, beh, ti ringrazio, credo» ridacchiò, porgendogli una mano «Chiamami pure Rose»
James ricambiò la stretta della donna, ripetendo poi la stessa scena con David, che si mostrò altrettanto cordiale.
Lily sentì la rabbia crescerle dentro quando Petunia, con i capelli biondi acconciati in una coda alta e in quel vestitino rosa confetto che evidenziava il fisico esile ed il collo lungo, accettò con sdegno la mano offertale da James.
Il moro si ritrasse a disagio, mentre Rose rimproverava la maggiore delle sue figlie con uno sguardo irato.
«Quindi adesso vi… materializzerete! Sì, materializzerete a casa di James, giusto?» domandò David, entusiasta di aver ricordato un termine per lui tanto inusuale.
Lily, intenerita dagli sforzi del padre, annuì.
«D’accordo, mi raccomando, valgono le stesse raccomandazioni di sempre» le disse, con un tono più serio.
Lily gli rifilò un’occhiata divertita «Se ti ubriachi non vomitare sulle scarpe e ricordati che fine ha fatto zio Mark?»
«Bravissima, tesoro» rispose, annuendo solennemente «E adesso andate, non vorrete fare tardi… tu e il tuo amico James!»
«Papà»
«Oh, andiamo, tu mi hai praticamente preso per scemo per un anno chiamandolo “amico”, è tempo di riprendermi la mia rivincita»
Rose sospirò sonoramente, scuotendo la testa «Dovevo saperlo, io, che stavo sposando un bambino!» esclamò, mentre Lily si affrettava a recuperare il suo cappottino nero dal mobile all’ingresso.
«Senti, ragazzo» riprese poi David, mettendo una mano sulla spalla di James.
Il ragazzo sollevò entrambe le sopracciglia «Sta per farmi promettere di prendermi cura di sua figlia? Come la scena che abbiamo visto nel film! Lils, te lo ricordi quel film?»
Lily annuì, esasperata, avvolgendosi una sciarpa attorno al collo.
David rivolse un’occhiata sconcertata al giovane «Cosa? No! Mia figlia sa badare a sé stessa. Stavo per dirti di armarti di tanta pazienza»
«Ah, menomale, perché io le avrei risposto che è Lily a prendersi cura di me» rispose, fingendosi sollevato e reggendogli il gioco.
L’uomo lo guardò interdetto per qualche secondo, prima di aprirsi in una risata divertita e cingergli le spalle con un braccio, tirandoselo contro «Questo ragazzo mi piace!»
Le reazioni delle tre Evans non avrebbero potuto essere più diverse: Rose si limitò a sorridere affettuosamente, già consapevole dei pensieri del marito riguardo a quel famoso James – “Insomma, Rose, non l’ho mai vista così felice. Chiunque lui sia, non può essere un cattivo ragazzo, no? E poi rispettano sempre il coprifuoco”; Lily li guardò allibita, chiedendosi se suo padre fosse impazzito o se il suo ragazzo avesse davvero la capacità di conquistare chiunque con poche parole – dopotutto, James era riuscito ad ottenere un posto speciale persino nel cuore della McGranitt, quindi, in effetti, non capiva di cosa continuasse a sorprendersi; Petunia, invece, emise un verso stizzito che richiamò immediatamente l’attenzione dei presenti e nemmeno l’occhiata minacciosa di sua madre riuscì a fermare la sua lingua velenosa.
«Certo, Lily, complimenti. Sei riuscita a rubarmi ancora la scena! Dillo che vuoi l’attenzione di mamma e papà tutta per te! Dillo che hai fatto venire il tuo strambo ragazzo qui apposta, così che i nostri genitori si ricordassero di questa serata per lui! Sei la solita!»
Lily non ebbe il tempo di reagire, perché Petunia voltò loro le spalle e salì velocemente le scale, sbattendo la porta della sua camera.
David e Rose si scambiarono uno sguardo eloquente e, mentre il primo si affrettava a riprendere un tono scherzoso per incoraggiare i due ad uscire di casa, l’altra si scusava con James per il comportamento di sua figlia.
«Dai, Lily, altrimenti farete tardi» la spronò David, accarezzandole una spalla.
Lily registrò distrattamente le parole che suo padre le sussurrò all’orecchio quando l’abbracciò, così come rispose superficialmente alle raccomandazioni di sua madre e al “ti voglio bene” che entrambi le rivolsero e che non avrebbe sentito fino alle vacanze pasquali. Come se fosse estraniata da quella scena, vide James dare la mano ai suoi genitori e congedarsi con un sorriso forzato, anticipandola poi lungo il vialetto che li avrebbe condotti fuori dalla proprietà degli Evans.
Nemmeno il vento che andò a sferzarle il volto riuscì a farla ridestare dal tumulto che s’era insinuato prepotentemente nel suo petto. Non poteva credere che sua sorella fosse venuta meno all’unico accordo che fossero riuscite a sancire in quegli anni di dispute; che, alla prima occasione, avesse dimostrato di essere ancora quella ragazzina frivola e meschina che le aveva urlato d’odiarla, anni prima.
Quando Petunia aveva annunciato di voler presentare il suo fidanzato alla loro famiglia, le due sorelle avevano stretto un patto: mettere da parte i propri dissidi e mostrarsi cordiali nei confronti dei rispettivi ragazzi. Lily aveva rispettato l’accordo ogni volta che s’era ritrovata a fronteggiare quel pallone gonfiato di Vernon, non poteva credere che Petunia, invece, senza neppure dare a James l’opportunità di farsi conoscere, lo avesse già etichettato come “strambo” e avesse fatto una scenata innanzi a lui.
Lily strinse i pugni per la rabbia, continuando a camminare nell’ombra del suo ragazzo e fermandosi quando James, una volta imboccata la strada che li avrebbe condotti al vicolo buio in cui smaterializzarsi, si voltò verso di lei.
Solo in quel momento, dandole la possibilità di guardarlo in volto, Lily poté notare quell’espressione amareggiata.
«Mi dispiace, è tutta colpa mia»
La ragazza corrugò la fronte «Ma di che stai parlando?»
«Volevo venire a prenderti per cercare di sdrammatizzare la tua ansia, volevo dirti di averlo fatto così siamo pari e non potrai rinfacciarmi nulla e… volevo distrarti, non peggiorare la situazione»
Lily prese un respiro profondo, inclinando il capo all’indietro e spostando lo sguardo verso il cielo, dove le nuvole s’apprestavano a diradarsi e lasciavano piena visuale sui colori caldi del tramonto che iniziavano a sfumarsi in quelli freddi della sera.
Si fece persuadere lentamente dalla calma e dalla serenità che quel panorama riusciva a regalarle, decidendo d’accantonare tutte le emozioni negative che sua sorella era sempre in grado di riaccendere.
Quando riportò la sua attenzione su James, gli sorrise. Si avvicinò di un passo, gli circondò il volto con le mani e si alzò sulle punte per baciargli lenta le labbra, aspettando che l’altro cedesse alla necessità di riassaporare quelle sensazioni, prima di ritrarsi di pochi centimetri.
«Tu non hai nessuna colpa» gli disse, lambendo la sua bocca ancora una volta «Mia sorella è una stupida. Lei è sempre invidiosa di tutti, non riesce ad essere mai felice per gli altri. È scattata perché mio padre non si è comportato così Vernon, quando lo ha conosciuto» spiegò, roteando gli occhi al ricordo di quella noiosa cena d’estate che aveva dovuto sorbirsi «Certo, magari tu avresti potuto evitare una battuta o due, ma sono felice che tu sia venuto»
Lily aveva sempre temuto quel momento. Aveva tremato alla sola idea di poter perdere quella leggerezza da sempre caratteristica del suo legame con James. La leggerezza che era riuscita a farle stampare quel sorriso che sfoggiava con tanto orgoglio sul volto, la leggerezza con cui avevano imparato ad amarsi – era nella capacità di saper sorridere dinnanzi a tutto che stava la forza del loro rapporto.
E, invece, ancora una volta, lo aveva sottovalutato: lui, che ormai vantava di conoscerla meglio di chiunque altro, aveva compreso le sue paure e le aveva scacciate, ridotte ad un ricordo di cui, un giorno, avrebbero riso assieme. Si era presentato con quel suo fare spavaldo e il sorriso serafico, aveva reso palese il suo ruolo di fidanzato e l’aveva fatto con leggerezza. Quella leggerezza che – e ora Lily lo sapeva – sarebbe stata per sempre loro.
James, sinceramente rincuorato da quelle parole, le sorrise entusiasta e la tirò a sé per baciarla con un maggiore coinvolgimento, con una crescente passione, con un calore che, se fosse stato proiettato al di fuori del suo corpo, avrebbe potuto sciogliere tutta la neve circostante.
«Sono davvero simpatici, i tuoi» le disse, mentre Lily saltava sul muretto ed apriva le braccia per restare in equilibrio, ricominciando a camminare.
«Lo so» rispose, divertita, appoggiandosi per un attimo alla mano che James che le porgeva sempre quando saliva lì sopra – e in ogni istante della sua vita.
«Chi è zio Mark?» chiese poi, curioso.
«È il fratello di mio padre. Da giovane si è ubriacato così tanto che è finito in un rovo selvatico ed ha passato la nottata al pronto soccorso a farsi togliere spine dal sedere. D’allora si tiene a debita distanza dagli alcolici e mio padre adora riportarcelo come esempio» raccontò, ridacchiando.
James la guardò di sottecchi «Ora ho capito da chi hai preso»
«Che vorresti insinuare, Potter?» domandò, cercando di risultare intimidatoria.
Il giovane si strinse innocentemente nelle spalle «Mah, sai… questa tua dipendenza dagli alcolici, finire in situazioni pericolose…»
«Disse l’angelo astemio!» sbottò, dandogli uno scappellotto, favorita dall’altezza del muretto «E poi io so darmi un contegno»
«Le tue care amiche non la pensano così» la provocò, ghignando.
Lily lo fulminò con lo sguardo «Le mie amiche sono delle bugiarde. Non ho mai elogiato i tuoi addominali»
James inarcò un sopracciglio, sfoggiando il suo sorriso più malandrino «Chissà chi era, allora, quella ragazza nel letto con me il giorno prima di partire… e quello prima ancora e… sì, ora che ci penso, parecchie altre volte prima. È evidente che io mi stia confondendo con un’altra, perché quella ragazza aveva apprezzato di buon grado i miei addominali, ma se non sei tu…»
Lily scese dal muretto con un saltello, gli si parò dinnanzi e incrociò le braccia al petto «Prova ancora ad alludere alla presenza di altre ragazze nel tuo letto e la prossima volta, Potter, te lo taglio»
James si lasciò andare ad una risata divertita «Evans, lo sai che mi fai impazzire quando diventi aggressiva» continuò a stuzzicarla, seguendola nel vialetto a passo leggero.
La rossa scosse la testa «James, stiamo per incontrare i tuoi genitori, puoi evitare di farti venire un’erezione?» domandò piccata, decisa a fargliela pagare per averla incastrata con la faccenda degli addominali.
«Dovevi pensarci prima di metterti quella gonna» la canzonò, avvolgendole le braccia attorno alla vita e tirandosela contro, facendo aderire la sua schiena al proprio petto e posando le labbra sul suo orecchio «Te l’ho già detto che sei bellissima?» sussurrò, lasciandole un delicato bacio sulla guancia prima di materializzarli entrambi a Godric’s Hollow.
Lily si tenne stretta alle braccia di James per qualche secondo quando si ritrovarono in una stradina deserta al confine con quella che aveva l’aria d’essere una foresta – adesso, completamente innevata – occupata solamente da una singola abitazione: Villa Potter si ergeva imponente e maestosa per due piani, caratterizzata dalla tipica architettura vittoriana e dai colori tenui che si sposavano perfettamente con il paesaggio circostante.
«I miei genitori non sono in casa» disse James, prendendole una mano «È tradizione che mia mamma prepari un dolce di sua invenzione e lo porti a tutti i parenti e gli amici più stretti. Lo mangeremo anche noi, dopo cena»
Lily si rilassò impercettibilmente ma s’accigliò quando, invece che dirigersi verso la porta d’ingresso, a cui si accedeva dopo aver superato un vialetto costellato di alberi e siepi ben curate, James la guidò verso il cancello laterale dell’alta staccionata in legno – che, presumibilmente, delimitava il cortile posteriore.
Quando l’aprì, Lily si ritrovò ad ammirare uno scenario incantevole in cui l’inverno non sembrava esser mai arrivato: un manto d’erba si estendeva vivido su tutta la superficie, robusti alberi verdi circondavano la recisione e delle aiuole fiorite coloravano il giardino di un’intensa vivacità. Fili di luci calde si attorcigliavano attorno ai trochi e sulla struttura in legno sotto cui era posto un lungo tavolo, già apparecchiato per una ventina di persone nei più minuziosi dettagli. Delle amache erano legate tra gli alberi in lontananza e, al di là di una fila di arbusti, si vedevano sputare gli anelli di un campo di Quidditch.
«Bello, eh? Rimane così tutto l’anno» disse James, richiudendosi il cancello alle spalle e togliendosi il capotto, rimanendo con una semplice camicia bianca ed un jeans scuro «Vuole darmi il suo soprabito, madame?» domandò poi, inchinandosi.
Lily annuì distrattamente, porgendogli il capotto e continuando a guardarsi attorno ammaliata, lasciandosi contagiare da quel clima accogliente.
«Vieni, ti faccio vedere la casa» disse James, avviandosi verso un’ampia porta-finestra vetrata che s’apriva su un grande soggiorno.
«Ma avete l’elettricità!» esclamò Lily, meravigliata, alzando lo sguardo sul lampadario che troneggiava sulla stanza «Pensavo che non funzionasse, con la magia»
James ridacchiò «Non funziona solo se c’è troppa magia, come nel caso di Hogwarts» spiegò, avanzando lungo un corridoio e arrivando nella spaziosa cucina dal taglio tradizionale – dove Lily indicò meravigliata il frigorifero solamente per far ridere il suo ragazzo.
In tutta la casa prevaleva un arredamento classico e lussuoso dai colori chiari e delicati; le pareti erano piene di quadri, magici e non, e di fotografie che rappresentavano tutta la crescita di James e diversi momenti di famiglia – non si sorprese di vedere il volto di Sirius ricorrere con una certa costanza.
Le mostrò la camera sua e di Sirius – che avevano deciso di condividere nonostante la casa vantasse numerose stanze – che altro non era se non una fedele riproduzione della loro stanza nella Torre dei Grifondoro. E, infine, tornarono nel giardino dove si sarebbe tenuta la festa.
«Evans!»
Lily si voltò immediatamente, notando un Sirius in jeans neri e maglietta bianca avanzare a braccia aperte verso di lei, con il chiaro intento di abbracciarla.
«Da dove sbuchi fuori?» domandò lei, perplessa, baciandogli una guancia.
«Io e Lunastorta ci stavamo godendo la quiete prima della tempesta» spiegò, indicando le amache che Lily aveva intravisto in lontananza.
«La quiete arriva dopo la tempesta, Sirius» lo rimbeccò Remus, spuntando alle sue spalle.
La rossa sorrise ma, prima di saltargli al collo, notò una nuova ferita, non ancora propriamente rimarginata, spiccare sulla guancia dell’amico. Quell’anno la luna piena era caduta proprio il giorno di Natale e, privo delle distrazioni d’altri animali, il lupo aveva riversato rabbia e frustrazione su sé stesso.
Eppure, nonostante quel taglio, una luce serena animava i suoi occhi verdi – o castani, a seconda della luce – ed era un sorriso gioioso quello presente sul suo volto.
I due si scambiarono un abbraccio e, l’attimo dopo, il giardino venne invaso dalla risata allegra di Alice, dai borbottii di Marlene, dalle chiacchiere di Mary e dal vociare di tutti gli altri invitati che erano arrivati con una puntualità sconcertante.
Ancor prima di fare presentazioni o di rendersi conto di chi fosse effettivamente presente a quella festa, James propose di giocare una partita a Quidditch e, recuperate tutte le scope necessarie, s’alzarono in volo in una sfida che vedeva schierati, infantilmente, i maschi contro le femmine.
Lily, per solidarietà femminile, aveva scommesso contro Sirius che sarebbe stata Marlene ad acciuffare quel Boccino e non James – seppur fosse pienamente consapevole che James fosse imbattibile anche come Cercatore, e non solo come Cacciatore, che era il ruolo che ricopriva ad Hogwarts. Dunque, quando si rese conto che James fosse troppo vicino al Boccino, volò a terra e recuperò la propria bacchetta, portandosela alla gola e sussurrando un “Sonorus” prima di assicurarsi la vittoria.
«JAMES, SONO INCINTA!»
Lo sbigottimento costò a James un giro della morte che permise a Marlene di acciuffare il Boccino. Le ragazze atterrarono e Lily alzò un braccio per esultare, ma una voce alle spalle le gelò il sangue.
«Oh, quindi stiamo per diventare nonni?»
Si voltò di scatto.
Fleamont ed Euphemia Potter erano lì.
E lei, voleva sprofondare.
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice
Ed ecco la seconda parte di questa storia! Come avevo preannunciato, non sono riuscita a concluderla in questo capitolo, ma conto di farlo nel prossimo.
Ho voluto dare un po’ di spazio al personaggio di Petunia perché volevo mettere in evidenza come, secondo me, le cose tra loro non si siano semplicemente rotte nel momento in cui Lily è partita per Hogwarts, ma che una briciola d’amore l’una per l’altra sia rimasta nascosta nei gesti più banali… alla fine, però, Petunia rimane corrosa dall’invidia, quindi non ho potuto che darle quel risvolto.
E Sirius lo spazio lo ha preteso – non fatemene una colpa, come alcuni di voi sanno, lui riesce sempre a ricavarsi delle righe tutte per sé.
Spero che la parte su come Lily gestisce il suo dolore sia riuscita a farvi inquadrare meglio il personaggio!
Ovviamente, non poteva mancare la parte in cui James conosce i genitori di Lily!
Non ho appositamente illustrato chi sono tutte le persone che prendono parte alla festa, sia perché è bene dedicare loro più spazio, sia perché volevo concentrare l’attenzione sulla scena finale che, purtroppo per Lily, la vede vittima del suo stesso inganno.
Ringrazio le persone che l’hanno recensita, coloro che hanno inserito la storia tra le seguite e le preferite, e anche coloro che mi hanno scritto un messaggio privato!
Alla prossima,
Traumerin

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Capitolo 3
*** 03 ***


31 dicembre 1977
 
Lily ricordava che, quando aveva appena otto anni, scartando la carta di una caramella si era procurata un taglietto poco profondo sull’indice da cui era uscita una stilla di sangue. Un taglietto che sulla sua pelle sensibile si era trasformato in un forte bruciore, ma non avrebbe più dato la soddisfazione a sua sorella, che attendeva la solita reazione, di deriderla per i suoi modi infantili.
Lily si era corrucciata e aveva fissato quel taglietto finché David, attirato in cucina dall’insolito silenzio, non l’aveva trovava a trattenere le lacrime. Lacrime che non si erano formate tanto per il dolore, quanto per la rabbia: lei voleva solo mangiare una caramella, non ferirsi!
A quel punto, dopo averle disinfettato il taglietto e averci messo sopra un cerotto, suo padre l’aveva fatta sedere sulle proprie gambe e aveva detto: “Abbiamo due modi per affrontare queste situazioni, Lily. Possiamo arrabbiarci e prendercela con tutti, rovinandoci una giornata che potrebbe essere bellissima e sprecando tempo dietro ad un qualcosa che ormai è passato e per cui non c’è soluzione. Oppure, possiamo decidere di continuare a sorridere alla vita e andare avanti più leggeri. Scegli tu, qual è secondo te la strategia migliore”.
Lily, reduce dei discorsi di sua madre sull’importanza del sorriso, aveva ritenuto piuttosto saggio optare per la seconda scelta e, d’allora, aveva deciso di adottare una filosofia di vita che faceva spesso ridere i suoi amici: dinnanzi ad un compito a sorpresa – soprattutto della McGranitt –, alla mancanza del pollo a cena o all’escremento di un volatile proprio sulla sua testa, Lily iniziava un monologo ironico rivolto a Merlino, a Dio o a uno dei Fondatori, in cui solitamente chiedeva ai sopracitati se riuscissero a peggiorarle ulteriormente la giornata.
Quando, quel pomeriggio, dinnanzi ai suoi capelli disastrosi aveva sbottato un “Grazie, Godric, non potevi fare di meglio!” non si sarebbe aspettata che il Fondatore a cui era tanto devota la prendesse come una sfida personale e la gettasse in una situazione decisamente più imbarazzante di un’acconciatura riuscita male.
Invece, adesso, si trovava a doversi presentare ai genitori del proprio ragazzo dopo aver alluso ai rapporti sessuali che aveva con lui. Era quasi tentata di chiedere al vecchio Godric se si fosse divertito abbastanza ma, temendone la risposta, decise di tenerlo fuori dai suoi pensieri almeno per tutta la serata.
La prima cosa che Lily notò della coppia innanzi a sé, fu l’assurdo taglio di capelli di Fleamont Potter: non poteva credere di essersi fatta tanti problemi per incontrare un uomo dalla capigliatura incasinata almeno quanto quella del figlio.
Se non fosse stato per la chioma brizzolata, gli occhi neri come la pece e i segni dell’età che marcavano il viso sottile ed il corpo slanciato dell’uomo, le sarebbe sembrato d’avere dinnanzi James stesso. Il sorriso sul volto s’alzava nella medesima piega divertita, lo sguardo si riempiva della stessa scaltrezza, la risata si levava nell’aria con un’ilarità che Lily, ormai, considerava familiare.
Se i geni di Fleamont si erano prepotentemente manifestati in quasi tutta l’anatomia del figlio, quelli di Euphemia erano riusciti a conquistare uno dei dettagli più importanti: gli occhi.
Gli occhi di Euphemia possedevano quella sfumatura ambrata che regalava allo sguardo un allettante magnetismo ed un’affabile cordialità, una caratteristica che, assieme ai lineamenti morbidi, al sorriso gentile e alle accennate rotondità, le conferiva un’infinita dolcezza.
Fu quell’aura di tenerezza che aleggiava attorno alla donna a darle il coraggio di rispondere.
«Nessun nipotino in arrivo, mi serviva solamente una scusante per distrarre James e far vincere la mia squadra» disse, con tremito nella voce – avrebbero pensato che fosse un’imbrogliona incapace di perdere?
Fortunatamente, Fleamont si aprì in una risata allegra proprio mentre James atterrò al suo fianco, pizzicandole dispettosamente un braccio.
«Mi hai ingannato» la accusò, imbronciandosi «La vittoria è comunque nostra»
«Mi dispiace, James, ma un vero giocatore di Quidditch non si sarebbe fatto distrarre da nulla nel mezzo di una partita. Accetta la sconfitta»
Il ragazzo aprì la bocca per ribattere, ma la voce sarcastica e decisa della madre lo anticipò.
«Jamie, pare proprio che tu abbia trovato pane per i tuoi denti» disse, ammonendolo con lo sguardo ed imponendogli di far cadere quella discussione per mostrare le buone maniere che gli avevano insegnato.
James roteò gli occhi, ma non si sottrasse alle richieste della madre «Lily, loro sono i miei genitori, Fleamont ed Euphemia. Mamma, papà, lei è Lily»
Lily si trattenne dal ridere: avrebbe voluto punzecchiare James, approfittare del suo nervosismo per prendere in giro il suo orgoglio e fargli pesare come fosse riuscito a farsi sgraffignare il Boccino ad un passo dalla vittoria, sfotterlo bonariamente per il modo insolito in cui s’era fatto ammansire dalla madre e stuzzicare la sua presunzione da “grande uomo che non si piega per nessuno”. Ma lo sguardo risoluto – benché infinitamente dolce – di Euphemia la fece desistere dal suo intento: temeva che quella donna fosse ben più severa di quanto si mostrasse a primo impatto.
«È una gioia poterti finalmente conoscere, cara» le sorrise la donna dai capelli di un rosso ormai sbiadito, privi della loro originaria lucentezza ed acconciati in un’elegante pettinatura dietro la testa.
Lily ricambiò il sorriso e si lasciò stringere con impaccio in quell’abbraccio inaspettato, abbozzando qualche parola cordiale e fulminando James con lo sguardo quando lo vide così divertito dal suo disagio.
«Sai, Lily» iniziò Fleamont, dopo averle stretto amichevolmente la mano «Ci sembra di conoscerti da una vita! È da quando ha undici anni che James continua ad infilare il tuo nome in una conversazione appena ne ha la possibilità!»
«Sempre molto simpatico, papà» ironizzò il moro, scoccandogli un’occhiata annoiata.
«Oh, suvvia, Fleamont, così la metti in imbarazzo!» lo rimproverò sua moglie, mettendo un braccio attorno alle spalle della ragazza «Ignora questi due testoni, cara, adorano indispettirsi a vicenda»
Lily, con le gote colorate di una sfumatura vivace, annuì immediatamente, chiedendosi quante e quali informazioni sul suo conto James avesse snocciolato ai suoi genitori.
«Fle!» Sirius arrivò alle spalle di Fleamont, scombinandogli giocosamente i capelli prima di affiancarlo e rivolgergli un sorriso entusiasta «Ti unisci a noi per una partita?»
L’uomo tentò di dare una parvenza d’ordine alla sua capigliatura – senza alcun risultato – e gli rivolse uno sguardo minaccioso «No» rispose, in un tono altezzoso «Voglio risparmiarvi un’umiliazione davanti ai vostri amici»
Sirius sghignazzò, appoggiandosi alla spalla di James, che guardava il padre con un sorriso altrettanto beffardo «Ma lo hai sentito, Ramoso?» chiese, derisorio «Lui vuole risparmiare un’umiliazione a noi
«Non ha il coraggio di accogliere la sfida… ormai non è più un vero Grifondoro!»
Quelle parole sembrarono toccare un tasto dolente, per Fleamont, cui sguardo s’accese di una nuova determinazione «Tieniti pronto a rimangiare quelle parole, James, perché ti ricordo che quei geni da Grifondoro che ti scorrono nel sangue, sono i miei» lo avvertì, puntandogli un dito contro «Quanto a te, vedi di non piangere troppo, quando ti straccerò!» aggiunse, rivolgendosi a Sirius.
I due ragazzi si scambiarono uno sguardo d’intesa, mentre Euphemia scuoteva la testa. «Fleamont, hai più di sessant’anni, non fare sciocchezze!»
«Guardami, Phemia, sono ancora arzillo come un ragazzino!» esclamò l’altro, facendo un saltello prima d’allontanarsi con un euforico Sirius al suo fianco.
La donna sospirò, rassegnata, congedandosi per preparare la cena e non vedere quel “rincitrullito di mio marito spappolarsi al suolo”.
James ridacchiò, voltandosi verso Lily «Tu vuoi giocare?» le chiese, scostandole dal volto un ciuffo sfuggito allo chignon in cui aveva legato i capelli durante la partita.
Lily scosse la testa «Penso di averti umiliato a sufficienza oggi, non credi?»
Il ragazzo sbuffò una risata, sfilandole dispettosamente l’elastico «Mi hai fatto prendere un colpo con quella frase»
«Sarebbe stato così tragico, se fosse stato vero?» domandò, curiosa.
James arricciò il naso, circondandole la vita con le braccia «No, tragico no. Inaspettato, ma comunque meraviglioso»
Lily sgranò gli occhi «Meraviglioso? Noi abbiamo diciass-»
«Sto solo dicendo» la interruppe, con uno sguardo divertito «Che, se dovesse capitare, non mi tirerei indietro e amerei lui o lei quanto amo te»
Non avevano mai affrontato quel discorso, prima d’allora. Entrambi avevano espresso il desiderio di avere una famiglia e dei figli ma nessuno dei due aveva avuto il coraggio di aggiungere quel “con te” che avrebbe dato una svolta decisamente più seria al loro rapporto – dopotutto, entrambi pensavano che fossero troppo giovani per imbarcarsi in un discorso di tali dimensioni.
Era evidente, però, che quelle parole fossero scontante e superflue, poiché immaginare un futuro senza l’altro era come immaginare un cielo notturno senza stelle, privo della sua peculiarità più incantevole: infinitamente buio ed eternamente incompleto.
La rossa sorrise apertamente, stringendosi al corpo del suo ragazzo e baciandogli una guancia «Com’è che a volte diventi così smielato, Potter?»
«Com’è che invece tu riesci ad essere sempre così cinica, Evans?» la rimbeccò, pulendosi la guancia con la mano «Ma perché ti devi truccare? Per me sei perfetta anche senza questi cosi!»
Lily gli rivolse un’occhiata beffarda «E pensi che io mi trucchi per te? Sei un povero illuso, amore, se ancora non hai capito che l’unica persona a cui voglio piacere, sono io»
James sospirò, seccato «Vuol dire che continuerò a togliertelo» rispose, scrollando le spalle e chinando la testa, mordendole il labbro inferiore e passandovi sopra la lingua per rimuovere quello strato di lucido «Inizio quasi a pensare che tu lo faccia apposta…» mormorò sulle sue labbra, prima che Lily si alzasse sulle punte per reclamare un vero bacio e mettere a tacere quei dubbi fin troppo sensati – non poteva dargli anche quella soddisfazione.
Decisero poi d’avvicinarsi agli altri, impegnati in un giro di presentazioni con il padrone di casa. Escluso Frank e i gemelli Prewett, che avevano avuto modo di conoscere i Potter in altre occasioni – “I traditori del sangue puro fanno fronte unito!” le aveva detto anni prima – le ragazze, come Lily, non avevano mai incontrato i genitori di James.
«Gemelli Prewett, voi siete di nuovo Battitori uno contro uno, usiamo ancora un solo Bolide» disse il Capitano di Grifondoro, rivolgendosi ai due ragazzi di diversi anni più grandi di tutti loro «Pete e Mary, Portieri» continuò «Sir e Dorcas Cacciatori di una squadra, papà e Frank dell’altra. Io e Marls, Cercatori» concluse, soddisfatto delle sue formazioni «Remus, Lily e Alice, sicuri di non voler giocare?»
I tre annuirono contemporaneamente e si andarono a sedere su una panchina, in una posizione strategica che permetteva loro d’avere un’ottima visuale sulla partita.
«Strano che tu e Sirius non abbiate scommesso» rifletté Remus, aggiustandosi il colletto della camicia celeste.
«Ha già una scommessa in atto con Fleamont» spiegò Lily, osservando il suo ragazzo alzarsi in volo e realizzando, ancora una volta, che James fosse nato per stare una scopa – e la conseguente tristezza all’idea che avrebbe accantonato quel sogno per affrontare una realtà ben più cruda.
«Come ti sembrano i suoi genitori?» domandò Alice, facendo sbucare la sua testolina bionda al di là del corpo di Remus.
«Sembrano simpatici» rispose, incerta «Uhm… Rem, so che James è il tuo migliore amico ma… hai un debito con me, ricordi?»
Il castano le rifilò un’occhiataccia «Come potrei dimenticarlo?»
Lily gli sorrise, strizzandogli affettuosamente una guancia e perdendosi nel ricordo di quel giorno fatidico: i Malandrini l’avevano trascinata nella loro stanza subito dopo cena, avevano posto degli incantesimi per assicurarsi che nessuno sentisse e avevano aspettato che Remus le rivelasse di essere un Lupo Mannaro prima di trasformarsi in degli animali.
Lily era uscita dalla stanza senza dire una sola parola e si era rifiutata di parlare con chiunque avesse provato ad avvicinarla nei giorni successivi, finché, un pomeriggio, rientrando nella Sala Comune, non si era avvicinata a Remus e aveva iniziato a colpirlo ripetutamente con la sua borsa, mentre Sirius convinceva quei pochi studenti presenti ad andarsene, Peter gettava dei Muffilato tutt’attorno e James provava a frenare la sua ira. Ma Lily, dopo averlo picchiato ed insultato pesantemente, era caduta al suo fianco sul divano e gli aveva rivolto uno sguardo velato di lacrime: “Come hai potuto pensare che me ne sarebbe importato qualcosa, Rem? Credevo che, dall’anno scorso, avessi iniziato a considerarmi una vera amica, che ti fidassi di me”. Difatti, da quando i due erano diventati Prefetti, Lily aveva scoperto qualità che non si sarebbe mai aspettata in un ragazzo così introverso, sulle proprie, con un sorriso sempre cordiale sulle labbra ma che sorrideva davvero solamente con i suoi amici: Remus non era solo gentile ed educato, ma iper-premuroso, super-disponibile, dotato di una sensibilità tale da permettergli di entrare in sintonia con una persona e di compenetrare nel suo stato d’animo. Sfoggiava, inoltre, una sottile ironia che si mescolava perfettamente al sarcasmo pungente di Lily e la loro comune avversione verso la sfera sentimentale li univa in un rapporto di massima complicità.
In quell’ultimo anno di amicizia, Lily aveva avuto dei sospetti sulla natura del suo amico ma, ogni volta, li aveva messi a tacere con la convinzione che Remus non sarebbe mai stato capace di nasconderle una verità tanto importante. Venire a conoscenza che, invece, l’altro Prefetto non l’aveva ritenuta degna di fiducia, era stata una pugnalata per il suo animo, per quel sincero affetto che aveva iniziato a nutrire per colui che considerava uno dei suoi più cari amici.
Remus, quella sera, non aveva riposto alla domanda di Lily. L’aveva stretta in un abbraccio e, in quel gesto, aveva racchiuso tutte le parole che non sarebbe mai riuscito a dire, ad esprimere il suo dispiacere, la sua frustrazione, ma anche la sua contentezza e quel “ti voglio bene” che non c’era mai stato bisogno di esplicitare.
Lily gli aveva rivolto poi un’occhiata seria, gli aveva detto che fosse in debito con lei e, se l’avesse fatta arrabbiare, avrebbe spifferato a tutti il suo “piccolo problema peloso” – come James le aveva suggerito di definirlo.
«Bene, perché sto per dire una cosa che James non dovrà mai sapere» disse la rossa, assicurandosi che il suo ragazzo fosse ben lontano «Sua madre mi inquieta. Sul serio, ragazzi, è troppo dolce. Non è umanamente possibile che tanta tenerezza sia concertata in una sola persona»
Remus si aprì in una risata divertita «Phemia? Stai scherzando, Lils? È la persona più innocua del mondo!»
«Senti, tu sai quanto James sia orgoglioso, no? Era stato appena ingannato nel Quidditch, che per lui è sacrosanto e, invece di ribattere come mi aspettavo che facesse, si è zittito con una sola occhiata di sua madre! James! James che ha osato rispondere alla McGranitt dopo che lei gli aveva esplicitamente detto di non dire neanche una parola!»
Il ragazzo sollevò entrambe le sopracciglia «E quindi? Per quanto quei due venerino e temano la McGranitt, provocarla rimane il loro principale obiettivo. Euphemia è sua madre, è normale che sia l’unica persona capace di rimetterlo in riga con uno sguardo! E non hai ancora visto come diventa Sirius in sua presenza!»
Lily si corrucciò, ma Alice non le diede il tempo si esporre i suoi timori.
«Voglio conoscerla» affermò, alzandosi in piedi «Mi avete incuriosita! E poi non può essere peggio di Augusta, la madre di Frank, che mi ha praticamente sottoposto ad un esame quando mi ha conosciuta»
«No» rispose Lily, nello stesso istante in cui Remus si alzò, trascinando con sé anche la rossa, che oppose una resistenza talmente debole da non sembrare nemmeno credibile.
Lily, in fondo, era curiosa di conoscere Euphemia. Aveva sempre pensato che i genitori di James, a causa dell’età avanzata, non avessero mai avuto le forze necessarie per stargli dietro, di imporsi dinnanzi alla sua vivacità e di seguirlo con attenzione nel suo percorso di vita. D’altra parte, stando ai continui elogi di James, aveva creduto che lo avessero ricoperto di amore, che lo avessero sempre viziato e accontentato in ogni richiesta, che non gli avessero mai fatto mancare il loro appoggio e la loro completa fiducia.
Vedere James abbassare la testa dinnanzi ad una sola occhiata, l’aveva stordita: l’idea della dolce donnina che si era creata nella sua testa nel momento in cui l’aveva vista, si era caricata di una connotazione ben più intimidatoria – avrebbe osato dire minacciosa.
Seguì silenziosa Remus ed Alice, fermandosi accanto allo stipite della porta della cucina. Euphemia, stretta in un vestito bordeaux che le cadeva morbido sino ai piedi, canticchiava le parole di una canzone che Lily riconobbe all’istante: era il disco che aveva regalato a Sirius per Natale – possibile che quella signora fosse interessata alla musica rock?
Quando si accorse della loro presenza, smise di tagliere le carote, si pulì le mani con uno strofinaccio e rivolse loro un ampio sorriso.
«Phemia, volevo presentarti Alice. Ali, lei è Euphemia» disse Remus, mentre la donna gli lasciava una distratta carezza sul braccio.
«È un piacere conoscerla, signora Potter, e grazie per averci ospitati, stasera» rispose cordiale Alice, allungando una mano.
«Il piacere è mio, cara, sia di conoscerti che di avervi tutti qui. E sentiti libera di chiamarmi per nome, non sono così vecchia!» si rivolse poi a Remus «Già che sei qui, tesoro, potresti andare in cantina a recuperare un po’ di quel vino che piace tanto a mio suocero? Quello prodotto in Italia»
«Oh, verrà anche Henry?» domandò il ragazzo, sorpreso «Ci sarà da divertirsi, allora» ridacchiò, mentre Euphemia annuiva «Ali, vieni con me»
Lily lo fulminò con lo sguardo ma non ebbe modo di ribattere, costretta a mordersi la lingua quando la bionda le passò davanti con un’espressione beffarda sul volto.
«Non hai preso parte alla partita, cara?» le chiese Euphemia, tornando al bancone per riprendere a tagliuzzare le carote.
«No, stare su una scopa non mi fa sentire molto a mio agio, nonostante James abbia provato ad allenarmi, in quest’ultimo anno»
La donna sorrise, scuotendo appena la testa «Posso solo immaginare la sua… persuasività» disse, esasperata «Da bambino diceva che si sarebbe fidanzato soltanto una giocatrice di Quidditch» riferì, roteando gli occhi.
«Immagino che abbia ritrattato le sue condizioni, allora» rispose Lily, divertita «O che abbia un piano segreto per farmi diventare una giocatrice professionista»
«Non escluderei la seconda opzione» scherzò Euphemia, facendo cadere le carote tagliate in una ciotola «Voi Grifondoro sapete essere piuttosto testardi, quando volete»
Lily corrugò la fronte «Lei non è una Grifondoro?» domandò, curiosa – e leggermente confusa: non avrebbe mai scordato il suo primo giorno sul treno per Hogwarts, quando James aveva platealmente affermato che sarebbe finito nella “culla dei coraggiosi di cuore! Come mio padre”. Aveva dato per scontato che anche la madre fosse finita nella stessa Casa ma, evidentemente, si era sbagliata.
«Lily, dammi del tu, te ne prego» l’ammonì dolcemente «E no, io sono una Tassorosso»
Lily non aveva mai pensato che i colori del cravattino definissero una persona, né aveva mai visto nell’appartenenza a diverse Case un motivo di scontro – ne era stata testimone la sua amicizia con Severus – e faticava a capire come quella divisione avesse messo radici talmente forti nella società magica da diventare addirittura causa di separazioni – la storia di Sirius e del suo Smistamento ne era esempio lampante.
«Dalla tua faccia, desumo tu pensassi che fossi una Grifondoro» ridacchiò Euphemia, togliendo una teglia dal forno «Lo hanno pensato tutti gli amici di James, stai tranquilla» la rassicurò «Sirius non mi ha creduto finché non ha visto delle fotografie di quando ero giovane!»
«Probabilmente è perché James è così fissato con l’essere un Grifondoro, che viene spontaneo pensare che entrambi i suoi genitori lo fossero» ipotizzò Lily, stringendosi nelle spalle.
«Potrebbe essere come dici tu, ma non sempre i figli prendono dai genitori. Prendi il mio Sirius: tranne l’aspetto e qualche tratto caratteriale, lui non ha niente a che fare con le persone che lo hanno messo al mondo!»
«E menomale» mormorò, prima d’aggiungere «È stato fortunato a trovare voi»
«Oh, no, cara, no» Euhpemia scosse la testa, con un sorriso addolcito sul volto «Siamo noi quelli fortunati. Sirius ci riempie la vita di gioia, proprio come James, non potrei più pensare alla nostra come una famiglia composta solamente da tre individui»
La ragazza annuì, per poi sbuffare, in un tono intriso d’affetto «Sirius sa come farsi amare»
La donna le rivolse un’occhiata meravigliata, che subito si colorò di una sfumatura materna «Sembra che non solo mio figlio abbia trovato un fratello»
Lily fu tolta dall’imbarazzo di una risposta dal ritorno di Remus ed Alice, con più bottiglie di quante Euphemia ne avesse effettivamente richieste.
«Assaggia questo, tu che sei un esperto» disse la padrona di casa, raccogliendo con un cucchiaino un po’ di crema al cioccolato da una ciotola.
«Spettacolare» approvò Remus, dopo un verso d’apprezzamento «Fai il tuo dolce speciale?»
«Sì. Ma vi ho ripetuto mille volte che non è il mio dolce, è solo un dolce babbano»
«Oh, oh!» esclamò Alice, euforica «È il mandamisu? Portamisu!»
Euphemia la guardò confusa, mentre i due amici si lasciavano andare a delle risate divertite.
«Ah, voi Purosangue!» la canzonò bonariamente Remus «Tiramisù, Ali» la corresse, vedendo la bionda rivolgergli una linguaccia infantile «Non è quello il dolce di Phemia, però»
«Non è niente di speciale» ci tenne ad aggiungere la donna, armeggiando con quelle che avevano l’aria d’essere delle sfoglie di pasta «Lo assaggerete dopo cena, adesso andate pure a godervi la partita»
Remus annuì e s’avviò verso l’uscita, seguito da una saltellante Alice.
«Posso restare a darti una mano?» domandò invece Lily, che non trovava affatto giusto lasciarla da sola a preparare la cena per tutti loro.
«Mi farebbe molto piacere, cara» le sorrise «Potresti sbucciare e tagliare le patate a tocchetti mentre io mi occupo del dolce? Puoi anche usare la bacchetta, se ti è più comodo»
Lily scosse la testa, avvicinandosi alla ciotola contenente le patate ed afferrando un coltello dal portaposate «Sono abituata a fare le cose alla babbana» rispose, ironica «Neanche tu usi la magia, vedo»
«Cucinare mi rilassa» ammise, stendendo uno strato di crema sulla sfoglia.
«Stai preparando il millefoglie? È quello il dolce speciale?» chiese, speranzosa – era il suo dolce preferito dacché ne avesse memoria.
«Sì!» esclamò la donna, raggiante «Io e mio marito abbiamo viaggiato molto prima della nascita di James e quando, in Francia, abbiamo assaggiato questo dolce, non siamo più riusciti a separarcene. Anche James sa prepararlo, sai?»
«Davvero?» domandò, stranita.
«James è un portento in cucina!» affermò Euphemia «Sin da bambino ha sempre voluto aiutarmi a preparare qualsiasi cosa. Preferiva passare ore ai fornelli piuttosto che imparare dal padre semplici pozioni» ridacchiò, persa in ricordi preziosi.
Anche Lily sorrise quando l’immagine di un piccolo James indaffarato in cucina si creò nella sua mente, chiedendosi perché non le avesse detto nulla di quel talento: era solito pavoneggiarsi di tutto ciò che gli riusciva bene – a malincuore, Lily doveva ammettere che la lista era piuttosto lunga.
«Anche a te piace cucinare?» domandò la donna, incuriosita.
Lily fece una smorfia «Uhm… diciamo che, al posto di James, io avrei preferito seguire Fleamont»
Nella sua testa affluirono una serie di spiacevoli ricordi in cui aveva rischiato di mandare a fuoco la casa, in cui la caffettiera era esplosa, la frittata si era attaccata al soffitto prima di ricaderle in testa, una fetta di carne era diventata una pietra e una povera torta alle mele era stata avvelenata da un’indicibile quantità di zucchero.
Lily aveva sempre provato a superare quella sua incapacità, aveva costretto sua madre ad insegnarle a cucinare qualcosa di commestibile, si era impegnata per apprendere almeno le ricette più semplici e, all’età di diciassette anni – diciotto nel giro di un mese – aveva capito che, da adulta, avrebbe vissuto di cibo d’asporto.
Euphemia annuì «James ti descrive come la futura pozionista più promettente che ci sia. Ci ha detto che stai lavorando a delle pozioni»
«Per ora ho solo delle vaghe idee» cercò di minimizzare «Mi piacerebbe riuscire a creare qualcosa che possa effettivamente aiutare gli altri»
«Qualcosa in cui è necessario dell’aconito?»
Lily sgranò gli occhi, sorpresa «Come lo sai?»
«Perché James ha detto che sei la persona più altruista che esista, che saresti disposta a tutto per i tuoi amici. E io, ormai, ho capito che tutti i pozionisti che conoscono Remus non possono che provare a fare qualcosa per la sua condizione»
La rossa sollevò entrambe le sopracciglia «Tu sai di Remus?» chiese, sbigottita «E quindi anche Fleamont…?»
«Sì, è stato Remus a dircelo, un paio d’anni fa. Beh, lo conosciamo da quando ha undici anni, avevamo i nostri sospetti, ma siamo felici che si sia fidato di noi tanto da dircelo. D’allora Fleamont cerca di concentrare tutte le sue energie per trovare una soluzione al suo problema. Tosca solo sa quanto spero che ci riesca» sospirò, rattristata «Remus non abiterà qui, ma questo non vuol dire che io non lo consideri un figlio. Ha bisogno d’amore tanto quanto Sirius. Oh, e Peter! Peter è un tesoro, ci ha messo un po’ a conquistarmi, ma adesso lo adoro!»
Lily si aprì in una risata ilare «Peter è l’inodiabile, lo abbiamo soprannominato così. Anche quando combina un pasticcio, nessuno riesce ad essere arrabbiato con lui per più di cinque minuti, anche perché James tende ad entrare in modalità papà-orso»
In realtà, erano tutti estremamente protettivi nei confronti di Peter: era visto come il piccolo del gruppo, l’individuo più insicuro, quello che andava costantemente rassicurato. Lily non lo aveva mai degnato di grande attenzione ma, da quando James l’aveva incoraggiata ad aprire un dialogo con lui, aveva scoperto che dietro quegli occhietti spauriti e quei balbettii intimoriti, si nascondeva un ottimo ascoltatore, un buon consigliere e un leale amico – mai avrebbe dimenticato il giorno in cui aveva visto Peter correre come un pazzo dal campo di Quidditch al dormitorio solamente perché James aveva lasciato lì il suo portafortuna; né la volta in cui aveva saccheggiato la scorta di cioccolato dalle cucine solamente per Remus; tantomeno quando aveva rubato l’ultima Pozione Peperina di Madama Chips per somministrarla ad un ammalato Sirius.
«James vorrebbe aiutare tutti i suoi amici a superare le loro debolezze» disse Euphemia, in un tono rassegnato «Pensa che gli spetti questo compito perché crede di non averne!» continuò, in uno sbuffo esasperato «Converrai con me che è un paradosso, visto che le sue debolezze sono proprio le persone a cui tiene!»
Lily annuì, memore di una conversazione avuta con lui non più di qualche mese prima. Accoccolati nel tepore delle lenzuola, in quella Stanza nascosta che permetteva loro d’avere la giusta intimità, James le aveva esposto tutte le sue paure: la condizione di Remus gli avrebbe mai permesso di trovare un lavoro degno delle sue capacità? Sirius avrebbe dovuto combattere in una guerra contro suo fratello? Peter sarebbe riuscito a capire il suo valore? Adesso che Sirius aveva ricevuto l’eredità di suo zio e la possibilità di essere autonomo ed indipendente, avrebbe smesso di abitare con lui e considerarsi parte della sua famiglia? Remus e Peter sarebbero rimasti al loro fianco, anche se non condividevano la prospettiva di diventare Auror? Lui avrebbe sempre potuto contare su quelle che considerava le persone più importanti della sua vita? Sui fratelli che non aveva mai avuto?
«Io so che mio figlio si lega facilmente alle persone e che vorrebbe evitare ai suoi amici qualsiasi sofferenza, ma spero che questo non lo renda cieco» aggiunse la donna, quando non ottenne una risposta «Viviamo in tempi difficili, è fondamentale scegliere con cura chi vogliamo al nostro fianco e… sai, James ha la capacità di far uscire i lati migliori di una persona, ma a volte non riesce a vedere quelli peggiori. Spero che questo non lo faccia finire nei guai»
Lily non si aspettava di toccare un argomento così serio al primo incontro con la madre di James, ma era chiara l’urgenza di Euphemia di dar sfogo alle sue preoccupazioni, ai pensieri di una madre che avrebbe visto il figlio immergersi in quella guerra che stava diventando sempre più opprimente, sempre più reale.
«Io non lo permetterei mai» disse, schiarendosi la voce per risultare più sicura di sé «Non gli permetterei mai di finire nei guai» specificò, rendendo chiaro il vero significato di quelle parole: mi prenderò cura di lui.
La donna le sorrise in un tacito ringraziamento e fu costretta a far cadere il discorso quando sentirono dei passi avvicinarsi alla cucina.
«Ehi, eccoti!» esclamò James, raggiungendola.
Un seccato Sirius fece il suo ingresso poco dopo, sedendosi sul bancone su cui Euphemia stava lavorando e immergendo un dito nella crema al cioccolato, portandoselo alla bocca.
«Sirius!» lo rimproverò lei, schiaffeggiandogli appena un braccio.
«James ci ha fatto perdere la partita!» si lamentò, arrabbiato «Ha preso la Pluffa invece del Boccino! La Pluffa!»
«Fratello, te l’ho detto, è stato un attimo di distrazione. Sono un Cacciatore, io! Ho visto la Pluffa passarmi davanti agli occhi e l’ho presa, è stato un riflesso involontario!»
Sirius gli rivolse un’occhiataccia e si mantenne dal prenderlo a parole solamente grazie alla presenza di Euphemia.
«Black, tu lo sapevi che James sa cucinare?» domandò Lily, per sviare la faccenda della partita.
Il moro le rivolse uno sguardo infastidito, per poi saltare giù dal bancone e rivolgersi a James «Questo è il motivo per cui dovresti stare con me e non con lei. Io ti conosco, almeno»
«Ma infatti lei è solo la mia amante» rispose l’altro, accigliandosi «Tu rimarrai sempre la mia prima scelta»
Sirius annuì, soddisfatto della risposta «Vado a prendermela ingiustamente con Marlene e a togliere lo spumante di mano a Fleamont»
«Cosa?!» intervenne Euphemia, infervorandosi «Lo spumante ci serve per brindare a mezzanotte! Oh, adesso mi sente!» sbottò, recuperando la propria bacchetta per ripulirsi le mani «Jamie, continua tu»
Sirius, con una ritrovata allegria in prospettiva del rimprovero che avrebbe subito Fleamont, seguì correndo la donna fuori dalla cucina, facendo ridere di gusto James che, dopo essersi rimboccato le maniche, prese il posto della madre.
«Perché non mi hai mai detto di saper cucinare?» domandò Lily – l’idea di un futuro fatto di pranzi e cene normali la portava a sprizzare gioia da tutti i pori.
Il ragazzo si strinse nelle spalle «Non è mai uscito l’argomento, in realtà. Adesso, però, puoi ammirare le mie fantastiche doti culinarie» ammiccò, stendendo la crema al cioccolato sulla sfoglia «Assaggia qua» disse poi, raccogliendo la crema con un dito e portandogliela alla bocca «Le ho sempre detto che avrebbe dovuto aprire una pasticceria, ma lei non mi ha mai ascoltato»
Lily annuì «È buonissima» confermò, leccandosi il labbro inferiore per ripulirlo «E Sirius è arrabbiato perché ti sei davvero lasciato distrarre dalla Pluffa o perché hai lasciato vincere Marls?»
«Ehi, Marlene è la Cercatrice che io ho scelto per portare i Grifondoro alla vittoria. Non l’avrei presa se non fosse stata la migliore, smettetela di sottovalutare le sue capacità»
«Non hai risposto alla mia domanda» ribadì, invece, beffarda e ben consapevole di quale fosse la vertà: l’orgoglio e la presunzione di James cadevano sempre dinnanzi alla felicità dei suoi amici.
James roteò gli occhi, rifilandole altro cioccolato per farla tacere e ammonendola con lo sguardo «Tu, piuttosto, di cosa hai parlato con mia madre?»
«Cose molto generali» disse, tornando a prestare attenzione alle patate «Non pensavo fosse così legata anche a Remus e Peter»
«Remus e Peter vengono qui quando possono dal primo anno, ormai» spiegò, mettendo lo strato di sfoglia sulla crema «All’inizio Peter non le piaceva, lo sai?» raccontò, con un sorriso divertito «Era convinta che mi gironzolasse attorno solo per trarne vantaggio a scuola»
«Come ha cambiato idea?» domandò Lily, attenta a non tagliarsi.
«Immagino che con il tempo si sia dovuta ricredere. A lei piace inquadrare subito le persone e Peter era troppo timido per permetterglielo. Per essere una Tassorosso, la pazienza non è il suo forte»
La ragazza inarcò un sopracciglio «Ha cresciuto te, James, io credo proprio che sia la pazienza fatta persona. Chi altri ti avrebbe sopportato?»
«Uhm… non saprei» disse il ragazzo, spolverando la sfoglia con lo zucchero a velo «Conosci forse una certa Lily Evans?»
«Oh sì, è una ragazza fantastica!»
«Molto modesta»
«Obiettiva»
«Touché» ghignò, spostando il dolce sul tavolo e avvicinandosi per abbracciarla da dietro «È anche la migliore sbucciatrice di patate che esista» ridacchiò, lasciandole un bacio nell’incavo del collo.
Lily annuì solennemente «Uno dei miei miglior talenti»
«Io conosco altre cose in cui sei brava»
«Ah sì?»
«Mh-mh» confermò, mordendole piano la spalla scoperta «Farmi impazzire, per esempio»
Lily scosse appena la testa «Sento di nuovo la tua erezione, James» rispose, esasperata e divertita, cercando di ignorare i brividi provocati dal suo fiato caldo «Datti un contegno!»
James mugugnò contrariato, lasciandole un languido bacio sotto l’orecchio. La sensuale fragranza di fiori esotici intrisa di note legnose e con una vaga scia fruttata che Lily era solita spruzzarsi addosso e che ormai impregnava la sua pelle e i suoi vestiti, lo stava facendo uscire di testa.
Come poteva mantenere il controllo o far funzionare il suo buonsenso, quando il profumo così intenso di Lily stava lentamente uccidendo la sua razionalità?
«Conosco un posto dove non ci scoprirebbe nessuno» sussurrò, accarezzandole distrattamente lo stomaco.
«James, ho già dato con la mia dose di figuracce, ti prego» lo supplicò – il suo autocontrollo diventava sempre inaffidabile, in presenza di James.
James sospirò, lasciando cadere le mani lungo i fianchi e facendo un passo indietro.
Lily respirò profondamente per scacciare quelle tracce d’eccitazione. Tagliò l’ultima patata, si ripulì le mani e si voltò, trovandosi a pochi centimetri dal corpo del suo ragazzo che, stando alla sua espressione concentrata, doveva essere impegnato in pensieri disgustosi per distrarsi da quelli libidinosi.
«A che pensi?» gli domandò, posandogli una mano sul collo per richiamare la sua attenzione.
«Gazza»
Lily rise divertita e James la fulminò con lo sguardo ma qualsiasi risposta stesse per darle fu bloccata da una voce profonda e roca che, con spaventosa durezza, urlò “Maledetto disgraziato, stai ancora qua?!”.
La diciassettenne guardò il suo ragazzo con un certo sgomento, ma il moro s’aprì in un sorriso entusiasta e le prese la mano, conducendola fino alla porta d’ingresso, dove le si presentò una scena alquanto bizzarra.
Sirius era avvinghiato ad un uomo anziano piuttosto alto che cercava di scacciarlo via con il suo bastone, senza, tuttavia, fargli seriamente del male.
I capelli del signore erano bianchi e portati in un taglio corto ed ordinato, il viso avvizzito presentava i lineamenti definiti dei Potter e dei folti e lunghi baffi, gli occhi scuri esprimevano una severità che si rispecchiava nel suo tono serio e nella postura rigida. Indossava un sontuoso abito blu notte che metteva in risalto il fisico ancora possente – eppure, era certa che quell’uomo fosse più anziano del suo preside – e una sciarpa con i colori di Grifondoro per proteggersi dal freddo invernale – Lily iniziava a capire che quella fosse una fissazione che si tramandava con i geni.
«Nonno!» esclamò James, allegro, andandogli incontro per stringerlo dal fianco libero.
«Ti pare rispettoso far aspettare un anziano sulla porta, James? Dov’eri, invece di fare gli onori di casa come ci si aspetta da un Potter degno di questo nome?»
«Ma c’era Sirius» ribatté il ragazzo, roteando gli occhi.
«Questo delinquente mi ha già salutato!» lo rimproverò, suonandogli il bastone in testa «E ancora non mi hai dato un bacio, farabutto»
James scoppiò in una risata allegra, posando una mano sulla guancia di suo nonno e stampandogli un rumoroso bacio sull’altra.
«E vediamo, se in questa casa c’è bisogno della mia presenza per ristabilire un po’ d’ordine! Quel mascalzone di mio figlio deve essere più severo, con voi! Quella santa strega di Euphemia non vi merita neanche un po’! Non è questo il modo in cui noi Potter trattiamo le nostre signore!»
Lily mascherò una risata con un colpo di tosse quando vide James e Sirius mimare con le labbra le parole dell’anziano, cercando d’imporsi un minimo di contegno dinnanzi a quell’uomo tanto eccentrico: sarebbe stato un uomo piuttosto intimidatorio, se non fosse stato per la sciarpa e quelle esplicite richieste d’affetto.
«James!» lo richiamò sull’attenti, dopo aver spostato per pochi secondi lo sguardo inespressivo su Lily «Vuoi continuare a comportarti come un maledetto bifolco o vuoi presentarmi questa incantevole signorina?»
Il ragazzo si schiarì la voce per cercare di placare la sua risata «Nonno, lei è Lily. Lily, lui è mio nonno Henry»
Prima che Lily potesse fare un passo o tendere la mano per presentarsi, Henry rivolse un’occhiataccia al nipote.
«Ma Lily chi, James?! Avrà un cognome? Un’età? Cosa fa? E chi è?! Non sai neanche presentare una persona dignitosamente, adesso?» tuonò, suonandogli un’altra volta il bastone in testa e portando Sirius ad accasciarsi sul pavimento dalle risate.
Prima che la situazione degenerasse – ovvero, prima che anche lei gli ridesse in faccia – Lily decise di prendere l’iniziativa.
Avanzò verso Henry a passo spedito e mano testa «Mi chiamo Lily Evans, signore. Frequento l’ultimo anno ad Hogwarts, ambisco a diventare una pozionista e sono la fidanzata di James»
Lo sguardo severo dell’uomo si dissolse all’istante, lasciando spazio ad uno luminoso, buono, pieno d’ammirazione.
«Oh, carissima Lily, quale onore è per me poter finalmente fare la tua conoscenza. Ma guardati, così bella, fiera, forte. E dimmi, mirabile creatura, sei forse una Grifondoro?»
Lily gettò una veloce occhiata a James, che la pregava disperatamente di negare, mentre Sirius s’inginocchiava e spalancava gli occhi per cogliere ogni singolo istante di quello che doveva essere un momento assai importante.
Lily, solitamente, adorava essere complice di James e reggergli qualsiasi gioco, ma come poteva chiedere ad un’orgogliosa Grifondoro di negare il suo essere?
«Certamente» confermò, alzando appena il mento per lasciar trasparire quanto fosse fiera di esserlo.
«Splendida! Splendida!» esclamò, euforico «E dimmi, graziosa fanciulla, quale oscuro artificio ha usato quello squinternato di mio nipote per conquistarti? Ti tratta come si conviene ad una meravigliosa dea? Ti onora ogni giorno? Si comporta in maniera rispettosa e sempre corretta nei tuoi confronti?»
Lily sbatté le palpebre più volte, stordita da quel flusso di paroloni quanto dallo strano interesse del nonno di James per la loro relazione. Eppure, per quanto stravagante, Henry non poteva che ispirarle massima simpatia.
«James è un ottimo fidanzato» lo rassicurò, mentre Sirius borbottava qualcosa riguardo alla necessità di comprarsi una videocamera.
«Bene. Bene bene bene!» sorrise, entusiasta «Vuol dire che almeno in qualcosa siamo riusciti, con questo scellerato!» si complimentò con sé stesso «Io sono Henry Potter» si presentò poi, fingendo di baciarle il dorso della mano.
«È un piacere conoscerla, signor Potter»
«No, dolcissima Lily, no. Per te, solo Harry»
«Harry» ripeté, con un sorrisetto soddisfatto.
«Oh, Harry caro, mi era parso di udire la tua voce!»
Lo sguardo di Henry, da luminoso, divenne raggiante «Euphemia, mia amatissima, ogni volta sei una gioia per gli occhi!»
«Sei un bugiardo, Harry!» lo ammonì bonariamente, lasciandogli due affettuosi baci sulle guance «Hai già conosciuto Lily?» domandò, accarezzando la spalla della ragazza.
«Sì, deliziosa! Oh, Phemia, mi ricorda così tanto te quand’eri ancora una fanciulla! E hai visto com’è bella? Rossa e Grifondoro! Usciranno dei meravigliosi nipotini! E chissà se finalmente…»
«Chissà, Harry. Ma è presto per parlarne. Forza, vieni, mi serve il tuo sapiente consiglio» disse, avviandosi verso la cucina.
L’uomo si congedò a Lily con un piccolo inchino e seguì balzante la donna, lasciando da soli i tre ragazzi.
«Finalmente cosa?» domandò Lily, confusa.
«Chissà se finalmente riuscirete a dargli la nipotina femmina in cui tanto spera!» sghignazzò Sirius, scombinando i capelli del suo migliore amico «Per quanto ci date dentro, immagino che non dovrà neppure aspettare molto!» continuò, divertito «Ah, Lily, congratulazioni!» esclamò, riferendosi all’imbarazzante episodio di qualche ora prima.
Lily roteò gli occhi «Grazie, Sirius. Vorresti essere il padrino?»
«Non saprei… non è che Petunia si offende?»
«Ah! Questa è buona» rispose, scoccandogli un’occhiata sarcastica «Se lo affidassi a lei, lo chiuderebbe in un sottoscala soltanto per farmi un dispetto!»
Sirius fece una smorfia contrariata «Niente sottoscala per il mio figlioccio! Solo moto, partite di Quidditch e buona musica rock»
«Forse dovrei chiedere a Remus» rifletté, perplessa.
«Forse è meglio aspettare che ci sia davvero un bambino» s’intromise James, esasperato «Sir, avvisa Remus che è arrivato nonno, sicuramente vorrà salutarlo»
Sirius annuì, dirigendosi in cortile per avvisare l’altro Malandrino.
«Quindi tuo nonno vuole una femmina?»
«Come hai potuto ben notare, si sente molto più a suo agio a vezzeggiare una donna. Vorrebbe una bambina da viziare e coccolare, in pratica. E poi crede che le donne siano superiori agli uomini… dovevi vederlo con mia nonna, era pronto a baciare la terra su cui camminava»
«E prende sempre a parole voi maschi?»
«Sì. È il suo modo per esprimere affetto, non ha mezze misure. Ma vedrai che ti starà simpatico… dopo che avrai capito che tipo di persona è»
«Mi devo preoccupare?»
«Non sai neanche quanto»
 
 
 
Lily non aveva mai fatto uso di droghe, né di pozioni illegali capaci di alterare la sua condizione psico-fisica, eppure, era certa che la sensazione che avrebbe provato assumendo determinate sostanze, sarebbe stata molto simile a quella che stava provando.
Era stata una serata perfetta: Euphemia aveva preparato una cena capace di far concorrenza ai banchetti di Hogwarts, i suoi amici avevano raccontato imbarazzanti aneddoti sulla sua relazione con James, e Fleamont era riuscito a conquistarla parlando della sua esperienza come pozionista.
La sorella ed il cognato di Euphemia si erano uniti a loro prima di cena, ma Lily aveva fatto appena in tempo ad apprendere i loro nomi prima che Henry reclamasse la sua più completa attenzione: l’aveva fatta accomodare sul dondolo accanto a sé, le aveva raccontato la storia dei Potter partendo dai fratelli Peverell – dopo aver maledetto quell’ingrato del nipote per non averle parlato delle loro origini – e, con orgoglio, aveva affermato che quell’anno avrebbe compiuto cento anni. Si era poi immerso nella narrazione della storia della sua vita, del suo lavoro al Ministero, di come si fosse battuto affinché i maghi aiutassero i Babbani inglesi durante la Prima Guerra Mondiale, senza venir preso in considerazione da quella “massa di idioti senza cervello”. Con occhi che brillavano, le aveva parlato di sua moglie, le aveva affibbiato nomignoli e descrizioni talmente dolci che persino Lily, da sempre avversa a tutta quella sdolcinatezza, aveva desiderato essere amata con quella stessa intensità. Sorprendentemente, poi, con tono cospiratorio, le si era avvicinato per sussurrare “Mio nipote… è una canaglia, ma ha un cuore buono. Ascolta il consiglio di un vecchio: non lasciartelo sfuggire uno così, uno che sa amare davvero” seguito da un divertito “Magari puoi maltrattarlo un po’, giusto per fargli capire chi comanda”.
Lily aveva apprezzato la chiacchierata con Henry. Aveva scorto, in quell’anziano tanto bizzarro, gli stessi ideali che erano impressi nell’animo di James, quelli che il suo ragazzo portava avanti con fermezza e convinzione, nonché il medesimo sorriso e quel fare beffardo che, scambiando qualche parola anche con Fleamont, aveva capito essere caratteristici del cognome.
Si era seduta a tavola tra James e Marlene, di fronte a Mary, Alice e Frank ma, quando questi avevano iniziato un’accesa discussione su quale squadra di Quidditch fosse la migliore – c’erano in gioco il Puddlemere United, le Holyhead Harpies e i Cannoni di Chudley – Lily aveva costretto il suo ragazzo a scambiarsi di posto, ritrovandosi a fronteggiare Remus e i gemelli Prewett e ad affiancare Sirius che, ridendo, le aveva messo un braccio attorno alle spalle e l’aveva trascinata nella loro conversazione – ovvero, sulle varie ipotesi di come Fabian fosse riuscito a conquistare la bellissima ma glaciale Dorcas.
Lily ricordava vagamente Fabian e Gideon tra le mura di Hogwarts e aveva scoperto che erano stati invitati alla festa da Frank che, essendo un anno più grande di loro, aveva già intrapreso la carriera da Auror e aveva stretto un forte legame con i suoi colleghi più giovani.
I gemelli indossavano dei morbidi maglioni con le loro iniziali ricamate sopra e, con un sorriso divertito, le avevano mostrato una fotografia scattata quel Natale che ritraeva loro due con la sorella maggiore, Molly, suo marito Arthur, e i loro nipotini: Bill, di appena sette anni; Charlie, di cinque e il piccolo Percy, di uno.
“Molly aspetta due gemelli!” le aveva risposto Gideon quando Lily gli aveva chiesto se fosse incinta. “La stanno convincendo a dare ai bambini i loro nomi” aveva aggiunto Dorcas, esasperata, che ormai era diventata parte integrante della famiglia del suo fidanzato. “Mols farebbe di tutto per accontentarci, secondo me riusciamo davvero a convincerla” aveva affermato Fabian, con un’evidente soddisfazione.
A Lily avevano dato l’idea di una famiglia molto unita, una di quelle a cui bastava stare tutti assieme attorno ad un tavolo per raggiungere la più autentica felicità.
Solo al dolce James si era voltato per rivolgersi a Lily e s’era accorto che fosse ancora stretta nell’abbraccio di Sirius. Aveva fatto una scenata di gelosia, si era alzato in piedi, aveva sguainato la bacchetta come se fosse una spada e aveva sfidato il suo migliore amico a duello. Sirius non s’era lasciato sfuggire l’occasione per comportarsi come un bambino, aveva accolto la provocazione e i due avevano iniziato a scagliarsi qualche innocua Fattura prima di passare alle mani e, infine, rincorrersi per tutto il giardino.
Ad Euphemia era bastato iniziare un conto alla rovescia per richiamarli all’ordine e, una volta servito il dolce, era stata subissata dalle richieste di un estasiato Peter di essere adottato dai Potter e poter godere ogni giorno delle squisitezze preparate dalla donna – Euphemia aveva detto sì al “Phemia, posso-”.
James, rimettendosi nei panni di Capitano, aveva organizzato un’efficiente squadra di pulizia, vietando agli adulti – e in particolare a sua madre, che aveva preparato tutta la cena – di entrare in cucina.
Una mezz’ora e dodici bacchette dopo, tra barzellette squallide e indovinelli senza soluzione, ogni piatto era stato rimesso al suo posto e si erano ritrovati un’altra volta in giardino. Avevano trasfigurato una pietra in una palla e avevano inventato un gioco: “Facciamo dieci passaggi; al decimo, buttiamo la palla su qualcuno e, alla fine, chi rimane, vince!” – i Nati Babbani e Mezzosangue avevano deciso di tacere sull’esistenza di Schiacciasette, lasciando che i Purosangue si crogiolassero nella contentezza di qualcosa a cui i Babbani erano arrivati molto tempo prima.
Stanchi, poi, s’erano lasciati cadere sull’erba fresca finché Mary non aveva esclamato un “Ehi! Ma se cantassimo delle canzoni?” e Sirius era corso dentro casa per recuperare una chitarra e metterla tra le braccia di Remus – che lo aveva insultato e aveva rischiato di spaccargli la chitarra in testa, rifiutandosi categoricamente di suonare finché non aveva visto diverse bacchette puntarlo minacciosamente.
Da lì, era stato il caos: avevano intonato canzoni di ogni genere, urlando a squarcia gola e passandosi bottiglie di alcolici procurate con la scaltra e discreta cooperazione di un divertito Henry.
Avevano tentato di creare un testo che parlasse di tutti i professori di Hogwarts – con frasi come “Con la McGranitt non puoi fare obiezione perché lei subito ti mette in punizione”, “Se una E vuoi avere in Pozioni, a Lumacorno ti basterà fare adulazioni”, “Silente a volte è così strambo che tra qualche anno metterà un corso di mambo” – ma, dati i pessimi risultati, avevano deciso di accantonare quell’idea.
Quando l’alcol aveva iniziato a fare effetto anche su Remus, quel poco necessario per sciogliere i nervi, il castano aveva suonato le canzoni più scatenate del suo repertorio, portando gli altri a ballare in maniera sfrenata, improvvisandone mosse e parole. Si erano riuniti in cerchio, avevano saltato, piroettato, si erano dimenati in un ballo scomposto e si erano sballottati a vicenda, avevano traballato dopo un girotondo troppo veloce e si erano sfidati in una gara di twist.
Alice aveva persino trascinato Henry tra di loro e, il nonno di James, s’era rivelato un ballerino strepitoso, coinvolgendo tutti i giovani in balli di un’altra epoca e fomentando quel clima allegro e festoso che era calato su tutta la casa.
Sirius, palesemente ubriaco, aveva tentato disperatamente di convincere Marlene che fossero gemelli, con argomentazioni piuttosto credibili – “Ma noi abbiamo i capelli neri, e gli occhi chiari! E tu metti i jeans neri e le giacche di pelle come me!”. Sfinito, ma soddisfatto per essere stato assecondato da Marlene, si era lasciato cadere accanto a Remus e aveva posato la testa sulla sua spalla, continuando a svuotare una bottiglia di Whisky.
Remus aveva gradualmente rallentato il ritmo della canzone, fino ad arrivare a farle assumere dei contorni morbidi, quasi carezzevoli, perfetti per il lento che le coppie si erano apprestate a ballare.
Lily, Alice e Mary, dopo essersi scambiate un’occhiata complice, avevano spinto Marlene verso Gideon: per tutta la serata, i due si erano lanciati sguardi inequivocabili. La mora aveva fulminato le sue amiche con un’occhiataccia, ma Gideon l’aveva distratta immediatamente e l’aveva condotta verso le amache, dove avrebbero potuto scambiare qualche parola lontano da orecchie indiscrete.
Alice e Lily avevano trattenuto una risata dinnanzi alla faccia paonazza di Mary quando un timidissimo e imbarazzato Peter, incoraggiato da James e Frank, le aveva chiesto di ballare assieme. Le due ragazze, poi, avevano raggiunto i rispettivi fidanzati per danzare sulle note della dolce canzone.
Con la testa posata sulla spalla di James e le braccia del suo ragazzo a cingerle la vita, Lily si sentiva in pace. Il sorriso era ancora persistente sul suo volto e il cuore irradiava un piacevole calore che si diffondeva in tutto il corpo, regalandole una sensazione di pura quiete, di massima serenità.
«Vorrei che questo momento non finisse mai» fu il sussurro di James al suo orecchio.
Lily gli portò le braccia attorno al collo e lo strinse ulteriormente a sé, chiudendo gli occhi e lasciandosi inebriare dal profumo di James, quella fragranza boisé arricchita da alcune note verdi in una combinazione che le ricordava vagamente l’odore della foresta e le trasmetteva un senso di libertà.
Aveva sempre temuto che iniziare una relazione seria l’avrebbe privata di determinate libertà, che avrebbe messo delle catene attorno ai suoi polsi, che l’avrebbe lentamente trascinata in quel noto universo fatto di compromessi e accordi dove, per raggiungere la felicità di coppia, quella personale doveva essere ridotta, dove la totalità si reggeva su una scontenta frammentazione.
Si era sbagliata. James le aveva mostrato come l’amore fosse libertà. Libertà di essere sé stessi, ma insieme. L’amore non bloccava in una trappola fatta di controllo, dipendenza o possesso: l’amore liberava. L’amore assegnava una connotazione esclusivamente positiva alla libertà, non la oscurava, non cercava di assoggettarla, né di dominarla. Non erano valori posti su due polarità diverse, si trovavano sullo stesso piano, sulla stessa linea, erano legati indissolubilmente in un equilibrio di vitale importanza: non poteva esserci amore laddove non c’era libertà.
Tra le braccia di James, Lily si sentiva libera. E si sarebbe sentita libera sempre, ovunque. Si sarebbe sentita libera tra le mura di Hogwarts, in un campo di battaglia, nascosta in una casa o aggrovigliata tra le lenzuola. Si sarebbe sentita libera persino sottoterra, perché James aveva liberato la sua anima da ogni costrizione terrena e materiale e l’aveva fusa con la propria, in un’unione trascendente che neppure la morte sarebbe riuscita a separare.
«Ti amo» gli disse, rispecchiandosi in quelle iridi di cui si era profondamente innamorata «E non m’importa cosa ci riserverà il futuro, io ti amerò per sempre»
James sorrise, accarezzandole il volto «E io ti prometto che ti amerò con tutto me stesso ogni istante della mia vita» sussurrò, abbassando la testa per unire le loro labbra in un bacio che concretizzasse quel sentimento ormai totalizzante.
«Lily Evans che mi fa una dichiarazione d’amore… la fine del mondo deve essere proprio vicina» ironizzò, baciandola ancora una volta quando la rossa aprì la bocca per rispondergli male «Hai appena detto che mi amerai per sempre, sei poco credibile se mi prendi a parole» la stuzzicò, divertito, mordendole affettuosamente una guancia.
Lily scosse la testa, esasperata «Sei proprio una canaglia»
«E tu hai passato decisamente troppo tempo con mio nonno»
Entrambi si lasciarono andare ad una risata allegra e interruppero quel lento ondeggiare.
«È quasi mezzanotte» disse James, controllando il suo orologio «Forse è il caso di riunire tutti»
Lily annuì, guardandosi attorno e accigliandosi quando scorse Sirius ancora attaccato alla bottiglia «Perché gli stai permettendo di ubriacarsi così tanto?» domandò, indicandolo con un cenno del capo.
James sospirò, perdendo quella scintilla che aveva animato il suo sguardo fino a quel momento «A Capodanno la prima persona a cui dava gli auguri era Regulus… anche quando non si parlavano più. Lo facevano sembrare una sorta di incidente, sai, però in realtà ci tenevano entrambi, era un modo che avevano per dimostrarsi affetto, nonostante tutto» raccontò, a voce bassa «Anche l’anno scorso si è ubriacato tantissimo. Mi ha detto che preferisce non ricordare chi sia stata la persona a cui ha dato gli auguri per primo, piuttosto che ricordare che non sia stato Regulus»
Lily si strinse ulteriormente contro il corpo di James e si morse con forza il labbro inferiore, cercando d’imporsi di non farsi travolgere da emozioni familiari, di mantenere un controllo razionale. Era evidente che James non fosse in grado di opporsi alla decisione di Sirius, ma Lily non poteva incolparlo: lui non aveva idea di cosa si provasse e, terrorizzato all’idea di sbagliare, decideva sempre di assecondarlo.
Ma Lily no.
«Così non va» affermò, risoluta.
Si allontanò da James e raggiunse Sirius, facendo evanescere la bottiglia di alcol e lanciandogli un Incantesimo che lo facesse riprendere istantaneamente dalla sbronza che si era procurato con tanta fatica.
«Ehi!» protestò, infatti, scattando in piedi «Ma che vuoi?»
«Voglio che tu sia in te quando festeggeremo l’inizio di un nuovo anno» rispose, decisa.
Sirius aggrottò la fronte e serrò la mascella, ma Lily non gli diede il tempo di ribattere: gli si avvicinò, portandogli entrambe le mani sulle spalle e guardandolo negli occhi «Fa schifo, lo so, ma devi reagire» gli impose, con una determinazione nello sguardo che non lasciava spazio a nessuna replica «Anche questa è la tua famiglia, qui ci sono persone che ti vogliono bene e che hanno bisogno di te» continuò, cercando di andare oltre quel muro, di arrivare al suo cuore «Regulus non è qui, Sirius, e Petunia mi ha cacciata di casa perché non mi vuole con lei. Ma noi siamo qui, insieme, e possiamo scegliere come viverla: possiamo arrabbiarci e prendercela con tutti, rovinandoci una giornata che potrebbe essere bellissima e sprecando tempo dietro ad un qualcosa che ormai è passato e per cui non c’è soluzione. Oppure, possiamo decidere di continuare a sorridere alla vita e andare avanti più leggeri. Scegli tu, qual è secondo te la strategia migliore» concluse, rifilandogli la frase che suo padre le aveva rivolto quando era una bambina e che l’aveva guidata in tutta la sua crescita.
Sirius non le rispose. Le prese il volto tra le mani e le baciò la fronte, in un contatto talmente fraterno da scaldarle il cuore. Le accarezzò la guancia e accennò un sorriso, ringraziandola con lo sguardo prima di scartarla e gettarsi su James, chiudendolo in una morsa talmente stretta che Lily, ad un certo punto, temette che i due corpi si sarebbero fusi assieme - fisicamente, almeno, perché era certa che i due si fossero già uniti spiritualmente da molto tempo.
Un abbraccio che presto inglobò anche Remus e poco dopo Peter, un gesto che sanciva e confermava quell’amicizia profonda da cui erano legati e di cui nessuno di loro avrebbe mai potuto fare a meno.
«Prendiamo lo spumate, forza, mancano cinque minuti!» esclamò James, richiamando tutti i ragazzi e avviandosi verso la tettoia in legno sotto cui avevano mangiato, dove gli adulti si erano trattenuti a chiacchierare «Mamma, dov’è lo spumante?»
«Non so, Jamie, chiedilo a tuo padre» rispose Euphemia, fulminando il marito con lo sguardo.
Fleamont accennò un sorriso incerto «Potrei averlo consumato con i membri della mia squadra per festeggiare la vittoria»
«Papà!» esclamò James, esterrefatto «E ora con cosa brindiamo?»
«Whisky?» propose Mary.
«Sirius l’ha finito» rispose Remus, roteando gli occhi.
«Vino?» tentò Fabian.
«Harry se l’è bevuto tutto» riferì Euphemia, esasperata.
«Acqua?» chiese Alice.
«Non si brinda con l’acqua!» esclamò Lily, oltraggiata.
Provarono a trovare delle alternative finché Sirius, sgranando gli occhi, non diede un colpetto sulla spalla di James «Lattetempo!»
Frank inarcò un sopracciglio «È ancora ubriaco?»
«No» rispose James, estasiato «No, è un genio!» sorrise, stampandogli un bacio sulla testa «Forza, aiutami!»
I due ragazzi sparirono oltre la porta, uscendone qualche minuto dopo con intere bottiglie di latte in mano. Versarono il contenuto nei diversi bicchieri e ne distribuirono uno a ciascuno, recandosi poi nell’area più scoperta del giardino, dove avrebbero potuto ammirare i fuochi che i ragazzi avevano preparato quel pomeriggio.
«Dieci!»
Fleamont mise un braccio attorno alle spalle di Euphemia e le regalò uno sguardo carico d’amore.
«Nove!»
Henry alzò il capo verso il cielo, laddove era certo che sua moglie stesse vegliando su tutta la loro meravigliosa famiglia.
«Otto!»
Fabian strinse la mano di Dorcas nella propria.
«Sette!»
Marlene scambiò un sorriso timido con Gideon.
«Sei!»
Frank strinse Alice a sé.
«Cinque!»
Peter saltellò emozionato accanto ad un’allegra Mary.
«Quattro!»
Remus si lasciò tirare sotto il braccio di Sirius.
«Tre!»
James lasciò un tenero bacio sulla tempia di Lily.
«Due!»
Tutti si unirono in un grande abbraccio.
«Uno!»
Alzarono i calici.
«Buon anno!»
Il primo a ricevere gli auguri e ad essere sommerso d’affetto, fu Sirius: James gli baciò la guancia destra, Remus la sinistra e Peter lo abbracciò.
Lily venne subito raggiunta da James che, infischiandosene dei genitori a pochi passi da loro, la coinvolse in un bacio appassionato, rischiando persino di farle perdere l’equilibrio per l’irruenza con cui la tirò a sé.
Ogni coppia si scambiò un bacio, gli amici si abbracciarono, Euphemia e Fleamont strinsero in una morsa affettuosa James e Sirius, Henry sorrise bonariamente al nipote e a colui che aveva iniziato a considerare tale quando lo colsero di sorpresa e lo chiusero in una stretta calorosa.
Lily venne trascinata in un aggrovigliamento di arti dalle sue amiche storiche, scambiò degli auguri cordiali con gli zii di James, si lasciò abbracciare da Henry e sorrise emozionata quando Fleamont ed Euphemia le dissero di considerarla già parte della famiglia. Dondolò con Remus riempiendogli il volto di baci, si avvinghiò al corpo di Sirius e tornò felice tra le braccia di James.
«Brindiamo!» esclamò Frank, alzando il bicchiere.
Bastò loro guardarsi negli occhi, per capire che qualsiasi brindisi sarebbe stato superfluo. Non avrebbero brindato a quell’anno, perché, fuori da quella casa, la guerra imperversava minacciosa e avrebbe continuato a farlo.
Non c’era bisogno di brindare all’amore, o all’amicizia: l’essenza di tutto, era già lì. Era un’astrazione talmente forte da diventare concreta nei loro sguardi, nei baci, nelle carezze, negli abbracci. Era una presenza così tangibile da non aver bisogno d’essere celebrata. L’essenza di tutto era la felicità che straboccava dai loro cuori e rendeva quel momento così speciale.
«Al lattetempo!» brindò James.
«Al lattetempo!» fecero eco tutti gli altri.
«Ad un anno con te» sorrise Lily, facendo scontrare il suo bicchiere con quello di James.
«Ad una vita con te, amore mio» le sussurrò all’orecchio, stringendola a sé.
L’essenza di tutto, Lily la trovava tra le braccia di James e in un bicchiere di latte.
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice
Innanzitutto, ci tengo a scusarmi tantissimo per l’attesa. Perdonatemi, sono in piena sessione e trovare del tempo per scrivere non è stato facile ma… eccoci arrivati alla fine!
L’idea iniziale era quella di sviluppare una OS sul binomio leggerezza-libertà, poi quest’idea si è persa a causa della lunghezza della storia, ma spero che si riesca comunque a cogliere l’importanza di questi due aspetti che ho cercato di richiamare in tutti i capitoli.
Il fatto che Euphemia sia una Tassorosso e che Fleamont si sia impegnato per cercare una pozione per la licantropia, sono miei headcanon (così come il fatto che Lily ci abbia provato). Quanto raccontato sulla vita di Henry è vero e non so se abbia avuto rilievo nella scelta del nome di Harry – il nostro Harry – o se sia stata una casualità, ma non ho potuto fare a meno d’inserire questo personaggio.
Euphemia la immagino come una donna dal cuore immenso, pronta ad accogliere chiunque – ci tengo a specificare che non sta affatto parlando di Peter quando dice che ha paura che James si metta nei guai per la sua sconfinata fiducia nelle persone!
Ho dovuto dare un po’ di spazio a Remus (e credo che sia comunque troppo poco, argh!) perché è una presenza fondamentale quando si parla dei Malandrini.
Mi rendo perfettamente conto che l’attenzione ricada spesso su Sirius ma non posso farci nulla! Vedo lui e James come se fossero un’unica entità e Lily, come dice Euphemia, “vi ha trovato un fratello” – quindi mi è praticamente impossibile non dargli una certa importanza.
Ho cercato di mostrare due ragazzi, ognuno con le proprie debolezze e fragilità, che riescono ad unirsi in un rapporto sano, fatto di rispetto reciproco, di fiducia, di amore sincero.
Un grazie a tutte le persone che hanno letto la storia e un grazie di cuore a coloro che hanno speso del tempo a recensirla. Le vostre parole sono state tutte apprezzate, quindi GRAZIE!
Alla prossima!
Traumerin

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