Poison Absinthe

di Nescio17
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Smoke ***
Capitolo 2: *** Fucking whiskey ***
Capitolo 3: *** Cool, harbor and steel ***
Capitolo 4: *** Dust ***



Capitolo 1
*** Smoke ***


Si rigirò la sigaretta fra le mani lasciando bruciare lentamente la cartina, un filo di fumo che lentamente si innalzava verso la parete bassa e opprimente di quello scantinato polveroso. Ormai il nero della fuliggine aveva tinto le pareti bagnate dall’umidità grondante che nemmeno con il fuoco dei camini era riuscito ad andarsene. Guardò in alto, verso la finestra talmente stretta da sembrare una lama sottile: contemplò i numerosi passanti che affollavano Kensington a quell’ora di notte. 

 

Era quello il momento migliore per passeggiare tra quelle strade, dove l’odore di fogna persisteva come parte integrante di quei mattoni anneriti dallo smog delle fabbriche. Le prostitute mostravano le gambe lunghe e snelle, provate però dal freddo di quell’inverno piuttosto duro mentre alcuni uomini venivano cacciati date le loro scarse finanze: la carità non era ben accetta in quel periodo. 

 

Fece un profondo respiro e poi tirò una lunga boccata di fumo che le invase i polmoni: sentì il sapore acre del tabacco grezzo scendere lungo la gola e graffiarle le corse vocali, doveva cambiare marca di quelle sigarette o a venticinque anni si sarebbe ritrovata senza voce. Si stiracchiò allungando le gambe sulla scrivania, i pantaloni neri che la fasciavano morbidi: quelli erano un opera di sua madre che prima della sua dipartita aveva modificato numerosi paia di pantaloni del padre per farle quel regalo. Le gonne di quegli anni era così scomode che avrebbe preferito andare in giro in biancheria che metterle: eppure vestita così riusciva a dare anche più scandalo, vestita come un uomo. Il tacco nero picchiettava sulla superficie di legno al ritmo di una musica tutta nella sua testa: era una ballata ritmata, un ballo gioviale di quelli da bar del venerdì sera dove gli uomini sbronzi si divertivano a cantare per rianimare gli animi distrutti da anni di lavoro logorante. Fece ancora un tiro profondo consumando fino in fondo la cartina ormai ridottasi  a una cicca minuscola.

 

Qualcuno bussò alla sua porta rovinando quel momento di pace e di quiete che si era riuscita a ritagliare in quella serata piena di trambusto. Si strinse le tempie socchiudendo un attimo gli occhi: da quando aveva preso lei la direzione quel posto sembrava un formicaio che non dormiva mai, senza riposo. 

 

“Avanti.” Disse cercando di mantenere la calma: si accese un’altra sigaretta sperando che dal suo sguardo trasparisse la voglia che aveva di stare completamente sola. Judith entrò silenziosa come un fantasma: la pelle delle mani, diafana, riluceva sotto le lampade gialle, le dita inanellate pesanti sotto tutto quell’oro. 

 

“Mag, Lucas ha avuto dei problemi nel locale di Gregor, ha fatto una specie di rissa e l’hanno cacciato fuori.” Si strinse ancora di più le tempie sperando che quel troglodita di suo cugino non avesse combinato l’ennesimo casino in uno dei bar di sua competenza. L’essere parte di una famiglia con un nome importante non ti dava nessuna supremazia sugli altri eppure lui non riusciva a capirlo: se eri una testa di cazzo ci rimanevi. 

 

“Ju vai a parlare con Gregor che io mi occupo di Lucas e digli che non gli darà più fastidio - Judith stava per uscire, quando la fermò un attimo prima che sparisse - digli anche però che è indietro con i pagamenti. Quindi io lo tengo fuori dai guai se lui paga quello che deve pagare.” La ragazza annuii convinta e poi sparì nel buio del corridoio lasciando dietro di se una scia profumata: adorava il profumo alla rosa. 

 

Si alzò dalla sedia stringendo fermamente la sigaretta tra le labbra, un prurito alle mani iniziò ad attraversale le terminazioni nervose: già era difficile gestire tutta la baracca, se poi ci si mettevano i suoi parenti di sesso maschile a incasinare tutto era troppo. Si diresse rapida verso le scale, salendo i gradini rapidamente e lasciandosi dietro il fumo della sigaretta che ora aspirava con avidità. Sapeva perfettamente dove trovarlo quel fannullone, quell’ubriacone senza arte né parte che riusciva solo a farsi riempire il bicchiere e non ascoltare le sue direttive. Uscì sulla strada lasciando che il buio e il freddo la investissero come un treno in corsa: gettò la sigaretta finita sulla strada e aspettò a fumarne un’altra, ora doveva andare da quel babbeo. 

 

Attraversò in fretta evitando una macchina che per poco non la prese: gli fece un gesto più che eloquente e continuò per la sua strada stringendosi nel cappotto di lana e calandosi con durezza il cappello sulla testa. Girò la strada ed imboccò la viuzza che si trovava dietro il locale di Gregor, il Quaff, uno dei pub più frequentati di tutta Liverpool, ovviamente sotto il loro controllo: era difficile che ci fosse qualche locale, negozio, attività o anche solo anfratto che non fosse sotto la giurisdizione dei Poison Absinthe. Solo il pub di Mick Null era fuori dai loro poteri, una piccola concessione per evitare uno scontro a fuoco con un’altra delle famiglie più rilevanti di Londra: un prestito ben ripagato. 

 

Era lì, seduto su un bancale di legno, reggendosi la testa con la mano mentre l’altra reggeva a mala pena una sigaretta quasi finita. Attorno a lui gravitavano altri due ragazzi: Jimmy e Nigel, due fannulloni al pari del fratello. Entrambi stavano finendo una birra, facendo poi schiantare la bottiglia sulla parete opposta, macchiandola con quel liquido vomitevole che si ostinavano a bere e che in poco avrebbe loro bruciato lo stomaco. Si avvicinò tranquilla, lo sguardo nascosto dal cappello nero che la proteggeva non solo dagli sguardi, ma anche dalla pioggia che stava per iniziare a cadere: l’aria era satura dell’odore dell’acqua. 

 

“Ehi bella, sei venuta qua a farci compagnia?” Schiamazzarono i due che ancora riuscivano a proferire parola dopo i numerosi boccali di birra già ingurgitati. Alzò lo sguardo piano, lasciando che i ragazzi seguissero i suoi occhi lentamente per riconoscerla: li fissò silenziosa, accendendosi finalmente quella benedetta sigaretta che agognava da minuti. 

 

Maledetto suo padre che le aveva trasmesso questo vizio. 

 

“Mag ci dispiace, n-n-noi…” Jimmy balbettò delle scuse cercando di riprendere il controllo su di sé. L’osservò restando ancora in silenzio e inalando il fumo: la cartina sfrigolò ardente tra le sue dita esperte. Al sentire quel nome Lucas rizzò il capo, gli occhi ora vigili e le gambe pronte alla corsa se necessario: in realtà non sarebbe riuscito a fare nemmeno sei piedi che sarebbe caracollato su se stesso, rendendosi ancora più ridicolo. 

 

“Ragazzi, mi sono giunte voci che avete infastidito ancora Gregor. E’ vero o sono solo menzogne?” Disse facendo un altro tiro: il fumo le avvolse la bocca, nascondendo le labbra peccaminose dietro una cortina sottile. Nigel decise che fosse il momento di aprir bocca e far vedere che l’uomo era ancora lui.

 

“E se così fosse? Quel bastardo ci deve ancora trecento sterline!” Disse innervosendosi: l’alcool faceva questo, aizzava gli animi, sbiadiva le inibizioni, rendeva bestie. Lo aveva bandito in ogni posto di lavoro della famiglia: si poteva bere solo al di fuori dagli uffici. 

 

“Non spetta a te decidere cosa fare, o mi sbaglio?” Disse schiacciando quello che rimaneva della sigaretta nella strada malfatta, ancora metà fango e metà catrame: sicuramente il governo non si sarebbe scandalizzato sapendo che nel quartiere di Kensington le strade ancora erano un lago di putredine.

 

“Mag ti abbiamo fatto un favore accelerando i tempi.” La voce di Lucas sembrava lontana, impastata dall’alcool e da qualche altra sostanza che aveva assunto di recente. Gli occhi vigili, ma vacui ne erano la testimonianza: il suo cervello era sicuramente da un altra parte. Sfoderò la pistola, stanca di quei giochetti, sembrava di essere all’asilo: gliela puntò proprio sulla giugolare, li dove la vita scorreva forte e vorticosa, una delle vene più fragili e pericolose, eppure così esposta. Calò il silenzio, mentre alcune gocce di pioggia iniziarono a cadere pesanti come proiettili. 

 

“Non mi fate mai un cazzo di favore, sapete solo fare casini, dovete imparare ad ascoltare - scandì lentamente, osservando una goccia di sudore che scivolava sulla tempia di suo cugino - se vi becco ancora in questo posto vi sparo un colpo in mezzo agli occhi. Sono stata abbastanza chiara?” I ragazzi la fissarono, le pupille dilatate dalla paura, la puzza di alcool che ancora gli riempiva l’alito e i vestiti: annuirono tutti e tre, consapevole delle parole della donna. Tolse la pistola, ma non troppo in fretta, lentamente, tracciando una linea sul collo così bianco e fragile di quel ragazzo nemmeno uomo, ancora troppo bambino. 

 

“Un ultima cosa, voi non mi dovete chiamare così, dovete rivolgermi a me con il nome intero, chiaro?” Rinfoderò la pistola scostando leggermente il cappotto. 

 

“Sì Magdalene.” Si levò in coro, come una sinfonia un po’ stonata, un po’ storta. Li vide darsi a gambe levate, trascinandosi l’uno con l’alto sotto la pioggia che ora era diventata più intensa. Si sedette lì dove poco prima sostava Lucas e si accese un’altra sigaretta, osservandone il vano dove accuratamente le sistemava tutte le mattine: avrebbe dovuto fare rifornimento anche quella sera.

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Capitolo 2
*** Fucking whiskey ***


“Dahlia quante volte ti ho detto che le tue cartacce le devi tenere sulla tua stra maledettissima scrivania!?” Ruth sbraitò verso la sorella che arrivò di corsa dopo aver sentito il richiamo del lupo. 

 

“Ruth non rivolgerti così a me, ricordati che sono uscita prima io dal grembo di nostra madre!” Disse inveendo contro alcuni santi di sua conoscenza. Prese i fogli che aveva appoggiato lì la sera prima e tornò nel suo reparto, dove i telefoni squillavano e gli uomini gridavano scommesse. Ruth la guardò andare via in tutta la sua bassezza e le rivolse un’occhiata di fuoco. 

 

Le sorelle Hall quella mattina aveva avuto un bel da fare: Mag arrivò con calma negli uffici lasciando la giacca a Miller che con un gesto rapido l’afferrò al volo e la ripose ordinatamente nell’armadio. Fece un tiro e poi si fermò di fronte all’ufficio aperto di Ruth, guardandola silenziosa e sorridendo amabilmente dopo aver assistito alla sfuriata tra le ragazze. 

 

“Non mi guardare con quella faccia Mag! - le puntò un dito addosso - non potete pretendere che tenga in ordine i conti quando questa scrivania diventa il cestino di tutti!” Ruth Hall, la tesoriera dei Poison Absinthe, era la migliore nei calcoli e soprattutto non le sfuggiva niente sotto al suo naso. Tornò a concentrarsi sui fogli che aveva in mano e poi si rivolse alla sorella prima che se ne andasse. 

 

“Quel coglione di Gregor ci deve ancora trecento sterline. O arrivano oggi o giuro che gli vado a incendiare personalmente quella baracca schifosa che si ritrova!” Disse non molto contenta che i conti non quadrassero nemmeno quella mattina: non era facile farsi dare tutti i soldi nei giorni previsti a causa delle condizioni economiche disastrose in cui versava la povera gente di Liverpool, ma i Poison Absinthe erano i più magnanimi in termini di scadenza. Questo però non significava che la gente potesse approfittarsene: un prestito è sempre un prestito. 

 

“Tranquilla Ruth, oggi vado io da lui - fece per andarsene, ma si ricordò un ultima cosa - dì alle ragazze che oggi pomeriggio facciamo una riunione al Savage e voglio tutte quante, niente scuse.” Detto questo salutò e tornò sulla sua strada: passò accanto all’ufficio di Dahlia e la vide impegnata nel prendere scommesse su una corsa di cavalli imminente. Anche i loro avrebbero corso quella mattina e la ragazza era occupata a tenere sotto controllo l’intera situazione. 

 

Nel suo ufficio controllò la posta arrivata direttamente quella mattina: niente di interessante attrasse la sua attenzione, ma quando giunse all’ultima lettera si fermò un attimo ad osservarla. La carta avorio era liscia come seta e leggera come una piuma: sembrava che dentro ci fosse solo aria: afferrò il taglia carte e con un gesto secco tranciò il delicato involucro. All’intero c’era un biglietto ripiegato, sopra, con una calligrafia curata, c’era scritto il suo nome: aprì il foglio e vi lesse velocemente il contenuto:

 

“A Magdalene,

i Black Hands desiderano avere un incontro con lei.

Renfrew street, 10 p.m.

MM”

 

Mason Mallory, quel bastardo senza madre: Mag si rigirò nelle mani il foglio e pensò che buttarlo nel camino fosse l’idea più intelligente che potesse avere, ma decise di discuterne con le sue sorelle quel pomeriggio. Ora doveva andare a fare visita a Gregor. 

 

La giornata non era delle migliori, come se Liverpool ne potesse offrire: il sole era nascosto dietro una coltre di nuvole bianche lattiginose, che non lasciavano presagire acqua però. Camminò rapida come era solita fare, senza guardare nessuno negli occhi, ma sopra pronta a cogliere ciò che non andava nel posto che la circondava: da quando aveva preso le redini degli affari di famiglia aveva dovuto farsi più furba, più attenta, come un segugio che viene usato per la caccia. In realtà era sempre stata dentro “l’impresa”, ma non aveva quel posto d’onore che ora le spettava per diritto di sangue: lei aveva sempre seguito il tutto da lontano, osservando e basta. Così aveva imparato che il mondo girava solo se eri capace di muovere i fili giusti e lei era una vera esperta. 

 

Finalmente giunse al Quaff, le finestre di vetro lasciavano trasparire poche immagini dell’interno, celando i suoi segreti, l’insegna rinnovata era stata un’ottima trovata di Ester che l’aveva resa più bella e attraente anche a chi prima non osava metterci piede: per quanto fosse il bar più famoso dei loro possedimenti, la famiglia Hall preferiva riunirsi al Savage, dove sapeva che Samuel Ross, fedele amico del loro padre, avrebbe tenuto ben chiusa la bocca. 

 

Entrò nel locale, l’odore di whiskey e gin che invadevano l’aria, alcuni uomini era seduti da chissà quale ora ai tavoli e qualcuno era accomodato al bancone dove stava ordinando il primo bicchiere di giornata: il miglior alcolico che però la famiglia Hall distillava era l’assenzio, talmente puro che rischiava di ammazzarti se ne bevevi un bicchiere di troppo, per questo motivo veniva venduto sotto banco. Si tolse il cappello e con pochi passe raggiunse il bancone, sedendosi a un posto di distanza da un uomo dai capelli bianchi che con cura assaporava l’assenzio mentre leggeva il giornale. Non sembrò far caso a Mag che con tutta calma appoggiò il cappello sul bancone: il segnale che chiunque si trovasse in quella stanza doveva levare i tacchi e spostarsi nel salone accanto riservato alle grandi serate dei giorni di pienone. L’uomo così come aveva fatto finta di non vederla, chiuse il giornale, scolò l’ultima goccia e se ne andò, ignorando completamente la situazione: a nessuno piaceva mettersi contro di lei. 

 

Gregor sbucò da dietro il magazzino appena l’ultimo cliente aveva deciso di lasciare la sala: Mag con una sigaretta stretta fra le labbra lo aspettava, sfogliando nel frattempo il giornale abbandonato dal vecchio. Nessuna notizia in particolare sembrò colpire la sua attenzione. Alzò lo sguardo verso l’uomo che si era congelato davanti a lei, il panno con cui asciugava i bicchieri stretto nella mano, lasciata a mezz’aria. 

 

“Magdalene, non aspettavo una vostra visita.” Disse titubante, la voce piena di preoccupazione e per niente aggressiva: Gregor non era un cattivo uomo, ma aveva il vizio del gioco e questo non andava d’accordo con i pagamenti arretrati. 

 

“Si lo so, scusa la sorpresa - disse Mag chiudendo il giornale e ripiegandolo con cura - ma sai, sono qui per un motivo preciso, che credo tu conosca.” Tolse la sigaretta dalle labbra dopo averne preso una boccata: gli occhi dell’uomo lasciavano trasparire il suo immenso terrore. 

 

“I-io domani vi pagherò gli arretra-…” Non fece in tempo a finire la frase che Mag lo fermò con un gesto secco della mano. “Non aspetterò la tua vincita ai cavalli per avere i soldi Gregor, te l’ho ripetuto più di una volta che i pagamenti vanno rispettati e con te sono anche stata particolarmente flessibile. Fuori i soldi o questa volta non sarò clemente.” Disse senza troppi fronzoli. La famiglia Hall era conosciuta anche per un altro aspetto importante: chi non rispettava i patti veniva avvelenato proprio con quella sostanza che tanta gioia poteva dare. L’assenzio puro era la loro arma vincente: niente stragi, niente sparatorie, ma una morte rapida e dolorosa. Tutti i Poison Absinthe erano forniti di armi, ma la loro firma era il veleno più buono e distruttivo di tutta Inghilterra. 

 

Gregor ebbe un fremito, tutti sapevano che fine faceva una persona se non pagava quando gli veniva chiesto: cercò con gli occhi una possibile via di uscita mentre Mag lo fissava, la sigaretta tra le labbra rosee e gli occhi diabolici di chi non si faceva ingannare tanto facilmente. Gregor cercò allora la via del dialogo.

“Magdalene dammi ancora qualche giorno, non sei l’unica a cui devo dei soldi…” Disse, ma subito se ne pentì quando notò il cambiamento nello sguardo della donna che divenne di marmo. Mag tirò l’ultima boccata del mozzicone e poi lo spense tranquillamente, calcolando ogni gesto, ogni minimo movimento era per lei un modo per comunicare agli altri e quando si faceva così tranquilla bisognava aver paura. Molta paura. 

 

“E a chi dovresti dei soldi per Grazia divina?” Disse alzando lo sguardo dal mozzicone spento: Gregor aveva costruito la tomba con le sue stesse mani, lo sguardo ormai al colmo della disperazione. 

 

“Ti prego Magdalene, sono venuti qui e mi hanno puntato la pistola alla testa, non potevo dirgli di no, ho famiglia, lo sai, chi li cresce quelle sei creature? Eh? Ti prego!” Gregor fece il giro del bancone e si inginocchiò davanti a lei, il volto rigato di lacrime, la paura che si riversava fuori come il fiume in piena delle sue parole sconnesse. Mag rimase tranquilla, il volto indecifrabile: non poteva lasciarsi coinvolgere dalle emozioni, non poteva far trasparire la sua apprensione per quell’uomo roso dal vizio, ma fedele a sua moglie come nessun uomo. 

 

“Gregor, erano i Black Hands?” Disse solamente, osservando il volto dell’uomo in cui affiorò una speranza. Si alzò di scatto e ricominciò con le parole, divenne quasi difficile seguirne il filo. 

 

“Sì sì, esatto, proprio loro, quei maiali dalle dita sudice. Sono venuti qui, mi hanno obbligato a comprare il loro whiskey pur sapendo che questo bar è sotto la tua protezione, ma non mi sono ritirato per paura, per viltà. Ti chiedo scusa Magdalene!” Ancora con le lacrime, Mag era arrivata al limite con quel piagnisteo insulso, le venne voglia veramente di sparargli un colpo in testa, ma si trattenne.

 

“Smettila Gregor - disse zittendo l’uomo con durezza - tira fuori i soldi. A conti pagati ci penserò io ad andare a parlare con loro.” Disse indicando la cassa: nessuno offriva favori senza ricevere in cambio pagamenti e siccome quello era dato, non vedeva dove potesse esserci una truffa ai suoi danni. Finalmente Gregor decise di collaborare, annuì freneticamente, le diede i soldi e la ringraziò ancora innumerevoli volte: Mag si sforzò di fare un sorrisetto di circostanza, ma non appena ebbe i suoi soldi levò le tende, avvisando Gregor di fare attenzione e avvisare subito se fosse arrivato qualcun altro a spacciargli altra roba. 

 

 

“Non ci posso credere - Ester afferrò il biglietto e se lo rigirò fra le mani - ha proprio una bella faccia tosta quello stronzo.” Disse passando il biglietto a Ruth che lo guardò schifata, lasciandolo immediatamente sul tavolo. 

 

Le sorelle Hall erano riunite al Savage come da richiesta di Mag, sedute al tavolo predisposto per le riunioni familiari, vicino al bancone cosicché Samuel avrebbe subito potuto servirle. Le gemelle, Ruth e Dahlia sedevano vicine, dall’altro lato Ester e Judith e infine Mag che fumava tranquilla su una sedia non molto distante. 

 

“Quello che mi chiedo è come abbiamo fatto a scoprirlo solo adesso che qualcuno vendeva sotto banco a Gregor - disse dubbiosa Dahlia, rivolgendo poi lo sguardo a Judith - Ju, perché non ne sapevi niente?” Judith si rigirò gli anelli uno a uno sulle dita: faceva sempre così quando era nervosa. Poi posò lo sguardo sulla sorella maggiore che continuava tranquilla a fumare senza rivolgere la parola a nessuno: stava aspettando anche lei delle spiegazioni.

 

“Io avevo sentito delle voci e stavo iniziando a informarmi, avrei usato questa riunione per avvertirvi.” Disse con il suono basso, ma mellifluo: era sempre un po’ spaventata da quello che le sorelle avrebbero potuto dirle. Mag si decise finalmente a parlare prima che scoppiasse la baruffa tra le sorelle minori. 

 

“Tranquilla Judith, l’importante era sapere che delle voci ti erano giunte - disse tranquillamente alla sorella, la più brava a carpire e ricevere notizie fondamentali per “l’impresa”- Ora ragazze però dobbiamo concentrarci su questi figli di puttana dei Black Hands. Non si devono permettere di attraversare così il nostro territorio.” Disse soffiando via del fumo, le sorelle annuirono convinte delle sue parole. 

“Ovviamente ho intenzione di incontrarli. Andrò da sola - un coro di proteste si levò dal tavolo - lo so che non vi sembra saggio, tranquille. Mi coprirete voi le spalle.” Le ragazze non sembrarono ancora convinte: Ruth scosse la testa, così come Dahlia, Judith la guardò con occhi spauriti. L’unica eccitata era Ester, la loro armaiola: era lei che si occupava delle sommosse, delle protezioni e delle armi, la migliore in circolazione. 

 

“Ester dovrai portare con te gli uomini migliori, prendi Nick, Jeremy e Dan. Due si metteranno nella locanda di Ruby, uno nel magazzino dei Looney e tu sarai alle mie spalle.” Disse Mag indicando la sorella che tutta gioiosa prendeva nota mentalmente di tutto il necessario e come posizionare al meglio gli uomini. Le altre però non sembravano ancora convinte: sonori sbuffi provenivano dalle fazioni contrarie e come contraddirle? A nessuna piaceva quando Mag si prendeva la responsabilità piena delle decisioni. 

 

“Non ho intenzione di mettere in pericolo anche voi, basto io, non mi servirebbe a niente portarmi la scorta, anzi sarebbe solo indicatore della nostra debolezza - disse osservando le loro reazioni sui volti. Era brava, fottutamente brava a convincere con le parole, non solo con le armi - e noi cazzo non siamo deboli giusto?” Un assenso venne da tutte, forse un po’ rincuorate che la sorella maggiore sapesse cavarsela contro tutti e tutto: la roccia era lei.

 

“Ottimo, ora tutte in ufficio che la giornata non è finita!” Fece l’ultimo tiro di sigaretta e poi le congedò tutte. 

 

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Capitolo 3
*** Cool, harbor and steel ***


“Ester se sei pronta io vado, mi raccomando discrezione come solo tu sai.” Disse Mag, inserendo gli ultimi proiettili nella fidata Enfield: quel pezzo di metallo che tanto odiava suo padre perché gli ricordava gli americani del far west. La sorella annuì e se ne andò nascosta dalle tenebre insieme ai loro uomini: Mag si incamminò poco dopo, assaporando quella passeggiata in notturna nella sua Liverpool malfamata. Non era una città altolocata, una cittadina di marinai e raccoglitori di carbone, non era niente di eccezionale, ma era sua e nessuno avrebbe potuto metterci le mani finché lei e le sue sorelle avrebbero respirato. Lo conosceva a menadito, tutte le strade, i vicoli, i portoni e le locande: nessuno fuggiva alla sua egemonia e per quanto venisse considerata una delinquente dal governo, lì era tutto perfettamente normale. Nessuno si era mai lamentato del suo operato, era una donna con dei sani principi, sane convinzioni e abitudini: a parte il fumo, non beveva e non assumeva sostanze di contrabbando che aveva deciso di non spacciare. I Poison Absinthe erano gli unici di tutta Liverpool che non fornivano certe sostanze pericolose e che creavano una dipendenza allucinante e lei lo sapeva bene: li aveva visti gli uomini stravolti dalla cocaina o intontiti dall’oppio. 

 

Una leggera pioggerella iniziò a bagnarle il cappotto pesante che l’avrebbe protetta dall’umidità, così come il cappello in feltro calato come sempre a coprire lo sguardo: non amava farsi riconoscere dalle fattezze, la gente la riconosceva grazie al cappello e al passo deciso. Imboccò Renfrew street e subito sentì rintoccare il vecchio campanile: sì, perché nella peccaminosa e lussuriosa Kensington c’era una piccola cappella che la sua famiglia aveva deciso di erigere in onore di quel Dio tanto caro agli uomini della malavita. Controllò l’orologio da taschino accertandosi che non fosse rimasto indietro e poi circospetta osservò la via stretta e poco illuminata: notò un bagliore provenire dalla finestra della locanda di Ruby e seppe che i suoi uomini erano piazzati. 

 

Non era tesa, però una leggera elettricità la circondava, come se da un momento all’altro avesse potuto sprigionare dei fulmini lei stessa: Mag era così, una tempesta in quiete che aspetta di scatenare l’inferno e forse il suo nome le rendeva giustizia. Magdalene, la prostituta redenta grazie  al Signore, il vizio che diventa virtù, l’inferno che diventa paradiso. I loro genitori aveva assegnato a ciascuna un nome biblico così che tutte si ricordassero da dove erano venute e dove sarebbero tornate: tra le braccia del Signore. O forse avevano solo voluto fare uno scherzetto proprio al grande capo: le cinque donne bibliche dedite all’illecito, al vizio e alla perdizione. 

 

Come un lampo a ciel sereno, Mag intravide l’ombra di un uomo avvicinarsi silenziosamente e con una certa lentezza, i lineamenti che si fecero chiari solo quando sostò alla luce di un lampione che non funzionava nemmeno del tutto: il cappello gli copriva gli occhi e il lungo cappotto nero nascondeva la forma fisica. Mag si avvicinò tranquillamente tirando fuori una sigaretta: prontamente l’uomo sfilò l’accendino dalla tasca e gliela accese, la mano a coppa per nascondere la fiamma dall’ira del vento e dalla pioggia. Mag tirò una lunga boccata soffiando poi il fumo con il suo solito fare: glielo stava dicendo, era lei il capo e nessuno l’avrebbe contraddetta. Finalmente Mag potè vedere i lineamenti del volto quando si scostò di poco il cappello in segno di saluto: gli occhi verdi chiari, come prati estivi, il naso ben delineato, il mento evidenziato da una leggera peluria scura, il sorriso maligno di chi sa che quel cane non lascerà tanto facilmente l’osso.

 

“Che piacere rivederti Magdalene.” Disse, la voce profonda e graffiata dal fumo: anche lui decise che fosse il momento ci accendersi una sigaretta. Posò il suo sguardo impertinente in quello di Mag che lo sostenne, per niente cedevole a due begli occhi: era stata fatta una dichiarazione di guerra e lei l’avrebbe vinta. 

 

“Non posso dire lo stesso Mallory.” Disse sbuffando del fumo: la nuvola si addensò di fronte al suo sguardo di marmo. Niente era lasciato al caso, nemmeno un gesto. 

 

“Da quando sei così formale con i Black Hands?” Disse sorridendo e aprendo le braccia come se volesse accogliere una sua vecchia amica, ma Mag stava pensando a tutto tranne che a ridere: le prudevano le mani, come osava prendersi gioco di lei? Come se si fosse dimenticata il passato. 

 

“Da quando le tue sudice mani da minatore del cazzo si sono posate sulle mie prostitute d’alto borgo.” Disse, la voce sempre neutra, ma carica di odio e rancore, il volto impassibile. Quel figlio di nessuno era arrivato nel suo dominio e con i suoi uomini aveva pensato di poter dettare legge dove li la legge la facevano lei e le sue sorelle: dopo che i suoi genitori erano morti era stato difficile prendere il potere e farsi rispettare da tutti. Numerose volte i suoi zii si erano opposti alle decisioni che il padre aveva preso prima di dire addio al mondo dei vivi, redigendo un testamento apposito. 

 

“Cosa vai dicendo Mag, lo sai che noi non ci azzardiamo ad entrare nei tuoi territori!” Disse come se fosse una verità assoluta e certa, quasi offeso dal fatto che lei gli avesse mosso un’accusa del genere. Mag si stava spazientendo notevolmente ed era sempre più convinta che un bel colpo tra gli occhi avrebbe giovato ad entrambi. 

 

“Primo, cortesemente usa il mio nome di battesimo, secondo - gettò il mozzicone ormai consumato e se ne accese un’altra - non mi prendi di certo per il culo. Gregor ha cantato come un uccellino, forse perché ritiene che io possa essere sicuramente più pericolosa di un branco di idioti come voi.” Disse tirando e incenerendolo con lo sguardo: il gioco si stava facendo arduo. Mason la fissò silenzioso cercando di capire quale mossa avrebbe causato meno disastri in quella situazione spinosa: non era stupido e Mag lo sapeva, ma lei ragionava in entrambi i modo, uomo e donna. Dio le aveva donato il regalo più bello che potesse farle: essere donna in mezzo a uomini saggi. Era così che lei aveva appreso da suo padre, da suo nonno e dai suoi zii: silenziosa come un fantasma aveva carpito i segreti del mestiere dai migliori in circolazione. 

 

“Gregor non è stato difficile da corrompere, conosciamo i suoi vizietti dalle nostre parti. Questo però non era un affronto, sai noi Black Hands abbiamo bisogno di nuovi mercati e siccome qua c’era odore di affare ne abbiamo approfittato, si chiama legge del mercato… Magdalene.” Calcò la voce sul suo nome, come se quello desse più significato al quel mucchio di stronzate che aveva raccontato: ma lei non ci cascava.

 

“Sai, ieri ho avuto un incontro con i Breakbone, sai quei cari ragazzi di Manchester. Sono stati proprio gentili, abbiamo per così dire stretto un “accordo” - sottolineò la frase con deliberata lentezza tirando una boccata da quella sigaretta che non era mai stata così buona, lo sguardo granitico su di lui - Ci siamo accordati sugli smerci marittimi, come ben sai le nostre due belle città guardano quel mare putrido inquinato dal carbone che tu e i tuoi gestite.” Si fermò per far comprendere l’intero discorso a Mallory che ora la guardavo con sguardo incerto: cosa si era inventata questa volta? 

 

“Si erano lamentati che voi Black Hands mettevate troppo il naso nelle loro navi che tutti i giorni partono e ritornano, così mi ha chiesto una certa solidarietà, se vogliamo chiamarla così. - la pioggia che batteva incessante sui solo abiti e sulla superficie distrutta della strada - Ci siamo smezzati gli sbarchi di carbone in modo che voi dobbiate rimanere sotto il nostro controllo per i vostri affari.“ Disse infine trionfa, soffiando una bella boccata appena presa: a giocare con il fuoco si rischia di bruciarsi e Mallory si era completamente ustionato. La guardò in cagnesco, ancora non certo delle parole della ragazza: strinse i pugni gettando il mozzicone ormai terminato della sigaretta. 

 

“Daniel non può decidere cosa fare del mio carbone e lo sai anche tu!” Cercò di recuperare un po’ di buon senso: non poteva essere successo davvero, nessuno poteva fregargli sotto il naso le sue navi ricolme di quell’oro nero tossico. 

 

“Vorrei ricordarti che avevi un accordo un po’ deludente con lui: lasciava passare le tue navi a patto che tu non ti impicciassi dei loro affari mercantili e gli cedessi il venti percento dei guadagni e ti occupassi delle guardie - disse lanciandogli una sfida con gli occhi - Io gli ho offerto il trenta per cento, una ragionevole sicurezza nei miei territori, la possibilità di smerciare la sua droga da me. In cambio, ho ottenuto i suoi porti, la tua espulsione, una quota sui cavalli e un guadagno sulle loro fabbriche di acciaio che tanto mi facevano gola.” Disse chiudendo definitivamente il discorso: lei faceva i fatti, non giocava con le bambole, se voleva un affare lo creava e infine lo concludeva. Si fumò la sua sigaretta tranquillamente osservando il volto ormai pietrificato dell’uomo, sconvolto da quella situazione surreale: non ci poteva credere, gli aveva soffiato sotto le mani un affare che gli era costato anni di lavoro e organizzazione. In pochi passi azzerò la distanza che intercorreva fra i due, le gocce di pioggia che ormai grondavano dal cappello zuppo. La afferrò per un gomito con forza, ma Mag rimase tranquilla, la sigaretta stretta tra le labbra. 

 

“Da quando sei diventata così meschina?” Disse sussurrandole vicino al volto, ormai a pochi centimetri dal suo, il fumo avvolse i loro volti.

 

“Forse lo sono sempre stata. Non venirmi a fare la morale, non ti si addice - disse sistemandogli il colletto del cappotto che nella foga si era spostato, la sigaretta stretta tra le mani ferme e impassibili - suvvia, sono sicura che riuscirai a fare altri affari. Le mie fonti mi hanno informato che hai messo le mani un po’ ovunque.” Disse tranquillamente scrutando il suo sguardo attraversato da una certa dose di delirio: l’aveva fatta grossa, ma era così che ci si faceva strada, non facendo l’elemosina e nascondendosi dietro un dito. 

 

“Ricordati una cosa sola, se proverai a rimettere le mani nei miei di affari ti spedirò direttamente dal grande Capo.” Disse indicando in cielo con il dito, lo sguardo serafico e intransigente. 

 

Chi giocava con il fuoco rischiava di bruciarsi e stavolta aveva scatenato un bell’incendio. 

 

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Capitolo 4
*** Dust ***


Mani di seta scorrevano sulla sua pelle ruvida, indurita dal freddo e dall'inverno: quel tocco gli faceva vedere e sentire il paradiso tutte le volte. Le sue labbra piene e peccaminose gli baciavano le spalle larghe e forti, lo marchiavano come tizzoni ardenti. La strinse a sé con foga, togliendole il respiro: voleva sentire il suo corpo ancora e ancora più vicino, ogni centimetro della sua pelle chiara come la porcellana. Il respiro accellerato risuonava nel suo orecchio, gli ansiti di un piacere indescrivibile, i gemiti tenuti al guinzaglio per non farsi sentire attraverso quelle pareti sottili e pericolanti. 
 

Nulla importava quando quei due si tenevano stretti l'uno tra le braccia dell'altro, come fili di un'unica matassa. 
 

Si ridestò da quei pensieri languidi e poco casti che gli attanagliavano la mente da giorni: da quando l'aveva rivista dopo tutto quel tempo i suoi sensi si erano risvegliati e ogni pensiero tornava a quando la bocca di lei era solo di suo dominio. 
 

La pioggia scendeva cadenzata, le nuvole nere ricoprivano il triste cielo di Liverpool e i passanti si agitavano sulle strade tutti presi da chissà quali impegni. La sigaretta emanava un leggero filo di fumo, intimidito anche lui dal brutto tempo: ne prese una boccata e poi la gettò dirigendosi nelle retrovie di una stradina più riservata. Lì trovò Mikey che po' aspettava, appoggiato alla Rolls Royce Twenty: una macchina forse troppo vistosa, ma ora che gli affari prendevano piede era giusto avere il giusto equipaggiamento. 
 

"Capo cosa ha intenzione di fare? Se quella matta dei Poison Absinthe ci trova qui ci taglia le palle e le dà ai maiali!" Dissi non poco intimorito da quella donna, il cui nome era sulle bocche di tutti i fuori legge. Mallory guardò divertito il suo lacchè e poi salì in macchina: nessuna donna avrebbe potuto fotterlo, nemmeno quella dannata che lo aveva già posseduto più di una volta. Ancora una volta i suoi pensieri tornarono a quelle fredde notti in cui i loro corpi si erano scaldati tanto amorevolmente e in cui avevano condiviso pensieri e parole come gli innamorati di un romanzo. E poi lui aveva mandato tutto a puttane, come era solito fare: aveva sporcato quell'amore così gentile per un bicchiere di troppo, un whisky soltanto. 
 

Accese il motore e silenziosamente si allontanò come la canaglia che era, come il bastardo che aveva spezzato il cuore della ragazza più in gamba di tutta Inghilterra. 
 

Un boato ruppe il cielo, pezzi di calcinacci volarono come coriandoli, vetri infranti si sparsero sulle strade rovinando tra i piedi delle persone che con foga si davano alla corsa, evitando i mattoni. Il caos regnava mentre le fiamme della dinamite divampavano annerendo il legno esposto: accorsero alcuni uomini con dei secchi d'acqua, sperando che la pioggia in quel momento potesse essere provvidenziale per evitare che il fuoco raggiungesse le case circostanti. Il Quaff bruciava come un fiammifero appena acceso, lambito dalle lingue rosse che cercavano di distruggere tutto quello che trovavano sul loro percorso. 


Mikey si girò per assicurarsi che nessuno li stesse seguendo e poi si strofinò le mani soddisfatto dell'operato del suo padrone che nel frattempo guidava, lo sguardo assente e il volto rilassato. Non sembrava al settimo cielo, ma sapeva che quella era una giusta punizione per la baldracca che aveva osato sfidare i black hands. 
 

"Mallory ora non ci resta che fregare quella banda di galline e appropriarci di tutto quello che hanno!" Disse con gli occhi lucidi: Mikey non era il più furbo della banda, ma era sempre stato fedele. Mason Mallory osservò la lunga strada davanti a sé e sorrise: forse stavolta ce l'avrebbe fatta. 
 

La macchina sterzò sul selciato, sollevando la terra asciutta: una nuvola di polvere ricoprì il mezzo. Harry aprì la portiera entusiasta che la notizia fosse già arrivata anche a loro: Mallory aveva fatto proprio un bel casino, ora bisognava solamente mettere le mani sul bottino. Corse dentro Dust House con foga, rischiando di scardinare la porta dell'edificio e si gettò a capofitto nell'ufficio di Mason: lo trovò seduto mentre discuteva con Jackson di qualcosa, le mani che correvano a destra e a sinistra sulla scrivania in cerca di qualcosa. 
 

"Capo è il momento di festeggiare, la notizia si è già sparsa per mezza Inghilterra! Sicuramente i Poison avranno un bel daffare, godiamoci questo momento." Disse starnazzando come un'oca già in preda ai fumi dell'alcool. 
 

Mallory battè un pugno con foga sulla superficie dura e si alzò con impeto: forse aveva ragione quello scemo di Harry, poteva permettersi di festeggiare. Finalmente stava ribaltando la situazione, si sarebbe preso tutto, fino all'ultima sterlina: i black hands non potevano perdere così facilmente. Riuscì a trovare il biglietto da porgere a Jackson che con velocità sparì dietro la porta e si infilò il cappotto, battendo alcune pacche sulla schiena muscolosa di Harry. 
 

Il locale era stra pieno, gente ovunque che beveva contenta e cameriere indaffarate a servire le pinte di birra e i bicchieri di brandy. La musica aleggiava leggera, riusciva ad attraversare il frastuono delle voci e delle risate, arrivando dritta dritta alle sue orecchie: sentiva tutto quel frastuono, ma niente riusciva a calmarlo. Da quando si era seduto al tavolo il suo cuore restava irrequieto, come se ci fosse qualcosa di molto importante che si era dimenticato di fare, un prurito sotto le mani. Neanche l'alcool sembrava sortire l'effetto desiderato, eppure aveva già ingollato qualche bicchiere bello tosto. 
 

Una ragazza dai lunghi capelli castani avvolse le braccia attorno al suo torace lasciandolo per un attimo senza respiro: quel tocco gli sembrava così familiare eppure quando si volse a guardare il volto di lei non riconobbe Magdalene. I suoi occhi tinti di bistro brillavano dietro le folte ciglia, invitandolo con sensualità ad occupare il suo tempo con faccende più divertenti che stare a sbronzarsi in mezzo a un branco di uomini. Quegli occhi lo incantarono, gli sembrò di avere un dejavu, un brivido gli percorse la schiena, l'eccitazione crescente nel suo corpo. 


Si alzò abbandonando i suoi compagni, seguito da fischi, applausi e qualche parola oscena che lo invitava a domare la puledra che gli stringeva la mano con decisione. Il vestito di seta l'avvolgeva come una seconda pelle, sotto si intravedevano i brividi di freddo che le punteggiavano le braccia. Salirono le scale e lei lo fece accomodare nell'ultima stanza di un lungo corridoio ricoperto di tappeti verdi, sbiaditi e tarlati: ma poco importava a chi decideva di salire. La stanza era scura, solo una tenue luce proveniva da una lampada ad olio che rischiarava il grande letto e la porta del bagno. 
 

"Aspettami qui. Torno subito." Disse sussurrando al suo orecchio, lasciandoci un bacio a fior di pelle. L'eccitazione ormai era massima, Mallory non capiva più un cazzo: non sapeva se fosse l'alcool o l'aspetto di quella ragazza che la faceva assomigliare a Magdalene in maniera impressionante. Si sedette sul letto accendendosi una sigaretta per calmare le emozioni e inspirò profondamente: quella maledetta non se n'era mai andata dalla sua testa, si era insediata come un chiodo e aveva messo radici nel suo cervello. La vedeva ovunque, sentiva ancora le sue mani toccarlo e il suo profumo avvolgerlo. Nel bel mezzo dei deliri mentali non si era accorto che la porta del bagno di era aperta e adesso una figura si stagliava, vestita solo con una vestaglia rossa come il fuoco. 
 

Mallory ci mise qualche secondo a realizzare la presenza di quella donna, il corpo sinuoso era delineato dalla luce, ma non riusciva a scorgerle il volto. Rimase pietrificato, i suoi sensi lo stavano ingannando, non c'era altro motivo, perché sennò come avrebbe fatto a esserci Magdalene davanti a lui, ricoperta solo da uno sottile strato di stoffa. Sbattè le palpebre alcune volte, mentre la figura si avvicinava, rivelandosi sempre di più alla luce: il suo cuore sembrò fermarsi, trattenne il respiro, non ci stava più capendo niente. 
 

Magdalene avanzò lentamente osservando la moltitudine di reazioni che passarono sulla faccia di Mallory: quel coglione aveva osato dichiarare guerra e ora lei stava cercando di sistemare le cose per non perdere terreno. Si ritrovò a pochi passi da lui, che ormai aveva la faccia completamente ferma in espressione incomprensibile: era sicuramente prossimo all'infarto. Gli sfilò la sigaretta dalle mani e tirò una boccata lasciando che la nicotina le riempisse i polmoni e il sangue. 
 

Mallory non riusciva più a ragionare: l'eccitazione era ormai prorompente nei pantaloni, ma il suo cervello non riusciva a registrate la persona davanti a sé. Che cosa aveva combinato per vederla ancora una volta in quelle vesti? La vide sporgersi e soffiargli il fumo nella bocca dischiusa dalla sorpresa: fissò quelle labbra così invitanti e infine il suo corpo si decise a reagire. Le afferrò la vita facendola sedere a cavalcioni sulle sue gambe: la sua pelle era così vicina, celata dalla vestaglia, il suo respiro caldo si infranse contro il suo orecchio, facendolo diventare matto. Le baciò la pelle, inalando il suo profumo come una droga, stringendo la presa sui fianchi. Voleva sentire di più, perdersi nella sua carne morbida, ubriacarsi del suo respiro ansimante.
 

Lo fece sdraiare in modo da sovrastarlo: non era cambiato per niente. Le sue mani forti la stringevano con una dolcezza inaudita, il suo cuore batteva ritmico quasi a sfondare il torace ben formato. Gli sbottonò la camicia, accarezzando e solleticando la pelle ruvida, lo sentiva sotto di lei scalpitante pronto a ribaltare quella situazione rovente: ma non era questo il suo obbiettivo. 

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