Una piccola promessa mantenuta

di EleWar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il rapimento ***
Capitolo 2: *** Attese e speranze ***
Capitolo 3: *** Naoko ***
Capitolo 4: *** Akira Murakami ***
Capitolo 5: *** Solitudini e turbamenti ***
Capitolo 6: *** Non dire mai ti amo ***
Capitolo 7: *** Un cuore diviso a metà ***
Capitolo 8: *** Un amore rimandato ***
Capitolo 9: *** Ammissioni ***
Capitolo 10: *** Missione salvataggio ***
Capitolo 11: *** Un'ultima notte ***
Capitolo 12: *** Non è ancora finita ***



Capitolo 1
*** Il rapimento ***


Eccomi! Con l’ennesima ff a infestare il sito! ;D
Questa, manco a dirlo, è mooooltoooo diversa da tutte le altre, e si snoderà su più capitoli.
Spero che vi piacerà e che vorrete leggerla tutta, fino alla fine.
Con affetto la vostra Eleonora War ^____^





Cap. 1 Il rapimento
 
Kaori si svegliò di soprassalto, in preda ad incubi spaventosi; era madida di sudore e il suo cuore sembrava impazzito.
Cercò si tirarsi su e mettersi a sedere, ma qualcosa la tratteneva, impedendole i movimenti.
Ancora ansante, nella penombra della stanza, lentamente mise a fuoco la sua situazione.
Era legata mani e piedi ed assicurata alla testiera in ferro battuto di un letto.
 
Indossava ancora il vestito da sposa.
 
Sbuffò pesantemente, frustrata.
 
Era stata di nuovo rapita, anche quel giorno… o era … quando?
Non riusciva a stabilire quanto tempo fosse passato dal momento del rapimento a quel brusco risveglio. Valutò, dai forti raggi del sole che filtravano dalla pesante tenda di quella che sembrava una porta finestra, che fosse giorno inoltrato.
Fu presa dall’impazienza di sapere chi fossero i suoi aguzzini: prima avesse fatto la conoscenza del suo ennesimo nemico, e prima avrebbe capito con chi aveva a che fare.
Si mise ad urlare:
 
“Ehi, c’è nessuno? Ho fame!” poi riprendendo fiato “Insomma, c’è qualcuno qui? Dove mi trovo?”
 
Fece così tanto baccano che, quando si stancò di urlare, nel silenzio che ne seguì udì dei passi in avvicinamento; tacque, aspettando l’entrata in scena dei suoi carcerieri, ma quando la porta si aprì, rivelando la presenza di una sola persona, questa non accese la luce, né si premurò di farsi vedere o riconoscere in qualche modo.
E nemmeno il tenue chiarore alle spalle del nuovo venuto fu sufficiente ad illuminarlo, definendo solo i contorni di un’anonima sagoma.
Kaori sforzò tantissimo i suoi occhi, già abituati a quella semi-oscurità opprimente, ma non riuscì a capire altro.
Si concentrò perfino sull’aura del nemico per capirne le intenzioni: non sembrava malvagia, né troppo pericolosa.
Percepiva un tormento, quello sì, ma per quanto fosse diventata brava ad inquadrare i suoi nemici dalla sola presenza, era ben lungi dal carpirne i segreti così, anche solo vedendoli.
Attese di sentire almeno il tono della voce.
 
Ma il nemico sostava sulla soglia senza fiatare, e Kaori, per darsi coraggio e rompere gli indugi, con saccenteria proruppe con:
 
“Allora? Perché sono qui?”
 
Un silenzio fastidioso fu l’unica risposta; innervosita, incalzò:
 
“Si può sapere almeno chi si è preso il disturbo di rapirmi? Visto che il motivo posso immaginarmelo…” concluse con sarcasmo.
 
Però le si spense il sorriso sulle labbra, quando sentì una voce, chiaramente femminile, risponderle:
 
“E quindi tu saresti la famosa Kaori Makimura?”
 
La ragazza sobbalzò: non si era aspettata una carceriera donna; nella stragrande maggioranza dei rapimenti, i suoi aguzzini erano uomini, rozzi e violenti, scagnozzi di criminali ben più importanti, pesci piccoli che facevano la voce grossa, e che a volte riusciva lei stessa a neutralizzare, anche prima dell’arrivo di Ryo.
Ryo.
Il suo pensiero le attraversò fulmineo il cervello.
Sarebbe venuto a salvarla?
 
Cercò di non perdere la calma, non voleva farsi vedere stupita o impaurita dalla nemica, quindi la sweeper proseguì:
 
“Sì, sono io. E guarda, non ti chiedo nemmeno come fai a conoscermi… In ogni caso vedrai cosa vi succederà, quando Ryo verrà a prendermi!”
 
“E chi sarebbe questo Ryo?”
 
Kaori spalancò gli occhi nel buio.
Come era possibile che lei non conoscesse il grande Ryo Saeba, quello che insieme a lei costituiva il magnifico duo City Hunter?
I loro numerosi nemici cercavano sempre di rapire lei, Kaori, per arrivare fino a lui, dal momento che il suo socio non avrebbe perso tempo a correre in suo soccorso.
Che poi lui riuscisse a sconfiggerli, metterli in fuga o peggio ancora, però, era un’eventualità che nessuno si prendeva mai la briga di considerare; tutti si credevano più furbi e più in gamba di lui, eppure facevano sempre una brutta fine.
Per un attimo ebbe una stretta al cuore; da che era entrata nella vita di quell’uomo, lui non aveva fatto altro che salvarla, sia le volte che era stata lei a cacciarsi nei guai per troppa faciloneria, sia quando, appunto, i suoi nemici se la prendevano con lei, che era di fatto il suo tallone d’Achille.
E Ryo ogni volta metteva a repentaglio la sua incolumità, pur di salvarla…
Nonostante il loro un mondo fosse già di suo pericoloso, doversi occupare in continuazione della sua partner imbranata e casinista, lo portava a compiere il doppio dello sforzo per rimanere vivo…
Per l’ennesima volta finì per pensare che se fosse uscita dalla sua vita, se lo avesse lasciato definitivamente, magari lui avrebbe avuto più possibilità di sopravvivere, senza di lei.
 
Ingoiò decisa il nodo che le si stava formando in gola; non era il momento di cedere all’amarezza e alla disperazione, inoltre non doveva mostrarsi fragile e insicura alla sua avversaria.
Quindi rispose sprezzante:
 
“Come, chi sarebbe? Ryo Saeba, lo sweeper n. 1 del Giappone, City Hunter!” concluse con orgoglio, e si guardò bene dal dirle che lui era anche conosciuto come lo Stallone di Shinjuku, poiché quello era un appellativo di cui non andava molto fiera.
 
“Pfuh…” sbuffò la donna “Non so chi sia, né mi interessa. E comunque per venire a riprenderti, prima dovrebbe sapere dove ti ho fatto portare, e soprattutto scoprire perché.”
Aggiunse quella, con un filo di malignità.
 
E, infatti, anche Kaori si ritrovò a chiedersi quale fosse il perché del suo rapimento, visto che evidentemente non era una trappola per far fuori City Hunter; in ogni caso era da escludere uno scambio di persona, perché, era ovvio, la donna misteriosa sapeva benissimo chi lei fosse.
E mentre la sweeper, sempre più confusa, ragionava su questa stranissima situazione, l’altra fece per andarsene.
Kaori, che se ne accorse, con una voce che tradiva una leggera inquietudine, le chiese:
 
“A-aspetta, non te ne andare!”
 
La donna rimase a mezzo sulla porta, con la mano sul pomello, l’unica parte del corpo che Kaori riuscì a vedere chiaramente, per uno strano gioco di luci riflesse; e non le sfuggì come questa fosse ben curata e ingioiellata.
Un anello in particolare attirò la sua attenzione, e lei memorizzò tutti questi elementi, anche quelli apparentemente più insignificanti, proprio come le aveva insegnato a fare Ryo.
 
La richiesta della prigioniera, comunque sia, aveva turbato la donna, e la sweeper se ne accorse dal cambiamento della sua aura; consapevole di ciò, la ragazza provò allora la strada della comprensione, dell’empatia, e facendosi coraggio le chiese:
 
“Dimmi almeno il tuo nome. Chi sei?”
 
Kaori percepì una leggera esitazione nell’atteggiamento della sua carceriera, perché non rispose subito, ma quell’attimo di debolezza durò ben poco poiché ella rispose, severamente:
 
“Non importa” E poi: “Hai detto che hai fame. Bene, ti farò portare qualcosa da mangiare” e scomparve.
 
Kaori, che si era tesa nello sforzo di sostenere quel duello verbale, si lasciò andare nel letto con un sospiro frustrato, e solo allora si accorse di quanto, quelle ruvide corde, le facessero dolere i polsi e le caviglie.
 
Dannazione! Stavolta la situazione è davvero ingarbugliata” si disse la sweeper; e poi: “Chissà se Ryo verrà a liberarmi… lo stesso?
 
 
***
 
 
“Ryo, te lo ripeto! Io non ho visto niente! Ero dall’altra parte dell’atelier, e stavo facendo provare dei vestiti ad un’altra modella” ribadì per la millesima volta la stilista Eriko.
 
“Vuoi farmi credere che un commando è entrato nel tuo negozio e ha rapito Kaori sotto i tuoi occhi, senza che te ne accorgessi?” reiterò Ryo con voce alterata.
 
Stringeva fra le mani i vestiti di Kaori, quelli che si era cambiata nel camerino per misurarsi il suo abito da sposa, e li guardò in preda alla rabbia e alla frustrazione.
Se almeno avesse indossato le sue solite cose, adesso avrebbe potuto rintracciarla con il localizzatore nascosto nei bottoni della camicetta o dei jeans, invece così non aveva nessuna traccia da seguire.
Peggio, nessuno aveva visto niente in quello stramaledetto atelier, e sì che rapire una donna in abito da sposa avrebbe dato certamente nell’occhio.
 
Lo sweeper misurava la stanza a larghe falcate, come un leone in gabbia; Eriko non l’aveva mai visto così, nemmeno quando lei stessa era stata in pericolo e lui aveva dovuto farle da guardia del corpo.
Sapeva che l’uomo aveva un sangue freddo invidiabile, ma quando c’era di mezzo la sua partner perdeva letteralmente la testa, e di certo la situazione complicata che stavano vivendo non aiutava.
La ragazza fu costretta a fermarlo, prendendolo per un braccio:
 
“Avanti, calmati Ryo” e quando lui le indirizzò uno sguardo fra l’accigliato e il disperato, lei gli sorrise:
 
“Kaori è in gamba, lo sai! Inoltre, prima o poi i rapitori si faranno vivi, no? Non è così che funziona?” E gli rivolse un sorriso stiracchiato che voleva essere incoraggiante.
 
Lui fu colpito dall’atteggiamento di quella che era una delle più grandi amiche della sua socia, e che, nonostante il senso di colpa e la preoccupazione, cercava di essere positiva; si sforzò di sorriderle:
 
“Hai ragione” ammise “presto o tardi quei dannati si faranno sentire.”
 
E prima di andarsene, ripassò per l’ennesima volta nel camerino dove si era cambiata la socia, alla ricerca anche del più piccolo indizio o dettaglio; a volte era capitato che Kaori gli lasciasse un segnale, quando era sorpresa da qualche malintenzionato, magari facendo cadere apposta un piccolo oggetto affinché lui lo trovasse, o mettendo fuori posto qualcosa, di modo che la cosa attirasse la sua attenzione, ma sembrava tutto in ordine.
Aveva già tastato più volte la moquette dello spogliatoio, l’aveva sollevata, aveva guardato sotto, aveva percorso con le dita il battiscopa e fatto scorrere le dita sulle pareti lisce ricoperte di carta da parati.
Nulla.
Evidentemente la partner non aveva fatto in tempo a fare niente, oppure era stata portava via da qualcuno di cui lei si fidava.
 
Staccò dall’attaccapanni la sua borsetta, ne ricontrollò velocemente il contenuto, e nonostante tutto si sentì in imbarazzo a frugare così nelle sue cose.
Si guardò intorno e, sicuro di non essere visto da nessuno, portò i vestiti della ragazza al viso e ne aspirò l’odore, chiudendo gli occhi.
 
Sugar, ma dove ti sei cacciata!!!” finì per pensare.
 
Stava per imboccare la porta girevole dell’atelier, quando la voce di Eriko lo richiamò indietro.
 
“Ryo… io… mi-mi dispiace” gli disse la bella stilista, tormentandosi le mani “Ti prego, se dovessi saper qualcosa, avvertimi!” concluse con voce accorata.
 
“Certamente” rispose l’uomo con sguardo impenetrabile; era tornato lo spietato sweeper di sempre.
Per tutto il tempo che era stato lì con lei, non ci aveva provato nemmeno una volta, né aveva fatto il maniaco, segno evidente che la preoccupazione per Kaori vinceva su tutto.
 
“Anche tu, se dovessi scoprire qualcosa, o avere notizie, chiamami ad ogni ora del giorno e della notte” aggiunse poi.
 
“Puoi contarci.”
 
Lo sweeper scomparve dietro i vetri traslucidi, e la stilista sospirò affranta.
 
 
 
Ryo fece un veloce giro dei suoi informatori, da cui aveva saputo, peraltro, poco o niente; ai più fidati aveva addirittura rivelato che la sua socia, al momento del rapimento, indossava un elegante vestito da sposa, e questi se ne erano stupiti non poco, ma avevano preferito non fare domande su chi fosse lo sposo, sul perché e sul percome.
Quando Ryo Saeba si presentava con lo sguardo severo e imperscrutabile, scoraggiava chiunque a cacciare il naso in faccende che non gli riguardavano, meno che meno nella sua vita privata.
Se poi c’era di mezzo la sua partner, non se ne parlava nemmeno.
Quindi, anche se gli interlocutori morivano dalla voglia di saperne di più, si tennero per sé la curiosità.
Solo il fidato Gen si permise di dirgli:
 
“Eh, caro mio, non è così facile come credi. In fondo non è cosa così strana, veder salire una giovane sposa su di un’elegante macchina nera e lucida, davanti all’atelier di una famosa e graziosa stilista… ” e lo guardò ammiccante.
 
Ryo era così in ansia che quasi si lasciò sfuggire il senso di quella frase.
Ma il suo amico, prima di tornare a sistemare video porno negli espositori, e a controllare che l’uomo non gliene rubasse qualcuno di troppo, gli disse ancora:
 
“… se non fosse che, chi mai si sposerebbe in mezzo alla settimana?” e gli fece l’occhiolino.
 
Lo sweeper finalmente capì l’informazione che il negoziante gli aveva passato, e lo guardò con gratitudine prima di schizzare via come avesse il diavolo alle calcagna.
 
Gen sospirò e sorrise amaramente; quei due poveri innamorati erano proprio sfortunati, si disse grattandosi la testa.
Poi però, anche lui si chiese se il vestito che stava provando la bella e dolce sweeper non fosse per…
No, possibile?
In caso si sarebbe già venuto a sapere… e allora?
Ryo… ?
“Mah” concluse ad alta voce, schiacciando la cicca nel posacenere: il ragazzo era così in pensiero per la sua adorabile socia, che non aveva fatto caso neanche alle nuove uscite; e sì, quando si trattava di lei, perdeva la testa.
 
 
 
Ryo filava con la sua Mini rossa per le strade di Shinjuku: voleva arrivare a casa prima possibile, nel caso i rapitori si fossero fatti vivi.
Gen gli aveva dato informazioni importanti; almeno a giudicare dal lusso della macchina, non erano criminali da strapazzo, anche se, ragionò, se c’erano di mezzo malavitosi della yakuza, potevano esserci guai in vista ben più seri.
Cercò di ricordare se ultimamente avesse pestato i piedi a qualche boss, o avesse intralciato, più del dovuto, i traffici di qualche clan, ma non gli veniva in mente niente.
Purtroppo, o per fortuna, nel giro regnava una strana calma apparente; e comunque loro due non venivano mai coinvolti nelle lotte fra famiglie nemiche, quindi perché colpire proprio City Hunter?
Quel rapimento era anomalo e a dir poco inspiegabile, nella logica del loro mondo.
Non gli restava che aspettare una telefonata, un messaggio o un avvertimento, da parte di chi aveva preso la sua socia.
Solo così avrebbe agito di conseguenza.
Sperò con tutto il cuore che quello fosse veramente l’ultimo rapimento.
 
Quando raggiunse il loro appartamento, si diresse in soggiorno e si lasciò cadere sul divano, esausto. Stringeva ancora in mano i vestiti della ragazza, quando si decise a disporli ordinatamente accanto a lui, scansando i cuscini per fare posto, stirandoli con le mani, per togliere quelle spiegazzature che la sua foga e la sua rabbia gli avevano impresso.
Per un attimo pensò che lei lo avrebbe sicuramente rimproverato, per avergli sgualcito gli abiti in quel modo, e sapendo quanto lei ci tenesse.
Non che fossero capi di abbigliamento particolarmente costosi o importanti, ma lei, da vera economa, cercava di farsi bastare sempre i soldi che guadagnavano, e nonostante a volte vivessero nelle ristrettezze, riusciva a fare miracoli e a comprare sempre delle cosine carine, da spender poco, che però facevano la loro figura.
O piuttosto non era forse che, indosso a lei, tutto aveva un altro effetto?
Dovette ammettere che, qualsiasi cosa Kaori indossasse, era sempre bellissima.
 
Sospirò.
 
Probabilmente, da adesso in poi, non avrebbe avuto più bisogno di risparmiare per comprarsi dei jeans nuovi, o una camicetta adocchiata al negozio all’angolo, e forse non avrebbe avuto nemmeno più bisogno proprio di quei vestiti lì.
Li osservò intensamente e gli parve di vedercela dentro, come se fosse lì, seduta accanto a lui.
Gli stava sorridendo, ma poi quell’immagine tremolò e il suo sorriso si spense, il viso assunse un’espressione triste e rassegnata.
Istintivamente, Ryo mosse un braccio a mezz’aria, come a scacciare quella visione angosciante.
Si alzò di scatto e si diresse in cucina: aveva bisogno di bere.
 
Aveva anche voglia di raggiungere la stanza della ragazza, per sentirsela più vicina; era così vuota la casa senza di lei!
Ma non voleva allontanarsi troppo dal telefono, in caso avessero telefonato i rapitori.
Non gli era mai successo di essere così angosciato per un suo rapimento; si stava forse rammollendo?
Per l’ennesima volta si convinse che quello non era un mondo adatto a lei, e che per la promessa fatta al suo amico morente, il fratello di Kaori, Hideyuki, se era vero che voleva e doveva proteggerla, doveva altresì allontanarla da lui e dal suo modo di vivere.
Poco importava se lui ne sarebbe morto: lui non contava niente, era un volgare assassino, era abituato a soffrire; forse, sperò, avrebbe superato anche il dolore della sua lontananza.
Eppure era andata via da così poco tempo, che la sua assenza gli pesava come un macigno.
Sentiva quelle quattro mura quasi incombere su di lui, come a volerlo schiacciare: gli mancava l’aria, e nuovamente provò il desiderio di fuggire… se non fosse stato che attendeva quella maledetta telefonata!
Già, fuggire… anche quello aveva fatto per tutta la vita, insieme a sparare ed uccidere.
E per quanto avesse cercato di scappare, i problemi lo avevano sempre raggiunto, così come i pensieri cattivi, così come lei…
Sì, Kaori lo aveva sempre raggiunto, lo aveva ritrovato ogni volta, che fosse ubriaco in un vicolo, o in fondo al suo personale pozzo nero, fatto di violenza e dolore, di oscurità.
E lo tirava fuori da lì, semplicemente con un sorriso, una gentilezza, il suo essere presente accanto a lui.
Ma ora… chi l’avrebbe rincorso, magari con un martello?
Chi lo sarebbe andato a scovare, nascosto dietro una scusa, proprio ora che aveva deciso di fermarsi?
 
Il brontolio dello stomaco lo riportò alla realtà, e si ricordò che erano ore che non mangiava, perché se non c’era lei a cucinare, lui non si prendeva la briga di prepararsi nemmeno un panino.
 
Stancamente, si ritirò su e si avviò al frigorifero, sperando di trovarci dentro ancora qualcosa di commestibile; non ricordava nemmeno più quand’era stata, l’ultima volta che aveva fatto la spesa.
 

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Capitolo 2
*** Attese e speranze ***


Ed eccoci al tanto sospirato cap. 2, almeno per me che fra correzioni infinite, betature esterne, pc ad aggiustare e internet ballerino, non riuscivo mai a postarlo.
Per il resto che dire? GRAZIE per i commenti incoraggianti che mi avete lasciato, ho acceso la vostra curiosità e spero tanto che la mai storiellina non deluda le vostre aspettative.
Ancora grazie a tutti quelli che leggono, che passano e vanno, a chi lascia un commento,  a chi l’ha messa fra le preferite, ricordate, seguite.
Vi lovvo
Eleonora





Cap. 2 Attese e speranze
 
Le ore non passavano mai per la povera sweeper, e ben presto sentì il bisogno di andare in bagno.
Sembrava che l’avessero abbandonata a sé stessa, perché non si era più visto nessuno, nemmeno a portarle da mangiare un tozzo di pane, quello che non manca mai neanche ai peggiori prigionieri.
 
Il posto in cui si trovava sembrava disabitato, eppure la stanza, al centro della quale campeggiava quell’enorme letto a cui era assicurata, doveva essere lussuosa.
Aveva avuto tutto il tempo di studiare l’ambiente intorno a lei, e aveva dedotto che quella fosse la discreta camera da letto di una grande villa o palazzo.
Seppure fosse quasi spoglia negli arredi, il letto, in stile occidentale, era sontuoso e le lenzuola di seta; anche la pesante tenda sembrava di broccato, ne intravedeva i deliziosi disegnini ricamati.
Data l’assenza di rumori, fuori e dentro la casa, valutò che il luogo in cui si trovava fosse distante da qualsiasi strada mediamente trafficata, e anzi, che fosse piuttosto immersa nella natura, perché poteva sentire il cinguettare degli uccellini e il frusciare delle foglie.
 
Stanca di aspettare, e preoccupata di farsela addosso, riprese a gridare:
 
“Ehi! Vi siete dimenticati di me? Devo andare in bagno e ho fame!”
 
Quel bel vestito da sposa che tuttora indossava, inoltre, non era l’ideale per starsene distesa e legata su un letto.
Iniziavano a pizzicarle tutti quei pizzi e quei ricami sulle spalle.
Non era così che aveva immaginato l’accoppiata vestito da sposa + letto, e si diede della stupida per quei pensieri insulsi, ma non poteva farci niente.
E poi starsene così tanto tempo da sola, senza un’anima viva, era deleterio per una come lei, solare e chiacchierona; quella prigionia la stava logorando, e forse era anche la fame che la faceva sragionare.
Provò di nuovo a tirarsi su a sedere, facendo un enorme sforzo di addominali, ma riuscì solo a inclinare leggermente il busto, tanto da vedere le caviglie legate, e sorrise amaramente notando che calzava ancora le scarpe bianche col tacco.
L’avevano proprio lasciata così com’era nel momento della prova del suo abito.
 
Quel giorno si era recata dalla sua amica stilista Eriko, in cerca di un vestito per il suo matrimonio.
L’amica aveva detto che non ne aveva molti, ma ce n’erano un paio che avrebbero fatto al caso suo.
Miki non aveva potuto accompagnarla, e lei ci era andata da sola; era fuori discussione che vi andasse con Ryo!
Era così emozionata.
Ricordò, inoltre, che nonostante la felicità, una sottile ombra di malinconia le stava rovinando il momento; aveva più volte scacciato quel pensiero, e si era detta che fosse normale, per una giovane futura sposa, avere dei dubbi, dei tentennamenti.
Per esempio, avrebbe tanto voluto che suo fratello l’accompagnasse all’altare, ma non sarebbe stato possibile; ecco quello le causava tristezza.
Forse era per quel motivo che la mattina, uscendo di casa, aveva voluto mettersi al dito l’anello dell’amato Hideyuki, lo stesso che lui non aveva fatto in tempo a regalarle in quel tragico compleanno.
Durante la prova lo aveva stretto, come a trovarne conforto, ma poi, si ricordò, aveva dovuto toglierselo per non rischiare di smagliare le calze, che Eriko le aveva dato da indossare sotto l’ampia gonna.
Sì, aveva infilato l’anello nel borsellino delle monete, in mancanza della custodia, che era rimasta sul comodino, e lo aveva lasciato nella sua borsa.
Se ne rallegrò, così non lo avrebbe perso o rovinato, proprio ora che era legata così stretta tanto da non potersi muovere.
 
La sua borsa, i suoi vestiti…
Ryo li avrebbe recuperati?
Sì, certamente.
Era sicura che Eriko, non trovandola più, avrebbe subito allertato il suo socio, e lui, nonostante tutto, avrebbe fatto l’impossibile per andare a liberarla.
Però… però… come avrebbe fatto a rintracciarla senza il segnale del localizzatore?
Niente di ciò che aveva indosso le apparteneva; nemmeno la biancheria intima… che sarebbe tanto piaciuta a Ryo!
Ma ecco che faceva di nuovo strani pensieri.
In un momento come quello, quasi disperato, lei andava a pensare a Ryo e alla sua insana passione per la biancheria intima!
Stava diventando come lui, l’aveva così tanto condizionata, in tutti quegli anni di convivenza, che finiva per avere i suoi stessi pensieri.
Le venne quasi da ridere, e dovette ammettere che questo scherzetto della mente aveva avuto il pregio di farle dimenticare la drammaticità del momento.
Mentalmente, e contortamente, ringraziò il suo socio: nel bene e nel male era sempre con lei.
E ora più che mai gli mancava così tanto!
 
 
 
***
 
 
 
 
Era già scesa la sera, quando Kaori si ridestò dal torpore che l’aveva vinta durante quelle lunghe ore di prigionia, in quella solitudine opprimente e ovattata.
Percepì subito la presenza di qualcun altro dentro la stanza, e si prese del tempo per valutare la situazione; non voleva rivelare subito al suo misterioso visitatore che era ben sveglia e vigile: voleva fingersi ancora addormentata per studiare quella persona, che chissà da quando era lì.
Peccato che ora la stanza fosse completamente al buio, e che quindi non potesse vedere nulla di più rispetto alle ore precedenti.
Iniziava a non poterne più: si sentiva al limite della sopportazione, tutto quell’immobilismo l’aveva spossata, era indolenzita, affamata e aveva un urgente bisogno di andare in bagno; e nonostante i suoi propositi di rimanere immobile, non poté impedirsi di muoversi a disagio.
Al fruscio del taffetà sulle lenzuola, fece eco una voce, di nuovo, di donna:
 
“Se prometti di non urlare, né di scappare, ti libero, così potrai andare in bagno.”
 
Kaori non rispose subito, ma si concentrò solo su quella voce; non si stupì di sentirla ancora, perché qualcosa le diceva che la persona che le stava accanto, sarebbe stata l’unica con cui avrebbe parlato finché fosse rimasta lì.
Solo che ora, a differenza della prima volta, la voce sembrava stanca, in qualche modo amareggiata.
E comunque la sweeper non percepiva un reale pericolo provenire dalla sua carceriera; magari lei era solo un’esecutrice, il braccio di una mente contorta che per il momento la teneva in scacco.
In ogni caso non aveva scelta, e dal momento che così, al buio, l’altra non poteva vederla e quindi non poteva fare nessun tipo di accenno, si decise a parlare:
 
“E va bene, non scapperò… se non al bagno!” sbuffò, e nonostante tutto finì per ridacchiare; era più forte di lei: anche in certi momenti l’ironia saltava sempre fuori, e comunque in più occasioni l’aveva salvata dalla disperazione e dalla paura incombente, e le veniva naturale.
Non si aspettava, però, che anche la donna ridesse, con una risata sincera ma trattenuta e che la fece esclamare, con un tono divertito:
 
“Allora sei anche simpatica!” e poi “Ora accenderò una candela, così potrai vedere dove andare. Se avrai un po’ di pazienza ti slegherò.”
 
Improvviso, nel buio si sentì l’inconfondibile crepitio dello sfregamento di un fiammifero, a cui seguì, repentino, il guizzo sfavillante della piccola fiamma della capocchia incendiata.
Kaori diresse istintivamente lo sguardo a quel bagliore che irrompeva nella stanza, e si concentrò sull’alone di luce che circondava quel piccolissimo legnetto fiammeggiante, e su ciò che illuminava nelle immediate vicinanze.
Dita lunghe e magre lo reggevano con cura, mentre un palmo ne schermava la fiamma affinché non si spegnesse.
La ragazza seguì la danza della fiammella, fino allo stoppino di una candela, infilata in un candelabro finemente cesellato in metallo, che lentamente era emerso dall’oscurità, mano a mano che vi si era avvicinata.
Quelle mani esperte accostarono la fiamma al cordoncino cerato, e quando il fuoco si trasferì sul più promettente supporto, poco prima che il legno finisse per ardere dal tutto, le dita lo agitarono con una mossa decisa e secca, spegnendolo definitivamente.
La luce della candela non era sufficiente ad illuminare quella grande stanza ma, in cuor suo, Kaori si sentì leggermente più sollevata.
 
La donna, apparentemente, non aveva intenzioni malvagie, e già il fatto che si fosse in qualche modo palesata, le dava più sicurezza.
 
La sua insolita e misteriosa ospite fece appena un passo in direzione di Kaori, la quale poté finalmente studiarla un poco; in quella semioscurità calda e avvolgente, rischiarata appena dalla fiamma tremolante della candela, che disegnava ombre fantasmagoriche sugli scarni mobili e sulle pareti, non riusciva a vedere tantissimo, ma la prima cosa che le saltò agli occhi fu il suo abbigliamento.
La donna indossava un giubbotto di pelle nera, corto in vita, che voleva fare il verso a quello dei motociclisti, ma che in realtà era decisamente molto più femminile, mentre le gambe, lunghe e snelle, erano fasciate in un bellissimo paio di jeans attillati e strappati in più punti; un pensiero balzano attraversò la mente della sweeper, che si ritrovò a dover ammettere che le piaceva come la donna fosse vestita, e che avevano gli stessi gusti!
Ma quando questa estrasse un lungo coltello dalla lama seghettata dall’interno del giacchino, Kaori trasalì. Poi si ricordò che aveva detto di volerla liberare, e quindi si rilassò pensando che l’arma, in quel caso, sarebbe servita per tagliare le corde che l’imprigionavano.
Quasi che avesse letto nei suoi pensieri, la nuova venuta le disse, atteggiando la bocca in un sorriso sghembo:
 
“Non avere paura, non ti farò del male. Devo solo tagliare quei duri legacci.”
 
La sweeper, nonostante tutto, inghiottì a fatica.
 
Tutta quella situazione era strana: la sua carceriera era una donna, non l’avevano rapita per colpire Ryo, ed ora le concedevano un filo più di libertà fidandosi della sua promessa di non urlare né fuggire.
E per il fatto che non sapessero che era la metà femminile di City Hunter, ignoravano che lei fosse anche in grado di lottare, difendersi, mettere a tappeto un potenziale nemico; la stavano sottovalutando perché, una volta libera, avrebbe potuto approfittarne e aggredire la sua custode.
E in tutto questo, Ryo non era ancora venuto a salvarla, e lei non sapeva come mettersi in contatto con lui.
 
Ancora una volta la donna stupì Kaori, quando le disse:
 
“So a cosa stai pensando… Sì, io credo alla tua promessa di non scappare, e anche se apparentemente sto commettendo un’imprudenza liberandoti, sappi che se tu decidessi di lasciare questo luogo di, diciamo così, villeggiatura forzata, non potresti andare da nessuna parte. Questa villa è immersa nella campagna, a diversi chilometri dal primo centro abitato, circondata da ettari e ettari di campi, boschi e radure. Sarebbe impossibili per te raggiungere la libertà senza sapere come e dove andare. Esiste una sola strada per arrivare fin qui, e solo un mezzo, la mia moto, quindi… non ti conviene provarci. Dopo che avrò tagliato le corde che ora ti stanno stringendo così malamente polsi e caviglie, potrai girare liberamente per la stanza ed avere libero accesso al bagno attiguo. Ah, giusto, mi avevi detto che ne avevi urgentemente bisogno” e fece un sorriso che aveva tutta l’aria di essere piuttosto una smorfia.
 
Riprese:
 
“Dicevo: potrai girare liberamente per la stanza, e se ti comporterai bene ti lascerò vagare addirittura per la villa che, per inciso, è deserta. Attualmente è abitata solo da te… e da me, quando vengo a trovarti.”
E le strizzò l’occhio.
 
Poi proseguì dicendo:
 
“Tanto, ripeto, non hai nessuna possibilità di lasciare questo posto a piedi.”
 
Kaori, che non aveva proferito parola durante quella tirata, si azzardò a dire:
 
“Ma perché fai tutto questo? Perché mi tieni prigioniera qui?”
 
“Saprai tutto a tempo debito” rispose quella, con un tono che non ammetteva repliche.
 
La sweeper accettò di buon grado quella risposta; era abituata a questi atteggiamenti stranamente drammatici, come se i criminali amassero tutti darsi importanza, assumere una posa di fatale superiorità.
E anche lei, evidentemente, non faceva eccezione.
 
La donna, dopo aver messo in chiaro le cose, si decise ad avanzare verso il letto di Kaori, la quale pensò che così avrebbe potuto finalmente vederla da vicino e in tutta la sua interezza, e non solo vagheggiarla dai neri vestiti, anche se la palpitante luce della candela a volte veniva oscurata dai suoi movimenti, mentre si affannava intorno alle corde delle sue caviglie.
Per una frazione di secondo Kaori considerò l’ipotesi di allontanarla scalciando, appena avesse riguadagnato libero movimento delle gambe, ma così avrebbe contravvenuto alla parola data, e non avrebbe risolto granché, visto che le braccia sarebbero rimaste comunque saldamente ancorate alla testiera del letto.
E non era da escludere che, agendo in quel modo, avrebbe peggiorato ulteriormente la sua condizione.
Inoltre non era abituata a picchiare un’altra donna, e prenderla a calci sulla faccia, come sarebbe finita per fare: era qualcosa che le ispirava una profonda repulsione; di solito i loro nemici erano sempre brutti ceffi, appartenenti alla parte più abietta dell’universo maschile, e le donne… be’, le donne erano invariabilmente le affascinanti clienti bisognose dell’aiuto di Ryo.
Scacciò dalla testa questi propositi violenti e s’impose la pazienza, cosa non facile per lei, notoriamente impulsiva e dal carattere fumantino.
Doveva farsela amica, piuttosto, e guadagnare tempo per trovare un modo per uscire di lì, scappare e tornare finalmente a casa.
Troppi misteri dovevano ancora essere svelati, però, e soprattutto se la stava facendo addosso: non poteva più aspettare.
 
 
***
 
 
 
Nello stesso istante, Ryo fu svegliato con violenza, da quella specie di dormiveglia in cui era sprofondato, dal suono insistente del telefono.
Saltò su a sedere sul divano, dove era crollato, quasi avvoltolato nei vesti della socia, e il primo pensiero fu:
Kaori!” seguito dalla speranza che a chiamare fossero i rapitori, desiderosi di dettare le regole del gioco e sfidarlo apertamente, o ricattandolo con qualcosa di altrettanto sordido, in cambio dell’incolumità della partner.
Recuperò tutto il suo sangue freddo e, schiarendosi la voce, si diresse al telefono, misurando i passi e cercando di frenare il cuore impazzito: la sua voce non avrebbe dovuto tradire nessun tipo di emozione.
 
“Pronto, qui è Saeba. Chi è che si è permesso di disturbare il mio riposino?” rispose con la consueta ironia tagliente.
 
Ma fu stupito di sentire la voce di Akira Murakami esordire con:
 
“Hanno rapito Kaori!”
 
“Lo so” fu la laconica riposta dello sweeper.
 
“Però non sa che i rapitori mi hanno chiesto un forte riscatto in cambio della sua vita…”
 
Ryo si sentì morire.
Come era possibile che stavolta non avessero rapito la sua adorata socia solo per arrivare a lui, come succedeva sempre?
E perché avevano chiesto un pagamento in denaro al suo fidanzato?
Sì, era un uomo ricco e potente, ben inserito nella finanza, e di certo il suo patrimonio faceva gola a parecchi, ma addirittura rapire la sua promessa sposa, era una cosa inaudita… o forse no?
E Ryo che aveva sperato fin dall’inizio che per Kaori sarebbe iniziata quella meravigliosa vita che si meritava, e che lui non era in grado di assicurarle!
Un’esistenza scevra dai problemi economici che così spesso li affliggevano, ma soprattutto una vita normale, lontano dalla violenza e dal pericolo che la condizione di sweepers comportava.
Era pronto a rinunciare a lei, pur di saperla in salvo, e invece… non era ancora sposata che di nuovo rischiava la vita.
Non c’era forse scampo per loro?
 
Akira, di fronte al suo mutismo, lo incalzò:
 
“Allora, cosa facciamo? So che lei è il numero uno nel suo campo, e che non lascerà la sua ex-collega in mano a quei balordi, e che… nonostante tutto l’aiuterà lo stesso, giusto?”
 
Ma Ryo era ancora troppo sconvolto da quella notizia, per dire alcunché.
Lui era abituato ad avere sempre tutto sotto controllo, conosceva il modus operandi di quasi tutti i criminali che, gira e rigira, si comportavano tutti nella stessa maniera.
Era in grado di pianificare una controffensiva, far saltare la trappola in cui volevano farlo cadere, o sbaragliare i nemici impegnati a tendergli un agguato.
Quando Kaori veniva rapita, in un certo senso, c’era sempre uno schema che si ripeteva, e lui vi era in qualche modo abituato; e nonostante l’ansia fosse onnipresente, insieme al timore di non arrivare in tempo, di sbagliare mossa condannando irrimediabilmente la socia, lui era anche consapevole della propria forza e astuzia.
E quell’insopprimibile desiderio di salvarla, sempre e comunque, anche da sé stesso, lo spingeva oltre, oltre i suoi stessi limiti, perché saperla in pericolo era la spinta più potente che avesse mai provato per osare fare anche l’impossibile, pur di correre da lei, come vincere la sua paralizzante paura degli aerei, o sfidare un’intera armata, anche a mani nude se necessario.
Sapeva come comportarsi quando era lui il principale obiettivo di quelle azioni malvagie, e la sua incolpevole partner l’esca, o il tramite, per arrivare a lui.
Ma ora…
Assurdamente, pensò, anche in questo era stato tagliato fuori dalla vita di Kaori; ora era la donna di un altro, e ad un altro si voleva nuocere attraverso di lei.
Ma il destino tornava a bussare alla sua porta e gli chiedeva, ancora una volta, di precipitarsi a salvarla; e non si sarebbe di certo tirato indietro, né ora né mai, perché era la donna che amava, e sarebbe anche morto per lei, pur di sottrarla al pericolo.
 
Si riscosse, in preda ad una ferma risoluzione, e si decise a rispondere al suo rivale in amore:
 
“Raggiungimi qui a casa, insieme escogiteremo una soluzione, ma non avvertire la polizia, intesi?”
 
“Va bene, farò ciò che mi dirà. Sono nelle sue mani.” E riattaccò.
 
Ryo sospirò frustrato.
Non si sarebbe mai aspettato di dover vivere, un giorno, una situazione del genere.
 
Si guardò intorno come se non riconoscesse la sua casa, e si accorse di aver portato con sé, fino al telefono, i vestiti di Kaori, che ancora stringeva spasmodicamente nelle mani grandi e callose; proprio come quei poveri abiti ormai spiegazzati, non riusciva a lasciarla andare; il suo cuore la teneva stretta, mentre la ragione gli gridava di dirle addio.
 
 
Prima dell’arrivo di Akira si diresse in camera sua, dove adagiò sul letto la maglia e i jeans di Kaori; per un attimo pensò alla stranezza di vederli lì, stesi sulle lenzuola, perché mai i vestiti della socia erano giaciuti abbandonati sul suo letto, nemmeno per sbaglio.
Nei suoi sogni più fantasiosi li vedeva sparsi per terra, sul pavimento, o gettati alla rinfusa sul divano o sulla poltrona, perché tolti con foga da lui o da lei, inutili ostacoli a ben precisi e piacevoli incontri; incontri che nella realtà lui si era sempre premurato di non far accadere, perché troppo dolorosi e struggenti anche solo da immaginare.
 
Quando ridiscese in salotto, si accese una sigaretta e si avvicinò alla finestra aspettando il signor Akira Murakami, e ripensò a quando, un mese prima, era entrato così prepotentemente nella loro imperfetta vita di sweeper.
 
 
 
Un mese prima, o poco più, Akira Murakami era comparso dal nulla, e la sua venuta aveva avuto lo stesso effetto dello scoppio di una potente bomba.
Non tanto per l’esatto momento in cui era apparso, e cioè mentre Ryo e Kaori stavano litigando, perché a conti fatti non era una novità per loro, ma per essere giunto in un periodo difficile e di profonda crisi.
 
Dopo quella contorta, ma per certi versi inequivocabile, confessione nella radura, le cose sembravano dover prendere un ben preciso avvio e invece, ancora una volta, la codardia dello sweeper si era riaffacciata e aveva raffreddato gli animi di entrambi.
Kaori, seppur stupita e frustrata dal comportamento del partner, che sempre tornava sui suoi passi e mai era deciso e concreto, come invece, in definitiva, era lei, aveva finito per accettare il suo atteggiamento, ora che era sicura di essere amata da lui, e ricambiata in un certo senso.
Pensava che fosse solo questione di tempo e tutto si sarebbe aggiustato, inoltre la sua innata timidezza e soprattutto il terrore paralizzante di essere respinta, frenavano i suoi slanci e non si arrischiava a fare ulteriori passi nella direzione del compagno.
Tanta era la paura che quel debolissimo filo che li legava si potesse spezzare per sempre, che viveva costantemente in punta di piedi.
Ma il tempo passava e la vita scorreva come al solito, o meglio come prima, senza avanzare di un millimetro, e anzi a volte Ryo sembrava comportarsi male di proposito, giusto per cercare la lite, per far sì che entrambi finissero per insultarsi, e sfogare la reciproca insoddisfazione.
L’uomo, inoltre, sperava che le cose fra loro, per l’ennesima volta, si sistemassero da sole, senza che lui facesse o dicesse niente, peggio, augurandosi che qualche fattore esterno, non dipendente dalla sua volontà, venisse a ribaltare la situazione.
Oppure, che la stessa compagna prendesse lei una decisione per entrambi, mettendolo di fronte al fatto compiuto.
In fondo non era andata sempre così anche in passato?
Appena c’era il sentore di un cambiamento, fosse anche migliore rispetto alla vita che stavano vivendo, lui andava in panico totale, e per quanto sconvolgente potesse essere l’esperienza che entrambi avrebbero vissuto, se le conseguenze che ne seguivano avrebbero potuto portare ad un avanzamento della loro relazione, era pur sempre preferibile il ritorno alla normalità piuttosto che andare avanti.
Un po’ come era stato con la venuta di Kaibara e la terribile sfida a bordo della sua nave; prima dello scontro i due soci si erano chiariti sui loro sentimenti, lui si era aperto come mai prima d’ora, si era sentito pronto a prendersi le sue responsabilità, e in seguito, durante quel momento angosciante in cui aveva temuto che sarebbero morti entrambi, o che si sarebbero persi per sempre, si erano scambiati quel bacio struggente attraverso il vetro, che valeva più di mille parole.
Poco prima di lasciarsi, lui le aveva promesso che sarebbe vissuto per tornare da lei, e lo aveva fatto, era stato di parola; e per mantenere la parola data, si era spinto fino al limite delle sue forze, sfidando la morte.
Sembrava tutto deciso, chiarito, senza ombra di dubbi, non c’era più spazio per fraintendimenti e lui finalmente era pronto ad accettare la svolta che si stava preannunciando.
Poi però, l’amnesia di Kaori era stata in un certo senso provvidenziale, perché gli era servita per rimettere in discussione tutto, rinnegare sé stesso, tornare a come erano prima.
Ryo, inoltre, era convinto di essersi in qualche modo spiegato con lei, che ciò che provava per la sua compagna fosse palese, e non avesse bisogno di ulteriori spiegazioni o chiarimenti, riteneva di essersi esposto fin troppo, e per questo si sentiva vulnerabile.
 
Ma quelle parole gridate al nemico durante una drammatica situazione di pericolo, quelle parole in cui professava la sua volontà di vivere e sopravvivere per la donna amata, e di proteggerla, per Kaori stavano perdendo via via spessore, si stavano scolorendo, perché ad esse non era seguito nessun cambiamento, nessun approccio, anche fisico, nella loro relazione.
Alla ragazza sembravano sempre più solo begli ideali, una causa eroica per cui battersi e vincere, quasi alla maniera dei vecchi samurai, qualcosa che aveva riempito il cuore dell’uomo lì per lì, nel momento in cui le proclamava, ma nulla più.
Perché il loro era rimasto un amore platonico, se possibile più contorto di quando giocavano a non farsi scoprire: un amore che li stava consumando, ma che non li faceva bruciare di passione e desiderio soddisfatto.
Un amore malato, che scottava senza ardere.
 
In quel periodo stavano letteralmente vivendo sul filo del rasoio e, mai come in quel momento, valeva tutto e il contrario di tutto; la gelosia di Kaori era alle stelle e, per contro, Ryo non faceva niente per rassicurarla, anzi, sembrava che provasse un piacere morboso nel farla soffrire continuando la sua solita pantomima di uomo di mondo, seduttore, maniaco… nonostante le fosse, al contrario, fedelissimo.
E lei era finita per credere che il suo partner non sarebbe cambiato mai, che quel suo lato perverso sarebbe rimasto comunque, e cercava di consolarsi pensando che, quando sarebbero stati finalmente una coppia, almeno sarebbe tornato sempre da lei perché era lei che amava.
In tutto questo, però, le famose martellate erano drasticamente diminuite: quelle mazzate che sempre rappresentavano il simbolo della gelosia, e quindi dell’amore, che Kaori nutriva per il suo Ryo, si erano trasformate in scenate rabbiose, indifferenza a volte, fughe improvvise con tanto di porte sbattute, e pianti soffocati per orgoglio, e tutto ciò preoccupava enormemente l’uomo, perché sentiva che l’amore della sua partner si stava lentamente affievolendo; che Kaori, infine, si stava semplicemente stancando di lui.
Ed era innegabilmente tutta colpa sua.
Ma allo stesso tempo non riusciva a comportarsi in modo diverso, non era in grado di mostrarsi gentile con lei, temeva di non esserne capace, e questo suo esasperante atteggiamento la allontanava sempre di più.
 
Sarebbe bastato così poco… ma erano entrati in un circolo vizioso da cui, apparentemente, non erano in grado di uscire.
 
I loro amici, in un primo momento, si erano fatti sotto, tentando di conciliare i due sweepers, spronandoli da una parte o dall’altra, favorendo le situazioni, invitandoli ad uscite insieme, magari una cena al ristorante o una serata in discoteca, come avevano fatto Mick e Kazue, o a gite nei dintorni di Tokyo in parchi rigogliosi o in montagna, come avevano tentato Miki e suo marito Umibozu.
Ma ogni occasione era buona per litigare, e le loro non erano più le solite scaramucce che così tanto li contraddistinguevano; queste avevano un fondo di frustrazione, di dolore da una parte, di voglia di farsi del male dall’altra.
Pareva che nascondessero molto di più delle consuete scenate di gelosia e prese in giro.
E i componenti della banda ne erano rimasti colpiti e addolorati.
Si erano ritirati in buon ordine, sempre più persuasi che forse i due soci erano arrivati ad un punto di non ritorno, che non prevedeva un lieto fine, ma una prossima separazione, necessaria per quanto lacerante.
Avevano avuto la sensazione che i due si sforzassero di stare ancora insieme, di voler fare funzionare il loro rapporto, nonostante qualcosa si fosse già spezzato, o peggio, logorato da tempo, dopo tutti quegli anni.
 
Quando era arrivato Murakami, i due City Hunter stavano camminando nel parco di Shinjuku: erano da poco usciti dal Cat’s Eye con l’intenzione di raggiungere a piedi la macchina dall’altra parte del polmone verde.
Stavano litigando, appunto, perché Kaori aveva appena scoperto che Ryo aveva accettato almeno un paio di casi, di nascosto da lei.
Manco a dirlo che le clienti, come sempre, erano delle belle donne, e chissà cosa il socio si era inventato anche quella volta, pur di saltargli addosso e soddisfare i suoi appetiti sessuali.
La socia era furibonda, sia perché lui, ancora una volta, l’aveva esclusa dalla sua vita, e in maniera pesante oltretutto, senza coinvolgerla né mettendola a parte del caso, sia perché, soprattutto, lei non era stata lì per impedirgli di fare il maniaco o anche di concretizzare con la bella di turno, visto che alla fine tutte si innamoravano di lui, e il flirt era bello che servito.
Anche se non si sarebbe mai legato a nessuna di loro, perché a lui bastava una notte di sesso - d’amore, come la chiamava lui - era pur sempre una sorta di mancanza di rispetto nei suoi confronti, un tradimento, a maggior ragione ora che le aveva fatto capire che l’amava, anche se ufficialmente non stavano ancora insieme.
E Kaori non poteva nemmeno consolarsi, se mai ci fosse riuscita dovendo inghiottire l’ennesimo boccone amaro, pensando che quello era pur sempre lavoro e che, alla fine, lo avrebbero pagato per il caso svolto, perché, di fatto, non condivideva con lei nemmeno l’eventuale compenso in denaro.
La ragazza era così stanca del suo modo di comportarsi…
Se sul piano amoroso stava andando tutto a rotoli, con questo palese disinteresse, le stava dimostrando che non la considerava nemmeno più la sua socia in affari, l’altra metà di City Hunter, come aveva orgogliosamente annunciato tanto tempo prima.
 
Kaori, già da un po’, aveva iniziato a pensare che fosse inutile sforzarsi di compiacerlo, di cercare di fare sempre meglio e migliorare, così da poter essere alla sua altezza e guadagnare la sua approvazione, diventare una brava sweeper, e una donna in gamba degna del grande Ryo Saeba, dal momento che aveva capito che quella era una battaglia persa.
Lui non le avrebbe insegnato niente di più di quello che, faticosamente, aveva imparato da sola o con l’aiuto di Falcon, Mick e Miki.
Semplicemente perché lui sperava che lei prendesse il largo e lo lasciasse in pace; anche la scusa di volerla preservare nella sua purezza, incorrotta, in mezzo a quel loro mondo marcio, stava diventando un patetico modo per non volerla più tra i piedi.
E se non poteva essere la donna di Ryo, né la partner di City Hunter, cosa ancora la teneva lì, accanto ad un uomo che non le dava né affetto, né considerazione?
Forse erano arrivati veramente al capolinea, e avrebbero fatto bene a prendere ognuno la propria strada, senza dover continuare a farsi del male, imbrigliati in un rapporto che li stava solamente distruggendo e togliendogli lentamente il rispetto reciproco, la stima, e la fiducia.
Era ora di dire basta?
 
E, con un tempismo perfetto, era arrivato Akira Murakami, proprio mentre Kaori si stava rivolgendo così al suo socio:
 
“Allora? Guardami mentre ti parlo!”
 
Ma Ryo, che svogliatamente e con aria infastidita proseguiva con le braccia incrociate dietro la nuca, aveva preferito tenere gli occhi fissi al cielo, piuttosto che incontrare quelli fiammeggianti della socia, che stava chiedendo spiegazioni.
 
“Sei andato di nuovo alla stazione e hai preso un XYZ senza dirmi niente! E poi l’hai cancellato perché sono giorni che non ne vedo uno… Oppure è stata di nuovo Saeko ad appiopparti un caso dei suoi?”
 
“Mpf!” aveva sbuffato annoiatamente lo sweeper.
 
Ma quando la ragazza lo aveva raggiunto e gli si era parata davanti, prendendolo per i risvolti della giacca, strattonandolo, si era infine deciso a risponderle:
 
“Kaori, sei una scocciatura vivente, lo sai? Cosa vuoi che ti dica? Sì, sono passato, ho visto un messaggio e ho incontrato la cliente…”
 
“E…”
 
“Niente, era il solito noioso caso di una ragazza in difficoltà” e riuscì a non farle capire quanto la tipa fosse una vera bellezza, con cui lui ci aveva inutilmente provato fin dall’inizio, tanto che l’aveva licenziato prima del tempo.
 
“E be’? Non potevi dirlo anche a me? E non mi rifilare la solita scusa trita e ritrita che non volevi coinvolgermi  perché era pericoloso e tutto il resto, che in passato abbiamo avuto casi che ci hanno messo a dura prova, e nonostante questo mi hai voluto lo stesso accanto a te. Almeno ti ha pagato?”
 
“Makimura? Kaori Makimura” la bella socia si era sentita d’improvviso chiamare e, volgendosi verso il nuovo venuto, aveva risposto con malgarbo:
 
“Seeee???” con gli occhi che ancora sprizzavano faville di risentimento.
 
“Kaori, ma sei davvero tu?”
 
A quell’ennesima domanda, la ragazza si era concentrata sull’uomo che stava avanzando nella loro direzione e, dopo un iniziale smarrimento, aveva spalancato gli occhi sorpresa, esclamando:
 
“A-Akira!! Ma sei proprio tu?” E gli era volata fra le braccia.
 
E se questo aveva dell’incredibile, più strabiliante fu che l’uomo non solo l’aveva stretta forte a sé, coinvolgendola in un’entusiastica piroetta, ma, al colmo della felicità, le aveva preso il viso fra le mani e l’aveva baciata appassionatamente, sotto gli occhi esterrefatti di Ryo.
 
Ecco, il peggior incubo dello sweeper si stava svolgendo davanti a lui: Kaori tra le braccia di un altro; Kaori che baciava un altro.
 
Prima ancora di poter ragionare lucidamente, Ryo gli era già addosso e, prendendolo per una spalla con una morsa d’acciaio, l’aveva costretto ad interrompere quell’appassionata effusione; e mentre l’uomo si girava a guardarlo con odio, lo sweeper lo aveva apostrofato:
 
“Ehi, ma che stai facendo? Come ti permetti!”
 
Akira aveva risposto, senza paura:
 
“Come ti permetti tu!”
 
Al che, Ryo aveva rincarato con:
 
“Allora, si può sapere chi sei?”
 
“E tu, piuttosto! Tu, chi saresti?” aveva ribattuto il nuovo arrivato, per niente intimorito, e deciso a non arretrare di fronte al grande Ryo Saeba.
 
Kaori, che stentava a riprendersi dalla doppia sorpresa di aver prima rivisto il suo vecchio compagno di scuola, e poi di vedere Ryo così agguerrito e geloso, quasi violento, per calmare le acque che si erano fatte improvvisamente tempestose, si era frapposta fra i due; cercando di allontanarli, aveva detto con calma:
 
“Lui… lui è solamente il mio partner di lavoro.”
 
Ryo si era sentito il cuore trafitto da una lama rovente, che ne aveva bloccato per un attimo il battito, ma non ebbe il tempo di crogiolarsi nel dolore perché l’altro aveva risposto, sicuro:
 
“Bene, perché io sono il suo fidanzato e promesso sposo!”
 
 

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Capitolo 3
*** Naoko ***



Ragazzi cosa dire? Sono felicissima che questa storiellina a puntate vi intrighi così, le vostre recensioni mi fanno pensare che, almeno finora, non ho scritto una boiata :D
Dopo tante domande, in questo capitolo ci sarà almeno una risposta… quale sarà?
GRAZIE
vi lovvo <3
Ele



Cap. 3 Naoko
 
Mentre la donna misteriosa era intenta a liberare Kaori dalle strette corde, quest’ultima, data la sua vicinanza e grazie alla luce della candela, si prese tutto il tempo di osservare la sua carceriera.
 
Per una frazione di secondo ebbe la stranissima impressione di averla già vista, e cercò di ricordarsi dove e quando, perché era davvero bellissima, e benché avesse i tratti del viso innegabilmente orientali, i suoi capelli erano biondi e boccolosi, una cascata morbida che le sfiorava appena le spalle, e quindi non passava inosservata.
L’espressione del viso era concentrata, ma non tradiva malanimo, o malvagità, e per l’ennesima volta la sweeper si chiese perché fosse stata rapita, e da chi.
 
E quando la bionda si protese sopra la testa della prigioniera per slegarle i polsi, Kaori fu invasa da un tenue profumo, che riconobbe per una costosissima essenza molto di moda in quel periodo; lei si era accontentata del campioncino trovato in una rivista, ma lo avrebbe riconosciuto fra mille.
Anche quello era un indizio: se la donna poteva permettersi un profumo così costoso, allora la villa avrebbe potuto essere di sua proprietà.
A conferma delle ipotesi sul tenore di vita della sua nemica, Kaori riuscì a leggere l’etichetta che occhieggiava cucita nella fodera interna del giacchino di pelle, proprio attaccata alla cucitura laterale, e che recava il nome di una famosa maison di moda italiana.
 
Le mani curate, evidentemente non avvezze a nessun tipo di lavoro manuale, ma non per questo meno forti e sicure, erano abbellite da svariati anelli; uno fra tutti spiccava per la sua particolarità, lo stesso che aveva notato quella mattina, quando era riuscita a vederle solo la mano sul pomello.
Rappresentava un drago attorcigliato sulla fascetta d’oro, e al posto degli occhi aveva due pietre preziose verdi, smeraldi sicuramente.
 
Kaori si era letteralmente incantata a guardarla, e il suo interesse professionale si era via via trasformato in ammirazione; la donna sprigionava un tale carisma, che in qualche modo la sweeper ne era rimasta affascinata.
Questa, che se ne avvide, le sorrise dolcemente e prima di ritrarre le mani dalla spalliera del letto, le sfiorò appena la guancia, e la ragazza non fu sicura se quella fosse veramente una carezza o una casualità.
 
“Bene, sei finalmente libera!” proruppe infine la donna, e si allontanò dalla prigioniera, in un’implicita sfida a mantenere la parola data; la stava mettendo alla prova: sarebbe scappata o sarebbe rimasta come aveva promesso?
Ma Kaori era troppo indolenzita anche solo per poterci pensare; prese a muovere le gambe e le braccia lentamente, soffocando piccoli gemiti di dolore, e quando sentì il sangue tornare a circolare, si massaggiò vigorosamente i polsi e le caviglie.
Infine spostò le gambe fuori dal letto decisa a mettersi in piedi, e mentre tentava di alzarsi e stabilizzare l’equilibrio, gettò un’occhiata fugace alla donna, che la guardava con espressione corrucciata, come se avesse voluto in qualche modo scusarsi del trattamento che le aveva riservato.
E Kaori, si convinse che no, non era una criminale, né era abituata a certe azioni delittuose.
 
Appena la sweeper fu sufficientemente sicura di potersi reggere in piedi in sicurezza, solo allora si ricordò di star ancora indossando il suo vestito da sposa, e fu la stessa cosa che notò la donna perché disse:
 
“Quel vestito è molto bello, ma anche scomodo”  e le sorrise di nuovo; poi aggiunse: “Se vuoi posso procurarti dei vestiti di ricambio.”
 
A quel punto Kaori valutò che la sua permanenza lì era ben lungi dal concludersi in fretta, ma anche che fuggire con un tale vestito sarebbe stato quasi impossibile.
Inoltre era pur sempre il suo vestito da sposa, e le scocciava immensamente doverlo sciupare ulteriormente, più di quello che aveva fatto restandosene stesa su quel letto.
Sarebbe stato sempre meglio cambiarsi.
Annuì in risposta e la donna proseguì:
 
“Se ti va puoi farti una doccia o un bagno, approfittane pure, nel frattempo vado a prenderti gli abiti e un paio di scarpe: dovrei avere qualcosa che possa fare al caso tuo.”
 
E stava già per uscire dalla stanza, quando si voltò a guardare la prigioniera, come a volerle chiedere ancora una cosa; ma poi scosse la testa, e scomparve dietro la porta.
 
La sweeper sospirò, si chinò appena a raccogliere la vaporosa gonna di tulle che le impediva i movimenti, e si diresse in bagno più in fretta che poté.
 
Se all’inizio l’idea di farsi una doccia non era in cima alle sue priorità, una volta dentro quel lussuosissimo bagno e sentendosi tutta indolenzita dalla lunga prigionia, dovette ricredersi e si disse: “Perché no?
Era la prima volta che veniva rapita e trattata così bene.
E poi, se era vero che c’erano solo lei e la sua carceriera in quella grande villa, non correva pericolo che qualcun altro si approfittasse della situazione; e qui le tornò in mente Ryo.
Già, lui non avrebbe perso tempo a sbirciare una donna nuda intenta a lavarsi, anche se lei non la considerava neppure una donna, e soprattutto non gli interessava in quel senso.
Represse quel pensiero doloroso, e si concentrò sul presente, e nell’immediato futuro: un bagno caldo per rilassarsi, fuggire e celebrare il suo matrimonio.
 
Fece scorrere l’acqua nella vasca di pregiata ceramica, con tanto di idromassaggio, e prima di spogliarsi chiuse comunque prudentemente a chiave la porta.
Non fu facile liberarsi di quel bellissimo ma ingombrante vestito bianco, e rimpianse di essere da sola, senza nessuno che potesse aiutarla.
Dopo innumerevoli sforzi e bizzarre contorsioni, riuscì a slacciare tutti i bottoni posti sulla schiena e se lo fece scivolare giù.
Non si preoccupò di sistemarlo meglio, magari appeso in una gruccia, che di sicuro avrebbe trovato nel grande armadio di là nella stanza; era troppo stanca anche per quello, ci avrebbe pensato dopo.
Si immerse nella schiuma e chiuse gli occhi.
E mai bagno caldo fu più rigenerante.
 
Per un attimo pensò che non fosse bene allentare troppo l’attenzione, ma cosa altro poteva succederle?
Era stata rapita, quello sì, ma la sua carceriera non sembrava avere cattive intenzioni: l’aveva liberata, per lo meno dalle corde, le aveva messo a disposizione un bagno con tanto di vasca idromassaggio – che non stava comunque usando – e addirittura le avrebbe trovato dei vestiti di ricambio che, come minimo, sarebbero stati firmati; vecchi, sì, ma firmati!
Ah, aveva anche promesso che le avrebbe portato del cibo.
Insomma, non poteva lamentarsi.
E poi chissà quando, e se, sarebbe arrivato Ryo a salvarla; in ogni caso aveva promesso di non scappare…
 
Si riscosse quando sentì la voce melodiosa della donna chiamarla, e avvertirla che le aveva portato abiti e cibo.
A disagio, rispose:
 
“A-arrivooo!”
 
Ma che razza di situazione era quella!
Non ci capiva più niente.
 
In quegli ultimi tempi ne erano veramente successe di tutti i colori, e la sua vita aveva avuto un’accelerazione improvvisa; e il bello era che, ancora, non sapeva dire con esattezza se tutto quello che le stava capitando fosse ciò che realmente desiderasse oppure no.
In ogni caso avrebbe dovuto fare un passo alla volta, e per il momento era in mano a questa donna, bella per quanto misteriosa, e doveva pensare a come riguadagnare la libertà.
 
Uscì titubante dalla stanza da bagno, avvolta in un accappatoio di seta, e quando vide sul tavolino un piatto con un sandwich al pollo e un bicchiere di succo d’arancia, fu assalita da una fame improvvisa; il suo corpo le ricordava che era ora di nutrirsi, e prima di rivestirsi si sedette sulla seggiola e si gettò sul cibo.
 
La donna, che l’attendeva sprofondata in una comoda poltrona, vedendola così affamata sorrise benevolmente, e con tono di scusa le disse:
 
“Sono contenta che ti piaccia la cena che ti ho preparato, non sono molto brava in cucina, e non è mia abitudine cucinare, e comunque in dispensa non c’era altro” ridacchiò.
 
Kaori si sentì arrossire e farfugliò qualcosa per rassicurarla in qualche modo.
 
Il bagno caldo e il panino l’avevano rimessa al mondo, e si sentì sufficientemente più sicura, tanto da chiederle di nuovo:
 
“Sei stata molto gentile con me, ma se ancora non vuoi dirmi il perché mi hai rapito, almeno come ti chiami posso saperlo?”
 
La donna sospirò quasi divertita, ma poi fissò Kaori con i suoi occhi neri e profondi, tanto che la ragazza si sentì percorsa da uno strano brivido; il suo sguardo era magnetico e avvolgente, ed ebbe l’impressione che la donna volesse sedurla.
Possibile?
Ma quando la sua aguzzina si decise a risponderle, dopo quella lunga pausa significativa, il viso era illuminato da un sorriso franco e sincero, e disse:
 
“Puoi chiamarmi Naoko.”
 
Kaori trasalì stupita, e poi d’improvviso ricordò.
 
“Ma-ma tu sei, tu sei… ” iniziò a balbettare “Tu sei quella Naoko?” e al cenno affermativo dell’altra, aggiunse: “Naoko, la famosa pop star? Quella che canta Kiss me again?” [1]
 
“Sì, sono io” facendo spallucce.
 
“Ecco perché mi sembrava di averti visto da qualche parte. Non sapevo che fossi tornata in Giappone, sui giornali ho letto che eri impegnata all’estero.”
 
“Ehmm… diciamo che sono dovuta tornare per una questione urgente. Inoltre sono qui in incognito, altrimenti sarei presa d’assalto dai fan e non potrei fare… quello che devo fare” concluse.
 
Poi, alzandosi, aggiunse:
 
“Lì sul letto ti ho messo un po’ di vestiti: spero che ti vadano bene, a occhio sembriamo avere la stessa taglia.”
 
E detto questo, Naoko si mise a fissare Kaori con uno strano scintillio nello sguardo; pareva che la stesse soppesando, valutando, e la sweeper si sentì a disagio vedendosi dettagliare con quella strana insistenza.
Poi la cantante chiese:
 
“Avanti, perché non ti vesti?”
 
Ma Kaori, che sotto l’accappatoio era ovviamente nuda, arrossì violentemente al pensiero di farsi vedere da quella sconosciuta; la quale, ancora una volta, intuendo i suoi pensieri, le disse dolcemente:
 
“Il tuo candore è meraviglioso; non incontravo una persona come te da non so quanto tempo. Comunque non devi vergognarti di me, siamo entrambe donne, lo sai.”
 
E le strizzò l’occhio, ma vedendo che la sua prigioniera continuava a stringersi i lembi dell’accappatoio addosso, come a proteggersi, sprofondata nell’imbarazzo più totale, non insistette; fece per allontanarsi verso la porta poi, poco prima di uscire, si voltò e le disse ancora:
 
“È tardi, ed è meglio andare a dormire. Per stanotte resto qui alla villa, nella camera accanto alla tua. Voglio fidarmi di te, voglio credere che non proverai a scappare approfittando della notte, anche se, ripeto, per te sarebbe ancora più difficile farlo. Domattina ti farò fare il giro della villa.”
 
“Naoko?” l’interpellò la sweeper.
Al che, la cantante si voltò speranzosa, ma Kaori proseguì dicendo:
 
“Quando mi dirai il perché sono stata rapita?”
 
La donna parve delusa da quella domanda, ma subito le sorrise stancamente e rispose:
 
“Domani… magari. Ora cerca di dormire. E stai tranquilla, che non ti verrà fatto alcun male” e scomparve dietro la porta.
 
Kaori si aspettava che la bella cantante desse dei giri di chiave per assicurarsi di tenerla chiusa lì dentro, invece ciò non successe; trattenne il fiato, però, sentendola di fuori, in piedi lì davanti, e quando udì i suoi passi allontanarsi, espirò pesantemente, confusa.
 
Quella donna aveva un non so che, che le metteva i brividi: il suo atteggiamento e il suo potente carisma la destabilizzavano, facendola sentire contemporaneamente bene e male insieme; la sua presenza la sconvolgeva, e i suoi modi così accomodanti l’inducevano ad abbassare la guardia; allo stesso tempo certi sguardi la mettevano a disagio.
Forse, ragionò, subiva il suo fascino perché Naoko era una donna ricca e famosa, una vera celebrità, e non era un caso che uno stuolo di fan deliranti accorresse in massa ai suoi concerti, o l’assediassero ovunque andasse, ad ogni uscita pubblica.
Insomma, a conti fatti non era una persona comune… ma neanche una criminale.
E allora perché l’aveva rapita, o stava partecipando al suo rapimento?
 
Ed ecco che tornava al punto di partenza.
 
Kaori, sconsolata, si lasciò cadere sul letto, sospirando, e quel movimento le aprì l’accappatoio, che subito si affrettò a richiudere pudicamente, nonostante fosse da sola nella stanza.
Si diede pure della stupida per questo eccesso di vergogna, e ridacchiò fra sé: chi mai l’avrebbe vista?
E poi perché prima si era sentita così in imbarazzo all’idea di farsi vedere nuda da Naoko?
In fondo lei aveva ragione: erano due donne, e non era la prima volta che si era mostrata così ad altre ragazze; ai bagni pubblici era normale per esempio…
E allora perché non se l’era sentita, proprio davanti a lei?
Per quel suo sguardo strano?
Per quella strana luce negli occhi?
 
Scacciò quei pensieri oziosi dalla testa.
 
Per quanto non avesse propriamente sonno, dato che non aveva fatto altro che starsene sdraiata su quel maledetto letto a sonnecchiare, dovette ammettere che stava iniziando a provare una dolce spossatezza, quella che sempre viene fuori dopo un bagno caldo.
E se per quella notte non avrebbe potuto comunque far altro, tanto valeva provare a dormire.
Il giorno dopo, lucidamente, avrebbe affrontato nuovamente la questione del suo rapimento.
 
Si vestì velocemente, e poiché fra i vestiti che Naoko le aveva portato – che come previsto, erano capi firmati, in stile casual o sportivo - non c’era un pigiama, scelse una t-shirt dell’Emporio Armani e una tuta di Fendi per dormire.
Per comprare uno solo di quei capi, valutò mentre se li infilava, le sarebbe occorso tutto l’ammontare di un ingaggio ben pagato.
 
E la sua mente, com’era prevedibile, la riportò a Ryo.
 
Ryo e il lavoro che aveva deciso di abbandonare, per ovvi motivi, ora che si stava per sposare con il bell’Akira Murakami.
Anche se come moglie di Akira non avrebbe avuto problemi economici, non sarebbe stato lo stesso di quando doveva sudare per guadagnarsi di che vivere.
Da che era stata rapita, quella era la prima volta che pensava al suo fidanzato, ed era bizzarro che l’unico motivo per cui era finita per ricordarsi di lui, fosse per qualcosa legato ai soldi.
Eppure lei non lo sposava per quello, anzi; gli voleva molto bene, ed era giusto così.
 
Pensare a Ryo e ad Akira, le aveva fatto passare definitivamente il sonno, e sbuffando si tirò su a sedere sul letto; ormai era certo, non avrebbe dormito nemmeno quella notte.
 
Scesa dal letto, scalza e in punta di piedi, si diresse verso la porta finestra della stanza, che dava su un ampio balcone, uscì nella frescura della sera, e respirò a pieni polmoni l’odore stordente che saliva dai fiori roridi di rugiada, e dalle acacie in piena fioritura.
Assurdamente pensò che quell’inatteso rapimento, che nulla aveva a che fare con i nemici di Ryo, le stava dando un attimo di tregua nel marasma che da qualche tempo era diventata la sua vita, vita che nel giro di poco tempo aveva preso a correre all’impazzata, facendole perdere dei punti di riferimento e facendogliene guadagnare degli altri.
Lì, lontana dagli amori della sua vita, che si contendevano dolorosamente il suo cuore, poteva ragionare più serenamente, e paradossalmente, ora che era prigioniera, si sentiva finalmente libera.
Chiuse gli occhi, e ripensò a quando Akira era tornato così prepotentemente nella sua vita.
 
 
[1] Nella colonna sonora dell’anime c’è veramente una canzone intitolata Kiss me again, cantata da una certa Naoko, che io adoro e spesso la ascolto in loop quando scrivo (e non necessariamente sempre ff). Nel “video” o meglio nel fermo immagine al posto del video, c’è la foto di una ragazza, che sembra anche molto giovane, addirittura una bambina, e non è assolutamente come l’ho immaginata io, anzi! Ma mi piaceva l’idea di “utilizzare” il titolo della canzone e il nome della cantante per la mia storiella, insomma ci stava bene. Vi consiglio comunque di andarvela ad ascoltare se non la conoscete già  https://www.youtube.com/watch?v=8LiJWEjfvPk

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Capitolo 4
*** Akira Murakami ***


… e finalmente facciamo la conoscenza del bel Akira ^_^
Sono contenta che vi abbia preso così tanto questa mia umilissima fic!!!
Spero che anche questo capitoletto, che forse è uno dei più lunghi, vi piaccia come il resto.
A presto
vi lovvo
Eleonora
GRAZIE GRAZIE GRAZIE







Cap. 4 Akira Murakami
 
 
All’incirca un mese prima, quando per Kaori era diventata impossibile la convivenza con Ryo, sotto ogni punto di vista, era ricomparso inaspettatamente Akira nella vita della giovane sweeper.
Appena lui aveva messo piede in Giappone, si era dato da fare per ritrovarla, e alla fine non era stato difficile perché era bastato contattare la loro ben più nota amica Eriko; e subito aveva saputo come e dove rintracciarla e anche che, in definitiva, Kaori era ancora single.
 
Akira era il suo migliore amico al tempo della scuola.
All’epoca era un ragazzo brillante e sempre allegro: aveva un viso tempestato di lentiggini e due enormi occhiali tondi, che accentuavano gli occhi che sempre ridevano.
Era gioviale e spassoso, ed era l’unico che non temeva le ire improvvise di Kaori e i suoi martelli, perché sapeva sempre come prenderla e stemperava la tensione con una battuta e una risata.
Al contrario degli altri ragazzi, che le giravano alla larga intimiditi dai suoi modi spesso ruvidi e da maschiaccio, era il solo che aveva il coraggio di avvicinarsi a lei, perché ne riconosceva al contempo la bontà e il fascino, e gli piaceva molto anche così.
L’atteggiamento di Akira, aperto, sincero e smaliziato, aveva conquistato la ragazzina, così tanto esuberante e ribelle, proprio come lui, e in sua compagnia lei si sentiva finalmente sé stessa; era capace di esprimere liberamente tutta la sua timida femminilità, troppo spesso soffocata da un carattere schivo e perennemente sulla difensiva.
In men che non si dica erano diventati amici per la pelle, e passavano un sacco di tempo insieme, condividendo innumerevoli interessi e ideali, ed erano uno il completamento dell’altra.
E dal momento che erano inseparabili, gli altri avevano iniziato a considerarli una coppia a tutti gli effetti; loro, ridendo, non si premuravano di smentire le voci, divertendosi un mondo a lasciarglielo credere, perché in verità erano solo amici - anche se la ragazza il suo primo bacio lo aveva dato proprio a lui, e l’esperienza era stata a dir poco fantastica: Akira baciava veramente bene.
A forza di sentirsi dire che erano fidanzati, erano finiti per crederlo anche loro, ma l’aspetto romantico non gl’interessava poi molto; erano poco più di due ragazzini, con la testa piena di tantissimi sogni e speranze, e già vagheggiavano l’università e un futuro fatto di studi e riconoscimenti.
La loro relazione era più che altro un’amicizia amorosa, fatta di tanto affetto e comprensione, e non si preoccupavano di cosa fosse in realtà, o come apparisse agli occhi della gente: stavano benissimo insieme, in tutto quello che facevano, ed era perfetto così.
E poi Kaori era già alle prese con le altre compagne di classe, quelle che s’innamoravano di lei, e spasimando le inviavano bigliettini d’amore o piccoli regali; il suo modo di fare leggermente mascolino, e la sua bellezza androgina, la rendevano molto popolare fra le ragazze del liceo, ed era normale ed imbarazzante insieme, essere così tanto ammirata.
Ma anche a questo, lei dava poca importanza.
 
Fisicamente, invece, Akira non spiccava per la sua avvenenza: era un ragazzo come tanti, ma quando lo si conosceva, conquistava con tutto il resto di sé, perché era studioso, intelligente e solare; sapeva divertirsi come pochi, ed essere serio nei momenti in cui era bene esserlo.
Era l’amico di tutti, sempre pronto ad aiutare chi era in difficoltà; e anche lui era molto popolare a scuola e tutti desideravano la sua amicizia.
Akira e Kaori erano la coppia ideale, e in molti erano convinti che veramente, un domani, si sarebbero sposati; infatti ad un certo punto, proprio lui aveva proposto alla sua compagna di avventure:
 
“Senti, Kao: se arriveremo a 28 anni ancora single, promettimi che ci sposeremo!”
 
“Ma sì, perché no?” aveva risposto lei ridendo; in fondo se pensava ad un futuro del genere, era insieme a lui che si vedeva, e sarebbe stata la conclusione più logica del mondo.
Nessuno di loro due, ancora, si era mai innamorato veramente, e non immaginavano come sarebbe stato devastante e totalizzante quel sentimento; per loro era tutto un gioco, anche baciarsi innocentemente ogni tanto, così, senza pensieri.
 
Quando terminarono il liceo, entrambi si iscrissero all’università, ma i loro piani di continuare a vedersi e stare insieme, si scontrarono ben presto con la dura realtà, nel momento in cui la matriarca a capo della famiglia Murakami, la nonna di Akira, sentenziò che lui, in quanto erede dell’attività di famiglia, avrebbe dovuto intraprendere i suoi studi di Economia e Finanza all’estero.
Era stato un duro colpo per lui, ma il suo profondo legame con la famiglia e la dedizione all’anziana donna, avevano prevalso su tutto, e seppur a malincuore, Akira aveva lasciato il Giappone.
All’inizio lui e Kaori avevano continuato a sentirsi assiduamente, fra innumerevoli lettere e telefonate intercontinentali che costavano un occhio della testa ad entrambi, ma poi anche la ragazza aveva avuto una tragica battuta d’arresto, quando, da un giorno all’altro aveva perso l’amato fratello Hideyuki, ucciso da una potente organizzazione criminale, e lei aveva deciso, seduta stante, di prendere il suo posto accanto a quell’enigmatico e affascinante Ryo Saeba.
 
Era cresciuta di colpo, e i suoi sogni di ragazza erano stati spazzati via da quella morte improvvisa.
Aveva lasciato gli studi, e ormai sola al mondo si era trasferita a casa del collega del fratello, e da lì in poi si era votata alla sua stessa causa, quella per cui aveva lottato e per cui era morto.
 
Vivere accanto a Ryo, nel suo mondo pericoloso e pieno di violenza, ma anche così bisognoso di giustizia, le aveva fatto dimenticare l’amico dei tempi più lieti; Akira apparteneva irrimediabilmente ad un’altra vita, quella che non esisteva più, e, come spesso accade, era stato relegato nel dimenticatoio, un posto sicuro in fondo al cuore, dove certi ricordi felici rimangono intatti e non fanno più soffrire.
E così facendo, era finita per non sentirne più nemmeno la mancanza.
 
Se la vita di Kaori era cambiata, stando con Ryo, era cambiato anche il suo carattere; l’impulsività non l’aveva persa, quella no, ma le ire improvvise che a volte l’assalivano, erano diventate l’espressione della smisurata gelosia che provava per il suo collega di lavoro quando faceva lo stupido con le altre donne, o lo sfogo della sua incontenibile frustrazione, quando lui la sminuiva e la irrideva pesantemente negando la sua femminilità e il suo essere donna, e quello era il solo modo per fargliela pagare.
A ben guardare, però, il ricorso a martelli e kompeiti di svariate tonnellate, tradiva tutta la sua profonda insicurezza e l’onnipresente paura dell’abbandono.
E il comportamento del socio, inevitabilmente, finiva sempre per esasperare l’aspetto più violento della sua indole.
Inoltre, lei che non aveva mai dato troppo peso al suo aspetto fisico, gradatamente, con il passare del tempo, aveva perso fiducia in sé stessa e nelle sue attrattive, sentendosi ripetere in continuazione dal compagno che non era affascinante, che il suo corpo era informe, e che addirittura non era nemmeno una donna, o peggio, un uomo mancato.
Se da un lato lui frustrava il suo essere femminile in ogni occasione, dall’altro, il venir costantemente circondata da donne affascinanti e sensuali, per cui Ryo perdeva invariabilmente la testa, di certo non l’aiutava, ed era giunta alla conclusione che lei contasse meno di niente, che non sarebbe mai stata bella e seducente come le altre, perché ciò che più le premeva, l’unica cosa veramente importante, per lei, era piacere a lui.
Sì a lui, di cui si era perdutamente innamorata, che sapeva essere un freddo killer, un donnaiolo maniaco incallito, uno scansafatiche cronico, ma anche un uomo giusto e buono che odiava le ingiustizie.
 
Akira era anni luce lontano da Ryo, di cui lei rincorreva sempre il plauso, l’ammirazione, la stima… l’affetto.
Erano di più le volte in cui provava quella spiacevole sensazione di inadeguatezza di fronte al grande sweeper, come donna e come partner di lavoro, che quelle in cui si sentiva perfettamente accettata e in pace con sé stessa.
Di più: spesso si vedeva brutta e sgraziata accanto a quell’uomo bellissimo e fascinoso, e non valevano niente i complimenti e gli apprezzamenti che venivano dagli altri uomini, fossero anche seducenti e affascinanti come Mick: se non piaceva a Ryo, allora non era importante piacere agli altri; il resto non contava.
Invece Akira era comprensivo, affettuoso, la trattava da par suo, anzi, la stimava e l’incoraggiava sempre; amava tutto di lei: l’intelligenza, la simpatia, il suo gran cuore.
Mai una volta si era sentita tradita o abbandonata da lui, sapeva che ci sarebbe sempre stato e non l’avrebbe mai giudicata per nessun motivo.
 
Dopo tutti quegli anni stentava a capire quale fosse la vera Kaori, delle due: se quella sicura di sé e spensierata di Akira, oppure la complessata e frustrata Kaori di adesso.
Perché quando l’amico era ricomparso nella sua vita, aveva appena toccato il fondo del suo rapporto con Ryo; era arrivata ad un tale grado di autodistruzione, mai provato prima.
 
Il suo mondo, così come lo conosceva e come se lo era creato intorno, forse frutto di illusioni o pii desideri, stava crollando come un castello di carte, e le certezze che fino ad allora avevano illuminato la sua vita, erano state miseramente smentite.
Il suo amore per Ryo era stato ancora una volta calpestato, irriso e tradito; lui non ricambiava i suoi sentimenti, non era vero che l’amava, perché altrimenti non avrebbe continuato a farla soffrire; e in ultima analisi, questo lei non se lo meritava.
Allo stesso tempo Kaori aveva rimesso in discussione la sua scelta di perseverare sulle orme dell’amato fratello, come City Hunter: se Ryo aveva iniziato ad estrometterla dagli ingaggi, se non le dava più fiducia né l’aiutava a progredire come sweeper professionista, voleva dire solo una cosa: che si era realmente stancato di lei.
E la ragazza non aveva nessuna intenzione di continuare ad imporgli la sua presenza, soprattutto se, a quanto pareva, era diventata così male accetta…
 
Il ritorno di Akira era stato stupefacente e provvidenziale al tempo stesso.
 
All’inizio, la primissima cosa che aveva pensato ritrovandolo, era stata che avrebbe potuto passare un po’ di tempo con lui e dimenticare i problemi che stava vivendo a causa di Ryo; sarebbe stato come prendere una boccata di aria buona.
Non aveva previsto niente.
Ma poi, dovette ammettere, Akira si era fatto veramente un bell’uomo e quando l’aveva baciata, aveva provato una strana sensazione in fondo allo stomaco.
 
Forse era giunto il momento di cambiare di nuovo la sua vita.
Le si presentava un’altra possibilità.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
Akira non si fece attendere molto.
Arrivò con la sua decappottabile nera fiammante e si fermò con un gran stridore di freni.
 
Finché non sarebbero stati faccia a faccia, Ryo avrebbe potuto osservarlo con risentimento e malcelato odio, perché poi, in sua presenza, avrebbe nuovamente indossato la solita maschera del disinteresse e del cinismo, e si sarebbe chiuso nella sua proverbiale impenetrabilità.
Akira non doveva nemmeno vagamente intuire quanto la gelosia lo stesse consumando dal di dentro, e in ogni caso non era intenzione dello sweeper entrare apertamente in competizione con lui.
Perché Ryo sentiva di non aver nessun diritto di impedire a Kaori di andarsene con quell’uomo, nonostante anche solo il pensiero lo facesse star male, anche fisicamente.
Se voleva definitivamente allontanarla da quel loro mondo marcio, non avrebbe dovuto ostacolare in nessun modo la sua storia d’amore con Akira, colui che, a ben guardare, aveva tutte le carte in regola per renderla felice, regalandole una vita normale.
E che soprattutto, fra i due, era l’unico che poteva ambire al cuore della ragazza, visto che, a quanto pareva, erano già fidanzati e avevano promesso, un giorno, di sposarsi.
 
Ryo aveva visto arrivare Akira dalla finestra dell’appartamento, da dove si era messo di vedetta, subito dopo aver ricevuto la sua telefonata, e quando era sceso agilmente dall’auto era stato costretto ad ammettere che l’uomo era atletico, e non il solito pappamolla dedito unicamente alla bella vita o al lavoro.
 
Aveva, infatti, un fisico notevole, con tutti i muscoli al punto giusto, anche se sembravano più frutto di una sana alimentazione e tanto sport, piuttosto che di sedute sfiancanti in palestra condite da anabolizzanti, che finivano per gonfiare il fisico a volte in maniera ridicola.
Amaramente e ironicamente, si disse che sì, era proprio un bel ragazzo, e non avrebbe sfigurato accanto a Kaori; li aveva già visti insieme, e veramente formavano una bella coppia.
Per la sua Kaori avrebbe voluto sempre il meglio anche se, constatò dolorosamente, il meglio, in questo caso, non era lui.
Perché avrebbe tanto voluto essere al posto di Akira, ma… non solo in confronto a lui finiva per perderci su tutta la linea, ma evidentemente non aveva saputo giocare bene le sue carte, poiché aveva irrimediabilmente perso la partita… e Kaori.
 
I suoi pensieri furono interrotti dal bussare forsennato dell’ospite; Ryo non si scomodò nemmeno ad andare ad aprire e si limitò a gridare:
 
“È aperto!”
 
In questo modo ebbe tutto il tempo di riassumere la consueta, consumata, posa di uomo senza cuore e senza emozioni.
 
L’altro si precipitò in casa dicendo:
 
“Signor Saeba, e adesso cosa facciamo?”
 
“Calmati, e raccontami tutto” rispose più freddamente possibile Ryo, cercando però di non apparire sgarbato o odioso; in quel momento era City Hunter, e voleva trattare l’altro più professionalmente possibile, solo come un qualsiasi cliente bisognoso di aiuto, anche se non era la solita bella donna per cui era abituato a lavorare.
Eppure una bella donna c’era veramente, ed era la sua affascinante socia; o doveva già considerarla ex? Comunque sia, si convinse che in un certo senso l’XYZ glielo avesse lanciato proprio lei…
Sì, così poteva andare: la sua etica professionale sarebbe stata rispettata! 
Anche se… proprio lei gli avrebbe dato dell’idiota per quell’escamotage mentale, e gli venne da ridere.
La sua Sugar lo perseguitava anche se non era presente!
Ad ogni modo lui sarebbe corso a salvarla lo stesso, anche ai confini estremi del mondo, se fosse stata in pericolo: era nel suo DNA e non poteva farci niente.
 
Akira Murakami, che era entrato con passo deciso nell’appartamento, si lasciò cadere frustrato sul primo divano che aveva trovato; si era passata pesantemente una mano sul viso, fino ad infilarla sotto il ciuffo di capelli, che era ricaduto perfettamente al suo posto.
Davanti a quel gesto estremamente umano, che tradiva tutta l’impotenza del suo ospite, Ryo non poté impedirsi di pensare, assurdamente, che, con il suo taglio alla moda, impeccabile e ben curato, nemmeno provando a scompigliarsi i capelli, perdeva la sua aria da bravo ragazzo.
Poiché bravo e ragazzo lo era sul serio: primo, perché se aveva l’età della sua Kaori, rispetto a lui era veramente un ragazzo; e secondo perché – e di questo Ryo ne aveva le prove, avendo fatto discretamente tutte le indagini del caso – non c’era niente a suo carico, nemmeno una multa non pagata.
Quindi era la classica brava persona.
Era pulito.
Era onesto.
Era perfetto, appunto.
 
A questa ulteriore constatazione, si sentì stringere il cuore: Akira era il suo esatto contrario, ed era irrimediabilmente più simile a Kaori di chiunque altro; per questo avrebbe tanto voluto odiarlo ancora di più, ma in quel momento quel sentimento così distruttivo gli si stava ritorcendo contro, soffocandolo.
Cercò di scacciare quei pensieri deleteri per concentrarsi sul problema, ben più reale e spaventoso, che era il rapimento di Kaori, e che ironicamente li chiamava a collaborare, ad agire insieme, proprio ora che avrebbe preferito mille volte non doverlo incontrare più, fino a quando non sarebbero partiti per gli Stati Uniti, dopo il matrimonio.
 
“Cosa vuole che le dica?” chiese quasi esasperato Akira.
 
“Innanzitutto come sei stato contattato dai rapitori, quando, che modalità di pagamento hanno richiesto… Insomma, tutto quello che ti viene in mente. Pensi di avere dei nemici? Chi avrebbe interesse a ricattarti?”
 
E, dopo una pausa ad effetto:
 
“Cosa nascondi?”
 
“Cosa vorrebbe insinuare?”
 
“Io? Io niente. Ma è a te che hanno rapito la fidanzata chiedendoti un riscatto stratosferico, e se lo hanno fatto, vuol dire solo una cosa: che sanno benissimo che disponi di tale somma, e che non esiteresti a sborsarla pur di riavere indietro… Kaori” concluse Ryo, che faticava anche a pronunciare il nome della sua partner, all’interno di un discorso in cui c’era anche Akira o che lo riguardava.
 
“Ha ragione, mi scusi. Non volevo essere scortese. Ma sono così teso, così preoccupato che…”
 
“Non darti pena per i modi” tagliò corto lo sweeper, leggermente a disagio per l’atteggiamento di Akira, che era sempre educato e misurato anche in un frangente del genere.
C’era poco da fare, quello che non gli veniva dal sangue freddo, gli veniva dalla buona educazione.
Lui invece sapeva essere così rozzo, a volte… anche Kaori lo rimproverava per questo.
 
“Va bene” disse infine Akira, raccogliendo le idee “Vediamo di partire dall’inizio.”
 
Ci pensò un attimo, poi iniziò a raccontare:
 
“Come saprà, sono tornato in Giappone da poco più di un mese, perché ho studiato all’estero dove ho preso diversi master nelle più grandi università degli Stati Uniti. Ho fatto carriera ed esperienza in famose società finanziarie e non ho perso tempo, mi sono dato da fare, ma le giuro che non ho pensato ad altro. Ero spinto dall’ambizione, però ho raggiunto i miei traguardi con il sudore della fronte, non ho mai chiesto favori a nessuno, né ho preso spiacevoli scorciatoie, se capisce ciò che intendo.”
 
Ryo annuì.
 
“Mia nonna sta morendo, e sono tornato per esaudire le sue ultime volontà: prendere le redini dell’impresa di famiglia…” continuò il ragazzo, e poi aggiunse: “… Sposarmi, e perpetuare la discendenza.”
 
E si fermò lievemente in imbarazzo, ma subito si affrettò ad aggiungere:
 
“Ma questo lo saprà già sicuramente; immagino che Kaori gliene abbia parlato.”
 
In realtà Ryo non sapeva proprio niente di Akira e dei suoi progetti per il futuro; o meglio, la sua compagna non gli aveva raccontato nulla, perché semplicemente lui non gliel’aveva permesso.
Alla comparsa di questo suo vecchio fidanzato si era chiuso in un mutismo scostante, che aveva esasperato ancora di più il loro rapporto e, soprattutto da quel giorno, aveva sempre fatto in modo di non trovarsi mai in casa da solo con lei; quindi non avevano parlato affatto.
 
Fu riscosso dai suoi dolorosi pensieri dal parlottare accorato del ragazzo, che aveva ripreso a ragionare ad alta voce, per mettere ordine in quella situazione.
 
“Ho rincontrato Kaori quel giorno al parco, quando c’era anche lei. Nessuno sapeva della sua esistenza, prima di allora, e non potevano collegarla a me in alcun modo. Quindi, chi ha deciso di rapirla per farmi del male aspettava l’occasione giusta, e l’annuncio del mio fidanzamento e dell’imminente matrimonio gli ha fornito l’appiglio che cercava.”
 
Ryo stava facendo uno sforzo sovrumano per restarsene lì a sentire quel tipo parlare, come niente fosse, di fidanzamento e matrimonio con la sua Kaori, mentre avrebbe voluto urlargli di smettere, tapparsi le orecchie, fuggire o prenderlo a pugni, o un mix di tutto questo.
Proprio lui, che aveva passato gli ultimi sette anni della sua vita accanto a quella creatura magnifica, e che quando si era scoperto irrimediabilmente innamorato di lei, si era vietato anche solo di immaginarsi come sarebbe stato poterla prendere fra le braccia, baciarla con passione… o peggio, farci l’amore.
E anche se il suo corpo e il suo spirito lo avevano tormentato giorno e notte, spingendolo verso di lei, lui aveva sempre combattuto questo bisogno, questo desiderio vibrante, perché si era convinto che non sarebbe mai stato degno di avvicinarsi a lei, di pensarla come una compagna per la vita, di farla sua.
E malgrado questo tormento interiore, non era riuscito ad impedirsi, a volte, di aprirsi a lei, di farle capire quando contasse per lui, quanto il suo cuore fosse pieno di lei, della sua essenza.
Stare ad ascoltare Akira parlare di Kaori e dei loro progetti futuri, era come lasciarsi trafiggere il cuore da paletti infuocati che lo straziavano e lo dilaniavano profondamente.
E che fatica imporsi di non immaginarseli insieme, magari a letto, ad amarsi come solo due innamorati sanno fare!
Già quella mattina, in cui il ragazzo si era ripresentato al parco, e l’aveva baciata lì davanti a lui, si era sentito morire… e più ancora quando lei non aveva reagito come sperava, cioè prendendolo a martellate o allontanandolo, ma anzi lasciandolo fare; aveva gradito.
 
Mentre era lì con Murakami, avrebbe voluto strapparsi i capelli a quei pensieri insidiosi, che gli stavano invadendo la testa e che, nonostante continuasse a scacciarli, tornavano indietro, più agguerriti che mai; eppure, non si sa come, riuscì a mantenere il suo solito aplomb, e gli sfuggì solo una smorfia infastidita che Akira interpretò come indirizzata ai criminali che avevano preso Kaori; lui proseguì dicendo:
 
“La mia famiglia è molto ricca, è vero, ma siamo di stirpe nobile e antica, e mai ci siamo immischiati nelle faccende della malavita; quello che abbiamo ce lo siamo guadagnati, ed è il frutto del lavoro di ogni singolo membro. Facciamo molta beneficienza e siamo attivi nel sociale… Io personalmente non ho fatto nulla di cui dovermi pentire, non ho nessun tipo di segreto, e credo che questo lei lo abbia ampiamente appurato.”
 
E così dicendo, lanciò un’occhiata significativa a Ryo, il quale trasalì leggermente e subito pensò, con un sarcasmo amaro:
 
Allora è anche sveglio il ragazzo! Bene, un’altra buona qualità da aggiungere alla già lunga lista.
 
“Stupito?” gli chiese Akira a bruciapelo “Anche se Kaori non mi avesse parlato del suo lavoro, quello che insieme svolgete, anche io avrei comunque fatto le mie indagini, per sapere chi era l’uomo che per tutto questo tempo aveva vissuto con la mia Kaori.”
 
Quel mia Kaori diede un profondo fastidio allo sweeper, ma cercò di mascherarlo con un sorriso ironico quando rispose:
 
“Hai fatto bene a fare le tue ricerche. Io, al contrario, ho molti più scheletri nell’armadio di te, e la mia reputazione non è così specchiata. Diciamo che non sono un santo, né vorrei esserlo. Io sono… io. E non rinnego niente.”
 
Stava mettendosi troppo sulla difensiva, e cercò di cambiare tattica.
Riprese con tono più conciliante:
 
“Kaori è la sorella del mio defunto partner, come sai, e spontaneamente ha voluto prenderne il posto. Era sola al mondo, come lo ero io, e le ho proposto di venire a vivere con me perché per il lavoro che avremmo dovuto svolgere sarebbe stato più agevole. Eravamo una famiglia…” e qui s’interruppe per non dargli adito ad altre speculazioni.
Non voleva che pensasse che il pensiero di perderla, lo stava lentamente uccidendo.
Se proprio doveva rinunciare a lei, e lasciarla ad un altro uomo, lui era il candidato ideale, ma finiva lì; non gli avrebbe di certo fatto le congratulazioni, e non avrebbe saputo altro di Ryo Saeba, se non quello che eventualmente gli avrebbe raccontato la sua fidanzata.
 
Akira, infine, annuì accondiscendente; in quello strano duello dissimulato, ogni parola veniva pesata e valutata, e alla preoccupazione per la sparizione di Kaori, si sommavano anche quei detti e non detti, fra i due uomini che, ognuno a modo suo, amavano la ragazza e la volevano per sé.
 
Murakami riprese:
 
“Mi ha chiesto come ho saputo del rapimento… Bene, glielo dirò. Ero nel mio ufficio di Tokyo, quando la mia segretaria ha risposto alla telefonata di un nostro ipotetico investitore; o almeno, i rapitori si sono spacciati per lui, perché la mia segretaria ci ha creduto e tranquillamente mi ha passato la chiamata. Ma quando sono andato per parlare con il nostro cliente, mi sono sentito rispondere da una voce metallica, evidentemente alterata e artefatta, sa, di quelle voci preregistrate. Il fatto che fosse una voce femminile non fa nessuna differenza, vero?”
 
Lo sweeper fece un leggero cenno di assenso.
Akira Murakami continuò:
 
“In ogni caso tutte le telefonate su quella linea, sia in entrata che in uscita, vengono registrate, e se vuole gliene faccio avere una copia. Per quanto riguarda il messaggio era molto semplice: Se vuoi rivedere sana e salva la tua graziosa fidanzata, dovrai pagare un miliardo di yen. Non ti azzardare a chiamare la polizia. Presto ci rifaremo sentire noi. L’ho imparato a memoria, e non faccio che ripetermelo.”
 
Ryo però continuava a tacere, al che Akira lo incalzò:
 
“Allora, che facciamo?”
 
“Niente.”
 
“Come, niente?” e già il ragazzo si scaldava, colpito dall’apparente menefreghismo dello sweeper.
 
“Sì, non dobbiamo fare nulla, per il momento. Per Kaori non è la prima volta, di essere rapita” e intercettò lo sguardo turbato del giovane, aspettandosi delle recriminazioni. Ma, prima che potesse dire qualcosa, Ryo proseguì:
 
“Kaori  è una professionista, una ragazza in gamba; sa come cavarsela in ogni situazione, e a meno che non abbia qualche alzata d’ingegno delle sue, sa perfettamente che se ne deve stare buona e aspettare che io arrivi a liberarla. E comunque, finché i rapitori non si faranno sentire, non correrà alcun rischio. Loro hanno bisogno dei soldi, e al momento sono rimasti troppo sul vago, quindi se vogliono che noi cediamo al loro ricatto, dovranno dirci di più e al più presto. Nel frattempo avremo tutto il tempo di scoprire – almeno spero – dove è tenuta prigioniera; non è escluso che Kaori riesca a mettersi in contatto con noi… Quindi, per il momento, possiamo solo attendere, mi dispiace.”
 
Ah, se la sweeper avesse sentito tutti gli elogi che il suo partner le aveva fatto!
Magari un giorno lo stesso Akira glieli avrebbe riferiti, quando però sarebbe stato forse troppo tardi.
In ogni caso, il ragazzo si alzò sbuffando, esasperato dalla freddezza che riscontrava nell’uomo di fronte a lui.
L’impotenza poi faceva il resto, perché avrebbe voluto smuovere mari e monti per ritrovare Kaori, e invece era condannato ad aspettare.
 
Ryo era tentato di proporgli di farlo rimanere lì con lui, o di trasferirsi a casa sua, per essere presente quando i rapitori si fossero fatti sentire di nuovo, ma poi valutò che non era il caso; meno stava accanto al suo rivale e meglio era, e il fatto che non fosse uno sbruffone o un tipo odioso, peggiorava solo le cose.
Ci mancava solo che, conoscendolo più a fondo, finisse per stimarlo ulteriormente.
Inoltre, quel continuo confronto con Mr. Perfezione lo stava facendo sentire ancora di più un rifiuto della società.
Cosa mai Kaori aveva potuto spartire con lui, in tutti quegli anni?
Eppure, c’erano stati dei momenti in cui lui e lei erano stati bene insieme: momenti in cui sembrava possibile anche l’impossibile.
 
Lo sweeper si augurò che tutto finisse presto, in un modo o nell’altro.
 
Quando Akira si era alzato dirigendosi alla porta, Ryo l’aveva seguito, accompagnandolo, e quasi a ricordarsi di una cosa all’ultimo minuto, gli chiese:
 
“Senti, quando stavi all’estero hai avuto delle relazioni, più o meno serie?”
 
“Sì, ma che c’entra? Non vorrà accusarmi di aver tradito Kaori?”
 
“No, assolutamente. È che forse sei stato con la donna sbagliata…”
 
E lasciò volutamente la frase in sospeso, facendogli intendere che, forse, qualcuna poteva essersi risentita, nel caso fosse stata scaricata in favore di un’altra, rispuntata di punto in bianco chissà da dove, a cui lui aveva addirittura chiesto di sposarlo; magari questa aveva anche i mezzi per fargliela pagare.
 
“Se vuol insinuare che io abbia troncato una precedente relazione per sposare Kaori, la risposta è no. Non ero legato sentimentalmente a nessuna, prima di venire qui. Anche la mia storia con Fujiko era finita già da un po’.”
 
Improvvisamente incuriosito, Ryo chiese:
 
“E chi era questa donna?”
 
Il suo sesto senso lo aveva messo subito sul chi vive, e poi quando si trattava di donne…
 
“Oh, è una donna molto bella, ma anche molto particolare. Si figuri che siamo stati insieme più di due anni, e per tutto il tempo ha voluto tenere segreta la nostra relazione, a causa del suo lavoro, diceva. L’amavo molto, ma alla fine non ho più sopportato di vivere in clandestinità il nostro amore, nonostante non avessimo niente da nascondere: non eravamo mica due amanti che vivevano una relazione extra-coniugale!” e si era accalorato nel dirlo, ma poi il suo tono si fece più triste quando aggiunse:
 
“Si figuri che non mi ha mai detto che mi amava… forse lo dava per scontato, non lo so, ma viene un momento in cui si ha bisogno di sentirselo dire.”
 
E detto questo, si richiuse la porta alle spalle.
 

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Capitolo 5
*** Solitudini e turbamenti ***


Benvenuti al cap. 5!
Accorrete gente!
E mi raccomando niente uova marce o pomodori in faccia.
Siate clementi ^_^
Buona lettura... tanto vi voglio bene lo stesso <3



Cap. 5 Solitudini e turbamenti
 
 
“Shhhhh Kaori, tranquilla, ci sono qua io!” sussurrò Naoko, accarezzando la testa della sweeper, la quale faticò non poco a tornare alla realtà, emergendo da quell’incubo terrificante.
Guidata dal tocco gentile e fermo delle mani della cantante, si lasciò coccolare e finì per appoggiare la testa sulla sua spalla.
Era ancora scossa dai singhiozzi; in maniera confusa, era grata alla sua ospite che fosse lì a prendersi cura di lei.
 
“Ti ho sentito piangere e singhiozzare dalla stanza accanto, e sono venuta a vedere cosa stesse succedendo. Continuavi a ripetere un nome, Ryo, ed eri in uno stato pietoso… Avrei voluto svegliarti, ma mi sono chiesta se non avessi fatto peggio.”
 
“Grazie, Naoko, e scusa se ti ho svegliata. Era solo un brutto sogno.”
 
“Ma… ma chi è questo Ryo? Lo stesso che hai detto che sarebbe venuto a liberarti?”
 
“S-sì” balbettò lei, ma poi si affrettò ad aggiungere “È il mio collega di lavoro.”
 
“Ah” fece l’altra poco convinta, sempre senza smettere di accarezzarla.
Infine le chiese, sentendola rilassarsi contro di lei:
 
“Va un po’ meglio?”
 
Kaori annuì, mordendosi il labbro inferiore; che razza di professionista era, se si faceva sorprendere dagli incubi tanto che la sua aguzzina doveva accorrere a consolarla?
E soprattutto, che razza di nemica era l’altra, così premurosa da interessarsi al suo benessere psicofisico?
Solo allora si accorse che la donna era completamente nuda e, leggermente a disagio, si staccò da lei, per chiederle:
 
“Ma tu… tu… sei…?”
 
“Nuda?” finì l’altra per lei, “Sì, perché? Io dormo sempre così.”
 
E di nuovo il pensiero di Ryo e della sua mancanza di pudore, le si affacciò alla mente e arrossì, per entrambe le visioni.
La cantante sorrise, vedendola in imbarazzo, e le disse,:
 
“Kaori, sei un giglio di purezza. Ti adoro!”
 
La ragazza, allora, ridacchiò confusa, ma prima che potesse aggiungere altro, Naoko si stese accanto a lei, dicendole:
 
“Per stanotte è meglio se dormo qui con te, così ci faremo compagnia a vicenda.”
 
Kaori non seppe dirle di no, perché in quel momento si sentiva veramente sola e abbandonata, e la presenza di Naoko era assurdamente confortante.
Aveva bisogno di calore umano e voleva solo abbandonarsi nelle braccia di qualcuno, che la facesse sentire viva e al sicuro.
 
Stese nel grande letto, la donna l’abbracciò, e Kaori non oppose resistenza, perché la cantante sprigionava un tale carisma, una sensualità così selvaggia, seppure non aggressiva, che ne era al contempo turbata e affascinata.
La udì sussurrare al suo orecchio:
 
“Sei bellissima, mi piaci da impazzire” e si stupì lei stessa della forte emozione che le provocarono quelle parole, che l’avevano fatta vibrare di piacere fin nel profondo.
D’improvviso si era sentita bella e desiderabile, e il fatto che fosse la seducente Naoko, la pop star regina delle folle, ad averglielo detto, la riempì di una soddisfazione mai provata prima.
E quando questa la baciò teneramente, chiuse gli occhi e non pensò più a niente.
 
 
 
 
***
 
 
Diverse ore dopo, Kaori fu svegliata dalla luce forte e abbagliante del giorno fatto, che prepotentemente irrompeva nella stanza dalle tende tirate, e ritrovandosi nuda, si sollevò a sedere di scatto; in preda ad un forte imbarazzo, si strinse addosso il lenzuolo di seta.
Aveva un ricordo confuso della notte precedente, ricordava di aver sognato Ryo, che stava piangendo con il cuore che le martellava nel petto e poi … Naoko.
Nascose la testa sotto il lenzuolo: possibile che fosse successo davvero?
Ma poco dopo sentì un leggero bussare alla porta, e timidamente, con un filo di voce, disse:
 
“Avanti!”
 
Sapeva che solo una persona poteva presentarsi alla porta della sua stanza, ed era terrorizzata di scoprire come sarebbero andate le cose di lì a poco; era invasa dalla vergogna e dal pentimento; non avrebbe dovuto lasciarsi andare così.
Vedere la sua ospite entrare, più sorridente del solito, e con un vassoio per la colazione in mano, non le rendeva più facile il confronto.
 
“Buon giorno!” disse Naoko entrando “Stamattina ho fatto un salto in città a fare provviste, altrimenti non avremmo avuto che scatolette da mangiare” e le sfuggì una leggera risatina.
 
Kaori, nonostante la confusione e il disagio, registrò l’informazione che il primo centro abitato non fosse poi così lontano come le aveva fatto credere la sua nemica, se ci era arrivata in così breve tempo, ed in sella ad una moto.
Improvvisamente la sweeper si ricordò il motivo per cui era lì, in quella villa lussuosa e deserta, e cioè che era prigioniera di questa bellissima ed enigmatica donna, che le stava dinanzi sorridendo, in maniera disarmante e quasi affettuosa, come fosse la cosa più naturale del mondo; allora la rabbia l’assalì, e cercando di dominarsi le disse:
 
“Senti, a proposito di quello che c’è stato fra noi questa notte…”
 
Ma senza aspettare che Kaori finisse la frase, Naoko proruppe con:
 
“Sì, sì, lo so cosa vuoi dire, che dovremmo dimenticare e far finta che non sia successo niente, perché te ne sei già pentita, giusto? Anche se… Non mi era sembrato che ti dispiacesse poi così tanto!”
 
E le scoccò uno sguardo malizioso e ironico insieme, poi riprese:
 
“Tanto lo so che sei innamorata di un uomo, e che stai per sposarne un altro.”
 
Kaori sussultò, ma l’altra proseguì, per niente impressionata dalla reazione della donna:
 
“E comunque sappi che anche io amo un uomo… Un uomo che, credo, ho perso per sempre… Ma va bene, ormai è andata così” concluse tristemente.
 
La sweeper, più incredula che mai, si sforzò di parlare, nonostante la confusione in cui si dibatteva, perché la curiosità la stava uccidendo e voleva a tutti i costi capire; troppi misteri aleggiavano intorno a lei, e voleva fare assoluta chiarezza, così chiese:
 
“Allora… allora perché mi hai sedotto, se tu…”
 
“Sedotto, sedotto…” e scoppiò a ridere la cantante, per poi riprendersi poco dopo:
 
“Direi che io ho fatto solo la mia parte, o no?” e di nuovo la guardò con quei suoi occhi neri e penetranti, che le fecero abbassare lo sguardo mentre sedeva ancora sul letto, avvoltolata nelle lenzuola.
Kaori, però, fu costretta ad ammettere con sé stessa che, a conti fatti, Naoko non aveva tutti i torti, perché non l’aveva forzata in nessun modo, e lei avrebbe potuto resisterle e respingerla in ogni momento; a sua parziale discolpa riuscì a rispondere:
 
“Non ero mai arrivata a tanto con una donna…”
 
“… e c’è sempre una prima volta!” ribatté la cantante quasi allegramente, e poi: “In ogni caso per me non fa nessuna differenza, se una persona mi piace, mi piace e basta, e se voglio, me la prendo!” disse con spavalderia, per poi aggiungere: “Nel mio mondo è normale, e non viviamo, per questo, strangolati dai sensi di colpa; ci godiamo la vita, stiamo bene… così” concluse con un’alzatina di spalle. Ma appena vide lo sguardo addolorato dell’altra, che evidentemente si sentiva in qualche modo usata, l’oggetto dei desideri di una donna che l’aveva voluta solo per trastullarsi, Naoko si affrettò ad aggiungere, con voce sincera e dolce:
 
“Ma con te è stato diverso” e fece un passo in avanti verso Kaori. Però dovette fermarsi, di fronte all’impercettibile irrigidimento dell’altra, che denotava un rifiuto e un chiudersi in sé stessa; un velo di delusione e tristezza scese nel suo sguardo.
Riprese dicendo, in tono mesto:
 
“Mi sei piaciuta fin dal primo momento in cui ti ho visto, e ora capisco perché Akira si è innamorato di te.”
 
La sweeper trasalì.
Conosceva Akira Murakami?
Ma la cantante non colse, o finse di non vedere, quel leggero sussulto, perché continuò:
 
“Kaori, tu non sei solo una donna molto attraente e affascinante, sei bella anche dentro. Mi hai conquistato con la tua purezza e con la tua gentilezza, con quel tuo senso dell’onore, perché nonostante ti tenessi in ostaggio, hai mantenuto la promessa di non provare a scappare. Ho visto il tuo corpo così tonico e atletico…”
 
E già Kaori stava per chiudersi a riccio in imbarazzo, immaginando che la cantante volesse farle, in qualche modo, delle avances. Ma non era il tono di chi vuole sedurre, piuttosto di chi espone un’ovvietà, senza malizia, perché proseguì dicendo: “…e so perfettamente che se avessi deciso di aggredirmi, avresti avuto la meglio… anche se ti avrei dato del filo da torcere” ridacchiò orgogliosa; poi riprese: “Sei una grande donna, che forse si sottovaluta un po’ troppo e non crede sufficientemente in sé stessa. Ecco, ti sembrerà assurdo, ma mi piacerebbe che tu fossi più sicura, più consapevole di te e delle tue qualità.”
 
E stavolta il sorriso sincero che le regalò, fece arrossire di piacere Kaori, perché mai nessuno le si era rivolto così, a parte Miki, a cui non dava particolarmente ascolto perché, erroneamente, pensava che in quanto amica, e accecata dall’affetto, la sopravvalutasse.
Con un filo di voce, la sweeper le disse infine:
 
“Grazie, Naoko… e scusa.”
 
Non sapeva bene nemmeno lei perché le chiedesse scusa. Forse per averla giudicata una poco di buono, una donna viziosa e spregiudicata; eppure, a ben guardare, anche lei aveva avuto la sua parte in quella notte di solitudine, e doveva smetterla di colpevolizzarla o colpevolizzarsi.
Era successo e basta; perché doveva succedere, perché lo avevano voluto fortemente entrambe.
 
La questione sembrava in qualche modo chiarita,  perché Naoko le disse:
 
“Bene, ora vestiti e fai colazione, poi quando sarai pronta raggiungimi di sotto, che ti farò fare il giro turistico della Mega villa di Naoko!” e le strizzò l’occhio ridendo, prima di girarsi sui tacchi e scomparire dietro la porta.
 
Kaori rimase interdetta solo un attimo, poi si lasciò andare ad una risata liberatoria; sì, Naoko era una donna eccezionale, oltre che la nemica più strana che avesse mai conosciuto.
 
 
 
***
 
 
La sweeper, dopo essersi vestita velocemente e aver divorato quell’inattesa e squisita colazione, si guardò intorno, e per la prima volta poté osservare con cura la sua prigione.
Era arredata sobriamente, nonostante il lusso fosse tangibile ma discreto.
Nulla era stato lasciato al caso, e l’impressione che se ne aveva, soggiornandoci, era di lussuosa comodità.
Si chiese quanti altri ospiti fossero passati di lì, magari personaggi altrettanto famosi come la padrona di casa, e sospirò per un attimo, immaginandosi la splendida vita che Naoko doveva condurre.
 
Prima di uscire gettò un rapido sguardo al quel suo vestito da sposa, finalmente appeso ad una gruccia all’esterno dell’armadio, e sospirò di nuovo.
 
Presto la sua vita sarebbe radicalmente cambiata; magari non sarebbe stata così patinata e costantemente sotto i riflettori come quella di una celebre cantante, ma, se avesse voluto, lo sfarzo non le sarebbe mancato, dal momento che il patrimonio di Akira era notevole.
Già, se avesse voluto… perché la verità era che probabilmente lei non ci si sarebbe abituata mai.
In cuor suo temeva di non esserci nemmeno tagliata, per quel genere di cose: lei così rozza, poco avvezza alle buone maniere, all’etichetta… e se si fosse sentita fuori luogo?
Scacciò quel dubbio fastidioso pensando che no, accanto ad Akira la sua esistenza sarebbe stata felice e semplice, proprio come lui, perché nonostante gli anni passati e la carriera nell’alta finanza, lui non era cambiato, era rimasto il magnifico ragazzo di un tempo.
Il suo migliore amico.
 
 
Ancora una volta ripensò a quando era tornato ad essere una presenza viva e vitale nella sua vita.
 
Quella mattina al parco, dopo l’iniziale stupore, e quell’abbraccio travolgente, coronato da un bacio che l’aveva riportata indietro nel tempo, e che di colpo le aveva fatto sentire tutta la mancanza che aveva provato per lui, aveva dovuto gestire l’improvvisa gelosia del socio.
Li aveva divisi a fatica perché Akira non era tipo da tirarsi indietro; non ricorreva mai alla violenza, ma se c’era da battersi sapeva il fatto suo, ed evidentemente non si era fatto scoraggiare dal grande Ryo Saeba.
Forse era stato un bene che non lo conoscesse di fama, o forse si sarebbe comportato così ugualmente.
Quando Kaori aveva fatto le presentazioni, aveva visto il suo socio accusare il colpo, nel momento in cui lo aveva definito solamente come partner di lavoro; non era stata sua intenzione ferirlo, ma quella era la verità.
 
Per tutto quel tempo che avevano trascorso insieme, lui si era sempre premurato che i ruoli rimanessero ben definiti, sia all’esterno che all’interno della loro coppia, anche se, da un certo punto in poi, Kaori aveva iniziato timidamente a sperare che la situazione potesse un giorno cambiare.
Forte di tanti piccoli dettagli, di grandi riavvicinamenti, seppur funestati da altrettanti allontanamenti, si era via via convinta che loro due fossero qualcosa di più di due semplici colleghi.
La confessione nella radura non ne era forse la prova?
Ma quegli ultimi strazianti mesi le avevano fatto credere che, invece, per loro come coppia non ci fosse futuro.
E cosa avrebbe dovuto rispondere ad Akira, quando le aveva chiesto chi fosse quel tipo che lo aveva quasi aggredito?
Poteva spiegargli, con due parole, tutta quella loro complessa e tormentata storia d’amore?
Che poi, era veramente una storia d’amore?
Per una volta, stanca di doversi sempre occupare di Ryo, dei suoi umori, e del suo comportamento, aveva deciso di pensare a sé stessa e volersi godere il ritorno del suo amico.
L’aveva allora preso a braccetto e, invertendo la direzione, gli aveva detto:
 
“Vieni a prendere un caffè, abbiamo così tante cose da raccontarci!” e si erano diretti nuovamente al Cat’s Eye, seguiti da un Ryo cupo e maldisposto, a cui Kaori non aveva voluto lasciare spazio in nessun modo.
 

 
 ***
 
 
 
“Kaori Makimura, lasciatelo dire, sei diventata una donna bellissima e affascinante” le aveva detto Akira, e nonostante quei complimenti l’avessero stupita piacevolmente e fatta arrossire come una peonia, con disinvoltura, e dettagliandolo senza ritegno, gli aveva risposto:
 
“Anche tu non sei male. Sei diventato veramente un bell’uomo, la maturità ti ha fatto decisamente bene. Noto che hai ancora le lentiggini, che tanto mi facevano impazzire, però direi che non rimpiango i tuoi occhialetti” finì ridendo.
 
Ryo, che aveva assistito alla scena a diversi passi di distanza da loro, con le mani sprofondate nelle tasche dello spolverino, aveva fatto tanto di occhi vedendo la sua socia comportarsi così spigliatamente, con un rappresentate del sesso opposto; non l’aveva mai vista così sicura di sé e perfettamente a suo agio, nemmeno con Mick, o peggio… con lui.
 
Quella volta che era uscita con Uragami, era stata così goffa e impacciata, che il socio aveva finito per credere che effettivamente lei non avesse nessun tipo di esperienza con gli uomini.
E invece si sbagliava, e di grosso.
Erano gli uomini che frequentava che non erano giusti per lei, perché evidentemente Akira riusciva a tirar fuori il meglio di lei, senza forzature né imbarazzo.
Osservandoli a debita distanza, la prima cosa che Ryo aveva notato era che quei due si capivano alla perfezione: avevano un grado di confidenza ed intimità così profonda, che era stato sufficiente rivedersi, anche dopo tutti quegli anni, perché rinascesse la sintonia di un tempo.
 
Kaori rideva estasiata appesa al braccio del suo fidanzato, che la sovrastava di almeno un paio di spanne, e non smetteva di guardarlo, beandosi della sua presenza, e allo sweeper, che la risentiva ridere dopo mesi e mesi, si era stretto il cuore; aveva provato improvvisamente un’enorme nostalgia per quella risata, e solo allora si era accorto di quanto gli fosse mancata.
Ed era stata tutta colpa sua, aveva finito per pensare, perché era riuscito a spegnere anche la voglia di ridere e divertirsi della sua socia.
 
Di fronte al Cat’s Eye, Akira aveva spinto la porta del locale, per poi galantemente lasciar passare Kaori, che era entrata ridendo. E Miki, che stava preparando il caffè dietro il bancone, sentendo il tintinnio del campanellino, già si era voltata sfoggiando il suo migliore sorriso; stava giusto dicendo:
 
“Buon giorno a voi!” quando il sorriso le si era bloccato sulle labbra. Aveva avuto un subitaneo moto di sorpresa, constatando che l’amareggiata Kaori, che aveva lasciato il suo locale poco prima, era stata sostituita da una ragazza raggiante che, apparentemente, flirtava con un bellissimo sconosciuto.
La barista immediatamente si era chiesta: “E Ryo?” e la sua curiosità era stata ben presto accontentata perché, come un infelice terzo incomodo, costui aveva fatto il suo ingresso nel locale, e si era diretto al suo solito sgabello, mentre i due prendevano posto ad uno dei tavolini di fronte alla vetrina.
 
Ryo, sedendosi, si era voltato appena a guardarli, sprezzantemente, poi, neanche avesse premuto un interruttore, aveva assunto la sua consueta faccia da maniaco, e aveva tentato l’ennesimo assalto alla bella ex mercenaria.
Lei, però, non si era nemmeno difesa, troppo sconvolta per prestargli la benché minima attenzione: era restata impalata e scioccata di fronte alla scena che si stava svolgendo sotto i suoi occhi, a pochi metri di distanza. Ma non c’era stato bisogno di reagire, perché tre secondi dopo Ryo era già spiaccicato sul muro, dove l’aveva scaraventato il suo nerboruto marito, con la stessa leggiadria di quando si schiaccia un moscerino.
Lo sweeper, a quel punto, era scivolato lungo la parete senza far rumore, pateticamente, e nessuno aveva più fatto caso a lui.
 
Miki, Falcon e Kasumi erano tutti presi ad osservare i due che parlavano fitto fitto, in confidenza, dimentichi di tutto il resto, e non si erano accorti nemmeno dell’arrivo di Mick, che con il suo solito charme era entrato baldanzosamente nel bar, e trovandosi davanti quelle tre statue di sale, ritte e impettite dietro il bancone, si era chiesto cosa li avessi ridotti in quella specie di stato catatonico.
Seguendo lo sguardo attonito dei membri dello staff del locale, aveva visto anche lui ciò che stavano fissando con attenzione, e la mascella quasi gli era caduta per terra dallo stupore. Poco dopo era stato riscosso da quel profondo stato di prostrazione in cui era finito, da un colpo di tosse di Ryo, che ne aveva richiamato l’attenzione.
 
La situazione era a dir poco surreale, con Kaori che, seduta, rideva e chiacchierava spensieratamente con un bellissimo uomo che non era Ryo, e con il resto della banda che, ammutolito e paralizzato, seguiva la scena.
 
Poi l’atmosfera era cambiata all’istante, quando Akira si era chinato appena a sussurrare qualcosa all’orecchio di Kaori, e gli altri l’avevano vista stupirsi e dilatare i suoi grandi occhi nocciola, prima di arrossire fino alle orecchie, e successivamente annuire, per poi dire chiaramente: “Sì!”
L’uomo a quel punto si era slanciato sopra il tavolinetto e l’aveva abbracciata felice, prima di depositarle un tenero bacio sulle labbra.
E se quella scena aveva congelato i cinque amici, come in un fermo immagine nello scorrere del tempo, ciò che disse dopo la ragazza, li mandò in mille pezzi. Perché, voltandosi finalmente verso di loro, aveva esordito con:
 
“Akira mi ha chiesto di sposarlo, ed io ho detto di sì!”
 
Quella semplice frase, stravolse per sempre la vita di tutti i presenti.
 

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Capitolo 6
*** Non dire mai ti amo ***


Dopo la bomba del cap.5 ecco arrivare il cap. 6 che forse sarà più “noioso” e meno interessante, ma necessario al proseguimento della storia.
Se ora stai leggendo questo messaggio, vuol dire che, nonostante le perplessità e lo “scandalo” di quello che ho scritto prima, la curiosità ti ha spinto cmq a proseguire la lettura, e per questo ti RINGRAZIO, chiunque tu sia.
Ah un’altra cosa… GRAZIE per le rec, TUTTE; ognuno ha le sue idee e i suoi pareri ed io li rispetto, tutti.
Vi lovvo
Eleonora



Cap. 6 Non dire mai ti amo
 
Ryo, rimasto solo dopo la partenza di Akira, decise, un po’a malincuore, che avrebbe dovuto chiamare Mick.
Se fosse stato per lui non lo avrebbe contattato affatto, ma era per il bene di Kaori, e di sicuro l’americano non si sarebbe tirato indietro.
In realtà, a ben guardare, forse lo sweeper avrebbe avuto bisogno di tutta la banda, anche se…
da quando era ricomparso Akira, e Kaori aveva accettato di sposarlo, tutti ce l’avevano con lui, nemmeno fosse stata colpa sua.
 
Ricordava ancora quella penosa scena di quando al Cat’s Eye Kaori, davanti a tutti, aveva annunciato il suo matrimonio, dopo che in pratica Akira glielo aveva chiesto in loro presenza.
Il suo cuore era andato in frantumi, e tanto era stato il dolore provato, che, era sicuro, ne sarebbe morto seduta stante; e sarebbe anche stato mille volte meglio, piuttosto che continuare a vivere con quel peso opprimente. E invece quello stupido muscolo aveva continuato a battere, prima scompostamente, perdendo qualche battito, poi all’impazzata, fino a quando gli era mancato il respiro ed era stato costretto ad uscire.
 
Lui che voleva defilarsi senza dare nell’occhio, era stato invece visto da tutti, perché nell’attimo stesso in cui Kaori aveva dato l’annuncio, tutti si erano voltati a guardarlo, per vedere come avrebbe reagito, cosa avrebbe detto; lo sapeva che si aspettavano una reazione improvvisa e drastica, magari che saltasse su e si opponesse, ammettendo una volta per tutte che amava la sua socia e che nessuno poteva portargliela via… ma non era successo, perché non era così semplice.
Nulla era mai così semplice.
E senza dire una parola, e dissimulando il suo profondo malessere, aveva infilato la porta, per poi essere raggiunto da Mick all’esterno.
Questi lo aveva preso per un braccio, per farlo girare, e senza mezzi termini gli aveva chiesto:
 
“Vuoi davvero che finisca così?”
 
Ma anziché rispondergli, Ryo lo aveva strattonato, tentando di liberarsi dalla presa d’acciaio dello sweeper biondo.
 
“Lascia stare, Mick, non sono cose che ti riguardano.”
 
“E invece sì, sono anche affari miei!” aveva ribattuto l’amico: “L’unico motivo per cui ho rinunciato definitivamente a lei, era perché sapevo che ti amava e che, seppur in maniera contorta, anche tu l’amavi!”
 
“Non puoi capire” aveva detto Ryo, scuro in volto.
 
Era talmente sconvolto da ciò che era appena successo dentro il locale, che il suo unico desiderio era fuggire lontano, e non stare di certo lì a farsi giudicare impietosamente dal suo ex-collega.
 
Però Mick non era dello stesso avviso, perché aveva insistito:
 
“Allora? La lascerai andare via, senza far nulla?”
 
“Lei ha fatto la sua scelta.”
 
“Ma che scelta vuoi che abbia fatto! Tu le hai mai proposto un’alternativa a quella sorta di limbo in cui hai deciso che dovevate vivere? Chi resisterebbe ancora in questa vita incompleta?”
 
Ryo non aveva risposto, si era chiuso ancora di più nel suo atteggiamento scostante; allora Mick gli si era parato di fronte, e guardandolo con aria di sfida gli aveva detto, tagliente come un rasoio:
 
“Ryo Saeba, sei solo un codardo e un vigliacco.”
 
Mick aveva sperato di scuoterlo e provocarlo, ma il giapponese, con un’alzatina di spalle, l’aveva guardato senza parlare e se ne era andato per la sua strada.
L’americano aveva scrollato il capo con aria sconfitta e, facendo ricadere le braccia lungo i fianchi, aveva preso la direzione opposta del suo testardo amico.
Per quella volta lo aveva lasciato andare, ma era tornato più volte e in più occasioni sull’argomento, fino a quando, vedendosi opporre un muro di gomma, aveva desistito.
Anche perché, allo stesso tempo, il biondo vedeva Kaori abbastanza serena ed aveva finito per chiedersi se quella non fosse veramente la scelta migliore per lei.
 
Ryo, dopo i fatti del Cat’s Eye, aveva camminato a lungo, senza meta, mischiandosi alla folla rumorosa di un qualsiasi giorno sulla terra, in mezzo alla gente che rincorreva i propri sogni, armata di speranza e coraggio, mentre lui si sentiva annientato, finito: il grande Ryo Saeba era stato sconfitto da una semplice, per quanto da sempre auspicata, eventualità: e cioè che Kaori lasciasse il loro mondo e si rifacesse una vita altrove.
Sentiva su di sé tutto il peso di questa decisione, perché un conto era sperare che lei se ne andasse e vivesse un’esistenza normale, pregando al contempo che ciò non accadesse mai, altro era doverlo affrontare realmente, soprattutto ora che la possibilità era rappresentata da una persona in carne ed ossa, che rispondeva al nome di Akira Murakami.
 
Pensarla lontana da lui gli faceva dolere il cuore, e non era sicuro di poter riuscire a sopravvivere a tale lacerazione; ma, ancora una volta, si era detto che sarebbe stato un sacrificio indispensabile per saperla viva e salva, in un posto diverso da quello, sicuro e tranquillo, lontano dai pericoli.
 
E pensare che la sua nuova vita era già iniziata con un atto criminoso: un rapimento.
 
 
 
 
***
 
 
 
 
In quello stesso momento, in una non ben precisata parte del Giappone, nei dintorni di Tokyo, Kaori si apprestava a raggiungere la sua carceriera, che aveva promesso di farle visitare la villa in cui era tenuta prigioniera.
 
Uscendo dalla sua stanza, si era trovata su di un ballatoio aggettante sopra un’enorme sala, inondata dai raggi del sole che provenivano dalla veranda sottostante; un’enorme scala portava al piano inferiore, e compiva un mezzo giro su sé stessa.
Percorrendola si aveva la possibilità di girare tutto intorno al perimetro della sala e l’effetto era strabiliante.
Quando fu di sotto, Kaori si guardò intorno meravigliata: l’arredamento in stile fusion era sobrio e ricercato, ogni elemento era perfettamente al suo posto e si disse che, anche se sicuramente un personal designer di grido aveva arredato quella villa, non la vedeva come anonima e impersonale; c’era molto del carattere e della personalità di Naoko.
Su di un lato della grande sala, sulla parete, spiccavano i numerosi dischi d’oro e d’argento che nella sua carriera la cantante aveva ricevuto, insieme ad altri premi e riconoscimenti.
Proprio sotto al ballatoio, c’era un lucidissimo pianoforte Yamaha, l’unico mobile che non fosse ricoperto da un telo antipolvere; evidentemente era lì che Naoko componeva la sua musica o, semplicemente, amava suonarlo quando era nella villa. Il piano sembrava l’unica cosa viva in quell’enorme casa vuota, che non dava solo l’impressione di essere temporaneamente disabitata, ma che fosse nata proprio per essere così, il buen retiro della bella Naoko.
 
Kaori trovò la cantante fuori, seduta sul muretto che delimitava il giardino, le gambe appoggiate sulla pietra, leggermente piegate e strette mollemente dalle braccia; indossava dei semplici jeans e una t-shirt con delle scritte; il sole ad illuminarla in controluce, le faceva risaltare i biondi capelli.
Era senza trucco, e a vederla così sembrava poco più di una ragazzina: Kaori valutò che potesse anche essere molto più giovane di lei. Di certo in quel momento non era la pop star che tutti conoscevano, ma una bella ragazza come tante.
Vederla così, con lo sguardo assorto, perso chissà dove, e con quell’espressione intensa e vagamente triste, fece provare una stretta al cuore alla sweeper, che riconobbe in lei tanta solitudine e, forse, sofferenza.
Si ricordò che quella stessa mattina, le aveva confidato di amare un uomo che aveva ormai perso.
Forse stava pensando proprio a lui.
 
Avanzando verso di lei, Kaori si schiarì la voce, per annunciarsi in qualche modo: non voleva farla sobbalzare spaventandola. Lei, sentendola arrivare, si voltò nella sua direzione, dapprima spaesata, poi, sorridendo, le disse:
 
“Ah, sei tu? Bene, sono contenta che mi hai raggiunta.”
 
Ancora una volta Kaori si chiese che razza di situazione bizzarra stesse vivendo, con una cantante famosa come custode, prigioniera in una lussuosa villa in cui c’erano solo loro due, libera di andarsene a spasso per tutta la proprietà a proprio piacimento, ma impossibilitata a scappare da lì. Aveva l’impressione di essere diventata l’amica succube di una bambina viziata che, per non rimanere da sola a causa del suo carattere bizzoso, obbligava qualcun altro a stare in sua compagnia.
Perché, nonostante tutte le comodità e le gentilezze, Naoko non le aveva ancora detto perché era stata rapita e da chi, anche se cominciava ad avere il sospetto che fosse tutta opera sua.
 
La sweeper aveva un vago ricordo del giorno del suo rapimento, quando, uscita dal camerino, aveva incontrato una donna che le era sembrata un’addetta ai lavori come tante, una dipendente della sua amica Eriko.
A pensarci ora, la prima cosa che aveva notato era che indossasse una parrucca, ma non gli aveva dato troppo peso, considerando che erano in un atelier, e che a volte le donne, anziché cambiare pettinatura, ricorrevano ai capelli posticci, ed era abituata alle stranezze di chi frequentava il mondo della moda; inoltre era lì per provarsi il vestito da sposa, non per fare indagini sullo staff della stilista.
In ogni caso la gentilezza della donna l’aveva subito colpita, e quei suoi occhiali cerchiati in oro e trattenuti da una catenella che le ricadeva sulle spalle, l’avevano convinta che si trattasse di una sarta; questa l’aveva condotta verso una stanza sul retro, che non ricordava di aver mai visto, ingiungendole di seguirla perché lì c’erano degli specchi più grandi; ma quando si era trovata davanti alla porta di un magazzino, aveva fatto giusto in tempo a sentirsi premuto uno straccio sulla bocca, prima di perdere i sensi e risvegliarsi lì, legata.
La finta sarta doveva essere Naoko, ne era ormai certa.
 
Naoko mise le gambe a terra, e con un balzo si tirò su in piedi; anche in questo, si disse Kaori, sembrava una bambina: non aveva nulla a che vedere con la donna fatale vestita di pelle, con quel suo look aggressivo, che aveva tentato di sedurla la sera prima… e nemmeno con la bellissima donna nuda che ci era riuscita, poi.
Sembrava la classica ragazza della porta accanto.
Kaori provò un moto di tenerezza.
 

“Allora, sei pronta per il gran tour?” chiese Naoko a Kaori, sforzandosi di sorridere. Ma all’altra non sfuggì quel suo falso buon umore, che ostentava caparbiamente ma che era ben lungi dal provare; la sweeper rispose con un’altra domanda:
 
“Naoko, c’è qualcosa che non va?”
 
“N-no, no, perché?” rispose titubante, e già questo diede conferma a Kaori di aver visto giusto.
 
“Sei pensierosa, e dato che non vuoi dirmi niente del mio rapimento, ti chiedo se non lo sei perché pensavi a quell’uomo di cui mi hai parlato stamattina.”
 
La cantante si lasciò sfuggire una risata secca, quasi sprezzante, ma poi dovette ammettere che Kaori era stata fin troppo paziente con lei, e si meritava un po’ di rispetto; se ancora non se la sentiva di rivelarle il motivo che l’aveva spinta a rapirla, almeno, però, poteva raccontarle tutto il resto.
 
“E va bene” ammise infine “Cosa vuoi sapere?”
 
“Non lo so, quello che ti va di dirmi; tanto, a quanto pare, di tempo ne abbiamo, a disposizione.”
 
“È vero. Vieni, andiamo a passeggiare nel giardino, e ti parlerò di lui.”
 
Nel dirlo le tese la mano, ma Kaori tentennò imbarazzata per una frazione di secondo. Allora Naoko la lasciò ricadere con un sorriso amaro: ora la sweeper aveva paura di lei, temeva che ogni gesto nascondesse il desiderio di sedurla ancora.
Comunque sia non disse niente, e s’incamminò nello stretto sentiero costeggiato da siepi e alberi da frutto; Kaori le andò dietro, e poco dopo si rilassò: avrebbero potuto parlare come due amiche.
Infatti, di lì a breve la cantante prese a raccontare:
 
“L’uomo di cui ti ho accennato, l’ho conosciuto un paio di anni fa, ad un noioso party per raccogliere fondi da devolvere in beneficenza. Non che mi dispiaccia aiutare chi ne ha bisogno” puntualizzò, sperando che l’altra non si facesse un’idea sbagliata di lei, che la vedesse come la solita donna dello spettacolo vacua e frivola; riprese:
 
“È che non amo molto queste serate in cui, con la scusa della beneficenza, si fa un gran sfoggio della propria ricchezza. In ogni caso mi avevano invitato perché, insieme ad altre celebrità, attirassimo gente e benefattori” e si voltò a sorriderle, per poi continuare:
 
“Avevo già fatto abbondantemente la mia parte, la mia comparsata, e stavo cercando di defilarmi quando, non trovando più il mio agente, che chissà dove era finito, sempre a caccia d’ingaggi e contratti, frustrata mi lasciai cadere pesantemente sul divanetto davanti al bar. Chiusi gli occhi; ero anche un po’ arrabbiata, mi stavo innervosendo, e non vedevo l’ora di tornare a casa. E mentre me ne stavo lì in disparte, imbronciata, sentii avvicinarsi qualcuno, e pregai che non fosse il solito omuncolo di mezza età in vena di galanterie” e le scappò una risatina.
 
“E invece era lui, Aki, anch’esso sfinito dalla festa e desideroso di un po’ di tregua. Figurati che nemmeno mi aveva riconosciuto, sapeva a malapena chi fossi! In ogni caso non so come successe, ma iniziammo a parlare del più e del meno, e di colpo mi ritrovai totalmente a mio agio con lui; ci capivamo su un sacco di cose, avevamo le stesse idee, insomma sai come funziona, no?”
 
Ma Kaori, data la sua scarsa esperienza in fatto di relazioni, non poteva sapere come funzionasse, perché gli unici uomini con cui aveva avuto che fare, erano: Akira, che però era un suo compagno di scuola quindi non c’era mai stato un vero e proprio primo approccio; Ryo, con il quale aveva avuto un rapporto così strano, che non sapeva nemmeno lei quando si erano conosciuti davvero, visto che quando lei aveva sedici anni e si erano conosciuti la prima volta, lui l’aveva presa per un ragazzo, successivamente aveva fatto finta di non riconoscerla quando aveva preso a frequentare casa Makimura e, per finire, addirittura era andata a vivere a casa sua, diventando oltre che colleghi di lavoro, anche coinquilini, quindi... Infine c’era Mick, che come primo approccio aveva subito tentato di sedurla… Ah, c’era stato pure Uragami, il padre della piccola Mayuko, ma per lui valeva un discorso a parte, perché non aveva avuto certe intenzioni.
In ogni caso Kaori annuì, e l’altra proseguì:
 
“Insomma quel party, da noioso che era, divenne subito interessante, solo per il fatto di essere lì insieme ad Aki; così decidemmo di andarcene alla chetichella, e fu la cosa più eccitante di tutta la serata. Non dissi niente al mio agente e scomparimmo dalla festa. A bordo della sua macchina, girammo per tutta la città, per poi fermarci sulla spiaggia a sgranocchiare una tempura proprio deliziosa. Passammo la notte a parlare, ci crederesti? Da quel giorno iniziammo a vederci sempre più assiduamente, ma fin dall’inizio decidemmo di farlo in segreto, perché altrimenti saremmo stati bersagliati dai paparazzi, e fagocitati dalla macchina del gossip. Invece, quando eravamo insieme, lui era semplicemente Aki, e non l’uomo d’affari che lavorava incessantemente per la società di famiglia, ed io Fujiko, che è il mio vero nome” e scoccò un sorrisino a Kaori, che a sua volta le sorrise divertita.
 
“La nostra storia andava a gonfie vele” riprese la cantante “anche se a volte ad Aki pesava non poter rendere pubblica la nostra relazione: avrebbe tanto voluto presentarmi alla sua famiglia, ai suoi amici, senza bisogno di dovermi sempre nascondere o smentire le voci che ogni tanto giravano su di noi.”
 
Naoko fece una pausa:
 
“La verità è che il fatto di non voler dare in pasto la nostra vita privata a quei giornalisti da strapazzo, era diventata una scusa, per me, per non dover ufficializzare il nostro rapporto. Non ero pronta… Era una cosa che mi spaventava a morte. Avevo come l’impressione che se avessi ammesso che stavamo insieme, di fronte al mondo intero, mi sarei legata a lui per la vita, e a questo pensiero mi sentivo soffocare. Avevo paura di perdere la mia libertà, pur amandolo con tutta me stessa. Buffo, no?” chiese stancamente.
 
Poi riprese:
 
“In ogni caso gli sono stata sempre fedele, nessuna avventura di una notte” precisò, guardandola significativamente. Kaori annuì convinta.
Naoko proseguì:
 
“In realtà lui non mi chiedeva mai nulla; stavamo insieme, stavamo bene, ci amavamo, ma io… non sono mai stata in grado di dirglielo.”
 
Tacque.
 
Kaori poteva capire il suo stato d’animo, ma più di tutto si sentì in qualche modo solidale con questo Aki; Aki… che poteva essere il diminutivo di Akira?
Certo era un nome comune, ma… poteva essere lo stesso Akira?
Cercò di non trarre nessun tipo di conclusione e attese che la ragazza riprendesse il racconto; infatti, poco dopo disse:
 
“Quella situazione non poteva durare in eterno, ne ero consapevole: da un lato la famiglia di Aki premeva perché si sistemasse e assicurasse la discendenza alla casata, dall’altro io che non mi decidevo né, che è peggio, gli dicevo di amarlo, pur facendoglielo capire in mille modi. O almeno io credevo così. Facevamo tanti sacrifici per poterci vedere: io su e giù dai palchi, in giro per concerti, nelle tournée, assediata dai fan, dai fotografi… Lui cercando di organizzare il suo lavoro sempre in base alle mie esigenze, pur di stare insieme… Alla fine credo si sia chiesto se ne valesse veramente la pena vivere così, vivere a metà.”
 
Fece una pausa, in cui Kaori poté sentire tutto il suo rimpianto e il suo dolore.
 
Riprese:
 
“E alla fine ci siamo lasciati… O forse dovrei dire che lui mi ha lasciato, perché io avrei potuto continuare lo stesso, anche se… il nostro rapporto si era ormai logorato, e non avrebbe potuto continuare a reggersi ancora sul mio orgoglio, sul mio egoismo.”
 
Poi, con un filo di voce, aggiunse:
 
“La canzone Kiss me again l’ho composta pensando a lui…”
 
Kaori tacque, incapace di trovare le parole; cosa mai avrebbe potuto dirle?
Poi però la curiosità la fece osare e le chiese:
 
“Scusa Naoko, ma se ancora lo ami e hai capito che vi siete lasciati solo perché non sei mai riuscita a dirgli quanto l’amassi, basterebbe che glielo dicessi adesso, no? Forse non è troppo tardi. Non c’è proprio nessuna speranza per voi, di rimettervi insieme?”
 
Naoko si girò di scatto a guardarla con occhi fiammeggianti, e la sweeper si meravigliò del cambiamento repentino della ragazza: il suo sguardo era ostile, e Kaori non si capacitava di cosa avesse mai detto di così tanto sbagliato.
Istintivamente fece anche un passo indietro, quando la cantante le rispose, infine, con tono tagliente:
 
“Perché lui ha deciso di sposare un’altra!”
 
A quel punto, Kaori capì finalmente.
Ora non c’erano più dubbi, l’Aki di cui era perdutamente innamorata Naoko era il suo Akira, lo stesso che stava per sposarsi con lei. Probabilmente l’aveva rapita proprio per impedirne il matrimonio.
Colpita da questa fantasiosa per quanto verosimile eventualità, Kaori si sentì morire.
Possibile che la sua scelta dovesse creare così tanta sofferenza ad un’altra persona, come Naoko?
Tecnicamente, però, Kaori non glielo aveva rubato, ed era mai possibile che la seducente e affascinante Naoko non avesse trovato nessun altro modo per tentare un riavvicinamento con lui?
E poi, aveva anche solo minimamente valutato le conseguenze del suo atto criminale?
Sì, perché era un crimine il sequestro di persona!
 
Per la prima volta da che erano uscite in giardino, Kaori si guardò intorno, cercando inconsciamente una via di fuga; quella situazione stava diventando insostenibile, visto che assurda lo era già.
Si chiese anche se Naoko non fosse completamente sana di mente, e ne ebbe paura.
Arrivare a tanto per amore non era forse un’esagerazione?
Lei, al posto suo, cosa avrebbe fatto?
 
Ma Naoko, leggendo il terrore e la preoccupazione sul viso di quella che ormai considerava un’amica, piuttosto che una rivale in amore, si sentì male. Non voleva che Kaori provasse disagio a stare con lei: aveva bisogno della stima di quella ragazza coraggiosa, del suo affetto incondizionato, non voleva deluderla, pertanto si affrettò a dirle:
 
“Kaori, Kaori, scusami… mi dispiace…” e fece per andarle incontro. Ma la sweeper, ormai sulla difensiva, non si fidava più di lei, e le venne spontaneo di arretrare.
Vedendosi rifiutata, inaspettatamente Naoko scoppiò a piangere e fuggì via, lasciando l’altra in quel grande giardino, sola e confusa.
 

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Capitolo 7
*** Un cuore diviso a metà ***



… e la storia prosegue, spero non troppo lentamente per i vostri gusti.
Questo capitolo chiarirà i vostri dubbi o ve ne farà venire degli altri?
A voi l’ardua sentenza.
GRAZIE  a tutti.
Vi lovvo
Eleonora



Cap.7 Un cuore diviso a metà
 
 
Kaori ritornò sui suoi passi, quasi trascinando i piedi; d’improvviso si sentì stanchissima, non immaginava che quella prigionia dorata le stesse succhiando così tante energie, e più pensava a come uscirne, più non sapeva come fare.
Erano passati quanti?
Due giorni?
Solamente?
Le sembrava di vivere in quel limbo surreale da molto più tempo.
 
E prepotente ritornò l’immagine di Ryo ad invaderle la mente, lui che non era ancora venuto a riprenderla, ma che sarebbe giunto ugualmente, lo sapeva, anche se… anche se lo aveva lasciato.
Perché, nonostante tutto, la giovane si fidava così tanto di lui, che non aveva preso in esame, nemmeno per un istante, l’ipotesi che il socio l’avrebbe lasciata al suo destino, che le avrebbe voltato le spalle.
Era una delle pochissime cose che continuavano a legarla a lui.
Eppure, non si era visto ancora, forse stava solo cercando il modo di arrivare fino a lei; conoscendolo, pensò la ragazza, avrebbe smosso mari e monti per trovarla, e immaginarlo in affanno per lei, ancora una volta, le suscitò un violento moto di nostalgia, e una fitta le attraversò il cuore.
lo amava troppo, a dispetto di tutto, ma lo avrebbe perso per sempre, perché Naoko aveva ragione: amava un uomo e stava per sposarne un altro.
Colpita da questa considerazione così ovvia, per quanto devastante, si sentì improvvisamente spersa e fu invasa da una potente ondata di disperazione.
In preda a quell’angosciante sgomento, dovette fermarsi per riprendere fiato; stava ansando, e il suo cuore era stretto in una morsa gelida e dolorosa; si portò una mano al petto, mentre con l’altra, quasi annaspando, cercò un appiglio per non cadere.
Toccò infine il tronco di un albero, e appoggiandoci la schiena, chiuse gli occhi e si lasciò scivolare fino a terra.
Si raggomitolò su sé stessa, e stringendosi le gambe con le braccia e soffocando i singhiozzi sulle ginocchia, si concesse finalmente ad un pianto liberatorio, uno di quelli che si vietava di giorno e che la tormentavano di notte, provocandole indicibili incubi.
 
In quello stato di profonda prostrazione emotiva, cercò di districarsi in mezzo a mille pensieri contrastanti; le ritornarono in mente le parole di Naoko, quando aveva parlato di orgoglio ed egoismo, e si chiese se non ce ne fossero anche nel suo rapporto con Ryo.
E poi ancora quell’impossibilità di dire Ti amo, e il voler tener segreta una relazione… non era anche questo a funestare la sua storia con il partner?
Forse aveva preteso troppo da lui?
Si aspettava che lui le aprisse il suo cuore e che le dicesse che l’amava, ma gli aveva mai permesso di dimostrarglielo?
Non era stata troppo dura con lui?
O forse sarebbe toccato a lei prendere in mano la situazione, e fare chiarezza fin dal principio?
Naoko le aveva suggerito che avrebbe dovuto essere più sicura delle sue capacità, e probabilmente aveva ragione.
Sicuramente quello che era mancato nel rapporto fra lei e il suo socio, da un anno a quella parte, era stato il dialogo; perché soprattutto dopo la confessione nella radura, avrebbero dovuto parlare e chiarirsi una volta per tutte.
E invece troppe cose erano state taciute, altre si erano date per scontate, nel bene e nel male.
Si erano fossilizzati nei loro comportamenti, e invece di andarsi incontro si erano lentamente allontanati. Anche in merito alla venuta di Akira, lei e Ryo non si erano parlati affatto.
 
Mentalmente riandò a quei giorni.
 
Quando lei aveva portato Akira al Cat’s eye e lui le aveva ricordato la promessa che si erano scambiati al tempo della scuola, presa dall’entusiasmo, e in ricordo dei vecchi tempi, aveva impulsivamente accettato la sua proposta di matrimonio.
Anche perché era così stanca di Ryo e del loro menage ormai inaridito, che le era sembrata l’unica soluzione possibile.
In fondo, quando il suo compagno di scuola era ricomparso, l’affetto che provava per lui era rinato inaspettatamente, ed ora che si era fatto anche molto più affascinante, si sentiva fortemente attratta da lui.
Era il ragazzo perfetto.
Certo lei non l’amava, perché era consapevole che una parte del suo cuore sarebbe sempre stata per Ryo, il grande amore della sua vita, ma era convinta che il sentimento che provava per Akira sarebbe stato sufficiente per vivere felice insieme a lui.
Perché Akira era sincero, cristallino, non soggetto a quelle tempeste improvvise che oscuravano lo sguardo e l’umore del suo socio a volte così ombroso; Akira era accomodante, e non bisognava ogni volta adattarsi al suo comportamento; Akira era deciso, e andava sempre fino in fondo alle questioni, non lasciava le cose in sospeso.
Akira la faceva sentire amata e importante, Ryo invece… cosa pensava Ryo di lei?
Akira era Akira, e Ryo… era Ryo.
 
Solo quando stava per lasciare il locale, Kaori, tornando finalmente alla realtà del presente, si era accorta dell’assenza di Ryo e dello sconcerto che aveva gettato sui suoi amici con quell’uscita improvvisa; ma mentre Miki e Falcon continuavano a tacere e non erano riusciti a dire niente all’amica, nemmeno al momento dei saluti, Kasumi soltanto aveva avuto il coraggio di avvicinarsi a lei, e le aveva chiesto:
 
“Ma allora è proprio vero?”
 
Kaori, a quel punto, si era ricordata che la ladra avrebbe dovuto rubare il cuore di Ryo per poter ritornare in seno alla famiglia, e non si stupì quando, avendole risposto affermativamente, lei aveva battuto le mani come una bambina felice.
 
Poi una volta in strada, Akira le aveva detto, prendendo congedo:
 
“Allora, domani ti passo a prendere e andiamo dalla nonna, che vuole conoscerti” e le aveva posato un leggero bacio sulla guancia.
 
La ragazza era così felice!
Camminava a passo leggero, quasi non toccasse terra, ma a mano a mano che si avvicinava a casa, la sua felicità si era andata affievolendo, e il pensiero di dover affrontare Ryo la faceva star male.
 
Quando, titubante, era rientrata nell’appartamento e lo aveva trovato insolitamente vuoto, ne era rimasta sollevata e delusa al tempo stesso.
Aveva aspettato inutilmente il socio fino a tardi, abbondantemente oltre l’ora di cena, perché aveva cucinato per entrambi, come al solito, e aveva sperato che loro due avrebbero cenato insieme; ma quando aveva perso ogni speranza, Kaori si era decisa a consumare il suo pasto, in solitudine, e poco dopo aver rassettato la cucina, si era ritirata in camera sua.
Per quella sera, si disse, non se ne sarebbe fatto niente.
 
Quella notte aveva dormito poco e male: si era rigirata nel letto a lungo, in preda alla confusione più totale; non faceva che pensare ad Akira, alla gioia di averlo ritrovato, al futuro radioso che vedeva accanto a lui, ma allo stesso tempo le tornavano alla mente, tormentandola, tutti i momenti salienti della sua vita passata accanto a Ryo: quelli belli, quelli brutti, i più drammatici e pericolosi, come pure le loro risate, le litigate epiche e le baruffe scherzose, la soddisfazione di aver risolto un caso complicato, la riconoscenza delle clienti…
Alla fine si era addormentata, ma il turbamento l’aveva seguita perfino nei sogni, che erano diventati veri e propri incubi spaventosi.
Si era risvegliata all’alba, stremata e mentalmente esausta, e ancora non sapeva che da lì in poi tutte le notti sarebbero state funestate dagli stessi incubi, e dalle stesse angosce.
Durante quella prima notte, però, aveva anche preso un’importante decisione: e cioè che, se Ryo le avesse chiesto di restare, a qualsiasi titolo, lei avrebbe mandato all’aria il suo fidanzamento con Akira e non lo avrebbe lasciato.
 
La mattina seguente, come di consueto, si era recata alla stanza del partner, ne aveva aperto discretamente la porta, per accertarsi che fosse tornato sano e salvo, e quando lo aveva visto profondamente addormentato, aveva tirato un sospiro di sollievo.
Era scesa in cucina per preparare la colazione; successivamente aveva fatto un salto alla stazione, dove non aveva trovato nessun messaggio, e solo mentre ritornava nuovamente a casa, Kaori aveva avuto come una folgorazione, perché aveva improvvisamente realizzato che un domani, quando sarebbe diventata la moglie di Akira, avrebbe dovuto rinunciare a tutto questo, e al suo lavoro.
A quella considerazione era stata presa da una vertigine: non ci aveva proprio pensato!
Come avrebbe fatto senza il suo amato lavoro, quello che aveva ereditato da Hideyuki?
Era diventata anche la sua missione, proteggere i più deboli, rendergli giustizia quando la legge si dimenticava di loro… ma un secondo dopo si era anche ricordata dell’atteggiamento di Ryo negli ultimi tempi, quando l’aveva progressivamente estromessa dagli incarichi, non coinvolgendola più, e che giusto il giorno prima stavano litigando proprio per quello.
E mentre stava riflettendo su tali aspetti della sua vita, era stata raggiunta da Reika, che affiancandola le aveva chiesto a bruciapelo.
 
“È vero che ti sposi?”
 
Caspita, le notizie corrono veloci sulla bocca di tutti!”Aveva pensato, allora, la sweeper.
Avrebbe tanto voluto dirle di no solo per il piacere di contrariarla, ma non c’era riuscita perché era troppo soddisfatta della sua decisione.
Anche Reika non aspettava altro che prendere il suo posto, come socia di Ryo, con l’aggiunta che voleva pure farsi sposare da lui; beh, che si facesse avanti allora, magari avrebbe avuto più fortuna di lei, e malgrado questa prospettiva non la facesse saltare di gioia, le rispose di .
E dopo un entusiastico “Veramente?” quasi gridato, a quel reiterato, era scappata via di corsa.
 
Per un attimo Kaori era rimasta lì ferma per la strada, a chiedersi il significato di tutta quella situazione; Kasumi e Reika non vedevano l’ora di sostituirla accanto a Ryo, eppure lui, lui…
Aveva sempre detto che non si sarebbe mai legato a nessuna donna, e Kasumi, pur asserendo di volerlo conquistare, se n’era restata buona e non si era fatta mai troppo avanti, finché c’era Kaori…
Ma cosa voleva dire esattamente tutto ciò?
Che la bella ladra la rispettava perché sapeva che anche lei amava Ryo?
Eh, sì, perché nonostante lei lo avesse sempre smentito, era ormai chiaro a tutti cosa provasse per lui!
Eppure non valeva la regola che in amore e in guerra tutto è lecito?
Se veramente voleva Ryo, perché non lottava per averlo?
O forse sospettava che, in un certo senso, anche lui fosse legato alla collega sentimentalmente?
Possibile?
E Reika… nemmeno lei, come Kasumi, si sarebbe concessa a Ryo senza la prospettiva concreta del matrimonio, anzi, senza le carte firmate in tal senso; il suo sogno era una coppia sposata di sweeper, ma nonostante tutto, pur essendo lei molto più brava di Kaori con la pistola e avesse già un’agenzia di investigazioni privata, non era mai riuscita a convincere lo sweeper almeno a farsi assumere come partner di lavoro, al posto della rossa.
Allora perché l’uomo aveva tenuto Kaori lo stesso con lui, anche se a sparare era una schiappa, e quello che sapeva fare l’aveva imparato a costo di tanta fatica?
Una volta, con orgoglio, Ryo aveva pure dichiarato che non poteva avere partner migliore di lei, e la stessa famigerata Bloody Mary aveva decretato che era perfetta per lui…
Eppure… eppure erano arrivati a quel punto, in cui valeva tutto e il contrario di tutto.
 
 
Quel giorno, ragionando e camminando, era giunta fino alla porta dell’appartamento, senza quasi accorgersene, ma decisa a parlare con il suo socio; era rimasta sorpresa però di non trovarlo più a casa, perché di solito era lei che lo andava a svegliare, e invece era uscito senza aspettarla.
Si era chiesta dove fosse andato così di prima mattina, ma non volle nemmeno prendere in considerazione il fatto che la stesse volutamente evitando.
 
Il resto della giornata l’aveva trascorso in compagnia di Akira, perché dopo aver fatto visita alla matriarca per gli omaggi previsti e le presentazioni ufficiali, erano andati in giro per la città come i ragazzini di allora. Avevano fatto una vera e propria full immersion nei ricordi, ripercorrendo tutti i luoghi di un tempo, fra aneddoti, reminiscenze e tante risate.
Ah, come le faceva bene stare con Akira!
Si sentiva leggera come l’aria, con lui i problemi scomparivano, la vita sembrava veramente più bella.
 
Quando, alla fine, era ritornata a notte inoltrata, si era stupita non poco constatando che Ryo era già rientrato, perché a quell’ora di solito era ancora in giro per locali.
Voleva parlargli a tutti i costi, e senza perder altro tempo si era diretta alla stanza del socio; davanti alla porta chiusa però, si era fermata esitante.
Contrariamente alle altre volte, che dopo una sommaria bussatina e un permesso chiesto quando ormai era già dentro, entrava senza troppi complimenti, in quel momento si era fatta lo scrupolo e si era bloccata, con una mano a mezz’aria, chiusa a pugno, pronta a bussare, e l’altra a girare già il pomello.
Vedeva la luce filtrare da sotto la porta e sapeva che lui era ancora sveglio, e che di sicuro l’aveva sentita arrivare, ma quando aveva udito chiaramente il clic dell’abat-à-jour, e quella tenue lama di luce si era spenta, immediatamente aveva perso tutta la sua sicurezza, e la speranza di potergli parlare si era spenta con quel clic.
Sconsolata, era tornata sui suoi passi e si era rifugiata nella sua camera da letto.
 
I giorni che ne erano seguiti avevano preso a scorrere tutti uguali, senza che lei potesse mai parlare con lui, senza poter chiarire in alcun modo; Ryo aveva eretto l’ennesimo muro invalicabile, e Kaori si era via via persuasa che lui non avesse nessuna intenzione di mettere in chiaro la loro situazione.
E all’iniziale speranza che aveva riposto in loro, come coppia, quando si ripeteva che se lui le avesse chiesto di restare, lei lo avrebbe fatto all’istante, si sostituirono la rabbia e l’impotenza, per quel suo atteggiamento infantile e per l’ostinato mutismo, che era, peraltro, perfettamente in linea con il suo carattere.
Ryo, se non poteva sparare ai suoi problemi, li aggirava, li eludeva, li condannava all’oblio.
Ed era quello che stava facendo con lei: Kaori era diventata un problema a cui, ovvio, non avrebbe mai potuto sparare.
 
In ogni caso, in quel periodo, la ragazza trascorreva gran parte del suo tempo con Akira, e oltre al passato i due avevano iniziato a parlare anche del prossimo futuro insieme, e anzi un giorno lui le aveva comunicato che, dopo il matrimonio, aveva intenzione di ritornare negli Stati Uniti, dove aveva la maggior parte dei suoi affari, e che sarebbero potuti andare ad abitare a New York, così d’avere vicino Sayuri.
Quell’annuncio era stato un duro colpo per Kaori, che aveva sentito lo stomaco attorcigliarsi, ma non aveva detto niente al suo fidanzato.
Avrebbe dovuto lasciare il Giappone e i suoi amici, che rappresentavano ormai la sua famiglia.
In particolare le dispiaceva immensamente separarsi da Miki, la quale, da che era iniziata tutta quella storia, solo una volta l’aveva presa in disparte e le aveva chiesto, fermamente:
 
“Kaori, sei sicura di quello che fai?” e quando le aveva risposto altrettanto fermamente di sì, non aveva aggiunto altro.
 
L’ex mercenaria era la testimone più o meno silenziosa della crisi che si stava consumando fra i due sweepers, e non aveva più consigli da darle.
A volte i buoni amici devono anche saper tacere, e Kaori le era grata per questo, perché non aveva in nessun modo provato a dissuaderla.
Questa sua prova di amicizia era stata molto importante per lei.
Le piangeva il cuore al pensiero di doverla lasciare, ma lei avrebbe sempre rappresentato un legame con Ryo, e se voleva dare un taglio con lui e con la sua vecchia vita, sarebbe stato meglio allontanarsi anche da Miki.
Avrebbero potuto continuare a sentirsi, però, lei e la bella barista, e se questa, un giorno, avesse voluto andarla a trovare in America, non le sarebbe restato altro da fare che prendere il primo aereo e raggiungerla al di là dell’oceano; almeno lei non aveva paura di volare, come Ryo…
 
Alla fine dover rinunciare alla sua amica era ben poco sacrificio, in confronto alla vita che l’aspettava accanto ad Akira.
Lui le aveva proposto di riprendere gli studi e lei non vedeva l’ora.
Sì, quei sacrifici erano necessari in vista di un futuro migliore, si era convinta la sweeper.
 
Ma l’episodio che l’aveva spinta a lasciare, prima del tempo, quella che considerava da sempre casa sua, era avvenuto un giorno, proprio quando rientrando prima del solito, nel pomeriggio, aveva sorpreso Ryo nel soggiorno parlare animatamente con Mick, il quale gli stava giusto dicendo:
 
“Te lo ripeto per l’ennesima volta, non puoi lasciare che se ne vada senza che le parli, che le spieghi cosa provi per lei.”
 
“Angel, non insistere! Io, quello che dovevo dirle, gliel’ho detto, nulla di più e nulla di meno. Se ha deciso di andarsene, buon viaggio, non sarò di certo io a trattenerla!” aveva risposto Ryo.
 
“Bene, finalmente so cosa pensi in realtà di tutta questa faccenda” aveva esordito Kaori palesandosi.
 
La sua apparizione inattesa, ma molto di più le sue parole, avevano fatto sussultare i due uomini.
Mick, che era saltato su dal divano in cui si era agitato fino ad un minuto prima, come fosse stato punto da una tarantola, vedendo l’amica scura in viso e con un’aura terribile intorno, aveva salutato in fretta e furia, e se l’era data a gambe.
Il biondo non voleva assistere a quell’esplosione nucleare che, ne era certo, sarebbe scoppiata di lì a poco.
Ma appena i due sweeper erano rimasti soli, Ryo aveva subitaneamente perso la sua spocchia, e temendo l’ira funesta della socia si era inginocchiato, profondendosi in mille scuse.
Si aspettava da un minuto all’altro un martello di svariate tonnellate, un Kompeito smisurato, la trave della campana del tempio, ma nulla di tutto ciò era arrivato, perché Kaori se ne restava lì, senza muovere un muscolo, con gli occhi a terra; e col viso trasfigurato dalla rabbia e dal dolore, gli aveva infine chiesto:
 
“Quindi è questo ciò che provi?”
 
“Pe-perdonami Kaori, stavo scherzando, posso spiegarti… ah ah ah ah ” aveva iniziato a scusarsi lui ridacchiando a disagio; continuava ad aspettarsi la punizione divina che si sarebbe abbattuta su di lui e che stranamente tardava ad arrivare.
Allora aveva impugnato lui stesso uno dei martelli della socia e glielo aveva messo nelle mani.
Ma ancora la partner, immobile, continuava a rimanere inerte, non si decideva a reagire; e lui, sempre più stupito, e allarmato da quell’insolita mancanza di reazioni, temendo il peggio le aveva chiesto:
 
“Fo-forse preferisci il solito futon? Un bell’involtino e via giù dalla finestra, eh? Che ne dici?”
 
Lui si prodigava in suggerimenti, proponendole le solite punizioni corporali, con la fronte imperlata di finissime goccioline di sudore.
Ma lei, imperterrita, non si muoveva.
Però, ad un certo punto aveva detto:
 
“È questo … che devo pensare io?”
 
E di fronte al silenzio imbarazzato del socio, che al solito non era stato capace di spiccicare parola, la ragazza aveva interpretato quel suo mutismo come la conferma a ciò che aveva appena sentito poco prima. Infine, aveva lasciato la stanza senza strepito, senza punizioni divine, e soprattutto senza aggiungere altro.
 
Quella stessa sera aveva fatto le valigie e se ne era andata dall’appartamento; si era presentata a casa di Falcon e Miki e aveva chiesto ospitalità per i giorni che restavano fino il suo matrimonio.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
A forza di piangere la sweeper si era assopita, accasciata al tronco del tiglio; si ridestò sentendo il rombo di una moto: era Naoko che, in sella alla sua Honda, sfrecciava via da lì per l’unica strada sterrata, lasciandola ancora una volta… sola.
 
A quel punto si alzò, sgranchendosi le ossa e spolverandosi i jeans; si fece forza e si diede un tono, aveva indugiato troppo a lungo nella disperazione.
Era arrivata l’ora di agire, doveva riprendere in mano il suo destino, perché era stanca di essere sempre in balia degli altri, addirittura in mezzo alle ripicche amorose di due ricconi che non si capivano più.
Promessa o non promessa, voleva andarsene da lì al più presto, e doveva assolutamente trovare un modo.
Chissà quando sarebbe tornata quell’anima tormenta di Naoko; aveva tutto il tempo di girare indisturbata per la villa.
 
Rinvigorita da questo nuovo entusiasmo, si diresse in casa, alla ricerca di un telefono, ovvia e più saggia prima mossa da fare; ma dovette arrendersi ben presto all’evidenza che non esisteva una linea fissa, e che l’unico cellulare che aveva trovato, seppur funzionante, dimostrava che lì non c’era campo.
Nulla da eccepire alla bella cantante, che aveva scelto il luogo giusto per isolarsi dalla frenetica vita che conduceva.
 
Quella villa era a tutti gli effetti una fortezza della solitudine, solitudine che iniziava a pesare a Kaori, abituata com’era a stare sempre in mezzo alla gente, a ridere, scherzare con chiunque; le mancavano perfino le litigate con il socio!
Non credeva che sarebbe mai arrivata a tanto.
 
In ogni caso, il suo spirito pratico l’aveva portata a cercare una lampadina da sostituire a quella fulminata della sua stanza; usare le candele aggiungeva un tocco teatrale alla sua prigionia, ma la luce elettrica era di gran lunga più pragmatica e meno scenografica.
 
Non disdegnò nemmeno una visitina alla grande e lussuosa cucina, forse una delle poche stanze di tutta la casa che avrebbe fatto la sua felicità: amava cucinare, e con un angolo cottura così spazioso e super accessoriato, avrebbe potuto spadellare allegramente per i suoi amici…
Si bloccò di colpo.
 
Quando sarebbe stata la moglie di Akira, avrebbero avuto sicuramente una cuoca personale, o una governante che avrebbe pensato a tutto, e lei si sarebbe annoiata a morte, ma non solo… per quali amici avrebbe mai potuto cucinare?
Per i suoi che lasciava in Giappone?
O per quelli che contava di farsi una volta negli Stati Uniti?
E come sarebbero stati questi?
Ricconi annoiati e viziati come la stragrande maggioranza, o alla mano come il suo Akira?
Lui però era un’eccezione, e non ostentava mai la sua ricchezza o il suo prestigio.
E poi… sarebbe stato decoroso che la moglie di un tycoon si mettesse ai fornelli a preparare ramen, udon o soba?
 
Scacciò questi pensieri oziosi, e si disse che ci avrebbe pensato al momento.
Nell’immediato doveva soddisfare la sua fame che, dopo quella semplice colazione all’occidentale, era tornata impellente.
Saccheggiò la dispensa e il frigo, che effettivamente piangevano miseria, e sperò che almeno per la cena la sua bionda carceriera le portasse qualcosa di più sostanzioso.
Se la cantante voleva tenere la linea perché aveva un’immagine da salvaguardare, a lei interessava di più la sostanza e l’alimentazione, che doveva essere di qualità e in quantità, e al diavolo Ryo quando la prendeva in giro dicendole che era ingrassata!
Sapeva benissimo che non era vero, tanto più che nei periodi di magra, e ultimamente capitavano fin troppo spesso, avevano sfiorato la fame.
E comunque Akira non si sarebbe mai permesso di farglielo notare, anche se fosse stato, perché era un gentiluomo, lui!
 
E dannazione!
Ryo riempiva sempre e comunque i suoi pensieri!
Si chiese se le sarebbe tornato in mente anche andando in bagno, e le venne da ridere da sola.
Sì, avrebbe trovato il modo di pensarlo anche in quel frangente, perché c’erano tantissimi aneddoti da ricordare legati a quelle specifiche esigenze corporali.
Scosse la testa divertita.
 
Magari sarebbe finita per fare la vita da signora, ma quello che aveva vissuto con lui, anche al limite del pudore, non sarebbe mai riuscita a dimenticarlo.
 
 
Dopo la perlustrazione della grande villa, Kaori passò all’esterno e percorse in lungo e in largo l’enorme giardino, che ad un certo punto diventava un vero e proprio parco monumentale di cui non riusciva a scorgere la recinzione; si scoraggiò.
Allora Naoko aveva detto la verità.
A piedi non sarebbe arrivata da nessuna parte, tanto più che non vedeva né un cancello, né un muro di contenimento.
C’era da credere che avrebbe camminato per ore solo per arrivare ai confini della proprietà, sempre se li avesse trovati; come punto di riferimento aveva solo quell’unica strada, da dove comunque Naoko l’avrebbe subito riacciuffata.
 
Si decise a tornare indietro, nel caso che la cantante fosse rincasata e non trovandola avesse… cosa?
Dato da matto?
Si sarebbe preoccupata?
Avrebbe creduto in una sua fuga?
Sospirò affranta.
 
Se il successo e la ricchezza dovevano portare così tanta inquietudine e insoddisfazione, preferiva rimanere la solita, umile, Kaori Makimura.
 

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Capitolo 8
*** Un amore rimandato ***


Ed eccoci al number 8 e scusate il leggero ritardo (se n’era accorto nessuno? :D )
Questo è un capitoletto, mi rendo conto, forse un po’ cortino… ma suddividendo la storia mi sono accorta che questo doveva stare da solo (e nel frattempo anziché 10 in totale, sono arrivati a 12).
In ogni caso, spero che vi piaccia anche questo.
Io nel frattempo vi ringrazio per le bellissime rec che mi avete lasciato finora, e perché leggete tanto, anche in ‘silenzioso’ … quindi GRAZIE
Vi lovvo
Eleonora






Cap. 8 Un amore rimandato
 
 
 
In quello stesso momento, nell’appartamento in cui fino a poco tempo prima viveva anche Kaori, era arrivato Mick alla spicciolata, dopo la telefonata di Ryo.
Al telefono lo sweeper era stato breve e conciso, annunciando un’eventualità che era diventata ormai quasi la regola:
 
“Hanno rapito Kaori, ho bisogno del tuo aiuto.”
 
“Arrivo” era stata la risposta altrettanto laconica dell’americano.
Egli sapeva di non dover  perdere tempo al telefono con inutili domande, perché una volta che si fossero confrontati di persona, avrebbero discusso del caso, studiato un piano e, di conseguenza, agito.
 
Appena si furono accomodati sull’ampio divano, Ryo espose la situazione all’amico, che finì per sbuffare con:
 
“Questa non ci voleva!”
 
Perché anche se Mick aveva fatto di tutto per convincere quel testone del suo amico a non lasciarsi sfuggire la sua socia di cui, lo sapeva, era innamorato perso, alla fine aveva dovuto ammettere che, sposando Akira, Kaori si sarebbe allontanata dal pericolo, esaudendo il più grande desiderio di Ryo di saperla in salvo.
Ma Mick, a dispetto della razionalità del ragionamento, non era pronto a perdere la sua Kaori, colei che lo aveva fatto innamorare seriamente e per la prima volta; colei che lo aveva salvato da sé stesso su quella maledetta nave di Kaibara quando, in preda alla potente droga Polvere degli Angeli, stava per ucciderla insieme a Ryo.
No, le doveva tanto, troppo, per pensare di doverle dire addio, e se anche aveva rinunciato a lei come amante, aveva bisogno della sua presenza, della sua amicizia.
 
“Già” aveva risposto Ryo, strappando l’amico dai suoi pensieri; poi aveva proseguito dicendo:
 
“Però ho un sospetto. Io credo che il mandante del rapimento sia quell’ex-fidanzata di Akira, quella… aspetta, come aveva detto che si chiamava? Ah, sì, Fujiko. Perché pensaci: stanno insieme quanto… due anni? Tengono segreta la loro relazione, a causa del lavoro di lei, e mi chiedo che razza di mestiere possa mai fare! Forse la sweeper anche lei?” e gli venne da ridere amaramente, ma poi riprese il suo ragionamento:
 
“Si lasciano e, non molto tempo dopo, lui annuncia il fidanzamento, nonché il matrimonio, con una donna saltata fuori dal nulla, una perfetta sconosciuta. Mettici che Akira è ricco sfondato, forse Fujiko è voluta tornare alla carica ingolosita dai soldi che non potrà più avere, visto che non stanno più insieme, quindi, se è impossibile un ritorno di fiamma, perché non chiedere un riscatto miliardario per rifarsi dello smacco subìto?”
 
“Come ragionamento non fa una piega. E cosa dovrei fare io?”
 
“Dovresti mettere sotto controllo i telefoni di Akira e indagare discretamente sull’identità di questa fantomatica Fujiko. Potrebbe essere una donna che risiede negli Stati Uniti, dove Murakami ha i suoi affari; per quanto possano aver tenuto segreto il loro rapporto, credo che qualcuno sapesse, che qualche traccia l’abbiano lasciata anche loro. Tu hai ancora degli agganci oltreoceano, giusto?”
 
“Of course! Ok, mi muovo subito. E Tu? Tu che farai?”
 
“Vorrei restare qui ancora un altro po’, nel caso Kaori riesca a contattarmi, poi mi metterò a pedinare Akira per vedere se nasconde qualcosa, anche se sembra essere pulito. Però, magari, scopro se c’è qualcuno che lo tiene d’occhio; agirò nell’ombra, come sempre.”
 
“No, io intendevo cosa farai quando troverai Kaori. La riporterai a casa con te?”
 
“No-non lo so… o comunque non credo” rispose Ryo, confuso e sorpreso dalla domanda dell’amico.
Perché finché si parlava di lavoro, di pianificare l’azione, era sicuro di sé, freddo e concentrato… ma ora, quella domanda lo riportava al punto di partenza, e lo destabilizzava.
 
“Amico…” riprese Mick ammorbidendo il tono “…ancora nulla è perduto. Lei non si è ancora sposata, è qui in Giappone, e aspetta te! E non aspetta solo che tu vada a liberarla, ma che le dica finalmente che la ami! E se proprio non riesci a dirglielo, faglielo capire, trova il modo! Non lasciare che il tuo stupido orgoglio rovini tutto… per sempre” e dopo una pausa: “Ti prego!”
 
Quell’appello accorato lo scosse profondamente, molto di più di tutte le volte che lo aveva insultato per farlo reagire, e fulmineo gli attraversò la mente quello che gli aveva detto Akira a proposito della sua relazione con quella donna: che non gli aveva mai detto ti amo, e alla fine lui si era stancato anche di quello.
Possibile?
Possibile fosse così importante dirlo?
E lui, ci sarebbe mai riuscito?
Però forse aveva ragione Mick, doveva almeno farglielo capire, doveva convincere Kaori che lui l’amava; a modo suo, ma l’amava.
Profondamente.
 
Perché, da che era iniziata quella storia, lui si era sentito ferito nell’orgoglio quando lei l’aveva presentato solo come “partner di lavoro”, anche se alla fin fine, questa era la verità.
Si era comportato come un bambino capriccioso che non sapeva bene cosa voleva: un attimo prima era convinto che, per il bene di Kaori, sarebbe stato meglio se lei si fosse trovato un altro, e soprattutto se avesse intrapreso un’altra vita, diversa da quella in cui l’aveva costretta a vivere lui; poi, quando questa possibilità si era materializzata nella persona di Akira Murakami, lui si metteva a sperare che lei non la cogliesse al volo, e anzi rinunciasse a tutto per stare con lui, senza peraltro dirle niente per convincerla…
Era stato un egoista, tanto più che aveva fatto di tutto per evitarla e parlare seriamente, eppure aveva desiderato fermamente che fosse lei, ad andare da lui per dirgli che sarebbe rimasta comunque.
Ma in nome di che cosa, poi?
Con che diritto pretendeva un tale comportamento da parte della sua socia, quando lui era stato così avaro di parole, e soprattutto di manifestazioni d’affetto?
Le aveva mai fatto capire chiaramente, che era innamorato di lei e che la desiderava?
No.
 
Quando quella sera Kaori era rincasata, dopo aver passato l’intera giornata fuori con Akira, aveva trovato il socio nell’appartamento, ed era giunta fin davanti alla sua porta; stranamente si era fermata sul limitare, non era entrata con la sua solita esuberanza, e lui, che l’aveva sentita, a quel punto, cosa aveva pensato bene di fare?
Aveva spento addirittura la luce, pur ripetendosi:
 
Avanti entra… avanti, entra…
 
Ma non era successo.
E pensare che per tutto il giorno l’aveva seguita e spiata, perfino quando era andata con Akira dalla matriarca, e lui, appollaiato fra i rami di un albero, li aveva tenuti d’occhio da lontano con un binocolo, ed era stato uno vero strazio vederli passeggiare mano nella mano e amoreggiare per il parco di famiglia.
 
Forse aveva ragione Mick, aveva ancora un’ultima carta da giocare; se non la voleva perdere per sempre, doveva farle capire quanto fosse importante per lui, in barba a quello stupido desiderio di allontanarla per il suo bene, quando la stessa vita lo stava mettendo di fronte all’evidenza che, potenzialmente, tutti possono correre dei pericoli; e che solo vivendole accanto, sarebbe stato in grado di proteggerla come meritava, e prendersi cura di lei.
 
Quando si riscosse dai suoi pensieri, si accorse che il suo amico se ne era già andato.
 
Sospirò e si accese una sigaretta, l’aspirò con voluttà e disperazione; troppe cose erano andate storte nella sua tormentata esistenza, ma di quante non era direttamente responsabile?
Poche.
Se Kaori non fosse stata rapita, da lì a due giorni si sarebbe celebrato il suo matrimonio, e lui non avrebbe fatto niente per impedirlo, lasciando che gli scivolasse via dalle mani.
Ma ora si era deciso: non appena l’avesse ritrovata, avrebbe fatto in modo di farle capire i suoi sentimenti.
 
Recuperò la borsetta della socia, con cura l’aprì, e ne riversò il contenuto sopra il tavolino della cucina.
Passò le dita delicatamente su ogni oggetto, quasi con timore reverenziale: si sentiva come se stesse profanando qualcosa di sacro e intimo.
Pur vivendo con lei da tanti anni, e nonostante la familiarità e la confidenza che aveva con la ragazza, e a dispetto perfino dei suoi atteggiamenti a volte spudorati, c’erano cose su cui lui non posava né gli occhi né le mani – anche se non era il caso della sua biancheria intima.
Frugare nella sua borsetta rientrava in una di queste, ed ora era totalmente affascinato dalla varietà degli oggetti lì contenuti, che raccontavano così tanto della vita e dei segreti della collega, che si accorse di aver solo creduto di conoscere.
Sapeva così poche cose di lei.
 
Già scoprire l’esistenza di questo Akira, del suo fidanzato quindi - che se anche non lo era stato materialmente per gli ultimi sette anni, lo era stato comunque prima, prima che lei entrasse nella sua sgangherata vita da sweeper - lo aveva stupito enormemente, perché lei non gliene aveva mai parlato, eppure aveva avuto un’enorme importanza per lei in passato.
Ma non solo!
Vedendola sempre così timida e impacciata, soprattutto per quanto si trattava di sesso e relazioni amorose, l’uomo si era persuaso che non avesse mai avuto una storia, che non sapesse niente dell’amore…
Almeno così come l’intendeva lui, e cioè avventure galanti di breve durata, che si consumavano nell’arco di una sola nottata, e che al mattino ti lasciavano come ti avevano preso: senza legami e senza pensieri, ma anche con lo stesso vuoto, intatto e dolente, e che avevano l’innegabile pregio di sollazzare e divertire, sfogare certi bisogni, ma nulla più.
 
E invece la sua socia aveva capito già tutto, fin da subito, da sempre.
Sapeva benissimo qual era la faccia del vero amore, anzi le molteplici facce che assume: quando si china sul ferito, sul sofferente; quando salva, quando aiuta, quando si sacrifica per la salvezza dell’altro; quando ama senza chiedere nulla in cambio.
Quello era l’amore, l’unico che potesse dirsi tale, il resto era solo parvenza.
Perché lei amava sempre, amava intensamente… Amava perfino lui!
 
Eppure lei aveva amato anche qualcun altro prima di lui, e quel suo sentimento era rimasto a covare sotto la cenere, evidentemente, se aveva deciso, dopo tutti quegli anni, di legarsi a quel Murakami, e di mantenere quella piccola promessa che si erano fatti quando erano poco più che due ragazzini.
 
Già Murakami.
Anche lui l’amava, e si sarebbe stupito del contrario, perché tutti finivano per innamorarsi di lei; ma non solo: lui la rispettava, la considerava, le dimostrava la sua stima, la sua vicinanza, come non aveva mai fatto Ryo.
 
E com’era diversa, Kaori, quando era in sua compagnia!
Sembrava un’altra, e non era più la sua irascibile, deliziosa coinquilina e partner di lavoro.
 
Quando li aveva pedinati, meschinamente come un volgare guardone, aveva sopportato le pene dell’inferno, vedendoli così complici e felici insieme; perché Kaori rideva sempre, o sorrideva serena, e per ogni sorriso lui aveva provato una terribile fitta al cuore, poiché non erano rivolti a lui, né ne era la causa.
Tuttavia bastava così poco per divertirla e farla ridere, e lui lo sapeva molto bene.
 
D’improvviso si rese conto che erano mesi che non succedeva più, fra di loro.
Come si erano ridotti così?
Perché anche se non si potevano definire una coppia in quel senso, amici lo erano sicuramente, e quando ci si mettevano erano veramente due stupidi, e se la spassavano alla grande, come quando si facevano il solletico e si stuzzicavano, o bisticciavano per il piacere di farlo.
 
Riportò la sua attenzione agli oggetti sparsi sul tavolo: oltre alla solita dotazione di bombe a mano che sempre portava con sé la socia, e che lo fecero sorridere divertito, c’erano tutti gli accessori tipici di una ragazza, addirittura un piccolo specchietto, un vezzo di femminilità che non pensava di ritrovare anche in lei, il suo maschiaccio.
 
Aprì il portafoglio rosa, su cui campeggiava un buffissimo panda sorridente, e ne controllò il magro contenuto in carta moneta; e dovette ammettere che veramente la partner, pur essendo sempre a corto di liquidi, tra l’altro per colpa dei suoi hobbies costosi, riusciva a fare miracoli con il poco denaro a disposizione.
E aveva ragione quando gli gridava dietro di essere uno spendaccione e un’incosciente, perché da quello dipendeva il benessere di entrambi.
Si sentì doppiamente in colpa.
 
Poi, in una taschina del portafogli, trovò una copia spiegazzata di una fotografia, che riconobbe essere stata scattata al compleanno di Kazue.
Ritraeva loro due, seduti uno accanto all’altra che si guardavano ridendo; o meglio, solo lei rideva, perché lui aveva una fetta di torta spiaccicata sulla faccia, dopo che Umi lo aveva punito per aver insidiato, ancora una volta, sua moglie.
Ricordava molto bene quel momento, ma ignorava che fossero stati immortalati in quella posa.
E si ricordò anche di un’altra cosa: non era vero che sorrideva solo lei, perché anche lui lo stava facendo, al riparo di quella cortina di panna e crema; e anzi, la guardava con occhi sognanti e pieni d’amore, sicuro che lei non se ne sarebbe accorta.
O forse sì?
Se aveva tenuto per sé quella foto, come un tesoro geloso, probabilmente l’aveva visto anche lei il sentimento che traspariva, ma aveva considerato quel fatto così raro, e così unico, da volerlo conservare in fondo al cuore e fra gli effetti personali.
Una nuova stilettata si aggiunse a quelle che si stava auto-infliggendo già da un po’, con tutte queste dolorose ammissioni.
Quando però dietro la foto trovò un piccolissimo pezzo di carta, ripiegato con cura e logorato sui bordi, e lo aprì, rimase senza fiato.
 
Scostandone i lembi, con la punta delle dita, immaginando che potesse contenere qualcosa di estremamente prezioso per la ragazza, aveva rinvenuto un fiore essiccato.
Non uno qualsiasi, ma un tricyrtis, uno di quelli che componeva lo sfortunato bouquet di Miki: lo stesso fiore che lui aveva colto per lei nella radura e che, con una piccola bugia, le aveva fatto credere di aver trovato sullo scollo della sua giacchetta.
 
Si sentì male di fronte a quella sorta di reliquia.
 
Kaori non aveva dimenticato; ma lui sì.
 
Quel fiore voleva dire tanto, e non solo per il significato che gli veniva attribuito nel linguaggio dei fiori, e cioè per sempre tua, ma per quello che rappresentava per lei, per loro.
Come da tradizione, la donna che prendeva al volo il bouquet lanciato dalla sposa, sarebbe stata la prossima a sposarsi; e Kaori, infatti, lo stava giusto afferrando, quando una raffica di proiettili lo aveva falciato, poco prima di colpire l’amica.
 
Poi Kaori era stata sedata, rapita, portata via rudemente, e poi ancora legata ad un palo, in attesa di morire o di veder morire lui.
E quando si erano finalmente riabbracciati nella radura, lui le aveva detto quelle parole, e porgendole quel fiore le aveva anche fatto capire che, da quel momento in poi, lui sarebbe stato per sempre suo e che la tradizione sarebbe stata rispettata, con lei prossima sposa.
E invece…
Quell’implicita promessa, quell’ammissione, quella sua resa definitiva, erano state nuovamente disconosciute, tradite, calpestate.
 
Scosse la testa, furente con sé stesso.
 
Richiuse il piccolo involto, e giurò sulla memoria di Makimura che avrebbe fatto in modo di far rinascere quel fiore.
O non si sarebbe più chiamato Ryo Saeba.
 
Stava per rimettere tutto nella borsetta, quando pensò di aprire anche il portamonete, e si stupì non poco di trovarci dentro l’anello che proprio Hideyuki aveva lasciato a Kaori morendo.
Quello era un segno, e lo sweeper sorrise ironicamente.
In qualsiasi posto fosse il suo migliore amico, ancora una volta gli stava suggerendo ciò che era giusto fare, e gli dava il suo benestare.
Maki gli aveva affidato la sua sorellina perché lui la rendesse felice, e lei lo sarebbe stata solo accanto a lui… quindi basta!
Era finito il tempo dell’incertezza: doveva mantenere quella promessa, fino in fondo!
 
 
Troppo agitato per dormire si stese sul divano, e ad occhi chiusi provò a distendere i nervi tesi; ora che aveva fatto chiarezza nei suoi sentimenti ed era pronto ad agire, non gli restava che una cosa sola da fare: trovare Kaori e riportarla da lui.
 
 
***
 
 
 
Quando Kaori rientrò nella grande villa, si diresse istintivamente al pianoforte e ne sfiorò leggermente la superficie di legno laccato lucido; il suo dito lasciò una scia nella polvere, e si trattenne dal cercare uno straccio per spolverare.
Ridacchiò fra sé e sé.
Si sedette al piano, sullo sgabello di velluto imbottito, e ne alzò il coperchio facendo attenzione a che non le scivolasse dalle mani e ricadesse giù malamente.
Per un attimo immaginò di essere una pianista famosa, una cantautrice come Naoko, e timidamente pigiò un tasto.
Subito la sala fu invasa da quell’unica nota squillante e quasi trasalì, scossa da quel suono che veniva a turbare un silenzio quasi perfetto.
 
Poi i suoi occhi caddero sul pentagramma di fronte a lei, scarabocchiato, sgualcito, con numerose cancellature; sembrava proprio che Naoko stesse componendo una nuova canzone.
Sfogliò le pagine e s’imbatté anche nel testo letterale, e rimase affascinata dalle parole che vi lesse.
La composizione era una preghiera rivolta al drago dagli occhi verdi, perché le riportasse l’amore di un tempo, e alla sweeper tornò in mente il bellissimo anello che la ragazza sempre indossava, e pensò che in qualche modo c’entrasse quello.
Magari era un regalo di Akira, del suo Akira, perché ormai non aveva più dubbi che loro due avessero avuto una storia in passato.
 
Sospirò.
 
La canzone era così accorata, che Kaori si ritrovò profondamente commossa e turbata.
 
Dannazione, lei voleva solo la sua piccola parte di felicità, ma non a costo della sofferenza di qualcun altro.
 
Richiuse il piano con lentezza e continuò il giro della grande villa; per quanto grande, l’aveva ormai ispezionata tutta e non c’era più molto da vedere.
 
Tornò in cucina e si preparò un tè, sgranocchiò gli ultimi biscotti rimasti, e poi si ritirò nella sua stanza.
In quella casa non c’erano orologi, e in solitudine perdeva la cognizione del tempo.
Faticava a rimanere ottimista e a mantenere alto l’umore.
Provava un senso di impotenza e inutilità e non sapeva cosa fare; essere tagliata fuori dal mondo, la faceva sentire piccola e insignificante.
Stesa sul letto, si raggomitolò in posizione fetale, e sussurrando il nome di Ryo finì per addormentarsi sfinita e sfranta.
 
 
 
 
Diverse ore dopo, ma non seppe dire quando, sentì Naoko trafficare nella stanza accanto, segno che era tornata, ma la cantante non s’intrufolò nel suo letto come la notte precedente, e gliene fu grata, per un sacco di motivi.
Quando non udì più nessun rumore provenire al di là della parete, immaginò che si fosse messa a dormire anche lei, e Kaori si riaddormentò.
Quella notte, per la prima volta dopo più di un mese, non ebbe i soliti incubi; e quando sognò Ryo, lui le sorrideva, riempiendole il cuore di gioia.

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Capitolo 9
*** Ammissioni ***


Questo era il capitolo che “non c’era” e non perché io l’abbia scritto postumo, ma rileggendo la storia mi sono accorta che poteva starsene da solo, piuttosto che perdersi di seguito dietro al cap 8 o ad andare a “pesare” su quello dopo, perché l’altro di per sé è più… più… insomma lo leggerete (spero presto).
Questo rimaneggiamento però ha fatto in modo che questo venisse cortino cortino ^_^’
Abbiate pazienza, con me, con i vecchi XD
GRAZIE per la simpatia che mi riservate, perché leggete sempre e commentate.
Vi lovvo
Eleonora




Cap. 9 Ammissioni
 
La mattina seguente la sweeper si svegliò insolitamente tardi, e visto che conosceva già la strada, scese di sotto in cucina, dove trovò Naoko intenta a prepararle la colazione; la cantante le sorrise a disagio e disse:
 
“Volevo farmi perdonare. Scusami per ieri.”
 
Alludeva a quando aveva avuto quello scatto d’ira, e si era rivolta a lei in cagnesco spaventandola.
E Kaori pensò che più che scusarsi per quello, avrebbe dovuto farlo per il solo fatto di averla rapita, ma valutò di non tornare sull’argomento, almeno per il momento.
Se la volubile cantante fosse scappata di nuovo a sbollire la rabbia e la disperazione chissà dove, e soprattutto lontano da lì, la sweeper sarebbe rimasta nuovamente da sola, e irrimediabilmente isolata.
Si limitò a sorriderle.
L’altra riprese:
 
“Ho fatto un po’ di scorte di cibo” e la guardò con occhi innocenti; Kaori invece inghiottì amaro: allora non aveva nessuna intenzione di liberarla, se aveva fatto rifornimento di provviste.
Si costrinse a rimanere calma e a non farsi prendere dalla disperazione.
Possibile che per amore si potesse arrivare a tanto?
Oppure c’era qualcosa di malato in tutto ciò?
 
Kaori si sentiva impotente, non le era mai capitato di non riuscire a capire la persona che aveva di fronte; questa ragazza aveva una personalità a dir poco complessa e, stranamente e assurdamente, l’accostò a Ryo.
Soprattutto non riusciva a capacitarsi di come una bellissima donna come lei, ricca e famosa, che poteva avere chiunque, si fosse attaccata tanto ad un uomo in particolare - anche se, dovette ammettere, Akira era magnifico -, e che non avesse trovato il modo di riconquistarlo.
La sweeper si chiese, inoltre, quanto fosse profonda la lacerazione che si era venuta a creare fra i due, se non c’era speranza di un qualsiasi riavvicinamento; e in particolar modo, cosa ne pensava Aki di tutto questo?
Perché in realtà lui non gliene aveva mai parlato, e né le aveva mai raccontato di Naoko o di altre donne.
 
Forse… non era stato sincero?
In fondo, nemmeno lei lo era stata completamente con lui, perché aveva preferito tacere i suoi sentimenti per Ryo.
 
Sospirò, e la cantante la guardò interrogativamente, ma Kaori non se ne avvide, troppo presa nei suoi pensieri.
 
In effetti, poco dopo aver ripreso a frequentarsi, in quel loro fidanzamento improvviso e frenetico, fatto di divertimenti, uscite e progetti per il futuro, solo una sera si erano ritrovati a fare dei discorsi insoliti, ed era anche la prima volta che parlavano seriamente, e in generale, perché erano stati fin troppo presi a vivere il momento con entusiasmo e allegria.
 
Lui si era improvvisamente rattristato, cosa di per sé strana, e le aveva confidato che, in pratica, era un po’ come se fosse stato costretto a sposarsi per poter prendere in mano le redini della società di famiglia; e che quando era tornato in Giappone per far visita alla matriarca, si era subito messo sulle sue tracce, memore di quell’antica promessa che si erano scambiati, ed era stato felice di ritrovarla single e ben disposta.
 
Non le aveva mai confessato di amarla, né lei si era sentita di dirlo a lui; sembrava come se, tacitamente, si fossero accettati così com’erano, senza sapere, né approfondire, la questione dei sentimenti.
 
Solamente adesso, in quella lussuosa cucina, Kaori si rendeva conto che, in un certo senso, lui e lei si erano usati a vicenda: ad Akira serviva una moglie, a lei un’alternativa a Ryo.
 
Quell’ammissione la sconvolse profondamente, perché di colpo si accorse di star tradendo sé stessa, la sua integrità morale, la sua essenza.
Cosa avrebbe detto il suo amato fratello, se avesse saputo cosa stava per fare?
Si sentì stringere il cuore.
Ma non solo.
All’improvviso realizzò anche un’altra cosa: che non aveva nessun diritto di giudicare Naoko per la sua condotta irrazionale, spinta dall’amore, dalla solitudine e dalla sofferenza, perché, seppur per altri versi, anche lei stava facendo delle scelte sbagliate, e per i motivi più sbagliati.
 
Senza contare che prima o poi ne avrebbe pagato il prezzo: quanto avrebbero durato lei e Akira?
Con lei ancora innamorata di Ryo?
 
In tutto quel tempo aveva sperato di riuscire a punirlo, farlo ingelosire con Akira, ma cosa aveva ottenuto? Prima del rapimento non si parlavano già più, e si erano lasciati con acrimonia e disprezzo.
Si era arrabbiata perché Ryo non le aveva dimostrato che l’amava…
Ma se ciò che provava per lei non fosse stato amore?
Perché costringerlo a dire e fare ciò che non sentiva?
 
In ogni caso, indipendentemente da come sarebbero andate a finire le cose, una volta libera, avrebbe dovuto parlare con Ryo, magari gli avrebbe chiesto scusa: voleva fermamente che facessero pace, che si lasciassero in buoni rapporti.
 
Fu riscossa dai sui pensieri dalla voce melodiosa della cantante che, porgendole un piatto fumante di zuppa di miso, le disse:
 
“Avanti, mangia! Però non so come è venuta; come ti ho detto non sono una gran cuoca.”
 
Kaori le sorrise prendendo la ciotola, e disse:
 
“Hai preparato la colazione con così tanta cura, che sarà tutto buono sicuramente.”
 
E detto questo si accomodarono nel  tavolino di bambù accanto alla veranda.
Poi, con tono noncurante, Naoko disse, prima di portarsi alla bocca un sottaceto:
 
“Più tardi farò un salto in paese, devo fare una telefonata. Come credo avrai già appurato” e le fece l’occhiolino “qui non c’è linea del telefono né campo.”
 
A quel punto, Kaori non riuscì ad impedirsi di dire:
 
“Naoko, io… senti… domani… sarebbe il mio matrimonio…”
 
Temeva un’esplosione di rabbia da parte della sua ospite, ma era stanca di quella finta premura, di quella pagliacciata: non erano due amiche in vacanza, lei era sua prigioniera e voleva andarsene da lì, costasse quel che costasse.
La sweeper era stata ai patti: non aveva provato a fuggire, anche perché effettivamente non avrebbe potuto farlo, però le sembrava fuori luogo tutta quella carineria, quella gentilezza.
Kaori rivoleva la sua vita, qualunque fosse stata da lì in poi, ma lontano da lei e dalla sua maledetta villa!
 
Naoko, sorpresa, si fermò con le bacchette a mezz’aria, e lo sguardo impenetrabile; fissava la donna davanti a sé forse indecisa su cosa risponderle.
Kaori era disposta a tutto, anche ad assalirla, rubarle la moto e scappare; sentiva di essere arrivata al punto di non ritorno.
Quasi trattenne il respiro.
Ma la cantante, inaspettatamente rispose, con calma:
 
“Sì, lo so. Ma presto sarai libera. Presto, molto presto.”
 
La sweeper non seppe se essere sollevata o meno da quella ammissione, perché la ragazza lo aveva detto con un tono talmente strano, che non era sicura di potersi fidare.
Poi però, la cantante scoppiò a ridere divertita:
 
“Ti ho spaventata vero?” e senza aspettare la sua risposta, proseguì dicendo:
 
“Bene, arrivati a questo punto, è giusto che tu sappia tutto. Sì, ti ho rapito per impedire il vostro matrimonio, tuo e di Aki. Ho addirittura richiesto un riscatto stratosferico!” e la guardò divertita; infatti, con ironia, proseguì: “Come se mi servissero i suoi soldi! Ne ho così tanti, che non so più nemmeno io dove metterli e come usarli!” e fece un gesto stizzito con la mano, ad indicare la villa, tutto e niente.
Poi continuò dicendo:
 
“Se me li dovesse consegnare veramente, li darò in beneficenza, o preferisci averli tu per il disturbo?” ma era evidentemente una provocazione, a cui Kaori non rispose.
L’altra riprese:
 
“All’inizio volevo solo vendicarmi di Aki perché sposava un’altra, anche se… uno dei motivi per cui c’eravamo lasciati, era proprio il fatto che non volevo impegnarmi… te l’ho detto, no? Però non potevo credere che mi avesse dimenticata in così poco tempo, lui che diceva di amarmi con tutto sé stesso…”
 
E distrattamente prese a rigirarsi l’anello col dragone sul dito, attirando l’attenzione dell’altra, e quando se ne accorse, abbassò lo sguardo anche lei a fissarlo; disse, con amarezza:
 
“Questo me lo ha regalato proprio lui, e non l’ho mai considerato un anello di fidanzamento, perché mi faceva paura ammettere una cosa del genere. Però per me, di fatto, è il simbolo del nostro amore” e rialzando gli occhi neri, ad inchiodare l’altra con sguardo penetrante, le chiese:
 
“Stupido, no?”
 
Ma Kaori non osava fiatare.
Naoko allora si alzò in piedi e prese a girare per la stanza, in preda ad un’agitazione malcelata, riprese:
 
“In tutto questo tempo, però, ho capito di aver sbagliato su tutta la linea; prima, quando volevo tenere la nostra storia segreta, quando non volevo impegnarmi; e adesso, che per ripicca ho commesso un crimine” e si fermò per scrutare il volto di Kaori, e scorgervi magari una nota di biasimo.
Ma lei, al contrario, rimaneva impassibile; ascoltava con le mani raccolte in grembo.
L’altra riprese:
 
“Non so cosa mi sia preso, per arrivare a tanto… Sai, avere tutto questo successo, tutta questa ricchezza, ti fa sentire onnipotente, autorizzata a far tutto, anche sfidare il buon senso o la legge, come nel mio caso” fece una pausa e si passò nervosamente una mano fra i capelli, poi riprese:
 
“Spero almeno che quelle sanguisughe dei miei legali riescano, se non proprio  a non farmi finire in prigione, almeno a farmi ridurre la pena” e scoppiò a ridere amaramente, per poi aggiungere, con ironia:
 
“Sai che bella pubblicità per me? Finirò di nuovo su tutti i giornali, ma non sarà per qualcosa di cui andare fieri. Magari, però, alla fine potrei scriverci una canzone!” Terminò scuotendo la testa.
 
Interruppe quel suo andare avanti e indietro e si diresse al tavolo, dalla parte dove mestamente, ma imperturbabilmente, sedeva Kaori, e sbattendo le mani con veemenza sul piano, e appoggiandocisi di peso, avvicinò il viso al suo, e quasi sibilando le disse:
 
“Sono spacciata!”
 
E subito dopo si allontanò, di nuovo, riprendendo a girare per la stanza, continuò dicendo:
 
“Ho combinato un gran casino; e se prima Akira non mi voleva, adesso finirà per odiarmi!”
 
“Naoko” intervenne Kaori: “Non dire così, troveremo una soluzione. Vedrai che tutto si aggiusterà.”
 
“Taci!” scattò con rabbia l’altra, per poi addolcirsi un attimo dopo e aggiungere: “Ti prego, non dire così! Già mi fa star male avere il tuo biasimo, la tua comprensione mi uccide.”
 
Ma Kaori non si fece scoraggiare:
 
“Ascoltami, faremo in modo di aggiustare le cose: se vuoi parlerò io con Akira” e qui ebbe paura di un altro scatto di ira o gelosia, e si affrettò ad aggiungere: “Lui non mi ama, come io non amo lui. Le regole della sua famiglia gli impongono di prendere moglie, e ha pensato a me perché da ragazzi eravamo amici e avevamo fatto una stupida promessa” e di fronte agli occhi spalancati per la sorpresa della cantante, proseguì:
 
“Io non ti denuncerò, non m’importa se mi hai rapito: farò in modo che la polizia non ne sappia niente; ho degli amici che si occuperanno di tutto, credimi. Rimarrà una cosa fra noi… ma lasciami libera, ti prego” finì quasi per implorare.
 
La ragazza, colpita dall’atteggiamento della sua prigioniera e dalla sua innata bontà, disse con un filo di voce:
 
“Perché fai tutto questo per me?”
 
 

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Capitolo 10
*** Missione salvataggio ***


E siamo al n.10, molto vicini alla sospiratissima fine della storia (e spero che sia per voi solo una questione di curiosità e non di “Ti prego non ne posso più, basta!” :D ).
La vostra dedizione mi ha commosso, anche perché, e l’ho detto spesso nelle risposte alle varie e graditissime rec, mi sono messa in gioco con questa fic e insomma, è un po’ particolare, almeno rispetto alle altre che ho scritto prima.
Ma non perdete tempo con questa insulsa introduzione e passate ai “fatti”.
GRAZIE vi lovvo
Eleonora






Cap.10 Missione salvataggio
 
 
 
 
Quella stessa mattina si incontrarono tutti al Cat’s Eye, il loro temporaneo quartier generale, come d’accordo.
Il cartellino sulla porta recava la scritta closed, ma Ryo e Saeko erano già dentro, mentre, in attesa di Mick, Miki e Falcon si affaccendavano dietro al bancone per preparare colazione con tanto di caffè per tutti.
 
In quel momento fece il suo ingresso l’americano, insolitamente spettinato, con la cravatta allentata sul collo della camicia gualcita.
Appena messo piede dentro, sbadigliando a mo’ di saluto, si rivolse direttamente alla barista:
 
“Miki tesoro, un caffè di quelli belli forti e corposi. Ho bisogno di qualcosa che mi svegli.”
 
E si lasciò cadere nel basso divanetto, quasi addosso a Saeko, approfittandone per allungare distrattamente le mani; ma lo sguardo severo di Ryo, seduto di fronte a lui, lo rimise in riga: quando c’era di mezzo Kaori, era vietato scherzare!
Si ricompose.
Sul tavolino, attorno a cui si erano seduti, campeggiavano diversi oggetti lampeggianti, e giacevano cartine e mappe; Mick prese la parola:
 
“Ho praticamente passato la notte al telefono, a contattare tutti i miei agganci negli Stati Uniti. Ma…”
 
S’interruppe per darsi un tono, facendo una spudorata pausa ad effetto, e quando fu soddisfatto della reazione dei suoi amici, poiché li vedeva tutti pendere dalle sue labbra, terminò con:
 
“Ho delle buone notizie.”
 
Miki raggiunse il resto della banda, seguita dal suo corpulento marito che portava un vassoio con tazzine e caffettiera, e servì i suoi amici.
Mick stava per ragguagliarli sui suoi progressi, ma Ryo prese la parola:
 
“Ho deciso di vederci qui prima dell’arrivo di Murakami, perché si possa discutere con calma di tutta la parte tecnica del piano e, soprattutto, perché ero sicuro che Mick avrebbe trovato qualcosa su di lui. Sceglieremo al momento se metterlo a parte degli altarini scoperti oppure no, e vedremo che faccia farà. Secondo me, infatti, non ha detto tutto. Quest’attrezzatura invece” e indicò quelle strane scatole metalliche con tante lucine lampeggianti, led, levette e pulsantini “sono dei derivatori di chiamata che ci permetteranno di intercettare tutte le telefonate in entrata e in uscita di Murakami, sia da linea fissa che da mobile, e di localizzare la cellula telefonica a cui si agganciano, così non solo riusciremo anche noi a sentire cosa avranno da dire i rapitori, ma scopriremo da che parte del Giappone provengono le chiamate. Io, comunque, sono dell’idea che Kaori sia relativamente vicina a Tokyo, ma impossibilitata a fuggire o a mandarci un qualsiasi segnale. Me lo sento.”
 
Con questa ultima frase fu chiaro a tutti quanto in realtà lui fosse fiducioso sulle capacità della socia, nonostante la denigrasse sempre, o non le desse mai il giusto riconoscimento come sweeper professionista.
 
“Bene, Angel, a te la parola.”
 
“Grazie. Dicevo, ho smosso mari e monti al di là dell’oceano, e ho scoperto cose strabilianti. Il nostro Akira Murakami ha avuto una relazione, durata almeno un paio di anni, con una bellissima ragazza di nome Fujiko Nakazawa, alias Naoko” e fece un’altra pausa ad effetto.
Umibozu fu il primo a commentare:
 
“Intendi Naoko la cantante?”
 
“Oh, polipone, non dirmi che la conosci!” esclamò Ryo.
 
E mentre Falcon arrossiva come un peperone, sua moglie Miki intervenne, sorridendo:
 
“Oh sì, lui ne è un grande fan, ha tutta la discografia completa, e la sua canzone preferita è Kiss me again! Vero, orsacchiotto?” gli chiese lei, pizzicandogli la guancia, per poi aggiungere: “Il mio Falcon è un romanticone, e me la canta spesso” mandando così il marito temporaneamente in tilt.
 
“Hai capito, lo scimmione?” gli fece eco Mick. Ma stranamente Ryo non partecipò agli sfottò dell’amico, perché, serio, domandò:
 
“Che legami ci sono? Come è possibile che un magnate dell’industria si leghi ad un’artista dello spettacolo?”
 
“Come si siano conosciuti non lo so, però sembra che abbiano voluto tener segreta la relazione proprio perché lei è famosa, e non desideravano intrusioni nella loro vita privata; immagino per non dover combattere con i fotografi e i giornalisti di cronaca rosa, sempre a caccia di scoop e gossip.”
 
“Mmm… mi aveva accennato una cosa del genere, ma si era ben guardato dal rivelarmi l’identità della ragazza.”
 
A quel punto Miki esclamò:
 
“Che peccato che si siano lasciati! Chissà per…” ma non finì la frase, perché proprio in quel momento gli apparecchi iniziarono a lampeggiare e ad emettere segnali acustici; tutti tacquero e si fecero attenti.
Ryo disse con un filo di voce:
 
“Una telefonata in entrata!” e premette un pulsante, cosicché tutti potessero sentirla, mentre faceva segno a Saeko di tenersi pronta a segnare sulla mappa la cellula da cui proveniva la chiamata; una voce femminile e metallica s’impose in quell’improvviso silenzio, e scandì in maniera atona:
 
Akira Murakami, come avevamo promesso ci siamo fatti risentire. Nel frattempo non ha contattato la polizia, giusto?
 
No-no… ho fatto tutto quello che mi avete richiesto. La polizia non sa niente, e mi sono mosso per reperire i soldi. Ma Kaori? Kaori come sta? Voglio parlare con lei!
 
La voce di Akira tradiva nervosismo e preoccupazione; i cinque si guardarono in silenzio, col fiato sospeso.
 
Tutti, specialmente Ryo, avrebbero voluto sentire la voce squillante di Kaori invadere gli altoparlanti del congegno, ma la Voce non diede segno di voler accontentare nessuno di loro.
Saeko invece era tesa, e impalpabili goccioline di sudore imperlavano la fronte del suo viso impassibile; sperava che la telefonata non s’interrompesse troppo presto, perché più parlavano e più il rilevatore avrebbe avuto un segnale potente e duraturo da poter registrare.
 
Abbiamo deciso che lo scambio avverrà fra due giorni, a partire da adesso. Nelle prossime ore le faremo sapere dove e quando con esattezza. Le ripeto che non è saggio avvertire la polizia, né nessun altro” e sembrava che la Voce avesse ormai detto tutto, ma prima che riattaccassero, Akira si affrettò a dire:
 
A-aspettate! Io voglio sentire Kaori, come sta? Come faccio a sapere che non le avete fatto del male? Io sto facendo la mia parte, ma esigo delle garanzie, altrimenti non se ne fa niente!
 
I cinque tornarono a guardarsi: Akira era tosto e coraggioso, non si faceva intimidire facilmente.
 
Lei non è nella condizione di dettare le regole… Possiamo soltanto dirle che Kaori sta bene e non le è stato torto un capello.
 
E a quell’ultima affermazione Ryo pensò che, in caso contrario, gliel’avrebbe fatta pagare in maniera atroce, fino a spingerli ad implorare il colpo di grazia e porre così fine alla loro miserabile vita.
 
Aspettate, bastardi!” abbaiò Akira, ma un clic inequivocabile li avvertì che i rapitori avevano terminato la chiamata; gli altri poterono sentire Murakami aggiungere “Dannazione!” prima che anche lui chiudesse la comunicazione.
 
Ryo si voltò di scatto verso Saeko che confermò le sue speranze: era riuscita a localizzare la chiamata dei rapitori e già stava controllando la cartina dei dintorni di Tokyo, quando  gli apparecchi tornarono a pigolare; trattennero il fiato nuovamente.
Una lucina rossa indicava che era una telefonata diversa; un cellulare, in uscita.
 
Di nuovo, nel silenzio del locale, si udì la voce di Akira:
 
Ho bisogno di vederti
 
 
 
 
***
 
 
 
Naoko aveva appena messo in moto la sua Honda e aveva già ripreso la strada che l’avrebbe riportata alla villa, quando sentì il cellulare vibrare nella tasca interna del giubbotto.
Si portò la mano al torace, in corrispondenza del suo Sony, e constatò che non era un semplice messaggio, ma una chiamata.
Accostò sul bordo della strada, girò la chiavetta arrestando il motore, e si tolse il casco.
Doveva essere una telefonata importante perché, nonostante lei stesse perdendo tempo non riuscendo a rispondere subito, districandosi fra cerniera a lampo e fodera interna, ancora il telefono squillava.
Chi era mai che la stava chiamando con così tanta urgenza?
Era arrivata in Giappone in incognito, e nemmeno il suo agente sapeva dove fosse.
 
Quando finalmente prese in mano il cellulare, e sul display vide il nome di chi la stava chiamando, ebbe un tuffo al cuore.
Accettò la chiamata in entrata e sentendo quella voce tanto amata e quella richiesta decisa e accorata, le sfuggì un singhiozzo; non riusciva nemmeno a parlare, tanta era l’emozione.
Lui… Lui l’aveva chiamata.
 
 
 
***
 
 
 
“Mi hanno chiamato!” esordì Akira Murakami, entrando come una furia nel Cat’s Eye.
Ma rimase sconcertato, quando nemmeno Ryo si dimostrò interessato alla novità.
Si guardò intorno e vide quello strano consesso, tutti gli occhi puntati su di lui.
Si riscosse:
 
“Allora? Signor Saeba, non ha da dirmi niente? Non ha sentito quello che le ho appena detto? Mi hanno telefonato i rapitori!!!”
 
“Lo sappiamo. Siediti.”
 
“M-ma come…” poi, abbassando lo sguardo, finalmente notò tutto l’armamentario sul tavolino.
 
“Gradisce del caffè?” chiese cordialmente Miki.
 
“Sì, credo di averne bisogno…”
 
“Bene, ora che sei qui chiariamo un po’ di cose…” iniziò lo sweeper.
 
 
 
***
 
 
 
Dopo quell’ultimo vivace scambio di battute fra le due donne, Naoko se n’era andata via sgommando, alquanto turbata, e a Kaori non era rimasto altro che vederla partire, seguendola con lo sguardo, in una nuvola di polvere che piano piano si dissolveva.
Sconsolata, si era seduta sugli scalini della veranda, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia, a reggersi il viso con le mani.
 
Poi, quando si era stancata di restarsene lì, era tornata stancamente in casa e aveva cercato di passare il tempo in qualche modo: le ore si trascinavano penosamente e non sapeva più cosa inventarsi.
Però, pur non avendo nemmeno un orologio a cui fare riferimento, capiva dalle ombre che si stavano allungando che presto sarebbe scesa la sera; e quasi impensierita dall’assenza prolungata di Naoko, uscì nuovamente sulle scale dell’entrata, a scrutare la strada sterrata.
La cantante aveva detto che sarebbe rincasata presto, e invece fra poco si sarebbe fatto buio e ancora non si vedeva.
E pensare che il giorno dopo sarebbe stato il suo matrimonio, e diversamente a quell’ora avrebbe passato la serata correndo a destra e sinistra, per gli ultimi preparativi, con Miki, Kazue, Saeko, Kasumi, e forse anche Reika.
 
Sospirò.
 
Stava giusto per rientrare in casa, quando, nella luce dorata del crepuscolo, vide un puntino nero in lontananza avvicinarsi velocemente, seguito da una scia di polvere.
Una moto.
Forse era Naoko che tornava, e quasi si sentì rincuorata, nemmeno fosse una madre apprensiva.
Anche se… aveva uno strano presentimento, e si mise a guardare con maggiore attenzione quella moto: più si avvicinava, e più il suo cuore inspiegabilmente accelerava i battiti, perché la figura che si stava delineando all’orizzonte, non era quella di una donna, ma di un uomo; e lei, prima ancora di vedere chi fosse, sapeva già che era Ryo, se lo sentiva, senza sapere il perché.
Con il cuore in tumulto, scese a passi incerti gli ultimi gradini e avanzò incontro al suo salvatore, temendo e sperando che fosse realmente lui, che non si fosse sbagliata, e che non stesse sognando.
 
Ma quando il centauro misterioso fu a pochi passi da lei, la ragazza lo riconobbe in tutto e per tutto, e quasi si mise a saltare di gioia.
Ryo piombò sullo spiazzo davanti alla casa, quasi in derapata, facendo schizzare da tutte le parti la ghiaia del vialetto; vedendola lì, ritta in piedi, scese al volo dalla moto, una Yamaha da enduro che non gli apparteneva e che con movimenti secchi e precisi assicurò sul cavalletto; velocemente si liberò del casco, appendendolo con impazienza allo specchietto, e corse da Kaori nello stesso istante in cui lei aveva già iniziato a corrergli incontro.
 
“R-Ryo…” e gli volò fra le braccia, che subito l’accolsero e la strinsero come non avevano fatto mai, nemmeno dopo il più pericoloso dei rapimenti.
 
“Stai bene? Sei sola?” le chiese, preoccupato ed emozionato al tempo stesso.
 
“Sì-sì- sto bene…  e sì, sono sola.”
 
E rimasero lì così, stretti in un abbraccio che voleva dire tanto, tutto; che parlava della felicità di essere nuovamente insieme, e che non era solo quella provata per la fine di quell’assurda prigionia, ma di essersi ritrovati  veramente.
Un abbraccio che parlava di scuse reciproche, per le incomprensioni, le ripicche, le prese di posizioni, le litigate sterili e sfiancanti.
Con quell’abbraccio si azzeravano i giorni in cui si erano tenuti a distanza, troppo orgogliosi per cedere, troppo egoisti per avanzare; un mese tremendo in cui avevano rischiato di perdersi per sempre.
 
Persi in quel magico momento, furono però richiamati al presente dallo squillare insistente del telefono satellitare che Ryo teneva sotto il giubbotto; a malincuore si staccò da Kaori che, stupita, guardò il socio armeggiare con quella specie di ricetrasmittente.
 
“Sì Mick, l’ho trovata. Sana e salva.”
 
Sia lodato il cielo, tutti i santi e le divinità tutte” esclamò l’americano.
 
E Kaori, sottovoce, chiese al partner:
 
“Ma come mi avete trovata?”
 
“Poi ti spiego” sussurrò rivolgendole un sorriso disarmante, che si spense all’istante quando, dall’altro capo del telefono, si udì la voce di Akira:
 
Saeba, allora l’ha trovata? Sta bene? Me la può passare per favore?
 
Ryo non rispose nemmeno ad Akira, e passò il telefono direttamente alla ragazza, con uno sguardo addolorato che la turbò assai.
Kaori prese in mano l’apparecchio che lui le porgeva, lentamente, sempre senza smettere di guardarsi.
La voce di Murakami li aveva riportati alla dura realtà, perché c’era ancora una cosa da chiarire: c’era Akira fra di loro, e il giorno dopo ci sarebbe stato il loro matrimonio che, con Kaori ormai libera e sana e salva, si sarebbe anche potuto celebrare.
 
Ryo fissava Kaori come a chiederle cosa avrebbe scelto, se mai di scelta si potesse parlare, perché lui non le aveva ancora detto niente; era solamente corso a salvarla; e nuovamente le parole gli erano morte sulle labbra.
Sarebbe bastato così poco…
 
Lei, infine, portò il ricevitore all’orecchio e, abbassando lo sguardo a fissarsi le scarpe, rispose:
 
“Akira, tesoro! Sì, sto bene. Naoko non mi ha fatto mancar niente, solo mi sono annoiata un sacco!” E concluse scoppiando a ridere; di nuovo Ryo si sentì morso dalla gelosia.
 
Perché agli altri veniva così bene parlare di sé stessi, dei propri stati d’animo, delle emozioni che vivevano? Sicuramente Akira le stava dicendo che gli era mancata tantissimo, che era impazzito sapendola nelle mani di misteriosi rapitori, e poi chissà cos’altro.
E lui?
Lui era stato capace solo di stringerla forte, come non si era permesso mai, affidando a quel moto d’affetto e sollievo, tutte le sue parole non dette.
 
E mentre era al telefono con Murakami, discretamente Kaori si allontanò da Ryo; evidentemente non voleva farsi udire da lui per qualcosa che doveva dire al suo fidanzato: più che logico, ammise lo sweeper; più che tragico, constatò l’uomo innamorato di lei.
Il tempo di torturarsi un po’ nella gelosia, che Kaori era di nuovo lì accanto a lui, a ridargli l’apparecchio, sorridendogli; lui lo prese, e nel microfono chiese:
 
“Pronto? Potrei parlare con Angel? Grazie” e poi: “Allora Mick noi ripartiamo ad…”
 
“No, aspetta!” lo interruppe Kaori, allungando una mano sul braccio che reggeva il portatile, allontanandoglielo dall’orecchio.
Ryo la guardò sorpreso, ma lei, arrossendo leggermente, gli disse, quasi con un filo di voce:
 
“Volevo dire… si sta facendo buio, e non ci conviene partire adesso; potremmo farlo domattina con calma, magari all’alba. Restiamo qui per questa notte… insieme” terminò in imbarazzo, ma speranzosa.
Temeva un suo rifiuto, ma effettivamente era scesa la notte, e partire da lì, per quelle strade di campagna, in due su una moto, non sarebbe stato l’ideale.
 
Pronto? Pronto? Ryo, mi senti?” quasi urlava dal telefono Mick. Al che, lo sweeper si riscosse e, riportando il telefono in posizione, rispose:
 
“Sì, ti sento, cosa sbraiti! Cambio di programma. Per stanotte rimaniamo qui: la mia socia dice che è meglio ripartire domattina.”
 
Ryo aveva cercato di parlare con il suo solito tono scanzonato, ma Mick giurò di averci sentito dell’altro: forse compiacimento, forse contentezza.
Se ne rallegrò.
Quei due testoni avevano ancora una notte a disposizione per chiarirsi, e pregò che Ryo non sprecasse anche quell’occasione.
L’americano rispose:
 
Ricevuto! Allora vi lasceremo in pace, cari i miei piccioncini; al resto penseremo io e Saeko. Buona notte e a domani” chiuse la telefonata più allegro che mai.
 
Leggermente a disagio, per essere rimasti soli e senza più nulla da fare, i due sweepers si guardarono intorno indecisi.
Allora la ragazza gli propose, quasi titubante:
 
“Ti va di fare due passi… con me?” ma poi si affrettò ad aggiungere, quasi giustificandosi: “Questa villa ha un giardino magnifico.”
Era così felice di poter stare finalmente un po’ con lui, però aveva paura che lui se ne uscisse con una battutaccia delle sue, che la deridesse, considerando quella passeggiata serale una mera perdita di tempo, una sciocchezza sentimentale. Così, in tono remissivo, finì per dirgli:
 
“Oppure sei troppo stanco, e preferisci rientrare a mangiare qualcosa?”
 
Ma Ryo la sorprese rispondendole:
 
“Con molto piacere, cara la mia socia” e le diede il braccio.
 
Lei, raggiante, raccolse l’invito e lo prese a braccetto, stringendolo leggermente a lei.
Si sentiva un po’ come quella sera che erano usciti insieme, e lei aveva finto di essere Cenerentola.
 
Il giorno dopo si sarebbe sposata, ma voleva dare un’ultima possibilità a lui, a loro.
E se le avesse detto che l’amava, o anche solo resta, lei avrebbe mandato tutto all’aria.
L’alba era ancora lontana, e lei avrebbe sfruttato ogni briciolo di tempo a sua disposizione per stare accanto a lui.

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Capitolo 11
*** Un'ultima notte ***


E siamo arrivati al penultimo capitolo, che è anche un po’ più lunghetto degli altri (e del finale).
La volta scorsa vi ho lasciato in sospeso, con i nostri amati finalmente ricongiunti, alle prese con l’amore inespresso e i soliti imbarazzi.
Cosa combineranno ora?
C’è ancora tempo per i saluti finali, ma sappiate che siete tutti fantastici, GRAZIE per tutto quello che fate per me, perché mi leggete, commentate, spronate, mi tirate la giacchetta impazienti, insomma, ve lo dico in Italiano VI AMO <3
A presto!
Eleonora






Cap.11 Un’ultima notte
 
 
Ryo e Kaori si misero a passeggiare nei dintorni della villa, all’inizio leggermente imbarazzati perché non più avvezzi a stare così tanto tempo insieme e da soli, soprattutto dopo quegli ultimi mesi niente affatto idilliaci, e ancora peggio dopo, quando con l’arrivo di Akira, la situazione era definitivamente precipitata.
Ma la voglia di stare l’uno con l’altra, prevalse su ogni disagio, e in breve tempo riuscirono a rilassarsi quel tanto da permettergli di chiacchierare senza troppo pesare le parole.
E il fatto che Ryo l’avesse messa a parte di tutto quello strano rapimento, e che lei gli avesse raccontato come l’aveva vissuto, senza peraltro fare accenno alla notte trascorsa con Naoko, aveva restituito ai due ragazzi quella complicità, e quella spontaneità, che contraddistingueva la loro partnership.
 
Pur senza dirlo chiaramente, avevano deciso di non pensare, né accennare, a quello che sarebbe successo il giorno dopo, cioè al matrimonio di Kaori, come se quella dovesse essere una sorta di pausa nello scorrere forsennato del tempo, uno stato di grazia, un momento tutto loro.
Evitavano l’argomento perché troppo doloroso da affrontare, e che presupponeva dover andare fino in fondo, sviscerare la questione, mettersi a nudo, prendere una posizione, decidere.
Perché in quel caso Kaori avrebbe dovuto ammettere, se non davanti a Ryo almeno a sé stessa, che si sposava quasi per ripicca o per ripiego, mentre Ryo avrebbe dovuto trovare le parole giuste per impedirle di lasciarlo, una motivazione valida per farla restare.
Quindi, alla loro maniera, avevano tacitamente stabilito che si sarebbero goduti ciò che rimaneva di quel giorno, e magari la notte che ne sarebbe seguita, come due persone che, semplicemente, sanno che dovranno infine salutarsi, ma che vogliono approfittare di tutto il tempo a loro disposizione.
Volevano vivere sospesi quelle ore che li separavano dall’alba, fino a quando, decidendo di lasciare la villa, sarebbero ritornati alla dura realtà.
 
Quando il crepuscolo cedette il posto alla notte, in ogni parte del giardino si accesero un’infinità di luci ad illuminare siepi e vasi ornamentali, rendendo quel posto magico e surreale; sì, Naoko non aveva badato a spese pur di circondarsi di tanta bellezza; eppure era una donna tormentata e infelice, che probabilmente non era mai riuscita a godersi in pieno un simile spettacolo.
Ma lo spettacolo più bello lo videro poco lontano da lì, in una parte un po’ più in ombra del parco, dove una moltitudine di lucciole danzava, sfiorando gli steli e i boccioli chiusi dei fiori; Kaori, incantata e sorpresa di fronte a quella vista, si sciolse dal braccio del socio e raggiunse quasi correndo quello spiazzo, ed estasiata esclamò:
 
“Ryo, hai visto? È una meraviglia!”
 
E con le braccia aperte, prese a ruotare lentamente su sé stessa, come a voler immergersi in quel mondo fatato e pulsante; e quando si voltò a guardarlo, Ryo poté vedere i suoi occhi brillare di felicità.
Lo sweeper s’intenerì a quella visione, e pensò che la sua Kaori era una donna-bambina, uno spirito leggiadro che, proprio come quelle lucciole, dove passava illuminava tutto ciò che toccava, generando stupore e ammirazione.
Ryo si sentì pervaso da uno strano turbamento, e guardandola danzare, quasi, immersa fra le lucciole, fu colpito dalla forza che lei sprigionava.
Ed era strano, perché l’aveva vista mille volte impugnare bazooka con disinvoltura, padroneggiare trappole e bombe a mano, per non parlare dei martelloni che era solita maneggiare… eppure tutta la sua forza la riconosceva proprio lì, nel momento in cui gli dimostrava che, nonostante conoscesse il lato più squallido e violento della vita, era ancora capace di emozionarsi per il volo d’amore di semplicissimi insetti.
Ecco, era lì che risiedeva la grandezza di quella donna straordinaria, e lui si sentì piccolo di fronte a lei; e, come se avesse aperto gli occhi per la prima volta, capì che se anche avesse continuato a fare la sweeper per altri mille anni, non sarebbe mai cambiata: il suo cuore non si sarebbe mai corrotto.
 
E mentre ancora Ryo la guardava incantato, lei tornò sui suoi passi e lo raggiunse; non aveva mai visto il suo socio in un tale atteggiamento, e ne fu piacevolmente colpita.
Gli sorrise e, per un fugace momento, fu quasi sicura di averlo visto arrossire, ma si convinse che era stato sicuramente un gioco di luci e ombre.
Giunta davanti a lui, però, fu scossa da un brivido che attirò l’attenzione dell’uomo, il quale, sempre sorridendo le chiese:
 
“Hai freddo? Vogliamo rientrare?”
 
“No-no…” balbettò confusa, perché era un insieme di cose: il fresco umido della sera, la vicinanza di Ryo… ma non fu abbastanza convincente perché lui, togliendosi la pesante giacca di pelle, gliela sistemò sulle spalle.
La ragazza trattenne il respiro, quando si sentì invadere dal calore dell’indumento e dal persistente odore di lui che l’avvolgeva; per non parlare di quell’inedito gesto di affetto e galanteria, che le fece provare ben altri brividi.
Di colpo provò prepotentemente il bisogno fisico della sua presenza; avrebbe voluto perdersi fra le sue braccia e godere del suo calore, e non doversi accontentare di quello riflesso, trasmessole dal suo giubbotto.
A disagio, farfugliò:
 
“Gra-grazie, ma non dovevi” pur apprezzando tantissimo quel suo atteggiamento protettivo.
 
Lo affiancò e ripresero la via del ritorno silenziosamente, di nuovo leggermente imbarazzati.
Imbarazzo che non gli impedì di prendersi per mano, dopo essersi sfiorati, cercandosi.
Da quel semplice e quasi infantile contatto, si sprigionò allora una miriade di sensazioni, e i due se ne stupirono enormemente; e quando le dita s’intrecciarono strette, una gioia consolante li avvolse.
Sorrisero, pur non osando guardarsi.
 
Godendosi la reciproca compagnia, percorsero lentamente il vialetto, in silenzio, con il rumore confortante della ghiaia che scricchiolava sotto i loro piedi, ad accompagnarsi al canto dei grilli tutt’intorno e al richiamo degli uccelli notturni, in una calma bucolica che, piano piano, scendeva anche nei loro animi, calmandoli.
Era così raro trovarsi in simili situazioni, nel caos di una metropoli come Tokyo, che per loro anche quello era un regalo prezioso.
 
Infine rientrarono alla villa, con il primo piano illuminato a giorno, la scalea imponente, il pianoforte nell’angolo; Ryo si lasciò sfuggire un fischio ammirato e, guardandosi intorno, chiese alla socia:
 
“Ti piacerebbe vivere in una casa così?”
 
Si accorse troppo tardi di ciò che implicitamente le aveva chiesto, perché in un certo senso aveva riportato il discorso alla sua possibile nuova vita: sposando Akira avrebbe potuto avere anche una villa così, niente a che vedere con il loro appartamento, situato in un anonimo palazzo come tanti, in un quartiere chiassoso e popoloso.
Si era lasciato scappare quell’accenno ad un argomento tabù, ma la socia, che aveva capito dove li avrebbe portati quell’innocente allusione, cercò di sdrammatizzare rispondendo:
 
“Ma sei matto? E dopo come farei a pulirla tutta?”
 
Ryo, che non si aspettava la sua risposta, rimase un attimo sconcertato, ma poi ridendo le disse:
 
“Sciocchina! Se puoi permetterti una villa così, puoi permetterti anche qualcuno che la pulisca per te!”
 
Ma non andarono oltre e, avendola buttata sul ridere, la Questione Villa morì lì.
 
“Comunque più tardi, se vuoi, ti faccio vedere il resto; sai, in questi giorni non ho avuto molto altro da fare che girare e rigirare per le stanze vuote, e ormai le so a memoria” gli disse lei strizzandogli l’occhio, poi aggiunse;
“Di sicuro la parte più bella, però, resta la cucina. Piuttosto, che ne dici di mettere qualcosa sotto i denti? Non so cosa ha comprato oggi Naoko, e potrei preparare qualcosa se ti va…”
 
“Saresti veramente gentile, ma non ti preoccupare per me” rispose il socio.
 
Kaori spalancò gli occhi stupita: era la prima volta che Ryo le si rivolgeva così, e a proposito del cucinare e del cibo; sì, stavano succedendo cose strane.
Ma lui, consapevole dell’effetto che aveva avuto sulla socia con le sue parole, aggiunse:
 
“Anzi, potremmo cucinare insieme, che ne dici? Potrebbe essere divertente.”
 
“Tu-tu… non sei Ryo Saeba! Esci da questo corpooooo!” scimmiottò la socia, posizionando le dita a mo’ di croce, in una buffa parodia di esorcismo.
 
Poi entrambi scoppiarono a ridere, e mai risata fu così liberatoria e gradita.
Giungeva dal profondo del cuore, e colmava quell’abisso che si era creato fra loro mesi prima; era un balsamo per le ferite che si erano inflitti in quei giorni di litigi e ripicche, quando sembrava essere diventata impossibile la convivenza, e ogni cosa era un pretesto per darsi contro.
 
“Ahh, socia, quanto mi sei mancata!” sfuggì detto a Ryo, e la ragazza si ricordò del suo proposito: se le avesse detto che l’amava, che voleva che restasse con lui, avrebbe mollato tutto seduta stante e non si sarebbe più sposata.
Però doveva sentirglielo dire, lui doveva dire quelle parole!
 
L’uomo dal canto suo, invece, consapevole che avrebbe dovuto trovare le parole giuste per spiegarsi, si sentiva in difficoltà, perché non sapeva da dove cominciare; era sempre così impacciato, quando doveva esternare i suoi sentimenti: sbagliava sempre tono o frase, era un disastro, e ogni volta che apriva bocca, era solo capace di generare equivoci o guai.
Lui era più bravo nell’azione, e ce la stava mettendo tutta per farglielo capire con il suo comportamento, lasciandosi andare a quelle gentilezze che gli nascevano spontanee dal cuore, e che sempre si era vietato di dimostrare o mettere in pratica.
L’atteggiamento di Kaori, del resto, meno timido o impacciato del solito però, lo aiutava guidandolo su quella strada e, seppur ancora insicuro, perché poco avvezzo a tali espressioni di affetto, sentiva che poteva riuscirci; se gliene avesse dato l’occasione, Ryo le avrebbe dimostrato quando tenesse a lei.
Non aveva tantissimo tempo a disposizione, e procedere a piccoli passi come stava facendo non era l’ideale; era anche totalmente digiuno su come portare avanti un qualsiasi corteggiamento che non fosse finalizzato alla camera da letto, e cercava d’improvvisare, di cogliere al momento, i suggerimenti che inconsciamente gli lanciava la sua socia.
 
In ogni caso, cucinarono veramente insieme, e senza litigare per giunta; e anzi divertendosi moltissimo. Approntarono una gustosa cenetta col poco che aveva comprato la cantante, che non solo era incapace di cucinare, ma evidentemente anche di fare la spesa: non c’erano cibi freschi, o carne e pesce, ma solo precotti e scatolette, ma si adattarono.
 
Consumarono il pasto serale seduti al tavolino del tinello, troppo in soggezione per gustarlo nell’ampio soggiorno, e fu una cena serena, intima, che sapeva tanto di famiglia, come ai vecchi tempi.
 
Quando anche l’ultimo boccone fu fatto sparire, sempre insieme rassettarono la cucina e lavarono i pochi piatti e pentole utilizzati; a Kaori, riponendo l’ultimo piatto, sfuggì un sospiro, che non passò inosservato al partner, il quale le chiese, sommessamente:
 
“Stanca?”
 
Allora lei si voltò a guardarlo intensamente, prima di rispondergli:
 
“No… cioè, sì… Mi sono stancata di stare in questa casa, così lontano dal mondo. Però, ora che ci sei tu, non ha più importanza” e arrossì leggermente, ma non abbassò lo sguardo; era più che mai decisa a scrutare il suo socio, e voleva vedere che effetto gli avessero fatto le sue parole, che reazione avrebbe avuto.
E quando lui le disse: “Dai, domattina presto potrai finalmente andartene” non si sentì totalmente delusa dalla sua affermazione, perché il suo viso era così dolce e illuminato da una strana luce, che a quel punto avrebbe potuto dirle qualsiasi cosa.
 
Il tempo, quindi, sembrò fermarsi; entrambi si aspettavano che l’altro avrebbe aggiunto qualcosa, mentre una strana atmosfera di incompiutezza gravava su di loro, ma non successe nulla.
Fu Kaori, allora, che ruppe gli indugi riportando i discorsi su toni più leggeri e neutri, ed esordì con:
 
“Caro il mio socio, qui non c’è poi molto da fare, non c’è nemmeno una tv. Di conseguenza per passare la serata ti propongo di ascoltare un po’ di musica, perché come puoi ben immaginare, questa non manca e, a meno che tu non sappia suonare il piano e non me l’abbia mai detto, dovremo accontentarci di quello” e dirigendosi nel salone, gli indicò uno stereo dei più sofisticati e tecnologici, proprio accanto al pianoforte.
 
“Wow, che roba!” esclamò lo sweeper vedendolo; e mentre Kaori armeggiava con diversi cd, lui si mise ad osservare la collezione di dischi e riconoscimenti appesa alla parete, e quando partirono le note di Kiss me again, Ryo, voltandosi verso la socia, le disse:
 
“Ma lo sai che Umibozu è un gran fan della nostra Naoko?”
 
“Veramente? Be’, c’era da immaginarselo: Falcon è un duro dal cuore tenero.”
 
“Come me, del resto!” puntualizzò Ryo con aria saccente, volendo risultare, per l’ennesima volta, migliore di quel suo amico-nemico, con cui era perennemente in competizione su tutto.
E Kaori, sorridendogli con affetto, chiosò:
 
“Sì, è vero. Peccato che a volte te lo dimentichi, e soprattutto non dimostri così spesso quanto buono tu sia.”
 
L’uomo, che si aspettava una battutina sarcastica, rimase stupito da quella frase e profondamente colpito dal tono con cui lei l’aveva pronunciata.
Si sentì pervadere da una contentezza strana: essere lodato e apprezzato da lei, valeva molto di più di tutta la riconoscenza che una cliente qualsiasi poteva provare per lui alla fine di un caso
Desiderava la sua stima, e che lei lo amasse per ciò che era.
 
Si confuse, e per l’ennesima volta avrebbe voluto saperle dire di più, ma non riusciva a raccogliere i suoi pensieri, né ad infilare una frase che non fosse una sciocchezza qualsiasi.
 
Nel frattempo la ragazza si era appoggiata con i gomiti al pianoforte, il viso sorretto dalle mani; ad occhi chiusi e con aria rapita si godeva la canzone, canticchiandola a bocca chiusa.
Il socio s’incantò a guardarla: era bellissima… Possibile che lei non se ne rendesse conto?
 
E poi quella canzone in sottofondo, con quel rincorrersi di bassi in un mood accattivante e coinvolgente, quella voce così sensuale, che ripeteva e chiedeva di essere baciata ancora…
D’improvviso, Ryo sentì sul serio il potente desiderio di baciare Kaori, di accorciare la distanza che li separava e raggiungerla, stringerla fra le braccia e non lasciarla più; e in quel momento, come richiamata dai pensieri del partner, la ragazza dischiudendo gli occhi, si volse a guardarlo con aria sognante.
E lui, annegando in quelle pozze di calda ambra scintillante, stava già per fare un passo verso di lei, quando fuori si udì un tuono spaventoso che fece tremare tutta la casa, e che lo fece sobbalzare.
Improvvisamente andò via la luce, interrompendo la canzone e quella magnifica visione, sprofondandoli nel buio più totale.
L’incanto si era crudelmente infranto
 
“Dannazione” si lasciò sfuggire lo sweeper.
 
“Bene, ci mancava solo il temporale! Ed ora niente energia elettrica. Chissà quando ritornerà?” esclamò Kaori.
 
“Immagino che tu non sappia dove si trova la centralina, né un generatore d’emergenza…” chiese Ryo, ritornato in sé, e con voce atona.
 
“No, nel mio peregrinare non li ho mai trovati, né ci ho fatto caso” ridacchiò, sperando che, subito dopo, non le arrivasse un rimprovero “Però di sopra ho una candela” aggiunse in tono di scusa, cercando di apparire efficiente agli occhi del compagno.
 
Un lampo illuminò l’esterno della villa, gettando bagliori nel salone che permisero ai due di rivedersi,  immobili, lì dove erano rimasti quando era calato quel buio improvviso.
 
“Stai fermo lì, che ora ti raggiungo” disse la ragazza, ma quando un altro lampo li illuminò di nuovo, e Ryo se la ritrovò davanti, sentì il suo cuore accelerare.
Sarebbe bastato veramente pochissimo: allungare una mano, toccarla e lasciarsi finalmente andare, senza girarci così tanto intorno; eppure, assurdamente, temeva di essere in qualche modo respinto.
Sapeva che Kaori era innamorata di lui, o almeno lo era un tempo.
Ma se l’arrivo di Akira le avesse fatto cambiare idea?
Quell’uomo era innegabilmente bello e affascinante, la faceva sentire amata, e i suoi modi erano gentili e cortesi; era educato e galante, e con le donne ci sapeva fare, altrimenti non sarebbe stato l’amante di una donna come Naoko.
E comunque, quando li aveva spiati, aveva visto come baciava la sua socia, e come la toccava.
Kaori aveva deciso di sposare Murakami, e se adesso Ryo avesse provato a baciarla, a stringerla a sé, e lei l’avesse scacciato perché troppo rozzo e volgare, o temesse i suoi modi da maniaco?
Adesso poi era fidanzata, quindi tecnicamente occupata, ed eventualmente avrebbe commesso un tradimento ai danni del suo futuro sposo.
Ma lui doveva e voleva provarci!
Era anche la prima volta che si sentiva così insicuro con una donna, ma oltre ad essere di fronte alla sua Kaori, la donna più importante della sua vita, non aveva più altro tempo a disposizione, doveva sbrigarsi.
Quando la ragazza gli prese la mano, però, credette di morire.
 
“Avanti, seguimi. Conosco a memoria questa stramaledetta casa!” gli disse avviandosi su per le scale e tirandolo leggermente dietro di sé.
 
Essere padrona dello spazio in cui si muovevano, faceva sentire Kaori meno a disagio, nello stringere la calda mano di Ryo; l’oscurità nascondeva il turbamento che stava provando in quel momento, poiché, di fatto, stava portando il partner nella sua camera da letto e una strana idea, un tarlo, le si era insinuato nella testa, e non le dava tregua.
Era leggermente euforica, per il passo che stava per compiere, ma anche spaventata per le conseguenze che ne sarebbero derivate; eppure, ad ogni scalino che li portava al piano di sopra, la sua decisione si rafforzava.
 
Ryo si lasciava condurre docilmente, e totalmente succube della socia; non pensava a niente, se non a quel momento che stavano vivendo, e a quanto sarebbe stato magnifico se loro due fossero stati veramente una semplice coppia che si ritirava per la notte, nella loro stanza, piuttosto che due anime tormentate incapaci di parlarsi e dire la verità.
 
Ad un certo punto Ryo inciampò e cadde in avanti, finendo con il viso sul sedere della partner che saliva le scale davanti a lui.
 
“Attento!” esclamò lei.
 
“Stavo per cadere, ma mi è andata bene” ridacchiò lui, aspettandosi la solita martellata, che invece non giunse; nel buio sentì la socia ridere sommessamente, e se ne rallegrò.
 
Erano ormai arrivati di fronte alla porta di Kaori, e Ryo le lasciò a malincuore la mano per permetterle di entrare a tentoni e trovare ciò che cercava.
 
Intanto, fuori, il temporale stava riversando sulla villa e sul giardino un’enorme quantità d’acqua, e lo sweeper non poté impedirsi di pensare che, l’indomani mattina, quella sorta di mulattiera che era la strada per arrivare fin lì, sarebbe stata quasi impraticabile da percorrere in due sulla moto.
Sperò che, così come aveva iniziato a piovere all’improvviso, allo stesso modo smettesse.
 
Nel mentre, sentiva la socia aggirarsi spedita in quell’ambiente ormai per lei familiare, anche se ogni tanto sbuffava o imprecava a mezza voce; amava quel suo modo di affrontare la vita, e di colpo pensò che le sarebbe mancata da morire poiché anche quelle piccole cose, che sempre aveva dato per scontate, che lo divertivano o intenerivano, e che facevano così tanto parte di lei, sarebbero sparite dalla sua vita di lì a poco, e non era certo pronto a rinunciarvi.
Mosso da questa terribile constatazione, iniziò dicendo:
 
“Kaori… io…”
 
“Ecco, finalmente!” lo interruppe lei, esultante, accendendo il fiammifero con cui avrebbe alimentato quell’unica candela.
 
Alla luce tremolante della fiammella, Ryo riuscì a distinguere un po’ dell’interno della stanza, e quando i suoi occhi si posarono sul vestito da sposa, appeso alla gruccia all’esterno dell’armadio, un nodo gli strinse la gola; quasi senza accorgersene, disse:
 
“Con quell’abito sarai sicuramente bellissima” in un misto di dolore e ammirazione.
 
La ragazza rispose a disagio:
 
“Sì, il vestito è molto bello; sarà tutto merito di Eriko…”
 
“Non credo…” sussurrò l’uomo.
 
Poi, per alleggerire l’atmosfera, guardando la candela nel candeliere finemente cesellato, spiegò:
 
“Lo sai che in Italia quel particolare tipo di candeliere si chiama bugia? Però con quello stesso nome si indica anche una frottola, una menzogna” concluse sorridendo e strizzandole l’occhio.
 
Kaori si confuse e borbottò qualcosa, ma erano entrambi pienamente consapevoli di quanto la loro vita fosse costellata di tante piccolissime bugie e frottole; forse era arrivato il momento di essere sinceri una volta per tutte.
 
In ogni caso lo sweeper chiese incuriosito:
 
“Ma come mai hai una candela nella tua stanza?”
 
“La-lascia perdere, è una lunga storia” non aveva nessuna intenzione di spiegargli che Naoko, la prima notte, aveva fatto tutta quella scena a lume di candela, forse per impressionarla, anche se poi effettivamente, il giorno dopo, aveva scoperto che era stata costretta ad usarla perché si era fulminata l’unica lampadina del lampadario…
 
Dalle tende rimaste tirate, intanto, si sentiva la pioggia cadere ora lentamente in un leggero sgocciolio, e sembrava che il temporale fosse oramai passato; quel suono ovattato era rilassante, e faceva venir voglia di starsene a letto sotto le coperte, e lasciarsi cullare da esso.
 
L’improvviso silenzio sceso fra i due, li mise nuovamente a disagio.
 
Erano arrivati alla fine della serata, perché ormai non c’era più altro da fare se non andare a dormire; era tardi, e l’alba sarebbe arrivata ben presto.
Stentavano però a salutarsi, a darsi la buonanotte, consapevoli non solo che tanto non avrebbero dormito, ma anche che desideravano ancora stare insieme.
Erano giunti ad un’empasse.
 
No, non poteva finire così… non poteva andare a finire così, con loro penosamente svegli nella notte, ad aspettare l’alba che li avrebbe divisi per sempre.
Entrambi preda di mille pensieri, rimanevano lì in piedi a guardarsi, indecisi, sul ciglio del burrone.
Ma Kaori, che durante quella prigionia aveva capito tante cose di sé, si ricordò improvvisamente delle parole di Naoko, di quando le aveva detto, forse un po’ troppo spavaldamente, che lei, quando gli piaceva qualcuno, se lo prendeva e basta! E Dio solo sapeva quanto Kaori desiderasse Ryo!
Se il suo destino era quello di sposare Akira, perché Ryo non era pronto ad impegnarsi o ad amarla tutta la vita, allora avrebbe passato con lui quell’unica notte; così non avrebbe avuto rimpianti, e avrebbe comunque provato come sarebbe stato, perdersi fra le sue braccia.
Magari per Ryo sarebbe stato solo sesso, ma lei avrebbe avuto l’illusione di sentirsi amata… per una notte soltanto.
Stranamente la ragazza non era preoccupata di essere respinta, perché quando si trattava di avventure lo sweeper non si tirava mai indietro, e lei non gli avrebbe chiesto nulla di più; inoltre, a dispetto di quello che le aveva sempre ripetuto per tutti quegli anni, lui la desiderava almeno un po’, e Kaori sperò che ciò fosse abbastanza.
L’esperienza avuta con la cantante, per assurdo, le aveva infuso sicurezza e consapevolezza del suo corpo e del suo fascino; e per certi versi, sarebbe stato più facile per lei.
Non gli sarebbe saltata addosso, quello no, perché non era in grado di farlo, ma sarebbe andata per gradi,  e avrebbe agito in conseguenza delle reazioni che avrebbe suscitato nell’altro.
 
Sarebbe stato il modo perfetto per dirsi addio.
 
Quindi Kaori raccolse tutto il suo coraggio e, rompendo gli indugi, gli disse:
 
“Direi che ormai non ci resta che andare a dormire… Ci sono tante altre camere da letto qui, ma…” si fermò di colpo.
 
Maledizione” pensò “Ero partita così bene! Che mi prende, tutto in una volta?
 
Ma l’uomo, che non voleva lasciarla sola quella notte, a quell’inizio di frase si era fatto attentissimo; tutto dipendeva da ciò che avrebbe deciso la compagna, e quando si era bloccata, aveva iniziato a pregare: “Fammi rimanere, fammi rimanere, ti prego!”, ma impossibilitato a chiederglielo apertamente; ancora una volta lasciava a lei la decisione.
Pendeva dalle sue labbra, e quando infine la socia parlò, solo allora si accorse di star trattenendo il fiato.
 
“… Ryo… vorrei tanto che tu restassi qui con me” concluse lei infine.
 
Ryo sentì il cuore scoppiare di felicità, era quello che più desiderava in quel momento, ma il solito blocco gli impedì di rispondere, se non:
 
“Certo.”
 
Una risposta laconica, ma che valeva già tanto per lei.
 
A quel punto Ryo si mosse, si sfilò il giubbotto di pelle e lo appoggiò sullo schienale dell’unica seggiola, tolse dalle tasche le chiavi della moto e il telefono satellitare, e li lasciò sulla consolle nell’angolo; ci aveva messo quasi una cura maniacale nel farlo, perché aveva bisogno di mantenere il controllo su di sé, e nascondere il suo imbarazzo.
Aspettava che fosse Kaori la prima ad infilarsi nel letto.
Anche lei sembrava a disagio, e girava per la stanza riordinando le poche cose lasciate qua e là, prendendo tempo, e quando si diresse alla porta finestra del balcone per tirare le tende, lui la interruppe dicendo:
 
“No, lascia. Mi piace sentire il rumore della pioggia, e quando smetterà di piovere, magari da qui vedremo la luna.”
 
La ragazza annuì, stupita da quella richiesta così strana: non lo credeva così sentimentale, o che apprezzasse le piccole cose belle della vita, ma ne fu contenta.
 
Ryo era ormai accanto al grande letto matrimoniale, e mentre armeggiava con la fondina della sua pistola, che avrebbe lasciato sul comodino lì accanto, a portata di mano, lei, indicando la candela, gli chiese, timidamente:
 
“Ti dispiace se resta accesa?”
 
Ma lui scosse la testa, sorridendole.
 
Lo sweeper si disse che, se Kaori avesse preso in qualche modo l’iniziativa, lui le avrebbe dimostrato, alla sua maniera, quanto tenesse a lei; se non fosse riuscito con le parole, lo avrebbe fatto con i gesti, ma sempre alle condizioni della partner; avrebbe dovuto essere lei a stabilire i tempi e i modi.
 
Infine la ragazza si stese sotto le coperte e Ryo la raggiunse, dal lato opposto del letto.
 
Kaori sembrava ora aver perso tutta la sicurezza che l’aveva spinta a chiedere a Ryo di dormire insieme, ma quando, lì distesa, iniziò a sentire il calore dell’uomo, rinacque in lei il desiderio di averlo più vicino, solo che non sapeva come fare; si agitava, trattenendo sbuffi di frustrazione, allora il socio, deciso a metterla il più possibile a suo agio, e soprattutto ad accorciare la distanza che li separava, e non solo materialmente, le sussurrò:
 
“Vieni più vicino a me, stanotte si è fatto freddo” e allungò le braccia per accoglierla; Kaori ci si rifugiò grata.
Si accoccolò contro il petto del compagno, posandogli la testa nell’incavo del collo; si sentiva fragile e allo stesso tempo audace, per questo non si trattenne più e gli disse:
 
“Ryo… vorrei baciarti…”
 
Quella frase fendette il silenzio della stanza, come una lama di luce nel buio; ecco, Kaori si era lanciata dal precipizio, aveva osato il tutto e per tutto.
Avrebbe potuto vivere il suo più grande sogno, o essere respinta, e quell’insolita gentilezza che lui le stava dimostrando quella sera, non avrebbe di certo mitigato lo smacco, lo sapeva, ma era giunta fin lì e doveva andare in fondo.
Ma non ebbe il tempo di crogiolarsi nell’attesa di un rifiuto o nell’ennesimo tergiversare del compagno perché, prima che se ne rendesse conto, Ryo la stava già baciando.
 
E quello fu un bacio caldo e avvolgente, qualcosa di estremamente naturale, ma anche magico; così potente che li lasciò senza fiato, ansanti.
 
Alla luce tremolante della candela, i loro occhi brillavano di felicità.
 
Ripresero a baciarsi lungamente, lentamente, come a volersi assaggiare e conoscere, ed ogni bacio ne richiedeva un altro e un altro ancora, spingendoli in un gorgo di desiderio, amore, e bisogno di appartenersi.
 
Baciandosi si spogliarono, togliendosi i vestiti a vicenda, in un continuo scoprirsi, e accarezzarsi, come a volersi sincerare del corpo dell’altro, così come se lo erano immaginato o sognato.
Ogni gesto era estremamente spontaneo, ma anche ricercato, e mai lasciato al caso: voleva essere scoperta, ma anche gentilezza e piacere per l’altro.
 
La ragazza all’inizio si era stupita della tenerezza che il suo compagno metteva in tutto ciò che faceva, abituata a vederlo cedere agli stimoli più animaleschi del suo essere uomo, alla continua ricerca di uno sfogo, e quella sorta di venerazione che le stava riservando, quella cura, l’esaltarono e frastornarono insieme.
Una parte di lei si chiese fuggevolmente se questo non facesse parte delle sue tanto decantate arti amatorie, ma non volle indugiare più di tanto in certi pensieri: aveva deciso di concedersi al grande Ryo Saeba, per non avere né rimpianti né rimorsi, e andava bene così.
Temeva, però, di apparire goffa e impacciata di fronte a lui, per mancanza d’esperienza, ma quando si accorse che lasciandosi guidare dall’amore e dal desiderio, incredibilmente anche lei sapeva come muoversi e tutto le veniva estremamente naturale, e che ogni sua più piccola carezza accendevano di piacere e voluttà l’altro, scacciò anche l’ultimo, più piccolo, dubbio e s’immerse nell’esperienza più bella della sua vita.
Eppure, nonostante tutto, provò ancora un po’ ad insistere con sé stessa nel metterlo alla prova; se avesse detto ti amo o resta, quello sarebbe stato il segnale che Ryo la voleva realmente e sarebbe restata con lui, ma poi le sensazioni che le stava regalando furono così trascinanti e sublimi, che finalmente smise di lottare: avrebbe vissuto pienamente quel momento, probabilmente irripetibile per lei, così come veniva, il resto non avrebbe contato più nulla.
 
Ryo dal canto suo, non appena aveva avvertito il dolce peso della compagna addosso, si era sentito in paradiso, il cuore gli era balzato nel petto e quel suo dolce profumo lo aveva inebriato a tal punto che gli sembrava di sognare.
Ma si era trattenuto dal fare altro che non fosse abbracciarla, perché temeva di spaventarla, o metterla in imbarazzo con avances maldestre o troppo avventate.
Ryo voleva solo che Kaori si sentisse pienamente a suo agio con lui, e basta.
Era anche consapevole che lei lo considerava un rozzo animale che correva dietro ai suoi più bassi istinti, e voleva dimostrarle, al contrario, che lui l’amava e la rispettava, perché era come avere fra le mani il fiore più prezioso e più delicato del mondo e non voleva in alcun modo sciuparlo.
Ciononostante, quella vicinanza lo metteva a dura prova, perché la voglia di lei si faceva pressante, e quella specie di urgenza che provava al pensiero di perderla per sempre, lo faceva sragionare.
E quando Kaori aveva espresso quel desiderio, dando voce anche al suo, non aveva indugiato oltre e si era buttato.
Le avrebbe dimostrato il suo amore nella sola maniera che conosceva, facendo parlare il suo corpo, ma non solo, si sarebbe dato totalmente a quella donna meravigliosa, senza risparmiarsi, come non aveva fatto mai con nessun’altra.
Dentro di sé le diceva:
 
Kaori? Senti, senti come ti amo?
 
Era sicuro che Kaori lo avrebbe capito, e per questo sarebbe rimasta con lui, mandando al diavolo Akira e tutto il resto; forte di questa convinzione, mise una tale delicatezza nei suoi gesti, una tenerezza di cui si stupì lui per primo di esserne capace; ma lei era troppo importante per fallire miseramente: doveva farglielo capire.
Finalmente aveva la sua occasione e doveva coglierla al volo.
 
L’amò con trasporto e venerazione, e quando venne il momento, si unirono con naturalezza e passione.
E non appena Ryo constatò che per la ragazza era la prima volta, si sentì invaso da una profonda commozione, in un misto di gratitudine e felicità, perché lei aveva scelto lui, si era concessa a lui, nonostante avrebbe potuto farlo con Akira.
 
Se possibile sentì di amarla ancora di più e si abbandonò a lei, e in lei.
 
 
 
 
 
La luce della bugia, che si stava lentamente affievolendo, aveva visto consumarsi un amore tanto forte, quanto osteggiato dagli stessi amanti, che ora si erano finalmente arresi a quel sentimento travolgente e irrinunciabile.
Nella stanza riecheggiavano ancora i sommessi gemiti, i loro nomi sussurrati con mille sfumature diverse e nuove, parole d’amore tenere come carezze e potenti come il più efficace degli afrodisiaci; ma non si udirono mai quelle che Kaori si aspettava, perché malgrado tutto, Ryo non fu mai capace di pronunciarle.
 
Quando la candela si spense, con un ultimo tremolio, i due innamorati dormivano di già, abbracciati, felici e appagati.
Quella era e sarebbe stata, per entrambi, la notte più bella e importante della loro vita.
 

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Capitolo 12
*** Non è ancora finita ***


Pronte per il gran finale?
Perdonate la brevità del capitolo, ma alla fine è venuto così e poi… era già stato detto tutto prima ^_^
Buona lettura
Ele





Cap. 12 Non è ancora finita
 
Ryo, infastidito da un raggio di sole che gli illuminava in pieno il viso, e dal persistente cinguettio degli uccellini fuori dalla finestra, si ridestò muovendosi a fatica; provò subito un vago senso di vuoto.
Non sentiva più il caldo consolante del corpo della sua donna, e ad occhi chiusi allungò un braccio a cercarla.
Compì un ampio gesto a sfiorare il materasso, ma quando non la trovò, spalancò gli occhi.
 
La stanza era invasa dalla luce e non gli fu difficile abbracciarla interamente con lo sguardo; controllò tutto intorno, ma di Kaori non c’era traccia, ed escluse subito che potesse trovarsi nel bagno attiguo poiché non sentiva rumori di sorta, né in nessun’altra parte della villa, perché non ne percepiva l’aura.
Non ebbe più dubbi quando notò subito che il vestito da sposa non era più appeso alla gruccia.
Saltò giù dal letto, ancora nudo, e corse alla consolle: le chiavi della moto erano sparite.
 
Si precipitò di sotto, nella speranza di essersi sbagliato, ma quando non trovò la Yamaha dove l’aveva lasciata, seppe con certezza che Kaori era partita con quella, e che era andata al suo matrimonio.
 
Maledizione, maledizione!” si ripeteva come un forsennato.
Aveva fallito miseramente, non era stato capace nemmeno di dimostrarle quanto l’amasse!
Possibile che quella notte non avesse significato niente per lei?
Allora era vero: convinta di non poter avere il suo amore, Kaori aveva voluto provare come sarebbe stato passare una notte con lui.
Si era tolta la soddisfazione.
 
Una notte per dirsi addio.
 
Avrebbe tanto voluto odiarla, con tutto il cuore, ma non ci riusciva; continuava ad amarla come mai prima d’ora, e frustrato, al colmo del dolore, proruppe in un alto grido che lacerò la calma idilliaca della campagna circostante:
 
“Kaoriiiiiiiiiiiiiiii!!!!”
 
Quando si spense anche l’ultima eco di quell’anima ferita, tornarono a cinguettare gli uccellini, ignari della sofferenza dell’uomo, che si sentiva ora sconfitto e finito.
 
“Kaori… perché mi hai abbandonato?” mormorò infine.
 
Poi, fulminea, un’idea gli attraversò il cervello.
Forse non era ancora tutto perduto: lei gli aveva comunque lasciato il telefono satellitare.
Si sarebbe fatto venir a prendere, e magari sarebbe arrivato in tempo alla chiesa per impedirle di sposarsi… e stavolta avrebbe dato fiato a tutte quelle parole che non era mai riuscito a dirle, e che premevano per uscire.
 
Tornò correndo dentro la villa, salendo a due a due gli scalini, poi afferrò il telefono e, forsennatamente, compose un numero; aspettò appena che l’altra persona alzasse la cornetta, per poi abbaiare:
 
“Saeko, manda qualcuno a prendermi. È questione di vita o di morte!”
 
E rivestitosi velocemente, lasciò la villa a piedi, correndo.
 
 
 
 
***
 
 
 
Ryo scese al volo dalla Porsche rossa della bella poliziotta, che si era fermata sul sagrato della chiesa fra uno stridore di freni, e si precipitò verso l’edificio sacro; non fece nemmeno caso al fatto che sembrava tutto molto calmo e silenzioso.
Eppure si aspettava uno stuolo di macchine di grossa cilindrata parcheggiate, invitati rimasti fuori a bighellonare, palloncini, fiori, addobbi.
Quando arrivò alla bassa scalinata, però, rallentò il passo, scorgendo un ometto spazzare lo spiazzo, invaso dal riso e dai petali.
 
Saeko era scesa a sua volta e, appoggiata allo sportello aperto, osservava il suo amico che con aria smarrita si guardava intorno.
Lui, attonito, non si capacitava di quella strana atmosfera, e quando la sua attenzione si concentrò sul sagrestano, lo interrogò con lo sguardo.
Quello gli disse:
 
“Eh, ragazzo mio, sei arrivato tardi! Il matrimonio è finito da un bel pezzo… e a me tocca pulire!”
 
Ma Ryo continuava a fissarlo senza capire, mentre l’ispettrice, cogliendo al volo il significato di quelle parole, si sentì stringere il cuore.
Di lì a poco, quando anche Ryo avrebbe compreso di aver perso l’occasione più grande della sua vita, sarebbe finito in mille pezzi, e lei, che sapeva benissimo cosa volesse dire veder sfumare la felicità che si aveva a portata di mano, per essere giunti troppo tardi, era già pronta a consolarlo.
 
“Sai, la sposa era molto elegante, una vera bellezza, e anche lo sposo… proprio un bel matrimonio… e a me tocca pulire!” aggiunse ingenuamente l’ometto.
 
Solo allora Ryo parve capire, e lasciandosi cadere pesantemente sui gradini del sagrato, si prese la testa fra le mani e abbassò il capo in preda alla disperazione.
 
Saeko non osò raggiungerlo, valutando che, per l’orgoglio del grande sweeper, farsi vedere in quello stato sarebbe stato troppo.
Avrebbe aspettato un po’ prima di avvicinarsi; ma mentre era lì in attesa, qualcosa le fece cambiare idea e, risalendo in macchina, riprese la via del ritorno.
 
Ryo sedeva ancora distrutto, e in un tale stato di abbandono, che in quel momento qualsiasi criminale da strapazzo avrebbe avuto ragione di lui; era così indifeso che non gli sarebbe importato nemmeno di morire.
Per questo non si accorse dei passi alle sue spalle, e di una voce chiaramente femminile che canticchiava a bocca chiusa Kiss me again; e quando una mano si posò sulla sua spalla, trasalì.
 
Si voltò di scatto verso il nuovo arrivato, e il sole che lo illuminava da dietro le spalle, gli fece dolere e lacrimare gli occhi – o stava piangendo? - e non capì subito di chi si trattasse.
Ma spostandosi leggermente, poté vedere che la persona che era lì con lui era una donna.
Era Kaori.
 
Lei gli regalò un sorriso disarmante e quasi si strinse nelle spalle.
 
“Tu-tu…” prese a balbettare il socio sgranando gli occhi “Tu che ci fai qui?” e in quel momento si avvide che la ragazza era vestita con lo stesso completino indossato al matrimonio di Falcon e Miki.
Lei però ancora non rispondeva, allora l’uomo si schiarì la voce, cercando di fare ordine nella sua testa, e le ripeté:
 
“Che ci fai qui? Non dovresti essere al banchetto? Perché sei vestita così?”
 
A quel punto Kaori, chinandosi verso di lui, rispose, leggermente divertita:
 
“Perché non mi sono sposata. Non è il mio matrimonio quello che oggi si è celebrato.”
 
“E allora… perché sei scappata via…? Il vestito… perché…?”
 
Lei era quasi intenerita dallo smarrimento dell’uomo, e vederlo così affranto e disperato le procurava  uno strano piacere, una gioia indicibile, e non perché fosse un bello spettacolo vederlo sofferente ma, al contrario, perché lui le dimostrava quanto tenesse a lei, tanto da ridursi in quello stato.
Kaori decise di dargli delle spiegazioni:
 
“Perdonami se stamattina sono andava via senza dirti niente, ma avevo urgenza di tornare in città per parlare con Akira. Gli ho spiegato che non potevo sposarmi con lui, perché non lo amo, e non sarebbe stato giusto. E poi non mi andava di mettermi in mezzo a due innamorati…” fece una pausa, e Ryo decise di alzarsi in piedi, sotto lo sguardo penetrante della socia che non si era mai staccato da lui.
 
“Che vuol dire?” riuscì a chiedere lui.
 
“Significa che sono libera…”
 
“Allora tornerà tutto come prima?” domandò Ryo, speranzoso.
 
“No, Ryo, mi dispiace. Non posso. Quest’avventura mi ha profondamente cambiata, e ho capito che ho bisogno di starmene da sola, di non voler cercare per forza la presenza di un uomo nella mia vita…”
 
“Ma allora, io?” l’interruppe lui.
 
“Tu cosa?” chiese; e poi: “Ryo, non posso pretendere che tu mi ami per forza, che mi tenga con te contro la tua volontà. Direi che ti ho imposto la mia presenza per troppo tempo, ormai. Se lo hai fatto per mio fratello, be’… ti sciolgo dalla tua promessa. Ora sono in grado di cavarmela da sola.”
 
“E la notte che abbiamo appena trascorso, non vuole dire niente?”
 
“Dimenticala, Ryo. Tanto per te è stato solo sesso, e per me… diciamo che mi sono presa una piccola soddisfazione” e gli sorrise amaramente.
 
A quelle parole, però, l’uomo la prese per le spalle, con vigore, e profondamente ferito, guardandola intensamente, le disse, scandendolo bene:
 
“Per me non è stato solo sesso! Mi sono dato a te completamente, ho cercato di farti capire quanto ti amassi, quanto fossi importante per me e tu non puoi aver equivocato!”
La ragazza spalancò gli occhioni a guardarlo incredula, così lui proseguì:
 
“Kaori, ma davvero hai creduto questo di me? Cos’altro vuoi che faccia, per farti capire che non posso vivere senza di te, che se te ne andassi, io ne morirei?”
 
“Non devi fare niente. Bastava che mi dicessi ciò che mi hai appena detto, tanto tempo fa. O anche solo stanotte” gli rispose lei di rimando.
 
E sentendo la presa dell’uomo allentarsi sulle spalle, la ragazza alzò una mano, a sfiorare la guancia del suo compagno e, guardandolo con amore, gli domandò:
 
“Com’era la canzone? Onegai, kiss me again[1]” e mettendogli le braccia al collo: “Devo ripetertelo ancora?” e lo contemplò con occhi scintillanti; lui si sentì rimescolare dentro e rispose:
 
“Direi di no” e stava già per baciarla, quando si fermò come a ricordarsi di una cosa, e infatti aggiunse:
 
“Però dopo anche io voglio autografarti il sedere, come ha fatto Naoko!” e le strizzò l’occhio con aria malandrina. Lei arrossì come una peonia, e abbassò lo sguardo imbarazzata. Allora le prese il mento con le dita e, risollevandole il viso, le sussurrò sulle labbra:
 
“Stavo scherzando” e finalmente la baciò, again.
 
 
 
- FINE -
 
 
 
RIPENSAMENTI:
 
 
“Sugar, ma allora oggi chi è che s’è sposato, qui?”
 
“Semplice! Akira e Naoko.”
 
“Ah, ho capito! Be’, era ora!”
 
“Senti chi parla!”
 
“Eh eh eh eh eh eh! Hai ragione. Ma… dove eravamo rimasti…?”
 
 
 
 
[1] Onegai = in giapponese, per favore. Kiss me again = in inglese, baciami ancora.



Ed eccoci giunti alla fine di questo tormento ^_^ che nonostante tutto vi ha tenute incollate ai vari capitoli e vi ha fatto penare e stare in ansia :D
Va be’ chi mi conosce lo sa che il lieto fine con me è scontatissimo, però direi che la storia è stata combattuta, no?
Ancora una volta sono qui a RINGRAZIARVI per l’affetto e la stima che mi avete riservato capitolo dopo capitolo, con le vostre rec tutte bellissime, per questo vorrei ringraziarvi anche una ad una, sperando di non tralasciare nessuna:
Briz65, Stekao, Fanny Jumping Sparrow, Kaory06081987, Kyoko_09, Stellafanel87, maisonikkoku78, Saori Chan, MaryFangirl, Marzia86, luciadom, Valeria78, lei89, Alice21 e Klau86.
Un grazie speciale anche a chi ha letto in silenzioso, a chi ha messo la mia storia fra le seguite/preferite/ricordate.
Per me scrivere, e scrivere di questi due innamorati stupendi, è un grandissimo piacere, oltre che fonte di divertimento, e mi piace condividere con voi i miei deliri, e se alla fine gradite… be’… sono feliceeeeeeeee <3
Ciao ciao alla prossima
Eleonora

 

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