Stereotipi che ti cambiano

di Vala
(/viewuser.php?uid=53013)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** se solo fossi magra ***
Capitolo 2: *** se solo fossi grassa ***
Capitolo 3: *** vorrei essere ricca ***
Capitolo 4: *** vorrei essere povera ***
Capitolo 5: *** se solo avessi più seno ***
Capitolo 6: *** se solo avessi meno seno ***
Capitolo 7: *** vorrei essere etero (maschio) ***



Capitolo 1
*** se solo fossi magra ***


Eccomi, sono io, la vostra amica cicciottella preferita! Guardatemi mentre rotolo giù per le scale, mentre mi dimeno come fossi morsa dalle tarantole per farmi notare da voi, esseri di sesso maschile che popolate il mio universo di amicosità. Eccomi, sono io, la vostra affettuosa consolatrice, che vi regge il gioco con i genitori con la sua aria da brava ragazza, che vi saluta la mattina con un sorriso dolce dolce, che vi passa i compiti e si dimostra sempre la prima a correre in vostra difesa per ogni problema o dubbio con qualche ragazza.
O anche con qualche uomo. D’altro canto, ormai più di tre dei miei amici sono dichiaratamente gay, e quando mai mi sono posta il problema di girare con voi? Mai. E quando mai mi sono preoccupata di quello che dice la gente? Mai. Però, io dico, ad un certo punto qualche dubbio ti viene quando ti guardi attorno e vedi tutte le tue bellissime amiche magre taglia 40-42 a braccetto con un uomo…e tu da sola. Tu guardi ancora attorno e trovi accanto a te solo amici disperati e ragazzi gay…o amici gay e disperati, che è un binomio a dir poco esasperante.
Ehi, vi ricordate di me? Sono quella ragazza che vi ha tenuto la testa mentre vomitavate dopo che vi eravate ubriacati al bar, e sono la stessa ragazza che poi vi ha salutato da lontano con la mano mentre salivate sulla macchina di un’altra ragazza dalla minigonna inguinale e i capelli perfetti. Mi avete vista almeno, mentre vi facevo “ciao ciao”, voglio sperare!
Ehi, vi ricordate di quella ragazza che a lezione aveva problemi a passare tra le due valige messe sapientemente a incastro in modo da far passare solo gli spilli? Vi ricordate di come avete gentilmente spostato le valigie e mi avete fatto posto…per poi mettervi a fissare il culo della mia migliore amica che stava scendendo le scale prima di me?
Ehi, avete presente quella ragazza rotondetta che vi accompagnava volenterosa con la macchina a lezione, che vi scarrozzava a destra e manca in cambio di un pranzo ogni tanto? Si? Adesso che vi siete messi con la sua amica con i jeans a vita bassa e perizoma a vista però il pranzo non lo pagate più, ma la macchina ogni tanto la pretendete lo stesso…e ora siete in due a sbaciucchiarvi sul mio sedile posteriore!
E ditemi, voi saggi uomini di cultura, vi ricordate della vostra amica del club degli scacchi che restava con voi ad aiutarvi a sistemare, a correggere i registri, a finire i compiti? Da quanti mesi è che non vi ricordate di aiutarla nelle incombenze ma vi ricordate di scortare a casa la nuova iscritta del primo anno, uno scricciolo dalla risata irritante ma dalle anche in vista?
Un attimo, mi volto per un riflesso, e vedo lui, bellissimo, perfetto, adorabile. Gli vado vicino. Gli sorrido. Ho il coraggio di parlargli. Pare interessato. Magari ce l’ho fatta, sarebbe bellissimo, fantastico, assolutamente perfett…no, non sta più guardando me. Magari non ha mai guardato me. Sta beatamente parlando con la tua amica timida che non si è fatta avanti, ti ha solo vagamente accompagnato per i primi tre metri e poi ha fatto per dileguarsi. Ma tu porti tre taglie più di lei e con tutta la socialità di questo mondo, lei avrà sempre tre taglie meno di te.
Li lasci da soli, a parlare per ore, o meglio con lui che parla e la tua amica che arrossisce e annuisce dandogli ragione su tutto. E allora ti chiedi, tra sospiri e malinconia, perché mai gli uomini ragionino solo con il cazzo? No, non è vero, ti consoli mentre guardi il tuo profilo rotondo passare davanti alle vetrine di alta moda che propongono come trend dell’inverno la taglia 38, striminzendo i manichini in completi che a fatica stanno bene a pezzi di plastica perfettamente proporzionati. Gli uomini non ragionano con le parti basse. Gli uomini ragionano con quello che gli metti in testa. E se gli metti in testa che essere magri è bello, loro cercheranno solo donne magre.
Te lo diceva sempre la nonna prima di morire di diabete che un tempo erano le maggiorate ad andare di moda, e tutte facevano i salti mortali per mettere su un po’ di ciccia. E allora tu guardi la tua ciccia, riflessa in quel vetro inclemente, e ti sorridi perché sai che se sorridi sei più bella. Sai che se continui a sorridere, prima o poi qualcuno noterà il tuo sorriso e ti saluterà per quello che sei.
 E allora, in un secondo, qualcuno batte sulla tua spalla. Tu hai paura, sai che non sei truccata bene, hai la maglietta un po’ troppo corta o magari stretta, i jeans mostrano il tuo sedere enorme secondo i canoni. E ti vergogni. Ma ti volti con lo stesso sorriso.
“Ciao amica mia! Ti va di venire con noi in sala giochi? Ci manca il quarto per la partita di calcetto!”.
È un tuo amico. Uno dei tuoi tanti amici maschi. Sempre amici, mai fidanzati. Tu lo guardi, mantieni il sorriso, e lo segui fiduciosa in quell’antro di follia maschile chiamata calcio o la versione ridotta. Perché speri che prima o poi, continuando a fare l’amicona, qualcuno noti che sei sola, e si decida una buona volta a vedere il tuo sorriso falso e non la tua massa corporea.
Io non mi interesso dell’aspetto fisico, io non mi interesso del grasso attorno ai miei fianchi, io sono più donna di tutte quelle anoressiche messe insieme! All’uomo piace toccare, cosa c’è da toccare in mezzo a quelle ossa spigolose? Non mi pento di come sono, a me piace il mio corpo, a me piace la mia vita e adoro i miei rotolini che mi tengono caldo. Cosa ne sanno quelle stecche di cosa sono le curve? Le uniche curve che conoscono sono quelle per strada, e nemmeno quelle conoscono bene.
Se sei magra, hai il ragazzo. Se non lo sei, sei single. Il concetto è facile. E nella tua testa, nonostante l’orgoglio, nonostante l’amor proprio, nonostante continui a ripeterti che non te ne frega niente, cominci a rivalutare l’insalatina e a odiare, sempre di più, in modo strisciante, quasi inconsapevole, quei rotolini di ciccia di cui tanto vai cantando le lodi. Nella tua testa, tu stai perdendo contro lo stereotipo.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** se solo fossi grassa ***


Ciao, sono di nuovo io, vi ricordate di me? …no? Dai, come fate a non ricordarvi? Sono l’amica di vostra sorella, la compagna che vi fa ridere in classe, la ragazzina che avete quasi investito quel giorno in centro. Non vi ricordate? Beh, non è che ci sia poi molto da ricordare in fondo…
Nervosa, guardo spesso nella vostra direzione. Mi piace stare con voi, mi piace farvi ridere, mi piace avervi come amici. Ma voi non volete mai essere solo amici. Voi volete sempre qualcosa di più. e quando io mi tiro indietro, vi arrabbiate, mi dite che non posso aspettarmi chissà che, che non sono poi così bella. Non ho mai detto di essere bella. Come non ho mai detto di voler essere la vostra ragazza.
Cammino per strada, la maglietta troppo attillata che mi ha preso mia madre mi lascia scoperto un filo di schiena, nulla di eccezionale, ma già voi vi girate a guardarmi, le ragazze a studiarmi e valutarmi, i ragazzi  a cercare di alzare la maglietta solo con lo sguardo. Io non sono un oggetto, e allora perché mi trattate come se lo fossi?
Cammino per strada, e tutto quello che vedo attorno a me sono sguardi di disprezzo. Le ragazze non si avvicinano perché mi reputano snob, mentre i ragazzi non si avvicinano perché pensano che sia bella…o se si avvicinano è solo per provarci spudoratamente. Non mi dispiace, non fraintendetemi! Ma essere additata, fissata, seguita e molestata non è esattamente quello che intendo io come primo approccio. Forse voi pensate che un “ehi bella!” sia l’ideale, ma a me non piace proprio vedere i vostri occhi fissarvi sempre sul mio sedere. Lo so che non c’è altro da fissare. Sono magrolina, lo sono sempre stata. Ma non per questo siete autorizzati a parlare con me guardando il mio fondoschiena.
Accanto a me passa una ragazza. È solare, ride con le sue amiche e con i suoi amici, si diverte. Ha dei morbidi capelli scuri e lo sguardo dolce. Si volta un attimo nella mia direzione, probabilmente si è accorta che la sto scrutando con curiosità attraverso la folla. Mi vede. Mi riconosce per un essere umano. Un essere umano, non un suo simile. Lo sguardo della ragazza si è allontanato immediatamente da me, mi ha dimenticata. E io resto lì, a vederla allontanarsi, lei così solare, lei che cammina quasi saltellando mentre scherza con i suoi amici. E loro ridono davvero delle sue battute, la spalleggiano, vedo che non lo fanno con un secondo fine.
Smetto di guardare e mi concentro sul mio riflesso attraverso le vetrine di negozi alla moda. Vedo il manichino. È uguale a me. Ha la mia stessa taglia. Per tirarmi su il morale, mi basterebbe entrare in quel negozio e comprarmi un completo. Ma non me la sento. Sarebbe solo un altro modo per sfogarmi, per far finta di nulla.
La ragazza sta ancora ridendo, ride di me probabilmente. Della acciughina dalle gambe a stecchetto che si è ridotta in quello stato per accalappiare uomini. Magari qualcuno dovrebbe dirle che ci si nasce, non è sempre una propria scelta. Magari lei può usare la scusa delle ossa grandi per mascherare il suo sovrappeso evidente, ma tu no. Tu non puoi dire come fosse una disgrazia che hai le ossa di un uccellino. Tu sei magra, non hai motivo di lamentarti.
Le dita si stringono attorno al cellulare che tengo in mano. Potrei chiamare qualche amico e fare come ha fatto quella ragazza, girare per il centro e godermi la vita ridendo. Ma con chiunque io rida, ho sempre l’impressione che non guardino me ma il mio corpo. Se solo avessi qualche chilo in più, sarebbe tutto più semplice. I ragazzi non mi correrebbero dietro sbavando come assatanati, e potrei finalmente parlare come se nulla fosse con le altre ragazze, ragazze solari che stanno bene con il proprio corpo. Ragazze che non hanno paura di essere reali, di essere più di un uccellino da coccolare.
Ma poi guardo il telefono. È una chiamata. Qualcuno mi cerca. Rispondo con voce suadente, è un ragazzo. Mi chiede di uscire. Mi piace quel ragazzo, so che anche un’altra sua amica gli correva dietro, ma lui le ha riso in faccia dicendo che il suo modello era Cameron Diaz, non Moby Dick. E allora guardo quel vestito striminzito davanti a me nella vetrina e sorrido tranquilla. Io posso mettermi quel vestito senza apparire una balena. Il ragazzo mi dice ora e luogo, sono felicissima.
Metto un piede dentro il negozio. Ecco, ci sono. mi fiondo tra le taglie S e comincio a cercare. Tanto so già che mi andrà bene tutto…tutto, purché sia amorfo e non abbia forme particolari. Si, perché i vestiti scollati, quelli troppo sfiancati, quelli fruscianti, quelli…non mi stanno proprio tanto bene. Se avessi qualche chilo di troppo, potrei permettermi quel bel vestito che ho visto la settimana scorsa mentre facevo un giro nel reparto delle L assieme a qualche amica, per prendere in giro una sua compagna di classe che neanche alla L trovava qualcosa in quel negozio di taglie striminzite.
Guardo il vestito che ho in mano. È bello, è morbido, so che mi può entrare tranquillamente, ma mi starà bene come l’amica rotondetta stava bene in quella XL?

Io non mi preoccupo di quello che mangio, perché io posso mangiare tutto. Io non ho paura di mettermi una maglietta più aderente, perché so che non ho grasso in eccesso. Io cammino a testa alta per strada, perché so che i ragazzi mi notano. Io mi reputo bellissima, perché è così che mi dicono. Ma davanti allo specchio, con quel vestito indosso, con la telefonata appena ricevuta, vorrei tanto avere qualcosa di più da mostrare a parte le mie ossa sporgenti. Così, mentre ti ripeti che va tutto bene, che sei alla moda, che è meglio così, dentro di te vorresti essere altro. Magari come tua madre, che con i suoi quarant’anni suonati riesce a farti invidiare il suo corpo armonioso.  O forse come quella donna che hai visto in tv, quella simpatica che tutti correvano ad abbracciare perché morbida. Lei faceva il pane, era una pasticcera. Ed era rotondetta. Hai voglia di pasticcini ora, e di cioccolata. E anche di qualcosa di enormemente calorico. E di nuovo, lo stereotipo sta vincendo.

[trullitrulli, bravissima! In effetti era uno sfogo, così come è uno sfogo questo. Mio? Non è importante saperlo. Io mi limito a usare gli spunti che ho a disposizione, e in questo senso di spunti me ne capitano continuamente. La raccolta è atta a mettere nero su bianco le paranoie e le insicurezze varie con le quali sono entrata o entro tutt’ora in contatto nella mia cerchia di conoscenze. Man mano che si presenta alle mie orecchie una nuova forma di desiderio, io la scrivo.
Rispetto a te vivo dall’altra parte del Nord Italia, quindi non posso sapere quali siano le paranoie della tua zona. Per la mia esperienza al liceo, i ragazzi si fissavano sulle cosiddette “anoressiche” e/o ben dotate nelle parti…superiori. Ed è anche l’esperienza di tante altre amiche.
Può essere che a Milano il mondo giri alla rovescia, se è così presto potresti ritrovarti invasa da orde di giovani donne in cerca di un po’ di pace. ^^
Kissu kissu]

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** vorrei essere ricca ***


Salve! Avanti, non fate finta di non vedermi! Eppure ho messo quella pelliccia appariscente apposta per voi! Come…non è vera? Si, lo so che non è vero ermellino, ma poi cosa importa? L’importante è che sembri una pelliccia. Che i miei braccialetti sembrino d’oro. Che i miei occhiali sembrino firmati. Niente è vero? Non è colpa mia se non me li posso permettere.
Davanti all’ennesima gioielleria, scuoto il capo tristemente. È impossibile non vedere con che aria da cane bastonato fisso quegli orecchini di perle messi in bella mostra per attirare clienti. Ecco, una sta entrando nel negozio proprio ora. È infagottata in una splendida pelliccia di visone…vera, ovviamente, non come la mia volgare imitazione comprata ai grandi magazzini in saldo. Mi guardo attorno e mi sento meglio. Non sono l’unica senza soldi che ha deciso di far compere quel giorno, accanto a me è pieno di famiglie che contano i soldi nelle borsette per vedere se arriveranno alla fine del mese. Non c’è nulla che non va in me, sono solo…povera.
Le mie scarpe col tacco fanno rumore mentre passo oltre la vetrina, così come fa rumore il digrignare dei miei denti per l’insofferenza. Il prossimo negozio è di computer. Bellissimo, quel portatile che desidero tanto. Con tutti quei colori, le foto che ho fatto con la macchinetta digitale di mia figlia dovrebbero venire benissimo. Già, sarebbe bello anche avere una nuova macchina digitale. Ce n’è una in sconto? …no, niente sconto. E quella che costa meno viene comunque più del denaro che posso spendere per un aggeggio del genere. Sospiro, e il mio sospiro appanna il vetro. Il commesso all’interno mi guarda male, ma a me non importa. Ormai ci sono abituata agli sguardi perplessi della gente quando chiedo il prodotto che costa meno, il trattamento che costa meno, la vacanza che costa meno,…
Passo oltre per non vedere uno studente con il portafoglio pieno di soldi prendere il mio computer portatile. E di nuovo i miei denti producono quel rumore seccato. Il negozio successivo è di elettrodomestici per la casa. E in vetrina, in bella mostra, si trova un adorabile e indispensabile lavastoviglie. Guardo la lavastoviglie, poi guardo le mie unghie. Poi di nuovo l’apparecchio. Quella vecchia si è rotta solo due giorni fa e già le mie mani ne risentono. Inutile, avrei dovuto prenderne una nuova il prima possibile. Entro nel negozio a passo di marcia, a testa alta e con una mano sul portafogli. Immediatamente mi si avvicina un commesso.
“Salve, posso fare qualcosa per lei?” mi sorride. Non sa ancora che la mia risposta lo deluderà.
“Si grazie, sto cercando una lavastoviglie…” accenno io guardandomi attorno.
“Ah, ha notato il nostro modello in vetrina! È di classe A+, molto capiente, silenziosa e di vari colori! Prego, se vuole…” fa lui, raggiante. Evidentemente non ha capito che la mia pelliccia è finta.
“No, aspetti! Veramente cercavo qualcosa di più…economico” mormoro, quasi una scusa. Il sorriso entusiasta del commesso si spegne, per venire sostituito da un comodo sorriso di circostanza.
“Allora da questa parte! Prego, mi segua, ci sono parecchi modelli in sconto!”.
Sconto. Odio la parola sconto. Eppure la amo. Adoro ogni vetrina che ha quella scritta luccicante, ma mi vergogno al solo entrare per esaminare l’oggetto scontato. Dopo venti minuti sono fuori dal negozio. Non ho una lavastoviglie. Costavano troppo.
Se fossi ricca non avrei di questi problemi. Potrei permettermi quella lavastoviglie in vetrina, il cellulare all’ultima moda dall’altra parte della strada, la lampada di vetro soffiato che starebbe tanto bene nel salotto…al diavolo il salotto, potrei permettermi una casa nuova, più ampia. Potrei avere una vita migliore, incontrare gente interessante, partecipare alle feste, non andare a lavorare in quello squallido ufficio. E invece sono piantata a casa a lavare e stirare, poi in ufficio a battere a macchina tentando di non rovinare lo smalto dato la sera prima per mascherare le mie mani rovinate. Non avrei più mani rovinate, potrei permettermi le migliori creme.
Seguendo questo filo di pensiero, il mio sguardo si posta sulle mani della donna con la pelliccia vera. È uscita ora dalla gioielleria e ha in mano un pacchetto rosso con un bellissimo fiocco. Sono certa che lo aprirà nella comodità del suo salotto, davanti al caminetto e con un bicchiere di spumante fresco in mano. Lei si che ha belle mani. Curate. Va di certo a farsi la manicure. Impossibile che quelle unghie non siano fatte con il gel. Anche io vorrei tornare a fare la ricostruzione, in fondo è da un mese intero che non vado. Potrei sul serio farci un salto. Si, ho deciso che ci vado. Mi merito un lusso ogni tanto.
Continuo a seguire la signora con la pelliccia vera, la vedo entrare nel negozio di cellulari. Ecco, parla con una commessa con un sorriso esagerato. La commessa va in vetrina. Prende il cellulare firmato D&G. Anche io lo voglio.
Perché io non posso coccolarmi un po’? perché la mia busta paga non mi permette di avere una vita decorosa come quella donna fortunata? Lei non ha bisogno di contare i soldi che le entrano, lei non ha bisogno di tenere sotto controllo le bollette, lei non ha bisogno di preoccuparsi di pagare il mutuo. Lei li concede i mutui. Le mie mani si stringono nervose sulla finta pelliccia e per un istante desidero con tutte le mie forze non averla indossata, non dover mettere quel topo morto, poter vestire di classe.
Ma si, fanculo la bolletta! Ho bisogno anche io di coccolarmi ogni tanto. Così prendo il mio cellulare nokia dell’anno scorso e telefono all’estetista, alla parrucchiera, e al mio ristorante preferito. Stasera ho voglia di festeggiare. Con cosa? Con la mia tredicesima. In fondo ce l’ho e la posso spendere come voglio. La lavastoviglie? Me la farò regalare da mio marito. Deve anche lui contribuire, ha pure uno stipendio come me.
I miei tacchi fanno rumore mentre cammino, e sorrido tranquilla alle vetrine senza nemmeno vedere veramente quello che c’è dentro. Pellicce, automobili, gioielli, scarpe nuove, un bel televisore piatto più grande di quello che ho adesso, caviale e champagne a colazione, una cameriera per lavare i piatti e una cuoca per cucinare. Se vincessi la lotteria potrei permettermi tutto. Ormai per sposare un miliardario è tardi, ho già un marito dallo stipendio medio che mi aspetta a casa. Prende circa 1300, quasi quanto me, e devo accontentarmi di quello che ho a disposizione.
Passo davanti alle vetrine, senza vedere nemmeno chi tende una mano verso di me. Non noto la donna seduta per terra, con un bicchiere di plastica con su scritto “aiuto”. Non mi fa effetto il cartello di supplica che espone, tutto quello che i miei occhi vedono sono i cartelloni pubblicitari e la mia fantasia.
Passo ora davanti ad un negozio di televisori. Guardo estasiata i colori di uno schermo ultrapiatto da 30 pollici, una mostruosità che nemmeno io so dove potrei mettere nella mia modesta casa. Però lo desidero, desidero il denaro che potrebbe comprarmelo, lo desidero a tal punto che maledico il destino che mi ha fatto nascere povera. Vedo il televisore, ma non vedo le immagini di guerra che proietta.

Io non sono superficiale, voglio solo il necessario. Io non amo esagerare, ma sogno vacanze in India. Io non chiedo troppo, ma solo di poter seguire la moda. Cosa importa se la pelliccia vera che desidero è fatta di pelle vera di animale, purché sia calda, bella e costosa? Sono le regole del mercato, chi ha soldi può permettersi il meglio. E io vorrei il meglio. Se fossi ricca, potrei avere il meglio.
Mentre nella testa scorrono immagini di posti favolosi dove andare visti nelle pubblicità o nei documentari turistici, di nuove tecnologie del futuro da dominare, di oggetti carini da guardare, di cose preziose da indossare, di lussi che non ti puoi permettere ma che fanno tanto “vip”, non noti che il tuo stipendio ti consente di vivere in una casa, di mangiare regolarmente, di avere comodità che alcuni sognano come tu sogni un paio di orecchini di perle. Il consumismo, la brama di avere è una cosa del tutto naturale per te. Te ne vergogni, ma non fai nulla per fermare quel desiderio crescente. Se qualcuno te lo chiedesse, tu diresti di essere fortunata, sbuffando tra te e te, ma lo diresti.
Quando entri in casa tua e non gioisci del semplice fatto che le cose che contiene sono tue, lo stereotipo ha vinto su tutta la linea.


[ciao a chi sta leggendo. Sono stata molto tentata di cancellare l’intero progetto, ma ormai che ho iniziato, mi sembrava un’assurdità tirarmi indietro. Le critiche si sprecano, ma a me non importa, purché riesca a finire quello che ho iniziato.

X Ego me stesso ed io: grazie ^^. Puoi considerarti tranquillamente uno dei motivi per cui non ho cestinato il tutto. Sei stato sincero, schietto e soprattutto coraggioso a condividere i tuoi sentimenti. Sono orgogliosa di aver prodotto un simile risultato, non avrei mai sperato tanto.
Se tu ammiri chi ha avuto il coraggio di andare avanti a testa alta, io ammiro la tua determinazione per il cambiamento. Non tutti sono in grado di farlo. Per parecchi il desiderio di cambiare è solo superficiale. Si corrodono dentro, ma alla fine tutto quello che sono disposti a fare è lamentarsi del destino che li ha fatti nascere con un corpo che non è quello che vogliono. Gli sforzi per dimagrire persistono per la durata di qualche mese, poi svaniscono sotto il peso di problemi emotivi o stanchezza.
Quanto all’invidia…direi che va a braccetto con l’odio. Non sei cattivo, sei un normale essere umano con normali sensazioni. Se è considerata cattiveria una cosa simile, io e un sacco di altra gente ti teniamo compagnia nella categoria! ^^
Grazie di cuore, spero di non deluderti
Kissu kissu]

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** vorrei essere povera ***


Salve a voi, gentili persone che mi state guardando. Non mi state guardando? Non mentite, è impossibile che non mi abbiate notata mentre passavo davanti a voi con la mia scia di profumo da oltre 100 euro, i miei tacchi estremamente lucidati e la mia pelliccia di ermellino presa dall’ultima collezione di un grande stilista. Mi sono innamorata di questa pelliccia non appena l’ho vista sulla passerella d’alta moda a Parigi durante un viaggio di due settimane con il mio ricco marito, manager di un’importante multinazionale. Non conoscete mio marito? …meglio per voi…
Mi guardo le unghie, perfette come sempre, e le confronto con quelle di una casalinga che mi passa accanto squadrandomi dalla testa ai piedi come fossi un manichino da esposizione, e in effetti a volte è così che mi sento, un perfetto manichino da sfilate d’alta moda. I miei capi sono sempre firmati, non ho nulla preso al mercato, non ho nemmeno mai visto il mercato cittadino se non dalla finestra più alta del mio attico situato nel centro storico. È nel mio attico che coltivo le mie passioni per i fiori rari, per le gemme rare, per qualunque cosa sia costoso e raro. Perché? Perché posso permettermelo. E perché non ho nient’altro modo per spendere quei soldi che tutti si aspettano che io spenda, mio marito in particolare. Se non porto a casa qualcosa di costoso ogni tanto mi chiede immediatamente cosa c’è che non va. Non ha capito che è esattamente il contrario.
La signora di prima, dall’aria stanca e seccata, fa un rumore strano con i denti. Forse le fanno male, non può andare dal dentista. Se la conoscessi potrei pagarglielo io. Se mi rivolgesse la parola in modo amichevole magari…ma no, che vado mai a pensare! È così che ho perso la mia precedente amica, le pagavo tutto io e lei si sentiva umiliata. O almeno era quello che mi ha detto prima di girarmi le spalle nel momento del bisogno quando volevo lasciare quella vita. Sei matta, rinunciare a tutti quei soldi, tu non ti vuoi bene, tu non MI vuoi bene,…e via. La vedo ancora a volte alle feste mondane, a braccetto con qualche ricca signora a ridere delle sue battute sciocche e dei suoi pettegolezzi mentre adocchia con fare da civetta qualche riccone. La mia examica. Eppure mi manca. Anche se falsa come la pelliccia di quella donna comune che mi sta guardando con astio, era comunque qualcuno con cui scambiare due parole a parte le cameriere.
Sono depressa, lo vedo dalle rughe che compaiono sul mio volto perfetto. Se continuo così presto mio marito si troverà un’amante o mi costringerà a qualche altra cura di bellezza. Perché io sono ricca e devo essere perfetta non solo nei vestiti ma anche nella pelle.
Entro in un negozio di gioielli, ho bisogno di sfogarmi. Le mie mani sfiorano leggere le vetrinette mentre due commesse mi si accostano sorridendo come se avessero visto Dio in persona. E l’hanno visto, hanno riconosciuto immediatamente la mia pelliccia vera, i miei gioielli veri, la mia vera aria snob.
“Voglio quelli…” dico indicando con un’unghia perfetta un paio di orecchini di oro e perle, un paio simile a quello in vetrina ma più elaborato. Non chiedo nemmeno il prezzo, non ne ho bisogno. E loro non me lo dicono, mi conoscono, vengo spesso da loro, ultimamente anche troppo. Mi fanno un bel pacchetto rosso con fiocco e io poggio la mia carta di credito illimitata sul tavolino in legno lavorato della cassa. Una strisciata e sono miei. Esco dal negozio con il pacchetto in mano, e vedo davanti a me quella donna che mi fissa male. Comincio ad essere irritata, forse dovrei chiamare il mio autista per farmi venire  a prendere, non mi piace quel suo modo di guardare la mia pelliccia ed i miei nuovi orecchini di perle come se volesse afferrarli e strapparmeli via da un momento all’altro. Non dev’essere una brava persona.
Per evitarla entro nel prossimo negozio. Mi sta ancora fissando. Percepisco il suo odio attraverso la vetrina. Non comprendo per quale motivo ce l’abbia tanto con me, ma probabilmente è solo invidia. Povera donna, lei che non può permettersi abiti firmati e pellicce vere mi detesta con tutta se stessa perché rappresento quello che vorrebbe e non può!
La vedo prendere il telefonino, un vecchio nokia. Sono in un negozio di computer e telefonia, un nuovo telefonino anche a me non starebbe male. Indico il più costoso e firmato, me lo impacchettano subito. La donna da fuori continua a guardarmi male, pare quasi sul punto di mettersi a piangere. Ed ecco, fa una telefonata dietro l’altra, quasi isterica. La compatisco. Quella povera creatura che non saprà mai cosa vuol dire sfoggiare un visone a teatro, o un collier di diamanti al ristorante francese preferito con vista panoramica, che non consocerà mai il sapore del vero caviale, che non…i pensieri muoiono immediatamente sul nascere quando vedo che qualcuno la sta attaccando da dietro. Due mani le tolgono la visuale, altre due braccia la stringono, qualcuno le parla con fare minaccioso all’orecchio…e la donna ride e si libera con facilità. Incuriosita esco dal negozio con il mio cellulare nuovo tra le mani e vedo tre donne simili a lei accostarsi, salutarla, abbracciarla e baciarla con calore sulle guance colorate di piacere e sorpresa. Le vedo e le riconosco per quello che sono: amiche.
Abbasso lo sguardo sul mio nuovo cellulare. Ha la mia scheda inserita. Apro la rubrica e la sfoglio. Commercialista, commercialista, medico, insegnante di danza, manager, editore, commercialista, consulente finanziario, psicologa,…no, nessuna amica. Nemmeno un nome familiare per altro, sono tutte conoscenze di mio marito o dell’ufficio. Sono sola dunque? Poi il nome di quella mia vecchia conoscenza arriva nell’elenco e mi soffermo a guardarlo. Potrei chiamarla. Se non altro per farle vedere il cellulare nuovo. Se non altro per far vedere che anche io parlo con qualcuno. Se non altro per sentire una voce diversa dalla mia. Forse se le comprassi un cellulare nuovo mi parlerebbe ancora.
La donna del popolo dalla pelliccia finta e le sue amiche si sono infilate in un caffè e stanno parlando amichevolmente tra loro dandosi pacche sulle spalle e ridendo. Ridendo sul serio. Ridendo di gusto. Potrei unirmi a loro? Potrei farmi nuove amiche? In fondo i vestiti si possono togliere, i gioielli si possono regalare a quella zingara in un angolo. Cosa mi rende diversa da loro sono solo quegli oggetti. Se non li avessi, se fossi della plebe non avrei problemi a crearmi una cerchia di confidenti. Ma vedo la gente per strada guardare il mio ermellino e confrontarlo con il topo morto che portano loro, confrontare il mio stile di vita e il loro. No, sarebbe una caduta di stile mischiarsi a certa gente. Rinunciare a tutto quel lusso, mi prenderebbero per matta se lo facessi solo per un attimo di solitudine. Diventare povera, che assurdità! Per cui il mio dito preme con insistenza il tasto di chiamata e l’orecchio aspetta di sentire la voce falsa della mia vecchia amica. Io non ho bisogno di altro che di cose belle che mi circondino, e le finte pellicce a topo morto non sono di mio gusto. Nemmeno quel caffè è di mio gusto. Quel posto squallido con sedie in acciaio freddo. Io ho bisogno di cose lussuose servite su sedie lussuose in club lussuosi. La mia amica mi ha risposto. La invito a mangiare fuori. Lei accetta volentieri purché andiamo in quel bel ristorante indiano chic promosso dal club di golf. Va bene, qualunque posto va bene purché sia costoso. Meglio se assurdamente costoso. Ho bisogno di spendere. Per poi poterne parlare con le mie psicologhe e spendere ancora.

I miei tacchi rumoreggiano sul selciato, apposta perché si girino a guardarmi. Il mio volto è perfettamente curato così come le mie mani. I miei abiti non hanno una piega fuori posto, sono perfetti e firmati anche nell’intimo. La mia pelliccia emana una luce propria che illumina la plebe mentre sfreccio loro accanto elargendo sguardi di benevolenza e benedizioni come un santo. Mi odiano, ma a me non importa. Io vivo la mia vita tra il lusso e le feste, non esiste vita migliore della mia. Se volessi potrei fermarmi in qualunque momento, ma non voglio. In realtà io voglio continuare ad essere catapultata da una festa all’altra, da un sorriso ad un altro, da uno specialista all’altro. In realtà io voglio non avere amici perché gli amici ti sfruttano, gli amici si prendono gioco di te, gli amici sono solo inutili sanguisughe. Se hai i soldi non hai bisogno di amici. Se hai i soldi non hai bisogno di nulla.
Lo stereotipo recita: non c’è nulla che il denaro non possa comprare…a parte forse un gruppo di donne che incontrandosi per strada si abbracciano fregandosene di stropicciare la loro pelliccia finta.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** se solo avessi più seno ***


Cammino per quella strada affollata, tra i negozi, tra la gente che a malapena mi nota. Ma quando mai in queste strade qualcuno nota qualcun altro? Qualcosa però la noto, quella signora dalla pelliccia di ermellino ha una scia di profumo esasperante, dovrebbero multarla per inquinamento ambientale…e dovrebbe girare con un permesso per carichi speciali date le bombe di plastica che si è di certo rifatta. Insomma, nessuna può avere un seno così grande, così alto, così sodo, vero? Mi scopro a fissare quella scollatura oscena e a voltarmi di colpo sentendo voci femminili familiari. Lascio perdere la donna-barbie e torno alla vita reale, la vita da giovane donna di ossa e carne. Beh, magari non poi così tanta carne…
Le mie amiche mi sorridono, sono davanti a me, mi stanno aspettando da qualche minuto ormai, sono arrivata in ritardo per colpa del reggiseno che non voleva stare come dicevo io. Probabilmente ho stretto troppo o troppo poco i laccetti. O molto più probabilmente l’ho preso di una taglia troppo grande per me. Le mie amiche mi guardano sorridendo amichevoli, ma a me pare che ridano, che si prendano gioco della loro compagna palo-della-luce alla quale sono stranamente comparse delle forme che il giorno prima non c’erano.
"Amore! Come mai in ritardo?" mi salutano baciando l'aria accanto alle mie guance, premendo appena la pelle fresca contro la mia sudata per la corsetta, quella corsetta che ha mandato a quel paese tutto il mio lavoro di preparazione tecnica. Io sorrido radiosa, sono mie amiche e mi vogliono bene. Hanno tutte la mia età, sono mie compagne di classe da una vita, cresciute insieme, alcune dello stesso paese e...ed eccola. Arriva lei, la mia migliore amica. Ancora più in ritardo di me. Anche lei accaldata. Ha indosso una maglietta simile alla mia, ma l'effetto è totalmente diverso. Conosco quella maglietta, l'abbiamo presa insieme, e insieme l'abbiamo indossata la prima volta. Ma quel giorno, quel giorno è stata una cosa del tutto casuale. La vedo correrci incontro e vedo quella maglietta riempita ondeggiare per i suoi movimenti, vedo la gente per strada notarla, guardarla anche solo per qualche istante ma guardarla. Dopotutto non è vero che nessuno nota niente.
"Ciao bellissima!!" la salutano le altre fissandole il seno in costante crescita dal momento dell'ingresso nella scuola media "Stai benissimo!".
Lei ride fermandosi davanti a noi, poi si guarda attorno un attimo, infila la mano sotto la maglietta che tira sul davanti e sistema il reggiseno che si era un po' spostato nella corsa. Un tocco, ed è di nuovo a posto, con noi che ridacchiamo di lei, del suo modo goffo di fare, di quel suo seno di cui si lamenta costantemente da quando ha iniziato a farsi vedere, sporgente e invasivo. Se solo potessi lamentarmi anch’io così, mi sentirei più felice. E mi  stupisco a crederci veramente mentre osservo la stampa sulla maglia crepata non tanto per i troppi lavaggi, quanto per la pressione costante a cui è sottoposta dall’interno. Al mio ricordo d’infanzia si fonde l’immagine attuale creando nella mia mente la visione di noi da bambine, con la mia amica dal seno già sviluppato, una piccola donna in miniatura accanto ad un maschiaccio con punture di zanzare sul petto. Non sono in grado di richiamare un’immagine in cui non ci siano quelle montagne. Ma davvero un tempo non c’erano?
Ora lo sguardo dolce della padrona del seno oggetto delle mie riflessioni si posa su di me, direttamente nei miei occhi, ed io sobbalzo sentendomi colpevole per quel mio pensiero involontario, così vergognoso che non ho mai osato esprimerlo a voce alta.
"Ciao bella!" mi saluta abbracciandomi stretta, ed io sento tutte le sue curve di donna premersi contro il mio corpo di bambina.
"Ciao cara! Ti sono cresciute ancora!" mormoro io, una frecciatina usuale tra di noi. La mia cara amica d'infanzia sorride con quel suo nuovo modo da adulta che lascia intendere mille segreti, ed io abbasso involontariamente lo sguardo sul mio di seno, appena sporgente sotto la maglietta identica alla sua, una maglietta che lei potrà mettere solo per altri pochi mesi e che io con tutta probabilità potrò indossare per il resto della mia vita raccontando dei tempi da bambina in cui la presi con la mia migliore amica...quella migliore amica che mi dà una pacca sulla spalla e mi fa di colpo il solletico per cancellare l'espressione desolata d’impotenza dal mio viso.
"Stai benissimo come sempre!" mi dice dolcemente sfiorandomi una guancia rotonda.
"Tu invece no! Sembra ti stia per scoppiare!!" esclamò io tra le risatine delle altre. Punzecchiata innocente? Tentativo di litigata? Involontaria espressione della mia frustrazione trattenuta a stento? Non ne ho idea, ma non appena mi scappa quella frase facilmente interpretabile come scherzosa, me ne pento perché percepisco nel mio tono qualcosa di non detto.
"Guarda, non me ne parlare, quel maledetto mi ha costretto a comprarmi una serie di nuovi reggiseni che..." risponde la mia amica, ferendomi, di certo involontariamente, ancora di più di uno schiaffo.
"Nuovi?! Vedere!!!" esclama immediatamente qualcuna del gruppo saltellando eccitata, la sua seconda misura che sobbalza eccitata quanto lei all'idea di esaminare qualche nuovo capo di biancheria intima su cui i suoi inesperti occhi di adolescente alla ribalta non hanno ancora osato posarsi. La mia amica sorride accondiscendente, e mostra con fare da civetta una spallina di un tenue verde con stampe di margheritine, una fantasia carinissima a suo parere, qualcosa di adorabilmente innocente. Anche lei ne vorrebbe uno uguale, vorrebbe mostrare orgogliosa una spallina, vorrebbe sporgere il petto mentre le sue guance diverrebbero rosse sotto gli sguardi dei ragazzi, vorrebbe tenere la testa alta ed avanzare senza paura a fianco della sua migliore amica come poteva fare solo un anno prima, identiche nel pensiero come nel corpo. Ma davvero erano identiche anche a quel tempo, o se l’era solo immaginato? Ricordava bene il giorno in cui aveva accompagnato la sua amica e sua madre a comprare il primo reggiseno, quanti ne avevano provati dello stesso modello, la sua amica già quasi una seconda, lei una retromarcia che non le aveva permesso di prendere altro che l’ennesimo top sportivo. Il primo reggiseno serio, una data storica nella vita di ogni fanciulla…una data che lei aveva saltato a piè pari.
Ora d’identico cui aggrapparsi, ora che la seconda scarsa era diventata in due anni una quarta scarsa, restava a malapena quel filo di pensiero che le teneva amiche, un filo che rischiava di spezzarsi ad ogni sobbalzo di quel seno provocante da adulta che la sua cara vecchia amichetta sfoggiava con un misto d’imbarazzo e malcelato orgoglio. Orgoglio. Orgoglio nemmeno lontanamente comparabile per intensità all'invidia che le rodeva l'animo ad ogni sobbalzo, ad ogni minaccioso ondeggiamento, ad ogni spaventosa occhiata di desiderio dei passanti di sesso maschile, occhiate che io sogno di ricevere al posto suo...
"Guarda che bello quello!".
I miei occhi si posano sulla vetrina di Intimissimi ad esaminare con curiosità quel corpetto in vetrina, ma lo guardo solo perché è bello da vedere, non perché vorrei indossarlo. E accanto al corpetto, in bella vista, eccolo il mio ultimo acquisto, un ottimo reggiseno imbottito per ragazze come me, ragazze piatte, ragazze a cui la natura nega una sana quinta misura come quella della bellissima modella della foto che il ragazzo di cui sono innamorata ha messo nel blog sotto la dicitura "ragazza ideale". Con quello almeno, potrò assomigliare vagamente alla versione ridotta della modella e forse aspirare ad un suo commento nella pagina della rubrica tra le file di quelle compagne di scuola sulle cui curve i maschi a loro insaputa hanno creato una classifica dove io non compaio nemmeno come vaga citazione…non ancora.
"Tesoro...tutto bene?" domanda ora la sua cara amica, una nota preoccupata nella voce.
Io annuisco con enfasi, il mio sentimento odioso celato al mondo intero, celato a chiunque non sia il mio specchio in camera che ogni dannatissima sera e mattina mi restituisce l'immagine di una bambina senza curve, una bambina senza seno. Le altre si prendono a braccetto, formano una specie di catena, ed io sono trascinata in quel vortice di risate e felicità adolescenziale con talmente tanta facilità che mi sento davvero bene, la rabbia dimenticata, l'amarezza mai esistite.

Io amo il mio corpo così com'è, io non ho bisogno di un seno enorme perché i ragazzi mi notino, io non voglio essere costretta a dover cercare per ore una maglietta che non mi stringa. Io sto bene così come sono, io sono felice così come sono e non mi permetto di provare invidia nei confronti della mia carissima amica la cui unica pecca è solo essere cresciuta più in fretta di me. E poi guardiamo i lati positivi: posso mettermi di tutto, i ragazzi mi guarderanno in volto e non nella scollatura, non ho problemi di spostamento correndo, quando avrò avuto figli e avrò raggiunto la mezza età non mi arriveranno all'ombelico come due sacchi vuoti,...e dentro la mia testa mi chiedo quanto siano costate le bombe di plastica di quella donna dall’aria realizzata e se mi possa permettere di chiedere ai miei un contributo al mio già deciso regalo dei 18 anni, dato che la ginnastica contro il muro e le creme “potenzianti” non sembrano avere su di me l’effetto promesso.
Se davanti allo specchio nella solitudine della tua camera ti giri di lato gonfiando il petto per buttare in fuori l’imbottitura di cotone ed esaminare quante misure in più ti servono per essere felice, mi dispiace per le tue punture di zanzara ma hai ceduto allo stereotipo.


[e perdonate il ritardo. Non si tratta di mancanza di interesse o ispirazione, quanto di tempo e di testa. Per scrivere qualcosa del genere serve parecchia concentrazione e una buona dose di calma interiore, cosa che ultimamente mi era mancata. Per cui siate pazienti con me, voi che siete già così buoni da incoraggiarmi e seguirmi in questo progetto, sono anche io un essere umano e come tale ho dei limiti.
Spero di non deludere le vostre aspettative, grazie ancora per la fiducia e non preoccupatevi di eventuali blocchi dello scrittore dovuti a mancanza di ispirazione, a questo mondo vi sono anche troppe cose da cui prendere spunto. ^^’

ps-ho aumentato le dimensioni dei caratteri perchè qualcuno mi ha fatto notare che risultava a volte faticoso seguire

*inchino profondo* a presto]

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** se solo avessi meno seno ***


Ciao! Scusate il ritardo, avrei dovuto arrivare prima ma purtroppo ho avuto difficoltà con i mezzi di trasporto e...che? chi mi sta guardando? ...no, non lo conosco...ma cambiando arg...ah...grazie...si, sono cresciute ancora...ve ne darei volentieri un po’ se si potesse, ma temo che la tecnologia non sia arrivata ancora a tanto.
Sempre così le mie amiche, è la prima cosa che notano di me quando mi vedono. Non notano il vestito nuovo, i capelli tagliati, il velo di trucco viola che mi sono messa in fretta in autobus rischiando di cavarmi un occhio, la prima parte di me che vedono è il seno. Come tutti gli altri del resto. O se non tutti, come il ragazzo che ho incrociato due secondi fa a passeggio con la madre. E anche l’autista del bus. E anche il bigliettaio. E anche…
La mia migliore amica mi guarda sorridendo, e io le restituisco un saluto sincero. Siamo cresciute insieme, l'ho sempre sostenuto...anche se quella nostra amica pettegola continua a fare battutine sul fatto che lei ha smesso di crescere. Sento qualcosa pungere con fastidio sotto la mia maglietta preferita, che con mia somma disperazione potrò indossare ancora per poco se il mio petto continua a espandersi in questo modo, peggio di un palloncino pronto a scoppiare. Sono terribilmente imbarazzata, ma devo fare qualcosa, il prurito è insopportabile e so in modo seccante di cosa si tratta. Con la naturalezza di chi è stato costretto a compiere gesti simili un milione di volte, infilo una mano sotto la maglietta scatenando una serie di risatine tra le altre mentre sistemo il reggiseno che nella corsa si è spostato sotto il peso delle due palle da bowling. Quel ferretto, non mi abituerò mai a portarlo nonostante sia così terribilmente indispensabile! E pensare che c'è gente che paga salato e rischia la vita per seccature come la mia!
Mi avvicino alla mia migliore amica, l'abbraccio con calore premendo il mio corpo contro il suo come faccio da una vita, ma c'è qualcosa che non va, lo percepisco nel suo tenue sorriso, nel suo modo di reagire al mio tocco. Spero solo non si tratti della solita storia…
Ma chi me l’ha fatto fare? Non ho chiesto io di avere un davanzale fiorito di queste proporzioni?! Se poi questo aspetto così…diciamo prosperoso rischia di farmi litigare con la mia migliore amica, ne farei davvero volentieri a meno, resterei con gioia piatta com’ero solo l’anno scorso! …ma sono davvero stata piatta un tempo? La mia memoria non è in grado di riportarmi a quei momenti dell’infanzia.
“Stai benissimo come sempre!” la saluto raggiante, mostrando un affetto autentico come sempre.
“Tu invece no!” mi risponde lei, e sento il mio cuore riempirsi di rabbia “Sembra ti stia per scoppiare!” e la vedo guardare più in basso del mio mento, con un sorrisino ironico che la dice lunga. E alla lista della gente che non mi guarda in faccia ma fissa un punto non ben definito tra il collo e l’ombelico, si aggiunge anche la mia migliore amica. Preferisce fissare la mia maglietta invece che i miei occhi. No, anzi, fissa qualcosa sotto la mia maglietta, qualcosa che lei non sarà costretta ad indossare ancora per qualche tempo. Trattengo la battutina che automatica mi stava salendo alle labbra imputandola all’invidia perché sono cosciente che dentro di me vorrei tornare indietro a quando non dovevo girare con una camicia di forza. Ma lei questo non lo percepisce, non comprende che se fosse per me faremmo a cambio in qualunque momento. Chi se la ricorda ormai la sensazione della stoffa della maglietta a contatto con il petto? Ormai vivo in simbiosi con questo strumento di tortura definito reggiseno, il moderno discendente dei corpetti con le stecche di balena che hanno causato la morte per asfissia di tante dame di corte. Avete presente la sensazione di qualcosa che ti stringe fino a toglierti il fiato? Ecco, questo è quello che ho provato io quando in prima media ho dovuto mio malgrado cedere a mia madre e andare in un negozio di intimo a comprare uno di quei cosi che da piccola indossavo solo per gioco.
"Guarda, non me ne parlare, quel maledetto mi ha costretto a comprarmi una serie di nuovi reggiseni che..." rispondo io alla frecciata sicuramente involontaria, mentre so benissimo che questo mio sfogo è in tutto e per tutto una ripicca nei confronti di quella mia cara amica piatta che può ancora permettersi cose come un costume a fascia.
"Nuovi?! Vedere!!!" esclama immediatamente qualcuna del gruppo saltellando eccitata, la sua seconda misura che sobbalza eccitata quanto lei all'idea di esaminare qualche nuovo capo di biancheria intima su cui i suoi inesperti occhi di adolescente alla ribalta non hanno ancora osato posarsi. Sorrido osservando il movimento del suo seno dalla misura standard perfetta. Ecco, vorrei essere proprio così per non sentirmi in imbarazzo, una via di mezzo tra il Sahara e le Alpi. È forse chiedere troppo una comoda terza che stia su da sola? Mi sta guardando con aria di aspettativa, in fondo ho scoperto da poco il piacere di condividere l’emozione dello shopping intimo con le amiche, quindi mostro ammiccando una spallina mentre loro sogghignano e si avvicinano incuriosite. Lo credo bene che sono incuriosite, 37 euro di completino! E la miseria, neanche avesse l’oro al posto del ferretto! Però era l’unico con il quale stavo veramente comoda, quindi non ho avuto scelta.
“Ah, hanno appena aperto un nuovo negozio di Intimissimi in questa strada, andiamo a dare un’occhiata!”. E va bene, non si sa mai che abbiano un altro modello che mi possa entrare decentemente. E arrivati alla vetrina i miei occhi vengono inevitabilmente attratti da quello che per me è ormai un sogno passeggero divenuto impossibile: un corpetto. Ah, belli i tempi in cui guardavo quell’oggetto della seduzione e immaginavo di essere fortunata ad avere una bella fornitura per riempirlo. Le mie amiche mi danno di gomito indicandolo, hanno notato cosa sto guardando con malcelato desiderio. Io alzo le spalle ma loro mi vogliono portare dentro a provarlo. Mi basta una sola occhiata per capire quello che i loro occhi ancora inesperti non possono comprendere: quella è la taglia più grande, e io non ci entrerò mai. Problemi di coppa. Inutile anche solo spiegare. Per cui alzo le spalle e le lascio a fantasticare mentre qualcuna prende coraggio ed entra, seguita dal mio rancore e rabbia. Loro ci entreranno di sicuro in quell’intimo, e dalla loro seconda magicamente comparirà una quarta. Peccato non esistano modelli che da una quinta fanno magicamente apparire una terza. Maledetti loro e la loro mania di mettere imbottiture ovunque!
Dalla porta ancora aperta, all’interno intravedo una scena molto simile a quella che ho recitato io alla mia prima esperienza con un reggiseno: una ragazzina allo soglie dello sviluppo che litiga con i gancetti chiedendo aiuto alla commessa mentre la madre ammucchia pile e pile di reggiseni di diverso colore e modello. Mi scappa un sorriso quasi nostalgico di fronte ai patemi di quella poco più che bambina, ancora così piccola…ancora per poco. Se c’è qualcosa che ti fa crescere in fretta sono un paio di bombe che esplodono improvvisamente a renderti i movimenti più difficili, la corsa un qualcosa di doloroso e oltremodo imbarazzante, lo shopping un vero e proprio incubo. Sì perché improvvisamente la maglietta che tanto adoravi, non ti entra più. E quel bellissimo vestitino regalato da tua zia non ti sta più bene come una volta. E il tuo cassetto si riempie a poco a poco di laccetti, coppe rigide, ferri,…sembra un ferramenta da tanto peso che c’è!
Peso! Ecco un’altra cosa che nessuno calcola! Avete idea di cosa vuol dire aggirarsi con quattro chili in più, così, da un giorno all’altro. Prima camminavi a testa alta e schiena dritta, ora avanzi faticosamente  con le spalle curve non perché ti piaccia fissare i piedi, ma perché quelle maledette sono pesanti! Sono la fonte primaria della scogliosi! E tua madre che continua a ripeterti di tenere dritte le spalle, ma mamma, se ho un rimorchio da tir a carico, mi spieghi come faccio a tenere 24 ore su 24 le spalle dritte?! Se non avessi questo fastidio starei molto meglio, fisicamente e mentalmente. Ne sono convinta. Così come sono convinta che è da pazzi desiderare di avere qualcosa del genere ed essere disposti a ottenerlo con la chirurgia, modificare il proprio corpo per adattarlo alle esigenze della società.
 
Un’ombra riflessa sulla vetrina, e mi giro per osservare passare il ragazzo di prima, ora sprovvisto di madre al seguito. È carino, sembra più grande di noi, e mi ha notata. O almeno ha notato il mio davanzale che inconsciamente sto premendo contro la stoffa della maglietta. Il ragazzo sorride e si avvicina con passo tranquillo. La mia amica mi da di gomito ma intanto si sistema velocemente e furtivamente. Tutto inutile, mi basta buttare un po’ di più le spalle indietro per vanificare tutti i suoi sforzi. Ah, è proprio il caso di dirlo: grazie mamma dell’abbondanza che mi hai dato! Io non devo sottopormi a dolorosi interventi per avere quello che tutte vogliono. Io non devo indossare ridicoli reggiseni con imbottiture estreme che promettono tanto ma danno nulla. Io non devo preoccuparmi se il mio ragazzo ha una maggiorata come idolo. Io sto bene con il mio seno che mi permette tanti privilegi che altrimenti non avrei come lo sconto in gelateria o i passaggi gratis dagli amici di mio fratello.
Ma alle mie spalle avverto l’ombra di quel corsetto che mi chiama irresistibilmente, e dentro di me maledico la natura che mi ha dato tanto nel periodo sbagliato quando vanno di moda anoressiche modelle prive di curve e non vere donne. Varrebbe la pena avere meno scollatura da mostrare in cambio di qualche maglietta carina che ho visto in centro e degli occhi del mio ragazzo che guardano qualcosa che non sia le gemelle e che mi ascolti quando parlo. E dentro la mia testa si annida lesionista l’idea di usare quelle fasciature delle atlete per mascherare almeno un po’ quelle tanto decantate curve di donna che non portano poi così tanti vantaggi come tutti credono, per tornare almeno ancora un po’ ad essere come le altre, una ragazza dalle misure standard che entrano nei vestiti standard tipici della società moderna e dei suoi modelli stereotipati.


[mi scuso in primis perché questo capitolo non è stato scritto come gli altri. Diciamo che non mi soddisfa pienamente, ma tratta un argomento che mi tocca dal profondo, quindi ho avuto parecchie difficoltà a mantenere una sorta di imparzialità di base. Perdono, cercherò di rendere meglio nel prossimo *inchino profondo*

X Ego me stesso ed io: grazie. Non basterebbero milioni di parole per descrivere l’emozione che mi ha dato il tuo bentornata. Sei sempre il primo a incoraggiarmi in questo progetto così particolare. Non finirò mai di ringraziarti per le tue recensioni coraggiose, ben pochi sarebbero disposti ad ammettere con altrettanta naturalezza di essere vittime di un sentimento come l’invidia. Assieme alla mia gratitudine hai anche tutto il mio rispetto e appoggio. Grazie ancora.
X miss dark: spero di non aver deluso troppo le tue aspettative dopo avermi concesso così tanta fiducia. Anche io mi rispecchio in questo capitolo, avrei potuto andare avanti a “lamentarmi” all’infinito con vari esempi della vita comune mia e di altre amiche come me, ma per esigenze della raccolta ho dovuto contenermi. Non sarebbe corretto dedicare pagine e pagine a questa sezione quando ce ne sono molte altre che aspettano attenzioni, sarebbe stato uno squilibrio ingiusto. Sono curiosa, se a tuo parere ho tralasciato qualcosa di importante, fammelo pure sapere.

A presto]

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** vorrei essere etero (maschio) ***


La strada, quella strada del centro, è talmente affollata quel giorno da costringermi a ripararmi dietro mia madre che avanza con la sicurezza di una stazza notevole e di un portafoglio pieno da vuotare. Quello è il giorno dello shopping stabilito da mesi, evento attorno al quale ruota tutta la mia recente esistenza.
Salve! Sono quella testa di capelli ricci che spunta da dietro quel donnone che cammina stile marcia militare. Grazie al cielo non ho preso la camminata di mia madre, sembra che si stia avviando ad una parata. No, io la mia camminata la definisco più come un fruscio, un movimento lento ma non troppo e aggraziato quanto basta da permettere alle mie gambe di flettersi in tutta la loro lunghezza senza però apparire troppo sfacciato. O almeno è l’impressione che vorrei dare. A dire il vero a qualunque ragazzo della mia scuola è bastata un’occhiata per comprendere, anche senza prove certe, la cocente verità che mi porto dietro come un macigno sulla coscienza: io sono gay.
Mi guardo attorno terrorizzato, anche solo pensarlo equivale ad un’ammissione di colpa. Non l’ho mai detto a voce alta, non oserei. Quanto a confessarlo ai miei poi, non sarei mai in grado di sostenere ancora lo sguardo di disprezzo nei loro occhi. Ma lo sanno. Devono saperlo. Vivono con me, mangiano con me, parlano con me, è impossibile che non si siano resi conto che nella mia stanza non ci sono poster di donne nude, non ci sono mai stati e mai ci saranno. Mai avuto riviste tipicamente da uomo se non per guardare i modelli, ma leggo spesso le riviste per ragazze che le mie amiche mi portano a scuola. Amiche. Mai andato troppo d’accordo con i ragazzi. Insomma, faccio tutto quello che ci si aspetta da me: gioco a calcio, mi comporto da maschio al bar prendendo birra e commentando lo sport e qualche bellona del cinema, scherzo e rido volgarmente quanto basta. Ma fosse per me, me ne starei alla larga da quei posti chiusi dove l’odore di mascolinità è talmente tanto forte da togliermi il respiro.
Non è una novità, in fondo l’ho sempre saputo. Tutti l’hanno sempre saputo. È dalle elementari che mi prendono in giro chiamandomi finocchio e simili, tanto che mia madre si è scontrata più volte con insegnanti e genitori per bloccare il fenomeno che mi riduceva in lacrime. Ma ero ancora un bambino, non comprendevo appieno la portata di quelle parole. Ora lo so. Non sono più un bambino, anche se qualcuno continua ad esserne convinto. Ormai ho 17 anni, tra un anno sarò maggiorenne, e so di non essere etero.
Sospiro. Un sospiro lungo e sofferente che fa voltare mia madre. Il suo sguardo indagatore mi scandaglia in profondità. Lei deve sapere, a quella donna non sfugge mai nulla, ha perfino saputo quando mio fratello maggiore aveva perso la verginità, con una sola occhiata, non può non essersi resa conto che il suo figlio più piccolo è un frocio.
“Resisti, so che fare la spesa con la madre è noioso per un ragazzo, ma da sola non ce la faccio a fare tutto”.
“mmm…” rispondo io, quando in realtà mi piacerebbe farle capire con veemenza che semmai è il contrario, vorrei che questa giornata non finisse così presto, che a me piace fare compere con lei, piace davvero. Ma se dicessi una cosa simile, mi guarderebbe male, si chiederebbe quale significato recondito possano avere le mie parole, e poi si chiuderebbe nella convinzione che ho bisogno di farmi regalare qualcosa da lei per non indagare oltre ed arrivare da sola alla verità più profonda che nascondo nel mio cuore.
Paura. Ho paura che lo sappiano. Una paura tale che più e più volte ho maledetto Dio per avermi fatto così, diverso.
Ho incontrato altri come me, altri gay. Simpatici, qualcuno ci ha anche provato con me. Io mi sono sempre rifiutato, ma prima o poi so che cederò alla carne e mi lascerò andare. In fondo che male c’è? Sono nel pieno dello sviluppo, alla mia età è ormai considerato normale scopare…se si è etero. Se si è gay secondo la società non si dovrebbe scopare affatto. Non si dovrebbe vivere. Ho letto proprio questa mattina prima di uscire di casa un articolo di un prete che condannava la comunità gay ai tormenti dell’inferno perché considerata portatrice di mali indicibili. Come se la nostra presenza potesse in qualche modo contagiare. Non è una malattia. Se un gay ti starnutisce davanti, puoi prenderti i suoi germi dell’influenza ma non le sue preferenze sessuali. Dello stesso parere però non sono i miei compagni di classe che mi evitano come la peste o mi tormentano. Preferisco quando mi tormentano in un certo senso, almeno mi fanno capire che hanno registrato la mia presenza, non l’accettano ma la vedono. Qualche amica cerca di difendermi a volte, quando è in giornata buona o quando esagerano, ma non può fare molto. Sono solo. E avrei voglia di urlare in classe come una checca isterica quando mi strappano i libri, mi nascondono le mie cose o le gettano dalla finestra, mi insultano in ogni modo quando passo per i corridoi. Non è facile la vita da liceale. E dire che dovrebbero essere gli anni migliori della mia vita. A me sembrano i peggiori tra confusione, odio e paura.
Mia madre è entrata in un negozio, mi ha fatto cenno di aspettarla fuori. È una profumeria. Quale sarà mai la legge non scritta secondo la quale un uomo non può entrare in profumeria se non urlando che deve fare un regalo alla propria donna, non lo so davvero, ma io ci entro solo accompagnato dalle mie amiche. Non oso da solo, se qualcuno mi vedesse?
“Ehi, c’è riccioli d’oro!”.
Ecco, qualcuno mi ha visto. Faccio finta di nulla, è l’ennesimo sberleffo di quelli della mia classe. Mi sfilano davanti in tutta la loro figaggine ostentando le ragazzine che si trascinano dietro, prede di guerra nella lotta della seduzione etero. Scommettiamo che so la loro prossima mossa? Ecco, infatti come avevo previsto: due di loro hanno afferrato le rispettive ragazze e hanno cominciato a limonarle in tutta tranquillità in mezzo alla strada davanti a me. Che posso fare? Ignoro. Tremo di rabbia e ignoro. Dopo un po’, quando si saranno stancati di indicare e pomiciare, mi lasceranno in pace. Per non guardare loro i miei occhi scrutano la vetrina seguente, cercando di concentrarsi sui vestiti esposti. La mia concentrazione è tale che dovrebbe spaccare il vetro.
Dalle mie labbra sfugge uno squittio di sorpresa quando noto che il manichino che stavo osservando non è affatto un manichino ma uno dei commessi che sta sistemando la vetrina. Eppure le sue forme sembravano così perfette…mi scopro a perdermi nella forma delle gambe inguaiate nei jeans strappati e nei pochi lembi nudi di pelle che lasciano intravedere. Ah, si è chinato in avanti. Ha un sedere davvero interessante, potrei perderci ore a guardare quella vetrina così interessante. Il corpo maschile è davvero intrigante. Mi umetto le labbra, e lui si volta. Probabilmente ha sentito il mio sguardo sul suo culo, o gli sono più semplicemente arrivati all’orecchio gli insulti a me rivolti. Comunque si è girato, e mi sta guardando con aria interrogativa. So per esperienze precedenti che il mio viso è in fiamme, se mi toccassi le orecchie le sentirei scottare per la tensione. Sorrido timidamente al commesso, so che non sembro così innocente come dovrei, ma in fondo è un rischio che bisogna correre se si vuole combinare qualcosa. Ah, se solo mi ricambiasse, se mi facesse un cenno di intesa e mi facesse capire che ho una speranza. Cavolo, mi piace davvero avere un ragazzo fisso e non qualche avventura occasionale come mi è sempre capitato. Lui mi guarda perplesso, poi di colpo capisce ed ecco in un istante sul suo viso si dipinge un sorriso di circostanza mentre gli occhi si appannano di disgusto. Quella sera quando vedrà gli amici al bar racconterà la sua terribile esperienza, quando un gay lo ha puntato. Sconfitto ed umiliato, ricaccio a stento le lacrime. Se fossi stata una ragazza questo non sarebbe successo, mi avrebbe sorriso di rimando, mi avrebbe aperto la porta del negozio ed invitato ad entrare.
Cosa c’è di sbagliato in me? Cosa ho fatto di male per essere così? Io non lo volevo, io sarei stato molto meglio se fossi stato come tutti gli altri, un comune etero con interessi etero. Perché questa maledizione è calata proprio sulla mia testa? Vorrei essere qualcun altro e in qualche altro posto mentre mia madre esce dalla profumeria con una boccetta in mano, ed io mi giro apparentemente annoiato dal suo entusiasmo per l’acquisto. Riprende a camminare, ed io dietro. Prossima destinazione il negozio di elettronica. Il frullatore si è rotto e dobbiamo comprarne uno nuovo, ecco il motivo della mia presenza: l’uomo porta i pacchi. È un bene che cammini davanti a me, schermandomi alla vista degli altri passanti, così posso piangere le mie amare lacrime in silenzio e non avere paura di farmi notare. Un ragazzo etero non piange, almeno io non ne ho mai visto uno.
“Oh oh…!” mormora mia madre bloccandosi di scatto davanti ad una vetrina insulsa. Confuso, la guardo sorridermi nel suo modo malizioso. Oh ti prego, dimmi che non è vero! “ore dieci, ragazze carine che ti hanno notato! Vai tigre!”.
…mamma! Ecco, questo è uno di quei momenti in cui vorrei urlarle che sono gay. Ma mi basta la sua aria d’aspettativa per capire che non avrò mai il coraggio di fare una cosa simile. Prendo un bel respiro profondo. Le ragazze sono carine e sembrano anche simpatiche. Forza e coraggio, sei etero. Tu ami le ragazze, ti piace la passera. I miei passi si fanno più sicuri e la camminata un po’ meno ondeggiante mentre mi accosto di qualche metro. Mi hanno puntato ben bene, ormai non ci sono dubbi, non posso scappare. Sono etero, sono etero, sono etero…a furia di ripeterlo prima o poi funzionerà e avverrà il miracolo per trasformarmi da reietto della società ad uno dei loro.

So chi sono, so cosa voglio. A me piacciono i ragazzi, le curve femminili le guardo solo per ammirarle con distacco. Non voglio finire incastrato in un matrimonio di facciata con una bella moglie, voglio al mio fianco un uomo che mi ami per quello che sono. Non mi vergogno di essere me stesso. Se la società non mi accetta, poco importa, purché stia bene io.
Ma ogni passo che faccio verso quelle ragazze che mi aspettano invitanti, è un passo verso quell’io falso in cui mi costringe chi mi sta attorno. Mi faccio carico di aspettative che non posso esaudire, di speranze che verranno illuse dalla mia natura codarda. Ogni passo verso quelle ragazze, è un passo verso la facciata di convenienza che nasconde la diversità per rendermi identico a come dovrebbero essere tutti gli altri ragazzi. Sì, insomma, allo stereotipo del maschio etero.


[salve a voi che mi leggete da sempre, e ai nuovi arrivati che mi hanno trovata da poco! ^^
Uh, più si prosegue, più diventa complicato. Come avrete percepito (se ho fatto bene il mio lavoro), in questo scorcio è cambiata quasi totalmente l’emozione dominante rispetto ai precedenti. Ci sarebbe stato molto altro da scrivere, ma ho preferito fermarmi per non uscire dal personaggio che ho scelto di dipingere.

X miss dark: lieta di aver corrisposto alle aspettative ^^ anche io detesto dover sostenere gli sguardi di estranei (e non) che parlano con me fissando qualcosa che non è il mio viso, ma con il tempo ho imparato a usarlo a mio vantaggio, come ho imparato ad usare tante altre cose sgradite. Dopotutto siamo state “graziate” di tanta abbondanza, a qualcosa dovrà pur servire! E lo shopping…o hai un’amica ben fornita come te, o hai un amico gay o è meglio in solitaria. Almeno si evitano situazioni imbarazzanti come “compriamo lo stesso completino!” -.-‘

X Ego me stesso ed io: anche a me basta poco per essere felice, mi accontento del vostro sostegno e di un po’ di cioccolata ^^ le lodi per non aver prolungato l’attesa è meglio non cantarle a voce troppo alta, le muse potrebbero indispettirsi e ritirare la loro mano protettrice. Approfittiamone finché sono dalla mia parte e concentrate su questa raccolta ^^

X Vegeta4ever: totalmente perdonata per il ritardo! *abbraccia scodinzolando* benarrivata!
Ps- concordo appieno con il nick ><

Alla prossima! Kissu kissu]

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=279184